N U M E R O 4_ M A R Z O _ 2 0 2 2
DI PIER PAOLO PASOLINI
Per comprendere l’opera di Pasolini è necessario partire dal principio, dai luoghi della sua infanzia e della sua adolescenza. Casarsa, paese natale della madre, Versuta, il Friuli. Furono anni decisivi per la sua formazione umana, intellettuale e letteraria. Il piccolo mondo friulano, intensamente amato, la sua Natura, gli amici, gli anni di insegnamento, gli incontri sportivi – egli era solito portare da Bologna un pallone nuovo ogni estate – i ritrovi serali con gli amici, i giri in bicicletta. Sono anni che resteranno punto di riferimento, fondamentale ed esistenziale. In occasione del centenario dalla sua nascita, il 5 marzo 2022, abbiamo deciso di lanciare una call per illustratori. Abbiamo scelto dei brevi passaggi, immagini, dai racconti presenti in Un paese di temporali e primule, pubblicato da Guanda nel 1993 (che raccoglie racconti, poesie e brevi saggi, a cura di suo cugino Nico Naldini) nei quali attraverso le parole, gli aneddoti, i ricordi viene ricostruito il periodo friulano i cui temi, ispirati al mondo contadino casarsese, prendono le tonalità della leggenda di un presente adombrato dalla nostalgia. Ci piaceva l’idea di poter far rivivere le parole di Pier Paolo Pasolini attraverso la visione di molteplici illustratori.
Pier Paolo Pasolini
In un paese di temporali e di primule Guanda 1993 Amado mio Dopocena nostalgico I colori della domenica Lo specchio inesistente O, la trappola Un mio sogno
Amado mio
...nel cinematografo ancora quasi deserto, incuranti di quella siderale notte che ci sovrastava, funzionavano alcuni dischi, e, non so come e in quale momento di quella mia sera leggendaria, proprio per via della musica, mi trovai vinto da una commozione insostenibile: non piangevo, ma il mio petto era divenuto duro di dolore e di gelosia. Come sentivo di possedere un petto! E quasi morivo di invidia vedendo gli «altri», essi pure possessori, ma quanto più fortunati e leggeri, di un petto e di una presenza di sé soccorsa, non funestata dalla gioia. Forse era quel dissidio così aperto tra la platea e il firmamento, quell’atroce palizzata di canne in diretto rapporto con i neri metalli della luna; forse era quel giovane bellissimo, coi bellissimi capelli bruni, che rivolto agli amici narrava le prodezze del proprio sesso davanti ai fascini di un palcoscenico gremito di ballerine; forse infine, e soprattutto, era quella doratura fallica che uno straniero come me annusa in ogni trascurabile fatto o presenza dei luoghi sconosciuti, quell’Eros collettivo, indigeno, folcloristico quasi che si spezza e si rifrange come in un prisma nella folla di ignoti vestiti a festa.
Elisa Francioli
Amado mio
Maurilio Raimondi
Amado mio
Isabella Parisi
Amado mio
Lucia Diez
Amado mio
Giuliano Appendino
Amado mio
Costanza Lettieri
Amado mio
Amado mio
...suonava Amado mio, di cui non conoscevo l’esistenza se non per averla sentita fischiare non so dove, subito avvertendo in me l’incontro di quelle due o tre note capaci di provocare una tenera ricaduta. Infatti ora ero devastato da quella musica di carne, inoltre ne sentivo per la prima volta le parole, le quali giungendo al mio orecchio a frammenti, a monosillabi, mi parvero di un’espressività radiosa. Il mio petto si feriva, si modellava come una cera sotto le dita calde di quella canzone: «amado», «città», «luci»... Ecco l’Atlante, un Atlante di porfido, rinfrangersi con gli spazi ardenti dell’Oceano, nelle immagini sensuali di un’America carica di una latinità venata di barbarie, fino a disegnarmi la donna tipo, la donna del romanzo fiume o del film d’intreccio passionale, in uno stato di estenuazione e di post amorem, accovacciata presso il suo ragazzo in vista di non so che boulevard argentino.
