Cucina Gourmet Speciale Merano Wine Festival

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Merano, perla dell’Alto Adige, culla del vino € 4.00 IT

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SPECIALE MERANO WINE FESTIVAL 2012

incontri nel gusto

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 – LO/MI

Merano Wine Festival 2012 a pag.30

N° 7 MERANO, PERLA DELL’ALTO ADIGE, CULLA DEL VINO

Gourmet Arena un palcoscenico di sapori a pag.67 La storia della botte a pag.21


collaboratori “...non so se si tratti di generosità. Non riesco a far niente senza altre persone (...) non so se sia poi una collaborazione. È certo un processo di scambio. Così l’opera è là ed appartiene a tutti...” (Maurizio Cattelan, artista)

Condividono i contenuti con la redazione e collaborano al progetto

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Marisa Boldo

Marco Bravi

Enzo Ceci

Carla Coco

Giulia Fiore Coltellacci

Francesca D’Agnano

Giorgia Dalle Ore

Fabrizia Fedele

Giulia Anna Del Latte

Lorella Lucchetta

Irene De Gasperis

Giovanna Moldenhauer

Mario Anton Orefice

Giovanni Orso

Paolo Picciotto

Alessandra Piubello

Maurizio Ulliana

Biancarosa Zumaglini


editoriale “Il vino sa rivestire il più sordido tugurio d’un lusso miracoloso e innalza portici favolosi nell’oro del suo rosso vapore, come un tramonto in un cielo annuvolato” (Charles Baudelaire) Re ed imperatori, condottieri e generali, attori e registi, pittori e poeti, hanno fatto del vino, almeno una volta, l’oggetto delle loro creazioni, dei loro pensieri e delle loro espressioni, rimaste poi scolpite nel tempo e nei testi. Se con grande attenzione e molto estro il grande e geniale Salvator Dalì diceva: “i veri intenditori non bevono vino: degustano segreti”, alludendo così alle molteplici sensazioni ed emozioni nascoste, che un calice può dare ai nostri sensi, risvegliando in noi sentimenti inespressi, d’altra parte uno dei più grandi interpreti del nostro tempo, Federico Fellini, sosteneva che “un buon vino è come un buon film: dura un istante e ti lascia in bocca un sapore di gloria; è nuovo ad ogni sorso e, come avviene nei film, nasce e rinasce in ogni assaggiatore.” Il vino, questo nettare divino, come è stato spesso definito, è capace infatti di sollecitare la nostra sfera emotiva più nascosta ed il bicchiere inebriante, che con i suoi profumi può riportare un uomo a luoghi della memoria dimenticati, può invece ricondurre altri a dimore conosciute e familiari. Ciascuno di noi da nuova vita al vino quando lo beve e percorre un’esperienza di gusto unica e diversa da quella di chiunque altro. Nel vino c’è sempre tanto di noi e del nostro carattere, del nostro sentire, ci sono i nostri colori ed i nostri profumi, nel vino ognuno ritrova una propria identità e similarità. C’è il vino secco e quello dolce, quello fermo e “la bollicina”, c’è il novello e quello d’annata tanti sono i tipi di vino, quanti sono i caratteri dell’uomo. Per ogni uomo c’è un vino, un’uva nella quale lui si riconosce. Ma il vino non è solo “gusto”, non è solo profumo ed aroma, se da un lato infatti è un gesto che riconduce all’intimità, d’altra parte è, da sempre, stato simbolo della convivialità, dello stare insieme e della condivisione ed ha sempre catalizzato intorno a se l’attenzione di molti: “il vino non si beve soltanto, si annusa, si osserva, si gusta, si sorseggia e… se ne parla” così diceva con grande lungimiranza Edoardo VII, ben comprendendo, molti anni fa, l’importanza e la valenza delle discussioni sul vino e quale potere “aggregante” aveva questa magica “bevanda” …Lascio certo ad Alessandra e Giovanna, enologhe e sommelier, che scrivono per noi così bene e con così grande perizia di vino, ogni considerazione “tecnica” su questo prodotto, ma voglio concludere con una bella espressione di Brillat Savarin che credo ben rifletta il sentire di molti di noi “Un pasto senza vino è come un giorno senza sole…” Buon festival a tutti! Emilio Garon

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contenuti 3

Editoriale

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Hanno collaborato

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Il cristallo e la degustazione

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Primizie 2012

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La storia del vino

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Il vino, la vendemmia e la cucina, anedotti e leggenda

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La botte nei secoli

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Merano WineFestival 2012

53

La Malvasia di Sitges, 700 anni di sopravvivenza

61

Culinaria: squisitezze artigianali, eccellenza del gusto e della passione dei produttori d’Italia

67

GourmetArena, un palcoscenico di sapori

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Spumanti inglesi

108

Il vignaiolo 2.0

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Caravaggio, pittore divino

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Santorini. Un viaggio tra il mito di Atlantide e il vino della lava

141

Eventi

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“Un consumatore biodinamico

Divino Tuscany, l’eccellenza enologica secondo Suckling

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Indice ricette

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Indirizzi

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Il cristallo e la degustazione di Giovanna Moldenhauer

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a nobile materia è stata soffiata da sapienti artigiani per dare forma a calici unici per concezione, a un decanter la cui forma è ispirata a un dragone. Baccarat e Riedel grandi marchi leader della cristalleria hanno creato con la loro storica esperienza, per le collezioni 2012, oggetti che nobilitano la degustazione del vino. Twenty Twelve è un originale decanter firmato Riedel creato per celebrare il 2012, l’anno del Dragone. Pensato per servire i vini giovani che hanno bisogno di tempo e d’ossigenazione per sprigionare al meglio il loro potenziale, le sue forme richiamano la leggendaria creatura della mitologia cinese. Oggi emblema di buon auspicio, forza e fortuna, anticamente il Dragone D’Oro era il simbolo dell’imperatore della Cina, una maestosa rappresentazione del suo potere. Tutte le caratteristiche tecniche e funzionali necessarie a una perfetta decantazione sono presenti in un’estetica straordinaria, dalla forma sinuosa, frutto dell’alta artigianalità e competenza dei maestri vetrai che soffiano a bocca presso l’antica vetreria di Kufstein, in Tirolo. Realizzato in fine cristallo è disponibile in versione trasparente oppure con un motivo in cristallo rosso e nero che lo rende ancora più importante e carico di simbologia. Twenty Twelve fa parte di una collezione di decanter che propone forme più tradizionali unite a crea-

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zioni dalle forme sorprendenti, affascinanti realizzate sulla base di un preciso progetto di design, affiancato da un contetto di funzionalità al punto che i più rapprensentativi sono stati selezionati dal Museum of Modern Art di New York. La scelta di avere in produzione diversi modelli è ispirata dalla filosofia di decantare tutti i vini, sia gli invecchiati come atto di rispetto, così come i giovani per enfatizzare le caratteristiche organolettiche. L’azienda d’origine boema è situata in Austria dalla fine del secondo conflitto mondiale. Claus J. Riedel ha introdotto nel 1958, per la prima volta al mondo, un calice studiato sulle caratteristiche delle diverse varietà di uve il Burgundy Gran Cru, proseguendo con il completamento della collezione Sommeliers in cristallo soffiato nel 1973. Attualmente guidato da Georg J. Riedel, che

rappresenta la decima generazione della famiglia, il marchio vanta 250 anni di storia che le hanno permesso di essere sinonimo di qualità ed eccellenza apprezzata dagli intenditori di vino, professionisti dell’ospitalità e consumatori esigenti in tutto il mondo. Château Baccarat è la novità della azienda francese da 250 anni punto di riferimento imprescindibile nell’arte della tavola. Un nome che apparentemente evoca un vino ma che rappresenta, invece, nuovi bicchieri da degustazione ideati da Baccarat in collaborazione con l’enologo Bruno Quenioux. I calici in cristallo soffiati a bocca nel sito di produzione a Baccarat in Lorena, sono stati ideati per rivelare tutto il colore, la ricchezza e le note sottili del vino.

La gamma composta da una flûte, un calice da vino bianco, un calice vino rosso, è completata da un tumbler e un decanter coordinati, con un unico modello per ogni tipologia di vino. Le caratteristiche che rendono la degustazione un’esperienza unica con i calici Château Baccarat sono tre. L’angolo arrotondato e la base ampia consentono al vino di ruotare orizzontalmente senza risalire né lasciar depositare l’alcool sulle pareti, preser vando le note sottili degli aromi dall’ossidazione. In questo modo il vino conserva così tutta la struttura aromatica. La parete ristretta permette agli aromi di esprimere tutta la loro diversità, consente di condensare l’alcool, sostanza volatile, lasciando che la

complessità aromatica riempia il bevente (coppa, ndr) del bicchiere durante la rotazione. L’imboccatura verticale restituisce a pieno la composizione del vino, riunendo gli aromi, offrendo in questo modo un’esperienza gustativa a contatto con le labbra. Armonizzando i profili aromatici e minimizzando l’alcool, le note sottili prevalgono su quelle più forti e la degustazione torna a svelare, dai bianchi ai rossi, la quintessenza e la personalità dei vini. Ricchi di composti fenolici, i vini rossi necessitano, per loro stessa natura, di ampi spazi per liberare i propri aromi. Grazie al volume generoso e alla forma ricurva, il calice da vino rosso consente, attraverso un movimento piano, un’areazione

ottimale svelando l’armonia degli aromi grazie al suo bevente ampio e profondo indipendentemente dal vitigno o dall’assemblaggio di più tipologie che compongono un vino. Per le loro caratteristiche di acidità e mineralità, i vini bianchi richiedono un volume ridotto per esprimere la loro natura. La dimensione inferiore del calice da vino bianco accentua l’ampia complessità dei profili aromatici. I bicchieri Chateau Baccarat si rivolgono sia ai sommelier sia agli amanti del bere bene, con il dichiarato intento di esaltare vini nobili e meno nobili, grazie alle minuziose proporzioni che permettono di liberare e assaporare sapori e aromi in modo del tutto inedito.

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Primizie 2012

a cura della redazione

Ge s t ione del l e A ziende V i t i v inicol e 2° edizione

Cook ing For A r t Roma

9 novembre 2012 14 giugno 2013 Corso executive di alta formazione. In collaborazione con Accademia Italiana della Vite e del Vino. In partnership con Veronafiere.

L’ evento che unisce i migliori alberghi, chef, prodotti di nicchia sarà articolato su tre differenti temi. Sabato 20 e domenica 21 ottobre saranno giornate dedicate alle MeteDivine: la Montagna con Stile declinate come stile di vita, vicinanza ai valori di una società attenta che vive i suoi momenti di svago con responsabilità ma anche con piacere edonistico, alla ricerca del bello, del buono e dell’autentico. Cuochi famosi e specialità gastronomiche purissime, immagini di vette e di rifugi lontani, vini, artigiani d’oggetti rari permetteranno di percorrere i suggestivi sentieri alpini dei territori selezionati, vivendo in

L’impresa vitivinicola nazionale è attraversata, in questi ultimi anni, da mutamenti profondi che coinvolgono a più livelli la gestione aziendale. Cambiano drasticamente i mercati di riferimento, sempre più internazionali e sempre maggiormente spostati verso est, con la conseguente necessità di sensibili ripensamenti sia delle caratteristiche di prodotto che di prezzo e logistica. Cambiano le occasioni di

consumo, penalizzate dal combinato disposto della crisi economica. Cambiano i margini di contribuzione aziendali, schiacciati tra costo dei prodotti intermedi, dei servizi e del lavoro, in costante crescita, e la necessità di una scontistica ormai strutturata alle vendite, condizio sine qua non per competere sui mercati internazionali. In questo scenario si riduce lo spazio per l’investimento e la crescita aziendali, se non a prezzo di trasferimenti finanziari personali o con costi del denaro tra i più proibitivi d’Europa. Le scelte dell’imprenditore e dell’operatore del settore divengono dunque decisive, a qualsiasi livello, per

gli effetti che possono determinare sull’equilibrio dell’azienda. Mai come ora, la formazione e, ancor di più, la riqualificazione del personale diventano strumenti decisivi, obbligati da scelte di rigore metodologico e da attente analisi di scenario. Il corso di Gestione delle Aziende Vitivinicole, progettato e gestito congiuntamente da Fondazione CUOA e Accademia Italiana della

Vite e del Vino, risponde a queste urgenze, abbinando la capacità di trasferimento di modelli e metodi dell’impresa alla radicata esperienza sulla gestione del processo e sulla capacità di comunicazione che sempre più il mercato richiede come condizioni per la competitività aziendale. Davide Nicola Gaeta, Accademia Italiana della Vite e del Vino.

Biondel l i, il Fr a nci acor ta che v err à «Gli ultimi saranno i primi. O meglio: anche gli ultimi arrivati sapranno distinguersi, se lavoreranno con impegno e rigore, sostenuti dal valore della qualità». Con questo spirito è cominciata l’avventura dell’imprenditore vinicolo Joska Biondelli, terza generazione di una storica famiglia di proprietari terrieri di Bornato in provincia Brescia, che ha deciso di presentarsi sul mercato offrendo la sua personale interpretazione del Franciacorta Docg. L’11 settembre è stato presentato alla stampa e agli operatori di settore l’anteprima assoluta del suo

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brut ottenuto da solo uve chardonnay. Il Franciacorta aveva nella degustazione un naso interessante dove le note fruttate si accompagnavano con profumi di lieviti, di miele. In bocca aveva una decisa freschezza accompagnata da un’ottima sapidità, era abbastanza equilibrato, fine, con una buona persistenza. Le uve utilizzate provenienti da una parte dei 10 ettari di proprietà in conversione biologica sono vinificate in una cantina dotata delle tecnologie enologiche più avanzate, in grado di garantire una produzione di vini di alta qualità. Il lavoro del produttore in collaborazione

anteprima l’atmosfera del Natale sulla neve. Il lunedì 22 la mattinata sarà dedicata alla presentazione della Guida Touring Alberghi&Ristoranti 2013 a cura dei suoi autori. Nell’occasione verranno premiate le Ruote d’Oro Touring riservati a 4 chef emergenti, 4 albergatori e 4 ristoratori che meglio interpretano la filosofia della qualità a prezzi ragionevoli. Nella seconda parte della giornata si terrà la finalissima del Premio Miglior Chef Emergente del 2012. Una gara coinvolgente che avrà protagonisti i vincitori del Premio Miglior Chef Emergente del Nord, Centro e Sud d’Italia. I giovani chef

saranno giudicati da una qualificata giuria di giornalisti e chef famosi che avrà l’onere di individuare il vincitore che rappresenterà l’Italia al Summit della Cucina Italiana nel Mondo, a Hong Kong. La manifestazione

organizzata da Witaly con Luigi Cremona si terrà alle Officine Farneto in Via dei Monti della Farnesina, 77 a Roma. Per informazioni blog.witaly.it www.porzionicremona.it

T redici s t uden t i a l e zione da Gua lt iero M a rche si con il vignaiolo Diego Uberti, l’enologo Cesare Ferrari tende a coniugare tradizione e innovazione. Il primo ad uscire a fine 2012

sarà il Brut. Con la primavera 2013 verrà stappato il Satén e molto probabilmente il Rosé. Poi sarà la volta del Millesimato.

Si è svolto il 21 settembre a Como il laboratorio esclusivo presso il Centro Formativo Professionale dove i ragazzi provenienti dai migliori istituti alberghieri d’Italia, Slovacchia, Lettonia e Polonia hanno potuto vedere la realizzazione di 7 ricette pensate ad hoc dal più famoso cuoco italiano. In seguito sino al 19 ottobre hanno intrapreso uno stage nei migliori alberghi e ristoranti del territorio comasco. Le ricette elaborate danno nuova vita ad alcuni prodotti ittici della tradizione lariana: dal pesce persico reinterpretato in carpione,

alla pasta con le sarde di lago, dal riso in cagnun al coregone burro e salvia con porri brasati, accompagnati dal cocktail con gamberi di fiume, dalla terrina d’anguilla all’emiliana e dal consommé chiarificato con uova di coregone. “La natura sta alla storia come il paesaggio ai suoi abitanti. Le tradizioni culinarie rappresentano insieme all’arte la quintessenza di un territorio, ciò che è in grado di esprimere e di comunicare – ha dichiarato Gualtiero Marchesi – la buona cucina ha il compito di utilizzare le materie prime a disposizione

del proprio microclima. E un’autentica cucina moderna ha la responsabilità di attualizzare le antiche ricette. Tutto questo vive attraverso i giovani, non ignari della tradizione, ma proiettati verso il futuro e il mondo. Da parte mia sono felice di aver lavorato a contatto con i talenti del progetto comON Food che avranno l’occasione di farsi portavoce del gusto e dello stile italiano nei rispettivi Paesi d’origine”. comON nato da imprenditori comaschi con il supporto di Confindustria Como, nella sua declinazione culinaria di “creativity sharing” ha

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puntato ad avvicinare il team di studenti alle imprese e alle eccellenze industriali del distretto lariano.

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La storia del vino Testo foto e creazione artistica di Enzo Ceci

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ipercorrere la storia del vino significa ripercorrere la storia dell’umanità: sapere e sapori, cultura e coltura, vita e vite hanno la stessa radice etimologica. Nel suo lungo migrare, la vite approdò in Sicilia, probabilmente nel 2000 a.c., ad opera dei Fenici che importarono un clone di Vite Vinifera Sativa, poi in seguito arrivò nel resto della penisola ad opera degli etruschi e l’Italia si chiamò Enotria, la terra del vino. Al tempo degli Etruschi non esistevano confini tra vino, spiritualità e quotidianità, tutto si amalgamava, perfino nelle onoranze funebri con danze al suono dei flauti doppi. Soprattutto nei ceti alti erano diffuse cerimonie religiose in onore di Fufluns (Bacco) il dio del vino. Tali riti erano segreti e per lo più riservati agli iniziati, avevano il fine ultimo di raggiungere la “possessione” del Dio nel mondo terreno, garantendosi così, in anticipo, una sorte felice nell’aldilà. A Tarquinia, se si osservano alcuni affreschi nelle tombe, si possono notare fanciulli e fanciulle che danzano tra pianticelle verdi e coppie che brindano con aria estasiata come si trovassero in un mare di felicità nella frescura del paesaggio.

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I semi di vite trovati nelle tombe del Chianti provano che gli Etruschi importarono la pianta dall’Oriente e l’acclimatarono nei loro territori nella nostra penisola. Racconta Plinio che a Populonia c’era una statua di Giove intagliata in legno di vite. Le pianticelle erano appoggiate a piante di olmo per crescere più forti ed erano circondate da siepi per proteggerle dagli animali al pascolo. Il vino allietava anche momenti di svago all’aria aperta, a Chiusi è stato ritrovato un vaso in bucchero dove si vede una donna con un cantaro in mano offrire da bere a due uomini che giocano a dadi seduti al tavolo. E proprio girovagando nel bellissimo centro storico di Tarquinia, in una stradina, su di un portoncino scopro una scritta in ferro battuto

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dove si legge “La Cantina del passato”. Un gentile signore m’invita ad entrare, e capisco subito che Corrado Generali,l’ideatore di quella meravigliosa cantina è una persona veramente speciale!! La cantina è composta da due piani. Il piano al livello della strada, e un piano dieci metri sotto a cui si accede tramite una scala ricavata nella roccia. Una esposizione di 2.000 foto che raccontano la storia di Tarquinia dal 1800 ad oggi e una collezione di 1000 bottiglie di vino, immerse in un ambiente davvero suggestivo, tra pareti ricoperte di reperti antichi e attrezzi che si usavano per la vendemmia fino alla vinificazione e dalla botte alla bottiglia, tutto creato all’interno della roccia su cui poggia la collina di Tarquinia. Qui si possono degustare in maniera gratuita le delizie eno-gastronomiche del territorio tarquiniese, frutto della passione e della dedizione del suo ideatore Corrado Generali. Altra particolarità è la frequentazione, insieme ai turisti, di molti ragazzi che vanno a degustare i migliori vini forniti dai produttori locali. Una specialità su tutte, La Cannaiola, vi accompagnerà durante la visita lasciandovi un ricordo davvero affascinante ed unico. Prosit!

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Il vino, la vendemmia e la cucina, anedotti e leggenda Testo a cura di Biancarosa Zumaglini, liberamente tratto dai suoi libri

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lceo di Mitilene, nato nell’isola di Lesbo intorno al 640 a.C. da antica famiglia aristocratica, fu un grande poeta melico. Uomo saggio, irruente e soave, che gli antichi annoverarono fra i sette sapienti, trascorse la sua vita combattendo in feroci battaglie. Nei frammenti delle sue odi, il vino è sempre presente come rimedio contro tutti i mali dell’animo, buono a tutte le ore, in tutte le stagioni e in tutte le circostanze. Dono degli Dei, quando piove e tira vento, o il freddo incombe e si sente la necessità di caldo ristoro, Alceo saggiamente consiglia… “Piove. Giù dal cielo l’acqua rovina. Gelano i rivi. Tu, getta legna sul fuoco e caccia l’inverno e mesci vin dolce senza risparmio”. Sempre nei tempi antichi, a proposito di vino, come non ricordare poi l’Ippocrasso, dal latino hippocraticus, bevanda a base di vino addolcito con zucchero, aromatizzato e speziato, così chiamata in quanto l’infusione era fatta colare per la cosiddetta “Calza d’Ippocrate”, il grande medico. Fa sorridere invece, anni dopo, un simpatico aneddoto secondo cui un arguto e “beone” colonnello francese, valoroso componente della Grande Armée di Napoleone, troppo dedito però a Bacco, un giorno, rim16

proverato dall’imperatore per queste sue eccessive libagioni, rispose: “è vero, maestà, però bevo sempre alla vostra salute!” risposta che zittì inevitabilmente il grande condottiero. In tempi recenti a noi più vicini, Mario Rigoni Stern, che amava il vino nel modo giusto e parlandone dava saggi consigli, nei suoi preziosi scritti, ricorda spesso questo nettare divino assaporato fin dagli albori dell’antichità, e un altro grande scrittore riporta alla memoria l’origine lontanissima del vino alludendo, in uno dei suoi capolavori, al miracolo delle nozze di Cana, il primo miracolo di Cristo: ci dice infatti Dostoevskij, per bocca di Aliòscia, il minore dei fratelli Karamazof, (dall’omonimo romanzo) “…non il dolore ma la gioia degli uomini ha commosso Cristo, questa prima volta che compiva il miracolo: alla gioia degli uomini volle cooperare…” cambiando l’acqua con il vino”. L a v i t e e l a v endemmi a Il primo alberello che si dovrebbe piantare quando si costruisce una casa, dove ci sia un po’ di terreno, è sicuramente la vite: per questa pianta basta un fazzoletto di terra accostato al muro, un filo che corra lungo lo stesso, che svolti sotto un balcone o che faccia da cornice a un arco, e il gioco è fatto. È poi ri-

saputo che ogni tipo di vitigno deve restare, crescere e produrre in quella terra dov’è nato perché è in quel posto che trova la giusta linfa che il buon Dio aveva decretato essere quella idonea. Infatti, chi ha provato a spostare in altri terreni, magari non troppo lontani ,una pianticella di vite, ha raccolto frutti senza i requisiti originali. I bravi vignaioli, quelli che assaggiando il vino nuovo appena spillato, riescono a dedurre se quell’annata sarà di buona qualità, curano la loro terra con fatica e alta professionalità, ma soprattutto con amore e dedizione, scrutando sempre il cielo ed invocando il buon Dio quando vedono arrivare nubi minacciose che potrebbero compromettere il raccolto. Trascorrono quasi tutte le loro giornate in vigna, coccolando tralci o sarmenti, sarchiando, potando, staccando le foglie per permettere che il sole possa baciare i grappoli per affinarne la maturazione. Ma se il cielo oscurato da nuvole cariche di pioggia preoccupa a volte il vignaiolo, forse non tutti sanno che esistono dei vitigni che producono uve che non si vendemmiano contemporaneamente alle altre, ma si lasciano sui tralci ad aspettare almeno tre giorni di gelo e di neve. Appena staccati i grappoli si devono spremere immediatamente, poi si prosegue la lavorazione e si cucina gourmet

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ottiene il “Vino del ghiaccio”. È un vino buono e affascinante e sarebbe bene ascoltare la sua storia mentre lo si sorseggia … non si dimenticherà più !! Sempre alla vendemmia, è legata alla storia del ficodindia, una leggenda che i maligni raccontavano e tramandavano nei tempi passati. Nel suo libro “Profumi di Sicilia”, Giuseppe Coria racconta infatti di come il Ficodindia, in origine, fosse una pianta velenosa, importata in Sicilia dai turchi per distruggere la popolazione, solo per un miracolo, nelle nostra bella terra del Sud, si trasformò in pianta sana dando ottimi frutti che, per devozione, venivano mangiati al mattino durante la prima colazione nei giorni della vendemmia. I maligni appunto hanno gettato discredito su questa credenza dicendo che questa usanza trae origine dall´antica abitudine del padrone di far rimpinzare i vendemmiatori, che poi avrebbero mangiato meno uva durante la raccolta. Sempre secondo racconti leggendari, in altre località, i vendemmiatori erano invitati a cantare, per la stessa ragione!

