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LA COMMEDIA IN CHIAVE EXTRATERRESTRE CANTI: XXIV - XXV Pag
L A DIVINA COMMEDIA IN L A DIVINA COMMEDIA IN CHIAVE EXTRATERRES TRE CHIAVE EXTRATERRES TRE
Nel libero commento di Nel libero commento di Giovanna viva Giovanna viva
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di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
Cerchio ottavo: fraudolenti Bolgia settima: profezia di Virgilio - faticosa salita di Dante e Virgilio sull'argine e ripresa del cammino sul ponte della settima bolgia - i ladri e la terribile stipa di serpenti - Vanni Fucci e la sua profezia
In quella parte del giovanetto anno... ...ma poco dura a la sua penna tempra, - v. 1-6
Le seguenti due terzine propongono, com'è uso di Dante, l'ambiente naturale e stagionale in cui sta per svolgersi l'azione del canto. Questo per l'interpretazione letterale. In realtà ben altro offre al lettore attento il significato di tali parole; queste altro non esprimono che la profezia inerente al cambio in atto delle strutture astroenergetiche che istruiscono il nuovo riassetto che l'Equilibrio Divino ha in serbo per la radicale trasformazione del pianeta Terra.
In quella parte del giovanetto anno che 'l sole i crin sotto l'Aquario tempra 3 e già le notti al mezzo dì sen vanno,
quando la brina in su la terra assempra l'imagine di sua sorella bianca, 6 ma poco dura a la sua penna tempra, Nell'Era dell'Acquario, in quel tempo del giovanetto anno interplanetario, quando il sole, accumulatore, trasformatore e distributore dell'energia luce che struttura l'Universo, apporta benefici influssi astrali e "i crin sotto l'Aquario tempra", rinvigorisce il quoziente intellettivo delle creaure del pianeta Terra, quando "le notti al mezzo dì sen vanno", quando il sole, aumentando la frequenza dell'energia luce, muta il tempo umano, allora la brina dell'inquinamento riprodurrà sulla Terra l'immagine della "sua sorella bianca" la neve che brucia le messi, "ma poco dura", poco durerà la squallida immagine del mondo che muore, poiché l'equilibrio del tutto, Iddio Creatore, già "la sua penna tempra" per proseguire il tracciato del Suo Disegno Divino.
Ed ecco la profezia del giorno d'oggi, in cui i tempi e le relative scadenze della scenografia universale esigono che a tempo opportuno cali il sipario e si proponga una nuova scena.
Il pianeta Terra è in crescita e si prepara sul piano cosmo-fisico e cosmo-energetico ad un salto qualitativo. Ciò avviene in sintonia con tutti gli altri corpi celesti dell'organismo galattico e per le esigenze legate ad una ben precisa e periodica elaborazione energetico-dimensionale che la medesima Entità reggitrice dell'organismo galattico è sul piano di intraprendere. Tale entità per consentirsi la nuova funzione creativa e rigenerativa nella successiva tappa di rigenerazione, si dota da sé del necessario potenziale energetico, secondo il programa di ordine cosmico.
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
Il Sole, nella sua precisa funzione, ha un suo campo di forza dal quale dipendono i campi di forza di ogni singolo pianeta che gli gira intorno; la sua energia luminosa, come ogni sole dell'Universo, ha una propria frequenza di luce creata dalla rotazione del sole stesso e il pianeta Terra, pertanto, riceve una frequenza di energia luce che è in stretto rapporto con la velocità di rotazione del sole. L'uomo, che è un agglomerato biofisico molecolare la cui forma materiale è strutturata da un proprio campo di forza strettamente legato al campo di forza creato dalla rotazione del sole, riceve una superiore frequenza di luce e raggiungerà un livello superiore atto a produrre un modo di vita differente da quello attuale.