Letizia Balestrieri
Amado mio
Sara Paganotto
Amado mio
Carla Righi
Amado mio
Chiara Ferrante
Amado mio
Luana D’Alfonso
Amado mio
Dopocena nos ta lgico
Il ragazzo sedeva su un mucchio di ghiaia al margine della strada e accanto, con i raggi luccicanti, era distesa la bicicletta; l’aria verdecupa riverberava intorno a lui, dentro il fosso, lungo i recinti, nelle chiome degli alberi, i chiarori gialli e troppo lucidi del vespro piovoso e appena rasserenato. Sulla svolta, in cima al palo, luccicava, già ben rilevata contro il verde e il viola della vegetazione e dei muri ed anche contro il giallo serale, una lampadina gialla, lacrima prematura e tenera della notte. Ora, il mucchio di ghiaia, il giovane, la bicicletta, il palo della luce, le case patinate dal vespro, si trovavano già fra loro in un rapporto felice, erano toccati da una grazia non rara, ma certo emozionante, che poteva servire a una prima penetrazione nel significato umano di quella scena, in quell’abisso di sensazioni e sentimenti dove quella scena poteva trovare un equivalente inimitabile, essere assimilata con la golosità innocente di chi vi partecipa come inconscio protagonista.
Dopocena nos ta lgico
Chiara Bassi
Dopocena nos ta lgico
Elena Barberis
Dopocena nos ta lgico
Chiara Raimondi
Dopocena nos ta lgico
Alessia Fergola
Dopocena nos ta lgico
Margherita Piovani
Dopocena nos ta lgico
Claudia Mistero
Dopocena nos ta lgico
Andrea Pilati
Dopocena nos ta lgico
Intanto nelle case vicine in cui brillavano umide le lampade dalle finestre aperte, risuonavano i rumori delle cene, e, al di là dell’ombra dei sottoportici, nelle corti invase dalla stanca luce, si intravedevano le ragazze camminare svelte dalla porta della cucina a quella della stalla o agli scalini del ballatoio...
Dopocena nos ta lgico
Mari Madeo
Dopocena nos ta lgico
Melissa Falconi
Dopocena nos ta lgico
Chiara Molinari
Dopocena nos ta lgico
Sara La Spina
iDomenica Colori della
Finita la cena Manuti se ne uscì sulla strada. Tutti i vicini quella sera erano occupati dal lutto degli Aprilis. Non c’era la solita aria di festa, di riposo e di benessere. Sul ciglio della strada, davanti all’entrata dei Querin o degli Aprilis stessi, gli uomini non se ne stavano seduti come il solito fumando e parlando tranquilli, e i giovanotti, anch’essi, non avevano nessun argomento su cui discorrere gridando, scamiciati e ironici... C’era molto silenzio, e le voci vicine risuonavano saltuarie; in compenso si udivano quelle lontane, degli altri borghi felici, che formavano un vario brusio lungo lo stretto orizzonte, tra le case immerse nel buio. Di tratto in tratto nasceva perfino qualche coro, fragile e quasi angelico, che si disperdeva subito come in sospiri repressi. Tutta l’aria era popolata da quelle voci, da quei dialoghi arcani, da quei richiami in dialetto che solcavano debolmente l’umidità degli orti o il vuoto delle piazze polverose. Era un sogno?
Laura Farina
iDomenica Colori della
Valentina Romeo
iDomenica Colori della
Marta Perroni
iDomenica Colori della
Alessandro Oliveri
iDomenica Colori della
iDomenica Colori della
...uomini anziani, vestiti di scuro, davanti alle porte delle botteghe; donne col fazzoletto nero sul capo che si affrettavano verso casa, ai loro lavori; giovanotti coi corpi selvaggi mal domati dagli abiti dal taglio elegante, che celiavano con un sorriso violento e malizioso; ragazzini infrenabili che già mostravano di averne colto il tipo... Tutta questa gente era raccolta nella piazza accesa dal sole. La loro disposizione cordiale, la loro allegrezza non era affatto scomposta; soltanto il vino avrebbe più tardi sciolto i pudori, ma anche in tal caso, i gesti, le parole degli ubriachi non avrebbero perduto un certo ritegno, una specie di fanciullesca dignità. Erano ubriacature collettive, che suscitavano vicendevoli amori. Così la distrazione, completa, seguiva un filo che non esiterei a chiamare commovente.
