I QUADERNI di EconomiaCircolare.com COLLANA Saggi - N.1
ERION FAREMO STRADA INSIEME
Erion è il più importante Sistema di Responsabilità Estesa dei Produttori per la gestione dei rifiuti associati ai prodotti elettronici.
La transizione verso l’economia circolare passa dalla capacità delle imprese di generare valore nel pieno rispetto dell’ambiente e delle sue risorse. Per Erion questo significa valorizzare l'impegno ambientale dei Produttori di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, Pile e Accumulatori, garantendo una gestione dei rifiuti con elevati tassi di riciclo delle materie prime seconde e sviluppando progetti innovativi e sostenibili per le aziende del futuro.
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Guida strategica alla progettazione dei sistemi EPR di Danilo Bonato Prefazioni di Christa Schweng Presidente CESE Claudia Brunori Vice Direttrice per l'Economia Circolare ENEA con i contributi di : Andrea Farì, Andrea Fluttero, Vito Fortunato e un'intervista a Cillian Lohan - Vicepresidente CESE
I QUADERNI DI COLLANA Saggi - N.1
2 Coordinamento editoriale: Marica Di Pierri Un saggio di: Danilo Bonato
In copertina: Photo by OSG Containers on Unsplash
Contributi: Claudia Brunori , Andrea Farì, Andrea Fluttero Vito Fortunato, Cillian Lohan, Christa Schweng Crediti fotografici: I crediti fotografici sono inseriti a margine delle singole immagini. Ringraziamo i fotografi che ne hanno reso possibile l'uso per la presente pubblicazione. Progetto grafico e impaginazione: Daniele Bellesi Ultima revisione: Ottobre 2021
Il presente Saggio è realizzato a cura di EconomiaCircolare.com per la collana “I Quaderni di EconomiaCircolare.com”. Codice ISBN: 9791220096058 EconomiaCircolare.com è una testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Roma Registrazione n.91 del 10/09/2020 Sede legale: Via Macerata 22A, 00176 Roma L’editore della testata è il CDCA – Centro Documentazione Conflitti Ambientali. Il progetto editoriale è realizzato in partnership con ERION - Ecodom. Remedia. Producer Responsability. Comitato scientifico di EconomiaCircolare.com: ENEA - Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (coordinamento); ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale; UNI – Ente Italiano di Normazione Italiano; CNR – Centro Nazionale delle Ricerche; POLIEDRA - Politecnico di Milano. Contatti: Tel: +39 350 0022667 info@economiacircolare.com www.economiacircolare.com
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Indice Da gestori di rifiuti ad acceleratori di circolarità Marica Di Pierri e Raffaele Lupoli
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PREFAZIONI 9 Responsabilità estesa del produttore. Riguarda solo i produttori? 11 Christa Schweng I produttori in prima linea nella transizione circolare: partire dall'inizio, dalla progettazione dei prodotti 15 Claudia Brunori GUIDA STRATEGICA ALLA PROGETTAZIONE DEI SISTEMI EPR 19 Danilo Bonato CONTENUTI EXTRA 69 I modelli di attuazione della responsabilità estesa in Europa e in Italia 71 Andrea Farì Lo sviluppo delle catene del valore della de-produzione nell'era dell'economia circolare Andrea Fluttero
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Responsabilità estesa e strategie di servizio per la transizione all'economia circolare Vito Fortunato EPR: per ottenere buoni risultati è fondamentale armonizzare le normative e pensare all'intero ciclo di vita dei prodotti Cillian Lohan
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L’autore Danilo Bonato
Manager ed esperto di economia circolare. Direttore Generale di Erion Compliance Organization S.C.A R.L, membro del Comitato di Presidenza della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, del Comitato di alto livello materie prime della Commissione Europea e del Comitato Scientifico di Ecomondo. Ha pubblicato diversi articoli e libri sullo sviluppo sostenibile e sull'economia ecologica, tra questi "La Terza Crisi" pubblicato da Edizioni Ambiente, e tenuto corsi alla Luiss di Roma e al Politecnico di Milano.
Contributi
Christa Schweng Presidente del Comitato economico e sociale europeo al CESE. Dal 1998 il suo lavoro si è incentrato sui temi dell'occupazione e degli affari sociali. È stata presidente della sezione Occupazione, affari sociali e cittadinanza del CESE. In Austria è consigliera del dipartimento di politica sociale per la Camera austriaca dell'economia (WKÖ).
Claudia Brunori Vice Direttrice per l’Economia Circolare, Responsabile Divisione USER del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali dell'ENEA. Chimica dell’ambiente, coordina le attività di sviluppo e implementazione di tecnologie, metodologie e strumenti per la gestione e l'uso efficiente delle risorse in attività industriali, nelle aree urbane e sul territorio per la transizione verso l'economia circolare.
Andrea Farì Avvocato e docente universitario di Diritto dell′Ambiente presso l'Ateneo RomaTre. Consulente della Commissione Bicamerale di Inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali a esse collegati. È stato Vice Capo Vicario dell′Uff. Legislativo del Ministero dell′Ambiente e consigliere giuridico del Ministro Corrado Clini. Ha pubblicato libri e articoli per riviste giuridiche.
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Andrea Fluttero Presidente di E.C.O. - Erion Compliance Organization S.C.A R.L.. Esperto di ambiente, ha ricoperto diversi ruoli amministrativi locali. È stato senatore della Repubblica e segretario della Commissione Ambiente nella XVI Legislatura. Dal 2013 è Consulente libero professionista e si occupa di Relazioni istituzionali e comunicazione nel settore Green Economy.
Vito Fortunato Direttore della divisione servizi di Samsung Electronics Italia. Laureato in Fisica e specializzato in Sales & Marketing alla Said Business School dell’Università di Oxford. Esperto nella gestione dei servizi con esperienza nell'industria dell'elettronica di consumo e in processi di business, pianificazione aziendale, marketing management ed E-commerce.
Cillian Lohan Vicepresidente alla comunicazione del Comitato economico e sociale europeo (CESE). Ha lavorato a lungo nel mondo delle imprese (pianificazione strategica e sviluppo commerciale) e nel settore della tutela dell'ambiente (conservazione e gestione degli habitat). È stato tra gli ideatori e il primo presidente dell' ECESP, la Piattaforma europea degli stakeholders dell'economia circolare.
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Da gestori di rifiuti ad acceleratori di circolarità di Marica Di Pierri e Raffaele Lupoli Direttrice Responsabile e Direttore Editoriale di EconomiaCircolare.com
Inauguriamo la collana di Quaderni di EconomiaCircolare.com affrontando un tema nodale per ridurre l’impatto ambientale di diversi prodotti: quello della Responsabilità estesa del produttore, che pone in carico alle imprese l’onere di garantire – dopo il consumo del prodotto ma anche a partire dalla fase di progettazione – la massima efficienza e sostenibilità. Questo saggio di Danilo Bonato, insieme ai contributi e interviste che lo arricchiscono, offre un importante contributo all’approfondimento del tema, affrontando con un linguaggio accessibile anche ai non addetti ai lavori le sue diverse sfaccettature e ancorando all’esperienza sul campo la descrizione di opportunità e limiti da superare. Gli Stati membri dell'Unione europea sono ormai chiamati a garantire che le loro legislazioni nazionali siano conformi al nuovo regime di responsabilità estesa del produttore stabilito dalla direttiva 2008/98/CE modificata dalla direttiva 2018/851. Come emerge dai diversi contributi a questo volume, al di là dei diversi ambiti di applicazione dei sistemi di responsabilità estesa, lo spirito di questo approccio culturale e politico è sempre più quello di mettere l’impresa al centro delle pratiche di circolarità e di conservazione del valore, rendendole protagoniste di una “nuova era” in cui l’ecoprogettazione allunga la vita dei prodotti, anche grazie alla possibilità di riparazione, ricondizionamento e rigenerazione, e ne rende possibile il recupero delle diverse componenti e dei materiali a fine vita, andando ben oltre il già importante obbligo di raccogliere e riciclare i prodotti. La Roadmap 2011 per un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse ha proprio incoraggiato questo “salto”: dal potenziamento degli obiettivi di riciclo alla necessità di coprire l'intero
7 ciclo di vita del prodotto, anche attraverso nuovi modelli di business come la servitizzazione o la riparazione. La progressiva estensione di questo prezioso strumento a nuove filiere avrà non soltanto l’indubbio vantaggio di dimezzare almeno il ricorso a materia prima “primaria” nel giro di un decennio, ma contribuirà soprattutto a innovare fortemente i processi industriali. Avremo così imprese nuove, capaci di farsi carico – accanto ai decisori politici, ai consumatori e agli enti locali – delle scelte necessarie ad affrontare la crisi climatica e quella legata alla sempre maggiore carenza di materie prime, trasformandole in opportunità. Un passaggio culturale non privo di ostacoli, ma da cui non si può prescindere se si vuole fare in modo che i sistemi EPR diventino sistemi in grado di governare la transizione verso un nuovo modello, organizzazioni di gestione della catena del valore circolare che, alla luce di una cornice normativa adeguata soprattutto, fissano insieme ai produttori tempi e obiettivi di una trasformazione necessaria e desiderabile, anche in termini di business. La cornice normativa è certamente essenziale: servono obiettivi chiari e condivisi a livello europeo e auspicabilmente anche su più vasta scala, ma al tempo stesso è importante che i singoli Paesi facciano da precursori e da “laboratori di sperimentazione” di pratiche avanzate di responsabilità estesa. Le pagine che seguono mettono in fila le diverse sfaccettature di questa affascinante sfida facendo dialogare insieme esperienza sul campo e un solido apparato teorico. Il risultato è un prezioso vademecum sulla Responsabilità estesa del produttore in grado di segnalare uno a uno gli accorgimenti necessari a far funzionare la gestione del post-consumo e al tempo stesso di sollevare lo sguardo sull’orizzonte più ampio di un sistema di accelerazione e poi gestione della circolarità. Buona lettura!
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Prefazioni
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Responsabilità estesa del produttore. Riguarda solo i produttori? Christa Schweng Presidente del CESE - Comitato Economico e Sociale Europeo
La responsabilità estesa del produttore (EPR) ha un ruolo enorme da svolgere nel raggiungimento dell’obiettivo di un’economia circolare. Per avere successo, deve essere progettata, valutata e seguita in modo intelligente. Tuttavia, per ottenere un vero successo dobbiamo andare oltre. La responsabilità estesa deve essere una responsabilità condivisa con i clienti. In teoria, l’intero processo sembra relativamente semplice. L’EPR estende la responsabilità dei produttori oltre il momento in cui i consumatori smettono di usare i loro prodotti. Si concentra sulla raccolta e sul recupero dei rifiuti e sul loro collocamento sul mercato delle materie prime seconde. Un EPR di successo sposta le spese associate alla gestione del fine vita di un prodotto dai contribuenti ai produttori. L’obiettivo generale è quello di ridurre la produzione e lo smaltimento dei rifiuti. La sfida della frammentazione Nella pratica la questione è molto più complicata. La legislazione UE stabilisce dei requisiti minimi per tutti gli schemi EPR, ma ogni Stato membro sceglie il proprio modo per attuarli. Gli obblighi riguardanti i rifiuti elettronici, gli imballaggi, le batterie e altri flussi di rifiuti differiscono a seconda del paese, così come i contributi ambientali dei produttori. Questo causa un ulteriore onere amministrativo, che è particolarmente penalizzante per le PMI. Ecco perché c’è la chiara esigenza di armonizzare e semplificare le regole EPR. Ciò può inserirsi efficacemente nell’impegno per il rilancio dell’economia post-COVID; può essere un’opportunità importante per rafforzare il mercato unico.
12 E il design responsabile? A ciò va aggiunto che l’attuale sistema EPR si concentra quasi esclusivamente sulla fase post-consumo, sottovalutando le opportunità che si presentano nelle fasi precedenti della vita dei prodotti. Gli obiettivi di raccolta e riciclaggio devono essere bilanciati con la promozione dell’estensione della durata di vita dei prodotti attraverso la riparabilità, la rimessa a nuovo o la rigenerazione. Il CESE, in uno dei suoi recenti pareri, ha prestato particolare attenzione al ruolo dell’eco-design. Crediamo che l’eco-design di beni e servizi debba andare oltre le sole considerazioni energetiche. Occorre concentrarsi sull’intero ciclo di vita dei prodotti, compresa la loro durata, la facilità di manutenzione e riparazione o il potenziale di condivisione. Questo si applica anche alla possibilità di riutilizzo, all’aggiornabilità, alla riciclabilità e all’effettivo utilizzo dopo l’uso sotto forma di materie prime seconde per nuovi prodotti che entrano sul mercato. Le singole componenti di un prodotto dovrebbero essere facilmente recuperabili per il riutilizzo e/o la rigenerazione e guidare la creazione di un forte mercato di materie prime seconde. Responsabilità estesa anche ai consumatori Mentre i produttori si assumono le proprie responsabilità - attraverso contributi finanziari e non solo - anche i consumatori dovrebbero essere consapevoli dei requisiti comportamentali che richiede la costruzione di un modello economico circolare e il rispetto di corrette pratiche di riciclaggio. La cittadinanza ha bisogno di essere educata su modelli alternativi di consumo. Solo acquisendo questa consapevolezza si possono scegliere consapevolmente prodotti che creano meno rifiuti e hanno una minore impronta di carbonio. Tutti dovrebbero avere una migliore comprensione del concetto di EPR per essere in grado di prendere decisioni utili a sostenerlo. La crescita di consapevolezza può creare un cambiamento guidato dalla domanda (ovvero dai consumatori) verso il successo dell’EPR. Il passaggio a una domanda ridotta di risorse, l’uso di risorse non critiche e rinnovabili e la riduzione della produzione di rifiuti non possono essere solo responsabilità dei produttori. Credo che sia una responsabilità condivisa. Situazione legislativa L’UE ha una legislazione che delinea quali requisiti devono avere gli schemi EPR per specifici flussi di rifiuti (come i rifiuti di apparecchiature elettroniche ed elettriche (RAEE), i veicoli a fine vita (ELV), gli imballaggi e i rifiuti di imballaggio e le batterie). Inoltre, la direttiva quadro sui rifiuti (WFD) stabilisce dei requisiti minimi per gli schemi EPR al fine di migliorare la loro efficacia e performance in tutta l’Unione Europea.
13 Ciò include i costi che dovrebbero essere coperti dai produttori per la raccolta differenziata dei rifiuti, per il trasporto e il trattamento, per la diffusione di informazioni ai produttori di rifiuti, per il monitoraggio e il reporting. Possibili passi successivi Non è ancora chiaro se la creazione di schemi EPR diventerà obbligatoria per tutti gli Stati membri dell’UE. Un’altra questione aperta è se i criteri saranno armonizzati o se saranno consentiti approcci diversi a livello nazionale, si pensi a quanto sta avvenendo con il settore tessile. Per chi è interessato all’EPR, la European Circular Economy Stakeholder Platform - ECESP è una fonte affidabile e completa di informazioni. La piattaforma nasce da un’iniziativa congiunta della Commissione europea e del Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE), sul portale è possibile trovare informazioni utili ed aggiornate, monitorare la situazione, conoscere i recenti risultati sull’EPR in Europa. La piattaforma ECESP è consultabile sul portale web: https://circulareconomy.europa.eu/platform/)
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I produttori in prima linea nella transizione circolare: partire dall'inizio, dalla progettazione dei prodotti Claudia Brunori Vice Direttrice per l'Economia Circolare, Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali - ENEA
La scarsità delle risorse naturali rende necessaria una transizione verso una Società più sostenibile e più efficiente dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse. Questo implica anche un profondo ripensamento del modello economico attuale e una transizione verso un nuovo modello economico più sostenibile e resiliente, a basso tenore di carbonio e circolare. L’Economia Circolare (con misure relative all’intero ciclo di vita dei prodotti: dalla progettazione, all’approvvigionamento, alla produzione e al consumo, fino alla gestione dei rifiuti e al mercato delle materie prime secondarie) crea un contesto favorevole allo sviluppo di innovazioni e dà alle imprese la possibilità di realizzare considerevoli vantaggi economici e di competitività; consente di ideare soluzioni nuove e creative lungo tutta la catena del valore, di risparmiare risorse ed energia e di creare occupazione con benefici per l’ambiente e l’integrazione sociale. Per questi motivi, uno dei pilastri prioritari del Green Deal è il Piano d’azione per l’economia circolare adottato dalla Commissione Europea (COM/2020/98 final; 11 marzo 2020), che prevede un quadro strategico caratterizzato da diverse misure per garantire la progettazione di prodotti sostenibili che rispettino principi di circolarità, per informare e responsabilizzare i consumatori verso la scelta di prodotti con migliori prestazioni ambientali e di circolarità e per favorire l’incremento della circolarità nei processi produttivi e nelle filiere. Gli interventi in tali ambiti non possono essere esclusivamente
16 di natura tecnologica, devono essere frutto di un approccio integrato e includere anche strumenti normativi, finanziari, informativi e metodologici. Eco-innovazione di prodotto, di processo e di sistema sono necessari per un modello produttivo circolare e rigenerativo e per un sistema di uso/consumo caratterizzato dall’estensione della vita dei prodotti, dal riuso di componenti e da sistemi di riciclo in grado di garantire elevati standard di qualità dei materiali e prodotti riciclati. Fondamentale è la progettazione dei prodotti finalizzata alla durabilità, riparabilità e riciclabilità dei prodotti e alla sostituzione di sostanze pericolose e di materie prime critiche. Per quanto concerne la fase di progettazione, la normativa di riferimento principale è l’Eco-design, uno dei punti chiave nel Piano d’Azione Europeo per L’Economia Circolare 2020 e più volte richiamato anche nelle quattro direttive del “pacchetto economia circolare” pubblicate nel 2018 che modificano 6 direttive su rifiuti, imballaggi, discariche, rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), veicoli fuori uso e pile per l’Economia Circolare (n. 849/2018/Ue, 850/2018/ Ue, 851/2018/Ue e 852/2018/Ue) e recentemente recepite anche in Italia (DECRETI LEGISLATIVI 3 settembre 2020, n. 116, n. 118, n. 119 e n. 121). La disciplina dell’Eco-design integra, oltre ai normali criteri di progettazione finalizzati agli aspetti estetici, tecnici, ergonomici e funzionali che un prodotto intende soddisfare, anche requisiti e considerazioni ambientali che tengano conto delle esternalità ambientali lungo l’intera catena del valore connessa: dall’estrazione delle materie prime sino allo smaltimento finale, incluse le fasi di produzione, distribuzione e consumo. Il primo passo per la transizione ad una nuova generazione di prodotti e materiali sostenibili risiede nelle strategie che mirano alla riduzione del consumo di risorse e alla prevenzione di rifiuti e sprechi lungo l’intero ciclo di vita. Di fondamentale importanza in ottica di efficienza delle risorse sono inoltre le cosiddette strategie di “estensione della vita utile” dei prodotti che dovrebbero essere pensati per essere più duraturi o a maggiore intensità d’uso, posticipandone la dismissione ed ottimizzandone le risorse. Fondamentale risulta inoltre progettare un prodotto pensando già al suo fine vita, sostituendo le materie prime critiche e le sostanze pericolose e progettandolo in modo che risorse e materiali possano continuare a “vivere” dopo che i prodotti di cui fanno parte sono stati dismessi. In tal senso devono essere promosse le strategie di progettazione che consentono la tracciabilità dei materiali contenuti e che facilitano il disassemblaggio e la separazione delle diverse componenti. Grande rilievo per la prevenzione degli sprechi hanno anche i nuovi modelli di consumo “collaborativi”, che mirano ad una transizione dalla concezione di prodotto a quella di servizio di prodotti (es.
17 product service system, pay per performance) e dal concetto di possesso a quello di accesso (es. sharing economy), per i quali le strategie di estensione della vita utile e di ottimizzazione della fase d’uso risultano centrali. E’ chiaro da tutto quanto sopra descritto, che i produttori hanno un ruolo principale nella transizione verso l’economia circolare, da loro dipende l’inizio di tutte le catene di valore. Lo strumento della “Responsabilità Estesa dei Produttori” formalizza questo ruolo primario dei produttori superando le eventuali iniziative spontanee. Con l’EPR i produttori sono responsabilizzati sull’intero ciclo di vita dei loro prodotti, a partire dalle fasi di progettazione e produzione ma anche nelle fasi del consumo e post consumo, con l’interfaccia con consumatori, riparatori e riciclatori e contribuendo all’organizzazione delle filiere del riuso e del recupero per favorire la riduzione dei rifiuti e il riciclo dei materiali. Dunque EPR come punto di partenza per un modello di produzione e consumo più sostenibile e circolare, ma per il successo della transizione questo importante strumento deve essere affiancato anche da altri strumenti normativi, finanziari, tecnologici e informativi. Una transizione tanto complessa come quella verso la circolarità necessita infatti di un approccio sistemico e collaborativo, con molteplici strumenti tra loro integrati e con il coinvolgimento attivo di tutti gli attori delle catene di valore: imprese, innovatori, istituzioni e cittadini.
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Introduzione Sono numerosi, sono molto diversi tra loro ma hanno in comune il fatto di occuparsi della gestione dei rifiuti secondo il dettato delle normative nazionali e comunitarie in materia ambientale. Spesso vengono chiamati “consorzi” ma sarebbe più corretto definirli “sistemi collettivi” o meglio ancora Producer Responsibility Organization (PRO). I modelli di gestione collettiva, per cui diversi soggetti istituiscono un’organizzazione comune per lo svolgimento di determinate attività, hanno consentito di adempiere in modo tutto sommato efficiente alle responsabilità di natura ambientale in capo alle imprese. Questi modelli si sono sviluppati negli anni Novanta e sono via via cresciuti, grazie all’adozione di strategie sempre più evolute. Oggi le PRO, organizzazioni istituite dai produttori, sono un elemento centrale dei regimi (o sistemi) di responsabilità estesa. Questi ultimi sono anche noti come regimi EPR, dall’inglese Extended Producer Responsibility. Quale futuro attende i regimi EPR e le PRO? Che contributo potranno dare alla transizione ecologica? E come andranno progettati in futuro per favorire l’affermazione di modelli economici circolari? Questo contributo intende fornire alcune risposte alle suddette domande. Danilo Bonato
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La transizione verso l’economia circolare I regimi EPR hanno acquistato una certa rilevanza da quando la Commissione Europea li ha messi al centro delle politiche di transizione verso l’economia circolare dell’Unione. Nel marzo 2020 la Commissione ha pubblicato il nuovo Piano d’Azione per l’Economia Circolare1, in cui è espressa a chiare lettere la volontà di puntare con decisione sui regimi EPR. Quali obiettivi persegue il Piano d’Azione Europeo? In primo luogo il Piano mira a dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse, garantendo nel contempo la competitività a lungo termine dell’UE “senza lasciare indietro nessuno”2. Per concretizzare questa ambizione, l’Europa dovrà accelerare la transizione verso un modello di crescita rigenerativo che restituisca al pianeta le risorse naturali prese a prestito e dunque deve fare il possibile per ridurre la sua impronta dei consumi e incrementare la percentuale di utilizzo dei materiali riciclati nella fabbricazione di nuovi prodotti. La vigorosa crescita delle quantità di rifiuti generati dalle famiglie e dalle attività produttive richiama subito alla mente i pesanti impatti di natura ambientale e sanitaria ad essa associati ma allo stesso tempo ci fa riflettere sulle perdite economiche determinate dal mancato riciclo di preziose materie prime seconde. Si stima che il valore commerciale dei materiali che diventano rifiuti nelle discariche europee ammonti ad almeno cinque miliardi di euro l’anno.3
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miliardi di euro
è il valore economico dei materiali che a livello europeo potrebbero essere riciclati e invece diventano rifiuti conferiti in discarica
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L’obiettivo dell’Unione Europea è una profonda trasformazione degli attuali modelli socioeconomici basata su una visione sistemica e su un approccio rigenerativo all’uso delle risorse e dei sistemi naturali del pianeta
1 Il nuovo piano d’azione per l’economia circolare della UE è stato approvato dal Parlamento Europeo nel gennaio 2021. 2 Questo concetto è il pilastro delle politiche di “Just Transition” dell’Unione Europea. Nella transizione ecologica i settori che richiedono una riconversione industriale possono generare disoccupati che vanno assistiti nell’acquisire nuove competenze e nel reinserirsi nel mondo del lavoro. 3 European Commission: Being Wise with Waste: the EU’s approach to waste management.