Due l eg gende p er due gr a ndi v ini Tante le leggende che racchiudono l’origine dei vini, sicuramente da ricordare quella sulla nascita della Malvasia ,avvenuta in Valle d’Aosta, secondo la quale un certo Adimaro, colono del feudatario di Nus, venne sorpreso mentre portava in chiesa del vino per il parroco, ottenuto da una vigna coltivata all’insaputa del padrone. Il feudatario volle sapere di che liquido si trattasse e Adimaro rispose “succo di malva”. Non contento della risposta il signore del luogo volle assaggiare la bevanda; allora Adimaro, temendone la collera, invocò il miracolo: “che malva sia, per favore, mio Dio”. In effetti il vino si tramutò in succo di malva ma, da allora, a quel vitigno sarebbe rimasto il nome “malva-sia”. Testimonianza ne rimane il fatto che, se prodotta secondo le apposite rigorose regole di vinificazione, una versione di malvasia, color rosso rubino con riflessi aranciati, profumo molto intenso, è anche utilizzata come vino da messa. Anche il Bracchetto, vino allegro e brioso, conosciuto fin dall’antichità, ma del quale si sono poi perse le

tracce per un lunghissimo periodo di circa 1800 anni, è accomunato ad una leggenda che coinvolge gli antichi romani e l’antico Egitto, Cesare e Cleopatra. Tra il 170 e il 70 a.c., gli storici latini infatti ci narrano di un vinum acquense dolce e aromatico, un passito, realizzato con una tecnica che era già nota agli egizi. Si dice che nascondesse mirabolanti virtù afrodisiache. Antonio lo donò all’amata Cleopatra che ne fu conquistata al punto da utilizzarlo per accendere gli ardori dei suoi amanti. Poi le tracce di questo vino si perdono e, fino al 1817, non si parla più di questo nettare, dai sentori di muschio, di frutta matura, di rosa bulgara e di viola, subito descritto come vino da dessert, poco alcolico e poco colorato. Il naturalista Giorgio Gallesio nella sua prima descrizione scientifica, del 1922 afferma: “Tra i vini di lusso il Brachetto appartiene alla categoria dei vini rossi, dolci e aromatici con profumo speciale, moderatamente alcolico e zuccherino che per lo più si consuma spumeggiante o spumante. Piace alle donne e ai giovani e va bevuto… giovane, quando esprime tutta la fragranza dell’uva…”

Un a s pir i t o s a c ur io si tà Il mio primo bagno al momento della mia nascita, è stato fatto in acqua tiepida con l’aggiunta di un bicchiere di buona Barbera, vino che mio padre custodiva gelosamente in cantina.

Questo anedotto che la mia mamma era solita raccontarmi ogni volta che in casa si stappava una bottiglia di Barbera, è tornato alla memoria qualche tempo fa quando ho fatto una delle mie ultime “scoperte” sul vino… Da due giovani quanto originali sposi, mi è stata donata infatti una

bomboniera e dentro ho trovato… una bella saponetta di Marsiglia all’aromatico profumo di vino. Certamente in un locale pubblico non si può usare la saponetta, ma se fosse possibile trovare il sapone liquido al vino, si potrebbe ben dire allora che “il buon vino entra anche nei servizi.”

P ol en ta “ R e a l e” Nelle antiche famiglie biellesi e piemontesi dell’alta borghesia, si cucinava talvolta, per la gioia dei commensali, questo ricco e tradizionale piatto, costituito da tre elementi ben conosciuti in quelle terre: polenta, fonduta e brasato. Per ottenere un brasato eccellente, occorre un pezzo di carne di manzo o fassone di circa due Kg di peso; con l’attrezzo per lardellare si devono inserire, in più parti della polpa, dei sottili frammenti di lardo affettato insaporito con sale e pepe (darà sapore e morbidezza alla carne). Bisogna poi scaldare in un capace tegame di terracotta del lardo battuto con qualche ago di rosmarino e poco aglio, un filo

d’olio d’oliva e poco burro e lasciare appassire un trito di cipolla, carota e sedano, unendo quindi il così detto “mazzetto della perpetua” composto da rosmarino, salvia e alloro legato con filo bianco. Introdurre la carne, rosolarla dolcemente rigirandola senza pungerla, spolverarla con un velo di farina bianca e sale e coprire con buon vino rosso generoso, possibilmente Barolo; con un quadrato di garza sterile, formare un fagottino racchiudendo 2 chiodi di garofano, un frammento di cannella, qualche grano di pepe e 2 coccole di ginepro, chiuderlo con il filo ed introdurlo nel tegame. Coprire e portare a lenta cottura per almeno 3 ore, aggiungendo brodo o acqua se necessario. Quando sarà

cotto a puntino, raccogliere il fondo di cottura con tutti i sapori e passarli al setaccio, (segreto per ottenere una morbida salsa): rimettere nel tegame con un cucchiaio di marsala secco e un cucchiaino colmo di farina bianca mescolando accuratamente, aggiustare di sale e lasciare ancora restringere il sugo, eliminare il mazzetto delle erbe e il fagottino delle droghe, tagliare la carne tiepida per il verso giusto a fette piuttosto spesse e mantenere al caldo. Volendo ottenere un sapore più marcato al brasato, lasciarlo in infusione nel vino con tutti i sapori per circa 12 ore, poi procedere alla cottura nello stesso modo.

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La botte nei secoli Una storia appassionante per la prima volta in un libro testo di Mario Anton Orefice

Quando Piero Garbellotto, titolare della più antica fabbrica di botti del mondo, mi propose di scrivere un libro sulla botte mi vennero in mente dei modi di dire, alcune prestigiose cantine, Attilio Regolo, Diogene e poco altro. Consultai nei giorni successivi l’indice del sistema bibliotecario nazionale e scoprii che sull’argomento era stato scritto davvero poco, anzi pochissimo. In qualche modo la botte era rimasta nascosta in cantina, forse per colpa del vino che, a cominciare da Omero, può contare su infiniti cantori e cantastorie.

L’impresa si faceva via via più interessante, come quando un alpinista ha pochi appigli e deve perciò scrutare più attentamente le pieghe della montagna, così bisognava esplorare l’argomento da punti di vista laterali: l’archivio dell’azienda Garbellotto, le memorie orali dei suoi bottai, alcune pubblicazioni in lingua tedesca, ricerche di storici locali, notizie scoperte passando al setaccio diverse opere letterarie e i record di Google. Un intenso anno di lavoro, di incontri, di letture, culminato nella stampa, per i tipi dell’Unione Italiana Vini, de

“La storia della botte - Garbellotto dal 1775”. Il libro contiene aneddoti e vicende del passato, pagine dedicate alla tecnica di costruzione e alle caratteristiche dei vari tipi di legno, citazioni letterarie, foto d’epoca, i quadri di Millet Cooper tightening staves on a barrel e Diogene nella botte di Scuola reniana. Come sempre accade quando si intraprende una ricerca, ci si è resi conto che molti territori sono ancora da esplorare: ogni libro né contiene in sé infiniti altri.

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Ma cominciamo la nostra storia: chi non ricorda la leggenda del filosofo Diogene Laerzio che si narra vivesse in una botte per essere coerente con uno stile di vita semplice. Più cruenta la fine del generale romano Attilio Regolo che morì a Cartagine dopo essere stato chiuso in una botte irta di chiodi e lasciato rotolare in mare. Secondo Plinio l’arte del bottaio sarebbe nata in montagna: “Presso le Alpi mettono il vino in vasi di legno cerchiati per evitare che si agghiacci per il gran freddo invernale”. Per il greco Stradone “Nella Gallia cisalpina si costruivano botti più grandi di una casa”. Per i romani questi contenitori garantivano un minore contatto con l’aria rispetto alle amphorae e ai dolia di terracotta ed erano più maneggevoli nel trasporto. Nel 238 d.C. l’imperatore romano

Massimino il Trace costruì un ponte di botti sull’Isonzo che gli consentì di attraversare il fiume con l’esercito ed arrestare le orde barbariche. La diffusione dell’arte del bottaio in epoca successiva potrebbe collegarsi secondo alcuni allo sviluppo dato alla viticoltura dalle leggi speciali emanate da Teodorico e da Carlo Magno. Nel Medioevo le botti cominciarono ad essere sempre più richieste per trasportare il vino nei paesi nordici, o per gli scambi commerciali e marittimi delle repubbliche marinare: a Venezia l’arte del bottaio è ricordata dalla “Calle dei boteri” cioè il “vicolo dei bottai”, una stretta viuzza dalle parti di Rialto così chiamata per le numerose botteghe che vi si affacciavano. Fu in quell’epoca che in tutta Europa cominciarono a fiorire rapidamente le prime fabbriche.

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Curioso l’uso di una botte gigante che venne usata come il Cavallo di Troia: il 2 settembre 1440, in Germania, le truppe capitanate da Kunz von Bebenburg e da Hans von Urbach espugnarono Weinsberg grazie ad un pugno di uomini che pentrarono nella città nascosti in una botte (cosiddetta botte troiana ndr), e poi nella notte aprirono le porte per far entrare le truppe nemiche. Verso la fine dell’Ottocento, con la nascita delle prime grandi cantine sociali e private, che avevano bisogno di botti giganti, si giunse alla massima espansione di quest’arte in Italia e in Europa. La zona di Conegliano, sede delle Garbellotto spa, conobbe in quel periodo un notevole sviluppo. Un primato favorito dai collegamenti ferroviari con le foreste balcaniche della Slavonia e della Bosnia, ricche di pregiato legname e al tempo appartenenti all’Impero Asburgico. Proprio per gli Asburgo i Garbellotto realizzarono nel 1896 un’importante fornitura di botti da 50 ettolitri con l’aquila bicipite sul fondo e le fasce rosse a tenere insieme le doghe di rovere: furono trasportate in Cina da una spedizione guidata dall’enologo di Casa d’Austria William Babo, l’inventore del mostimetro che porta il suo nome. Da allora migliaia di botti sono state costruite dai mastri bottai della Garbellotto che nel 2010 si è aggiudicata il Guinnes World Record per la costruzione di Magnifica “la botte per affinamento più grande del mondo”; pesa cinquemila chili, è alta quattro metri e mezzo e ha una capacità di 33.000 litri pari a 44.400 bottiglie di vino. Le sue doghe tagliate da alberi secolari di Rovere di Slavonia custodiscono l’Amarone dell’azienda Tommasi di Pedemonte di Valpolicella. Insomma il proverbio “Nella botte piccola c’è il vino buono” è ormai âgé.

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Merano WineFestival 2012 testo di Giovanna Moldenhauer foto di David Wehnert e Marco Gianfrancesco

L’evento si svolgerà a novembre nella cittadina altoatesina. Sarà un’edizione speciale per il folto programma di appuntamenti in calendario nei tre giorni della manifestazione. Il vino interpretato dai produttori presenti al Festival sarà anche protagonista di due im-

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portanti iniziative: di diverse degustazioni verticali con etichette rinomate, annate rare, e del Club Excellence che si presenterà per la prima volta al pubblico di professionisti e amatori. BeerPassion, Culinaria, GourmetArena saranno compartecipi della scena. Segue il

racconto dell’intervista al personaggio che, da 21 anni, organizza la manifestazione dove viene celebrato il meglio della produzione enologica nazionale e internazionale. Il nostro incontro è avvenuto a Milano in occasione della conferenza di presentazione alla stampa.

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A dialogo con Helmut Köcher La prossima edizione è imminente. Qual è il suo stato d’animo? Sono molto tranquillo. La fase preliminare è andata abbastanza bene con i soliti momenti critici quando dovevamo arrivare alla selezione finale. Questo vale soprattutto per le aziende italiane perché, in ogni edizione, espongono al Festival solamente 345 espositori nazionali, divisi nelle differenti sezioni. Erano arrivati più di 750 campioni da parte dei produttori. Dopo la valutazione delle commissioni d’assaggio ha comunicato, a quelli che non parteciperanno, i risultati motivandolo la scelta per i punteggi dati ai vini, per la mancanza di posto. Sento fin d’ora molta tensione e attenzione da parte dei produttori che già adesso, a un mese e mezzo dall’evento, prima degli altri anni, vogliono avere informazioni. Sono molto contento della selezione che è stata fatta per i vini, per Culinaria, per gli chef che presenteremo nella GourmetArena. Penso che la ventunesima edizione sarà un grande WineFestival! Il mio principale obiettivo sin dalla prima edizione era ed è tuttora quello di curare in modo molto attento la selezione senza perdere di vista quello che sta succedendo sul mercato. La selezione delle aziende vitivinicole italiane ha seguito nuovamente la suddivisione in regioni. Per la parte internazionale fra gli espositori selezionati ci sarà qualche azienda sudafricana molto interessante. Abbiamo anche un importante ritorno rappresentato da Tenuta San Guido produttore del prestigioso Sassicaia. Ci saranno poi altri nomi illustri in altri ambiti come Roberto Cavalli, Oliviero Toscani.

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Il Merano WineFestival, è considerato un evento importante da operatori, appassionati, giornalisti di settore per quello che, ogni anno, la manifestazione rappresenta. È possibile dare ai nostri lettori qualche anticipazione, svelare qualche sorpresa? Questa edizione sarà ricordata per il calendario delle degustazioni verticali (lo stesso vino in annate diverse, ndr) particolarmente notevoli. Sono state organizzate con il coordinamento di Ian Domenico D’Agata (noto giornalista della stampa di settore internazionale, ndr). Con lui abbiamo voluto scegliere solo vini di altissima qualità con nomi di riferimento del mercato italiano e internazionale. Ci sarà il Masseto della Tenuta dell’Ornellaia, considerato da molti tra i migliori vini d’Italia, ma non solo anche il Sassicaia (entrambe le aziende sono di Castagneto Carducci Bolgheri, ndr), l’Amarone di Romano Dal Forno, il 34

Giulio Ferrari di Cantine Ferrari, fra le verticali di vini italiani. Assolutamente unica sarà la degustazione di sei grappe e acquavite d’uva di Nonino Distillatori. Per l’estero ci saranno ad esempio dei riesling dell’azienda Berncasteler della Mosella in Germania, dei vini sudafricani a confronto con vini francesi di Bordeaux. Le degustazioni, con una media di sette annate, sono state pubblicate sul nostro sito all’inizio d’agosto e, dopo breve tempo, le più prestigiose erano già complete. Nelle altre ci sono ancora, a un mese e mezzo dalla manifestazione, posti limitati. Sono contento di questo perché il ricavato sarà interamente destinato alle popolazioni vittime dei terremoti che hanno colpito L’Aquila e l’Emilia. Desidero citare anche che Unicef sarà coordinatore di una raccolta fondi che otterremo con una vendita all’asta di bottiglie. Il ricavato si aggiungerà a quello ottenuto dalle degustazioni guidate.

Il Merano WineFestival quindi in questa prossima edizione avrà quindi un lato sociale importante ! Concordo. Un’altra anticipazione è rappresentata dal programma curato in modo par ticolare della GourmetArena che avrà come sponsor tecnico Arca by Inoxpiù, cucina professionale su ruote. Gli chef prepareranno nel corso delle giornate un antipasto, un primo, un secondo, un dolce. Le Tenute di Genagricola abbineranno ai piatti i migliori vini delle loro aziende. Per Culinaria, settore che a mio avviso risente più di altri della crisi, abbiamo trovato nuovi espositori che esporranno le loro prelibatezze. Per quanto riguarda il vino desidero segnalare che ci sarà di nuovo la proposta delle annate vecchie nella giornata di lunedì. L’ottanta per cento degli espositori ha aderito all’iniziativa, perciò da molti si troveranno gli anni novanta, da altri gli anni ottanta e da Tenuta di Capezzana un vino Villa Capezzana cucina gourmet

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Riserva del 1930! Un’altra iniziativa organizzata con il mio staff per la 21° edizione, è rappresentata dal fatto che ogni produttore vitivinicolo proporrà, durante le tre giornate dell’evento, almeno altre due annate, fino a un massimo di cinque, di un vino selezionato per la manifestazione. In questo modo sarà consentito alle persone che visiteranno il Festival di fare una mini - verticale, di capire l’evoluzione nel tempo di quella etichetta. Abbiamo anche cercato di collaborare con il territorio proponendo eventi fuori Festival. Ci sarà, per esempio, una cena in abbinamento con champagne che si terrà in un locale vicino al Kurhaus. Tutti i dettagli saranno sul nostro sito prossimamente. Devo assolutamente parlare anche della collaborazione con il Club Excellence che rappresenta sette tra i più importanti distributori e importatori nazionali di vini e spiriti d’eccellenza. Saranno presentati, per la prima volta al pubblico nella giornata di lunedì in uno spazio dedicato all’Hotel Terme dove offriranno in degustazione pregiate bottiglie di champagne e vini internazionali per la maggior parte francesi. Diverse aziende internazionali che negli ultimi anni sono state presenti torneranno anche per questa edizione. Tra queste vorrei citare due aziende particolari della Croazia e dell’Argentina gestite da Roberto Cipresso (winemaker consulente di aziende vitivinicole in Italia, Croazia e Argentina, ndr). Saranno inserite nella sezione degli Extremis (vini prodotti in condizioni estreme per pendenza e altitudine dei vigneti, ndr) perché le loro produzioni veramente particolari. Vorremo conoscerla come personaggio e sapere da lei quando è nata la passione per il mondo del vino, dei cibi raffinati? Ci può svelare i segreti che fanno del Merano WineFestival una manifestazione di successo ? 38

© azienda di soggiorno di merano

La mia passione è nata alla fine degli anni ottanta durante un viaggio a Bordeaux. Prima ero soprattutto un consumatore di birre. In quel contesto avevo avuto l’occasione di degustare grandi vini di cui ricordo ancora due nomi: Mouton Rothschild, Lafitte Rothschild. È stata una rivelazione! Ho scoperto un mondo pieno di storie, culture, profumi, aromi che mi ha incuriosito, stimolato a saperne di più. Rientrato dal viaggio in Francia ho incontrato un amico d’infanzia proprietario di

una bella cantina. Il vino era il nostro comune denominatore. Con lui abbiamo assaggiato, in quegli anni, delle bottiglie importanti tra cui diverse annate di Petrus, Le Pin, grandi vini bordolesi. In seguito abbiamo deciso di organizzare delle degustazioni, delle cene con altri conoscenti. Emblematica è stata una verticale comparativa tra le aziende Tenuta dell’Ornellaia, Tenuta San Guido produttore del Sassicaia, Mouton Rothschild, Lafitte Rothschild dove per ogni azienda c’erano in degusta-


zione le annate 1985, 1986, 1987, 1988, 1989. I vini italiani in alcune annate erano superiori, in altre avevano un livello qualitativo di poco inferiore ai bordolesi. Il risultato di quella verticale ci ha portato all’inizio degli anni novanta a conoscere più a fondo i vini italiani. Nel 1992, dopo avere coinvolto un altro amico nella nostra squadra, abbiamo pensato di invitare i produttori a Merano realizzando così il 1° Wine Festival. Gli anni successivi hanno avuto degli alti e bassi motivati in parte dalla disponibilità parziale da parte di un componente del nostro team a sostenere l’impegno personale ed economico che l’organizzazione di un evento del genere comporta. Io ho voluto crederci e ho portato avanti il Festival facendolo crescere gradatamente. All’inizio avevamo solo 50 espositori perché in quegli anni il mercato non offriva più di tanto. In seguito la qualità dei vini è aumentata al punto che in questi ultimi anni riceviamo i campioni per la selezione da più di 700 aziende come dicevo in apertura della nostra chiacchierata. Desidero continuare a dedicare, per questa edizione e per il futuro, tutto lo spazio disponibile nell’edificio del Kurhaus (edificio in stile secessionista nel centro di Merano, sede dalla 2° edizione del Festival, ndr) alle aziende vitivinicole che espongono nei tre giorni dell’evento che quest’anno saranno 345 italiane nei tre giorni dell’evento e 96 internazionali di cui 26 dell’Union Grands Crus de Bordeaux. Il limite massimo della capienza porta ad un cambio degli espositori, di anno in anno, cosa che rende il Festival ancora più interessante. Dopo la conclusione di ogni WineFestival comincio dopo poco a pensare a quali novità potrò proporre l’anno successivo. I diversi aspetti che vi ho presentato, a mio av viso, costituiscono

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che non sono mai state fatte critiche per questo aspetto. È diventato da tempo l’evento dove molti rinomati produttori vogliono “essere presenti”. Questo sia per aziende italiane che straniere. Il Merano WineFestival è diventato un punto di riferimento per il mercato. A tale riprova sono stati conferiti nel corso degli anni diversi riconoscimenti che costituiscono per noi motivo d’orgoglio. Ho guardato, recentemente, quali erano gli intenti che ci eravamo prefissati, con i miei soci fondatori, per la prima edizione. Sin da allora volevamo creare un “forum” all’interno del quale il produttore, l’operatore, l’appassionato, il giornalista possono scambiarsi reciprocamente le proprie opinioni. Secondo me questo è avvenuto al punto che oggi per un’azienda essere selezionata per la manifestazione le permette di avere una posizione di maggior rilievo sia sul mercato nazionale vitivinicolo che su quello internazionale.

il successo della manifestazione unitamente al fatto che non è una fiera dove sono venduti spazi ma è sempre, e lo rimarrà sempre, un evento su invito. Alcune aziende che non fanno parte della prossima edizione ci hanno fatto delle proposte particolari. Questo non ha cambiato lo stato delle cose perché a selezione conclusa, dove i produttori sono stati scelti in base a dei criteri, non intendo per serietà aggiungere altri

nomativi. Rispondo personalmente della selezione che è stata fatta dato che ho assaggiato tutti i vini insieme alle commissioni. Un’incognita è rappresentata dal fatto che le degustazioni sono fatte nei mesi d’aprile e maggio, il WineFestival si svolge a novembre quando i vini sono maggiormente evoluti, diversi. L’esperienza acquisita nel corso degli anni ci ha portato a capire come si presenteranno all’evento al punto

Vorremmo sapere con quale criterio è effettuata la selezione dei partecipanti? Otto commissioni d’assaggio hanno realizzato le degustazioni per la prossima edizione. Noi invitiamo le aziende che sono state valutate bene negli ultimi tre anni a fare pervenire i campioni. Hanno risposto tra Italia ed estero circa in 750. La nostra commissione, come in qualsiasi guida, ha selezionato le etichette secondo la valutazione dei 100 punti. La soglia per essere ammesso era avere un punteggio a minimo di 86/100. Dato il crescente livello che i vini della maggior parte delle aziende hanno raggiunto, abbiamo portato la valutazione a 88 punti in modo da restringere il cerchio. Un altro criterio di cui teniamo conto è la suddivisione in regioni per gli

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espositori italiani. Cerco di applicarla in base alla posizione di ognuna di loro sul mercato italiano, tenendo anche conto delle valutazioni di altri esperti. È importante ricordare che Piemonte e Toscana sono le regioni leader conosciute in tutto il mondo. Non dimentichiamo comunque le altre, piccole o grandi che siano, nella nostra selezione. Il WineFestival nel corso degli anni si è evoluto proponendo alle persone che ogni anno visitano la manifestazione le acquaviti, i liquori, le birre, gli artigiani del gusto di Culinaria, senza dimenticare la GourmetArena. Da quanto tempo è stata ampliata la tipologia degli espositori? Per loro vale lo stesso criterio di selezione dei vini? Culinaria è nata nel 1996, le altre negli anni successivi. A suo tempo il punto di riferimento era l’olio d’oliva. Nel corso degli anni abbiamo aggiunto altri prodotti tipici, seguendo anche in questo caso un criterio di selezione che è stato mantenuto nel corso degli anni. Le valutazioni sono fatte da una commissione d’assaggio, con cui collaborano tre chef del territorio, che analizza l’azienda e fa la degustazione del prodotto che è stato inviato. Ovviamente non è come per il vino dove la differenza tra due annate può fare la differenza. Per i produttori che intendono nuovamente partecipare è sufficiente comunicare il loro intento senza inviare nuovamente i campioni. La stessa cosa vale per i liquori e per le birre. C’è, da parte nostra, un’analisi approfondita per gestire, in modo ottimale, lo spazio dedicato a ogni sezione. Desidero ribadire che tutte le aziende di qualsiasi settore vengono comunque invitate.