La immutabile Legge tutelatrice dell'armonico evolversi di ogni fenomeno vitale selezionerà le strutture astro-energetiche biologiche e socio-culturali volute dal Programma Cosmico in collaborazione con le altre evolute super-civiltà galattiche, affinché l'Anima umana, nel divenire del tempo, possa adempiere degnamente al compito ed alle funzioni assegnatele dal Signore della vita, che già "la sua penna tempra". Quando i "punti di contatto" tra i circuiti umani autoselezionantisi saranno stabiliti e la specie umana si avvierà infine verso una Coscienza Mondiale Planetaria, allora la superiore Conoscenza non si polarizzerà più nei suoi molteplici aspetti e sarà UNA in tutti e per tutti.
I campi di forza, di cui è pieno l'Universo, sono creati dallo Spirito di Dio e ogni uomo, in quanto materia vivificata da energia, ne ha uno proprio. Se questo campo di forza dell'uomo è in armonia ed equilibrio con le Leggi della Creatività, di conseguenza anche le cellule del suo corpo sono in armonia ed equilibrio e così pure la pulsazione del cuore, la respirazione e il movimento del sangue e, quindi, la Vita. Se l'organismo è in perfetto subordinamento agli stimoli leali: amore, spontaneità, comprensione, rispetto fraterno, ecc..., che gli giungono dallo Spirito Cosmico, allora esso è perfettamente sintonizzato con l'energia del superiore Campo di forza universale. Ciò vuol dire che la "Buona Qualità" del campo di forza dell'uomo è in grado di sopportare, senza alcun danno per la materia, qualsiasi cambiamento della frequenza dell'energia che determina un "nuovo tempo", nel quale esistono differenti valori.
Se l'organismo è invece un vibratore caotico di effetti esteriori scaturiti dalla eccessiva emotività umana, come odio, invidia, rancore, egoismo, ipocrisia, ecc..., allora la sintonia con i valori del superiore campo di forza universale è notevolmente distorta, al punto che qualsiasi variazione del potere dell'energia non potrebbe essere sopportato. Ed ecco la "selezione": quegli uomini che esprimono valori negativi, quali imperfetti apparecchi psico-biofisici, possono ricevere soltanto da un solo "canale" di emissione e la sintonia con i valori superiori non sarà atta a dare loro la vita e questa "scissura" selezionante in seno al genere umano sarà pertanto inevitabile. Solo allora la "penna temprata" avrà tracciato il Divino Disegno, che coprirà la squallida immagine del mondo che muore.
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
lo villanello a cui la roba manca, si leva, e guarda, e vede la campagna 9 biancheggiar tutta; ond'ei si batte l'anca, ritorna in casa, e qua e là si lagna, come 'l tapin che non sa che si faccia; 12 poi riede, e la speranza ringavagna, veggendo 'l mondo aver cangiata faccia in poco d'ora, e prende suo vincastro, 15 e fuor le pecorelle a pascer caccia.
Così mi fece sbigottir lo mastro quand'io li vidi sì turbar la fronte, 18 e così tosto al mal giunse lo 'mpiastro; ché, come noi venimmo al guasto ponte, lo duca a me si volse con quel piglio 21 dolce ch'io vidi prima a piè del monte. Il villanello a cui manca il sostentamento, ovvero l'uomo del pianeta Terra che attende il raccolto, si leva, guarda e vede la campagna biancheggiar tutta senza vegetazione alcuna, "ond'ei si batte l'anca" (nella impossibilità disperata di trovare soluzione), ritorna a casa e qua e là si lagna come il poverello che non trova scampo alla sua miseria; poi ristà e la speranza riprende per un migliore domani, vedendo il mondo che ha cambiato faccia in poco tempo, prende il suo virgulto e porta fuori le pecorelle a brucar l'erba.
Ecco la miseria e la fame di un mondo malato a tutti i livelli, il tempo d'oggi, in cui l'Umanità, Adamo ed Eva, ha raccolto dall'"albero della Scienza del Male e del Bene", il pestifero frutto del Male; ed oggi l'uomo, disobbediente all'Equilibrio della Legge d'Amore, con la Scienza malsana ha distrutto il suo mondo e di questo "Paradiso Terrestre" ha fatto un inferno).