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rifiuti urbani entro il 2030
Il Piano d’Azione Europeo per l’Economia Circolare intende ridurre in misura significativa la produzione totale di rifiuti e dimezzare la quantità di rifiuti urbani residui entro il 2030. Photo by Radowan Nakif Rehan on Unsplash
Queste politiche non sono limitate alla gestione dei rifiuti, perché il vero obiettivo dell’Unione Europea è una profonda trasformazione degli attuali modelli socioeconomici basata su una visione sistemica e su un approccio rigenerativo all’uso delle risorse e dei sistemi naturali del pianeta. L’enfasi del Piano per l’economia circolare è sui prodotti green, per offrire alle imprese nuove opportunità di crescita sostenibile e di qualità, creando occupazione qualificata e migliorando l’equità del nostro tessuto sociale. Facendo leva sul mercato unico e sul potenziale delle tecnologie digitali, l’economia circolare può rafforzare la nostra base industriale e favorire la creazione di imprese sostenibili, capaci di adottare modelli di business innovativi fondati su una relazione più stretta con i clienti, sull’economia collaborativa e della partecipazione e sulle tecnologie digitali, come l’Internet delle cose, i big data, la blockchain e l’intelligenza artificiale. In questo contesto, i consumatori potranno scegliere prodotti di elevata qualità, funzionali, sicuri, efficienti e economicamente accessibili, che durano più a lungo e sono concepiti per essere riutilizzati, riparati o sottoposti a procedimenti di riciclaggio di elevata qualità. Un’intera gamma di nuovi servizi sostenibili, modelli di “prodotto come servizio” (product-as-service) e soluzioni digitali consentiranno di migliorare la qualità della vita, creare posti di lavoro per le nuove generazioni e incrementare le conoscenze e le competenze. Per quanto riguarda la componente relativa ai rifiuti, il Piano d’Azione Europeo per l’Economia Circolare fa leva sulla revisione della direttiva 2008/98/CE, puntando ad obiettivi di riduzione dei rifiuti per flussi specifici nell’ambito di una più ampia serie di misure in materia di prevenzione. Verranno introdotti incentivi alla prevenzione e si incoraggerà la condivisione di informazioni e buone pratiche in materia di riciclaggio. Questo tipo di iniziative è funzionale a ridurre in misura significativa la produzione totale di rifiuti e a dimezzare la quantità di rifiuti urbani residui entro il 2030.
22 In questo complesso percorso di profonda trasformazione della nostra economia e del nostro approccio ai consumi, siamo consapevoli che il principio di responsabilità estesa del produttore rivestirà un ruolo rilevante. Dobbiamo dunque indagarne un po’ più a fondo contenuti e potenzialità.
Il principio della responsabilità estesa del produttore I principi fondanti della responsabilità estesa del produttore sono stati introdotti negli anni Novanta dal professore svedese Thomas Lindhqvist, con l’obiettivo di responsabilizzare l’industria sulla gestione dell’intero ciclo di vita del prodotto. Le ricerche di Lindhqvist si sono sviluppate nell’ambito delle discipline dell’ecologia industriale, per identificare modalità organizzative atte a migliorare l’efficienza delle risorse e per rispondere alle criticità che gli enti locali svedesi iniziavano a sperimentare nella gestione di quantità di rifiuti in forte crescita4. Lindhqvist ha definito la responsabilità estesa del produttore come un principio ispiratore di politiche atte a promuovere miglioramenti sull’intero ciclo di vita del prodotto, estendendo la responsabilità del produttore a tutte le sue fasi5. Se ai giorni nostri questo principio può apparire ovvio, fino agli anni Ottanta erano molte le aziende che consideravano concluso il loro lavoro con la fase di commercializzazione dei prodotti o nel caso migliore con i servizi di assistenza tecnica post-vendita, senza prendere in
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La responsabilità estesa del produttore mira a promuovere miglioramenti sull’intero ciclo di vita del prodotto, estendendo la responsabilità del produttore a tutte le sue fasi considerazione la fase di gestione dei beni una volta che questi venivano dismessi. Tali oneri ricadevano sulle spalle dell’utilizzatore del prodotto o della collettività, sempre più vittima di una società dei consumi travolta dalla crescita esponenziale dei rifiuti generati. Il principio della responsabilità estesa del produttore amplia il campo di gioco in cui l’indu4 OECD: Extended Producer Responsibility: Updated Guidance for Efficient Waste Management. OECD Publishing (2016). 5 Extended Producer Responsibility in Cleaner Production: Policy Principle to Promote Environmental Improvements of Product Systems, Lindhqvist (2000).
23 stria deve operare. La responsabilità non è più solo quella relativa alle funzioni d’uso, alla sicurezza, al rispetto degli standard di prodotto oppure alle prestazioni o, ancora, alla disponibilità di un servizio di assistenza efficiente e di qualità. La responsabilità del produttore trascende le obbligazioni relative al prodotto per farsi carico di quelle relative al rifiuto. Perché Lindhqvist ha messo il produttore al centro della sua strategia di protezione ambientale? Applicando il principio del chi inquina paga all’intero ciclo di vita del prodotto dovremmo chiamare in causa l’intera catena del valore, dai fornitori delle materie prime alle fabbriche del produttore, dai trasportatori ai distributori e dal primo acquirente fino agli utilizzatori successivi. Tutti questi soggetti sono potenzialmente degli inquinatori6. Allora quale scegliere? Lindhqvist non cercava un colpevole ma, applicando una logica utilitarista, voleva identificare il soggetto che meglio avrebbe potuto aiutare la filiera a ridurre l’impatto ambientale complessivo.7 A partire dagli anni Novanta, i produttori hanno così assunto un ruolo attivo nella gestione dei rifiuti derivanti dai propri prodotti. Grazie alle competenze industriali, tecnologiche e organizzative di cui dispongono, i produttori hanno ottenuto risultati importanti in termini di qualità della gestione dei rifiuti e di ottimizzazione dei costi ad essi associati, sviluppando progressivamente il principio della responsabilità estesa. Una solida strategia EPR costituisce la rete di protezione per la salvaguardia dell’ambiente in quanto lo protegge sia contro i fallimenti del mercato, che si manifestano quando agli operatori di mercato non conviene trattare i rifiuti, sia contro chi non rispetta la legge e abbandona i rifiuti, non facendosi carico della loro gestione. Grazie alla responsabilità estesa del produttore queste esternalità negative vengono prese in carico da chi progetta e fabbrica i prodotti, impegnandosi a minimizzare l’impatto ambientale e ad ottimizzare la gestione, a vantaggio della collettività. Ecco allora emergere un aspetto a volte trascurato della responsabilità estesa del produttore. Essa non produce solo benefici economici e ambientali ma va a toccare anche la sfera sociale.8
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A partire dagli anni Novanta, i produttori hanno assunto un ruolo attivo nella gestione dei rifiuti derivanti dai propri prodotti
EPR
Sistemi di responsabilità estera del produttore
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+ Benefici economici
+ Benefici ambientali
Ricaduta sociale
6 Non si vuole dare un’accezione negativa o di “colpa” ma semplicemente identificare chi, con la propria attività e le proprie decisioni d’acquisto contribuisce ad aumentare l’impronta ambientale. 7 Middleton (2013). 8 Surak (2011).
24 L’implementazione di politiche EPR può al contempo contribuire a migliorare l’immagine pubblica di un’azienda che investe seriamente nel riciclo e nella progettazione di prodotti pensati per ridurre l’impatto ambientale. Facendosi carico dei processi di de-produzione9 dei beni forniti ai propri clienti, i produttori rendono più solide le connessioni con la società.
Cosa si intende per de-produzione ? Il concetto di de-produzione nasce dall’idea che per alimentare i processi di fabbricazione il produttore “prende a prestito” dal pianeta le materie prime necessarie. In realtà i materiali si comprano sui mercati internazionali e il loro costo viene coperto attraverso il prezzo pagato dal cliente. Tutti ci guadagnano, tranne i sistemi naturali, che attendono pazienti il ristoro della materia a suo tempo sottratta. Il ristoro avviene grazie ad un efficace processo di de-produzione volto a ripristinare le risorse e a massimizzare il valore ambientale delle stesse. L’impegno profuso dal produttore nel finanziare e, spesso, nel coordinare il processo di de-produzione, si ispira ai principi di chi inquina paga e di responsabilità estesa. L’affermare però che i costi della de-produzione sono realmente e totalmente a carico del produttore è un paralogismo. Certo, il produttore finanzia le attività connesse alla de-produzione ma, come per qualunque altra voce di costo associata al prodotto, anche gli oneri economici di tali attività avranno una qualche ripercussione sul suo prezzo finale.
Come vedremo in seguito quando affronteremo il tema del finanziamento, la gestione virtuosa della de-produzione ha inevitabili impatti economici sugli acquirenti e sugli utilizzatori dei prodotti, che troveranno nel prezzo un sia pur modesto ricarico che servirà al produttore per organizzare il suddetto servizio. Responsabilizzare il produttore su quanto avviene a valle della decisione del cliente di disfarsi di un prodotto ha delle implicazioni rilevanti. Il produttore dovrà costruire un’organizzazione in grado di estendere i propri servizi alla fase in cui il prodotto diventa rifiuto. Egli non potrà più limitarsi a vendere il prodotto ma dovrà predisporsi a ritirarlo nell’istante in cui il cliente deciderà di disfarsene o di sostituirlo, provvedendo alla sua de-produzione. La gestione della de-produzione del prodotto associata al principio di responsabilità estesa può derivare da 9 Per de-produzione in questo saggio si fa riferimento all’intera filiera che, partendo dal prodotto, consente di reinserirne componenti e materiali nei cicli biologici e produttivi.
25 un’obbligazione cogente in capo al produttore introdotta da una normativa europea o nazionale oppure essere frutto di una scelta volontaria, ispirata da ragioni commerciali o etiche. Attivare sistemi EPR volontari potrebbe abilitare opportunità di ripresa dei prodotti a fine vita per differenziarsi dalla concorrenza in relazione al servizio offerto alla clientela oppure per rientrare in possesso di componenti e materiali con elevato valore economico residuo ma, allo stesso tempo, potrebbe rafforzare la credibilità delle aziende che puntano sulla responsabilità ambientale e sociale di impresa. Un altro aspetto importante del principio di responsabilità estesa è il suo grado di esclusività. Alcuni ritengono che la responsabilità applicata alle operazioni di de-produzione debba essere attribuita in modo esclusivo al produttore. Secondo questo orientamento il produttore è l’unico soggetto responsabile della raccolta e valorizzazione dei propri beni giunti al termine del ciclo di utilizzo e trasformati in rifiuti. Se da un lato questa impostazione impegna il produttore a farsi carico, almeno in prima battuta, di tutti gli oneri associati alla de-produzione, dall’altro lascia a quest’ultimo ampia autonomia nell’organizzare e finanziare il complesso sistema che dovrà occuparsi della de-produzione stessa. Sfortunatamente sono davvero rari i casi in cui il produttore avrà a disposizione tutte le leve per gestire a 360° processi di raccolta, riutilizzo e riciclo che compongono la complessa filiera della de-produzione. Quando alla responsabilità sul prodotto aggiungiamo la componente “estesa” riferita alla de-produzione dello stesso, si aprono molteplici scenari che variano a seconda delle scelte relative alle opzioni “regime cogente / volontario” e “responsabilità esclusiva / condivisa”. Per questa e per altre ragioni che esamineremo più avanti, possiamo sostenere che non esiste un modello univoco e standardizzato per tradurre in pratica il principio di responsabilità estesa del produttore. L’estensione della responsabilità alla fase di de-produzione, per cui il produttore si fa carico della gestione del rifiuto generato dal suo prodotto, non può dunque essere oggetto di una implementazione standardizzata perché si tratta di una strategia innovativa e in piena evoluzione, che abilita possibilità mai concepite prima d’ora e che contribuisce a “chiudere il cerchio” dell’economia circolare.
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Non esiste un modello univoco e standardizzato per tradurre in pratica il principio di responsabilità estesa del produttore
È un dato di fatto che i regimi EPR che si ispirano ai principi indicati dal Professor Lindhqvist sono sempre più diffusi. A livello mondiale i principali prodotti coperti da politiche basate sul principio EPR sono le apparecchiature elettriche ed elettroniche (35%), seguite da pneumatici fuori uso (18%) e imballaggi (17%)10 .
ALTRI PRODOTTI
30%
RAEE
35%
IMBALLAGGI
17%
PNEUMATICI
18%
Principali prodotti sottoposti a politiche basate su sistemi EPR 10 Corsini, Frey (2020).
26 I policy maker devono gestire con lungimiranza questo importante strumento che, sotto l’aspetto giuridico e normativo, presenta elementi di rilevante complessità. Infatti, i regimi di responsabilità estesa sono funzionali alla transizione verso l’economia circolare, che esalta la prospettiva del Life Cycle Thinking (LCT) e che attiva connessioni forti tra le politiche per gli standard di prodotto, le normative ambientali e sui rifiuti, i regolamenti sull’eco-design e sulle restrizioni delle sostanze chimiche. Mettere mano ai regimi di responsabilità estesa del produttore vuol dire dunque avere una visione sistemica e una chiara comprensione del modo in cui le diverse normative che agiscono sui prodotti si influenzano vicendevolmente.
Il Life Cycle Thinking Il Life Cycle Thinking (LCT), che in italiano potremmo tradurre con l’espressione “concetto del ciclo di vita”, è un approccio che va oltre la semplice analisi del processo produttivo di un prodotto poichè spinge ad analizzare gli impatti ambientali, economici e sociali durante l’intero ciclo di vita. Dalle operazioni – come per esempio la produzione, il trasporto e lo smaltimento – alle risorse utilizzate per realizzare il prodotto, così da permettere a consumatori, fornitori di servizi, progettisti e produttori di operare scelte oculate tenendo conto degli aspetti ambientali nel lungo termine. L’obiettivo del Life Cycle Thinking è quello di portare a una riduzione e ottimizzazione delle risorse utilizzate nel ciclo di vita di un prodotto, nonché a un abbassamento delle emissioni inquinanti e allo stesso tempo al miglioramento delle prestazioni socio-economiche del prodotto. Questo concetto quindi permette di mettere in un’unica relazione la dimensione sociale, economica e ambientale. L’approccio LCT trova applicazione attraverso strumenti come per esempio il Life Cycle Assessment, il Life Cycle Costing e il Social-Life Cycle Assessment. Si tratta di analisi incentrate su una prospettiva di analisi dell’intero ciclo di vita di un prodotto o servizio e sviluppate per supportare i processi di decisione a tutti i livelli e in tutti i settori per quanto riguarda sviluppo del prodotto, produzione, appalti e smaltimento finale. Questi strumenti forniscono la possibilità di analizzare le categorie di impatti legati alla sfera ambientale e sociale e gli effetti sulla sostenibilità nelle sue tre dimensioni, sociale, economica e ambientale.
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Esempio di quadro normativo che agisce su un determinato prodotto Il processo produttivo e le singole componenti di un prodotto sono spesso regolamentati da diverse fonti normative, dagli standard di settore, alla normativa sugli imballaggi, dalle direttive su economia circolare e ecodesign, fino alla Dichiarazione Ambientale di Prodotto, di carattere volontario. Di seguito uno schema esemplificativo del quadro normativo che può riguardare uno specifico prodotto.
Direttiva imballaggi
EPD volontarie
Regolamenti e standard di settore
Direttiva eco-design
PRODOTTO
Direttiva economica circolare
Reach - RoHS Sostanze chimiche/ pericolose
Sono tante le variabili da prendere in considerazione quando si progetta un regime EPR. Si farà il possibile per uniformarsi a principi e linee guida comuni ma occorrerà una buona dose di flessibilità per adattare i modelli generali alle caratteristiche delle singole catene del valore delle diverse categorie di prodotti e dei loro rifiuti. I temi essenziali che i policy maker devono affrontare nella progettazione di regimi EPR nuovi o esistenti sono il finanziamento, l’organizzazione operativa e l’assetto competitivo delle PRO.
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Panoramica dei Sistemi EPR per RAEE, batterie e imballaggi in UE e Regno Unito* Il report “I sistemi di Responsabilità Estesa del Produttore e il loro ruolo strategico per i produttori” redatto da Sofies group per conto di ERION e pubblicato nel luglio 2021 ha tracciato una panoramica delle condizioni quadro e dei sistemi EPR per RAEE, batterie e imballaggi in EU e nel Regno Unito.
1. RAEE – RIFIUTI DA APPARECCHIATURE ELETTRICHE ED ELETTRONICHE I RAEE sono uno dei flussi di rifiuti in più rapida crescita in Europa e presentano alcune sfide uniche e complesse, tra cui una sostanziale eterogeneità e una crescente complessità del mix di materiali e componenti. Ciò è dovuto principalmente alla grande varietà di prodotti inclusi nella categoria RAEE, dai telefoni cellulari alle apparecchiature a raggi X. Inoltre, con le diverse trasposizioni della Direttiva RAEE dell’UE da parte degli Stati Membri, varia la definizione dell’ambito e dei flussi di prodotti (domestici/ professionali), determinando così una diversa classificazione e inclusione dei prodotti a seconda del Paese. C’è una linea sottile tra le diverse categorie, per cui un articolo potrebbe essere considerato domestico in alcuni paesi e professionale in altri (ad esempio un computer portatile usato da un dipendente di un’azienda). Su scala europea, esiste ancora un divario importante tra la quantità di AEE immesse sul mercato - 10,3 milioni di tonnellate nel 2018 -, la quantità di RAEE raccolti - 4,8 milioni di tonnellate nel 2018 - e riciclati - 3,9 milioni di tonnellate nel 2018. La tabella seguente mette a confronto i diversi sistemi EPR per i RAEE operativi in Francia, Regno Unito, Spagna, Germania e Italia che riguardano sia i RAEE Domestici sia quelli Professionali. *I testi e i dati contenuti in questa sezione sono tratti dal report “I sistemi di Responsabilità Estesa del Produttore e il loro ruolo strategico per i produttori”. Sofies Group per Erion (2021).
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29
10,3
4,8
3,9
AEE immesse sul mercato
RAEE raccolti
Materiali riciclati
Mt
Mt
Mt
AEE e RAEE in Europa (in milioni di tonnellate), 2018 (Eurostat)
Corrispondenza tra numero punti di raccolta e risultati ottenuti. Dati Eurostat”. L’espressione POM significa “Put on the market” ovvero Immessi nel mercato.
Sulla base dell’analisi di cui sopra, si può osservare una generale correlazione tra il tasso di raccolta e il numero di punti di raccolta per abitanti. Come dimostrato dalla tabella seguente, Francia, Regno Unito e Spagna sono in testa in termini di tasso di raccolta e sono anche i paesi con la più grande rete di raccolta. Questo porta anche a minori quantità di RAEE raccolti per punto di raccolta, passando da 80 kg al giorno per punto in Spagna a 231 per l’Italia, che ha anche uno dei tassi di raccolta più bassi.
Prestazione a livello di paese per il settore RAEE
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2. BATTERIE Germania, Francia e Spagna hanno implementato programmi EPR per le batterie alla fine degli anni ‘90, seguiti dal Regno Unito e da molti altri paesi europei negli anni 2000. In generale, i sistemi EPR per le batterie in Europa hanno responsabilità finanziaria e organizzativa. In totale in Europa nel 2018 sono state immesse sul mercato 191 mila tonnellate di batterie e accumulatori portatili e 88 mila tonnellate sono state raccolte per il riciclaggio. Se si considerano gli accumulatori per autoveicoli e industriali, il totale immesso sul mercato raggiunge i 2,18 milioni di tonnellate e quasi 1,5 milioni di tonnellate sono state raccolte per il riciclaggio, con più di 1,3 milioni di rifiuti di batterie al piombo acido.
191
88
Mila t
Batterie e accomulatori portatili immessi sul mercato
Mila t
RPA portatili riciclati
2,18
1,5
1,3
Accumulatori per autoveicoli e industriali immessi sul mercato
RPA riciclati
Di cui RPA al piombo acido
Mt
Mt
Batterie in Europa (milioni di tonnellate), 2018
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Mt
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Corrispondenza tra numero punti di raccolta e risultati ottenuti.”L’espressione POM significa “Put on the market” ovvero Immessi nel mercato.
Sulla base dei dati di cui sopra, possiamo tracciare una generale correlazione tra le prestazioni di raccolta di un paese e il numero di punti di raccolta per abitante. Come per i RAEE, sembrerebbe che maggiore è il numero di punti di raccolta, migliore il tasso di raccolta, come dimostra la tabella seguente, dove Francia, Regno Unito e Germania hanno il miglior tasso di raccolta e anche il maggior numero di punti di raccolta.
Prestazioni a livello di paese per il settore delle batterie portatili
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3. IMBALLAGGI Storicamente, prima dell’introduzione di sistemi di EPR, gli imballaggi domestici venivano raccolti, smistati e riciclati dai servizi municipali e dalle autorità locali. Gli imballaggi rappresentano uno dei primi flussi di rifiuti ad essere regolamentati attraverso il principio EPR negli anni ‘90, a partire da Germania, Francia, Spagna e poi Regno Unito. Nonostante sia stata una delle prime tipologie di rifiuti ad adottare i modelli EPR, esiste ancora una grande eterogeneità in termini di sistemi EPR per imballaggi e delle loro caratteristiche in tutta l’UE. Ciò si riflette per esempio nel tipo di imballaggi coperti dai sistemi EPR, dove alcuni paesi coprono solo uno o più flussi tra imballaggi domestici, di tipo commerciale e industriale. In totale in Europa nel 2018, sono state prodotte 89 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggi, 71 milioni di tonnellate sono state recuperate e 58 milioni di tonnellate sono state riciclate: 30 milioni di tonnellate di imballaggi in carta e cartone, 7 milioni di tonnellate di imballaggi in plastica, 4,7 milioni di tonnellate di imballaggi in legno, 3,7 milioni di tonnellate di imballaggi metallici e 12,6 milioni di tonnellate di imballaggi in vetro.
89
71
58
Prodotti
Recuperati
Riciclati
Mt
89 Mt
Carta e Cartone
Mt
7
Mt
Plastica
Imballaggi in Europa (milioni di tonnellate), 2018
Mt
4,7 3,7 Mt
Legno
Mt
Metallici
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Il finanziamento dei sistemi EPR Abbiamo visto in precedenza che il finanziamento di un regime EPR spetta primariamente al produttore anche se, in una prospettiva allargata, la responsabilità finanziaria è spesso condivisa con altri soggetti della filiera, come i distributori o i gestori dei servizi di raccolta. Ma come si finanzia il produttore? Dove reperisce le risorse economiche per far fronte ai fabbisogni del regime EPR? Il produttore è un soggetto economico che per sua natura sarà orientato ad annoverare gli oneri della de-produzione tra i costi sostenuti per rendere disponibile sul mercato il suo prodotto, così come avviene per i costi delle materie prime, dell’energia, della manodopera o dei trasporti. Il produttore che vende al proprio cliente un determinato bene fisserà un prezzo che terrà conto dei costi di de-produzione o, in alternativa, applicherà un eco-contributo dimensionato in modo tale da coprire tali costi. Questo è particolarmente vero per le aziende appartenenti a settori industriali con redditività limitata e costi ambientali elevati. Se queste aziende non trasferissero l’onere del contributo ai propri clienti genererebbero perdite economiche, non potrebbero pagare gli stipendi ai propri dipendenti, verrebbero abbandonate dagli investitori e la loro sopravvivenza sarebbe a rischio. Sarà dunque il cliente che acquista e utilizza il prodotto a mettere a disposizione le risorse economiche che il produttore dovrà impiegare in modo efficiente, ottimizzando la gestione del processo di de-produzione. Per minimizzare l’impatto sui prezzi dei prodotti e scongiurare effetti recessivi sulla domanda è essenziale che i regimi EPR siano gestiti con un approccio industriale e sistemico orientato all’eccellenza.
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Per minimizzare l’impatto sui prezzi dei prodotti e scongiurare effetti recessivi sulla domanda è essenziale che i regimi EPR siano gestiti con un approccio industriale e sistemico orientato all’eccellenza Nel caso di finanziamento condiviso, queste considerazioni vanno estese a tutti i soggetti della filiera. Il negoziante a cui si chiede di contribuire al finanziamento del regime di responsabilità estesa sosterrà oneri aggiuntivi che potrebbero ridurne la redditività. Sarà dunque tenuto a mettere a disposizione dei clienti i propri locali per la consegna dei prodotti da dismettere, dedicare il suo personale a servizi di assistenza e magari svolgere attività amministrative a supporto. Anche i gestori dei centri di raccolta potrebbero incontrare le stesse criticità. Organizzare e gestire un’isola ecologica o erogare servizi di raccolta porta a porta comporta oneri
35 economici rilevanti. Chi si farà carico di sostenerli? I cittadini tramite la tassa sui rifiuti o i soggetti che producono il rifiuto e che si avvalgono del servizio? Sul piano finanziario i regimi EPR chiamano così in causa gli acquirenti-utilizzatori. Se un consumatore o un’azienda necessitano di un determinato bene, se a loro questo bene serve e se hanno la possibilità di acquistarlo, allora devono essere preparati a farsi carico del suo total cost of ownership11, che include anche la de-produzione. La decisione di acquisto e di utilizzo di un prodotto richiede la consapevolezza da parte dell’acquirente che nel prezzo pagato è compreso il finanziamento di un sofisticato strumento (il regime di responsabilità estesa) che assicura che alla fine del suo ciclo di vita il prodotto sia de-costruito per rigenerarsi in nuova materia rinnovabile secondo i principi dell’economia circolare. I materiali tecnici abiotici saranno così le materie prime seconde per fabbricare i prodotti del futuro mentre la materia biotica verrà re-integrata nei cicli biologici che sono la base dei cicli della bioeconomia.