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La GourmetArena, è nata ormai sei anni fa con Luigi Cremona, che ne è stato in un certo senso il “Deus ex machina”. Dopo tre edizioni il testimone è stato raccolto da altri esponenti del settore. Carlo Vischi collaborerà alla realizzazione della prossima edizione. A BeerPassion parteciperanno 15 birrifici artigianali provenienti da diverse regioni d’Italia: dall’Alto Adige Forst e Rienzbräu, dal Friuli Venezia Giulia il Birrificio Cittavecchia e Theresianer Antica Birreria di Trieste 1799, dal Lazio Birra del Borgo e Birradamare, dalle Marche Amarcord, dal Piemonte Selezione Baladin, dal Veneto 32 Via dei Birrai e La Gastaldia, dalla Toscana Brùton, Birra Napoleon, Birrificio del Forte, Birrificio L’Olmaia e Birrificio San Quirico. La giornata d’apertura è dedicata a Bio&dynamica. Un numero sempre maggiore di produttori scelgono d’essere biologici o biodinamici, altri 44

si orientano verso la sostenibilità oppure verso la conversione. Vorremmo conoscere il suo punto di vista a riguardo. Nel corso del tempo ho incontrato produttori che avevano scelto di produrre in regime biologico, biodinamico, ne ho assaggiato i vini. In questo modo ho capito l’importanza per questi viticoltori di purificare la terra delle loro vigne dai prodotti chimici, dai diserbanti che sono stati usati per molto tempo. La scelta di aderire al biologico, al biodinamico comporta una maggiore attenzione durante tutte le fasi soprattutto in vigna, completata dal rispetto per i cicli stellari e lunari per alcuni procedimenti. Mi riferisco in particolare ai biodinamici che hanno regole più chiare, severe, rigide. È un settore che mi piace ma che in Italia ha bisogno ancora di tempo, d’esperienza. In Francia dove la biodinamica è applicata da molti anni, ci sono tante aziende che fanno vini con una qua-

lità molto alta. Qualche volta sono vini difficili da interpretare. Se degusto un cabernet prodotto e vinificato con metodi convenzionali ha aromi molto diversi da quelli di un vino biodinamico prodotto con lo stesso vitigno. Ritengo che spesso nei vini biologici e biodinamici senti molto di più l’uva, la mano del produttore, la natura. Le aziende presenti saranno 59 di cui 5 dall’estero. Arrivederci quindi al Kurhaus di Merano dal 9 al 12 novembre prossimi. I preparativi per la prossima edizione fervono. Come per le edizioni precedenti l’evento sarà supportato da diversi partner, istituzionali e non tra cui Cucina Gourmet come media partner. Sul nostro sito è possibile consultare il programma dettagliato e visionare gli aggiornamenti. Vi aspetto nella magica cittadina sede dell’evento, dove le montagne già innevate faranno da cornice, per un immancabile appuntamento con l’eccellenza.


Le Degustazioni del Merano WineFestival 2012 La 21esima edizione sarà ricordata per il prestigioso calendario di degustazioni che propone terroirs e annate d’eccezione. I nomi di molti produttori che partecipano all’iniziativa sono noti, importanti, alcuni vini proposti in quest’occasione sono rarità introvabili. Il ricavato sarà destinato alle popolazioni vittime del terremoto a L’Aquila e in Emilia. Le sedi di svolgimento saranno le sale dell’Hotel Terme di Merano a breve distanza dal Kurhaus. Sabato mattina in apertura ci sarà una verticale di Sauvignon Sanct Valentin della cantina San Michele Appiano. Da molti anni è un bianco di alta scuola. Hans Terzer enologo dal 1977 ha creato con molta intuizione e convinzione un vino dalla qualità elevata, frutto di vendemmie perfette e di basse rese per ettaro, entrato di diritto nell’elite mondiale. Seguirà la verticale di otto annate dal 1986, 1989, 1991, 1994, 1996, 1999, al 2001 (in formato magnum) di Giulio Ferrari della Cantina Ferrari di Trento alla presenza della proprietà famiglia Lunelli. È uno spumante metodo classico ottenuto con selezionatissime uve chardonnay raccolte nel vigneto di Maso Pianizza, radura situata in mezzo ad un bosco all’altezza ideale di 500 - 600 metri. Prodotto solo nelle annate in cui la qualità delle uve è ritenuta idonea, durante una recente sfida con il celeberrimo Champagne Dom Perignon si è dimostrato di pari livello. È considerato dagli esperti tra i 10 migliori spumanti del mondo, un cru capace di vincere la sfida contro il tempo.

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Nel primo pomeriggio Luca Gardini, già miglior sommelier del mondo, guiderà la straordinaria verticale di Masseto della Tenuta dell’Ornellaia dal 1995, 1998, 2001, 2002, 2006, 2007, 2008, al 2009. Vino tra i più quotati al mondo cresce in sette ettari di vigneto su una collina dove, grazie alle particolari condizioni climatiche, il Merlot si esprime in tutta la sua forza. Il terroir con tre aree Masseto Alto, Centrale e Junior, si compone di un mosaico tanto complesso quanto le ricche sfaccettature che riflette nel vino. Sarà la Germania a chiudere la giornata con la degustazione guidata di Berncasteler Doctor Riesling Auslese (le uve provengono da grappoli selezionati e raccolti tardi, ndr) dell’azienda vitivinicola W.we Dr. H. Thanisch in Mosella. Data la grande longevità di questo vino le annate proposte saranno dal 1959, 1964, 1971, 1990, 1996, 2001, al 2010. Sarà co - guidata da Janna Rjipma, Ian D’A gata e dalla proprietaria Barbara Rundquist - Muller. È considerato dai maggiori esperti (H. Johnson, J. Robinson, R. Parker) uno dei 10 Crus più importanti nel mondo. Solo 3,26 ettari tra i più costosi al mondo, insieme a Montrachet, Romanée - Conti e pochissimi altri. La domenica mattina avverrà la straordinaria sboccatura con sciabolata (direttamente in sala) del Dosage Zéro di Cà del Bosco. Si partirà dal 1976, 1983, 1989, 1993, 1998, 2001, al 2008, sette annate di un Franciacorta senza aggiunta di liqueur d’expédition (zuccheri aggiunti, ndr). È uno spumante frutto della migliore espressione di uno straordinario terroir. L’annata 1976 è la prima annata prodotta dall’a-

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zienda. Il Dosage Zéro 2008 della Vintage Collection invece è un’annata nuova in commercio. Allo stesso orario ci sarà una verticale comparativa di Riesling gran cru Rangen de Thann Clos St. Urbain e Riesling grand cru Brand dell’azienda Zind - Humbrecht (Alsazia) delle annate 1989, 1990, 1994, 2001, 2005 e 2008. La degustazione, guidata da Olivier Humbrecht, Ian D’Agata e Panos Kakaviatos, giornalista di Decanter, proporrà due differenti espressioni di territorio: il vigneto Rangen, il più a Sud in Alsazia, situato tra i 330 e i 480 metri s.l.m. e contraddistinto da un’estrema ripidità, affonda le proprie radici in un suolo di origine vulcanica, che dà un carattere d’ineguagliabile mineralità ai suoi vini; il Brand sorge invece su un terreno granitico che beneficia di un’eccezionale esposizione al sole e si caratterizza per i vini particolarmente eleganti e fruttati, precoci e quindi ottimi già giovani, ma con la capacità di invecchiare in maniera sorprendente. A seguire si terrà un’altra verticale comparativa con Chermes - Chambertin e Mazoyères - Chambertin entrambi Gran Cru del Domaine Taupenot - Merme. Panos Kaviakanos e Ian D’Agata proporranno le annate 2009, 2008, 2007, 2006, 2005. L’azienda si trova a Morey Saint Denis nel cuore del terroir prestigioso della Borgogna. Sono vini considerati tra i più grandi della loro tipologia. Nel primo pomeriggio il re della Valpolicella Romano Dal Forno presenzierà la verticale di Amarone nelle annate 1990, 1993, 1996, 2000 e 2003. Racconterà un vino che può essere considerato un nettare

poiché da 100 chili d’uva si ottengono solo 15 litri di Amarone. I maggiori esperti ritengono questi vini la massima espressione di questa tipologia di vino. L’assoluta ricerca della qualità è data dalla tradizione in vigna e dalla tecnologia in cantina. Queste bottiglie spesso introvabili sono diventate oggetto di culto. Chiuderà la giornata una degustazione d’eccezione. Protagoniste saranno due grappe Monovitigno ®Merlot, una Riserva 115 Anniversary cuvée di grappe invecchiate da 3 a 19 anni e tre UE® acquaviti d’uva Monovitigno® Riserva Moscato Cru Besenello in Vallagarina, tutte della Nonino Distillatori. Le due riserve Monovitigno ®Merlot invecchiata 7 anni e la UE® Acquavite d’uva Monovitigno® Riserva Moscato invecchiata 7 anni saranno estratte dalla cantina d’invecchiamento padronale per l’occasione. Durante la produzione delle grappe e delle acquaviti non sono aggiunti caramello, aromi. Per celebrare i 115 anni di distillazione della famiglia, Cristina Nonino e il sommelier Paolo Lauciani accompagneranno le persone presenti alla degustazione in un’esperienza sensoriale con riserve d’eccezione, uniche per innovazione e ricerca. Lunedì due territori di grande diversità saranno messi a confronto con vini tutti del 2008. Da un lato Lady May etichetta di punta della cantina Glenelly di Stellenbosch, Sudafrica, dall’altro sette Grands Crus de Bordeaux classé: Leoville Barton, Cos d’Estournel, Pichon - Longueville Comtesse de Lalande, Rauzan - Segla, Malescot - St - Exupery e Domaine de Chevalier. La degustazione sarà guidata da Jörg Pfützner

rinomato sommelier. La rinomata scrittrice Jansis Robinson considera Lady May tra uno dei vini più elitari del Sudafrica. A seguire sarà di nuovo la volta del Sudafrica con un Vin de Constance dell’azienda Klein con i millesimi 1992, 1996, 2000, 2004, 2006 e 2007. Già ai tempi di Napoleone il Vin de Constance, che viene vinificato dalle uve Muscat à Petits Grains, era considerato tra i migliori vini del mondo. È un vino dolce che nelle annate di punta è valutato dai maggiori esperti internazionali con oltre 95 di 100 punti. Successivamente Helmut Köcher guiderà personalmente la verticale di sei annate tra le più quotate degli anni 2000 di Sassicaia della Tenuta San Guido. Ritenuto da molti esperti il più famoso vino italiano, è un vero e proprio mito dell’enologia per tutti gli appassionati. La prima vigna di Mario Incisa della Rocchetta è considerata la culla del cabernet italiano. Chiuderà il ciclo delle degustazioni il barolo Monprivato di Giuseppe Mascarello e Figlio di Castiglione Falleto nelle annate 1985, 1989, 1996, 2001 e 2004. Luca Gardini, già miglior sommelier del mondo, guiderà anche questa verticale d’annate storiche e recenti di questo mitico barolo. L’azienda produce un barolo tradizionale, che si esprime con un’austera classicità e un’alta qualità. Saranno le annate migliori a confermare la longevità di questo Barolo straordinario. I dettagli di tutte le degustazioni sono presenti sul sito www.meranowinefestival.it nella sezione dedicata.

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Il Club Excellence Lunedì 12 novembre avverrà il debutto sul palcoscenico del Merano WineFestival del club che rappresenta sette tra i più importanti distributori e importatori italiani operatori nel campo della distribuzione vitivinicola di vini e spiriti d’eccellenza. Il Club è stato fondato alla fine del mese di giugno con lo scopo di diffondere la cultura del concetto d’organizzazione della distribuzione e del commercio di vini e distillati di prestigio, settore che sempre più necessita di trasparenza, correttezza e maggior senso di moralità. Il mercato della distribuzione e importazione rappresentato dai soci fondatori del Club costituisce oggi un’importante realtà in Italia: sono circa 800 le aziende rappresentate, distribuite di cui 2/3 estere e 1/3 italiane.

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Le aziende socio fondatrici del Club Sagna (Massimo Sagna è presidente del Club), Balan, Cuzziol, Marcello Meregalli, Pellegrini, Sarzi Amadè ed Heres sono operative su tutto il territorio nazionale. I vini che saranno proposti durante la giornata di lunedì saranno: - Sagna proporrà lo champagne Louis Roederer Brut Premier in formato Magnun, il Pouilly Fumé Baron de L in formato Magnun, la Grappa Levi Serafino di Romano Levi di Neive; - Meregalli proporrà il Messiio Tenuta Fer tuna di Gavorrano, lo champagne Bollinger Grand Année 2002, il Tres Vieux Rhum Clement 10 anni della Martrinica; - Sarzi Amadè proporrà il Pinot - gris Rangen de Thann Clos St. Urbain Grand Cru 2005 del Domaine Zind - Humbrecht di Turckheim, il Clos de Vougeot Gran Cru 2007 del

Domaine Méo - Camuzet di Vosne - Romanée, il Barolo Colonnello 2008 Poderi Aldo Conterno di Monforte d’Alba; - Pellegrini proporrà lo champagne Jacquesson Grand Cru Avize Champ Caïn 2002, il Riesling Georg Breuer Rüdesheim Berg Schlossberg 2010, il Pinot Noir Clos Henri Marlborough 2008; - Cuzziol proporrà lo champagne Bruno Paillard Brut Assemblage 2002, il Arnouz - Lachaux Vosne Romanée 1er Cru Les Chaume 2009, il Henri Boillot Puligny Montrachet 1er Cru Clos de Mouchere 2009, il Porto Quinto de La Rosa Vintage 1992; - Heres proporrà lo chardonnay Pol Roger Blanc de Blanc 2002, il Biserno 2009 della Tenuta di Biserno del Marchese Lodovi-

co Antinori, il Vecchio Samperi trentennale dell’Azienda Marco de Bartoli, il Lambrusco Ancestrale 2011 dell’Azienda Francesco Bellei; - Balan proporrà lo champagne Grande Cuvée Alain Thienot 1999, lo Chassagne Montrachet 1er En Virondot 2006 del Domaine Marc Morey, lo Chambolle Musigny 1er Cru 2009 del Domaine Philippe Pacalet.

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Il Club presenterà questi vini e champagne di grande pregio in uno spazio dedicato presso l’Hotel Terme. Sarà un’occasione unica, per il pubblico presente al Merano WineFestival, di potere conoscere e degustare, riunite in una sola sede, etichette importanti soprattutto francesi.

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La Malvasia di Sitges, 700 anni di sopravvivenza Testo e foto di Giuliana Del Latte

I

l triangolo indissolubile vitigno-uomo-ambiente è alla base del successo della viticoltura legata al territorio e la Malvasia di Sitges, della quale sopravvivono ormai pochi ettari, è un chiaro esempio dell’interazione uomo e natura che ha dato vita a caratteristiche di eccellenza non esportabili in altre zone.

La conservazione di questo vitigno, che secondo la leggenda furono gli “almogávares” a coltivare per primi nella zona del Garraf intorno al XIIIº secolo, si deve esclusivamente alla perspicacia di Manuel Llopis de Casades; ultimo erede della casata Llopis, una delle più antiche di Sitges (metà del XVI secolo) Manuel donó alla sua morte, avvenuta nel 1935,

i suoi terreni all’ospedale di Sant Joan Baptista, con la condizione che l’ospedale continuasse a produrre e vinificare la Malvasia di Sitges. Una unione che ha garantito la produzione di questo nettare (circa 7000 bottiglie totali) nelle versioni secca e dolce, su soli 2,5 ha di superficie.

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Il termine Malvasia si riferisce a una famiglia di 84 varietà, ed è coltivata attualmente in tutte le regioni vinicole del mondo. Anche se vi è una certa polemica sul luogo esatto in cui è nata e quali vitigni sono i loro antenati, si ritiene generalmente che proviene dalla Grecia, il cui nome d’origine “Monemvasia”, fa riferimento alla località omonima che agiva, fin dall’epoca medievale, da centro commerciale per i vini prodotti nel Peloponneso orientale. Le diverse varietà differiscono notevolmente tra loro per morfologia delle piante, colore, sapore e composizione biochimica del frutto, la maturazione, precocità, produttività e l’idoneità per la vinificazione. La sua produzione è bassa e tende ad essere sensibile alle malattie. In ogni caso, la varietà di Sitges (dal 1991 “Denominación d’Origen Penedès” e da qualche anno Baluarte Slow Food della Catalogna), a bacca bianca con acini piccoli e allungati, è una vera eccellenza legata al territorio, e, grazie ai particolari terreni calcarei, alla brezza marina e alla protezione dei monti che creano un microclima unico, è sopravvissuta anche all’attacco della filossera, che in Spagna produsse gravi danni a molti vitigni autoctoni.

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L’elaborazione viene seguita dall’enologo Josep Pascual, con l’obiettivo di preservare questa singolare realtà, implementare la produzione e la presenza al di fuori del mercato nazionale spagnolo. Le piccole parcelle rimaste della Malvasia di Sitges, circondate attualmente da case e palazzi a conseguenza del recente sviluppo urbano, si vendemmiano fra fine settembre e inizio ottobre, quando l’uva ha raggiunto il punto massimo di concentrazione zuccherina. Il vino che se ne ottiene, dopo minimo 4 anni di invecchiamento in botti di castaño, è un passito liquoroso da dessert con note di frutti secchi tostati, un tocco dolce di caffè e frutta matura come la pesca e l’albicocca; nella versione secca, la fermentazione lenta gli conferisce in modo molto chiaro aromi di erbe aromatiche come camomilla, rosmarino e finocchio selvatico. Concepito come aperitivo, il prodotto finale si ottiene mescolando diverse annate e la sensazione di asciutto in bocca ricorda il vino “Fino” o “Oloroso” di Jerez e ben si adatta ad accompagnare frutti secchi salati, crostacei, formaggi stagionati e foie-gras.

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Nella nuova linea di prodotti c’è anche un vino secco bianco il “Blanc Subur ”, fresco ed intensamente aromatico, adatto per aperitivi e piatti di pesce o carni bianche e un vino spumante ottenuto dalla fermentazione secondaria nella base di bottiglie di vino Malvasia di Sitges nel tradizionale metodo “Champenoise”; adatto a tutti i piatti di mare ma anche con risotti e pasta, è uno spumante molto elegante e piacevole al palato, con note acide di agrumi, mela verde e pera con lievi tracce di albicocca in primo piano e un finale molto leggero con un tocco di semi di anice. Questa curiosa e romantica realtà dunque, è un elogio al valore della dedizione, di cui soprattutto gli abitanti locali possono ancora gioire semplicemente avvicinadosi all’entrata dell’Hospital San joan Baptista per comprare una bottiglia della loro apprezzata Malvasia di Sitges.

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Gli “Almogávares” erano truppe d’assalto della Corona d’Aragona formate da fanteria leggera, attive nel Mediterraneo tra i secoli XIII e XIV. Queste truppe erano composte principalmente da ufficiali aragonesi e catalani e da soldati-contadini e pastori originari delle valli pirenaiche. Questo corpo, che arrivò a formare un grande esercito di 15.000 guerrieri, fu impiegato da Pietro III d’Aragona (1276-1285) per fare delle incursioni nelle terre musulmane, in Tunisia e la Sicilia tra altre.

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Culinaria: squisitezze artigianali, eccellenza del gusto e della passione dei produttori d’Italia DI Alessandra Piubello

I. L’universo esiste soltanto per la vita e tutto ciò che vive si nutre. II. Gli animali si pascono, l’uomo mangia, solo l’uomo di spirito sa mangiare. III. Il destino delle nazioni dipende dal modo in cui si nutrono. IV. Dimmi quello che mangi e ti dirò chi sei. Jean-Anthelme Brillat-Savarin

A

vete presente un grande salone con tutte le golosità e prodotti tipici dal Trentino alla Sicilia? Una vetrina di espressioni territoriali di livello, presentate da produttori medio piccoli orgogliosi e fieri del proprio lavoro, fuori da ogni logica di globalizzazione? Beh, siete approdati a pianeta Culinaria, buon appetito! Centodieci aziende che spaziano dalle carni ai salumi, dal cioccolato al caffé, dagli oli agli aceti balsamici, formaggi, tartufi, birrifici, prodotti tipici dell’Alto Adige e molto altro, sono pronti ad accoglier vi nella tensostruttura collegata al Kurhaus per spiegarvi i loro prodotti e farveli assaggiare. Le sezioni di Culinaria quest’anno sono diversificate rispetto agli anni scorsi. Ecco allora Culinaria Eccellenze, dedicata ai produttori 61

di alta qualità con una produzione limitata, Culinaria Tradizione e Innovazione, destinata alle aziende di media e alta qualità con una produzione di più larga scala e Culinaria Territorium, settore dedicato alle aziende di prodotti tipici supportate dal contributo dei comuni e delle CCIAA, per questa edizione in particolare dalla Camera di Commercio di Fermo (con una quindicina di partecipanti) e di L’Aquila. Una delle novità di quest’anno è la Rue de Chef, nomen omen, composta da aziende che operano nel settore tecnico per chef (per fare qualche nome, Stamplast – piatti e accessori tecnici in plastica ecostostenibile -; SchönhuberFranchi – specialista nel segmento dell’ospitalità -; Koppert Cress – foglie, erbe ed aromi per la cucina professionale – ed altre). Anche quest’anno ci sono i birrifici nell’area BeerPassion, un comparto

che ogni anno è cresciuto, fino ad arrivare a quota quindici presenze. Ci sono nomi che hanno fatto la storia della birra in Italia, come Baladin, il primo nato e più importante produttore artigianale. Il patron Teo Musso, pioniere in un ambito che nel 2012 ha oltrepassato la soglia di quattrocento entità, è un imprenditore geniale e visionario, tanto bravo quanto invidiato dai più. Poi ci sono nomi del calibro di Birra del Borgo, l’Olmaia, 32 Via dei Birrai e ancora Forst, Amarcord e altri. Ripercorriamo le tappe di Culinaria con Helmut Köcher, presidente e fondatore della manifestazione: “La storia inizia nel 1997 con una cinquantina di produttori, per poi crescere fino ad arrivare oggi a centodieci aziende. Dieci anni fa Culinaria era all’interno della Kurhaus, poi è stata adottata la soluzione di una tensostruttura collegata. In


questi quindici anni abbiamo sempre cercato l’eccellenza, i prodotti di nicchia, le specialità gastronomiche artigianali. La commissione degustatrice, composta da chef, tecnici e gastronomi, oltre ad occuparsi della scelta delle aziende più rappresentative a livello qualitativo, ha stabilito dei criteri ulteriormente selettivi. I membri del panel durante il festival fanno sempre altre verifiche per accertare che lo standard sia all’altezza. E’ importante la relazione che si crea qui tra produttore e appassionato, per far comprendere tutto il lavoro che c’è dietro alla realizzazione finale, per sottolineare la zona di provenienza, le tecniche usate e chiaramente, poi, far assaggiare il risultato”. Quest’anno ci sono alcune novità: per la prima volta i distillati e i liquori vengono inseriti all’interno del percorso di Culinaria. Ecco allora, nel contesto, la prima degustazione di grappe del Merano WineFestival, a cura dell’azienda 62