Marcella Cilona
iDomenica Colori della
Ernesto Mandara
iDomenica Colori della
Monia Dodaro
iDomenica Colori della
Viola Massei
iDomenica Colori della
Rosita Auricchio
iDomenica Colori della
Gian Paolo Guacci
iDomenica Colori della
lo Specchio inesis tente
...prima di uscire si guardò nello specchio (uno specchio alto e rettangolare) gettandosi un’occhiata distratta: gli tornavano gli sconforti dell’adolescenza. Ma quello che vide nello specchio lo immerse in uno stato imprevisto e di un’assurdità così aperta che non fu più possibile ribellarsi. Al posto della sua immagine, con gli occhi scuri e i capelli folti, apparve nello specchio un orribile scimmione, col muso intelligente e grinzoso, il petto ricoperto da un vello arruffato. La bestia lo guardava fissamente, con uno sguardo penetrante, che, un poco alla volta, assumeva un’aria sempre più astuta e spudorata fino a divenire ilare, insistente, come quella degli ubriachi. Pareva volesse riuscire contagioso, quello sguardo, suscitando una ilarità cordiale e indiscutibile, e si attaccava con l’occhio all’occhio, viscidamente, storditamente.
Vincenzo Lopardo
lo Specchio inesis tente
Giovanni Galluzzi
lo Specchio inesis tente
Giacomo Di Niro
lo Specchio inesis tente
Jari Di Giampietro
lo Specchio inesis tente
Valentina Civita
lo Specchio inesis tente
Nicola Stradiotto
lo Specchio inesis tente
Marcella Cenacchi
lo Specchio inesis tente
lo Specchio inesis tente
...quando fu fuori dell’abitato, camminò ancora in mezzo ai campi per qualche chilometro, finché arrivò sulle sponde di una roggia. Il luogo era deserto; spaccò lo specchio, parte dei cocci li buttò nella corrente, parte ebbe l’idea di conficcarli nel fango e nelle zolle. Quindi fece ritorno, ma con l’animo straziato dai presentimenti, con la coscienza di aver commesso qualcosa di irreparabile, di eccessivo: un gesto contro natura che lo collocava irrimediabilmente fuori del comune stato umano. (Il meriggio era ormai tardo; le voci dei contadini, pigre e attonite, come lievi lamenti, rompevano la solitudine. Le ombre trasparenti, le luci calme del piano s’ispessivano vedute contro le sagome dei monti dai crinali azzurrini.)
Emanuela Carnevale
lo Specchio inesis tente
Perla Giraudo
lo Specchio inesis tente
Anna Claudia Dionne
lo Specchio inesis tente
Daniele Zaggia
lo Specchio inesis tente
O, la Trappola
...gli O di Mario S. si aprivano in mezzo al suo discorso come profondi buchi. Egli vi precipitava dentro come un pattinatore che scivolando sopra un lago agghiacciato vi si inabissi improvvisamente per poi riapparire, incolume, un poco più avanti. Infatti Mario, dopo una O, continuava imperterrito il discorso, come se nulla fosse avvenuto; non ne restava nella sua bocca nemmeno la minima macchia, la minima ombra. L’O scompariva nel passato con naturalezza. Dopo pochi minuti l’interlocutore sensibile udiva Mario parlare senza comprendere il senso delle sue parole: non vedeva che una riga di O luminosi, palloni bianchi in un cielo scuro, grassi vermi in carovana. E, per contrasto, i suoi occhi si posavano su quel volto imperturbato, inconscio: gli occhi azzurri ed ingenui, la bocca ben disegnata, le gote rotonde con una lieve peluria... Ma, ai lati, si notavano due ombre di basette «potenziali» e, nei capelli ondulati, un luccicore di brillantina, che, in un certo senso, potevano benissimo essere considerati il messaggio di quegli O, o una specie di variazione musicale.
Francesca Paola Turco
O, la Trappola
Michela Sammarco
O, la Trappola
Giulia Cardia
O, la Trappola
Francesca Botti
O, la Trappola
Paolo Di Censi
O, la Trappola
O, la Trappola
...egli era seduto su un banco, distratto, e pensava a fondo al gioco delle figurine: vi pensava con una fissità sorda e insensata, affatto incomprensibile a chi fosse fuori di lui «ragazzo»: incomprensibile proprio come le particolari pieghe dei suoi calzoni corti e la variopinta cravatta, che, impostagli dai suoi genitori, rappresentava, senza alcuna possibilità di critica da parte di chi la indossava, l’irrepetibilità di un clan familiare.