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Sul piano finanziario i regimi EPR chiamano in causa gli acquirenti-utilizzatori
I regimi EPR ottengono attraverso il prezzo risorse economiche essenziali per assicurare che i processi di de-produzione siano svolti in modo efficace ed efficiente. Occorre perciò chiarire alcuni aspetti importanti sulla tutela dell’acquirente-utilizzatore che, proprio attraverso il prezzo, finanzia il sistema. 11 Il costo totale di possesso relativo a tutto il ciclo di vita di un determinato bene (metodologia introdotta da Gartner Group nel 1987).
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Diritto alla circolarità Il contributo ambientale che grava su chi acquista un prodotto non può essere un tributo avulso dall’effettivo utilizzo che ne fa chi lo riscuote. Si tratterà di un contributo dedicato esclusivamente a finanziare un servizio di de-produzione e a garantire all’acquirente-utilizzatore il suo diritto alla circolarità. Tale diritto si attiva nel momento in cui al produttore-venditore viene versato il prezzo del bene e verrà garantito dal regime EPR a cui il produttore-venditore appartiene. Molti, non sempre a torto, ritengono che i contributi ambientali siano in realtà delle imposte e purtroppo alcuni degli attuali modelli EPR non contribuiscono a cambiare questa percezione. Ciò non toglie che, pur essendo molta la strada da percorrere, i principi progettuali illustrati siano validi e rappresentino il futuro verso il quale i regimi EPR dovranno tendere.
Qualità del servizio Per scongiurare contrazioni della domanda e fenomeni recessivi occorre realizzare regimi EPR affidabili, efficienti e dotati delle competenze necessarie, capaci di garantire all’acquirente-utilizzatore il diritto alla circolarità. Essi sono chiamati ad assicurare che la de-produzione avvenga nel rispetto degli standard ambientali, a vigilare sull’efficienza dei processi e sulla ottimizzazione dei costi e a dare evidenza all’acquirente-utilizzatore dei risultati conseguiti. Riprenderemo più avanti questi importanti concetti.
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Variabilità dei costi L’immagine della miniera urbana12 evoca sostanziosi profitti realizzabili scavando nei rifiuti che la nostra società produce. In realtà, il fatto che nei nostri rifiuti ci siano materie prime di valore raramente li trasforma in un business in senso stretto, sempre che essi siano gestiti nel rispetto della normativa ambientale. Il valore economico delle materie prime seconde è quasi sempre di gran lunga inferiore alla somma dei costi relativi alla raccolta, al trasporto, alla cernita, alla messa in sicurezza, alla decontaminazione, alla bonifica delle componenti pericolose e allo smaltimento delle sostanze non riciclabili. Ciò spiega perché il bilancio economico complessivo di un regime EPR sarebbe negativo se non si ricorresse al contributo degli acquirenti-utilizzatori, sia pure intermediato dai produttori o dalle loro PRO. Esistono casi in cui il valore delle materie prime seconde contenute in una particolare tipologia di rifiuti supera i costi totali di gestione? Sì, anche se sono rari. Come ci si può regolare in tale evenienza? Dal punto di vista dell’acquirente-utilizzatore si inverte la prospettiva. Egli non dovrà più finanziare con un contributo i costi di funzionamento del regime di responsabilità estesa ma avrà diritto a vedersi restituire una parte del valore generabile grazie ai processi di de-produzione del prodotto. Se dunque l’acquirente-utilizzatore si occuperà in modo responsabile del rifiuto derivante dal suo prodotto, non lo abbandonerà ma lo consegnerà al regime EPR istituito per quella tipologia di rifiuto, potrà beneficiare di un meccanismo economico incentivante. Si tratta di un sistema dinamico, influenzato dalle quotazioni delle materie prime. È possibile che in una fase congiunturale favorevole i prezzi delle materie puntino verso l’alto, abilitando i meccanismi premianti a favore dell’acquirente-utilizzatore ma che, in un periodo successivo, le quotazioni crollino e i costi di gestione superino i ricavi generati dalla vendita delle materie prime seconde. Ecco allora che il flusso si inverte, impegnando l’acquirente-utilizzatore a sostenere finanziariamente il funzionamento del regime EPR. Si comprende così la complessità della gestione economico-finanziaria di questi regimi, spesso soggetti ad un andamento dei fabbisogni finanziari estremamente variabile nel corso del tempo.
12 In inglese “urban mining”, un approccio che vede nei rifiuti un elevato potenziale di recupero di materiali di valore da inserire nei cicli produttivi.
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Esempio di catena del valore di un regime EPR Restano da approfondire i ruoli assunti, ai fini del finanziamento, dai diversi soggetti che fanno parte del regime EPR. Se, a monte del flusso, i protagonisti sono gli acquirenti-utilizzatori che comprano i prodotti, i contributi da questi versati in varie forme fluiscono verso i soggetti che partecipano al regime EPR. Alcuni di questi, come i produttori, i distributori, i centri di assistenza, gli installatori e i gestori dei centri di raccolta, sono considerati di “primo livello” in quanto hanno la possibilità di entrare in contatto diretto con gli acquirenti-utilizzatori e possono quindi ricevere parte dei contributi. Altri invece sono operatori di secondo livello che, non avendo contatti con gli acquirenti-utilizzatori, si vedono remunerare dai soggetti di primo livello. Esiste infine una terza categoria costituita dai soggetti che non hanno ruoli operativi ma che svolgono compiti di vigilanza e controllo oppure che rivestono ruoli istituzionali, come i ministeri, le autorità di controllo o gli enti pubblici centrali e locali. Per quanto riguarda i soggetti di primo livello, l’acquirente-utilizzatore potrebbe ad esempio versare un contributo al venditore del bene all’atto dell’acquisto, che poi verrà in parte trasferito al produttore e in parte resterà nella disponibilità del venditore stesso per coprire gli oneri associati ai servizi di propria competenza. La quota destinata al produttore verrà da questo utilizzata per coprire i costi di trattamento ed eventuali oneri accessori quali la reportistica o la comunicazione ambientale. Se in un dato momento l’acquirente-utilizzatore decidesse di recarsi presso un centro di raccolta per liberarsi del rifiuto, potrebbe essere soggetto al pagamento di un ulteriore contributo da versare al gestore del centro, ad esempio sotto forma di tariffa rifiuti, per contribuire alla copertura dei costi delle infrastrutture di raccolta. Il frazionamento del contributo in più componenti ha il vantaggio di rendere disponibile in modo diretto a ciascun soggetto di primo livello coinvolto nel regime EPR le risorse necessarie a
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finanziare la propria parte di responsabilità. Di contro, questo modello risulta più complesso per l’acquirente-utilizzatore e potrebbe disincentivarlo a restituire il prodotto diventato rifiuto ai canali ufficiali preposti alla de-produzione, come vedremo meglio successivamente. Una diversa impostazione si basa sulla scelta di affidare al produttore, attraverso la sua PRO, il compito di coordinare il finanziamento dell’intero regime di responsabilità estesa, addebitando all’acquirente-utilizzatore all’atto della vendita un contributo dimensionato in modo tale da assicurare la copertura di tutti i costi della filiera. Il produttore che incassa il contributo, o direttamente o tramite il rivenditore, fungerà da collettore unico e provvederà a distribuire le risorse finanziarie agli altri soggetti coinvolti nella gestione secondo le responsabilità e il contributo offerto da ciascuno di essi. Questo modello è decisamente più semplice per l’acquirente-utilizzatore e dovrebbe offrire maggiori garanzie sotto il profilo ambientale. Di contro però evidenzia potenziali criticità nella misura in cui si chiede al produttore di inserire nel contributo ambientale la copertura di categorie di costo sostenute da altri soggetti (distributori, gestori di centri di raccolta) e quindi fuori dal proprio controllo diretto. Per ridurre le inefficienze che potrebbero derivare dall’approccio descritto è di fondamentale importanza disporre di criteri oggettivi e trasparenti per stabilire i costi ottimizzati che ciascuno dei soggetti che partecipano al regime EPR deve perseguire per poterne ottenere il ristoro. Indipendentemente dal fatto che siano esclusivi o condivisi, il produttore può far fronte agli obblighi di finanziamento attraverso la propria PRO facendo ricorso a tre possibili modelli, il modello generazionale pay for old, il modello della garanzia finanziaria pay for new e, infine, il modello di accantonamento pay for return.
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Il modello generazionale Nel modello generazionale la nuova generazione di prodotti immessa sul mercato si fa carico dei costi di de-produzione della vecchia. Ciò avviene attraverso un meccanismo che prevede l’addebito al produttore da parte delle PRO di un contributo proporzionale ai volumi di nuovi prodotti immessi sul mercato. In un dato periodo di tempo ciascun produttore concorrerà così a finanziare i costi di de-produzione non dei propri prodotti che diventano rifiuti bensì di una quota dei rifiuti derivanti dai prodotti di tutti i produttori che si generano in quel periodo di tempo. Il modello generazionale pay for old, dove la nuova generazione di prodotti paga per la vecchia, è quello che meglio garantisce l’acquirente-utilizzatore rispetto alla effettiva disponibilità del servizio. Qualunque sia il destino del produttore che in passato ha fornito un prodotto ad un acquirente-utilizzatore, oggi ci sarà sempre un certo numero di produttori che commercializza quella stessa tipologia di prodotto. Se il produttore che ha immesso sul mercato il vecchio prodotto è fallito, saranno i suoi concorrenti ancora attivi a finanziare i costi di de-produzione dei rifiuti derivanti dai vecchi prodotti del produttore fallito, proporzionalmente alla loro quota, in genere calcolata sul peso dell’immesso sul mercato.
Una critica al modello generazionale riguarda il fatto che un produttore di successo che ha incrementato significativamente la propria quota di mercato si troverà a finanziare la de-produzione dei rifiuti derivanti da prodotti non suoi. Viceversa, il produttore in crisi che ha inondato il mercato di prodotti, avendo oggi una quota di mercato ridotta, contribuirà solo in parte minima alla de-produzione dei prodotti che ha venduto in passato. Questa asimmetria è lo scotto da pagare per disporre di un modello di finanziamento stabile e affidabile, fondato sulla raccolta di risorse finanziarie da chi effettivamente le possiede in funzione delle vendite che riesce a realizzare. Un altro punto debole del modello generazionale è il fatto che esso mostra dei limiti quando i tassi di ritorno sono elevati e con prodotti caratterizzati da cicli di vita lunghi. Se il tasso di ritorno13 è molto superiore al 100%, scenario tipico di mercati maturi o in crisi, può succedere che i volumi di rifiuti da de-produrre in un dato periodo superino di molto i volumi dei nuovi 13 Per tasso di ritorno si intende il rapporto su quantità di rifiuti generati e quantità di prodotti immessi sul mercato dai produttori.
41 prodotti immessi sul mercato dai produttori esistenti. In questo caso i contributi unitari a loro carico diventerebbero estremamente onerosi e, nei casi limite, insostenibili. Anche i cicli di vita molto lunghi possono creare problemi di stabilità ed equilibrio del sistema. Se i prodotti venduti in un dato anno diventano rifiuti l’anno successivo il sistema avrà una struttura di costi tutto sommato prevedibile, cosa che in genere non si verifica se gli acquirenti-utilizzatori dei prodotti se ne disfano dopo molti anni. Infine, il modello pay for old mal si adatta all’introduzione di strumenti di modulazione del contributo perché le risorse finanziarie che si raccolgono non sono relative ai prodotti venduti ma a quelli che, diventati rifiuti, vengono raccolti e riciclati con lavorazioni a lotti e indifferenziate da un punto di vista delle tecnologie di trattamento. Oltre a ciò, i modelli generazionali funzionano bene se il finanziamento si basa su criteri semplici quale il peso di immesso sul mercato per categoria ma segnano il passo se si prova ad introdurre variabili più complesse quali i tassi di ritorno puntuali per sotto-categoria, le performance di riciclabilità e durabilità o i tassi di utilizzo di materiali riciclati. Nonostante i limiti evidenziati, il modello di finanziamento generazionale resta attualmente il più utilizzato in assoluto, soprattutto per la sua semplicità ed efficacia. Ma sul piano pratico, come avviene il finanziamento? In genere le PRO utilizzano due strumenti alternativi, il contributo internalizzato e l’eco-contributo visibile. Il primo è di fatto un costo di gestione del servizio di de-produzione che le PRO addebitano ai propri produttori. Il costo può essere calcolato a consuntivo e quindi traferito ai produttori proporzionalmente ai volumi dei prodotti che questi immettono sul mercato oppure determinato a priori, partendo da una stima dei costi totali e dei tassi di ritorno attesi, intesi come rapporto tra quantità di rifiuti gestiti e volumi dei prodotti immessi sul mercato. Il produttore tratta il contributo internalizzato alla stregua di qualsiasi altro costo industriale e lo contabilizza nel conto economico di prodotto per arrivare alla determinazione del prezzo di vendita. Il pregio del contributo internalizzato è di essere di semplice gestione ma presenta il difetto di non fornire all’acquirente-utilizzatore un’informazione trasparente sulla sua entità. Di fatto l’acquirente-utilizzatore pagando il prezzo del prodotto copre anche la voce di costo riferita al contributo di de-produzione, senza però esserne consapevole o, quanto meno, senza conoscerne il valore.
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La scelta del contributo ambientale visibile consente al produttore di esporre nelle proprie fatture commerciali un importo per i servizi di de-produzione separandolo dal prezzo di vendita del prodotto In questo modo l’acquirente-utilizzatore conosce l’entità del contributo richiesto dalle PRO per conto dei produttori per assicurare il diritto alla circolarità nel momento in cui il prodotto viene acquistato. Anche se un po’ più complessa da gestire, questa modalità di applicazione del contributo offre trasparenza radicale al mercato e ha il pregio di creare consapevolezza rispetto all’esistenza stessa del diritto alla circolarità, informando l’acquirente-utilizzatore su come verranno impiegate le risorse finanziarie che questo mette a disposizione. Il limite
42 del meccanismo sta nel fatto che esso perde la sua utilità nel momento in cui l’informazione sul contributo ambientale visibile, come spesso accade, si ferma al distributore al dettaglio o all’ingrosso e non arriva all’acquirente-utilizzatore finale, sia esso un consumatore o un’azienda.
Il modello della garanzia finanziaria Nel modello della garanzia finanziaria o pay for new, ogni nuovo prodotto immesso sul mercato da un produttore viene accompagnato dal versamento di un importo atto a coprire i costi della sua de-produzione. Da un punto di vista logico questo modello sembra essere il più razionale perché prevede che il prodotto entri sul mercato unitamente ad una provvista finanziaria da utilizzare per gestire il rifiuto da esso derivante quando se ne presenterà la necessità. Se i soldi per la de-produzione sono stati accantonati all’origine, non ci sarà nessun rischio per l’acquirente-utilizzatore e per la collettività di trovarsi con un rifiuto, magari contenente componenti pericolose, libero di circolare senza che nessuno ne sia responsabile finanziariamente. Il modello sembrerebbe funzionare benissimo anche in caso di fallimento del produttore che ha fornito il prodotto perché a prescindere dalla sua esistenza o meno le risorse finanziarie per la gestione del rifiuto sono state già versate all’atto della vendita.
Se sulla carta questo modello sembra ideale per implementare regimi di responsabilità estesa del produttore efficaci, nella pratica è soggetto a sostanziali criticità che ne scoraggiano l’applicazione, se non in casi molto particolari. Il primo problema riguarda i criteri per determinare l’importo della garanzia da trattenere. Si tratta di stimare costi futuri di raccolta, trasporto e trattamento che potrebbero verificarsi a distanza di anni dal momento in cui si riscuote il suddetto importo. Il rischio di errore è elevato, sia per difetto che per eccesso. Il secondo problema riguarda la destinazione degli importi. Versando la garanzia alla sua PRO, il produttore viene manlevato da tutti gli obblighi futuri collegati alla de-produzione del prodotto diventato rifiuto e il garante del diritto alla circolarità nei confronti dell’acquirente-utilizzatore diventa proprio la PRO. Dobbiamo però essere certi che la PRO impieghi correttamente gli importi delle garanzie, che possono diventare anche rilevanti, e che dia visibilità sulla loro consistenza ed
43 utilizzo. Occorre inoltre scongiurare l’eventualità che la PRO possa fallire o cessare la propria attività, facendo venir meno il fondo con i contributi destinati alla gestione dei rifiuti derivanti dai prodotti grazie ai quali il fondo è stato costituito. Una delle soluzioni da considerare per mitigare questo rischio è l’istituzione di un trust di scopo14, che consente al trustee di gestire le somme in esso segregate anche in caso di uscita dal mercato del disponente del trust.
Il modello di accantonamento pay for return Questa terza opzione è per certi versi la più semplice ma anche la meno tutelante per l’acquirente-utilizzatore. Di fatto il produttore assume la responsabilità finanziaria della de-produzione del prodotto diventato rifiuto ma non è tenuto a versare alcun tipo di contributo al momento della vendita dello stesso, né sottoforma di contributo pay for old e neppure come importo a garanzia per la gestione del nuovo prodotto. Dunque, il produttore si limita ad accantonare a bilancio una quota a copertura di potenziali costi futuri e attende gli eventi. Se e quando in futuro l’acquirente-utilizzatore richiederà la gestione del rifiuto derivante dal vecchio prodotto acquistato dal produttore, ecco che quest’ultimo si attiverà per fornire il servizio di de-produzione sostenendone il costo. Si comprende bene come questo modello sia in grado di funzionare solo nella misura in cui il produttore sia ancora sul mercato nel momento in cui si genera il rifiuto. Con il modello pay for return il produttore mantiene un atteggiamento passivo. Egli non è incentivato a organizzare, anche attraverso la sua PRO, una rete di reverse logistics idonea a favorire da parte dell’acquirente-utilizzatore la restituzione del prodotto giunto alla fine del suo ciclo di vita.
Dobbiamo adesso comprendere se le logiche di finanziamento già indicate sono in qualche modo condizionate dal perimetro di responsabilità finanziaria a carico delle PRO. Se l’impostazione adottata per un determinato regime di responsabilità estesa del produttore preve14 I Trust sono negozi giuridici anglosassoni introdotti in Italia, ad esempio, per la gestione delle garanzie relative ai pannelli fotovoltaici.
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Elementi caratteristici dei diversi modelli di finanziamento Per far fronte agli obblighi di finanziamento a carico dei propri produttori, le PRO possono dunque adottare diversi modelli quali il pay for old generazionale, la garanzia sul nuovo prodotto o il pay for return. A volte il contesto di mercato è così complesso e articolato che una PRO potrebbe adottare più modelli, anche combinati tra loro, per organizzare al meglio il finanziamento dei processi di de-produzione di diverse categorie di prodotto-rifiuto da gestire.
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45 de che al flusso di risorse finanziarie necessario a garantire la copertura dei costi efficienti dell’intero regime di responsabilità estesa debba provvedere in via esclusiva il produttore, occorre fare in modo che la sua PRO distribuisca le risorse raccolte agli altri soggetti che partecipano al sistema. Ogni attore che opera lungo la catena del valore del regime di responsabilità estesa dovrà ricevere un ammontare di risorse corrispondente all’effettivo contributo fornito e ai costi ottimizzati realmente sostenuti. Per evitare che i costi complessivi del sistema lievitino a livelli insostenibili è dunque essenziale riconoscere a posteriori il lavoro effettivamente svolto, evitando erogazioni a priori di contributi, e farlo sulla base di costi standard stabiliti attraverso modelli economici tarati su criteri di eccellenza gestionale. Se chi svolge attività di raccolta non lo fa in modo efficiente non potrà pretendere il ristoro integrale dei propri costi ma si vedrà riconosciuto solo quando risponde al criterio dei costi ottimizzati. Ancora più importante, se chi svolge attività di raccolta la sta finanziando tramite una tassa sui rifiuti, nel momento in cui riceverà una parte del contributo che il produttore chiede all’acquirente-utilizzatore dovrà depennare tale tassa, dandone visibilità ai propri utenti. Occorre assolutamente evitare che un consumatore o un‘azienda paghi due volte per lo stesso servizio, la prima attraverso un’imposta sui rifiuti e la seconda attraverso un contributo ambientale sul prodotto acquistato, il cui scopo è anche quello di finanziare i sistemi di raccolta a disposizione di chi deve disfarsi del rifiuto.
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Occorre evitare che un consumatore o un‘azienda paghi due volte per lo stesso servizio, la prima attraverso un’imposta sui rifiuti e la seconda attraverso un contributo ambientale sul prodotto acquistato
Se si decide di attribuire alle PRO il compito di provvedere al finanziamento dell’intero regime di responsabilità estesa è dunque opportuno verificare che le condizioni sin qui descritte siano effettivamente soddisfatte. Una volta verificato che l’intero sistema è in grado di operare in modo trasparente ed efficiente sarebbe preferibile introdurre un contributo ambientale visibile. Solo un contributo visibile, esposto sullo scaffale del negozio, stampato sullo scontrino o indicato in fattura, può contribuire a costruire un rapporto di fiducia e di reciproca responsabilità con l’acquirente-utilizzatore. Quest’ultimo potrà conoscere quanto gli viene chiesto dal regime EPR per garantire il suo diritto alla circolarità. Il produttore incasserà l’intero eco-contributo visibile e lo utilizzerà sia per far fronte ai costi di propria competenza diretta, quali il trattamento, la comunicazione e la reportistica, sia per ristorare gli oneri economici, con il criterio dei costi standard e del riconoscimento delle prestazioni erogate a posteriori, agli altri soggetti della catena del valore, quali i distributori e i gestori dei centri di raccolta.
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Un contributo visibile, esposto sullo scaffale del negozio, stampato sullo scontrino o indicato in fattura, può contribuire a costruire un rapporto di fiducia e di reciproca responsabilità con l’acquirente-utilizzatore
46 Un’alternativa al modello precedentemente descritto prevede la suddivisione delle responsabilità finanziarie tra i diversi soggetti di primo livello che partecipano al regime di responsabilità estesa del produttore. Ogni soggetto chiederà, anche se in forme diverse, un contributo all’acquirente-utilizzatore e risponderà alle autorità e alla collettività di che uso farà del contributo stesso. In un caso estremo, il produttore potrebbe applicare al prezzo di vendita un piccolo ricarico per coprire i costi di trasporto agli impianti e di trattamento dei rifiuti da de-produrre, mentre il distributore riscuoterà un contributo nel caso in cui l’acquirente-utilizzatore intenda avvalersi di un punto di vendita per restituire un rifiuto. Allo stesso modo il gestore di un centro di raccolta comunale può introdurre un sistema di tariffa puntuale per addebitare all’utente che consegna un determinato rifiuto un corrispettivo per il servizio fornito. Ogni attore del sistema dovrebbe così confrontarsi con l’utente del servizio ed essere giudicato rispetto ai livelli di efficienza e qualità forniti, essendo il responsabile diretto del finanziamento della propria parte della catena del valore. Questo approccio ha però il limite di frammentare su più tipologie di contributo il finanziamento dei processi di de-produzione, confondendo l’acquirente-utilizzatore e disincentivando la restituzione del rifiuto. Infatti, all’atto dell’acquisto di un prodotto, l’acquirente-utilizzatore verserebbe un contributo al produttore che lo indurrebbe a ritenere di aver adempiuto al finanziamento dei costi di de-produzione del prodotto stesso. Che certezze avremmo che l’acquirente-utilizzatore, quando sarà il momento di farlo, si disferà correttamente del rifiuto dato che ciò comporterebbe oneri ulteriori a suo carico?
Principi organizzativi dei regimi EPR Abbiamo visto che i regimi EPR sono costituiti da diversi soggetti che collaborano per raggiungere determinati obiettivi stabiliti da normative europee e nazionali e che per farlo sono chiamati a svolgere un insieme di attività coordinate che concorrono alla realizzazione dei processi caratteristici della catena del valore della de-produzione. In genere le principali fasi operative che un regime EPR deve organizzare sono la raccolta, il trasporto, il trattamento, la reportistica e la comunicazione.
Raccolta
Trasporto
Fasi operative dei regimi EPR
Trattamento
Reportistica
Comunicazione
47 Abbiamo anche osservato che i soggetti coinvolti nella loro esecuzione sono molteplici e tra questi troviamo i gestori della raccolta, gli operatori logistici, gli impianti di trattamento, i distributori, gli installatori, i centri di assistenza, i produttori – con le PRO e i loro sistemi di coordinamento - le autorità di controllo e di vigilanza e gli enti locali.