Nonino. Domenica undici novembre alle ore 16.30 presso l’hotel Terme di Merano, per celebrare i centoquindici anni di distillazione della famiglia, Cristina Nonino e il sommelier Paolo Lauciani guidano una memorabile degustazione. I Nonino hanno saputo trasformare la grappa da cenerentola a regina delle acquaviti. La rivoluzione de ‘l’acqua di fuoco’ parte da un paesino, Ronco di Percoto, sperso nella Bassa, in una campagna qualunque eppur struggente a sud di Udine. Qui sono state scritte, con passione e determinazione, pagine di storia, che hanno portato i Nonino ad essere riconosciuti come i veri ambasciatori della grappa italiana nel mondo, anche con un premio, conferito dall’ex Presidente della Repubblica italiana Carlo Azeglio Ciampi. Cristina Nonino, figlia dei famosi Benito e di Giannola che hanno saputo dare finalmente una vera dignità a questo prodotto, così ci descrive l’azienda: “La nostra famiglia si dedica all'arte

della distillazione fin dal 1897. Nel 1973 i miei genitori creano la grappa Monovitigno, rivoluzionando il modo di produrre e presentare la grappa in Italia e nel mondo; nel 1984 segniamo un'ulteriore svolta nel mondo della distillazione italiana e creiamo l'Acquavite d'Uva UE. Le nostre distillerie imbottigliano esclusivamente grappa e acquaviti distillate con metodo artigianale, nei nostri alambicchi discontinui a vapore. Le grappe ed acquaviti invecchiate sono imbottigliate solo dopo un lungo affinamento naturale in barrique, senza aggiunta di aromi o di caramello. Dal 1952 le nostre cantine ospitano piccole botti di legni diversi. Oggi ne vantiamo ben millesettecentocinquantacinque, in quercia Nevers, Limousin, Grésigne, ex-Sherry, in acacia, ciliegio selvatico e pero, che custodiscono i nostri tesori. I partecipanti alla degustazione hanno l’opportunità di verificare come, degustando ÙE Acquavite d'Uva Nonino Cru Monovitigno Mo-

scato di Vallagarina di diverse ed importanti annate di invecchiamento, venga smentito quanto affermato dai francesi - che per tradizione fanno scuola - , ossia che i soli distillati da uve neutre possano dare vita alle migliori Riserve”. Per la speciale ed unica occasione, i Nonino hanno estratto dalle cantine di invecchiamento padronale alcune annate che non sono in commercio: la ‘Riserva Grappa Monovitigno Merlot 7 anni’ e ‘UE Cru Monovitigno Moscato Vallagarina 7 anni’. L’assaggio comprende anche: Grappa Nonino Monovitigno Merlot Vendemmia 2010; Grappa Nonino Monovitigno Merlot Vendemmia 2004 invecchiato sette anni in barrique Limousin; Grappa Nonino Riserva 115 Anniversary invecchiata da tre a diciannove anni in barrique; ÙE Acquavite d’uva Nonino Monovitigno Moscato Cru Besenello in Vallagarina Vendemmia 2010; ÙE Acquavite d’uva Nonino Monovitigno Riserva Moscato Cru Besenello in Vallagarina Vendemmia 2004 invecchiata sette anni in barrique ex Sherry; ÙE Acquavite d’uva Nonino Monovitigno Riserva Moscato Cru Besenello di Vallagarina Vendemmia 1990 invecchiata diciotto anni nell’unica barrique di Nevers numero 82. Va sottolineato che il ricavato del prestigioso appuntamento va devoluto ai terremotati dell’Emilia Romagna e di L’Aquila. Un’altra novità riguarda la new entry dei whisky scozzesi dell’azienda vicentina Vom Fass, spillati direttamente dalla botte, con un effetto veramente scenografico, attraverso un sistema innovativo che viene presentato in Italia proprio in occasione del Merano WineFestival. Vom Fass, nata in Germania a Waldburg nel 1995, apre il suo primo punto pilota ad Arcugnano nel 2008 per poi espandersi sul territorio nazionale. Abbiamo intervistato brevemente per voi qualche azienda (purtroppo

tra oltre cento produttori abbiamo dovuto restringere di molto il focus, non ce ne vogliano le tante altre realtà lodevoli di menzione) presenti a Culinaria, giusto per darvi un assaggio di quello che trovate in quest’area e farvi venire l’acquolina in bocca… L’azienda SI.GI viene fondata nel 1996 da Silvano Buccolini e da sua moglie Giuliana Papa, da cui l’acronimo SI.GI. Silvano proviene dall’esperienza dell’Istituto Tecnico Agrario e provvede al recupero delle antiche varietà locali mentre Giuliana è una grande appassionata e custode delle ricette casalinghe.‘Manteniamo – spiega Silvano Buccolini – l’originalità della tradizione riportando in vita antiche ricette, lavorazioni e frutti come la Sapa, le visciole al sole, la gelatina di mele rosa, i morici, le brugnolette, i fichi bianchi, il vino di Visciola, il Giuggiolone (bevanda aromatizzata a base di vino, ottenuta dalla fermentazione delle giuggiole, in pratica un brodo di giuggiole secondo la cultura contadina) e tanti altri. Produciamo confetture, gelatine, sott’olio, salse di frutta, condimenti, realizzati integralmente a mano, attraverso l’utilizzo di strumenti semplici, come il passaverdura a diverse grandezze e metodi di cottura tradizionali, come

la bollitura a pentola aperta. La nostra coltivazione biologica pone la massima attenzione alla purezza delle materie prime. Non usiamo addensanti chimici o conservanti, né coloranti di estrazione naturale; la maggior o minore consistenza e densità del prodotto viene ottenuta esclusivamente attraverso le diverse metodologie di cottura, mentre la sua freschezza viene preser vata grazie a minuziose tecniche di conservazione al naturale, nel rispetto dei cicli stagionali. Sono sapori, aromi, colori inconfondibili, dove si mantengono inalterate le caratteristiche nutrizionali, aromatiche cromatiche ed olfattive rivolte a quanti vorranno riconoscere la genuinità del cibo. Infatti quando i visitatori di Culinaria vengono al mio banco, presento brevemente l’azienda e poi passo subito all’assaggio, per avere la risposta immediata del palato di chi degusta e coglierne la soddisfazione. Oramai sono dieci anni che vengo al salone: alcune criticità ci sono, ma credo che gli organizzatori stiano lavorando per costruire delle edizioni sempre migliori”. “La Pasta di Aldo – ci spiega il titolare Luigi Donnari - sorge in un paesello che si trova fra le tante colline che caratterizzano il territorio marchigiano, a ridosso dei Monti Sibillini

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e vicino al mare Adriatico. Ispirato dalle tradizioni, dagli usi e costumi di questi luoghi, insieme con mia moglie Maria abbiamo avviato nel 2001 un piccolo laboratorio, recuperando tecniche tradizionali del territorio per creare prodotti che puntano sull’eccellenza gastronomica. Per ogni formato di pasta usiamo una mescola diversa di semole, l’impasto è amalgamato con cura e la sfoglia viene lavorata in modo da lasciare l’impasto soffice. La sfoglia viene tagliata e appesa su particolari stecche nei telai riposti nell’essiccatoio, per consentire una lenta e naturale essiccazione personalizzata a bassa temperatura: un rito, più che un processo di lavorazione. Partecipo a Culinaria da dieci anni, la considero una manifestazione molto importante che deve continuare ad essere molto selettiva e a non ammettere commercianti ma solo produttori. Non partecipo al salone per vendere: il mio obiettivo è quello di far capire che la mia azienda produce una pasta diversa dalle altre. Cerco di trasmettere a coloro che visitano il mio tavolo, le origini e i perché, facendo trapelare le mie emozioni e l’impegno che metto nel mio lavoro”. “Fine Food and Wine – racconta Federico Minussi - è una società impegnata nella ricerca, promozione 64

e importazione di prodotti gastronomici d'eccellenza provenienti da tutta Europa. E’ una piccola azienda nata dal percorso formativo che abbiamo seguito nel corso degli anni, oltre a quello strettamente accademico. Abbiamo sempre avuto a che fare con il mondo gastronomico, con la ristorazione e con il vino. Questo ci ha portato, circa cinque anni fa, a scegliere una nostra strada imprenditoriale fatta di rapporti internazionali, di ricerca e voglia di conoscere. Importiamo prodotti gastronomici dalla Spagna, come il jamon iberico Pata Negra e la Cecina de León e anche vini come lo Champagne. I nostri prodotti, in particolare il jamon iberico, da noi conosciuto anche come Pata Negra, hanno bisogno di essere spiegati, raccontati, descritti e infine provati. Quello che noi cerchiamo di fare in occasioni come Culinaria è offrire un pezzo di conoscenza in più, arricchire chi ci premia con la sua visita di dettagli, particolarità, usanze che caratterizzano i nostri prodotti. Vogliamo che i nostri visitatori imparino a riconoscere un prodotto di grande qualità, ne sappiano cogliere anche le sfumature, l'attenzione e la dedizione che c'è dietro a un prodotto del genere e la sua naturale bontà. Culinaria per noi è la giusta manifestazione all'in-

terno di quell'incredibile contesto che è il Merano WineFestival. E' una piccola, ma significativa parte, di un'esperienza di gusto e senso. Un attimo di pausa, un po' di relax e distrazione dal principale evento che rimane il vino con le sue numerose declinazioni. Il nostro stand è sempre molto visitato, durante i tre giorni di intensa attività. I prodotti che offriamo attirano e stuzzicano la curiosità di chi li conosce solo per sentito dire, ma sono coloro i quali hanno già avuto modo di provare le nostre specialità, nelle edizioni passate – è il terzo anno che partecipiamo - o in altre occasioni, a tornare sempre con attenzione ed entusiasmo”. Conosciamo un pochino anche l’azienda Optima Carne, nata dall'idea e dalla passione di Alberto Demagistris, veterinario buiatra operante nella provincia di Cuneo. “Trattiamo esclusivamente femmine e castrati di razza bovina piemontese – esordisce Demagistris - una delle migliori razze da carne del mondo, che arrivano da allevamenti sostenibili. I vitelli sono allevati come un tempo in stalle non sovraffollate, su lettiere di paglia di grano, senza forzature alimentari né farmacologiche. Nell'alimentazione utilizziamo solamente mais, crusca, fave, orzo, germe di grano, pisello proteico, polpe di bietole, fieno di prato stabile di prima qualità, concimato esclusivamente con letame bovino. Non vengono utilizzati scarti di lavorazione industriale e nemmeno la soia. L'allevamento naturale richiede ovviamente tempi più lunghi per l'ingrasso, ma fornisce una carne particolarmente tenera e gustosa. Dopo la macellazione le mezzene vengono fatte frollare da due a quattro settimane. In un sol giorno vengono poi eseguiti tutti i tagli, messi sottovuoto e consegnati tramite corriere in brevissimo tempo. Obiettivo primario di Optima Carne è anche quello di

far riscoprire i tagli generalmente considerati ‘meno nobili’, quelli che la nostra società, un po' per moda un po' per colpa della frenesia quotidiana, ha dimenticato, e che conservano intatto il sapore della buona cucina di una volta. Optima Carne ha partecipato all'edizione di Culinaria 2011, che si è rivelata un'esperienza davvero entusiasmante grazie alla professionalità e alla passione di tutto lo staff. Crediamo che questa sia una manifestazione di importanza fondamentale sul territorio per avvicinare il pubblico a (ri)scoprire il lavoro di tante realtà aziendali italiane, sincere ed appassionate. Oltre ad illustrare il nostro prodotto e il lavoro che svolgiamo, riteniamo fondamentale la degustazione, per 'far parlare la carne' e perché il visitatore possa accorgersi già dal primo assaggio del gusto e della tenerezza che la caratterizzano. Vorremmo trasmettere l'idea che per ottenere dell' ‘optima’ carne un team specializzato ogni giorno cura e segue personalmente gli animali, senza forzarli e prov vedendo innanzitutto alla loro tranquillità e al loro benessere. Inoltre ci piacerebbe diffondere il più possibile la nostra filosofia alimentare, perché ci rendiamo sempre più conto di come certi tagli e certe preparazioni rischino di andare sprecate o perdute, anziché valorizzate come meriterebbero. Grazie a tutti gli chef che collaborano al nostro fianco, abbiamo provato che ancora oggi, in questo millennio dove tutto corre un po' troppo veloce, una carne prodotta coi giusti tempi e valorizzata attraverso le giuste preparazioni in cucina può davvero meravigliarci. Al GourmetArena hanno già utilizzato i nostri prodotti per i loro piatti e anche alla cena di gala per la presentazione del Merano Wine Festival 2011”. Concludiamo la nostra carrellata in dolcezza con Amedei, fondata

nel 1990 da Cecilia Tessieri. Alla base l’idea di dedicarsi all’avventura che la porterà a scoprire i preziosi segreti del cioccolato. Una scelta che darà vita ad una realtà unica, la sola boutique produttiva italiana a vantare il controllo completo della filiera, dal seme di cacao al prodotto finito, un’eccezionalità che le ha permesso di vincere più volte presso la Chocolate Academy di Londra il premio per il miglior cioccolato ‘dal seme alla tavoletta’. Amedei è l’unica azienda italiana a produrre cioccolato utilizzando semi di cacao identificati e provenienti dalle più pregiate piantagioni esistenti al mondo. L’attività inizia in un piccolo laboratorio, quarantacinque metri quadrati e un solo dipendente, per produrre praline. Ma la perfezione è ancora lontana: “Il cioccolato veniva acquistato da altri e non c’era molto di nostro nel prodotto - ricorda Cecilia Tessieri -, e ben presto mi apparve evidente che la qualità del cacao e la capacità di lavorarlo al meglio sono le chiavi per garantire un vero successo. Inizio così a recarmi in paesi lontani alla ricerca di un cacao unico, fra gli altipiani del Madagascar, nei

luoghi impervi del Venezuela, della Giamaica e dell’Ecuador, nelle isole caraibiche di Trinidad e Grenada e ovunque si coltivino varietà di cacao che hanno mantenuto il carattere aromatico proprio del territorio a cui appartengono. Nel frattempo, divento maître chocolatier, dopo un lungo apprendistato in Francia, Belgio e Germania. Contemporaneamente recuperiamo, in giro per l’Europa, antichi macchinari, alcuni dei quali risalgono al 1800, altri al primo dopoguerra, macchine molto delicate i cui pezzi di ricambio non esistono più e che richiedono una manutenzione continua. Ben presto però vecchi e nuovi macchinari riescono a convivere alla perfezione e dopo sette anni dall’iniziale decisione di intraprendere l’avventura del cioccolato, nel 1998 arrivano sul mercato le prime tavolette a marchio Amedei”. A Culinaria i golosi di cioccolato possono tornare ad assaggiare Amedei dopo qualche anno di assenza, partecipando anche a delle degustazioni personalizzate. Non ci resta che augurar vi buon festival!

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GourmetArena, un palcoscenico di sapori DI Alessandra Piubello

La gastronomia ci sostiene dalla culla alla tomba, aumenta le delizie dell’amore e la confidenza dell’amicizia, disarma l’odio, agevola gli affari e ci offre, nel breve corso della vita, la sola gioia che, non essendo seguita da stanchezza, ci riposa perfino da tutte le altre! Jean-Anthelme Brillat-Savarin Appassionati gourmet, state pronti ad entrare nell’arena della cucina d’autore del Merano WineFestival! Tredici chef, di cui sei stellati e due stranieri, compiranno sotto i vostri occhi l’opera di trasformazione da materia prima a ricetta, per poi lasciare alle vostre papille il giudizio finale. Tema: ecosostenibilità. Una proposta d’impegno per questa edizione. Immagino tutti sappiate cos’è, ma giusto per chiarire meglio, cito da vocabolario: ‘L’ecosostenibilità è l’attività umana che regola la propria pratica secondo assunti ecologisti nel quadro dello sviluppo sostenibile. Il rinnovamento delle risorse è al centro del discorso ecosostenibile, ed è visto come capacità intrinseca del mondo di trasformarsi in maniera ciclica, capacità che va difesa per non modificare i delicati equilibri terrestri. È ecosostenibile ciò che porta ad agire l’uomo in modo che il consumo di risorse sia tale che la generazione successiva riceva la stessa quantità di risorse

che noi abbiamo ricevuto dalla generazione precedente.’ Tredici apostoli (ma non erano dodici?) della buona cucina portano dunque a svolgimento, dalle undici fino alle diciotto di sabato dieci novembre e di domenica undici, e il lunedì, dalle undici alle sedici, il loro bravo compito. Con la loro creatività, le loro capacità ed utilizzando le materie prime e i processi di lavorazione che rispecchino il più possibile i criteri ecosostenibili, gli chef sviluppano così l’argomento suggerito dal patron Helmut Köcher. E proprio a lui abbiamo chiesto di raccontarci un po’ la storia di quest’evento nell’evento: “La sezione dedicata alla cucina d’autore, GourmetArena, – narra il presidente e fondatore del Merano WineFestival – ha origine nel 2007. L’idea nasce con l’amico critico gastronomico Luigi Cremona. Per tre anni, insieme, abbiamo ospitato grandi nomi della cucina italiana, da Marchesi a Pierangelini, da Vissani a Beck, solo per citarne alcuni. cucina gourmet

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Nel 2010, al termine del sodalizio con Cremona, abbiamo stretto una collaborazione con la Regione Campania, in particolare con la CCIAA di Caserta, che ha coinvolto undici chef dell’associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe sul tema ‘chilometro zero’. Allora GourmetArena era allestita in una tensostruttura in Piazza Terme, ben allestita e adeguatamente predisposta per gli show cooking ma a detta di molti un po’ lontana dal cuore dell’evento del Merano WineFestival. Due anni fa abbiamo deciso di cambiare e di inserire la manifestazione nella Promenade Saal, a ideale continuazione del padiglione dedicato a Culinaria, per consentire ad un maggior numero di appassionati del buon gusto di relazionarsi con l’alta cucina. Il 2011 è la data nella quale iniziamo a lavorare con Carlo Vischi, direttore delle collane Immaginazione di Malvarosa Edizioni e Trenta Gourmet di Trenta Editore, che si occupa tuttora della selezione degli chef e delle blogger che presentano i cuochi. In quell’anno la proposta scelta era ‘shockcuisine’ l’esatto opposto della traccia di questa edizione, che è ‘ecosostenibilità’. L’intento è di sensibilizzare gli chef e il pubblico su un argomento che è oramai necessario per il futuro”. Proseguendo la formula dell’anno scorso, che è sembrata funzionare, i protagonisti dei fornelli sono presentati dalle blogger Francesca D’Agnano, Elena Policella, Ilaria Maz68

zarotta, Anna Maria Pellegrini coordinate da Paola Sucato e Carlo Vischi. In quest’edizione ci sono molte novità, segno che gli organizzatori sono alla continua ricerca di migliorarsi, per citare Köcher “siamo un laboratorio continuo di idee, con l’obiettivo di trovare nuovi trend significativi e proposte innovative”. Ai blocchi di partenza quindi la partnership con Inoxpiù, che mette a disposizione dei cuochi il loro kitchen truck, Arca. Ovvero? Un prototipo unico al mondo, a quanto affermano dall’azienda trentina, una vera e propria cucina professionale su ruote, ben otto metri lineari espandibili fino a dodici, dotata di tutti gli accessori per far fronte adeguatamente a trecento coperti, in grado di funzionare in totale autonomia. Un ‘bisonte della strada’ che diventa una gigantesca arca dell’alleanza culinaria!Ecco come ce la descrive Daniele Dallapè, Communication Manager: “Una visione, un progetto che sembrava folle, una sfida nata dalla mente dell’Amministratore Delegato di Inoxpiù, Andrea Zuccatti. Per venticinque anni, insieme al fratello Marco, ha portato la sua azienda al top. Inoxpiù è oggi leader per le cucine professionali, proponendo ai propri clienti una

gamma completa di accessori ad alto contenuto tecnologico. L’idea di Andrea Zuccatti era di portare questa eccellenza in tutta Italia diffondendo cultura per l’enogastronomia italiana. Arca è la sua risposta: non un banale truck ma una cucina professionale che è un gioiello di tecnologia, dotata di livelli di lavoro confortevoli, piani di cottura a induzione, brasiere, friggitrice fry top, lavastoviglie e non solo, maxischermi interattivi e camere full HD sono stati installati per permettere la ripresa e la diffusione di immagini”. Chiediamo a Dallapè come si concretizza la loro operatività durante la loro prima uscita in Alto Adige (nel resto d’Italia sono ormai davvero molte): “La nostra presenza consiste nel mettere a disposizione Arca come centro operativo per i tredici chef. Il truck viene posizionato in testa al padiglione; i monitor esterni permettono alle persone di passaggio di avere la visione di ciò che accade all’interno di Arca. Inoltre attiviamo anche il nostro blocco cucina Unica, che viene posizionato all’interno del padiglione e serve come ulteriore zona operativa, all’interno della quale lo chef termina il piatto per presentarlo al pubblico del Merano WineFestival”. Dal-

lapè, che ne dice di farci da guida nel ventre della balena, cosa ci aspetta? “A bordo di Arca sono installati sei brevetti marchiati Inoxpiù, frutto del lavoro del nostro ufficio di ricerca e sviluppo. I nostri piani ad induzioni con tecnologia tutto campo ed il nuovo sistema di auto calibrazione della frequenza, le efficientissime resistenze di cuoci pasta e friggitrici, il nuovo sistema di filtraggio Eco-Fry dell’olio on-board ed il nuovo piano del Fry-Top in titanio, sono alcuni elementi che troviamo all’interno. Combinando le proprietà termomeccaniche dei materiali impiegati e i molti anni di esperienza nel settore siamo riusciti a mettere a disposizione di chi fa ristorazione macchine estremamente efficienti con prestazioni elevate ed a risparmio energetico. Infatti i consumi di un impianto cucina elettrico Inoxpiù sono contenuti e garantiti grazie all’installazione di un gruppo di gestione dell’energia intelligente che ci permette con esattezza di comunicare ai nostri clienti i consumi di energia a cui dovrà far fronte. Le attrezzature di Inoxpiù hanno un rendimento energetico che raggiunge il 97 % (piastre ad induzione), ovvero, per ogni euro speso per l’elettricità, meno di 3 centesimi sono dispersi nell’ambiente. Un eccezionale record visto che i tradizionali impianti a gas, a regime, sono vicini ad una resa del 50-60%. L’ambiente di lavoro che si crea lavorando con un impianto elettrico non ha

eguali. Le temperature in prossimità delle attrezzature sono molto più fresche, le colonne di calore sono drasticamente ridotte e con loro i grassi in sospensione, i gas combusti ed incombusti eliminati, nessun rischio di scoppio, piani lisci facilmente e rapidamente pulibili. Infine i locali che ospitano la cucina non sono soggetti alla normativa antincendio, un enorme risparmio in fase progettuale. Le cucine potranno essere installate anche a vista e diventare così protagoniste, insieme agli chef, della sala”. Per la prima volta i piatti proposti sono abbinati ai vini, scelti dalle Tenute Genagricola, della divisione vitivinicola di Genagricola Spa, la holding agroalimentare del Gruppo Generali Assicurazioni. Le Tenute, con oltre ottocento ettari vitati di proprietà, hanno otto marchi aziendali che comprendono altrettanti territori: Monferrato, Asti, Colli Orientali del Friuli, Grave del Friuli, Lison Pramaggiore, Venezia, Colline di Valdobbiadene, Colli Lanuvini e Colline del Sangiovese. La prima delle aziende del gruppo a partecipare al Merano WineFestival è stata Torre Rosazza con i vini dei Colli Orientali del Friuli, affiancata poi da V8+, che con i suoi spumanti partecipa al Wine Festival ormai da tre anni. “L’intenzione – spiega Alfredo Barbieri, Direttore Commerciale - è quella di offrire durante gli show cooking una panoramica di tutti i marchi del Gruppo. D’altronde le nostre imprese hanno una

buona ampiezza di gamma, capace di rispondere alle più diverse esigenze di abbinamento della ristorazione. L’occasione è ottima per presentare il lavoro delle nostre aziende ad un pubblico qualificato, come tradizionalmente è quello del Merano WineFestival, promuovendo il connubio cibo-vino, che completa ed arricchisce ogni esperienza gastronomica. Gli abbinamenti, concepiti sulle ricette elaborate dagli chef, sono studiati dalla nostra commissione d’assaggio composta da me, Carlo Mogolino (Brand Manager e Responsabile Vendite di alcune delle nostre zziende), Luca Zuccarello, il nostro enologo responsabile ed Helmut Köcher, che ha l’ultima parola sulle nostre proposte. Carlo Mugolino, data la sua sconfinata passione per la cucina d’autore, la sua esperienza trentennale ed un innato trasporto per il buon vino e la cucina d’autore, è stato delegato a presentare al pubblico i vini”. Altra novità dell’anno: alcuni prodotti d’eccellenza di Culinaria sono presentati dagli chef e dalle aziende (per citarne alcune: Pastificio dei Campi, La pasta di Aldo, Cioccolato Amedei, Optima Carne.. ) per evidenziarne ai presenti le caratteristiche e le qualità. Ma ora è giunto il momento di lasciare la scena agli interpreti di quest’edizione.