Così con tale profezia, mi fece sbigottire il maestro quando io lo vidi chinar la fronte visibilmente turbato al pensiero di tale triste realtà ma al suo turbamento pose il rimendio affogando la tristezza in quell'amor fraterno di cui sono capaci soltanto le creature superiori; perché, come noi venimmo al "guasto ponte" a me si volse con quell'affettuoso atteggiamento che già gli avevo visto ai piedi del monte.
nel libero commento di Giovanna Viva
Le braccia aperse, dopo alcun consiglio eletto seco riguardando prima 24 ben la ruina, e diedemi di piglio.
E come quei ch'adopera ed estima, che sempre par che 'nnanzi si proveggia, 27 così, levando me sù ver' la cima d'un ronchione, avvisava un'altra scheggia dicendo: «Sovra quella poi t'aggrappa; 30 ma tenta pria s'è tal ch'ella ti reggia».
Non era via da vestito di cappa, ché noi a pena, ei lieve e io sospinto, 33 potavam sù montar di chiappa in chiappa.
E se non fosse che da quel precinto più che da l'altro era la costa corta, 36 non so di lui, ma io sarei ben vinto.
Ma perché Malebolge inver' la porta del bassissimo pozzo tutta pende, 39 lo sito di ciascuna valle porta che l'una costa surge e l'altra scende; noi pur venimmo al fine in su la punta 42 onde l'ultima pietra si scoscende.
La lena m'era del polmon sì munta quand'io fui sù, ch'i' non potea più oltre, 45 anzi m'assisi ne la prima giunta.
«Omai convien che tu così ti spoltre», disse 'l maestro; «ché, seggendo in piuma, 48 in fama non si vien, né sotto coltre; Egli aperse le braccia senza alcun consiglio maturato in sé, ma per primo impulso e, riguardando bene la causa della rovina nel ponte franato (per l'enorme peso che incombe sul mondo), mi prese fra le braccia. Come colui che opera e nel frattempo riflette sul da farsi, così Virgilio levando me su per la cima d'uno scoglio avvistando un'altra scheggia, mi disse: «Sopra quella ti aggrapperai; ma accertati prima che possa reggere il tuo peso corporeo». Non era quella la via adatta a coloro che vestono cappa ecclesiastica, poiché noi a malapena, Virgilio in dimensione lieve (cambiando il movimento molecolare del suo corpo fisico) ed io da lui sospinto, potevamo montar su da scheggia in scheggia. E se quella parte dell'argine non fosse stata più corta della precedente, non so dir di lui, ma io sarei stato vinto senza possibilità di percorrerla. "quel precinto più che da l'altro era la costa corta", è da intendere "la via del Bene". Esistono due strade evolutive, quella "più corta" del Bene e quella "più lunga" del Male, attraverso la quale, dopo penose esperienze protratte nei secoli, si giunge ugualmente al Regno di Dio. È un unico cammino fatto di bene e di male oltre cui nulla esiste, né Creato né Increato. Era quindi la strada del Bene che, grazie alla loro evoluzione, Virgilio e Dante potettero percorrere. Il pianeta Terra-Malebolge (malefico ripostiglio di anime purganti) è tutto inclinato verso l'apertura di quella bolgia franata (poiché su ogni strada del mondo grava il peso del peccato operato contro il Cristo e su ogni uomo grava la colpa perché ciascuno è parte del medesimo nucleo umano), tanto che da ogni sito un lato sovrasta e l'altro scende (verso la bolgia che purifica dal peccato dell'uccisione del Cristo); e anche noi giungemmo sulla sommità dell'ultima pietra che dà inizio alla scoscesa (della faticosa via del Karma). Il fiato mi si era esaurito e quando fui lassù, che più oltre non potevo, mi assisi appena giunto. «Ormai conviene che tu così ti spoltrisca», disse il maestro; «poiché poltrendo tra le piume e le coltri non si raggiunge apice alcuno; Ciò significa che non facendosi portare in portantina, ma a piedi e attraverso le fatiche della strada ciottolosa che la vita offre, si raggiunge l'apice dell'evoluzione nella felicità completa del "monte della Vita".