Soggetti coinvolti nell'esecuzione dei regimi EPR
L’acquirente-utilizzatore, sia esso un privato cittadino o un’azienda, è il “cliente” del regime EPR, il soggetto a cui questa articolata entità si rivolge per erogare il servizio di de-produzione del prodotto che si trasforma in rifiuto. Si tratta di un sistema di elevata complessità, caratterizzato da cinque macro-processi e da una decina di soggetti che concorrono ad assicurarne il buon funzionamento. Per tale ragione diventa cruciale stabilire in modo chiaro e condiviso chi fa che cosa lungo tutta la catena del valore della de-produzione.
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È cruciale stabilire in modo chiaro e condiviso chi fa che cosa lungo tutta la catena del valore della de-produzione
Un possibile approccio consiste nell’affidare alle PRO dei produttori il compito di organizzare e di coordinare tutta la catena del valore del regime di responsabilità estesa. È un modello di difficile attuazione in quanto potrebbe generare inefficienze importanti. Per fare un esempio, che utilità avrebbe per le PRO realizzare centri di raccolta di proprietà se questi si sovrapponessero a quelli già esistenti nei Comuni italiani? Oppure, che senso avrebbe costruire impianti di trattamento in competizione con gli operatori attivi sul mercato del riciclo? Attribuire alle PRO la responsabilità organizzativa e operativa lungo tutta la catena del valore del sistema favorirebbe possibili duplicazioni, diseconomie di scala e forme di concorrenza sleale nei confronti delle aziende che competono sul mercato, fornitori potenziali delle PRO. Alla luce di ciò risulta forse più efficace puntare sulla suddivisione delle responsabilità or-
48 ganizzative e operative dei processi di de-produzione tra i diversi soggetti che fanno parte del regime EPR, valorizzando le competenze distintive di ciascuno di essi. Le PRO potrebbero occuparsi della selezione degli impianti di trattamento e degli operatori logistici senza fargli concorrenza e controllando la qualità e l’efficienza del loro operato mentre gli enti locali potrebbero coordinare i servizi di raccolta e l’informazione a livello territoriale. I distributori, gli installatori e i centri di assistenza potrebbero essere responsabilizzati sulla capacità di favorire la restituzione dei rifiuti da parte degli acquirenti-utilizzatori e di organizzare a tale scopo strutture di servizio e processi operativi efficienti. Un pool più ampio di soggetti della filiera potrebbe, infine, collaborare alla implementazione di strumenti di reportistica e tracciabilità completi ed affidabili e alla realizzazione di iniziative di sensibilizzazione e comunicazione nei confronti dei cittadini e delle imprese. Un elemento che complica la scelta del modello organizzativo ottimale è costituito dall’inevitabile disaccoppiamento tra la struttura finanziaria del regime di responsabilità estesa del produttore e la sua dimensione operativa. Molto spesso tocca alle PRO farsi carico del finanziamento della catena del valore del servizio ma non sono queste organizzazioni a fare il lavoro sul campo. Occorre perciò trovare il corretto equilibrio tra dimensione finanziaria e dimensione operativa in modo da assicurare al sistema un adeguato livello di efficienza. Se da un lato le PRO passacarte, che si limitano a distribuire risorse economiche, offrono un valore aggiunto limitato, dall’altro le PRO tuttofare a cui viene affidata in esclusiva la responsabilità di organizzare il regime EPR rischiano di non disporre dei mezzi per farcela. L’equilibrio ottimale va cercato partendo da una profonda conoscenza della catena del valore dei processi di de-produzione di ciascuna tipologia di prodotto-rifiuto.
Assetto competitivo dei regimi EPR Uno dei temi più dibattuti nella progettazione strategica dei regimi EPR è quello relativo al loro assetto competitivo. Meglio avere più PRO in competizione tra loro o è preferibile fare affidamento su un’organizzazione monopolista a cui tutti i produttori sono obbligati a aderire? La guida “Per una gestione efficace dei rifiuti” dell’OECD predilige contesti aperti alla concorrenza e anche alcuni recenti studi, come quello realizzato dal governo canadese sui regimi di responsabilità estesa del produttore15, evidenziano il fatto che le politiche che restringono il numero di PRO o riducono la libertà economica e decisionale si traducono in una perdita di efficienza. Uno studio realizzato da Deloitte16 giunge a una conclusione diversa, sostenendo che non esistono evidenze che per i sistemi di responsabilità estesa del produttore una singola orga15 Mckenzie (2018). 16 Development of Guidance on Extended Producer Responsibility (2014).
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Per individuare l’assetto competitivo ottimale di un regime EPR è opportuno adottare una prospettiva di lungo termine
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nizzazione centralizzata sia preferibile all’introduzione della concorrenza ma che non ci sono neppure elementi oggettivi che portino a ritenere il contrario. Per individuare l’assetto competitivo ottimale di un regime EPR è opportuno adottare una prospettiva di lungo termine, in quanto valutazioni attendibili sulle sue prestazioni fornite da questi sistemi richiedono tempo. Avere un regime EPR con una sola PRO di cui tutti i produttori fanno parte potrebbe avere alcuni vantaggi, primo tra tutti quello di evitare un eccessivo livello di frammentazione foriero di scarsa efficacia, soprattutto quando si tratta di adottare modelli di gestione complessi che richiedono una governance forte e compatta. La PRO unica potrebbe essere una valida opzione, se non fosse per i rischi legati al potenziale abuso di posizione dominante e alla scarsa propensione all’innovazione che a volte si insinua in chi opera in un regime di monopolio. Optare per il “sistema unico” richiede dunque la capacità di sviluppare sistemi di controllo efficaci per scongiurare abusi da parte del monopolista e meccanismi atti ad incoraggiare investimenti nel miglioramento continuo del servizio. Chi invece predilige il sistema pluralista, aperto alla concorrenza tra diverse PRO, si troverà ad affrontare una elevata complessità nel coordinare le organizzazioni collettive istituite dai produttori ma potrà contare su una maggiore propensione all’innovazione grazie agli stimoli generati dalla competizione. Governare un sistema fatto da varie PRO richiede un solido quadro
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L'UE ha scelto di orientarsi verso la costruzione di regimi EPR aperti alla partecipazione di soggetti diversi in leale competizione tra loro normativo di coordinamento ma questo a sua volta aumenta i costi per l'applicazione delle regole e il controllo del sistema. Indipendentemente dalla scelta finale, gli sforzi dovrebbero essere diretti a garantire che il rischio di abuso di monopolio sia evitato e che, andando verso un sistema pluralista, sia garantita una parità di condizioni tra le PRO concorrenti17. Se guardiamo all’Unione Europea, la scelta dell’assetto competitivo con cui progettare i siste17 Spasova – Lund University (2014).
50 mi EPR è stata fatta. Si punta con decisione alla costruzione di regimi EPR aperti alla partecipazione di diversi soggetti in leale competizione tra loro. Questo orientamento è tutto sommato coerente con la strategia europea tesa ad estendere progressivamente il perimetro delle responsabilità a carico dei produttori. Il ragionamento è semplice. Se da un lato si chiede ai produttori di farsi carico di responsabilità via via crescenti, dall’altro deve essere loro concessa la possibilità di stabilire come organizzare le proprie PRO. La richiesta di assunzione di maggiori responsabilità non sarebbe compatibile con l’istituzione di un regime obbligatorio, un contenitore unico costruito e gestito da altri. Sta ai produttori decidere come strutturarsi per raggiungere gli obiettivi, quale fisionomia dare alle proprie organizzazioni collettive e quante di queste ne occorrono. I critici di questa strategia si appellano alla contrapposizione tra ambiente e mercato. Perché ragionare di concorrenza tra PRO quando i regimi EPR devono in primo luogo assicurare la tutela dell’ambiente attraverso una gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti? Forse una PRO unica, istituita nella forma di consorzio obbligatorio, meglio potrebbe perseguire gli obiettivi ambientali, evitando di sprecare energie in un’arena competitiva che distrae i concorrenti dal raggiungimento dei suddetti obiettivi. Questi dubbi sono alimentati dall’erronea convinzione che la concorrenza nel mondo delle PRO sia la stessa presente nei mercati for profit in cui si lotta quotidianamente per il conto economico. Anche se questa eventualità non può essere esclusa a priori, esistono misure efficaci e collaudate per fare in modo che gli obiettivi ambientali siano saldamente al centro dell’azione delle PRO. In primo luogo, le PRO saranno organizzazioni senza fini di lucro di soli produttori, senza la presenza di operatori economici che perseguono il profitto. Oltre a ciò, ciascuna PRO dimostrerà di essere in possesso di adeguati requisiti etici, patrimoniali e organizzativi sottoponendosi ad un processo di accreditamento che consenta alle autorità di vigilanza e controllo di attestarne la veridicità e la credibilità. Questo modo di procedere renderà possibile istituire un solido regime di responsabilità estesa del produttore, aperto e pluralista, capace di favorire l’innovazione, la qualità e l’efficienza proprio grazie alla ricchezza del confronto tra esperienze diversificate. Un’altra critica al modello pluralista e aperto è di natura tecnica. Chi non vede di buon occhio la coesistenza di più PRO all’interno di un regime EPR avanza giustamente dubbi sulla complessità del coordinamento dell’azione di tali organizzazioni nel fornire il servizio ai soggetti della filiera, in particolare a quelli responsabili della raccolta. Non si può negare che, da questo punto di vista, un sistema unico sia molto efficiente in quanto non deve coordinarsi con nessuno. Possiamo però sostenere che un sistema pluralista non potrà in nessun caso raggiungere un buon livello di efficienza organizzativa? Riteniamo che la risposta sia no, a patto che si adotti un valido meccanismo di coordinamento che vincoli le PRO ad operare in una logica collaborativa e responsabile. Tali meccanismi di coordinamento esistono da anni, sono affidabili e collaudati e consentono di far funzionare un sistema fatto da più PRO in modo sincrono ed efficiente, con un’elevata ed omogenea qualità del servizio. Le clearing house o centri di coordinamento realizzano un modello di responsabilità estesa fondato su una pluralità di organizzazioni dei produttori chiamate ad operare all’interno di un quadro di regole certe, idonee a garantire la qualità e la trasparenza del sistema. Queste clearing house rappresentano l’interlocutore unico dei soggetti che effettuano la raccolta e assegnano a ciascuna PRO i compiti di raccolta su tutto il territorio nazionale. Le PRO sono obbligate a raccogliere
51 i rifiuti solo nei punti di raccolta assegnati dalla clearing house, senza fare cherry picking18. Nei modelli più evoluti, un algoritmo di ricerca operativa assegna i luoghi di raccolta secondo determinati raggruppamenti organizzati per tipologia di materiale o di rifiuto, garantendo condizioni operative eque ed omogenee tra le diverse PRO. Le clearing house ricevono dalle PRO i dati sulla raccolta e sul riciclo, fungendo da punto di aggregazione delle informazioni nei confronti delle autorità di vigilanza e controllo. Infine, queste strutture vigilano sul rispetto delle regole da parte delle PRO, accertandosi che siano in grado di operare in conformità con stringenti requisiti operativi, finanziari e regolamentari. 18 Il fenomeno per cui un soggetto effettua la raccolta solo presso i luoghi dove è più conveniente in termini economici, lasciando agli altri il compito di servire le zone più disagiate o la raccolta dei rifiuti a maggior costo.
Aspetti caratteristici dei due principali assetti competitivi dei regimi EPR I policy maker europei hanno favorito la nascita di molti regimi di responsabilità estesa del produttore fondati su un modello aperto e pluralista ma non tutti hanno posto sufficiente attenzione a due aspetti delicati che sono per certi versi antitetici. Il primo riguarda i criteri di ammissione per entrare a far parte del regime di responsabilità estesa. Le autorità di controllo hanno la responsabilità di verificare che le PRO soddisfino determinati requisiti etici, patrimoniali e operativi per poter garantire agli utenti e alla collettività un servizio eccellente ma non sempre si opera con l’attenzione ed il rigore necessari. Il secondo aspetto ha invece a che fare proprio con il sistema di requisiti e regolamenti introdotti dalle autorità pubbliche per disciplinare il sistema delle PRO. Una presenza eccessiva di regolamentazioni e di norme rigide e vincolanti potrebbe inibire la capacità delle PRO di sviluppare strategie differenziate, generando un isomorfismo istituzionale in grado di vanificare i benefici di un’organizzazione aperta e pluralista.
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Le autorità di controllo hanno la responsabilità di verificare che le PRO soddisfino determinati requisiti etici, patrimoniali e operativi per poter garantire agli utenti e alla collettività un servizio eccellente
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Requisiti normativi per la progettazione dei regimi EPR Il pacchetto di direttive europee per l’economia circolare incoraggia gli Stati Membri dell’Unione ad introdurre regimi EPR, “tenendo conto della fattibilità tecnica e della praticabilità economica nonché degli impatti complessivi sanitari, ambientali e sociali, rispettando l’esigenza di assicurare il corretto funzionamento del mercato interno”. Per questo oggi i Paesi europei sono impegnati a migliorare i propri regimi EPR e a crearne di nuovi. Grazie a una strategia basata sui prìncipi della responsabilità estesa e a strumenti quali i regimi EPR, essi intendono accelerare la transizione delle proprie economie verso un modello circolare. Quali caratteristiche devono avere i regimi EPR secondo le direttive comunitarie? Per prima cosa una chiara definizione dei ruoli e delle responsabilità di tutti gli attori coinvolti. Abbiamo già visto in precedenza quanto tale requisito sia essenziale, alla luce del fatto che la responsabilità estesa non è mai una questione di esclusiva competenza dei produttori ma, in una prospettiva sistemica, contempla il coinvolgimento di tutti gli stakeholders di riferimento. Oltre ai produttori e alle loro organizzazioni collettive fanno parte del regime EPR i distributori, i centri di assistenza, gli installatori, i gestori pubblici e privati di rifiuti, le autorità locali, gli operatori per il riutilizzo e la preparazione per il riutilizzo, le imprese dell’economia sociale, senza dimenticare i veri finanziatori del sistema, gli acquirenti-utilizzatori. Per assicurare il raggiungimento degli obiettivi in modo efficiente, ciascun soggetto dovrà avere ben chiari il proprio ruolo e i propri compiti. Una volta stabilito il chi fa che cosa nel regime EPR, occorre occuparsi di altre questioni importanti.
Stabilire gli obiettivi ambientali I regimi EPR devono mettere al centro della propria azione specifici obiettivi di gestione, sia quantitativi che qualitativi, in linea con la gerarchia dei rifiuti. Volumi di rifiuti raccolti, riciclati e preparati per il riutilizzo, percentuali di riciclo delle materie prime critiche, emissioni di gas serra evitate, per fare qualche esempio. Assegnare obiettivi chiari e condivisi, oltre che realistici, è un compito fondamentale del legislatore. Egli deve
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assicurarsi che ciascun soggetto che opera nel regime EPR sia misurato su target specifici al cui raggiungimento può effettivamente concorrere avendo il controllo sulle leve che gli consentono di assumersi la responsabilità richiesta.
Stabilire l’ambito di intervento Il legislatore deve fare in modo che i regimi EPR, attraverso i produttori e le PRO da questi istituite, assicurino un servizio omogeneo su scala nazionale, non limitato alle aree in cui la raccolta e la gestione dei rifiuti risulta più proficua. Le PRO devono mettere a disposizione, direttamente o tramite accordi con altri soggetti della filiera, un’adeguata infrastruttura per la raccolta dei rifiuti e disporre dei mezzi finanziari e organizzativi per soddisfare gli obblighi derivanti dalla responsabilità estesa del produttore.
Realizzare programmi di comunicazione e informazione Un regime EPR deve disporre di un sistema affidabile per raccogliere dati relativi alla quantità e tipologia dei prodotti immessi sul mercato dai produttori e ai volumi di rifiuti raccolti e trattati per tipologia di mate-
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riale. Il regime EPR deve inoltre realizzare programmi strutturati ed efficaci per assicurare che i detentori di rifiuti siano informati circa le misure di prevenzione, i centri per il riutilizzo e la preparazione per il riutilizzo, i sistemi di ritiro e di raccolta dei rifiuti e la prevenzione della dispersione degli stessi.
Identificare i modelli di finanziamento ottimali Come ampiamente discusso in precedenza, il legislatore deve stabilire le logiche di finanziamento del regime EPR e i criteri di suddivisione degli oneri tra i diversi soggetti che ne fanno parte. I produttori, pur non essendo gli unici contributori rispetto ai fabbisogni finanziari del sistema di de-produzione dei rifiuti, svolgono senza dubbio un ruolo preminente. Molto spesso questi, attraverso le proprie PRO, si fanno carico di quote rilevanti dei costi di raccolta e trasporto e si occupano integralmente dei costi trattamento. Essi contribuiscono inoltre in termini economici ai programmi di informazione ai detentori di rifiuti e alla raccolta e comunicazione dei dati alle autorità di controllo. Uno dei requisiti fondamentali per le strategie di finanziamento dei regimi EPR è costituito dal fatto che i contributi richiesti ai produttori e agli altri soggetti coinvolti, che a loro volta si traducono in maggiori oneri per i consumatori e gli utilizzatori, non dovranno superare i costi necessari per fornire i servizi di gestione dei rifiuti in modo efficiente in termini di costi. A questo proposito, una delle maggiori difficoltà che i regimi EPR incontrano è l’oggettiva difficoltà a stimare l’entità degli oneri collegati ai processi di de-produzione. Spesso, infatti, i costi futuri di gestione non sono noti ed è difficile stimarli con una precisione che consentirà di dimensionare i fabbisogni finanziari in funzione delle diverse tipologie di prodotti che, nel corso del tempo, diventano rifiuti. Il legislatore dovrà quindi affrontare in modo non dottrinale il tema delle riserve di cui le PRO devono disporre per assicurare la continuità dei servizi forniti, oltre che le modalità con le quali gli eventuali avanzi di gestione devono essere trattati dal punto di vista fiscale.
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Implementare sistemi di controllo e vigilanza Il legislatore deve istituire un adeguato quadro di controllo e garanzia dell’attuazione dei regimi EPR, facendo sì che i produttori ottemperino agli obblighi derivanti dalla responsabilità estesa, anche in caso di vendite a distanza e che gli strumenti finanziari siano utilizzati correttamente. Attività di controllo e vigilanza devono essere attivate nei confronti di tutti i soggetti che partecipano al regime EPR, siano essi impianti di trattamento, gestori dei servizi di raccolta o distributori presso i quali l’acquirente-utilizzatore si reca per comprare i prodotti. Il tema dell’enforcement della normativa attraverso controlli efficaci e diffusi assume un’importanza particolare se si considera che diversi studi di settore indicano tra i principali punti deboli degli attuali regimi EPR la carenza di controlli da parte delle autorità e la mancanza di trasparenza, in particolare per quanto concerne i contributi versati alle PRO, i costi di gestione e le performance ambientali19.
19 Studio Deloitte sui regimi EPR (2014). Photo by Naja Bertolt Jensen on Unsplash_
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Esperienze di sistemi EPR di successo. Case studies* Di seguito verranno descritti una serie di casi di successo di sistemi EPR che includono altre filiere rispetto a quelle sin qui trattate: la filiera del tessile e del mobile in Francia e degli pneumatici in Belgio. Questi sistemi sono stati selezionati perché mostrano esempi di buone pratiche che permettono una raccolta e un riciclaggio efficace, minimizzando i costi e garantendo le più alte prestazioni ambientali. Alcune di queste buone pratiche si riferiscono alla copertura geografica, alla trasparenza, al coinvolgimento delle autorità locali, alle forti attività di sensibilizzazione, alla promozione di un design sostenibile e contributi equi da parte dei produttori membri.
1. TESSILE IN FRANCIA Nel 2007, la Francia è stata il primo e unico paese a introdurre un quadro giuridico che stabilisse obblighi di EPR per tutte le persone giuridiche che producono, importano o distribuiscono articoli tessili, compresi abbigliamento, calzature e biancheria. Pur essendo il primo, questo sistema EPR è riuscito ad aumentare il tasso di raccolta da 100.000 tonnellate nel 2009 a 250.000 tonnellate nel 2019 con un tasso di riutilizzo di quasi il 60%, superando così il requisito legale stabilito dalla nuova legge francese sull’Economia Circolare che prevede un tasso di riutilizzo di rifiuti domestici del 5% entro il 2030. Questo obiettivo sarà ulteriormente definito da un decreto attuativo e adattato al settore tessile. Prestazioni del sistema: Su 648.000 tonnellate di prodotti tessili immesse nel 2019, ne sono state raccolte quasi 250.000 (con tasso di raccolta del 38%). Tra i prodotti tessili raccolti, il 66% era costituito da abbigliamento, il 19% tessili per la casa e il 15% calzature. Il 58% del totale dei rifiuti raccolti è stato riutilizzato, il 33,5% riciclato, l’8% destinato al recupero energetico (compresa la produzione di Combustibile Solido Secondario - CSS) e lo 0,5% è stato smaltito senza recupero energetico. Dall’inizio della politica EPR, la raccolta dei prodotti tessili post-consumo è aumentata annualmente del 13% con un aumento del 6% e del 2% rispettivamente nel tasso di riciclaggio e riutilizzo.
*I testi e i dati contenuti in questa sezione sono tratti dal report “I sistemi di Responsabilità Estesa del Produttore e il loro ruolo strategico per i produttori”. Sofies Group per Erion (2021).
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648.000
tonnellate di prodotti tessili immesse nel 2019
38% 250.000 tonnellate di prodotti tessili reccolti
15%
58%
Calzature
19%
Tessili per la casa
Riutilizzato
66%
Abbigliamento
Tessile in Francia, 2019
33,5%
Riciclato
0,5%
Smaltito senza recupero energetico
8%
Destinato al recupero energetico
2. MOBILI IN FRANCIA Il sistema di EPR per i mobili in Francia è particolarmente interessante perché è unico al mondo. Pur risalendo al 2011, è riuscito a raddoppiare la quantità di mobili raccolti in soli 4 anni, passando da 600.000 tonnellate nel 2014 a 1,2 milioni di tonnellate nel 2018. Inoltre, per migliorare il tasso di riutilizzabilità dei mobili, è stato sviluppato un metodo di raccolta separata per limitare i danni ai mobili durante il trasporto.
58 Prestazioni del sistema: Dei 2,68 milioni di tonnellate di mobili immessi sul mercato francese nel 2018, più di 1,2 milioni di tonnellate sono state raccolte. Dei rifiuti raccolti, il 56% è stato riciclato, il 32% è andato al recupero energetico, l’1% è stato riutilizzato e l’11% è stato destinato allo smaltimento tramite incenerimento. Le performance di riciclaggio e riutilizzo nel 2018 pari al 57% hanno superato l’obiettivo del 45%, ma i tassi di riciclaggio variano molto da un materiale all’altro. Tra il 2014 e il 2017, il volume in tonnellate dei mobili raccolti è aumentato dell’87%, quello dei mobili riutilizzati è quadruplicato, e il conferimento in discarica dei mobili di scarto si è ridotta a meno del 22%.
Mobili in Francia, 2018
59 3. PNEUMATICI IN BELGIO In Belgio, i sistemi EPR per gli pneumatici rappresentano un interessante caso studio in quanto le tre province del Belgio hanno ciascuna regolamenti e obiettivi diversi. Un unico consorzio in Belgio copre le tre province e applica gli obblighi stabiliti dal regolamento più esigente dei tre, al fine di garantire il massimo livello di conformità. Nonostante un quadro normativo complesso, questo sistema EPR ha un tasso di raccolta eccezionale superiore al 100% e un tasso di riciclaggio/riutilizzo che ha raggiunto il 97% nel 2019. Prestazioni del sistema: Delle 79.000 tonnellate di pneumatici immesse nel 2019, sono state raccolte 88.500 tonnellate (con un tasso di raccolta superiore al 100% in quanto il programma copre gli pneumatici immessi sul mercato negli anni precedenti e quelli provenienti dai paesi vicini). L’89% di questi rifiuti è andato al recupero di materia, il 5% alla rigenerazione, il 3,5% al riutilizzo e il 2,5% al recupero energetico. Tra il 2006 e il 2019, il riciclaggio di materiale da pneumatici è aumentato dal 40% al 97% e gli pneumatici destinati al recupero energetico sono diminuiti dal 50% al 2,5%.
Fattori che favoriscono il successo dei sistemi EPR I case studies riportati (tratti dal report “I sistemi di Responsabilità Estesa del Produttore e il loro ruolo strategico per i produttori”) indicano una serie di fattori che possono favorire il successo dei sistemi EPR migliorandone le performance. Ampia copertura geografica dei punti di raccolta Il numero di punti di raccolta disponibili condiziona il livello di prestazione del sistema. Sorveglianza e trasparenza L’esistenza di sistemi di trasparenza e di controllo ha un ruolo importante Il monitoraggio dei dati aiuta a garantire la tracciabilità dei rifiuti gestiti. Obiettivi normativi La fissazione di obiettivi minimi per la raccolta differenziata e per il riciclaggio/ riutilizzo contirbuisce a creare le condizioni per migliorare le performarce di uno specifico settore.