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I protagonisti del 2012

M auro A jmone, Ros A l pin a d e l l’A u b e r g e d e La M ai s o n

Inserito in un angolo di paradiso, l’Auberge de La Maison si trova a Entrèves, una delle più caratteristiche frazioni di Courmayeur. Varcando la soglia di questa dimora di charme in pietra e legno si respira tutto il fascino della tradizione alpina: più che un albergo in senso tradizionale, l’Auberge de La Maison è una grande casa di montagna. Il figlio maggiore di Filippo Garin, Leo Garin, locomotiva enogastronomica e turistica della Vallée, ha aperto questo luogo d’incanto nel 1996, esattamente 110 anni dopo che Alessandro de Goracuchi raccontasse al mondo la straordinaria bellezza di Courmayeur. Il ristorante, con spettacolare 70

vista sul Monte Bianco, è tradizionale ed al tempo stesso raffinato, si cena a lume di candela in una sala dove la boiserie e la splendida stufa creano un ambiente intimo e accogliente. Sulle pareti l’immancabile legno, nell’angolo la borbottante stufa rivestita in ceramica. Qui si propone una cucina genuina, costruita sul passato, sulla tradizione e la storia della Vallée, anche attraverso la ricerca e l’acquisto dei prodotti d’eccellenza tra i fornitori locali; dal canto suo la natura nelle valli aostane regala pesci d’acqua dolce e selvaggina, funghi e castagne. Ma andiamo ad intervistare lo chef Mauro Ajmone, valdostano quarantatreenne, che ci racconta un po’ di sé: “Sono nato in una località turistica, figlio di albergatori, e mi sono lasciato affascinare da quello che succedeva intorno a me. Credo che la mia passione per la cucina sia innata, ancora non andavo a scuola che mia mamma mi sorprendeva in cucina a preparare di nascosto piatti da presentare alla famiglia. Dopo aver frequentato la scuola alberghiera regionale della valle d’Aosta ed aver mosso i primi passi negli hotel di Courmayeur, la voglia di imparare e migliorarmi mi ha spinto in giro per il mondo,

dall’Harry’s Bar di Londra al ristorante il Cortile dell’ Hotel Castille Demeure di Parigi, passando dai Caraibi agli Stati Uniti, da Monte Carlo alla Costa Smeralda. Ritornato nella mia terra ho iniziato a collaborare con la famiglia Garin che mi ha portato a diventare primo chef del ristorante Cadrain Solaire a Courmayeur. Oggi, oltre al perpetrare il sodalizio con la famiglia Garin all’Auberge de La Maison, ho iniziato un’avventura tutta mia con un piccolo ristorante del territorio ad Aosta, l’Amarcord les Iles”. Per Ajmone la sua cucina è riassumibile in poche parole: estrema ricerca della semplicità. “Le tradizioni sono la base fondamentale della mia cucina, chi non conosce la storia non è in grado di ben interpretare il futuro. Sono però sempre curioso di ciò che la tecnologia offre, soprattutto se è nell’ottica del miglioramento della qualità e della sicurezza degli alimenti, così come nella salvaguardia dell’ambiente attraverso l’abbattimento degli sprechi. All’Auberge per esempio, siamo da poco passati dal gas all’induzione di ultima generazione, con un maggior controllo dei picchi e soprattutto con risparmi, in termini di efficienza energe-

tica, considerevoli. Tornando alla gastronomia, cerco toccare il cuore, lo spirito ed i sensi di chi si siede alla nostra tavola, soprattutto attraverso i prodotti di stagione perché utilizzare una materia prima nel periodo di sua massima espressione è il più bel dono che possiamo fare ai nostri commensali. Cotture? Quelle che mi permettono di ottenere il massimo da una mia idea, non uso tecniche di cottura fine a se stesse, solo perché innovative o spettacolari, ma scelgo quella che più riesce a valorizzare il prodotto e la ricetta”.

Il piatto che Ajmone porterà alla sua prima volta al GourmetArena, è ‘Tartiflette Auberge con patate della Brenya amalgamate con Fontina dop, salmerino alpino, pancetta affumicata, nuvola di panna d’alpeggio montata all’erba cipollina’. Ecco come ce lo spiega: “Gli ingredienti di questo piatto rispecchiano i quattro elementi: terra, con le patate della nostra Vallée; aria, con la nuvola di panna d’alpeggio; acqua: con il salmerino alpino; fuoco con l’aroma affumicato. Sono prodotti che appartengono al nostro territorio, rigorosamente di stagione e poco

elaborati, che provengono da distanze estremamente ridotte, coltivati biologicamente, utilizzabili con pochissimo scarto, cucinati in modo efficiente dal punto di vista energetico: in poche parole, quanto di più vicino possibile al tema proposto da GourmetArena quest’anno. Credo che l’ecosostenibilità non sia la ‘moda’ del momento, è indispensabile che ognuno faccia la sua parte per invertire la strada autodistruttiva sulla cui stiamo viaggiando”.

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Tartiflette Auberge con patate della Brenva, salmerino alpino, pancetta affumicata e nuvola di panna d’alpeggio Ingredienti: 100g patate rosse lessate con la buccia 35g Fontina DOP 1 filetto di Salmerino (circa 60g) 2 fettine di pancetta di Arnad affumicata 1 fetta di pan ner 1 bicchierino di panna timo fresco erba cipollina sale affumicato pepe nero burro olio extra vergine di oliva

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La nostra ricetta rappresenta i quattro elementi: terra: le patate della nostra Vallée; aria: la nuvola di panna d’alpeggio; acqua: il salmerino alpino; auoco: l’aroma affumicato. Preparazione: Sbucciare le patate preventivamente lessate e schiacciarle con una forchetta, aggiungere la Fontina grattugiata, qualche fogliolina di timo, salare con sale affumicato, pepare ed amalgamare il tutto. Con l’aiuto di un coppa pasta di diametro 5 cm. circa, creare due tartiflette che andranno dorate in padella con una noce di burro. Dividere il filetto di salmerino in trancetti da 4 cm e passarli in una padella unta con poco olio extra vergine di oliva, cuocere per 3 minuti a secco sul lato della pelle e finire dall’altro lato. Rendere croccante le fettine di pancetta nel forno a 180°. Sbriciolare il pane ner e passarlo in padella con una noce di burro fino a farlo dorare, infine essiccarlo qualche minuto in forno. Montare il piatto alternando le tartiflette, i trancetti di salmerino e la pancetta croccante facendo in modo che l’ultimo strato sia il salmerino. Montare la panna neutra, aggiungervi l’erba cipollina tagliata finemente, creare poi una quenelle ed adagiarla sulla cima della tartiflette. Accostare alla tartiflette una striscia di briciole croccanti di pan ner e decorare con burro nocciola e una foglia di ostrica.

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Da nilo Bei, Ris t or a n t e Emil io

Danilo Bei nasce nel maggio del 1972 a Porto San Giorgio (FM) da Emilio Bei e da Milvia Toni. Cresce a due passi dal mare e dall’interminabile spiaggia di Lido di Fermo, alle cui spalle si stendono le dolci colline del Fermano, nelle vicinanze di città e paesi ricchi di arte e di storia, dove natura e cultura si sposano con le tradizioni popolari e le gustose tipicità culinarie. Proprio come ricorda la cornucopia di ortaggi che lo chef Danilo sposa ai prodotti del mare, senza derogare al principio della stagionalità e alle maglie di un’implacabile selezione. Nel 1993 si diploma all’Istituto Professionale Alberghiero di San Benedetto del Tronto e nel 1994 inizia ad affiancare la madre nella gestione della cucina del ristorante di famiglia, “Ristorante Emilio”, fondato da Milvia ed 74

Emilio nel 1965. Nel 1998 inizia il suo personale percorso culinario attraverso una rivisitazione dei piatti tradizionali con un tocco di fantasia. I piatti di Danilo sono caratterizzati da un’estrema semplicità e dall’assoluto rispetto per le materie prime selezionate con la massima cura. La tecnica per lui ha un ruolo di supporto per poter infine valorizzare la materia prima, “ma il sentimento, la passione e l’anima sono gli ingredienti fondamentali della mia cucina”. Il ristorante è gestito insieme ai fratelli Osvaldo e Roberto e alla cognata Laura, con l’apporto ancora forte e presente di Emilio e Milvia, che, con cinquant’anni di onorata professione alle spalle, sanno sempre dare il consiglio giusto. Danilo evidenzia nel locale la passione artistica del fondatore con le memorie del cenacolo animato da Emilio e le tante opere ricevute da lui direttamente dalle mani degli autori. Sono centosessanta le bottiglie di grappa dipinte, in una collezione più unica che rara; ma ci sono anche acquerelli, acqueforti ed incisioni di grandi maestri come Vedova, Burri, Guttuso e Cascella. Nel 2003 gli viene assegnata la prima stella Michelin. Lo chef, cresciuto in una famiglia di ristoratori, è stato sempre affascinato da questo mondo, intuendo di riuscire meglio ad esprimere le sue

emozioni con i piatti che con le parole. Le sue ricette sono semplici, sincere ed autentiche, e presta attenzione ai prodotti biologici, perché ritiene che salvaguardino la nostra salute. Per Danilo la cucina è uno dei massimi piaceri della vita, dalla quale farsi ispirare, attraverso “tutto ciò che si libera nell’aria e che fa sprigionare la mia sensibilità”. Gli ingredienti delle sue preparazioni sono legati alla tradizione: quest’ultima è “fondamentale da conoscere per potersi poi esprimere con maggior libertà e creatività”. Per la ricetta che ha scelto per GourmetArena ‘Cannelloncini ai gamberi con salsa di zucchine’ l’autore si è ispirato alla lettura di un libro, che gli ha dato uno spuntosull’abbinamento degli ingredienti di questa creazione. In tema di ecosostenibilità, ecco il suo pensiero: “Sono pienamente d’accordo con questo concetto, in quanto rispetta le risorse naturali come la terra, l’acqua e l’aria ed i prodotti derivanti da un’agricoltura eco-sostenibile che, oltre ad avere il vantaggio di essere sani e sicuri per l’uomo, conservano inalterato il loro principio nutritivo e il loro pieno sapore”. Quando gli abbiamo chiesto un suo autoritratto, ha citato le parole di Oscar Wilde: “Stupisco sempre me stesso, è l’unica cosa che rende la vita degna di essere vissuta”.

Cannelloncini ai gamberi con salsa di zucchine Ingredienti per 4 persone: Per la pasta: 100g di farina 00 1 uovo intero 50ml di acqua 1 pizzico di sale un filo d’olio. Per il ripieno: 200g di gamberi sgusciati un filo d’olio 1 bicchiere di brandy 1 pizzico di sale maggiorana erba cipollina

Presentazione: Incorporare gli ingredienti per la pasta fino ad ottenere un composto omogeneo che verrà lasciato riposare per circa 2ore. Nel frattempo mettere gli ingredienti del ripieno (a crudo) in un frullatore per ottenere un impasto ben amalgamato. In un tegame sistemare le zucchine precedentemente lavate e tagliate a dadini e far cuocere per circa 10 min. insieme a tutti gli altri componenti; il tutto poi verrà frullato e passato al setaccio al fine di ricavare una salsa cremosa. Tirare la sfoglia più sottile possibile e creare dei quadratini di circa 6 cm che andranno cotti in acqua salata per 1 min. Una volta scolata la pasta verrà asciugata e riempita con l’impasto di gamberi e arrotolata come dei cannelloni; cuocere in forno x 20 min a 170°. Servire i cannelloncini irrorandoli di salsa alle zucchine ben calda.

Per la salsa: 2 zucchine sale prezzemolo un po’ d’aglio 1 mestolo d’acqua peperoncino

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Giuseppe Di Iorio, A roma di Pa l a z zo M a nfredi

Nel lontano 1500 nasceva il Casino Guidi, un rifugio di caccia nei giardini Guidi. Nel 2002 questo edificio storico nel cuore di Roma è stato trasformato grazie al restauro voluto dal conte e ingegnere Goffredo Manfredi in un raffinato ed esclusivo albergo a cinque stelle lusso della catena Relais & Châteaux. Marmi e mobili classici arricchiscono gli ambienti di Palazzo Manfredi, che riesce a interpretare l’eleganza di una dimora nobiliare e lo charme di un hotel con citazioni di design contemporaneo. Unico albergo della Capitale proprio di fronte al Colosseo, alla Domus Aurea e al Colle Oppio, gode di una posizione invidiabile nel cuore della

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Roma imperiale. Il Ristorante Aroma, inaugurato nel maggio del 2010, è all’ultimo piano dell’elegante palazzo. Un salone in arte contemporanea con una terrazza dalla veranda in vetro che si affaccia sul Colosseo. Ai fornelli Giuseppe Di Iorio, chef di poche parole. ‘Mi sono diplomato presso l’Istituto Alberghiero e ho cominciato la gavetta nei migliori ristoranti romani e in altre realtà italiane ed estere (anche nei londinesi Hyde Park e Grosvenor House). L’amore per la cucina è una tradizione di famiglia, fin da piccolo ero affascinato dai profumi e dai colori del mercato e dalla perizia con cui mia madre sceglieva i prodotti. Poi, un incontro importante per la mia formazione è stato con lo chef Giuseppe Sestito del ristorante Mirabelle dell’hotel Splendid Royal, che mi ha trasmesso la sua eccezionale esperienza e la sua passione per il bello e per il gusto.” La sua filosofia gastronomica è basata sulla freschezza, autenticità e alta qualità di ogni ingrediente, sui prodotti del territorio e su profumi e sapori genuini. Studiati per creare abbinamenti ‘sinfonici’ in cui ogni sapore sia riconoscibile e

in armonia con gli altri, i suoi piatti combinano il gusto mediterraneo con quello della tradizione gastronomica romana, attraverso accostamenti a volte inusuali. Chef ‘alla ricerca del perfetto equilibrio tra schemi tradizionali ed idee innovative’, Di Iorio considera la tradizione come il punto di partenza per elaborare nuove ricette. Ama le cotture lente, perché il tempo nelle sue creazioni è un ingrediente basilare e resta fondamentalmente legato ai metodi tradizionali. In merito alla ricetta che presenta, ‘Panzerotti romani e gallinella di mare’, lo chef la interpreta “attraverso un piatto rivisitato della tradizione romana fortemente legato al territorio e alla stagionalità degli ingredienti. In tema di ecosostenibilità cerco di seguire i principi ecologici di comportamento e sviluppo sostenibile attuando nella mia cucina alcune regole di base come il risparmio delle energie, la raccolta differenziata e il risparmio idrico. Acquisto prodotti di stagione e biologici, che permettono di coniugare gusto, genuinità e qualità, e coltivo personalmente gli aromi”.

Panzerotti con broccoli romani e gallinella di mare Ingredienti: Per la pasta fresca: 250g farina di semola rimacinata 250g farina 00 2 uova intere 6 tuorli d’uovo sale q.b. Per il ripieno: 200g broccoli romani 200g filetti di gallinella di mare Sale/pepe q.b. 1 cipollotto 1 carota piccola 1 costina di sedano 50g burro scorza di limone grattugiata erba cipollina prezzemolo fresco tritato olio extra vergine di oliva

Preparazione della pasta fresca: Setacciare le farine su un tavolo da lavoro, al centro rompere sia le uova intere che i tuorli con un pizzico di sale. Impastare energicamente fino ad ottenere un composto omogeneo, mettere a riposare la pasta in un luogo fresco per circa 1 ora coperta da un canovaccio. Preparazione del ripieno: Mondare i broccoli e lavarli accuratamente, lessarli in abbondante acqua salata. Preparare una piccola dadolata di verdurine, cipollotto, carota e sedano da stufare in padella con un cucchiaio di olio extra vergine di oliva e aggiungere i broccoli precedentemente lessati e asciugati dall’acqua in eccesso. In un tegame sciogliere il burro, unire i filetti di gallinella di mare, la scorza grattugiata del e saltare a fuoco vivo velocemente. Unire i due composti e farli raffreddare, aggiustare con sale, pepe, erba cipollina e prezzemolo, tritare a lama di coltello il tutto grossolanamente. Preparazione: Tirare la pasta con un mattarello fio ad avere una sfoglia sottilissima e con una rotella rigata da cucina ricavare dei quadrati di 5 cm per lato. Distribuire una noce di ripieno al centro di ogni quadrato di sfoglia precedentemente spennellata con un rosso d’uovo, unirei due angoli fino a formare un triangolo, ripiegarlo ancora unendo le due estremità in modo da formare il panzerotto a coda di rondine.

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A l b e r t o F o l , La C u s in a d e l W e s t in E u r o pa & R eg in a

Alberto Fol è originario di Treviso ma cresce tra il Veneto e le Dolomiti, affinando così il suo gusto per i sapori del territorio e le sottili differenze tra le diverse specialità locali. Inizia la sua carriera dividendosi tra grandi hotel di lusso quali l’Hotel Bellevue di Cortina d’Ampezzo, l’Hotel Cala di Volpe a Porto Cervo, l’hotel Badrut’s di St. Moritz, l’Hotel Gritti Palace, il Cipriani, l’Excelsior e Des Bains di Venezia e altri ancora. Affina tecnica ed abilità grazie ad esperienza presso ristoranti di altissimo livello tra cui Il Desco (due stelle Michelin). Dal 2008 ricopre il ruolo di Executive Chef del Ristorante La Cusina del Westin Europa & Regina di Venezia. In realtà la sua passione nasce nell’infanzia: “I miei genitori avevano un hotel nelle Dolomiti bellunesi, e fin da bambino ho respirato l’aria di cucina 78

insieme con quella dei boschi di montagna. Spesso con mio fratello e alcuni amici ci cimentavamo in realizzazioni stravaganti e divertenti. Con mio padre si facevano salumi e insaccati tipici delle Dolomiti. Mio nonno aveva un bellissimo orto dove mi portava per assaporare gli ortaggi appena colti. La mia passione è nata quindi molto presto, proprio nel cuore delle Dolomiti”. Dal nonno, grande ricercatore, ha avuto in eredità oltre ad una ricca biblioteca culinaria, con testi rari ed originali del Novecento, anche un sapere antico e una sorta di testamento, per spronarlo a proseguire nell’attività tanto amata. Attento, propositivo, instancabile ricercatore, ecco come Fol si descrive: “Io sono uno molto esigente, non solo con gli altri ma anche con me stesso. Sono anche molto curioso di tutto ciò che mi circonda, non sapere una cosa mi fa attivare subito. Gran parte della mia vita è stata dedicata al lavoro, alla ricerca. È così anche adesso e, anche se gli altri impegni sono davvero tanti, spendo tutto il tempo possibile per tenermi aggiornato sulle scienze che riguardano la mia professione e, perché no, anche su quello che fanno gli altri chef, del resto anch’io tengo dei corsi per trasmettere le mie esperienze professionali ad altri colleghi. Cerco sempre di mettere a frutto ciò che ho imparato mentre tento come

sempre d’imparare qualcosa di nuovo”. E prosegue: “Sono un cultore degli antichi gusti e prodotti del territorio veneto, che racchiudono un’autentica tradizione e allo stesso tempo la storia di popoli con i loro usi e costumi. Combino gli antichi sapori con le moderne esigenze sia della linea che del palato della clientela di alto profilo di oggi. Innovativo e creativo, sempre aggiornato sulle tecniche contemporanee di lavorazione, cottura e conservazione dei prodotti, allo stesso tempo attento a valorizzare la qualità e la tradizione”. Nella sua cucina lo chef ama utilizzare ingredienti di prima scelta seguendo i ritmi delle stagioni, valorizzando la cucina veneziana e dell’entroterra veneto armonizzandola con la tradizione cosmopolita di Venezia. “Il mio tentativo consiste nel rivisitare il patrimonio della tradizione gastronomica veneta usando tutta la passione e la creatività di cui sono capace. Se devo scegliere tra estetico e salutare, scelgo salutare senza esitazioni, è importantissimo oggi e lo sarà ancora di più domani a mio avviso. Penso che sia molto importante utilizzare prodotti biologici, le nostre scelte potrebbero fare la differenza e guidare le scelte altrui. Dobbiamo chiederci che tipo di coltivazioni, di allevamenti, di mondo desideriamo nel nostro futuro e scegliere di conseguenza. Una parte dei prodotti che uso è

rigorosamente biologica, ad esempio olio, pasta, riso. Ho poi intrapreso un percorso con i fornitori locali di ortaggi che praticano la coltivazione biodinamica e intendo proseguire su questa strada. Sono dell’idea che se fai sempre le stesse cose arriverai dove sei già arrivato”. Al suo debutto nella GourmetArena, presenta ‘Pollo allevato a latte e miele in due diverse preparazioni, con patate del Montello’. Gli chiediamo di spiegarci il piatto. “Lavorando a Venezia, proprio sul Canal Grande, tutti si attendevano che portassi un piatto a base di pesce, invece mi sono spostato nell’entroterra, a pochi chilometri da Venezia. Gli ingredienti sono tutti a km 0 reali, il pollo è davvero allevato a latte e miele. Mi stimolava l’idea di questa azienda, che può prodursi direttamente il proprio ‘mangime’, mantenendo il controllo sulla naturalità e sull’ecosostenibilità di tutto ciò che compone il suo prodotto finale. Ricordiamoci che alla fine tutto ciò lo ritroviamo a tavola. È fondamentale oggi, nell’era della globalizzazione, poter conoscere non solo la provenienza dell’animale allevato, ma anche ciò di cui esso si nutre e non solo. Gli ingredienti di questo piatto sono per prima cosa sani e rigorosamente provenienti dal mio territorio, e poi volevo portare

a conoscenza delle persone oltre alla tipicità anche la ricerca fatta dall’azienda Scudellaro Antichi Sapori per brevettare insieme all’Università di Padova questo tipo di alimentazione, ovvero del pollo nutrito a latte e miele. La differenza tra questa modalità di allevamento e quella tradizionale è evidente a livello di gusto. Anche le patate del Montello, l’aglio bianco veneto e tutte le verdure sono locali. Rimanere nel territorio e privilegiare le eccellenze dei prodotti locali ha un impatto notevolmente positivo per l’ecosistema, se questo comportamento diventa generale. In più sosteniamo aziende che senza il nostro contributo e la visibilità che l’alta cucina può offrire loro avrebbero difficoltà ad emergere nell’oceanico mercato globalizzato odierno. Per quello che riguarda le cotture, negli ultimi dieci anni ho fatto moltissima ricerca per quelle a bassa temperatura, in sottovuoto e vaso cottura, e, anche se le mie preferite sono le tradizionali, mi piace anche combinare diverse tecniche per la stessa ricetta. Questo piatto è un esempio di questo tipo di sperimentazioni”. Molto sensibile al tema dell’ecosostenibilità scelto dal Merano WineFestival, così lo commenta: “Pensiamo alla varietà e all’ampia disponibilità dei prodotti di oggi, un tempo sco-

nosciute, ma pensiamo anche allo spreco che ne consegue. Quanto a questo sono dell’idea che è arrivato il momento di tornare un po’ indietro. Sono sicuro che gioverebbe una maggiore educazione al riguardo, soprattutto nelle famiglie e nella scuola. Anche noi chef possiamo fare la nostra parte, abbiamo una vera e propria missione da portare avanti in questi anni: dobbiamo raggiungere tutti una sensibilità diversa. Io sono cresciuto per la prima parte della mia carriera in maniera tradizionale, con maestri che hanno fatto la storia, poi, negli ultimi quindici anni, ho assistito ad un epocale cambiamento su tutti i fronti: la tecnologia da un lato ci ha aiutato e fatto divertire molto, dall’altro lato ha fatto smarrire a molti di noi la giusta strada. Per stupire i nostri clienti talora si è badato più agli effetti speciali che non alla sostanza, certe cucine erano diventate farmacie... Per fortuna molti hanno compreso che le nuove tecnologie sono solo strumenti, ma non devono farci dimenticare la passione, il sacrificio e l’essenzialità delle cose. Una nuova attenzione per la genuinità e per la naturalità di ciò che mettiamo sulle nostre tavole non potrà che premiare quei produttori per i quali l’ecosostenibilità è un valore importante e irrinunciabile”.