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
sanza la qual chi sua vita consuma, cotal vestigio in terra di sé lascia, 51 qual fummo in aere e in acqua la schiuma.
E però leva sù: vinci l'ambascia con l'animo che vince ogne battaglia, 54 se col suo grave corpo non s'accascia.
Più lunga scala convien che si saglia; non basta da costoro esser partito. 57 Se tu mi 'ntendi, or fa sì che ti vaglia».
Leva'mi allor, mostrandomi fornito meglio di lena ch'i' non mi sentìa; 60 e dissi: «Va, ch'i' son forte e ardito».
Su per lo scoglio prendemmo la via, ch'era ronchioso, stretto e malagevole, 63 ed erto più assai che quel di pria.
Parlando andava per non parer fievole; onde una voce uscì de l'altro fosso, 66 a parole formar disconvenevole.
Non so che disse, ancor che sovra 'l dosso fossi de l'arco già che varca quivi; 69 ma chi parlava ad ire parea mosso.
Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi non poteano ire al fondo per lo scuro; 72 per ch'io: «Maestro, fa che tu arrivi da l'altro cinghio e dismontiam lo muro; ché, com'i' odo quinci e non intendo, 75 così giù veggio e neente affiguro».
«Altra risposta», disse, «non ti rendo se non lo far; ché la dimanda onesta 78 si de' seguir con l'opera tacendo».
Noi discendemmo il ponte da la testa dove s'aggiugne con l'ottava ripa, 81 e poi mi fu la bolgia manifesta: e vidivi entro terribile stipa di serpenti, e di sì diversa mena 84 che la memoria il sangue ancor mi scipa.
Più non si vanti Libia con sua rena; ché se chelidri, iaculi e faree 87 produce, e cencri con anfisibena,
la felicità si raggiunge con la tenacia, senza la quale, chi consuma inutilmente il suo "vestito" di spoglie terrene nello sfaldamento dei valori morali, lascerà di sé "qual fummo in aere e in acqua la schiuma". Perciò levati su; vinci la stanchezza con animo che supera ogni battaglia, se il "peso" del corpo non grava sulla luce dell'Anima e non l'accascia. Conviene che si scelga la scala più lunga (dove più intensa è l'energia di Luce nel dolore che purifica); non basta allontanarsi dal peccato ed essere partito dal mondo del Male (anche se alcuni inciampi non ti competono accettali ugualmente se vuoi attingere più Luce Divina nel tuo Ego interiore). Se tu m'intendi fa che ti valga tale mio insegnamento». Allora mi risollevai e, mostrandomi fornito di lena, più di quanto realmente ne avessi, gli dissi: «Vai, che io sono forte e ardito». Riprendemmo la via su per lo scoglio roccioso, ripido, scabroso e più alto del precedente. Camminavo parlando per non apparire stanco; allora una voce uscì dall'altro fosso, voce incapace di pronunciar parole chiare. Non so cosa disse la voce sebbene mi trovassi già sulla sommità dell'arco che valica la bolgia in quel punto; ma chi parlava pareva spinto dall'ira. Io ero volto in giù cercando di vedere, ma i miei occhi "vivi" (evoluti e pertanto inadatti alla percezione esatta del buio dell'involuzione) non potevano percepire nulla nello scuro fondo; per cui io dissi: «Maestro, cerca di arrivare dall'altro cinghio valichiamo il muro, poiché, così come io sento e non comprendo, guardo nel fosso e nulla percepisco». «Non ti rispondo», disse, «in altro modo se non facendo ciò ciò che mi dici, poiché è bene soddisfare una domanda giusta, senza bisogno di altre parole». Noi discendemmo il ponte dalla sommità che si congiunge con l'ottava ripa e la seguente bolgia si evidenziò al mio sguardo: dentro io vidi un terribile ammasso di serpenti e di così diversa espiazione che tal ricordo ancora mi sconvolge il sangue. Una più vasta moltitudine di serpi non potrebbe vantar la Libia con la sua grande estensione sabbiosa, poiché ne "chelidri" serpi velenose di acqua e di terra, "iaculi" che volano a guisa di giavellotti, "faree" che camminano eretti tracciando con la coda un solco per terra e né "cencri" né "anfisibena" che hanno una seconda testa al posto della coda,
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
né tante pestilenzie né sì ree mostrò già mai con tutta l'Etïopia 90 né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe.