60 Forti attività di sensibilizzazione dei consumatori Il coinvolgimento della cittadinanza sia attraverso il sostegno delle autorità locali, sia attraverso la vasta gamma di risorse digitali risulta centrale per la buona riuscita dei sistemi di EPR. Promozione di metodi sostenibili La previsione di meccanismi sostenibili di finanziamento e di incentivi agli operatori – ad esempio per svolgere attività di riciclaggio in contrapposizione allo smaltimento in discarica, o la previsione di tariffazioni modulari sono elementi di stimolo alla buona riuscita dei sistemi EPR. Contributo proporzionato ed equo da parte dei produttori associati Infine, strumento che contribuisce al successo è la previsione di tariffe proporzionate alla quantità e al tipo di prodotto immesso sul mercato, sufficienti a coprire gli incentivi per il riciclaggio dati agli operatori responsabili della gestione dei rifiuti.
Conclusioni L’analisi condotta nel rapporto ha identificato una serie di buone pratiche prioritarie che permettono ai sistemi di adempiere meglio alle loro responsabilità nella gestione dei rifiuti, perseguendo anche l’efficienza economica, in modo da fornire ai loro membri un servizio di qualità senza costi esorbitanti. Le prassi delineate come prioritarie sono le seguenti: Puntare a stabilire un ampio sistema di raccolta geografica dei rifiuti per fornire un sistema di raccolta facilmente accessibile per i prodotti usati, elemento chiave per massimizzare il relativo recupero. Fornire supporto alle aziende per il miglioramento delle loro prestazioni ambientali attraverso attività di Ricerca e Sviluppo (per esempio aiutando a trovare nuovi metodi di valorizzazione dei materiali usati), nonché attraverso la promozione della collaborazione tra i membri (per esempio organizzando conferenze con i produttori che esplorano le questioni chiave del riciclaggio a livello industriale, linee guida di eco-design, servizi di raccolta dedicati).
61 Condurre attività di sensibilizzazione per i consumatori (per esempio dove e come depositare i rifuti; come viene effettuata/o la raccolta/il trattamento) offrendo così un unico punto di diffusione delle informazioni per i consumatori. Seguire i cambiamenti nei regolamenti (e adattare di conseguenza i sistemi) per assicurare che i produttori associati siano conformi ai nuovi requisiti e alle restrizioni, oltre a informare regolarmente i membri dei cambiamenti previsti e del possibile impatto sulle attività commerciali. Garantire una gestione efficiente e il coordinamento della rete di tutti gli attori coinvolti nella gestione dei rifiuti (autorità locali, strutture di raccolta, operatori di smistamento, centri di trattamento, ecc.). Ricercare fonti alternative di reddito (per esempio, offrendo servizi di consulenza ai membri). Sebbene questi flussi di reddito siano relativi ad attività non rientranti negli obblighi EPR, essi permettono lo sviluppo di attività aggiuntive. La seguente tabella seguente mostra la percentuale di entrate utilizzate per attività di comunicazione e Ricerca e Sviluppo trai i sistemi collettivi autorizzati a divulgare tali informazioni.
0%
2%
4%
6%
8%
10%
12%1
4%
Francia Imballaggi Francia RAEE Ecosystem Francia Batterie Corepile Spagna Batterie Ecopilas Francia Tessile Eco-TLC Francia Mobili Eco-mobilier Francia Mobili Valdelia Canada olio esausto BCUOMA
Spese di comunicazione e Ricerca & Sviluppo in % dei ricavi
Comunicazione Ricerca & Sviluppo
16%
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Evoluzione strategica delle PRO nella transizione all’economia circolare Trainate da politiche orientate alla trasformazione in senso ecologico delle nostre economie, le aspettative nei confronti dei regimi EPR sono elevate. I produttori si stanno impegnando a rafforzare le loro PRO, avendo ben compreso che esse rivestono un ruolo sempre più importante nel conseguimento degli obiettivi ambientali della transizione ecologica. Alle PRO serve però una nuova visione capace di integrarsi in modo armonico nella prospettiva virtuosa del piano nazionale di ripresa e resilienza e all’Italia serve una nuova generazione di PRO in grado di contribuire alla progettazione di modelli di de-produzione circolari basati sull’eco-design, sulle tecnologie digitali e sulla capacità di realizzare progetti di eco-innovazione.
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A differenza di quanto auspicato dal Professor Lindhqvist, raramente la responsabilità estesa del produttore sembra essersi tradotta nella creazione di un prodotto più durevole o più facilmente riciclabile Una delle critiche ricorrenti alle PRO e più in generale ai regimi EPR è il fatto che queste hanno un’influenza davvero limitata sulle strategie di eco-design dei produttori. A differenza di quanto auspicato dal Professor Lindhqvist, raramente la responsabilità estesa del produttore sembra essersi tradotta nella creazione di un prodotto più durevole o più facilmente riciclabile. Inoltre, l’applicazione dei principi della responsabilità estesa non ha finora contribuito più di tanto alla riduzione del volume dei rifiuti generati, anche se è stata essenziale per incrementare la percentuale sottratta all’incenerimento e alla discarica20. Si potrà fare di più in futuro? La Commissione Europea è convinta che l’introduzione nei regimi EPR di nuove competenze e strumenti potrebbe migliorare i risultati fin qui ottenuti. Dimentichiamo i “consorzi” di inizio millennio, strutturalmente non più adatti a guidare le trasformazioni in atto. Le PRO del futuro dovranno essere organizzazioni senza fini di lucro, moderne ed efficienti, con elevate economie di scala, orientate all’innovazione e fondate sui valori di etica e trasparenza. Passiamo in rassegna le aree di competenza su cui le PRO dovranno eccellere.
20 Report ZeroWaste Europe 2014 (p. 2–3).
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Sorveglianza e informazioni Queste organizzazioni collettive, espressione di soli produttori, saranno capaci di istituire meccanismi robusti di auto-sorveglianza supportati da verifiche indipendenti, finalizzati a valutare la qualità della gestione finanziaria e dei dati raccolti e comunicati agli organi di vigilanza. Le PRO renderanno pubbliche, con trasparenza assoluta, tutte le informazioni relative ai servizi forniti, in particolare quelle che riguardano il conseguimento degli obiettivi di gestione dei rifiuti, la proprietà e i membri, i contributi finanziari versati e le informazioni relative alle procedure di selezione dei fornitori.
Determinazione dei contributi Le PRO dovranno introdurre modelli di calcolo dei contributi affidabili ed oggettivi, prevedendo ove possibile la modulazione degli stessi per singoli prodotti o gruppi di prodotti simili, in funzione della loro durevolezza, riparabilità, riutilizzabilità e riciclabilità e della presenza di sostanze pericolose, adottando in tal modo un approccio basato sul ciclo di vita. Si svilupperanno sistemi di ricompense destinate ai prodotti in base alle diverse prestazioni in termini di sostenibilità, associando incentivi economici per quelli con livelli di performance più elevati. Oggi i regimi EPR stabiliscono i costi sulla base di raggruppamenti omogenei di prodotti e di materiali, a cui però concorrono diverse sotto-categorie. Se ad esempio al finanziamento di un raggruppamento partecipano i produttori del prodotto A con 100 chilogrammi di immesso sul mercato e quelli del prodotto B con lo stesso peso di immesso, le attuali logiche attribuiscono gli stessi oneri di finanziamento ai due gruppi di produttori, che versano alla loro PRO gli stessi importi. Ma se il tasso di ritorno dei prodotti A fosse il doppio di quello dei prodotti B? Oppure, se i costi unitari per il riciclo del prodotto B fossero la metà di quelli sostenuti per il prodotto A? Le PRO dovranno ricercare soluzioni innovative per migliorare l’allineamento tra contribuzione finanziaria e costi effettivamente sostenuti per la gestione dei processi di de-produzione di un dato prodotto.
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Variazione degli oneri di finanziamento in funzione dei parametri utilizzati (Esempio semplificato)
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Supporto all’incremento della raccolta Le competenze organizzative delle PRO saranno essenziali per contribuire al conseguimento degli obiettivi di raccolta stabiliti dalle normative europee e nazionali. Non sarà più sufficiente fare affidamento sulle strutture di raccolta tradizionali ma occorrerà realizzare reti e modelli complementari idonei ad incrementare i flussi di rifiuti assicurati al corretto trattamento. Soluzioni quali il deposito cauzionale, i servizi di prossimità e le reti di installatori e centri di assistenza diventeranno molo diffuse.
Qualità del trattamento La garanzia del rispetto degli standard di qualità dei processi di trattamento e dell’effettivo raggiungimento dei target di riciclo e riutilizzo stabiliti dalla normativa rappresenta un’altra fondamentale area di miglioramento per le PRO. Il livello di controllo della filiera da parte delle PRO dovrà spingersi fino all’ultima lavorazione della catena di de-produzione, grazie a strumenti di tracciabilità che sfruttano le moderne tecnologie digitali, come ad esempio le blockchain, l’Internet delle cose e l’intelligenza artificiale.
Preparazione per il riutilizzo Sarà necessario per le PRO intensificare l’impegno nell’introdurre metodi di gestione che favoriscano la preparazione per il riutilizzo di componenti e prodotti, assicurando la sicurezza e la qualità dei beni reintrodotti sul mercato.
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Scambio di informazioni tra produttori e riciclatori Le PRO del futuro impareranno a sfruttare il proprio ruolo di “anello di congiunzione” tra i produttori, loro associati, e gli impianti di trattamento, loro fornitori. Dalle PRO potranno transitare importanti informazioni in un flusso bidirezionale. In un verso le raccomandazioni che i riciclatori possono fornire al fine di progettare prodotti più facilmente riciclabili. Nell’altro le indicazioni che i produttori possono mettere a disposizione di chi effettua le operazioni di trattamento, come ad esempio il posizionamento di eventuali componenti pericolose.
Supporto ai produttori Ma soprattutto, le PRO dovranno trasformarsi in un interlocutore autorevole dei produttori per quanto concerne l’introduzione di tecniche di progettazione dei prodotti e dei loro componenti volte a ridurre gli impatti ambientali e la generazione di rifiuti durante la fabbricazione e il successivo utilizzo. Tali tecniche potranno incoraggiare, tra l’altro, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti e componenti dei prodotti adatti all’uso multiplo, contenenti materiali riciclati, tecnicamente durevoli e facilmente riparabili e che, dopo essere diventati rifiuti, siano adatti a essere preparati per il riutilizzo e riciclati. L’evoluzione delle PRO riguarderà soprattutto quest’ultimo aspetto. Da centri di costo che si occupano in forma collettiva della gestione dei rifiuti per conto dei produttori a partner che contribuiscono a favorire l’affermazione di una progettazione ecocompatibile applicabile alla più ampia gamma possibile di prodotti che rispetti i principi della circolarità.
Per realizzare le trasformazioni sopra indicate, le PRO dovranno investire in nuove competenze che non si limitino alla conoscenza dei codici CER21 o al calcolo del contributo ambientale 21 Codici europei che identificano le diverse tipologie di rifiuti.
67 ma che sappiano fornire supporto ai produttori su come migliorare la durabilità, la riutilizzabilità, la possibilità di upgrading e la riparabilità dei prodotti, su come aumentare la quantità di materia riciclata in essi contenuta garantendone al tempo stesso le prestazioni e la sicurezza, su come fare ri-fabbricazione e riciclaggio di elevata qualità, su come ridurre l’impronta di carbonio lungo tutta la filiera e, non ultimo, su come promuovere modelli in cui i produttori mantengono la proprietà del prodotto o la responsabilità delle sue prestazioni per l’intero ciclo di vita. Aspetto assolutamente non marginale per le PRO più evolute sarà la capacità di sfruttare il potenziale di digitalizzazione delle informazioni relative ai prodotti in tutte le fasi del loro ciclo di vita, ivi comprese soluzioni come i passaporti, le etichettature e le filigrane digitali. La digitalizzazione della gestione del ciclo di vita dei prodotti, e dunque dei rifiuti passa dalla robotica, dall’internet delle cose con i cassonetti intelligenti, dai veicoli a guida semi-autonoma, dal cloud computing, dall’intelligenza artificiale e dai software di analisi dei dati sempre più raffinati. È ormai assodato che le tecnologie digitali saranno sempre più applicate in quasi tutti i processi di de-produzione del rifiuto.22 Tante e complesse sono le trasformazioni che le PRO dovranno affrontare. Nel valutare le opportunità che queste organizzazioni collettive potranno cogliere non possiamo ignorare che la responsabilità estesa è un principio che fa capo al produttore, non alle PRO. Le PRO non soggetti obbligatori, tanto che i produttori potrebbero svolgere direttamente il loro ruolo all’interno del regime EPR istituito dalla normativa europea o nazionale. Certo è che raramente i produttori dispongono delle competenze necessarie ad organizzare autonomamente ed individualmente processi di riciclo e valorizzazione dei rifiuti, oltre al fatto che unire le forze in organizzazioni di natura collettiva consente loro di conseguire importanti ottimizzazioni di costo e di sfruttare le economie di scala. Ma il produttore sarà sempre libero di scegliere se far parte di una PRO o se adempiere individualmente alle proprie obbligazioni. Molto probabilmente le PRO sono e saranno a lungo le strutture più adatte a offrire ai produttori competenze eccellenti attraverso lo sviluppo della curva di esperienza, la creazione di piattaforme di servizi ottimizzate, le economie di scala che rendono i costi più competitivi ma dovranno continuare a meritarsi questo ruolo, rinnovandosi ed accrescendo con continuità la propria capacità di generare valore. Non è peraltro escluso che in un futuro non troppo lontano le PRO possano assumere forme organizzative ibride e flessibili, consentendo ai produttori di combinare servizi gestiti collettivamente a iniziative individuali di raccolta e valorizzazione dei rifiuti derivanti dai propri prodotti. Il produttore virtuoso che investe nello sviluppo sostenibile realizza prodotti a ridotto impatto ambientale e coinvolge la propria rete di clienti, distributori e centri di assistenza in iniziative di riciclo dei propri prodotti diventati rifiuti avrà così la possibilità di ridurre l’incidenza del contributo economico che gli verrà richiesto per finanziare i flussi di rifiuti attribuibili agli altri produttori.
22 Rapporto “Digital Waste Management” dell’European Topic Centre on Waste and Materials in a Green Economy.
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Interventi
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I modelli di attuazione della responsabilità estesa in Europa e in Italia Andrea Farì Avvocato e docente universitario di Diritto dell′Ambiente, Università RomaTre
Panoramica della responsabilità estesa del produttore nella UE: l’art. 8-bis come tentativo di portare uniformità Osservata con le lenti dell’analisi economica del diritto, l’intera disciplina giuridica a tutela dell’ambiente può essere interpretata come il tentativo di internalizzazione delle esternalità negative che, generate dalle attività umane, danneggiano gli ecosistemi o ne mettono a rischio la sopravvivenza 1. In questa prospettiva, la responsabilità estesa del produttore (extended producer responsi-
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bility, EPR) si configura come uno strumento del tutto omogeneo agli obiettivi ed ai principi generali del diritto dell’ambiente, primo fra tutti il polluter-pays-principle o principio “chi inquina paga”. Quest’ultimo costituisce la trasposizione sul piano giuridico di un principio economico che mira a gravare dei costi dei danni causati all’ambiente i soggetti responsabili degli inquinamenti. Ancorché volto soprattutto ad assicurare una funzione riparatoria, il principio “chi inquina paga” sottende altresì obiettivi di carattere preventivo e, di conseguenza, conformativo delle condotte, scoraggiando attività non sostenibili dal punto di vista ambientale 2.
La definizione di responsabilità estesa del produttore elaborata dall’OCSE, fa riferimento ad un «environmental policy approach», ossia ad una strategia complessa
1 In proposito, M. Cafagno, F. Fonderico, Riflessione economica e modelli di azione amministrativa a tutela dell’ambiente, P. Dell’Anno, E. Picozza (diretto da), Trattato di diritto dell’ambiente. Principi generali, vol. I, Padova, 2012, pp. 487 ss.
2 Sul principio “chi inquina paga”, si veda P.
72 Appare piuttosto felice la definizione di responsabilità estesa del produttore elaborata dall’OCSE, che fa riferimento ad un «environmental policy approach», ossia ad una strategia complessa 3. L’OCSE coglie nel segno poiché, coerentemente con l’approccio non dogmatico dal punto di vista giuridico che caratterizza in genere le organizzazioni sovranazionali e, in particolare, l’OCSE, non intende il termine “responsabilità” in senso tecnico-giuridico, ma secondo un significato più ampio, quale obbligo (o, meglio, dovere) volto al conseguimento di obiettivi generali di carattere ambientale, gravante sui soggetti che meglio degli altri possono contribuire alla loro realizzazione perché da essi deriva la quota maggiore di esternalità negative in termini ambientali 4. La responsabilità estesa del produttore costituisce un’applicazione, nel settore dei rifiuti, del generale principio “chi inquina
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paga”. In particolare, l’EPR specifica la responsabilità dell’inquinatore secondo due direttrici: per un verso, il responsabile non è individuato ex post, ma viene identificato preventivamente nel produttore; per altro verso, la responsabilità è estesa al fine-vita del prodotto. L’EPR vuole che sul produttore del prodotto gravi una responsabilità che, nel riguardare (anche) la fase del post-consumo, implica il coinvolgimento dello stesso nella prevenzione della produzione dei rifiuti e/o nella gestione dei rifiuti causati dal consumo dei propri prodotti. L’EPR agisce sul produttore del prodotto spingendolo a modificare “a monte” i propri comportamenti. Ad esempio, induce l’adozione di programmi volti a promuovere l’ecodesign e a sostenere una progettazione e una produzione dei beni che prendano, pienamente, in considerazione e facilitino l’utilizzo efficiente delle risorse durante l’intero ciclo di vita del prodotto, favorendone la durabilità, la riutilizzabilità, lo smontaggio, la riparabilità e/o la riciclabilità e, in generale, il recupero dei rifiuti. Lo scopo dell’EPR è di fare in modo che i produttori, dovendo internalizzare i costi ambientali generati a fine vita dai propri prodotti manufatti (per la raccolta, la selezione, la termovalorizzazione, l’avvio al riciclo, lo smaltimento in discarica), siano incentivati ad optare per prodotti più virtuosi che a fine vita generino minori costi (in quanto, ad esempio, riutilizzabili in tutto o in parte, ovvero riciclabili, garantendo il recupero di materia). Alla base dell’EPR vi è, infatti, il convinci-
La responsabilità estesa del produttore costituisce un’applicazione, nel settore dei rifiuti, del generale principio “chi inquina paga” spingendo a modificare “a monte” i propri comportamenti
Schwartz, The polluter-pays principle, in L. Krämer, E. Orlando (a cura di), Principles of Environmental Law, Cheltenham-Northampton, 2018, pp. 260 ss. 3 In particolare, l’OCSE parla di una «policy approach under which producers are given a significant responsibility – financial and/or physical – for the treatment or disposal of post-consumer products. Assigning such responsibility could in principle provide incentives to prevent wastes at the source, promote product design for the environment and support the achievement of public recycling and materials management goals»: cfr. OECD, Extended Producer Responsibility: A Guidance Manual for Governments, Paris, 2001, p. 164. 4 Circostanza plasticamente dimostrata, nel settore dei rifiuti, dal rapporto tra le quantità di rifiuti speciali (derivanti dalle attività produttive) e le quantità di rifiuti urbani (derivanti dai nuclei domestici) prodotte ogni anno.
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mento che, ponendo i costi e gli oneri di organizzazione dell’intero ciclo di vita dei prodotti a carico dei loro produttori, costoro siano maggiormente stimolati a tenere in considerazione gli aspetti relativi all’impatto ambientale sin dalla fase di progettazione e di fabbricazione. Essi, quindi, saranno stimolati a investire per migliorare la progettazione del prodotto, in modo da limitare, in fase di produzione, l’impiego di materiali e componenti difficilmente recuperabili. L’approccio seguito in materia di regimi EPR da parte dell’ordinamento dell’Unione, tuttavia, non è volto all’imposizione di “obbligazioni di mezzi” ma di mere “obbligazioni di risultato”. L’art. 8 della direttiva quadro sui rifiuti, infatti, al fine di «rafforzare il riutilizzo, la prevenzione, il riciclaggio e l’altro recupero dei rifiuti», dispone che «gli Stati membri possono adottare misure legislative o non legislative volte ad assicurare che qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti (produttore del prodotto) sia soggetto ad una responsabilità estesa del produttore».
Peraltro, anche là dove il legislatore eurounitario istituisce specifici obblighi, questi non si traducono in puntuali prescrizioni in ordine alle modalità organizzative dei regimi di responsabilità estesa del produttore. Attualmente, il diritto dell’Unione europea prevede in capo agli Stati membri l’obbligo di introdurre modelli di EPR con riferimento soltanto ad alcune tipologie di beni e di connessi flussi di rifiuti. In particolare, obblighi di istituzione di regimi EPR si rinvengono per i veicoli fuori uso, le pile e gli accumulatori, i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (c.d. RAEE), nonché per gli imballaggi (e dei relativi rifiuti), per il quale sin dalla direttiva 1994/62/CE (modificata dalle direttive: 2004/12/CE, 2005/20/CE, 2013/2/UE, 2015/720/UE) è stato previsto un regime di responsabilità che il nostro legislatore ha definito “condivisa” (si v. l’art. 217, comma 2 e l’art. 219, comma 2). Ebbene, in tutti questi casi, il diritto UE si limita a stabilire obiettivi e standard ma lascia all’autonomia degli Stati membri la definizione della forma organizzativa del sistema collettivo o individuale. Tale approccio ha fatto sì che i regimi sta-
74 tali si differenziassero sia con riferimento ai modelli organizzativi istituiti per ottemperare agli obblighi di derivazione sovranazionale, sia in relazione alla scelta dei settori produttivi, diversi da quelli necessariamente interessati ai sensi del diritto eurounitario, cui si applica il regime dell’EPR. Sotto il primo punto di vista, in assenza della definizione da parte del legislatore comunitario non solo di un modello unico, ma addirittura di requisiti comuni, si sono realizzate forme e modalità diversificate di adozione della responsabilità estesa all’interno di ciascuno Stato UE e rispetto ai diversi beni e ai diversi settori produttivi. In particolare, sono stati individuati alcune invarianti nei sistemi adottati dai diversi Stati membri idonee a fondare due modelli generali di EPR: il modello esclusivamente finanziario, eventualmente definito mediante accordi con le amministrazioni pubbliche, e il modello che prevede un’integrazione sia finanziaria sia organizzativa, con diversi gradi di intensità 5. Sotto il secondo profilo, invece, l’introduzione dei regimi EPR non è rimasta circoscritta ai settori produttivi rispetto ai quali è intervenuta una specifica direttiva comunitaria. Numerosi Stati membri dell’UE hanno ampliato la responsabilità estesa anche ad altri comparti, quali quello degli pneumatici, dei farmaci, degli oli usati, della carta grafica e dei film in polietilene usati in agricoltura. Tali differenze hanno, inevitabilmente, in-
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generato ulteriori, rilevanti asimmetrie con riferimento ai risultati ottenuti. Alla accentuazione di tali asimmetrie hanno, altresì, concorso gli ordinamenti interni dei singoli Stati, il loro sistema fiscale, il modello di mercato adottato, le consuetudini, i costumi e gli stili di vita dei consumatori, nonché le caratteristiche dei rifiuti, il valore della materia prima utilizzata, il grado di complessità della raccolta, a sua volta condizionato da diverse variabili, quali la densità demografica, le caratteristiche geografiche, le infrastrutture esistenti per la gestione dei rifiuti. Proprio per ovviare a tale eterogeneità, la direttiva 2018/851/UE ha introdotto, nell’ambito della direttiva 2008/98/ CE, l’art. 8-bis che prevede una serie di requisiti minimi generali per il regime di responsabilità estesa del produttore. In particolare, viene stabilito che i regimi ERP definiscano chiaramente ruoli e responsabilità; che fissino obiettivi misurabili di gestione dei rifiuti conformi alla gerarchia dei rifiuti; che siano dotati di un sistema di raccolta di dati sui prodotti immessi sul mercato e, una volta che questi siano divenuti rifiuti, sul loro trattamento e sui relativi flussi. Inoltre gli Stati membri sono tenuti ad assicurare che ai detentori di rifiuti interessati dai regimi responsabilità estesa sia fornita un’adeguata informazione sui sistemi esistenti di raccolta dei rifiuti e sui mezzi per prevenire il getto di piccoli rifiuti in luoghi pubblici; ad assumere misure volte ad incentivare la realizzazione degli obiettivi di prevenzione e di riciclaggio e a garantire che i contributi finanziari versati dai produttori coprano la totalità dei costi di gestione dei rifiuti; a garantire un adeguato quadro di controllo dell’attuazione delle
L’introduzione dei regimi EPR non è rimasta circoscritta ai settori produttivi rispetto ai quali è intervenuta una specifica direttiva comunitaria
5 In proposito, v. European Commission – DG Environment, Development of Guidance on Extendend Producer Responsibility (EPR). Final report, 2014 (reperibile al seguente link: https://ec.europa.eu/environment/archives/waste/eu_guidance/).