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Pollo allevato a latte e miele in due diverse preparazioni, patate del Montello Ingredienti per 4 persone: 1 pollo qualità latte e miele 40g aglio bianco veneto 50g zucchine 40g carote 30g spugnole 20g cipollotto rosso 30g sedano verde 40g porro 500g patate del montello 100g spinacini 10g erba cipollina 10g miele 4g cumino 20g scalogno 500g brodo vegetale 5g rafano 200g latte 200g panna fresca 100g olio extra vergine d’ oliva di Marostica 1kg fondo ristretto di pollo

Preparazione dei petti: Disossate il pollo partendo dai petti, tagliateli in due parti partendo dalla parte più spessa, dorate il petto in una padella medio calda con sale e olio, laccate leggermente il pollo con del miele, il cumino e del rafano appena grattugiato, infornare per 8 minuti a 180°C. Preparazione delle cosce: Una volta disossate le cosce, tagliatele un po’ più grosse di una brunoise, lavate e tagliate a brunoise il verde delle zucchine, la cipolla, il sedano, le carote e il porro e le spugnole, soffriggetele con poco olio extra vergine d’ oliva in una casseruola, a parte in una padella molto calda scottate velocemente le cosce di pollo, privatele dell’ grasso in eccesso e aggiungetele alle verdure della casseruola, bagnate con fondo di cottura del pollo fatto in precedenza e continuate la cottura per 15 minuti a fuoco basso. Preparazione del croccante di pollo: Recuperarate la pelle del pollo, debitamente sgrassata, stendetela tra due fogli di carta forno in una placca e infornate con un peso sopra a 145°C per 15-20 minuti, la pelle dovrà diventare croccante. Preparazione del fondente di patate all’ aglio Veneto: In un’ altra casseruola soffriggete lo scalogno e aggiungete le patate pelate e tagliate a pezzi, proseguite la cottura con una parte di brodo vegetale e poco latte, aggiustate di sale e dopo 20 minuti frullate al mixer, otterrete così un fondente di patate. In un pentolino a parte sbollentate l’aglio nella panna ed infine incorporate sempre frullato alla precedente crema. Preparazione delle patate passate: In un pentolino mettete a bollire dell’ acqua leggermente salata, cucinate le restanti patate, pelate e tagliate a pezzi, a continuate la cottura per 10 minuti circa, scolate le patate e setacciatele, conditele con sale olio extra vergine d’ oliva, pepe ed erba cipollina. Presentazione: Adagiate al centro del piatto con l’ aiuto di un coppapasta la patata passata all’ erba cipollina, intorno alla patata alternate le cosce cotte in umido e il fondente di patate all‘aglio, disponete al centro i petti laccati, guarnite con degli spinacini a crudo e servite con il croccante di pelle.

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A l fio Ghe z zi Loca nda M a rgon

Trentino, classe 1970, nel curriculum di Alfio Ghezzi spiccano gli esami superati alla Facoltà di Lettere, il ruolo di docente per la formazione professionale alberghiera, l’esperienza fatta in alcuni monumenti dell’ospitalità italiana quali il Grand Hotel Villa d’Este ed il Grand Hotel Villa Serbelloni, ma soprattutto due esperienze fondamentali da Gualtiero Marchesi, prima in Italia e poi all’estero, (“Penso che Marchesi sia stato determinante nello sviluppare un mio pensiero di cucina”) e al fianco di Andrea Berton, come suo braccio destro da Trussardi alla Scala a Milano prima del ritorno nel suo Trentino.

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Nella storica Villa Margon, con vista sulla valle e sui monti, fra i vigneti di casa Ferrari, Ghezzi propone una cucina basata su una sintesi felice di rigore formale, precisione e creatività, ispirata al territorio, considerato come opportunità e stimolo e non come vincolo. “Il mio obiettivo - spiega Alfio Ghezzi - è valorizzare le materie prime con uno stile che sia un insieme ordinato di prodotto, esecuzione, oggetto e gestualità. Una cucina tendenzialmente semplice caratterizzata da una parte descrittiva (gli elementi devono essere facilmente decifrabili del piatto) e da una parte assertiva (spesso inserisco un ingrediente o un elemento apparentemente sconnesso ma che ha un suo preciso motivo d’essere). Per questo cerco di rifornirmi il più possibile da produttori locali e di valorizzare quanto di meglio offre il Trentino”. Le materie prime per Ghezzi sono fondamentali, per questo è sempre alla ricerca dell’eccellenza, indipendentemente dal fatto che sia con marchio biologico o meno. Gli abbiamo domandato cosa rappresenti per lui il cibo. “Rappresenta la manifestazione di una cultura: se consideriamo cultura tutto

ciò che si manifesta all’interno di un territorio e che resiste nel tempo, ecco, il cibo è un suo effetto”. Determinato e volitivo, il giovane chef considera la cucina come la “letteratura, fatta di rete, di assonanze, echi, reminiscenze, così che spesso per creare una nuova ricetta, spesso si parte ‘liberando’ uno di questi elementi, e poi ci si lavora fino ad arrivare al senso compiuto. La tradizione è molto importante nella genesi di un piatto, ma nella realizzazione contano le materie prime”. Il piatto che presenta al suo primo ingresso alla GourmetArena, è un suo classico, ‘Riso e bollicine, mantecato con erborinato di capra e Ferrari Perlé Rosé’, scelto dallo chef perché “rappresenta un modo di far cucina in funzione di un temapensiero-territorio-ristorante”. E sull’ecostenibilità cosa ne pensa il nostro trentino? “Il rispetto per il territorio è da sempre un valore per chi vive in montagna, quindi penso che questo sia già di per sé un atteggiamento volto a preservare e garantire le risorse per chi verrà dopo di noi”.

Riso e bollicine. Mantecato con erborinato di capra e ferrari Perlé Rosé Ingredienti per 4 persone: Per il riso: 280g riso Gallo Carnaroli Riserva 2l brodo leggero di pollo 80g erborinato di capra 60g burro 1 scalogno Selz di bollicine Perlé Rosé: 750cl Ferrari Perlé Rosé (2006) 3,5g gelatina iota 1 carica di soda

Preparazione del riso: Procedete come per un normale risotto facendo appassire lo scalogno con una noce di burro, poi aggiungete il riso, lasciatelo tostare per alcuni minuti e bagnate direttamente con il brodo proseguendo la cottura per 13 minuti. Togliete dal fuoco, fate riposare il risotto per 2 minuti coperto con un canovaccio quindi mantecatelo con il burro e l’erborinato di capra. Preparazione del selz di bollicine Perlé Rosé: Frullate il Ferrari Perlé Rosé con la gelatina e portatelo sul fuoco fino quasi a raggiungere il bollore, quindi versatelo in un sifone da selz chiudete e caricate con una carica di soda, fate raffreddare ed usate direttamente sul riso prima di servirlo. Presentazione: Versate il risotto nei piatti fondi e versatevi sopra le bollicine di Ferrari Perlé Rosé che avrete ottenuto con il selz. Consigliate al commensale di mescolare il risotto prima di mangiarlo.

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Michel e Gioia , T he Ce s a r del l a Pos ta V ecchia

Una villa seicentesca immersa in un luogo solitario, da un lato il frangersi delle onde del Mar Tirreno, dall’altro un incantevole parco confinante con una riserva naturalistica del WWF: questo è il luogo dove Michelino Gioia lavora. La Posta Vecchia, in quel di Palo Laziale nel comune di Ladispoli (quaranta chilometri dalla Capitale), è un hotel di charme che ospita un ristorante gourmet di classe e sostanza, The Cesar. La Roma imperiale qui rivive nei reperti archeologici del museo sottostante alla struttura, dove è anche possibile cenare in un contesto davvero unico. Michele Gioia, trentasette anni, arriva in quest’oasi di suggestiva bellezza nove anni fa, dopo la formazione in rinomati ristoranti stellati del Lazio, Lombardia, Veneto, Marche, Toscana e all’estero (Il Pellicano, Hotel Eden, Four Season di Milano, Arnol84

fo, Villa del Quar, Perbellini, Uliassi, Ristorante Joia, Alain Ducasse a Londra ed altri). Campano, figlio di contadini, ha imparato fin dall’infanzia ad apprezzare i prodotti della terra, non solo gustativamente ma anche per la loro origine, rispettando il grande lavoro che sta nella loro coltivazione. “La passione per la mia professione – ci spiega Gioia – è costantemente aumentata. Da piccolo mi piaceva mangiare bene e per questo ho iniziato a fare la scuola alberghiera. Poi mi sono sempre più innamorato di questo lavoro stupendo. Le esperienze che ho fatto mi hanno aiutato a comprendere il valore e l’importanza della qualità, del rigore, della cura nei dettagli e dell’etica professionale, che purtroppo negli ultimi anni vanno sempre di più a diminuire”. La sua cucina è espressione della vera mediterraneità e di un forte legame con il territorio, contraddistinta dalla freschezza delle materie prime: frutta, erbe e verdure provengono direttamente dall’orto della villa. La sua è un’interpretazione creativa, con particolare interesse per i piatti regionali rivisitati e le tecniche francesi. Umile, coerente, curioso, solare, Gioia (con un cognome così non poteva essere altrimenti), vive in modo tale che tutto ciò che fa lo emozioni, sia nella vita privata sia in quella professionale. Nella sua concezione il cibo rappresenta piacere ed amore, ed in que-

sto senso i suoi piatti “sono concepiti con amore, dentro c’è l’anima di chi li ha preparati”. Convinto che la tradizione abbia un ruolo fondamentale, essenziale alla formazione di un’identità necessaria a tutti gli chef, il cuoco campano è altrettanto consapevole che tecnica e tecnologia aiutano ad esaltare e conservare tutte le qualità di un prodotto. Gli spunti per i nuovi piatti da Cesar nascono dal confronto fra tutta la squadra di cucina, e da numerose prove, anche se la maggior parte delle volte l’ispirazione scaturisce dalla cucina classica, dai prodotti di stagione e dal territorio. Gli ingredienti fondamentali che accompagnano con costanza il suo lavoro sono l’olio extra vergine di oliva, il basilico e le erbe aromatiche. Interrogato sul fil rouge dell’ecosostenibilità, afferma che “ci è stato fatto un grande dono, dovremmo solo averne cura. La ricerca dell’ecosostenibilità è essenzialmente una forma d’amore verso il prossimo”. Per la sua prima volta a GourmetArena, Gioia propone una ‘Crema di castagne al profumo d’arancia con animelle di vitello e puntarelle’. “Ho scelto alcuni ingredienti in base alla stagionalità, mentre ho inserito le animelle animelle scottate in padella con erbe perché ricordano la tradizione della cucina laziale. L’abbinamento castagne, puntarelle, buccia d’arancio è semplicemente nato per attenuare il dolce della castagna”.

Crema di castagne al profumo d’arancia con animelle di vitello e puntarelle Ingredienti per 4 persone: Per la crema di castagne: 400g castagne 1 scalogno 250g brodo di pollo 200g latte sale q.b 1 buccia d’arancio grattugiata 20g zenzero 2 ginepro ½ anice stellato Per le animelle: 400g animelle 1 limetta 20dl olio 50g semola 1 mazzo di timo ½ mazzo di maggiorana 1 mazzo di rosmarino 750g olio di semi Per le puntarlle: 250g puntarelle già pulite 100dl olio d’oliva timo q.b. sale q.b. 15g zenzero Per la finitura: 8 erbe aromatiche “punte”

Preparazione della crema di castagne: Incidere con un coltellino le castagne passarle al forno per ¾ minuti, privarle della buccia e della pellicina. In una pentola fare appassire dello scalogno con dell’olio d’oliva extra vergine, aggiungere le castagne pulite farle andare per un po’ e dopo ricoprirle con metà brodo di pollo e meta latte, un po’ di zenzero e un mazzetto di odori secchi (ginepro, anice stellato ecc). Una volta cotto aggiustare di sale, frullare il tutto e passare al cornetto cinese, e aggiungere della buccia d’arancio. Preparazione delle animelle: Lasciare le animelle sotto acqua corrente per circa 2-3 ore fin che non si liberi di tutto il sangue residuo. Dopo scottarle in acqua bollente (metterle giù, già con acqua bollente e come riprende il bollore raffreddarle in acqua e ghiaccio), privarle della loro pellicina esterna, contemporaneamente, facendole a bocconcini più o meno della stessa pezzatura passarle nel forno a vapore per circa 3 minuti, raffreddarle subito in abbattitore. Dopo di che adagiarle in una vaschetta insieme alla limetta, per farle prendere sapore. Mentre da parte preparare un trito d’erbe (timo, rosmarino, origano fresco maggiorana). D’aggiungere alla semola, per poi panarci le animelle al momento di friggerle nel olio di semi. Preparazione delle puntarelle: Procurarsi delle puntar elle già pulite, stemperarle leggermente in acqua bollente, dopo di che condirle con gli ingredienti affianco descritti e adagiarli in una formina rotonda. Presentazione: In un piatto fondo, adagiare un velo di crema di castagne, al centro le puntarelle, sopra le animelle dorate, e poi per finire, guarnire con delle punte di erbe aromatiche e delle zeste d’arancio, ed un filo d’olio a crudo.

olio delle sabine q.b. 4 buccia d’arancio a julienne

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A lois Ha l l er , C a s t el Fr ag sburg

Castel Fragsburg è ricavato dalle mura di un’antica dimora di caccia, costruita dalla nobile famiglia dei Conti Mammingen intorno al 1620, completamente ristrutturato con cura epocale e architettonica. La posizione di questo Relais & Châteaux, di proprietà dal 1955 della famiglia Ortner, è veramente invidiabile, con la sua vista su Merano e la Val d’Adige e il suo rigoglioso parco. Alois Haller è dal 2006 il deus ex machina del ristorante stellato. La sua storia d’amore con la cucina inizia presto: “Sono nato e ho vissuto in un maso tipico dell’Alto Adige, in Val Passiria, dove avevo contatto diretto con i prodotti locali sin da bambino. Ho sempre

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aiutato i miei genitori nei vari lavori a contatto con la natura, da qui è subito nata la mia prima passione per i prodotti naturali e di alta qualità. Nella relazione diretta con madre terra ho capito che volevo assolutamente fare il cuoco per poter appassionare altre persone a questo mondo. Quindi, dopo l’apprendistato e le prime esperienze in ristoranti dell’Alto Adige, ho iniziato a viaggiare e a conoscere altre interpretazioni della gastronomia”. La nostalgia per le sue montagne lo spinge però a rientrare in patria, anche per ritrovare quella qualità delle materie prime veramente eccezionali e uniche, “la mia vera fonte di ispirazione: per questo amo mantenere integro il loro gusto primario”. Lo chef acquista quotidianamente ingredienti freschi da fornitori locali da lui personalmente selezionati. Ma Haller non si chiude al mondo: “La mia filosofia culinaria è quella di usare i prodotti migliori e di alta qualità da tutto il mondo. Fondamentale per me è saperne il più possibile (origine, metodo di coltivazione…) per abbinarli in modo creativo alle nostre specialità locali e regionali, in modo da presentare agli ospiti

un piatto tradizionale in modo innovativo. Utilizzo prodotti biologici (per esempio carne, salmerino, verdura e frutta) ma solo se sono di alta qualità e se conosco bene la loro provenienza”. Haller, che si definisce “un cuoco normale, soddisfatto del lavoro che svolge” è legato alla tradizione, nella sua accezione di conoscenza delle origini culinarie, ma è aperto a idee e tecniche nuove. “Il cibo e la cucina sono i mezzi per esprimere la mia creatività, che non ha limiti, attraverso la quale riesco a dar vita a creazioni originali, spesso utilizzando il mio ingrediente preferito, le erbe del nostro giardino. Ho forse una sola regola: non supero mai i tre elementi in un unico piatto”. In questa edizione di GourmetArena (lo chef ha già partecipato ad altre presentazioni meranesi), sceglie ‘Uva meranese con arance candite e sabbia di olive taggiasche’, “per comporre con questi tre speciali prodotti italiani, ovvero uva di Merano, arance della Campania e olive liguri, un’armonia di gusti tra il dolce, lo speziato e l’aromatico”.

Uva meranese con arance candite e sabbia di olive Taggiasche Ingredienti per 4 persone: 1 grappolo d’uva 1 vaniglia 200g acqua 100g zucchero Per le arance candite: 3 arance 50g acqua bollita 50g zucchero

Preparazione dell’uva marinata: Sbollentare l’uva nell’acqua bollente e raffreddarla nell’acqua ghiacciata. Sbucciare l’uva e togliere i semi. Portare ad ebollizione l’acqua con la vaniglia e lo zucchero, aggiungendo l’uva e lasciar riposare per tre giorni. Preparazione della schiuma d’uva: Frullare un terzo dell’uva e dell’acqua vanigliata e versare in un panno appeso. Aggiungere la lecitina di soia e fare la schiuma. Preparazione della sabbia d’olive taggiasche: Essiccare le olive taggiasche a 50°C per un giorno. Tritare finemente le olive essiccate. Preparazione delle arance candite: Sbucciare le arance e bollire la buccia per tre volte. Poi candire con lo zucchero per quattro volte. Mischiare la spremuta con 50g di acqua e 50g di zucchero, frullare con la buccia e congelare.

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I va n Jus ta , Gr a nd Ho t el Pa l a z zo

Nato a Fiume quasi trent’anni fa, Ivan Justa, dopo aver finito gli studi in Croazia, si trasferisce in Italia ad imparare praticamente la professione.

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In particolare alla Trattoria ai Castellieri di Monfalcone, con lo chef Luciano Zaganelli, che considera il suo maestro, dal quale apprende i dettami di una cucina italiana tradizionale (Zaganelli ha origini piemontesi, romagnole, liguri, friulane…!). Dopo sei anni nel nostro Bel Paese, rientra in Istria, e lavora per alcuni ristoranti di Parenzo. Poi, nel febbraio 2012, la svolta: viene assunto come Executive Chef al Grand Hotel Palazzo di Parenzo. Una struttura datata ai primi del Novecento, completamente ristrutturata tre anni fa, con una posizione proprio in riva al Mar Adriatico. Appassionato di cucina fin dalla

tenera età, deve alla nonna il suo imprinting culinario, e al suo carattere la caparbietà di proseguire nella ricerca gastronomica. “Nella mia cucina unisco i sapori della cucina mediterranea a quella istriana e internazionale, dando loro equilibrio e armonia. Credo che la tradizione sia molto importante per questo propongo ricette con le carni del nostro bovino istriano ‘Boskarin’ e con quelle dell’asino istriano oltre a tanto pesce dell’Adriatico - ma che debba essere costantemente rinnovata con un tocco moderno”.

Filetto di manzo avvolto in pancetta istriana cotto in sale grossa con crema di zucca e rosmarino Ingredienti per 4 persone: 600g di filetto di manzo 300g di pancetta istriana 1.5kg di sale grosso 0,5l di olio d’oliva Per la crema di zucca e rosmarino: 1dl di besciamella 0,5dl di olio di semi di zucca 1 capo di cipolle selvatiche

Preparazione: La zucca va cotta in forno nella crosta a 160 gradi fino a quando diviene morbida. Nell’olio di semi di zucca va soffritta la cipolla e vanno aggiungiunti la zucca macinata, il gambo di sedano e il ramoscello di rosmarino. Tutto va coperto con il brodo vegetale, poi ridotto ad una certa densità da mescolare con la besciamella. Il filetto di manzo va salato e cotto nell’olio d’oliva da tutti i lati. Lasciate riposare il filetto per 30 minuti e dopo avvolgetelo nella pancetta istriana. Poi mettete il filetto nel sale grosso e lasciate cuocere in forno per 30 minuti a 170 gradi.

0,5 di brodo vegetale 1 ramoscello di rosmarino 1 gambo di sedano

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M a s simo Men ta s t i, La Ga l l in a di V il l a Spa r in a R e s or t

In un complesso del Settecento a Monterotondo di Gavi, i fratelli Stefano, Massimo e Tiziana Moccagatta, della famiglia dei produttori a marchio Villa Sparina, hanno avviato una decina d’anni fa un progetto di valorizzazione del territorio. La casa padronale viene trasformata in un resort, che comprende l’azienda agricola Villa Sparina (conosciuta per il Gavi Docg), l’Ostellerie, un albergo aquattro stelle, e il ristorante La Gallina. Qui lo chef Massimo Mentasti propone ricette che fanno esprimere i sapori della cucina piemontese. Le sue esperienze precedenti, prima di arrivare a Villa Sparina cinque anni fa, lo hanno portato dalla costa Smeralda al Four Season di Milano, passando per stage negli stellati Miramonti l’altro, Perbellini, D’O. Ma il 90

vero incontro professionale e umano è al Cavallo Bianco di Aosta con Paolo Vai, che conosce al Mont Blanc di La Salle. Ventinovenne che vive la gastronomia con convivialità, divertimento e passione, riassume in una frase la sua filosofia culinaria: ‘cucina di memoria e di ghiottonerie personali’. “La mia passione per il cibo deriva da una tradizione di famiglia. Mia nonna aveva una gastronomia, mio padre ha una salumeria… rimanere nel mondo del food era naturale. Mangiando, poi, ho evoluto le mie conoscenze culinarie. L’ispirazione per creare le mie ricette la traggo tutti i giorni da ciò che mi piace, trasformo la mia golosità in qualcosa alla portata di tutti, mantenendo i sapori, i gusti e i colori. Tutto ciò che uso in cucina per me è importante, dall’ingrediente più ‘semplice’ e ‘povero’ fino a quello più ricercato”. Muovendosi con agilità tra gli usi gastronomici del basso Piemonte, Mentasti segue una rispettosa interpretazione della tradizione e della tecnica contemporanea. “La tradizione è la base e la conoscenza della modernità in cucina e ritengo fondamentali le tecnologie, se servono per mantenere o addirittura migliorare i prodotti, i sapori e i profumi autentici. Ma il sentimento, la passione, la componente spirituale e

l’umiltà, sono, assieme ai prodotti ecosostenibili, le fondamenta per la buona riuscita ai fornelli”. Il suo ‘Risotto al pomodoro che vuole diventare pizza’ viene interpretato “con la schiettezza degli ingredienti dei miei piatti. Dal riso, piatto semplice per antonomasia, allo stracchino, ottenuto appunto, dalle vacche stracche che scendevano dall’alpeggio, fino ai capperi sotto sale, il più antico e naturale metodo di conservazione. Nelle vicinanze del nostro complesso tra l’altro, passava l’antica via del sale: direi che è più che un richiamo alla tradizione del territorio. Ho utilizzato prodotti facili, ma di gusto importante. Prodotti che arrivano direttamente dal mare e dalla terra, ma combinati in modo da reinterpretare un classico come la pizza. Penso che sia fondamentale tornare a comprendere come il fatto di lasciar spazio alla natura, senza forzarla, sia il modo migliore di interpretare tutte le professioni, a partire da quelle come la mia. Utilizzare in cucina prodotti biologici per esempio è importante: noi usiamo i prodotti del nostro orto. Credo che vadano riscoperti la quotidianità con l’ambiente che era propria dei nostri nonni e bisnonni e i ritmi naturali delle stagioni, valori irrinunciabili da lasciare in eredità ai nostri nipoti”.

Risotto al pomodoro che vuole diventare pizza Ingredienti per 4 persone: 280g di riso Carnaroli invecchiato 60cl di passata di pomodori datterini brodo q.b. 30g di capperi all’aceto 12 filetti di acciuga maggiorana 200g di stracchino 100g di parmigiano olio, sale, pepe q.b.

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C a r l o Mol on, S ou s C hef del C a nne t o S her at on Mil a n M a l p en s a

Enrico Fiorentini è l’Executive Chef del ristorante allocato nello Sheraton (acquisito nel 1998 da Starwood) a Malpensa, l’unico albergo con accesso diretto al Terminal 1 dell’aeroporto. Quattrocentotrentatre camere all’interno di una realtà con una serie di strutture faraoniche. Per gli amanti degli effetti speciali per esempio, nell’arioso e luminoso ristorante, svetta la Wine Tower, una torre di vetro alta sei metri nella quale bottiglie di vini provenienti da tutto il

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mondo sembrano sospese in aria, creando un forte impatto scenografico. Fiorentini, dopo esperienze in ristoranti italiani fra i quali Peck, allora guidato da Daniel Drouadaine, comincia a lavorare nella CIGA Hotels e da lì attraverso il gruppo Starwood (ma non solo) inizia a girare il mondo, in Egitto, Emirati Arabi, Siria, Bahrain, Gran Bretagna, Slovenia… dopo quindici anni di peregrinazioni, torna in Italia nel 2010 per l’ultimo nato italiano in casa Starwood. Vagabondo com’è, non resiste però a tornare temporaneamente per lavoro all’estero e quindi per il fatidico giorno all’Arena Gourmet non può essere presente. Delega quindi al suo Sous Chef, Carlo Molon, la creazione della ricetta e la sua realizzazione a Merano. Il quarantenne Molon é appassionato di cucina fin da piccino, da quando il padre veneto, appassionato gourmet, lo coinvolgeva ai fornelli durante i week end in casa. “Amavo l’andar per boschi a raccogliere funghi – ci racconta -, a cercare i bruscandoli, le lumache… e poi

vederli cambiati dalla cottura. Ancor oggi osservare la metamorfosi da prodotto naturale a piatto finito mi cattura. D’altronde per me la cucina è la capacità di trasformare ed esaltare i prodotti che la natura ci offre, è il punto d’incontro tra materia e conoscenza”. Molon è un po’ emozionato di essere al GourmetArena al cospetto di chef che stima e ammira, ma, con la sua solarità e positività, è pronto ad affrontare la prova. La sua ricetta è ‘Ravioli di farina integrale con Taleggio e pomata d’uva fragola’. “Nella mia preparazione, ho preso in considerazione la mia regione d’origine, risalendo ai ricordi d’infanzia ed ai prodotti che erano sempre sulla nostra tavola di casa, e quella d’adozione dove vivo tuttora”. Al Canneto c’è molta collaborazione e spirito di squadra, tanto che le ricette escono “dalla fusione delle idee che tra tutti noi sviluppiamo. Credo che sia molto importante non solo valorizzare la genuinità dei prodotti ma saperne trasmettere la conoscenza”.