Tra questa cruda e tristissima copia correan genti nude e spaventate, 93 sanza sperar pertugio o elitropia: con serpi le man dietro avean legate; quelle ficcavan per le ren la coda 96 e 'l capo, ed eran dinanzi aggroppate.
Ed ecco a un ch'era da nostra proda, s'avventò un serpente che 'l trafisse 99 là dove 'l collo a le spalle s'annoda.
Né O sì tosto mai né I si scrisse, com'el s'accese e arse, e cener tutto 102 convenne che cascando divenisse;
e poi che fu a terra sì distrutto, la polver si raccolse per sé stessa, 105 e 'n quel medesmo ritornò di butto.
Così per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, 108 quando al cinquecentesimo anno appressa;
né tante pestilenze, né così grandi colpe potrebbe mostrar mai, con la Libia unita, tutta l'Etiopia, né con tutto ciò che vi è di sopra al Mar Rosso. Tra questa crudele tristissima copia del Male esistente in Terra, correvano genti nude e spaventate, senza speranza di nascondiglio o della pietra magica "elitropia" (che ha il potere di rendere invisibili e di guarire dal morso dei serpenti): costoro avevano le mani legate con serpi dietro la schiena e le serpi spingevano la coda e la testa lungo le reni formando dinanzi un groviglio. Ed ecco ad un tale che era dal nostro lato, s'avventò un serpente che lo trafisse là dove il collo si congiunge alle spalle. Né O così giammai né I si scrisse in fretta, come esso s'accese, arse e, cadendo, si tramutò in cenere; e poi che fu a terra così distrutto, la sua polvere si raccolse da se stessa e nella medesima forma umana ritornò di botto.
A tal punto, il serpente che trafigge potrebbe intendersi come morte promossa da delitto, oppure come morte che colpisce un bimbo, in più vite, subito dopo la nascita, in tal caso ben s'intenderebbero le parole: "com'el s'accese" di vita, nascendo "e arse" bruciato dalla morte "e cener tutto convenne che cascando" nell'espiazione della morte "divenisse; e poi che fu a terra sì distrutto, la polver si raccolse per sé stessa," rinascendo in altra vita "e 'n quel medesmo" in quella medesima struttura umana "ritornò di butto" ritornò di botto. Nello stesso modo per i gran savi si manifesta la fenice, che muore e poi rinasce quando ai suoi cinquecento anni di vita si approssima;
I cinquecento anni potrebbero intendersi quale tempo indicativo del compimento di un ciclo di vite durante il nostro "saliscendi" reincarnativo, che avvalora la reale identità dell'uomo potenzialmente divino che vive e rivive sul palcoscenico terrestre prima di spiccare il volo nel regno dell'Assoluto e dell'Infinito. È questo, come già detto, il piedistallo principale su cui poggia tutto l'andamento della Creazione, Legge Suprema che l'uomo, riuscendo a guardare più lontano oltre il suo carente e irrazionale intelletto, potrebbe comprendere. La Divina Legge della Rencarnazione consente all'uomo, il quale striscia come larva sulla Terra, che dall'involucro buio della sua crisalide, si liberi nel sole mutandosi in farfalla e ridiscenda per immettersi ancora in una crisalide, sempre nell'attesa dell'apparente "mistero" che egli chiama morte" ignorando da dove provenga col suo curriculum di eterna durata e ritenendo erroneamente che appaia nella vita umana per la prima volta.
di Dante Alighieri
INFERNO - Canto XXIV
nel libero commento di Giovanna Viva
erba né biado in sua vita non pasce, ma sol d'incenso lagrime e d'amomo, 111 e nardo e mirra son l'ultime fasce.