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misure adottate che preveda l’istituzione di un’autorità indipendente nel caso in cui più organizzazioni ottemperino agli obblighi in materia di ERP; ad istituire una piattaforma per assicurare il dialogo regolare tra i soggetti coinvolti; ad adottare misure affinché i regimi istituiti entro diciotto mesi dall’entrata in vigore della direttiva siano conformi con le nuove disposizioni entro un termine di due anni. Infine, gli Stati provvedono affinché le organizzazioni create per attuare gli obblighi derivanti dalla responsabilità estesa del produttore definiscano in modo chiaro la zona geografica, i prodotti e i materiali contemplati; dispongano dei mezzi operativi e finanziari per lo svolgimento di tali obblighi; diano vita ad un meccanismo adeguato di autosorveglianza con verifiche periodiche, anche in punto di copertura integrale dei costi della raccolta differenziata e di gestione a fine vita, solidità della gestione finanziaria e qualità dei dati raccolti e comunicati alle autorità competenti; rendano pubbliche le informazioni sulla proprietà e i membri, sui contributi finanziari versati dai produttori e sulla procedura di selezione dei gestori dei rifiuti; istituiscano un’autorità indipendente, incaricata di sorvegliare l’attuazione degli obblighi derivanti dalla responsabilità estesa, nel caso in
cui ad attuare sul loro territorio gli obblighi che gravano sui produttori del prodotto vi siano varie organizzazioni. Regimi EPR in Italia A livello nazionale, la disciplina in materia di EPR è contenuta nell’art. 178 bis del d.lgs. n. 152/2006, rubricato «Responsabilità estesa del produttore». Si tratta, sulla falsariga dell’art. 8 della direttiva 2008/98, di una disposizione di carattere programmatico, la quale, nel disciplinare il procedimento da seguire per l’istituzione dei regimi di responsabilità estesa del produttore, ne ha demandato l’effettiva attuazione a provvedimenti futuri, ad oggi non ancora emanati. Tale disposizione si è, infatti, limitata a rimettere a specifici decreti ministeriali, aventi natura regolamentare, la fissazione delle modalità e dei criteri di introduzione dell’ERP e, dunque, la definizione del sistema. Si tratta, peraltro, di una scelta, quella di operare l’istituzione di nuovi regimi EPR tramite appositi regolamenti ministeriali, da condividere. A differenza della ben più “pesante” fonte legislativa, lo strumento regolamentare potrebbe consentire una più rapida traduzione normativa di pratiche o
76 esigenze avvertite dal tessuto imprenditoriale in grado di contribuire alla sempre maggiore proliferazione di sistemi EPR, pur garantendo un’adeguata forza cogente. Come anticipato, ad oggi non risulta che il Ministro dell’ambiente abbia adottato uno o più decreti volti ad introdurre, di sua iniziativa, i regimi di EPR per una o più specifi-
che tipologie di rifiuti. Accanto a questi settori produttivi, rispetto ai quali il coinvolgimento dei produttori nella gestione dei rifiuti derivanti dal consumo dei prodotti da loro immessi nel mercato ha tratto riferimento da apposite statuizioni comunitarie, ve ne sono altri ri-
Sistemi EPR in Italia Gli unici regimi di EPR attualmente vigenti nell’ordinamento italiano sono stati introdotti in sede legislativa. Si tratta, in particolare, dei regimi di derivazione comunitaria relativi: • agli imballaggi e ai rifiuti di imballaggio (direttiva 1994/62/CE, recepita con il D.Lgs. n. 22/1997 e confluita poi nel TUA, artt. 217 ss.) • ai veicoli fuori uso (direttiva 2000/53/CE, recepita dal D.Lgs. 209/2003 e confluita poi nel TUA, art. 227, c. 1, lett. c) • alle pile ed agli accumulatori e relativi rifiuti (direttiva 2006/66/CE, attuata ad opera del D.Lgs. 188/2008, su cui si veda anche TUA, art. 227 lett. d) • ai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (direttive 2002/95/ CE, 2002/96/CE, 2003/108/CE e 2012/19/UE, recepite, rispettivamente, le prime tre dal D.Lgs. 2005/151 e confluite poi nel «T.U.A.», agli artt. 227, lett. a), la quarta dal D.Lgs. 49/2014)
spetto ai quali tale coinvolgimento è stato determinato, direttamente, dalla normativa nazionale. Quantomeno a livello di previsione programmatica il legislatore italiano – è un merito che gli va riconosciuto – ha, addirittura, operato in anticipo rispetto alla direttiva 2008/98/CE e, quindi, alla “mera sollecitazione” rivolta agli Stati membri dell’UE dall’art. 8 della direttiva 2008/98. Gli artt. 216-bis e 236 TUA, che
integrano la risalente disciplina del D.Lgs. 1992/95, istituiscono un regime di responsabilità estesa per gli oli minerali usati. L’art. 228 TUA si occupa degli pneumatici fuori uso (PFU), prevedendo l’obbligo per i produttori e gli importatori «di provvedere, singolarmente o in forma associata e con periodicità almeno annuale, alla gestione di quantitativi di pneumatici fuori uso pari a quelli dai medesimi immessi nel merca-
77 to e destinati alla vendita sul territorio nazionale, provvedendo anche ad attività di ricerca, sviluppo e formazione finalizzata ad ottimizzare la gestione degli pneumatici fuori uso». Analoghi processi di coinvolgimento dei produttori del prodotto nella gestione dei rifiuti hanno, altresì, riguardato i rifiuti di beni in polietilene (art. 234 TUA) e gli oli e i grassi vegetali ed animali esausti (art. 233 TUA). I regimi EPR per la gestione dei rifiuti rinvenibili nell’ordinamento italiano sono eterogenei e distinguibili in base ad una molteplicità di criteri, il ricorso all’uno piuttosto che all’altro essendo espressione, come in ogni operazione di classificazione, di specifiche opzioni di merito e non solo di metodo. In questa sede, si intende distinguere i diversi sistemi, da un lato, a partire dalla più o meno spiccata dimensione “amministrativa” che ne caratterizza la disciplina. Prendendo come esempio la figura organizzativa del consorzio – come si vedrà, quella più utilizzata – è possibile notare che, sebbene il legislatore non preveda mai consorzi stricto sensu coattivi (tutt’al più obbligatori) nel settore in esame, tuttavia vi sono alcuni sistemi – e consorzi – dalla maggiore colorazione pubblicistica rispetto ad altri. L’altro criterio di classificazione attiene alla composizione del regime EPR se, cioè, esso vede la partecipazione dei soli produttori della filiera oppure se contempla l’adesione di soggetti diversi (importatori, rivenditori, raccoglitori ecc.). Come sarà messo in luce, in linea tendenziale, i due criteri si combinano secondo una configurazione costante: ciò è a dire che più è acceso il carattere “amministrativo”
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del sistema, più la sua composizione tende ad essere eterogenea; al contrario, ai sistemi più industriali tendono ad essere obbligati ad aderire soggetti con caratteristiche omogenee, segnatamente i produttori in senso stretto dei prodotti oggetto del sistema EPR. È possibile rinvenire una spiegazione ad una simile correlazione? Probabilmente, la ragione ha un’origine storica: come si vedrà nel prosieguo, i sistemi amministrativi sono quelli più risalenti, nei quali l’istituzione di forme idonee a conseguire gli obiettivi di prevenzione e recupero dei rifiuti si esaurivano tutti nella dimensione autoritativa, con poche occasioni di interazione con un approccio consensuale e “di mercato”. In altri termini, l’orizzonte dell’interesse pubblico si arrestava al momento autoritativo-unilaterale, traducendosi in una struttura di mercato tendenzialmente monopolistica che non ammetteva un confronto concorrenziale. Interesse generale e dimensione industriale Il primo criterio distintivo tra regimi EPR attiene al grado di apertura alla concorrenza dei relativi mercati di riferimento. Si distinguono, infatti, settori disciplinari caratterizzati da un’organizzazione che storicamente ha svolto in forma monopolistica una funzione conformativa delle condotte delle imprese; dall’altra parte, discipline in cui simili figure mancano giacché la maturità del mercato ha consentito ab origine la costituzione di una pluralità di sistemi, singoli o collettivi, impegnati in una competizione al conseguimento delle
I regimi EPR per la gestione dei rifiuti rinvenibili nell’ordinamento italiano sono eterogenei e distinguibili in base ad una molteplicità di criteri
78 migliori performances ambientali ed economiche. Partendo dagli esempi di sistemi di responsabilità estesa del produttore maggiormente “amministrativi”, assumono rilievo i settori dei rifiuti da imballaggio, degli oli minerali usati, degli oli e dei grassi animali e vegetali esausti, dei rifiuti dei beni in polietilene (da cui sono esclusi gli imballaggi). I settori richiamati sono quelli nei quali è più risalente l’introduzione di sistemi di responsabilità estesa, anche prima che il diritto sovranazionale elaborasse principi organici e generali in materia. Il contesto di riferimento non presentava un mercato in grado di far fronte “autonomamente” alle esigenze ambientali di gestione dei rifiuti che stavano progressivamente emergendo, sicché il legislatore ha introdotto la forma organizzativa del consorzio, inizialmente qualificato come obbligatorio6: i soggetti economici operanti nel settore dovevano obbligatoriamente aderire ad un consorzio nazionale che, per un verso, era si configurava come monopolista, per altro verso, era qualificato come privo di finalità lucrativa. Nondimeno, già il ricorso alla figura del consorzio, a prescindere dalla configurazione monopolistica o meno del relativo mercato, è indicativa di una finalità limitativa della concorrenza. Il termine consorzio, che designa «un’associazione di persone fisiche o giuridiche, liberamente creata o obbligatoriamente imposta, per il soddisfacimento in comune di un bisogno proprio di queste persone» 7 è utilizzato in
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relazione ad una serie amplissima di fenomeni che interessano tanto il diritto privato, quanto quello pubblico. Come previsto anche nella configurazione risalente agli anni ’30 del secolo scorso, in questo confermata dalla successiva codificazione del ’42 e dalla riforma operata con la l. n. 377 del 1976, i consorzi sono sottoposti a controlli pubblici che ne evidenziano la decisa colorazione pubblicistica. Aspetto saliente della disciplina è la circostanza per la quale l’interesse che accomuna tutti i consorziati preesiste, in capo ai soggetti partecipanti, rispetto all’organizzazione. Peraltro, tale interesse può anche sussistere in linea di fatto, nei consorzi volontari, e quindi nascere “dal basso”, ovvero essere necessitato giuridicamente, nei consorzi obbligatori o coattivi, cui possono essere assimilate le versioni più risalenti delle esperienze di responsabilità estesa del produttore. Come anticipato, un aspetto importante della disciplina dei consorzi concerne il loro carattere tendenzialmente anticoncorrenziale che, sebbene ormai sensibilmente ridimensionato dalle riforme degli anni Settanta, costituisce un portato della disciplina originaria. Ai sensi della legge del ’32, la costituzione del consorzio obbligatorio andava richiesta dal settanta per cento delle imprese rappresentanti il settanta per cento della produzione media effettuata nell’ultimo triennio ovvero, «in mancanza del numero suddetto di imprese», dell’ottantacinque per cento della produzione. Il governo doveva poi valutare se la costituzione del consorzio obbligatorio rispondesse «alle esigenze dell’economia generale del Paese, in quanto diretta a conseguire una più razionale organizzazione tecnica ed economica della produzione», valutazione al
Il primo criterio distintivo tra regimi EPR attiene al grado di apertura alla concorrenza dei relativi mercati di riferimento
6 Si veda, ad esempio l’art. 11, d.lgs. n. 95/1992 sugli oli minerali usati. 7 Così, G. Ferri, voce Consorzio (teoria generale e consorzi industriali), in Enc. dir., vol. IX, Milano, 1961, p. 371.
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cui esito positivo conseguiva l’obbligo di adesione da parte di tutte le imprese del settore. Parimenti, per quanto concerne i consorzi volontari, l’art. 3, r.d.l. n. 1296 del 1936 escludeva dal campo di applicazione del decreto i consorzi «la cui attività, a giudizio [dell’autorità governativa], non influisca sulla situazione della produzione o del mercato nazionale». Come anticipato, si è cercato di rendere recessiva tale tendenza anticoncorrenziale con la l. n. 377 del 1976. Essa ha tentato di spostare l’attenzione dall’idoneità del consorzio ad agire come ordinatore dell’attività dei consorziati (elemento che porta con sé la limitazione della concorrenza), alla sua attitudine a svolgere direttamente fasi delle imprese consorziate, in un’opposta prospettiva di collaborazione. Il ricorso a queste forme organizzative che, pur ibridando strumenti privatistici e pubblicistici, si sostanziavano in una compressione della concorrenza era giustificato dalla circostanza per la quale non esisteva all’epoca un mercato che potesse far fronte alle esigenze ambientali in discorso. In altri termini, non si rinveniva l’esigenza – perché non avvertita da un punto di vista culturale, non supportata da adeguate tecnologie, ecc. – da parte delle imprese di organizzarsi
autonomamente in funzione della gestione dei rifiuti derivanti dall’oggetto della propria attività produttiva. Ciò nonostante, lo strumento consortile si è dimostrato particolarmente duttile facendo del sistema di applicazione del principio di responsabilità estesa invalso nell’ordinamento italiano uno dei modelli più virtuosi d’Europa. Infatti, nel momento in cui il mercato si è iniziato a mostrare più permeabile e pronto a farsi carico delle esigenze di gestione dei rifiuti, lo strumento dei consorzi è stato adattato al nuovo contesto. Attualmente, la legge non si limita più a prescrivere l’adesione da parte delle imprese di settore al consorzio nazionale. Diversamente, la legge impone ai soggetti privati produttori una serie di obblighi di raggiungimento di standard ambientali nel recupero di rifiuti generati dai propri prodotti. Gli standard sono sia qualitativi (ciò richiede tecnologie avanzate per ottenere un materiale recuperato di alta qualità) che quantitativi (e questo impone ad esempio di coprire tutto il territorio nazionale per raccogliere i rifiuti). Una volta fissati gli obiettivi ambientali da conseguire, agli operatori è lasciata la scelta sui modi attraverso i quali perse-
80 guirli: attraverso la costituzione di sistemi autonomi, individuali o collettivi, oppure aderendo al “vecchio” sistema “amministrativo” (necessariamente collettivo). Quest’ultimo continua ad avere la forma di un consorzio ma non si configura più come consorzio obbligatorio (né tantomeno coattivo), limitandosi a costituire la modalità sussidiaria e residuale di adempimento degli obblighi ambientali: là dove l’operatore non abbia costituito un sistema autonomo o aderito ad uno preesistente, esso non può fare altro che aderire al consorzio nazionale. Data la difficoltà di far fronte a tali obiettivi singolarmente, quasi tutti i produttori hanno scelto l’adesione ad un sistema collettivo, che la legge stabilisce debba essere un consorzio senza scopo di lucro. Il finanziamento di tali sistemi collettivi avviene attraverso il versamento da parte dei vari soggetti coinvolti nella filiera di un contributo ambientale. In questo modo, in primo luogo nei settori nei quali l’elaborazione di regimi di responsabilità estesa del produttore è più risalente o, comunque, storicamente meno supportata “naturalmente” dal mercato, si è verificata una divaricazione dei modelli di EPR: da una parte i “vecchi” consorzi nazionali, dall’altra i “nuovi” sistemi autonomi, a loro volta organizzati sia in forma collettiva, sia in forma individuale. Peraltro, soprattutto i sistemi autonomi sono sottoposti al controllo dell’autorità pubblica, dal momento che quest’ultima è chiamata a adottare un provvedimento di riconoscimento, una volta aver eseguito i controlli riguardanti la conformità degli statuti agli statuti-tipo dallo stesso Ministero adottati, nonché i controlli relativi all’idoneità del sistema di conseguire gli obiettivi ambientali e di assicurare la stabilità finanziaria. Le differenze, tuttavia, non riguardano solo i singoli sistemi (istituzionali o industriali) ma traggono origine dai settori di riferi-
mento. Si rinvengono infatti alcuni settori in cui gli operatori economici si sono dimostrati, sin da subito, più propensi ad istituire volontariamente forme di gestione dei rifiuti derivanti dai propri prodotti: ci si riferisce, in particolare, al settore dei veicoli fuori uso e degli pneumatici fuori uso, nonché al comparto dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). In questi casi, non era stato istituito un consorzio obbligatorio “monopolista” ma si è sin dalle origini lasciato che gli operatori si organizzassero autonomamente, mediante l’istituzione di sistemi individuali oppure la costituzione di sistemi collettivi. In altri casi, invece, la scarsa maturità del mercato ha reso necessario il ricorso a formule organizzative maggiormente limitative della concorrenza. Un elemento particolarmente indicativo della propensione del settore ad essere organizzato secondo un modello “amministrativo” o industriale è rappresentato dal tasso di contiguità con le attività oggetto dei servizi pubblici comunali di raccolta e smaltimento dei rifiuti. Si osserva, infatti, non certo sorprendentemente, un rapporto di proporzionalità inversa tra la pervasività dei pubblici servizi e la configurazione industriale di un dato settore. Ad esempio, nel caso degli pneumatici fuori uso, proprio l’alterità dei rifiuti in questione con i pubblici servizi ha propiziato lo sviluppo e l’affermazione di sistemi di raccolta fortemente industriali, tant’è vero che l’art. 228 TUA, nel quale si esaurisce la disciplina dei PFU, non solo non istituisce un consorzio nazionale obbligatorio, lasciando libera scelta in ordine alla costituzione di sistemi individuali o collettivi, ma pur sempre autonomi, ma neanche prevede la forma consortile come formula organizzativa obbligatoria nel caso di organizzazione di sistemi collettivi, limitandosi a fare riferimento a generiche ed «eventuali forme associate» (cfr. art. 228, comma 3 bis).
81 I destinatari degli obblighi di adesione a regimi EPR Il secondo criterio di distinzione dei regimi EPR attiene alla natura dei soggetti ad essi aderenti o, meglio, dei soggetti destinatari degli obblighi volti alla realizzazione degli obiettivi di prevenzione e recupero dei rifiuti. Come si è anticipato, la natura amministrativa o industriale dei regimi EPR si riflette anche sulla loro composizione. Va, peraltro, precisato che quando ci si riferisce alla composizione, non si vuole indicare tanto (o solo) la composizione degli organi di amministrazione degli enti associativi e i poteri dell’autorità pubblica di nominare alcuni dei relativi membri – il che, più che altro, è diretta espressione della pervasività del controllo pubblico. Piuttosto, si intende fare riferimento alla composizione della platea dei soci: se, cioè, si tratta di soli produttori oppure se vi si rinvengono anche operatori economici diversi. Innanzitutto, è da osservare che non si rinvengono disposizioni legislative che vietano l’adesione ai sistemi di EPR collettivi (siano essi amministrativi o industriali) di soggetti diversi dai produttori. Tuttavia, anche solo volgendo l’attenzione al dato normativo emergono alcune differenze. Da una parte, figurano quei complessi normativi che prevedono in via “ordinaria” una composizione mista dei relativi consorzi, con la partecipazione di produttori, importatori, raccoglitori, recuperatori, venditori, in casi limite persino detentori – sebbene comunque aventi natura imprenditoriale – dei rifiuti: si tratta dei consorzi per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati (art. 236, comma 4 TUA), dei consorzi per la raccolta ed il trattamento delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti
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piombosi (art. 235, comma 15 TUA; nonché art. 21 d.lgs. n. 188/2008), dei consorzi per il riciclaggio dei rifiuti di beni in polietilene (art. 234, comma 4 TUA), dei consorzi per la raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti (art. 233, comma 5 TUA), nonché degli stessi consorzi relativi ai rifiuti da imballaggio. Dall’altro lato, si rinvengono quelle discipline che, pur non escludendo la possibilità di adesione di soggetti diversi dai produttori, nondimeno sembrano considerarla come un’ipotesi (se non speciale) meramente eventuale o, comunque, secondaria. Rilevano, a tal fine, i settori degli pneumatici fuori uso (art. 228 TUA) e dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (d.lgs. n. 49/2014). Come visto, e come sarà meglio dimostrato nei prossimi paragrafi, più la disciplina è caratterizzata da un incumbent dai connotati monopolistici e amministrativi, più alto è il tasso di eterogeneità degli aderenti. Non è un caso che le discipline più improntate ad un principio di “esclusività” della partecipazione siano quelle in cui i modelli organizzativi prescelti presentino una configurazione più industriale e pluralistica e meno amministrativa. L’omogeneità della composizione dei sistemi di EPR, che viene più o meno espressamente prescritta dallo stesso legislatore, è giustificata e propiziata dalla “maturità” del relativo mercato che è in grado di far fronte autonomamente alle esternalità negative da esso stesso prodotte. Peraltro, la tendenza alla specializzazione dei sistemi EPR potrebbe essere ulteriormente favorita dalla previsione dell’art. 178 bis che, come visto, ha previsto la possibilità di introdurre nuovi regimi EPR mediante regolamenti ministeriali. La fonte regolamentare, rispet-
Il secondo criterio di distinzione dei regimi EPR attiene alla natura dei soggetti ad essi aderenti
82 to a quella legislativa, potrebbe infatti prestarsi ad accogliere in maniera più rapida le sollecitazioni provenienti dagli operatori economici: soprattutto, la previsione di una norma generale che attribuisce all’amministrazione il potere di definire regimi EPR consente di evitare di dover aspettare l’esito del defatigante processo legislativo. Panoramica del quadro normativo Conviene, a questo punto, fornire una breve panoramica del quadro normativo rinvenibile nel nostro ordinamento. Si passeranno in rassegna, dapprima, i sistemi più amministrativi ed eterogenei nella composizione; poi, quelli a trazione industriale e maggiormente omogenei. Pur nella consapevolezza che tutti i sistemi, anche quelli più risalenti e di natura più spiccatamente “amministrativa” nella loro genesi, stanno oggi evolvendo verso un quadro pluralistico e più industriale grazie al riconoscimento di un sempre maggiore numero di sistemi autonomi, la classificazione proposta ha una funzione meramente descrittiva dell’impostazione storica di fonda da cui muovono tali sistemi. Come accade non di rado, le classificaPhoto by Claudio Schwarz on Unsplash
zioni servono a fornire le chiavi di lettura della realtà, più che a scattarne una fedele fotografia: nella dinamica del reale sono statisticamente più frequenti le figure ibride rispetto a quelle pure, soprattutto in materie e settori la cui disciplina giuridica è piuttosto “giovane”. Il tema in oggetto non fa eccezione, tant’è vero che nella rassegna che segue sembra necessario aggiungere una terza categoria che, ancorché avente origini di matrice spiccatamente “amministrative”, è oggi caratterizzata da un tasso di concorrenza particolarmente elevato. I sistemi “amministrativi” Per quanto attiene al settore degli imballaggi, l’articolo 221, comma 3, TUA prevede la facoltà dei produttori di imballaggio di scegliere tra tre possibili opzioni: «organizzare autonomamente, anche in forma collettiva, la gestione dei propri rifiuti di imballaggio sull’intero territorio nazionale», «attestare sotto la propria responsabilità che è stato messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, mediante idonea documentazione che dimostri l’autosufficienza del sistema» oppure, in via residuale, aderire ad uno dei consorzi
83 di filiera costituiti per ciascun materiale di imballaggio, ai sensi dell’articolo 223 del decreto legislativo n. 152 del 2006. In questo contesto, il soggetto “istituzionale” è duplice, per ciascuna filiera. In primo luogo, viene individuato dal legislatore il consorzio nazionale degli imballaggi (CONAI). Il CONAI è un consorzio dotato di personalità giuridica di diritto privato senza fini di lucro, che persegue finalità di interesse pubblico nell’ambito della tutela dell’ambiente e della concorrenza. Il CONAI è retto da uno statuto approvato dal Ministero della transizione ecologica. A tale consorzio partecipano in forma paritaria i produttori e gli utilizzatori che non hanno organizzato o non partecipano a sistemi autonomi di gestione e restituzione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio. Le risorse finanziarie necessarie allo svolgimento delle funzioni del CONAI sono costituite dai proventi dell’attività, dai contributi dei consorziati e da una quota del c.d. contributo ambientale, nonché da altri contributi e proventi di consorziati e di terzi. Il rispetto del principio della responsabilità estesa del produttore viene in tal caso assicurato dal CONAI ripartendo tra i produttori e gli utilizzatori il contributo ambientale del CONAI. Al sistema del CONAI appartengono i sei consorzi di filiera costituiti per ciascun materiale di imballaggio, ai sensi dell’articolo 223 del decreto legislativo n. 152 del 2006: si tratta del secondo “pilastro” nel quale si articola il sistema “istituzionale” di responsabilità estesa nel settore in esame. I consorzi di filiera che operano nella gestione dei rifiuti di imballaggio sono sei, uno per ciascuna filiera (acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro): RICREA, (acciaio); CIAL (alluminio); COMIECO (carta e cartone); RILEGNO (legno); COREPLA (plastica); COREVE (vetro). Anche gli statuti dei consorzi di filiera sono approvati con decreto ministeriale, ma sulla base di una statuto-tipo previamente adottato dallo stesso
Ministro. È interessante rilevare, nella prospettiva del livello di penetrazione del controllo pubblicistico, che limitatamente al CONAI la legge direttamente prescrive che del consiglio d’amministrazione fa parte, con diritto di voto, un rappresentante dei consumatori indicato dal Ministro dell’ambiente e dal Ministro dello sviluppo economico (art. 224, comma 10, TUA). Accanto al sistema CONAI-consorzi di filiera, la legge prevede l’istituzione di sistemi autonomi, che possono avere forma individuale ovvero collettiva, purché avente personalità giuridica di diritto privato e senza scopo di lucro, nonché retto da uno statuto, conforme ai principi stabiliti in materia, oltre che allo statuto tipo adottato con decreto ministeriale per la corrispondente filiera produttiva. La costituzione di tali sistemi è subordinata all’accoglimento da parte del Ministero della transizione ecologica di un’istanza di riconoscimento: in tale sede, l’autorità pubblica esegue i controlli ex ante sulla capacità del consorzio di conseguire gli obiettivi ambientali, sulla stabilità finanziaria, sulla copertura dell’intero territorio nazionale. Per quanto riguarda i soggetti obbligati all’adesione o alla costituzione di sistemi EPR, il settore degli imballaggi appare caratterizzato da un certo tasso di eterogeneità. Nondimeno, si rinvengono talune ambiguità nella normativa. Ebbene, in apertura del titolo relativo ai rifiuti da imballaggio, viene specificato che l’obbligo di garantire, «secondo i principi della “responsabilità condivisa”, che l’impatto ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio sia ridotto al minimo possibile per tutto il ciclo di vita» grava sugli operatori delle rispettive filiere degli imballaggi (art 217, comma 2 TUA), là dove nella nozione di «operatori economici» (art. 218, comma 1, lett. q TUA) – che contempla anche i recuperatori, i riciclatori, gli utenti finali, le pubbliche amministrazioni
84 e i gestori – sono compresi sia i «produttori», vale a dire «i fornitori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio» (art. 218, comma 1, lett. r TUA), sia gli «utilizzatori», vale a dire «i commercianti, i distributori, gli addetti al riempimento, gli utenti di imballaggi e gli importatori di imballaggi pieni» (art. 218, comma 1, lett. s TUA). Si tratta dunque di un campo applicativo, quello desumibile dall’uso del termine «operatori», piuttosto ampio ed estremamente eterogeneo. La platea dei soggetti presi in considerazione ai fini del regime EPR sembra tuttavia restringersi allorché viene fatto riferimento in maniera più specifica agli obblighi gravanti sugli operatori economici. Per un verso, ai sensi dell’art. 221, comma 2 TUA, l’obbligo di ritiro dei rifiuti da imballaggio, nell’ambito dell’apposito accordo di programma, grava solo su produttori e utilizzatori, i quali a tal fine sono chiamati a partecipare al CONAI, salvo il caso in cui venga adottato uno dei sistemi autonomi previsti. Tuttavia, già il comma seguente, nel delineare le tre alternative a disposizione dei soggetti per ottemperare agli obblighi derivanti dall’EPR, fa riferimento ai soli produttori, non anche agli utilizzatori 8. Simile tendenza appare confermata dall’art 221 bis, comma 1, TUA, che disciplina il procedimento
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all’esito del quale il Ministero è chiamato ad adottare il provvedimento di riconoscimento dei sistemi autonomi: si legge che l’istanza di riconoscimento è presentare dai «produttori che non intendono aderire ad uno dei consorzi di cui all’articolo 223», anche qui senza menzionare gli utilizzatori. Le ambiguità assumono evidenza ancora maggiore nell’ambito della disposizione che disciplina la costituzione dei consorzi di filiera nell’ambito del sistema CONAI (art. 223, comma 1, TUA). Da un lato, ancora una volta sono presi in considerazione solo i «produttori che non provvedono ai sensi dell’articolo 221, comma 3, lettere a) e c)». Per altro verso, viene contemplata l’ipotesi di adesione di recuperatori e riciclatori, prevedendo la previa stipulazione di un apposito accordo con gli altri consorziati: la stessa disposizione rileva che i soggetti ora menzionati «non corrispondono alla categoria dei produttori», ma va osservato che non si tratta neanche di operatori rientranti nell’attigua categoria degli utilizzatori. Questa ambiguità della disciplina positiva appare rispondere ad una maggiore complessità del settore degli imballaggi. In esso, infatti, convivono sistemi di carattere amministrativo, riconducibili al CONAI che, come espressamente previsto dal citato art. 221 comma 2 TUA, vede la partecipazione tanto dei produttori tanto degli utilizzatori, nonché sistemi aventi natura spiccatamente industriale, costituiti in maniera autonoma dagli operatori economici. Questi ultimi sistemi presentano una forte propensione alla specializzazione ed alla settorializzazione, con correlativa spiccata omogeneità della composizione, la quale è, allo stesso tempo, conseguenza di un
L'ambiguità che caratterizza la disciplina degli imballaggi sembra rispondere alla maggiore complessità del settore
8 Art. 221, comma 3 TUA: «Per adempiere agli obblighi di riciclaggio e di recupero nonché agli obblighi della ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici private, e con riferimento all’obbligo del ritiro, su indicazione del Consorzio nazionale imballaggi di cui all’articolo 224, dei rifiuti di imballaggio conferiti dal servizio pubblico, i produttori possono alternativamente: […]».