Tortelli di farina integrale al Taleggio con pomata d’uva fragola e pancetta croccante Ingredienti per 4 persone: Per la pasta: 150g farina integrale 150g farina “00”

Preparazione: Preparare una pasta all’uovo con le due farine. La farcia molto semplice combinando il taleggio alla patata schiacciata. La marmellatina d’uva fragola bella legata. “Semplice realizzazione di metodolgia essenziale”.

3 uova Per il ripieno: 300g taleggio 100g patate lesse Per la pomata d’uva fragola: 300g uva fragola 100g zucchero 20g farina Per la conserva: 200g uva fragola 50g burro

Tortelli di farina integrale al Taleggio con pomata d’uva fragola e pance4a croccante

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Dieg o Rig o t t i, M a s o F r a nc h

Maso Franch ha origini antiche. Nel 1802 Pietro Franch prese la decisione di edificare parte del vigneto e di farne la sua dimora. Un’antica struttura immersa nel suggestivo contesto delle vigne, tra i profumi dell’uva ed i colori del Trentino, fin dal principio, furono un punto di riferimento importante per l’agricoltura locale. Il Maso rappresenta il fulcro della composizione paesaggistica dell’area: costituito da un’antica ala ristrutturata integrata con una nuova struttura, si trova nel comune di Giovo

e si estende su una superficie totale di 11 ettari, dominando la Valle dell’Adige e l’abitato di Lavis. In cucina, Diego Rigotti, che prima di arrivare a Maso Franch ha avuto esperienze alla corte di celebri chef del calibro di Gualtiero Marchesi, Carlo Cracco, Andrea Berton - che considera il suo maestro - e Marc Veyrat (famoso cuoco francese tristellato). Da piccolo, assaporando gli odori e i sapori della cucina della nonna francese, aveva già scelto la sua futura carriera. Nel tempo si è sempre più appassionato al suo lavoro, ispirandosi ad un’attenta interpretazione del genius loci. Amante in assoluto della cucina gourmand, è sempre alla ricerca di materie prime di alta qualità legate al territorio. Alla sua prima volta alla GourmetArena, Rigotti presenta una ricetta che “con grande rispetto nei confronti della natura e del suo sostentamento quotidiano esalta la terra con i suoi elementi”. Terra che per il cuoco rappresenta concretezza, sobrietà ed ele-

ganza. D’altronde la filosofia culinaria del giovane chef è basata sull’interpretazione di una cucina creativa legata fortemente al senso di terroir, declinata secondo canoni del gusto che cercano di conservare una tradizione forte, mai tradita anche se diversamente interpretata. I suoi ingredienti fondamentali? “Olio e erbe spontanee. Per dar vita ad uno stile che sia rispettoso, concreto, creativo ed elegante”. La scelta di utilizzare prodotti biologici a Maso Franch è molto sentita, tanto che sono impiegati nella maggior parte delle loro creazioni. Pur essendo consapevole che la tecnica culinaria ha un ruolo importante per dare le giuste basi a liberare l’immaginazione nei piatti e a spaziare nella ricerca, Rigotti mantiene una devozione rigorosa per il rispetto delle tradizioni. Fortemente radicato alle sue radici, si descrive come una montagna, “perché ciò che Le ho detto sono le regole della mia vita, le stesse che mi servono per scalare la vetta e arrivare alla cima”.

Dessert il Sottobosco Ingredienti: Per il crumble: 375g di farina di mandorle extra fine

Presentazione: Disporre su un piatto una pennellata di crema montata, la terra di cioccolato, due pezzi di biscotto areato, il gelato alla rosa canina e dei frutti di bosco croccanti.

315g di farina “00” 360g di zucchero di canna 65g di cacao 20g di sale 8g di cannella 365g di burro 2 fave di Tonka Per il biscotto areato al the verde: 140g di pistacchi 30g di the verde 40g di farina setacciata 165g di zucchero a velo 160g di tuorlo d’uovo 250g di albumi olio d’oliva q.b. Per il gelato alla rosa canina: 800g di latte 120g di zucchero 200g di panna al 35% M.G. 50g di destrosio 25g di glicerina 10g di stabilizzante 25g di estratto di rosa canina Per la crema montata al pistacchio: 280g di pistacchio 80g di zucchero 480g di acqua minerale 8g di the verde

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W il l l iam Zonfa , M agione Papa l e

Piccoli borghi incastonati tra i monti, prati a perdita d’occhio e distese agricole segnate dalla curva del fiume Aterno: questi luoghi furono probabilmente segnati dal passaggio dell’eremita Pietro da Morrone, futuro papa Celestino V. A lui è dedicata la Magione Papale, una residenza esclusiva nata dal recupero di un antico mulino e degli spazi circostanti. E questo è il regno dello Chef William Zonfa, aquilano doc,

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fresco del riconoscimento della rossa stella. Ripercorriamo con lui l’origine della sua passione per la cucina: “Molte volte io e mio fratello rimanevamo soli in casa e per ovviare al classico panino, telefonavo a mia madre per farmi spiegare come potevo preparare in poco tempo un classico piatto di pasta. Ho iniziato così, per caso in casa. Dopo aver finito le medie, ho chiesto a mio padre di iscrivermi all’Istituto Alberghiero. Da qui è nato tutto”. Il suo percorso, dopo gli studi, lo porta ad alcune significative esperienze, iniziando con il mondo dell’alta ristorazione in Germania, in un due stelle Michelin. Dopo un paio di anni ha l’opportunità di lavorare con grandi chef francesi e di frequentare un corso di alta cioccolateria. Tornato in Italia, presta la propria opera in vari ristoranti, fra i quali gli stellati il Pellicano a Porto Ercole e il Mosaico a Ischia.

“La mia fortuna – ci racconta - è stata l’aver capito subito, sin dai primi anni di studio, che la mia professione richiede dei notevoli sacrifici continui”. Già: oggigiorno, con lo show che si fa sui media televisivi sembra facile fare lo chef per diventare famoso e ricco. Salvo poi entrare nel mondo del lavoro e rendersi conto che la strada non è assolutamente semplice e scontata come sembrava. I maestri incontrati per la via, in questo senso, sono importanti: “Ho conosciuto tanti professionisti che mi hanno dato la possibilità di acquisire molta tecnica e fatto capire che il successo di questo lavoro è proporzionale alla passione che si nutre per esso. Per citarne uno in particolare, lo chef Antonio Guida del Pellicano”. Si definisce “disponibile, capace di interagire con chiunque, simpatico ed umile”. Caratteristiche caratteriali che l’hanno sicuramente aiutato nella sua attività.

Uovo patate e peperoni Ingredienti per 4 persone: 4 uova freschissime da 65g l’una 4 peperoni rossi 5/6 patate da 80g circa (possibilmente pasta gialla e consistenza asciutta) olio extravergine d’oliva sale e pepe germogli di porro

Preparazione: Arrostire i peperoni sulla brace in maniera violenta, in modo che la pelle bruci, si riesca a staccare e il colore rosso del peperone resti vivo. Mettere i peperoni in una busta di plastica e lasciarli raffreddare. Spellare i peperoni e tagliare finemente come se stessimo facendo delle tagliatelle. Asciugare i peperoni al forno a 55 °C per 24/28 ore. Quando sono abbastanza asciutti bisogna frullare e setacciare i peperoni per ottenere una polvere di peperone arrosto. Lavare e sbucciare le patate. Con le bucce delle patate realizziamo un brodo. Tagliare le patate a cubetti tenendone una intera da parte e farle bollire nel brodo appena fatto. Portare il tutto a concentrazione, ovvero le patate devono essere bollite e il brodo deve essersi ritirato del tutto. A questo punto si può frullare, salare e pepare il preparato. Cuocere l’uovo a bassa temperatura per 38 minuti a 66 °C. Sfogliare la patata rimasta e realizzare delle tagliatelle lunghe 20 cm e spesse 1,5 cm. Avvolgere attorno ad un coppa pasta e friggere fino a doratura ottenendo così anelli di patate. Presentazione: In un piatto del tipo cappello di prete mettiamo la crema di patate, l’anello di patate ed infine l’uovo salato sopra in modo da reggere il tutto, spolveriamo con la polvere di peperone arrosto, decoriamo con i germogli e infine con un filo di olio a crudo.

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Spumanti Inglesi di Irene de Gasparis

S

orseggiare un delizioso champagne nella suggestiva campagna inglese. Decisamente romantico, ma anche estremamente interessante per gli amanti delle bollicine, perché lo champagne non è francese, ma inglese! I vini spumanti del Regno Unito hanno infatti lasciato tutti a bocca aperta quando, negli ultimi anni, hanno cominciato a vincere premi su premi ai concorsi internazionali, anche battendo i propri cugini d’oltremanica. D’altra parte non c’è da meravigliarsi considerando che la parte sud dell’Inghilterra è ottimale per la loro produzione essendo molto simile, come suolo e clima, allo Champagne. Le uve coltivate sono sia quelle classiche, cioè Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier, che altre varietà meno tradizionali come il Reichensteiner o il Dornfelder e soprattutto il Seyval Blanc,che rendono alcuni degli spumanti inglesi decisamente diversi e particolari. La produzione, fatta col metodo tradizionale, è ancora piuttosto piccola, anche se si sta sviluppando velocemente, ed è quasi completamente allocata nei migliori negozi, wine bar e ristoranti inglesi.

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La maggior parte delle cantine si è attrezzata con sala degustazione (Tasting Room) e negozio, oltre alla possibilità di visitare la proprietà. Tra i più prestigiosi nomi da assaggiare, possibilmente “in loco”: Camel Valley, Chapel Down, Denbies, Nyetimber, Ridgeview. È sempre meglio controllare orari e possibili chiusure sui siti web delle varie aziende. C a mel Va l l e y Si trova sulle rive del fiume Camel, in Cornovaglia. Le uve coltivate sono Bacchus, Seyval Blanc, Pinot Noir, Reichensteiner, Dornfelder, Rondo e Chardonnay. Bob Lindo e suo figlio Sam, affabili proprietari della tenuta, hanno organizzato un’offerta giornaliera di visite e assaggi, da godersi anche nella splendida terrazza con vista sui vigneti. È possibile soggiornare nella proprietà in uno dei cottage disponibili. www.camelvalley.com 102

Ch a pel Do w n Nel Kent, coltiva Bacchus, Chardonnay, Pinot Blanc, Reichensteiner, Schönburger, Müller-Thurgau, Pinot Noir, Dornfelder, Rondo, Regentha. È possibile degustarei suoi prodotti tutti i giorni presso il negozio o abbinati al cibo nel ristorante di recente apertura The Swan mentre le visite vanno prenotate in anticipo. Se qualcuno volesse sentire l’ebbrezza di farsi il proprio vino, è poi possibile il “vine lease” che da diritto a partecipare alla vendemmia e ricevere il proprio vino con etichette personalizzate. www.chapeldown.com

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Denbie s Situata nel Surrey, è una delle più grosse aziende vitivinicole private in Europa, di proprietà della famiglia White. Organizzazione da grande azienda con visite, degustazioni, due piacevoli ristoranti, The Conservatory and The Gallery ed un B&B nella proprietà. Molti gli eventi speciali in programma incluso un giorno a fare la vendemmia, partecipando attivamente alla varie fasi della produzione. www.denbies.co.uk

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N y e t imber I suoi plurimedagliati cuvees, fatti con le tradizionali uve da Champagne Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Meunier, sono sfortunatamente assaggiabili solo nei vari negozi, wine bar e ristoranti che li vendono. La proprietà non è aperta al pubblico. Ed è un vero peccato perché sia il terreno che la Manor House, nel West Sussex, sono parte integrante della storia inglese. Cromwell li ricevette in dono da Enrico VIII, che prontamente se li riprese per darli alla sua ex moglie Anne de Cleves quando Cromwell perse i suoi favori, oltre alla testa. www.nyetimber.com

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R idge v ie w W ine E s tat e Solo uve classiche anche per Ridgeview, di proprietà della famiglia Roberts. situata nei South Down nel Sussex. Visitabile solo in alcuni giorni prestabiliti, da controllare sul sito, ha comunque la tasting room aperta tutti i giorni, esclusa la domenica. Uno dei suoi spumanti è stato scelto per essere servito a due dei party ufficiali per il Diamond Jubilee della Regina Elisabetta. www.ridgeview.co.uk I produttori inglesi hanno anche un’assocaizione che li riunisce, E n g li s h W in e P r o du c e r s , c o n un sito molto informativo: www.englishwineproducers.com

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Il vignaiolo 2.0 TESTO DI FRANCESCA D’AGNANO

L

uca Ferraro ha poco più di trent’anni, ha imparato a guidare il trattore prima che ad andare in bicicletta, ha trascorso infanzia ed adolescenza al fianco del nonno e del padre tra le vigne, ha un’esperienza ed una professionalità che alla sua età sono un dono raro. Mi parla dei vini dell’azienda di famiglia, BeleCasel a Caerano San Marco in provincia di Treviso, lo fa senza prender fiato, ha un entusiasmo conta-

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gioso ed è evidente quanto sia innamorato del suo lavoro e della terra da cui tutto nasce. Le vigne sono parte integrante di questa famiglia che ha deciso di dedicar loro tutta la vita, la produzione è scandita dalle stagioni, ogni passaggio è seguito con attenzione e dedizione, nulla è lasciato al caso, nessun dettaglio è trascurato nella fermentazione e nella spumantizzazione. Ogni singola bottiglia prodotta custodisce in sé studio e dedizione, Luca e i

suoi sono diversi anni che investono risorse e tempo per limitare al minimo l’apporto chimico nei vini. Questo approccio ha premiato: negli ultimi cinque anni si sono aperte per loro frontiere commerciali che anche solo poco tempo prima, mentre etichettavano le bottiglie a mano, non riuscivano neanche ad immaginare. Sulla bontà dei vini BeleCasel in molti si sono già espressi e ciò non può che esser segno di pro-

dotti eccellenti, ma c’è un elemento che conferisce a questa azienda un importante valore aggiunto nell’era delle nuove tecnologie. Luca ama il suo lavoro in vigna ed è riuscito a coniugarlo con un’altra grande passione che è il web. Negli anni in cui le grandi aziende iniziavano a costruire i loro siti affidandosi ad esperti, lui alimentava la presenza di BeleCasel in rete con naturali doti da comunicatore.

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Prima c’è stato myspace, poi facebook, oggi twitter, instagram, pinterest, skype e innumerevoli altri social network da fare invidia alle più note agenzie di comunicazione. Ho conosciuto Luca proprio attraverso twitter, affascinata dalle bellissime foto che quotidianamente pubblica. Lui è tra i pochissimi del suo settore che ha compreso quanto sia importante coinvolgere il consumatore nelle fasi di realizzazione del prodotto, il web è il luogo ideale perché ciò avvenga. Cresce l’attenzione per la filiera, aumenta la curiosità sull’origine di quello che mangiamo e beviamo e sentire i produttori così vicini valorizza il prodotto finale.

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La storia di questo ragazzo e il lavoro che quotidianamente svolge nell’azienda familiare è l’esempio calzante di come le nuove generazioni possono affiancare le precedenti apportando stimoli, conoscenze e valore. Luca ha sempre saputo che sarebbe diventato un vignaiolo, da quando su quel trattore imparava ad interpretare la natura ed oggi

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può dirlo ancora una volta con orgoglio: non poteva augurarsi futuro migliore. bele casel a zienda agricola s.s Via Moresca, 136/c – 31031 Caerano San Marco TV – Italy www.belecasel.it

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Caravaggio, pittore divino L’uva, il vino e Bacco nella pittura di Michelangelo Merisi. Testo e foto di Giulia Fiore Coltellacci

U

n celebre proverbio latino dice: “In vino veritas”. Al di là del significato intrinseco del detto, esso ne assume uno simbolico se messo in relazione a quelle opere di Caravaggio in cui il vino e l’uva sono protagonisti. Quei primi dipinti giovanili possono infatti diventare una chiave di lettura per comprendere la complessa, intensa, potente opera del pittore seicentesco. Prendete pure un grappolo d’uva croccante o servitevi un bel bicchiere di vino, se preferite, e preparatevi ad entrare nello spirito giusto per intraprendere un breve viaggio in quelle opere del pittore in cui, attraverso la rappresentazione dell’uva e del vino, e la loro simbologia, possiamo rintracciare i semi di quella che sarà poi la sua rivoluzionaria pittura. Come dire: nel vino di Caravaggio, la veritas sulla sua opera. Anche chi non conosce a fondo la figura di Caravaggio, conosce però la sua immagine di pittore maledetto, genio sregolato dal carattere rissoso e fumantino sempre pronto ad impugnare la spada. A questa immagine ha certamente contribuito il delitto di cui si macchiò in seguito ad un banale litigio, evento che lo costrinse a scappare e nascondersi fino alla sua morte. Ora, è indubbio, come dicono le fonti, che Michelangelo Merisi fosse “molto

incline a duellare e far baruffa” e che portasse sempre con sé il pugnale. Ma la rissosità era un tratto di costume diffuso nel ‘600, chiunque girava armato. Roma al tempo di Caravaggio era pericolosa e sanguinaria, un luogo degno dell’immaginario pulp di un regista come Quentin Tarantino. È quindi banale, quasi superficiale, mettere in relazione la frequenza con cui compaiono uva e vino nei dipinti di Caravaggio con la sua immagine di cucina gourmet

testa calda, frequentatore di taverne ed osterie dove il vino, certamente, scorreva a fiumi. Dietro c’è molto di più. Perché niente nella sua pittura è mai come sembra in apparenza. E così il suo carattere ribelle, lo fa diventare un pittore innovativo, la cui portata artistica è rivoluzionaria. Questo emerge proprio dai suoi primi quadri in cui uva e vino sono protagonisti.

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Grappoli d’uva rossa, bianca e nera nel Fanciullo con canestra di frutta (1593-94, Galleria Borghese, Roma). Il dipinto fa parte di un gruppo di opere confiscate nel 1607 al Cavalier d’Arpino, pittore alla moda all’epoca, presso il quale Caravaggio lavorò per un periodo e che era stato incarcerato per un’appropriazione indebita (e questo tanto per ribadire che Caravaggio non era l’unico ad avere problemi con la giustizia!). Già in questa opera giovanile c’è tutta l’abilità dell’artista nel raffigurare ogni dettaglio. In particolare, oltre al realismo psicologico, carattere fondamentale nell’opera del pittore, qui rappresentato dall’atteggiamento stanco e annoiato del giovane, con la spalla languidamente scoperta, ciò che a noi interessa è proprio il cesto di frutta: con quei chicchi d’uva lucidi, invitanti, resi vivi di una vita silenziosa dalla sensibilità della luce che li bagna. Eppure, a ben guardare, già si nota qualche piccola imperfezione in questo che all’apparenza sembra un tripudio di frutta: qualche pampino ingiallito ci ricorda che niente è come sembra.

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Ed ecco infatti che nel Bacchino malato (1593-94, Galleria Borghese, Roma) Caravaggio già mette in atto la sua rivoluzione artistica. Il soggetto è quanto mai classico: Bacco il dio del vino, dell’estasi e della liberazione dei sensi. Niente di questa potenza nella tela, niente del carattere divino, addirittura niente vino ma solo uva e per giunta uva appassita: il Bacco di Caravaggio è malato. Ormai si è praticamente certi che la tela è un autoritratto. Pare, infatti, che in quel periodo Caravaggio fosse stato malato. Le imperfezioni non sono affatto attenuate, ma anzi sottolineate: il pallore del volto come il colore livido delle labbra rimandano alla malattia che non ha nulla di divino (soprattutto in senso classico) ma molto umano. Ecco che già Caravaggio umanizza il divino, come poi i suoi santi e le sue Madonne saranno gente del popolo. Anche l’uva che Bacco tiene in mano ha alcuni chicchi troppo maturi, altri secchi, altri addirittura sono caduti lasciando impietosi buchi sul grappolo dorato che non ha nulla del tripudio dei baccanali. Nella simbologia cristiana l’uva bianca è la resurrezione, quella nera la morte. È come se stringendo in mano il grappolo d’uva bianca il BacchinoCaravaggio malato sperasse in una sua resurrezione/guarigione. Certo è che, trattando in modo realistico, quasi crudo, un tema generalmente idealizzato come la divinità, Caravaggio mette in gioco quel rapporto ambivalente fra sacro e profano che è una chiave della sua arte.

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Sacro e profano anche nel Bacco della Galleria degli Uffizi di Firenze (1596-97). Innumerevoli le interpretazioni di questo Bacco spossato e sensuale, dallo sguardo languido, il viso paonazzo, le palpebre pesanti (che abbia bevuto troppo?), la mano malferma che fa increspare il vino nella coppa protesa in maniera invitante verso lo spettatore. In molti hanno visto nella divinità classica il Cristo redentore (d’altra parte il vino è il sangue di Gesù) e hanno messo in evidenza come alcuni dettagli del quadro rimandino alla rappresentazione dello sposo nel Cantico dei Cantici, che è a sua volta immagine allegorica di Cristo, un esempio per tutti, la coppa di vino: “il tuo ombelico è una coppa tornita dove non manca mai il vino” recita i Cantico. Meravigliosi giochi di luce illuminano gli oggetti del dipinto: l’ampolla con il vino è toccata magicamente dalla luce così come l’uva che si trova sia nel cesto con l’altra frutta che sulla testa di Bacco in foggia di autunnale corona. L’uva, come i fichi, il melograno e la mela, sono tutti frutti descritti nel Cantico dei Cantici (come si è già detto niente è casuale in Caravaggio). Da sottolineare, oltre ai rimandi alla simbologia cristiana e al tema dell’ubriachezza spirituale, è la maestria con cui il pittore “mette in scena” la composizione: tutto sembra estremamente spontaneo, mentre niente è casuale. Come un bravo regista, Caravaggio dispone il soggetto e gli oggetti nello spazio e, come un bravo direttore della fotografia, sceglie la sua inquadratura e posiziona la luce in modo che essa faccia risaltare ogni dettaglio ( da notare le bollicine nella caraffa ad indicare che il vino è stato versato da poco), mettendo in evidenza ciò che è essenziale.

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È la naturalezza che nasconde l’artificio. Torna il gioco tra apparenza e realtà. Un’ultima curiosità: durante un restauro del quadro, sofisticate analisi hanno permesso di scoprire proprio all’interno della caraffa di vino il volto di un uomo: si pensa sia lo stesso Caravaggio… Arriviamo infine al quadro con cui il pittore ha rivoluzionato e reinventato un genere pittorico: la natura morta. Più viva che mai è la natura rappresentata nella Canestra di frutta (1596, Pinacoteca Ambrosiana, Milano), “quasi deflagrante” e illuminata da una luce che vivifica foglie e frutti. Torna anche in questo quadro, commissionato dal Cardinal del Monte per regalarlo a Federico Borromeo, appassionato di nature morte, il gioco tra sacro e profano, realtà e apparenza, naturalezza e simbologia. Senza lasciare mai nulla al caso, Caravaggio

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non sceglie di dipingere un cesto di frutta per giocare con le forme e i colori, come generalmente facevano i pittori di nature morte, ma lo fa per intavolare un discorso più ampio sulla vanitas, sulla natura effimera della vita e delle cose terrene. Il cesto di vimini, rappresentato con un realismo impressionante, è disposto sull’orlo del tavolo, in bilico, suggerendo un senso di precarietà. Le foglie della vite sono accartocciate, macchiate, secche. L’uva bianca è quasi ingiallita, alcuni chicchi sono avvizziti. La mela in vista è bacata. Il cesto sembra rigoglioso, ma i frutti sono già troppo maturi. Più che morta questa natura è vissuta. Niente è per sempre, sembra volerci dire Caravaggio, anche se la luce quasi divina che investe il dipinto amplificandosi sul fondo giallo ocra, dona comunque una qualche speranza. Ecco la portata rivoluzionaria della

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natura morta di Caravaggio: essa non rappresenta più solo, ma allude, simboleggia, in questo caso la caducità della vita attraverso la vite. Questo tema della brevità e della transitorietà dell’esistenza ci riporta direttamente al vino e a Bacco. Lasciando Caravaggio e la sua potente pittura in cui anche l’uva e il vino non sono mai solo quello che appaiono ma molto di più, ci lasciamo cullare dalla malinconia festosa di Lorenzo il Magnifico e del suo Trionfo di Bacco e Arianna (o Canzona di Bacco). In modo più semplice di Caravaggio, ma non meno malinconico il Magnifico invita, attraverso questo componimento poetico, proprio a stare in guardia dalla vanitas della vita perché, come la frutta di Caravaggio, niente è fatto per durare e allora… Chi vuol esser lieto sia/ di doman non c’è certezza”.