Sofia Dal Lago
O, la Trappola
Ombretta Blasucci
O, la Trappola
O, la Trappola
...c’era ancora qualcosa che continuava a chiamarlo verso mondi ignoti e irraggiunti...: il sorriso infantile rimasto ai suoi labbri, la carnagione, i capelli ondulati, il passo di calciatore adolescente. Ma invano; egli era ormai decaduto, penetrando sempre più a fondo nell’immagine umana che lo aveva presupposto e che ora lo ingoiava. Senza muovere un dito per difendersi, Mario vi si era inabissato, e questo era continuamente testimoniato, recriminato da quell’O, che come una luna immobile restava fisso tra le inquiete brume del suo discorso. E nel realizzarsi di quel suo destino io sospettavo un’ingiustizia assurda: chi, infatti, gli aveva reso impossibile il superamento del «limite»?
Ginevra Ballati
O, la Trappola
Beatrice Badioli
O, la Trappola
Elisa Belloni
O, la Trappola
Cinzia Campagnoni
O, la Trappola
u n mio Sogno
...dopo un primo assopimento cieco e frammentario, mi trovai sopra uno di quei piccoli ponti che si vedono, negli estremi sobborghi delle città, sopra qualche torrentello...Parallelo ad esso un cavalcavia rosseggiava contro alcune colline cosparse di case. Davanti ai miei occhi, nella luce semispenta del crepuscolo, si stendevano gli immensi sobborghi di una città; tutto era deserto e silenzioso. Un vento inanimato aleggiava dai campi, ma più che investire il corpo, lo colpiva leggermente, come l’urto furtivo di un gomito che solleciti a osservare qualcosa di raccapricciante. Ma poi continuava ad alitare, trastullandosi qua e là con le foglie e la polvere, distratto, impassibile. Quando, improvvisamente, il colpo di un’imposta mi allarmò. Volsi il capo: ma fra le cento imposte che mi attorniavano dalle fredde facciate degli edifici, mi fu del tutto impossibile individuare quella che aveva battuto. In tutte c’era il medesimo senso di fissa e imperturbabile eternità.
Emanuela Sandu
u n mio Sogno
Giulia Biondani
u n mio Sogno
Beatrice Buonaiuto
u n mio Sogno
Giovanna Della Torre
u n mio Sogno
u n mio Sogno
...agghiacciai; e per vincere l’orrore mi sedetti sulla spalletta del ponte. Dietro al sobborgo si stendeva la città, rossa e muta nella luce del tardo meriggio. Non un rumore, non una voce. Un silenzio perfetto, come in una camera abbandonata.
Marco Amerigo Latagliata
u n mio Sogno
Lina Ianniti
u n mio Sogno
Elia Bordoni
u n mio Sogno
Nadia Gelsomina
u n mio Sogno
u n mio Sogno
...allora distolsi lo sguardo da quella città, e mi chinai sul torrentello. Subito un pensiero trafisse il mio essere. Mi parve di capire ( o ricordare? ) <<qualcosa>>. Le rive del fosso erano sporche, cosparse di cocci e di immondizia; ne esalava un odore nauseante e acuto. Ma l’acqua al contrario aveva alcunché di limpido, tenero e azzurrino... Non c’era altro, lì sotto. Per quanto guardassi, quel lampo, quella gioia illimitata non si ripeté, essendosi dissolta, e quasi rifugiata in una dimensione della mia memoria che mi faceva assolutamente impossibile riesplorare. Ma volli sforzarmi, e ricostruendo ogni sensazione, ogni nesso, ogni minimo legame, cercai di tornare a quell’attimo di luce che mi aveva così emozionato. La fatica era estenuante, quasi insopportabile; tuttavia, dopo un disumano lavoro, fatto più per disperazione che per speranza, riuscii a provare un altro simile istante di chiarore, un po’ più scialbo del primo, ma ora ne ritenni impressa nei sensi l’origine.
Marcello Bellina
u n mio Sogno
Valentina Viggiano
u n mio Sogno
Pietro Cucinelli
u n mio Sogno
grazie
a Sergio Kaliasiak per l’immagine di copertina, a tutti gli illustratori che ogni volta si divertono insieme a noi, a Chiara Bianchi, per la passione, le parole, il lavoro di ricerca, a Patrizia Dinetti, come sempre, per l’immagine coordinata, le grafiche, la pazienza. Alla prossima avventura.
associazione culturale e sociale crunchEd ets crunched.it