85 mercato maturo e presupposto per il conseguimento di performances più efficienti. Un altro settore in cui si rinviene un’analoga struttura organizzativa è quello degli oli minerali usati. Già il D.P.R. n. 691/1982 aveva infatti provveduto alla costituzione del consorzio obbligatorio degli oli usati (COOU), la cui attività ed organizzazione sono ora dettagliatamente regolate dall’articolo 236 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Con l’approvazione del nuovo statuto il COOU ha modificato la propria denominazione in consorzio nazionale per la gestione raccolta e trattamento degli oli minerali usati – CONOU. Il consorzio è retto da uno statuto approvato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero dell’industria del commercio e dell’artigianato, il quale deve essere adeguato ad uno schema tipo adottato con decreto. In attuazione dell’articolo 236 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto del 7 dicembre 2016 ha emanato lo schema di statuto tipo del consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati. Lo statuto del CONOU è stato approvato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto 7 novembre 2017. Il CONOU ha personalità di diritto privato senza fini di lucro ed esplica le proprie funzioni sull’intero territorio nazionale. Le principali attività del consorzio sono definite dal citato articolo 236. Nel settore degli oli minerali esausti, la prevalenza del modello amministrativo appare piuttosto evidente. Non tanto perché la legge non prevede espressamente un procedimento di riconoscimento o approvazione dei sistemi autonomi (la quale circostanza potrebbe paradossalmente essere interpretata nel senso di un regime di libertà nella costituzione di sistemi autonomi, ma che in punto di fatto è indice di un’attitudine culturale “monopolistica”) quanto
piuttosto per la posizione che è assunta dal CONOU al quale le «imprese che eliminano gli oli minerali usati tramite co-combustione e all’uopo debitamente autorizzate e gli altri consorzi di cui al presente articolo sono tenute a fornire […] i dati tecnici di cui al comma 12, lettera h), affinché [lo stesso CONOU] comunichi annualmente tutti i dati raccolti su base nazionale ai Ministeri che esercitano il controllo, corredati da una relazione illustrativa» (art. 236 comma 3 TUA). Il CONOU e gli altri consorzi presentano una composizione mista. Ai sensi dell’art. 236, comma 4, infatti, ai consorzi partecipano in forma paritetica tutte le imprese che producono, importano o mettono in commercio oli base vergini; le imprese che producono oli base mediante un processo di rigenerazione; le imprese che effettuano il recupero e la raccolta degli oli usati; le imprese che effettuano la sostituzione e la vendita degli oli lubrificanti. Ancora un regime dallo spiccato carattere amministrativo si rinviene con riferimento alla gestione degli oli e dei grassi animali e vegetali esausti (art. 233 TUA). Anche in questo caso, gli operatori possono scegliere se aderire al consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti (il CONOE) oppure organizzare autonomamente la gestione attraverso sistemi alternativi istituiti ai sensi dell’articolo 233, comma 9, TUA, soggetti al previo riconoscimento del Ministero dell’ambiente. Anche in questo caso, la platea dei soggetti obbligati è piuttosto eterogenea. Addirittura, la legge contempla, oltre alle imprese che producono, importano, riciclano e recuperano, che effettuano la raccolta, il trasporto e lo stoccaggio di oli e grassi vegetali ed animali esausti, anche le imprese che semplicemente detengono tali rifiuti (art. 233, comma 5, TUA). Un quadro normativo del tutto analogo si rinviene con riferimento ai rifiuti di beni in
86 polietilene il cui sistema EPR è disciplinato dall’art. 234 TUA: in questo caso il consorzio nazionale è il POLIECO, avente personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro e adegua il proprio statuto in conformità allo schema tipo approvato dal Ministro della Transizione ecologica, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico. Gli operatori che non aderiscono al POLIECO sono tenuti, alternativamente, ad organizzare autonomamente la gestione dei rifiuti di beni in polietilene su tutto il territorio nazionale, oppure a mettere in atto un sistema di raccolta e restituzione dei beni in polietilene, con avvio al riciclo o recupero, previo accordo con aziende che svolgono tali attività, con quantità predefinite e documentate e ferma la necessità di riconoscimento da parte dell’autorità competente. Ai consorzi o sistemi in questione partecipano i produttori e gli importatori, gli utilizzatori e i distributori, nonché i riciclatori e i recuperatori di rifiuti di beni in polietilene. I sistemi industriali Come anticipato, appartengono alla categoria dei sistemi industriali i modelli EPR elaborati con riferimento agli pneumatici fuori uso (PFU) ed ai rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE). In entrambi i casi, infatti, l’alternativa è tra la costituzione di un sistema autonomo collettivo o di provvedere all’adempimento degli obblighi di legge in forma individuale, ma non è prevista l’adesione in via residuale ad un sistema collettivo di tipo istituzionale. Nel caso dei PFU, la legge non prevede neanche una forma particolare per la costituzione dei sistemi collettivi. Nel caso dei RAEE, l’alternativa è tra i sistemi individuali autonomi e collettivi autonomi, questi ultimi aventi forma necessariamente consortile. Per quanto riguarda la platea dei destina-
tari degli obblighi, nel caso dei PFU la legge appare piuttosto netta nell’espressione di un favore nei confronti di una composizione quanto più possibile omogenea dei sistemi di EPR. L’art. 228 TUA limita ai produttori ed importatori di PFU l’applicazione dell’obbligo di provvedere, singolarmente o in forma associata, alla gestione di quantitativi di pneumatici fuori uso pari a quelli dagli stessi soggetti immessi sul mercato. Sebbene non sia vietata espressamente la partecipazione a tali sistemi da parte di operatori diversi dai produttori o dagli importatori, tuttavia il chiaro riferimento alle sole categorie suddette nonché l’assenza di disposizioni che regolino l’eventuale adesione di soggetti diversi fa propendere per una tendenziale opzione favorevole all’istituzione di sistemi quanto più omogenei nella loro composizione. Meno netto appare il favore verso sistemi “chiusi” nella disciplina dei RAEE, che tuttavia appare più chiara e completa giacché è espressamente disciplinata anche l’ipotesi di sistema collettivo “misto”. È infatti previsto che la partecipazione ai sistemi collettivi, in forma consortile, è in via ordinaria riservata ai soli produttori di apparecchi elettrici ed elettronici, i quali sono i primi destinatari degli obblighi derivanti dalla responsabilità estesa del produttore. Tuttavia, è stabilito che anche soggetti diversi dai produttori, segnatamente i distributori, i raccoglitori, i trasportatori, i riciclatori e i recuperatori, possono aderire ai sistemi collettivi, purché sia previamente stipulato un apposito accordo con i produttori (art. 10, comma 1, d.lgs. n. 49/2014). Rifiuti da pile e accumulatori: esempio di transizione da modello “amministrativo” ad un approccio industriale Il settore dei rifiuti da pile e accumulatori rappresenta in maniera plastica il passaggio da sistemi “amministrativi” a sistemi maggiormente aperti alla concorrenza.
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La configurazione originaria costituisce un classico esempio del primo modello individuato. La legge istituiva un consorzio nazionale dalla forte connotazione istituzionale cui erano obbligati ad aderire una pluralità di soggetti: le imprese attive nel riciclo delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi mediante la produzione di piombo secondario raffinato od in lega; le imprese operanti nella fabbricazione oppure nella importazione di batterie al piombo; le imprese raccoglitrici delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi; le imprese svolgenti operazioni di sostituzione e di vendita delle batterie al piombo. L’attuale disciplina (d.lgs. n. 188/2008) conferma il carattere composito della platea degli obbligati, così come mantenuto è l’originario consorzio nazionale dalla forte connotazione istituzionale (art. 20 d.lgs. n. 188/2008). Tuttavia, il settore ha conosciuto una sensibile apertura al mercato, con una pluralità di sistemi autonomi attualmente attivi. L’osservazione di tale settore è particolarmente interessante perché idonea a prefigurare lo sviluppo in senso industriale degli altri mercati originariamente monopolistici. In particolare, si nota mutamento di paradigma nella configurazione del consorzio ex monopolista, dovuto al
necessario adeguamento della situazione di fatto esterna ad esso. I consorzi, infatti, non si caratterizzano più come soggetti che direttamente gestiscono i rifiuti e svolgono le relative attività, coma come soggetti che coordinano – agendo quasi come “intermediari” – le imprese del settore, le quali si occupano direttamente, ancorché secondo schemi organizzativi associativi, dell’espletamento delle attività di gestione dei rifiuti originati dalla produzione e dal consumo dei beni oggetto di business. Gli effetti della regolazione amministrativa Una delle lacune più evidenti dei diversi modelli EPR presenti nel nostro ordinamento attiene all’efficacia dei controlli ex post da parte dell’amministrazione sul conseguimento degli obiettivi. In effetti, il momento in cui la presenza dell’autorità pubblica è più enfatizzata attiene alla fase genetica dei regimi EPR, quando il Ministero è chiamato a dare la propria approvazione o riconoscimento. In quella sede, la valutazione, sebbene non riguardi solo la conformità con lo statuto-tipo ma anche l’idoneità al conseguimento dei sostanziali obiettivi ambientali e preveda in alcuni casi anche una verifica di funzionamento da svolgersi in condizioni di effettiva ope-
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ratività del sistema, non può che avere un carattere meramente prognostico. Una indiretta conferma di quanto sopra rilevato si rinviene nella giurisprudenza amministrativa. Essa ha infatti censurato l’eccessiva ingerenza ministeriale, in sede di definizione degli statuti tipo e di approvazione degli statuti dei consorzi 9. È stato affermato, con specifico riferimento al settore degli imballaggi, che i consorzi di filiera non possono qualificarsi alla stregua dei consorzi obbligatori ai sensi degli artt. 2616 e ss. c.c., poiché quest’ultimi vengono costituiti mediante apposito provvedimento legislativo, si trovano in una posizione di monopolio di diritto e sono persone giuridiche pubbliche. I consorzi di filiera sono al contrario soggetti muniti di personalità giuridica di diritto privato, aperti a un sistema tendenzialmente concorrenziale, a cui non sono applicabili i principi in tema di consorzi obbligatori né il regime di vigilanza governativa di cui all’art. 2619 cod. civ. In quella sede, il Consiglio di Stato ha altresì evidenziato come il contributo ambientale con cui in parte vengono finanziati i consorzi, non possa essere assimilato all’IVA, posto che l’art. 219, comma 2, d.lgs. n. 152 del 2006, accolla il costo della raccolta 9 Cfr. Cons. St., sez. VI, 24 settembre 2015, nn. 4475, 4476, 4477.
differenziata, della valorizzazione e dell’eliminazione dei rifiuti di imballaggio alle categorie dei produttori e utilizzatori, con divieto (art. 221, comma11) di oneri economici aggiuntivi per il consumatore per la restituzione di imballaggi usati o di rifiuti di imballaggio, ivi compreso il conferimento di rifiuti in raccolta differenziata. Tali considerazioni hanno indotto i giudici amministrativi ad annullare il decreto recante lo statuto-tipo: dalla natura privatistica dei consorzi discende infatti l’invalidità di clausole dello statuto tipo eccessivamente limitative dell’autonomia privata Inoltre, è stato chiarito come i consorzi nazionali unici di filiera svolgano attività di pubblico interesse, ma non già un servizio pubblico in senso stretto, ed in particolare che «non è in discussione la previsione legislativa dell’adozione di uno schema-tipo di statuto con decreto ministeriale, costituendo tale attribuzione espressione del potere/dovere di vigilanza e di controllo dell’Amministrazione a tutela degli interessi generali che permeano il settore della gestione dei rifiuti, bensì l’introduzione, con lo schema-tipo approvato con il qui impugnato decreto ministeriale, di norme di eccessivo dettaglio e di modalità invasive di controllo che, secondo la prospettazione del consorzio appellante, ne comprimono ingiustificatamente l’autonomia negoziale/
89 statutaria e gestionale/organizzativa». Tale interpretazione, del resto, ha sovvertito la lettura precedentemente avallata dal TAR Lazio 10, secondo il quale «l’attività dei consorzi ha tratti similari a quelli propri dell’erogazione di un servizio pubblico e, analogamente ai servizi pubblici, viene finanziato attraverso un contributo ambientale (c.d. CAC, disciplinato dall’art. 224, comma 3, lett. h, del D.Lgs. n. 152/2006 e dallo Statuto CONAI), il quale, pur non avendo carattere tributario, costituisce oggetto di un’obbligazione ex lege destinata ad operare secondo meccanismi del tutto simili a quelli dell’IVA, entrando a far parte integrante del prezzo di vendita dell’imballaggio con una traslazione dei costi a carico del consumatore finale». Per altro verso, un altro indirizzo giurisprudenziale, di recente cristallizzato in una pronuncia del Consiglio di Stato 11, ha rigettato la tesi secondo cui la gestione degli imballaggi sarebbe incentrata sul sistema CONAI-consorzi di filiera, assumendo invece carattere meramente eccezionale i sistemi autonomi, in quanto metterebbero a rischio il rispetto dei principi di tutela ambientale sanciti dall’ordinamento eurounitario. Al contrario, assumendo come principi generali di riferimento della disciplina giuridica della gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio di matrice comunitaria [direttiva 94/62/CE del 20 dicembre 1994, recepita dalle norme del Titolo II della Parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006 (artt. 217-226)], gli obiettivi, che essa persegue, può rinvenirsi la coerenza di un sistema connotato dalla coesistenza del consorzio nazionale di filiera e di un consorzio nazionale imballaggi – finalizzato alla migliore tutela delle esigenze di coordinamento degli obiettivi – con le iniziative che danno luogo a sistemi autonomi. Infatti, poiché la normativa richiamata (sul10 TAR Lazio – Roma, sez. II bis, n. 10262/2014. 11 Cons. St., sez. IV, 26 gennaio 2021, n. 781.
la base della norma programmatica dettata dall’art. 217, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006) persegue gli obiettivi della tutela ambientale, della garanzia del funzionamento del mercato, dell’esclusione di discriminazioni nei confronti dei prodotti importati, della prevenzione contro l’insorgenza di ostacoli agli scambi e di distorsioni della concorrenza, nonché della garanzia del massimo rendimento possibile degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, deve rilevarsi che i sistemi autonomi non possono essere riguardati come eccezione alla regola dei consorzi nazionali. Piuttosto, l’intero sistema può leggersi come caratterizzato da una “obbligatorietà per così dire a carattere residuale” dei consorzi nazionali in mancanza di iniziative autonome (come efficacemente affermato da Cons. Stato sez. VI, n. 4475 del 2015). Del resto, in tal senso dispone l’art. 221 comma 3, cit. con il prevedere che i produttori, per adempiere agli obblighi previsti, “possono alternativamente” aderire al consorzio nazionale di filiera o predisporre un sistema autonomo. Allora, in ragione degli obiettivi suddetti - polarizzati attorno ai due profili essenziali della tutela dell’ambiente e della tutela della concorrenza in una logica di complementarità, potendosi essere perseguiti in maniera congiunta – all’interprete spetta piuttosto il compito di leggere in un’ottica non restrittiva le disposizioni che concernono i sistemi autonomi, perché costituiscono un’apertura a un sistema tendenzialmente concorrenziale, potenzialmente idoneo ad implementare il recupero dei rifiuti e il loro sfruttamento con innegabili vantaggi per la tutela ambientale. Come si diceva, tali arresti giurisprudenziali confermano, seppur indirettamente, quanto sostenuto in tema di regolazione amministrativa. Essa, piuttosto che concentrarsi nel momento genetico del sistema e piuttosto che avere un’attitudine all’ingerenza nelle scelte organizzative del consorzio, deve assumere un carattere esterno e at-
90 tinente al conseguimento degli obiettivi di efficienza in termini di tutela dell’ambiente.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Eterogeneità e dissonanze tra pubblico e privato Dal quadro sinteticamente descritto si possono trarre alcune riflessioni di carattere generale sui modelli di EPR oggi presenti in Italia e sulle loro prospettive di evoluzione. Appare evidente che coesistono ad oggi diversi modelli di responsabilità estesa del produttore. Dietro la maschera giuridica del “consorzio” si celano diversità sostanziali, derivanti dal grado di maturità del mercato dei rifiuti e dei materiali in cui si collocano e dal peso “storico” che la genesi di ciascun sistema conduce ancora oggi nella dinamica evolutiva di ciascuno di essi. La configurazione pluralistica dei sistemi collettivi è più lontana nei sistemi nati in epoca più risalente e la cui organizzazione fatica a liberarsi dall’impostazione istituzionale e amministrativa dei consorzi unici e obbligatori. Viceversa, i modelli pluralistici sono orientati dalla dimensione geneticamente industriale del sistema collettivo e necessitano di un più consapevole inquadramento dell’interesse pubblico generale che perseguono in attuazione dell’EPR. Non a caso i primi sono regimi che, nella maggior parte dei casi, prevedono il coinvolgimento di soggetti diversi dai produttori, con una configurazione dei rapporti interni di più difficile gestione. I secondi invece sono modelli più vicini ad una configurazione “pura” di soli produttori del prodotto. Nelle gradazioni tra modelli “unici” che lentamente si trasformano e modelli “industriali” le figure e la composizione dei diversi elementi evidenziati sono molte. Su tutto il quadro pesa il ruolo incerto del soggetto pubblico, regolatore e controllore del sistema.
I dati sembrano evidenziare una sostanziale assenza di controlli sulla gestione dei sistemi collettivi, dovuta ai diversi fattori prima ricordati, a fronte di un incerto esercizio dei poteri di verifica ex ante dei sistemi di nuova costituzione. Questo squilibrio non efficiente nell’esercizio dei poteri di regolazione e controllo determina una asimmetria ingiustificata tra i sistemi EPR di prima generazione e quelli pluralistici, che la previsione di criteri minimi uniformi a livello europeo, poi trasposti nell’ordinamento interno può solo parzialmente mitigare. Non v’è dubbio che un più consapevole esercizio dei poteri pubblicistici di regolazione dei sistemi EPR costituirebbe il binario necessario per guidare l’evoluzione dei modelli attualmente esistenti. E tuttavia, tale obiettivo non sarebbe perseguibile tanto attraverso un processo di uniformazione dei modelli, non necessariamente auspicabile in ragione delle diversità dei mercati dei rifiuti e dei materiali gestiti, quanto attraverso una definizione minima dei connotati di interesse pubblico dell’attività dei consorzi per gli obiettivi di tutela ambientale e, soprattutto, attraverso un contro effettivo del loro rispetto. Un controllare distratto alimenta asimmetrie tra sistemi ingiustificate e non consente la verifica del rispetto degli obiettivi cui l’EPR deve tendere. Intorno a questo nucleo minimo, la libera iniziativa privata, sia nella gestione ma anche nella configurazione del modello organizzativo di sistema collettivo più idoneo a perseguire gli obiettivi di ecodesign, raccolta e recupero dei rifiuti, dovrebbe essere garantita in tutta la sua estensione. Oggi i modelli esistenti appaiono ancora imbrigliati in una eterogeneità non corrispondente all’eterogeneità dei flussi che vengono gestiti quanto piuttosto ai momenti storici di loro nascita ed alle vischiosità della loro evoluzione.