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Santorini. Un viaggio tra il mito di Atlantide e il vino della lava Testo e foto di Lorella Lucchetta

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“…un tempo… al di là di quello stretto che voi chiamate le “Colonne d’Ercole” si trovava un’isola (…) Quest’isola di nome Atlantide (…), nel giro di un giorno e di una notte terribili scomparve negli abissi”. Sono i frammenti di un testo, scritto dal filosofo Platone intorno al 340 a.C., il quale riporta una storia tramandata da Solone che a sua volta l’aveva appresa da sacerdoti egizi. Descritta come un’isola organizzata in cerchi concentrici, nei quali si alternavano i canali del porto e le strade costeggiate da sontuosi palazzi, era ricca di fauna e di flora, vi cresceva l’albero della vite e vi era una grande quantità di pietre bianche, nere e rosse. Poseidone ne era il dio principale. Dagli anni ’70 diverse teorie portarono ad identificare Santorini con la perduta mitica Atlantide. Il ritrovamento di un misterioso affresco sotto strati di cenere vulcanica, molto simile alla descrizione fattane da Platone, diede un ulteriore contributo a queste ipotesi. 126

Santorini, anticamente chiamata Stonghili (Tonda) per il suo perimetro circolare e più tardi Kallistè per la sua bellezza, ora Thira per i Greci, è l’isola più meridionale dell’arcipelago delle Cicladi. Di origine vulcanica, rappresenta un paesaggio unico al mondo, dovuto alla spaventosa eruzione del suo vulcano centrale, recentemente datata tra il 1627 e

il 1600 a.C., un’esplosione che, per dimensioni, è ritenuta la più grande degli ultimi 10.000 anni e la seconda di cui l’uomo abbia memoria e che fece sprofondare l’isola di Kallistè devastando la civiltà minoica. Il crollo della parte centrale del cono del vulcano creò un vuoto di 400 metri di profondità sotto il livello del mare, che oggi prende il nome

di Caldera, le terre emerse furono ricoperte di lava e ceneri. Oggi Santorini, elegante signora delle Cicladi, è una stupefacente scogliera dalla forma a mezzaluna che emerge dal mare cobalto, con ripidi pendii che raggiungono i 300 metri di altezza, alte formazioni rocciose dai colori viola, rosso e nero che ritroviamo anche in alcune delle sue spiagge, e dalle forme che, in alcune parti, ricordano cattedrali gotiche. A coronare l’isola le caratteristiche case dal bianco accecante punteggiate dalle cupole blu delle candide chiese, affacciate sulla caldera e sparse tra i vigneti della campagna. Case che ammalliarono e ispirarono Le Corbusier. Di difficile approdo via mare, sconsigliabile a naviganti non esperti, è sicuramente, per chi ha la fortuna di arrivarci al ritmo lento di una barca a vela, uno spettacolo impressionante, magico. Fino ad anni fa, Thira, si raggiungeva dal mare percorrendo a piedi, o a dorso di mulo, qualche

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centinaio di scalini. Ora c’è la funicolare che porta fino al complesso dei tholos, le caratteristiche case con il tetto a botte, scavate nella roccia. Il paesaggio incanta anche dalla cima dell’isola. Vista panoramica sulla Caldera aspettando il tramonto: un rito che si ripete ogni sera. Meglio se fuori stagione, senza essere sommersi dalla folla e senza dover lottare per trovare un posto, magari con un calice dell’ottimo vino locale, servito su terrazze o sul bordo di piscine a picco sul mare con sottofondo di musica classica. Come mi fece notare un vecchio isolano anni fa, nell’unica taverna di Amudi, un piccolo agglomerato di una manciata di case in riva a mare con un piccolo molo dove avevamo attraccato la barca e dove stavamo assaporando le specialità di questa terra, Santorini dopo la guerra e il terremoto del 1956 non era né ricca né turistica, molti anzi furono quelli che emigrarono. 128

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Sorridendo malinconicamente mi raccontò, con fierezza, di allora, di quando per poter sposar l’amata, pur soffrendo il mal di mare, s’imbarcò in una nave commerciale e ritornò dopo più di due anni. Come lui però ritornarono anche altri e cominciarono a ricostruire, a rilanciare il turismo ed i prodotti del luogo, speciali grazie al particolare ecosistema dell’isola e alle particolari caratteristiche geologiche del sottosuolo. I pomodorini grandi quanto ciliegie, le fave, i capperi selvatici, le melanzane bianche, le zucchine rotonde, l’anguria piccola e scura e soprattutto il nettare degli dei: il vino. Nella mitologia greca si conosce Dionisio, dio del vino, il quale rivelò ai mortali i segreti della sua produzione, ma solo agli dei era consentito bere vino puro e chi disobbediva veniva punito con la pazzia. I vini dell’antichità erano dolci e con forte concentrazione alcolica e necessitavano comunque, per poterli bere senza danno, di essere diluiti. 130

Una storia antica quella del vino in Grecia, comprovata anche dagli scavi archeologici nella zona di Akrotiri, a Santorini, che conferma l’antichità del suo vigneto e delle sue varietà. Le sue origini risalgono ad almeno 3000 anni fa e, ricreatosi intorno al 1200 a.c., dopo la distruzione subita dall’eruzione del vulcano in età minoica, è cresciuto senza interruzioni e senza che le viti, autoctone, siano mai state colpite dalla filossera. Ne esistono di età superiore ai 50, 60, 80, 100 e 120 anni, sono le stesse da secoli, semplicemente rinnovate, dai tempi antichi fino ad oggi,con la Venivano quindi aggiunte varietà di aromi, acqua di mare, miele e resine. Ancor oggi, nel vino chiamato Retsina, prodotto principalmente in Attica (la regione dove si trova Atene), viene aggiunta al mosto una piccolo quantità di resina di pino di Aleppo allo scopo di aromatizzarlo e conservarlo.

Dai racconti di Platone e Senofonte ci è per venuta la descrizione dei simposi, specie di quelli che si tenevano ad Atene nel VI e V sec. a.c., durante queste riunioni spettava al simposiarca, che era il maestro di cerimonia, il compito di decidere la quantità d’acqua con cui allungare la preziosa bevanda.

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potatura a ciambella (koulouri) ©domaine sigalas

stessa metodologia e nello stesso modo detto in greco “kataboladi “. Un altro particolare che rende il vigneto dell’isola unico, facendone un vigneto storico, quasi un vigneto museo è, oltre alla presenza delle esclusive varietà antiche, la particolare tecnica di potatura che è stata adattata alle condizioni estreme del suolo e del clima del luogo fin dai tempi remoti: forti venti e sole cocente hanno portato all’esigenza di far crescere la vite bassa e alla necessità di proteggere i suoi “bimbi” (i grappoli), come dice un noto produttore del posto, dal sole. Ne sono derivati così due tipi di piante, uno chiamato a spirale e presente nelle zone con più aria, che sono la maggioranza, in cui i tralci di vite vengono intrecciati in modo da formare una corona di rami vecchi e nuovi, all’altezza del terreno che è conosciuto come kalathaki (cestino). Il secondo invece consiste nel formare da ogni viticcio allentato 132

un piccolo cerchio, approssimativamente perpendicolare al suolo, una specie di ciambella, koulouri. Il Dipartimento di Ricerca e Sviluppo dell’Unione Cooperative dei Prodotti di Santorini “SantoWines” (VinSanto

ossia vino di Santorini), ha creato una banca per la conservazione del patrimonio genetico delle varietà autoctone di uva individuate sull’isola, al fine di salvare nel tempo le antiche varietà, molte delle quali non attualmente coltivate. Si dice che il vigneto di Pyrgos, un villaggio situato su una collina a 7,5 km da Thira città e che ha mantenuto la sua fisionomia nel tempo, sia quello di migliore qualità. Un’ottima occasione per conciliare un giro per le strette viuzze, l’arrampicata fino alla cima della collina che offre uno splendido panorama su Thira, Ia e la valle di Mesarià, con una visita alle cantine della zona, dove è possibile degustare vini esclusivi, di alta qualità, che riescono ad esprimere l’unicità della personalità del luogo, accompagnati da alcuni dei piatti tipici. Un viaggio nel quale tutti i sensi danzano armoniosamente.

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potatura a "cestino" (kalathaki) ©domaine sigalas

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Divino Tuscany, l’eccellenza enologica secondo Suckling testo di Alessandra Piubello

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irenze, amata e cantata dai più grandi poeti del mondo e da sempre meta di intellettuali, artisti e viaggiatori. Culla del Rinascimento, città dai musei unici, e poi chiese, palazzi, ville: testimonianze, memorie storiche, leggende e atmosfere che da secoli incantano i visitatori di questa meravigliosa urbe di luce e d’arte. Firenze, per il secondo anno città del vino, sede prestigiosa di Divino Tuscany. James Suckling, per quasi trent’anni Senior Editor e responsabile della redazione europea di Wine Spectator, ha scelto la città annoverata nel 1982 come Patrimonio Mondiale dell’Unesco per celebrare l’eccellenza enogastronomica di una delle regioni più conosciute e amate negli Stati Uniti (e non solo). ‘Lo scorso anno - spiega James Suckling - quando ideai Divino Tuscany insieme a IMG Artists (azienda leader nell’organizzazione e gestione di eventi di musica classica, ndr) l’idea era semplice: portare il resto del mondo a Firenze per omaggiare i più pregiati vini toscani e con essi anche

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la cucina, l’intrattenimento, l’arte, la cultura e la storia della regione. Non c’è posto al mondo come Firenze!’ Suckling conosce bene la Toscana enologica, ne scrive dal 1983, anche perché ha una casa in Toscana dove vive da quattordici anni, dividendosi fra Los Angeles e i frequenti viaggi per il mondo. A Divino Tuscany Suckling è riuscito a riunire cinquanta delle più prestigiose aziende toscane, provenienti da Bolgheri, da Castelnuovo Berardenga, dai

Colli Aretini, dalla zona del Chianti Classico, del Chianti Colli Fiorentini, Fiesole, Maremma, Montalcino, Montepulciano, Val di Cecina. Otto sono le aziende fondatrici: Barone Ricasoli, Marchesi Antinori, Castello Banfi, Marchesi di Frescobaldi, Mazzei, Petrolo, Il Borro, Principe Corsini. Sede dell’evento, che ha richiamato appassionati provenienti da diciotto Paesi al mondo, è stato il Grand Hotel Villa Cora, all’interno di un parco secolare che domina

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il Giardino di Boboli, sulle colline a ridosso del centro storico di Firenze. Villa Cora, inaugurata durante la Firenze capitale del Regno d’Italia, è uno dei maggiori simboli mondani e culturali di Firenze, che ha ospitato personalità internazionali come la principessa Eugenia, moglie di Napoleone III e il compositore russo Cajkovskij. È stato il Salone degli Specchi, considerato il più bel salone da ballo di Firenze, ad ospitare tra stucchi, specchiere e boiserie, il party inaugurale con note d’ispirazione cubana.

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Una festa nel nome del buon gusto, dal cibo ai grandi vini, a pregiate etichette di grappe (una selezione di 12 grappe delle aziende presenti), a sigari in edizione limitata in arrivo dall’isola caraibica da apprezzare nella Sala del Fumo, mentre sugli schermi hanno sfilato le immagini di Cuba e le note del migliore jazzista dell’isola, Ernàn Lòpez Nussa. Interessante l’anteprima del film documentario di James Suckling sui sigari, “Heart and Soul Cuba”, che ha riscosso recensioni entusiastiche sia all’International Latin America Film Festival sia al Sonoma Film Festival. Un viaggio attraverso l’isola, dove

Suckling va regolarmente e frequentemente fin dal 1990, tra piantagioni di tabacco, fabbriche e manifatture sparse in un terroir unico per scoprire cosa è che rende così speciali i sigari cubani, i migliori al mondo e per arrivare alla conclusione che il segreto sta nell’eccezionale operosità e nella cultura di quella popolazione. In degustazione La Escepciòn Selectos Finos, importante brand cubano da un mese in esclusiva mondiale per il solo mercato italiano (prodotto in soli 2000 box numerati). Il giorno successivo, nel Bar Delong di Villa Cora, James Suckling ha tenuto delle degustazioni dal tema

‘Brunello 2006 vs Brunello 2007’, ‘Bolgheri: la Médoc della Toscana’, mentre nella Sala delle Carte Ned Goodwin, unico Master of Wine residente in Giappone, ha iniziato con ‘Merlot: velluto rosso’, con le aziende Petrolo, Tua Rita, Castello di Bossi, Tenuta dell’Ornellaia, Marchesi de’ Frescobaldi. Il successivo tasting aveva come tema ‘I grandi Chianti Classici’, alla presenza di aziende come Fattoria Viticcio, Barone Ricasoli, Castello di Fonterutoli, Felsina. La formula per la degustazione era piuttosto inconsueta: tutti in piedi, con un unico bicchiere (ovviamente svuotato dopo ogni assaggio) ad

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ascoltare i relatori e i produttori che spiegavano i vini rigorosamente in inglese. Nel pomeriggio via libera al Grand Tasting con i vini serviti direttamente dai cinquanta produttori scelti da Suckling, in un’atmosfera di rara bellezza ravvivata dal colloquio e dallo scambio personale. A concludere la giornata di venerdì, la Cena di Gala nei saloni di Palazzo Corsini firmata dall’Enoteca Pinchiorri, tre stelle Michelin. Una serata davvero unica, a cominciare dallo scenografico contesto del Palazzo Corsini nella cui corte sull’Arno, illuminata da fiaccole, è stato servito l’aperitivo mentre musici, clown e giocolieri hanno dato vita ad una suggestiva performance

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di teatro di strada. Un quartetto d’archi, invece, ha accompagnato la salita lungo il maestoso scalone d’accesso ai saloni dove è stata servita la cena placé. Il menu, giocato su sottili equilibri, proponeva baccalà all’olio extra vergine toscano con verdure marinate; tonno impanato e fritto, con piselli, pancetta e salsa al vino rosso; risotto con cipolle fondenti, capperi e fonduta di taleggio; filetto di vitello glassato con cecina al rosmarino e gocce di zucchine; cassata di ricotta di pecora, arancia e limone canditi, crema al geranio odoroso. Il giorno successivo, al mattino, sempre a Villa Cora, ci attendeva James Suckling con il suo tasting con l’eno-

logo Carlo Ferrini, durante il quale ci ha presentato i vini di Castello Romitorio, Principe Corsini, Poliziano, Casanova di Neri. A seguire un altro incontro ‘Degustazione dalla botte: il Brunello 2010’ e poi ‘Il sistema 100 punti’ nella quale Suckling ha spiegato la sua modalità di applicazione dei punteggi, facendo degustare i vini delle aziende Castelvecchio, Castellare di Castellina, Carpineta Fontalpino, Caparzo, Fattoria del Cerro, Dei, Fattoria Le Pupille. Nel pomeriggio è proseguita l’opportunità di assaggiare i vini delle aziende Altesino; Barone Ricasoli; Brancaia; Dei; Caparzo; Carpineta Fontalpino; Casanova di Neri; Castellare di Castellina; Castello Banfi;

Castello di Bossi; Castello Romitorio; Castelvecchio in San Casciano Val di Pesa; Castiglion del Bosco; Ciacci Piccolomini D’Aragona; Donna Olga; Duemani; Eredi Fuligni; Fattoria Le Pupille; Fattoria Vitticio; Fèlsina; Fontodi; Il Borro; Marchesi Antinori; Marchesi de Frescobaldi; Castello di Fonterutoli - Marchesi Mazzei; Petrolo; Podere Poggio Scalette; Podere Sapaio; Poggio Antico; Poggio al Tesoro; Poliziano; Principe Corsini; Querciabella; San Filippo; San Polo; Siro Pacenti; Tenute Ambrogio e Giovanni Folonari; Tenuta dell’ Ornellaia; Tenuta di Biserno; Tenuta Il Palagio; Tenuta San Guido; Tenuta Vitanza; Tenuta Sette Ponti; Tenute di Fattoria del Cerro e La Poderina; Tenute

Silvio Nardi; Testamatta; Tolaini; Tua Rita; Uccelliera; Valdicava. La serata è poi proseguita in una delle nove cene nei Palazzi di alcune delle più illustri famiglie storiche di produttori che hanno accolto gli ospiti (circa 40 persone per ogni cena) all’interno di proprietà di raffinata bellezza. Tra queste, Palazzo Antinori, Palazzo Frescobaldi, Palazzo Ricasoli, Palazzo Corsini al Prato. Tra le sedi di due delle cene anche due ristoranti conosciuti, “Ora D’Aria” di Marco Stabile dove a invitare sono state quattro aziende produttrici di Brunello, Valdicava, Casanova di Neri, San Filippo e Siro Pacenti; e il “Borgo San Jacopo”, quest’ultimo ha ospitato la cena

de Il Borro, anticipata da un aperitivo a Palazzo Spini Ferroni. Da segnalare la cena tutta biologica e vegetariana preparata dallo chef de “La Leggenda dei Frati” a Palazzo Capponi all’Annunziata per l’Azienda Querciabella, new entry biodinamica di Divino Tuscany. Piena di verve e animazione, vivacissima e dal tono elegantemente informale, invece, la cena ospitata da James Suckling con un gruppo di produttori, soprattutto i più giovani, nel contesto caldo e particolare del “Teatro del Sale” dove per un’intera notte, complice l’indole istrionica dello chef patron, Fabio Picchi, è andato in scena tutto l’entusiasmo e la gioia del fare ottimi vini insieme, protagonisti di un

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territorio di successo nel mondo. Il giorno successivo appuntamento con il pranzo di campagna a Villa Il Palagio, a pochi chilometri da Firenze, gentilmente messa a disposizione da Sting e Trudie Styler, felici di riaprire i cancelli della Tenuta anche per questa edizione ed entusiasti per il successo, il calore, la simpatia riscontrati tra gli ospiti lo scorso anno. Un finale en plein air con una gioiosa colazione sul prato e angoli diversi dedicati ai migliori prodotti e piatti del territorio che hanno raccontato di una terra d’eccellenza, accompagnati da vini che sono il simbolo dell’enologia toscana.

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eventi “Per tutti i gusti”: Il Giro d’Italia a tavola, Il nuovo progetto gastronomico sviluppato dagli hotels Starwood di Milano, nel corso del 2012, darà vita ad una serie di incontri ed iniziative aperti ad esperti del settore ed amanti della buona tavola. A partire da gennaio si percorrerà l’Italia in un viaggio alla riscoperta della cultura gastronomica attraverso ricette che esaltano le eccellenze dei prodotti locali.

…E il lungo viaggio, che ha accompagnato quasi un anno della nostra storia, attraversando l’Italia in lungo ed in largo alla scoperta delle cucine tipiche delle nostre regioni, è arrivato in ottobre nella terra altoatesina. Protagonista infatti, dopo il Trentino, l’Alto Adige che, con i suoi sapori, i suoi profumi di spezie ed i suoi gusti forti e decisi, ha fatto da teatro alle interpretazioni culinarie di una meravigliosa schiera di chef che hanno animato principalmente le serate milanesi. Al ristorante “Il canneto” dello Sheraton Malpensa, si sono “aperte le danze” con uno show cooking pomeridiano, per giornalisti e blogger accreditati, cui ha fatto seguito una sorprendente ed animata cena aperta al grande pubblico. Attori, in questo particolare palcoscenico, gli chef Mauro Buffo dell’ Hotel Vigilius, Luis Haller di Castel Fragsburg, Manuel Astuto dell’Hotel Laurin, Luigi Ottaiano di Kallmünz e Hansi Baumgartner, ex chef e noto affinatore di formaggi. Ciascuno con il suo piatto e la propria fantasia, uniti armoniosamente alle tradizioni di questa affascinante regione, circondata dalle più belle montagne, ha regalato una chicca di gusto, ed i vini dei grandi produttori hanno accompagnato questo tripudio di sapori insieme alla birra, rappresentata qui da casa Forst. Dopo la prima tappa in territorio lombardo, le degustazione sono poi proseguite a Verona alla libreria Feltrinelli dove l’evento è stato anche l’occasione per presentare la manifestazione cui, come rivista partner, abbiamo dedicato questo numero di “Cucina Gourmet incontri nel gusto”: il Merano Wine Festival. È stata quindi la cornice del Westin Palace Hotel di Milano e del suo ristorante “Casanova” a chiudere la kermesse dedicata all’Alto Adige, qui gli chef Herbert Hintner e Carlo Molon hanno dato vita ad una interessante quanto gustosa cena a quattro mani. E dal Nord al Sud, dalle Alpi alle distese azzurre del mare, per arrivare dall’Alto Adige alla Sicilia, protagonista con tutti i profumi della sua terra, degli eventi del mese di novembre… per riportare il sole!

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Un consumatore biodinamico testo di Maurizio Ulliana

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ei un consumatore biodinamico? Biodinamico nel senso di un consumatore attento alle relazioni tra modalità di consumo e modalità di produzione di ciò che consumiamo, con l’intento di migliorare la qualità della vita? Onde evitare che ciò sia considerato “fatica di Sisifo”, chiariamo alcuni concetti: secondo il Regolamento della Consiglio dell’Unione Europea CE 834 del 2007, la produzione (e trasformazione) bio-logica “è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di biodiversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni consumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali”. La agricoltura “biodinamica*”, oltre agli obiettivi dell’agricoltura biologica di risanamento della Terra dall’inquinamento da prodotti chimici impiegati nella produzione agricola e generale in quest’epoca di modernizzazione industriale, oltre al rafforzamento di tutte le relazioni ecologiche planetarie in cui è inserita ogni azienda e ogni persona,

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ha anche una mission specifica, di “rifondare” la qualità degli alimenti per l’uomo, per migliorarla sul piano nutritivo, sensoriale ed esperienziale, partendo dal presupposto che l’azienda agricola è un vero e proprio organismo vivente a ciclo chiuso, inserito nel più grande organismo vivente cosmico da noi popolato e di cui facciamo parte integrante. Il concetto di biodinamicità in agricoltura si è sviluppato agli inizi del secolo XX grazie al contributo “filosofico” di Rudolf Steiner, ed oggi esiste un disciplinare di produzione che ha l’obiettivo tra l’altro di garantire la fertilità della terra e la buona salute delle piante con tecniche elaborate, non ancora riconosciuto di valore scientifico ma oggetto sempre più di interesse di studiosi e ricercatori in quanto gli effetti dimostrano empiricamente una qualità del prodotto che soddisfa il consumatore senza danneggiarlo, ma anzi accrescendo l’autostima e la consapevolezza che la qualità della propria vita e degli altri dipende dalle scelte che ognuno fa proprio come consumatore. *Termine a marchio commerciale della Demeter, associazione internazionali dei produttori che seguono il capitolato che garantisce lo standard qualitativo.

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nel prossimo numero “La magia del Natale ”

Da Londra un Natale speciale

torniamo bambini con le dolcezze del cake design

Sotto la neve scopriamo i sapori della tradizione


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Enzo Ceci, Carla Coco, Giulia Fiore Coltellacci, Francesca D’Agnano, Giorgia Dalle Ore, Fabrizia Fedele, Giulia Anna Del Latte, Lorella Lucchetta, Irene De Gasperis, Giovanna Moldenhauer, Giovanni Orso, Alessandra Piubello, Biancarosa Zumaglini.

art direction e graphic design studio YōRi

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Marisa Boldo, Marco Bravi, Paolo Picciotto

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n.7 - merano, perla dell’alto adige, culla del vino rivista mensile, anno 1°

in copertina MERANO WINE FESTIVAL 2012 foto: Marco Bravi


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