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Lo sviluppo delle catene del valore della deproduzione nell’era dell’economia circolare Andrea Fluttero Presidente di E.C.O. - Erion Compliance Organization
L’economia lineare è il modello economico della società dei consumi nata nell’800 con la rivoluzione industriale e con la trasformazione della produzione di beni. L’accelerazione del consumismo del dopoguerra e le politiche economiche neoliberiste l’hanno trasformata e consolidata per come la conosciamo oggi. Il concetto e la definizione stessa di rifiuto sono figli del modello economico lineare “estrai materia prima, progetta, produci, trasporta, vendi, consuma e smaltisci”. Ci si ingegna a smaltire i rifiuti e, al massimo, a fare un po’ di riciclo o recupero di energia dove conviene. Nel modello lineare vi sono centinaia di catene del valore nel pre-consumo specializzate per settore, comparto o singolo prodotto, che si sono strutturate ed evolute in decenni se non addirittura secoli che si ri-
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ducono sostanzialmente ad una, il flusso di rifiuti avviati allo smaltimento o al recupero energetico. Un modello sbilanciato definito da tante catene del valore nel pre consumo ed una sola nel post consumo. La scelta europea di avviare una transizione ecologica dell’economia, dal modello lineare a quello circolare non deve essere scambiata per un semplice escamotage semantico con il quale aggiornare e rendere più moderno il concetto di riciclo, bensì propone un modello radicalmente nuovo che evolve e ridisegna il vecchio approccio lineare. L’obiettivo è quello di evitare o ridurre drasticamente l’estrazione ed il consumo di materie prime. Lo strumento è un modello circolare dell’economia nel quale le catene del valore si rimodellano nel pre consumo ed aumentano
Il concetto e la definizione stessa di rifiuto sono figli del modello economico lineare “estrai materia prima, progetta, produci, trasporta, vendi, consuma e smaltisci
92 nel post consumo facendo assumere una immagine speculare al sistema. Acquisizione materie prime da riciclo, progettazione, produzione, logistica, consumo, da un lato, logistica di ritorno, riuso, progettazione del riuso e del riciclo, riuso, riciclo e produzione di materie prime seconde dall’altro. Ed infine rifiuti da gestire, ma in quantità decisamente bassa. Il “rimodellamento” delle catene del valore in andata richiede l’eco-progettazione per disegnare prodotti più durevoli, riparabili, aggiornabili e riciclabili. La produzione dovrà saper comprare ed utilizzare al meglio le materie prime seconde (MPS) anziché le materie prime vergini. La logistica dovrà saper utilizzare al meglio le piattaforme digitali che si stanno sviluppando con il boom dell’online ed un principio cardine dell’economia lineare, quello della proprietà del bene dovrà essere declinato in forme quali lo sharing o l’acquisto del servizio anziché del bene. Il regime di responsabilità estesa del produttore è evidentemente uno strumento funzionale allo sviluppo dell’economia circolare perché supera il disaccoppiamento tra pre e post consumo tipico del modello lineare, responsabilizzando il produttore in modo esteso su tutto il ciclo di vita di quanto ha immesso sul mercato, ma non deve ingannare facendoci credere che tutto si risolva “a casa” del produttore stesso. Si parla di responsabilità estesa, non esclusiva. Infatti, solo con la responsabilizzazione di ogni anello delle catene del valore nel pre e post consumo sarà possibile svilup-
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pare appieno le potenzialità dell’economia circolare che offre evidenti vantaggi ambientali grazie alla riduzione del consumo di materie prime, l’aumento delle opportunità di nuovo business per le industrie e le aziende di servizio e di occupazione per la collettività. Tra i tanti aspetti da rivedere sarà importante superare la “narrazione” in auge da decenni secondo la quale la raccolta differenziata ed il riciclo e quindi a maggior ragione l’economia circolare costerebbero meno ai consumatori. Non è così e non è mai stato così. Ogni modello organizzativo per la gestione dei rifiuti o dei beni post consumo più evoluto rispetto al “lancio dalla finestra” ha dei costi che, al netto dei ricavi delle materie prime riciclate, crescono con il crescere della complessità delle operazioni e dei trattamenti eseguiti. “Fare e disfare è sempre lavorare” recita un vecchio adagio. Ed il lavoro costa, sia per partire dalla materia prima ed arrivare al prodotto finito in casa nostra che specularmente per far tornare il prodotto che non usiamo più da casa nostra a materia prima seconda. Non si vede per quale motivo quando compriamo un prodotto dobbiamo ritenere logico pagare i costi che sono stati necessari a produrlo e venderlo, materia prima, progetto, costruzione, logistica e non anche quelli necessari a gestire le fasi del post consumo ambientalmente corretto. Da questo punto di vista l’avvento dell’economia circolare chiede anche ai consumatori un cambiamento culturale molto profondo e non così scontato che trova la sua concretizzazione dell’istituzio-
La scelta europea di avviare una transizione ecologica dell’economia, dal modello lineare a quello circolare non deve essere scambiata per un semplice escamotage semantico con il quale aggiornare e rendere più moderno il concetto di riciclo
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ne dell’”ecocontributo” definito nei regimi di Responsabilità Estesa dei Produttori in rapporto alla durevolezza, riparabilità e riciclabilità dei prodotti. Certo oggi il modello circolare se nella fase pre consumo appare naturalmente trainato dal bisogno o desiderio del cliente, nella fase post consumo risulta ancora molto da spingere e guidare con regole e norme verso la preparazione al riuso ed al riciclo. L’obiettivo di lungo termine è quello di costruire un sistema circolare nel quale alla naturale attrazione della produzione da parte del cliente segua una altrettanto naturale attrazione dei prodotti post consumo verso le aziende del riuso e del riciclo di qualità, innescando in questo modo dinamiche concorrenziali analoghe a quelle che operano nelle catene del valore del preconsumo, anche in quelle del post consumo.
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L’aumento del numero delle catene del valore in uscita dal consumo riguarderà la logistica di ritorno che affiancherà ed in parte sostituirà la tradizionale raccolta rifiuti, la preparazione al riuso, la sua commercializzazione, il riciclo di qualità ed il trading delle MPS. Infine, in ultima istanza, un contenuto recupero energetico dei rifiuti residui dalle lavorazioni di riciclo. Come si vede le possibilità di creare nuovo business sono numerose ed economicamente corpose, anche se è evidente che avranno dimensioni molto diverse a seconda dei settori merceologici. È abbastanza naturale pensare che la logistica di ritorno ed il riciclo siano i settori di maggiore interesse, ma sottovalutare i temi della preparazione al riuso ed alla successiva commercializzazione, come al trading delle MPS sarebbe sbagliato. Nel momento in cui i prodotti saranno proget-
“Fare e disfare è sempre lavorare” recita un vecchio adagio
94 tati per essere più durevoli, riparabili o aggiornabili si apriranno spazi imprenditoriali interessanti, anche se condizionati dalle caratteristiche dei diversi beni post consumo. Per comprenderlo è sufficiente pensare alla filiera dell’auto ed a come si è strutturato il post consumo, con le attività commerciali di vendita dell’usato, alle attività artigiane di riparazione delle auto da reimmettere sul mercato dell’usato ed a quelle degli autodemolitori che estraggono componentistica usata reimmettendola sul mercato prima di avviare a riciclo la scocca e le plastiche e le parti metalliche. Certo le normative dovranno accompagna-
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re lo sviluppo di queste nuove catene del valore affrontando temi quali la garanzia dei beni riparati e reimmessi sul mercato, il sostegno fiscale ai beni usati ed alle MPS, piuttosto che al tema delle esportazioni, da contrastare se avvengono per carenza di impianti in Italia, o per fare “dumping” ambientale in Paesi nei quali le norme ambientali sono meno rigorose, ma da non ostacolare nel caso di esportazioni finalizzate a trovare sbocchi in mercati con minore potere d’acquisto di quelli europei ed in grado di generare in quei Paesi occupazione e sviluppo. Ricordando che siamo parlando di economia circolare e non di autarchia.
Nel momento in cui i prodotti saranno progettati per essere più durevoli, riparabili o aggiornabili si apriranno spazi imprenditoriali interessanti
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Responsabilità estesa e strategie di servizio per la transizione all'economia circolare Vito Fortunato Fisico, Direttore della divisione servizi di Samsung Electronics Italia
L’economia circolare è un tema di grande attualità nelle aziende industriali. Gli investimenti sono in crescita e i progetti si moltiplicano. Si tratta certamente di una buona notizia, poiché le pratiche di economia circolare sono utili sia per la comunità sia per le aziende che le adottano ed implementano. Alcune volte si tratta di iniziative, giusto per essere “alla moda” altre sono frutto di una profonda revisione dei processi di business. È altresì noto come, nelle economie avanzate, e sempre più anche in quelle emergenti, il settore dei servizi svolge un ruolo rilevante. In ambito dei servizi, le strategie da adottare per implementare delle iniziative di economia circolare rimangono abbastanza
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inesplorate o comunque da definire meglio e con precisi obiettivi nelle politiche aziendali. Il settore dei servizi, o meglio del terziario avanzato, include una molteplicità estremamente ampia di attività economiche. Le considerazioni che seguono si focalizzano sulle aziende che operano nella distribuzione, vendita e assistenza di prodotti di elettronica di consumo e telecomunicazioni. È bene sottolineare, da subito, che l’economa circolare è un’opportunità di business per le imprese; non solo perché è una tendenza socioeconomica di notevole portata ma anche per la revisione critica dei processi – che alcune volte sono davvero obsoleti –
L’economa circolare è un’opportunità di business per le imprese; non solo perché è una tendenza socioeconomica di notevole portata ma anche per la revisione critica dei processi applicando nuove tecnologie e modalità di lavoro
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applicando nuove tecnologie e modalità di lavoro. Tutto inizia con il prodotto; non si approfondirà ciò che si sta facendo in ambito di durabilità e la relativa normativa. Piuttosto, si esploreranno altri aspetti, come ad esempio, la riparabilità e più in generale il servizio post-vendita. A prima vista può sembrare che l’assistenza abbia poco a che fare con l’economia circolare: non è così. Tutto il ciclo del post-vendita, dal primo contatto con il cliente fino al termine del servizio, può essere riprogettato pensando all’uso ottimale delle risorse e alla riduzione degli sprechi. Immaginiamo la richiesta di assistenza per un prodotto non funzionante, anche se alcune volte in realtà si scopre essere perfettamente funzionante. Il modello attuale, quello basato sui principi dell’economia lineare, prevede di fornire al cliente l’indirizzo di un punto di assistenza e, quindi, “linearmente” passare alla fase di controllo presso il laboratorio. È facile immaginare quali sprechi siano in atto in questo processo. Se invece, l’operatore, che risponde al consumatore, fosse in grado di connettersi da remoto al dispositivo e avesse competenze tecniche di un certo livello, allora è facile immaginare un altro scenario: si verifica se il prodotto richiede un intervento tecnico o
meno. Ecco quindi prendere vita un ciclo e non un processo lineare che coinvolge il consumatore attivamente. I vantaggi di questo approccio circolare sono molteplici: il dispositivo deve essere progettato per la connessione remota, il consumatore riceve assistenza – spesso anche imparando ad utilizzare al meglio il proprio prodotto - le aziende investono nella formazione, non solo tecnica, delle risorse assegnate ai servizi post vendita. Qualche numero può essere utile per comprendere meglio la portata dell’assistenza da remoto: il tasso di risoluzione di una assistenza da remoto è del 97%, quindi non si generano, in questi casi, inutili sprechi di risorse e spostamenti. Quasi il 30% degli interventi viene evitato. La connessione remota è un esempio di applicazione di buone pratiche, ma è facile estendere il concetto al ben più ampio machine learning e alle potenzialità dell’intelligenza artificiale. Una strategia di servizio orientata all’economia circolare deve tener conto degli sviluppi in questi settori della tecnologia avanzata, quindi dall’internet delle cose all’utilizzo strategico dei dati. Nel ciclo del servizio, vi sono altri aspetti che dovrebbero essere valutati. Uno di questi riguarda la modalità di riparazione dei dispositivi elettronici. Da qualche tempo,
97 stiamo assistendo alla sostituzione di moduli (o assemblati) piuttosto che alla riparazione a livello di singolo componente. A prima vista la sostituzione di assemblati sembra avere poco a che fare con le pratiche di economia circolare; un esempio chiarirà meglio che non è così. La sostituzione dei moduli, alcune volte, è spinta all’estremo poiché si privilegia la performance operativa – cioè la riduzione dei tempi di riparazione – e la semplificazione di gestione del magazzino delle parti di ricambio. Quasi il 35% delle sostituzioni dei display dei televisori a tecnologia LED potrebbe essere evitato, sostituendo solo dei componenti, tra l’altro di facile reperibilità. Si potrebbe pensare che la sostituzione di assemblati sia una parte dell’intero processo che prevede la rigenerazione e quindi il riutilizzo. Se fosse così, e in alcuni casi ciò avviene, andrebbe valutata l’impronta ecologica dell’intera supply chain. Si concorderà però che, spesso, questa analisi manca. Il tema della sostituzione degli assemblati e la riparazione a componente sono dibattuti ma è evidente che una definizione chiara del processo di riparazione porta a delle interessanti applicazioni in ottica di economia circolare. È di rilievo sottolineare che la riparazione a livello componente porta con sé , come per l’assistenza da remoto, un effetto “collaterale” positivo: il miglioramento delle competenze professionali e tecniche dei riparatori. Altre buone pratiche in ambito dei servizi di riparazione riguardano l’utilizzo di materiali a basso impatto ambientale e, più in generale, la logistica dei trasporti. La consegna,
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ai clienti, dei prodotti riparati avviene spesso utilizzando scatole o materiale da imballaggio. La maggior parte delle aziende considera l’utilizzo di questo materiale come un costo e pertanto si scelgono fornitori che offrono soluzioni e materiale al prezzo più basso possibile. Considerando che uno degli obiettivi delle aziende dovrebbe essere quello di contribuire alla sensibilità verso l’ambiente, sarebbe opportuno che si adottassero delle soluzioni tali da permettere il riutilizzo delle scatole. Non ultimo, se non più importante, i materiali dovrebbero essere certificati ad esempio FSC® (Forest Stewardship Council). Veniamo alla logistica del servizio post-vendita; i mezzi di trasporto giocano un ruolo molto importante, soprattutto per quei prodotti la cui riparazione o manutenzione deve essere eseguita presso il luogo ove è installato il prodotto. Due sono i processi che andrebbero progettati in ottica di sostenibilità ambientale. Il primo riguarda i mezzi di trasporto, auto e furgoni, i quali dovrebbero essere a basso impatto ambientale. Spesso, il parco furgoni è obsoleto e, di conseguenza, inquinante. Andrebbero pensate soluzioni orientate ai mezzi elettrici e/o ibridi. Le aziende, che spesso commissionano i servizi post-vendita a terze parte specializzate dovrebbero facilitare il passaggio a mezzi poco inquinanti per mezzo di accordi con case costruttrici e fornire vantaggi economici agli operatori più virtuosi. Si tratta di un cambio di paradigma. Occorre favorire non solo la ricerca di buone performance operative ma anche il coin-
Occorre favorire non solo la ricerca di buone performance operative ma anche il coinvolgimento diretto nella cultura aziendale dei partner esterni in ambito di economia circolare e sostenibilità ambientale dei processi aziendali
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volgimento diretto nella cultura aziendale dei partner esterni in ambito di economia circolare e sostenibilità ambientale dei processi aziendali. Un secondo aspetto da non trascurare nei servizi post-vendita è la risoluzione degli interventi alla prima uscita. Di fatto, quasi il 40% deli interventi richiede due uscite. Le cause principali sono l’errata diagnosi del difetto e la mancanza della parte di ricambio per concludere l’intervento. Di conseguenza, sempre per tornare alle applicazioni di intelligenza artificiale e dell’utilizzo dei cosiddetti big data, si rende necessario disporre di strumenti di diagnostica a basso tasso di errori. Un’analisi attenta dei dati può altresì fornire indicazioni su quali parti di ricambio utilizzare. In altri termini, va bene l’esperienza tecnica di anni di riparazione, ma per essere meno fallibili è necessario utilizzare la grande quantità di informazioni oggi disponibili. Per dare sostanza alle iniziative descritte è evidente quanto sia centrale il ruolo delle aziende nello sviluppo e supporto di pro-
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grammi, anche volontari, dei propri partner di servizio post-vendita a riguardo di azioni e processi di sostenibilità ambientale e di economa circolare. Impostare programmi di economia circolare nel mondo dei servizi rappresenta un vantaggio competitivo per le aziende, purché gestiti in modo strategico e orientati anche al medio termine. Non vi è alcuno dubbio circa la correlazione tra revisione dei processi, introduzione di nuove tecnologie di gestione dei dati e formazione delle persone che erogano i servizi. I vantaggi non sono solo economici ma soprattutto ambientali, sociali e di sviluppo delle competenze professionali di chi eroga i servizi post-vendita. Per affrontare questa sfida, le aziende devono progettare i servizi attraverso metodiche di ingegnerizzazione e guardare oltre, senza, ovviamente abbandonarle, le performance operative. Chi riuscirà ad adottare con convinzione questa prospettiva guadagnerà in efficacia e reputazione.
Per affrontare questa sfida, le aziende devono progettare i servizi attraverso metodiche di ingegnerizzazione e guardare oltre le performance operative
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EPR: per ottenere buoni risultati è fondamentale armonizzare le normative e pensare all'intero ciclo di vita dei prodotti Intervista a
Cillian Lohan Vicepresidente del CESE - Comitato Economico e Sociale Europeo A cura di EconomiaCircolare.com Cillian Lohan è un leader nel campo dell’economia circolare. Ha contribuito alla creazione e presieduto la Piattaforma ECESP - European Circular Economy Stakeholder Platform. Come CEO della Green Economy Foundation, ha supervisionato progetti ambiziosi tra cui la piantumazione di oltre un milione di alberi in Irlanda e la creazione di una riserva naturale a Tobago. Membro attivo del CESE dal 2015, è stato eletto vicepresidente nell’ottobre del 2020. Dr. Lohan, come valuta la decisione di rendere i produttori responsabili della gestione della fase post-consumo dei loro prodotti in alcuni settori? L’obiettivo principale dell’EPR è quello di estendere la responsabilità dei produttori oltre l’uso del prodotto da parte del con-
sumatore, tuttavia in realtà i sistemi variano da paese a paese e così la loro attuazione. Questo spesso crea ulteriori oneri amministrativi, in particolare per le PMI. Ecco perché è molto importante semplificare e armonizzare le norme che regolano i sistemi EPR. Dobbiamo andare oltre l’attenzione alla fase post-consumo e guardare bene all’inizio della vita del prodotto. Il CESE ha più volte evidenziato in particolare il ruolo dell’eco-design. Dobbiamo chiederci: stiamo considerando la durata del prodotto, la riparabilità, la riciclabilità? Come si può creare un mercato solido per le materie prime secondarie? Anche attraverso l’osservatorio della piattaforma ECESP di cui lei è responsabile, può darci alcuni esempi di set-
100 tori che hanno ottenuto migliori performance a livello europeo grazie all’EPR e di paesi che sono più avanzati? La piattaforma è un’iniziativa congiunta del Comitato Economico e Sociale Europeo (CESE) e della Commissione Europea. Sono stato coinvolto fin dall’inizio, affiancato da due colleghi che rappresentano il mondo dell’impresa e quello dei lavoratori. In questo modo ci assicuriamo che l’ambito della società civile sia rappresentato nell’ECESP. Per quanto riguarda i vari settori che utilizzano l’EPR, vorrei fare riferimento alle Buone Pratiche condivise dalle parti interessate e pubblicate sulla piattaforma. Il loro scopo è quello di condividere informazioni e ispirare altri nel settore. La Commissione Europea sta ora considerando l’EPR per il settore tessile come una misura di regolamentazione mirata a “promuovere il tessile sostenibile e il trattamento dei rifiuti tessili in conformità con la gerarchia dei rifiuti”. Per il momento, la Francia è l’unico paese dell’UE con uno schema EPR per i tessili. I Paesi Bassi hanno chiesto un obbligo a livello europeo per tale regolamento e la Svezia ha messo in moto dei piani per introdurre uno schema EPR per i tessili a partire dal 1° gennaio 2022. Al di fuori dell’UE, il Regno Unito si è impegnato a valutare e ad avviare una consultazione su un sistema EPR per i prodotti tessili. Mi aspetto che l’estensione dei sistemi EPR a nuovi settori guidi un mercato solido per le materie prime secondarie e la simbiosi industriale. Più settori applicano l’EPR, più alte sono le possibilità di un sistema integrato. Pensa che l’esperienza dell’EPR in Europa possa aiutarci a tracciare una sorta di identikit del modello più efficiente ed efficace? Uno degli obiettivi della Piattaforma è quello di identificare le barriere e le opportunità
per la transizione verso un’economia circolare. Toolkit come quelli pubblicati sul portale dell’ECESP sono per lo più il risultato di tale esercizio e sono intesi come una guida basata sulle esperienze degli stakeholder. Per quanto ne so, non ce n’è ancora uno per l’EPR. Tuttavia, uno dei gruppi politici tematici della Piattaforma, quello sugli incentivi economici, sta lavorando sull’EPR. A tal proposito l’analisi effettuata è giunta alla considerazione che “la responsabilità estesa del produttore (EPR) è un approccio di politica ambientale ampiamente attuato per anni in Europa per garantire che i produttori assumano la responsabilità del fine vita dei prodotti che immettono sul mercato. Come risultato, gli schemi EPR sono in atto in tutta l’UE per alcuni settori come gli imballaggi, le batterie o i RAEE, per esempio. Tuttavia, c’è ancora molto spazio per migliorare la progettazione dei prodotti. A questo proposito, la modulazione delle tariffe EPR basata su criteri di sostenibilità come la riparabilità, la riutilizzabilità o la riciclabilità, introdotta nella Direttiva quadro sui rifiuti (Waste Framework Directive) rivista nel 2018, ha un ruolo chiave da svolgere nel collegare la progettazione dei prodotti con le fasi di utilizzo e di fine vita. Lo sviluppo di un toolkit sull’EPR potrebbe non solo contribuire a comprendere meglio la diversità dell’EPR in Europa, ma anche raccogliere le migliori pratiche sull’implementazione della modulazione delle tariffe negli schemi EPR il che può accelerare la transizione verso un’economia più circolare.” I sistemi EPR pensano ancora troppo poco alla prevenzione dei rifiuti e all’ecodesign, concentrandosi quasi esclusivamente sulla fase post-consumo. C’è una riflessione a livello europeo su questo “limite” delle esperienze attuali? Come accennato, il CESE ha sempre sostenuto che l’ecodesign è una parte essenziale di un EPR ben funzionante, lo ha fatto in
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una pluralità di occasioni. Nel parere sul CPP - Circular Public Procurement, gli appalti pubblici circolari (INT/902) ad esempio, il CESE ha sottolineato che esso può e deve coprire aspetti come l’EPR e l’ecodesign per incoraggiare la sostenibilità e la circolarità. Ancora, per quanto riguarda l’Eco-Design Work Programme, abbiamo sottolineato la necessità di ampliare l’attenzione all’intero ciclo di vita dei prodotti. Abbiamo anche ribadito il sostegno all’uso della responsabilità estesa del produttore come strumento per promuovere la transizione verso modelli di business dell’economia circolare. Allo stesso modo, anche nel parere sul Circular Economy Action Plan, il Comitato ha sottolineato l’importanza che la direttiva sull’Eco-design prenda in considerazione l’intero ciclo di vita del prodotto, tra cui: durata, riparabilità, disponibilità/affidabilità dei pezzi di ricambio, diffusione delle informazioni sulla riparazione e l’assistenza da parte dei produttori. Nel parere sul Towards Circular Public Procurement, il CESE si è occupato anche del Life Cycle Costing (LCC), accogliendo con favore gli strumenti di misurazione LCC standardizzati e di libero accesso sviluppati dalla Commissione europea. Le parti interessate hanno presentato alla piattaforma molte idee e pratiche sugli appalti pubblici circolari; una particolarmente rilevante
in questo contesto è quella presentata da Interreg. Gli appalti pubblici sono stati certamente identificati come un’area con un grande potenziale per guidare il cambiamento in quanto hanno un enorme potere d’acquisto. Di conseguenza, rendendoli più sostenibili e circolari, gli appalti pubblici possono giocare un ruolo cruciale nella transizione. Il progetto CircularPP.eu, ad esempio, ha lavorato sulla promozione degli acquisti pubblici circolari nell’area del Mar Baltico promuovendo progetti pilota, ricerche ed eventi di capacity building. Parlare di EPR sembra voler limitare il coinvolgimento nella riduzione degli impatti solo agli imprenditori. Che ruolo hanno i cittadini e una corretta comunicazione nei loro confronti? Non dovremmo scaricare il costo sui consumatori, ma dobbiamo aumentare la consapevolezza per fare scelte più informate. Allo stesso tempo, dovremmo puntare a introdurre l’EPR come pratica standard dal lato della domanda. La piattaforma cerca di raggiungere questo obiettivo come un Knowledge Hub che porta le parti interessate, compresi gli imprenditori e i consumatori, a scambiarsi buone pratiche e a condividere la comprensione del ruolo dell’EPR dalle diverse prospettive lungo l’intera catena di approvvigionamento.
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“La testata giornalistica italiana interamente dedicata all'economia circolare”
Scoprila su: www.economiacircolare.com
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