E qual è quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch'a terra il tira, 114 o d'altra oppilazion che lega l'omo, quando si leva, che 'ntorno si mira tutto smarrito de la grande angoscia 117 ch'elli ha sofferta, e guardando sospira: tal era il peccator levato poscia. Oh potenza di Dio, quant'è severa, 120 che cotai colpi per vendetta croscia!
Lo duca il domandò poi chi ello era; per ch'ei rispuose: «Io piovvi di Toscana, 123 poco tempo è, in questa gola fiera.
Vita bestial mi piacque e non umana, sì come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci 126 bestia, e Pistoia mi fu degna tana».
E io al duca: «Dilli che non mucci, e domanda che colpa qua giù 'l pinse; 129 ch'io 'l vidi uomo di sangue e di crucci».
E 'l peccator, che 'ntese, non s'infinse, ma drizzò verso me l'animo e 'l volto, 132 e di trista vergogna si dipinse;
la fenice, simbolo della vita spirituale, non si nutre né di erba né di biada (elementi terreni), ma di positiva spiritualità, simile a stille di incenso e d'ammonio, e il profumo del nardo e della mirra sono le sue ultime fasce di protezione (di cui ella si ammanta per salire sempre più in alto nello sconfinato scenario dell'esistenza Universale). E come quello che cade nel peccato senza rendersene conto e poi per forza demoniaca che lo tira giù nella purificazione dolorosa, oppure per altra occlusione che sbarra l'ascesa per forza di un legame karmico non ancora concluso, quando si leva di nuovo alla vita terrena, al suo primo vagito si guarda intorno smarrito per la grande angoscia sofferta e guardando sospira: tale era lo stato del peccatore dopo risorto dalle sue stesse ceneri. Oh potenza di Dio, quant'è severa quando assesta così violenti colpi per punizione vendicatrice! Il paragone tra il peccatore e la Fenice, che è il simbolo dellìevoluzione spirituale, appare un controsenso, a meno che ciò non si voglia intendere quale fenomeno di immediatezza nella breve distanza di tempo fra morte e rinascita di un grande peccatore il cui Spirito Guida ritenga necessario il susseguirsi di nascite e di morti per abbreviare repentinamente il tempo del Karma. In tal caso si può morire anche bambini, come già detto, nella veloce alternanza della vita e della morte. Ciò significa avere il coraggio per svincolarsi dal "diabolico" individuale prima del Grande Ritorno del Cristo, affinché quel tempo, prossimo ormai, trovi l'anima matura per la necessaria ascesa felice. Virgilio domandò poi al peccatore chi egli fosse; ed egli rispose: «Io piovvi di Toscana, poco tempo fa in questa bolgia. Mi piacque la vita bestiale, non umana, così, così io fui come un mulo, ed ora in questa vita, sono Vanni Fucci bestia e Pistoia mi fu degna tana». Ed io a Virgilio: «Digli che non scappi e domandagli che colpa quaggiù lo spinse, poiché io lo conobbi come uomo sanguinario e violento». Il peccatore, che intese le mie parole, nulla simulò, ma drizzò verso di me l'animo e il volto vergognandosi delle sue trascorse tendenze bestiali e della attuale bestiale natura;Così come Ciacco si purificava dalla sua ingordigia in corpo suino, così Vanni Fucci si purificava dalle sue trascorse tendenze bestiali in corpo da bestia.
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
poi disse: «Più mi duol che tu m'hai
colto ne la miseria dove tu mi vedi, 135 che quando fui de l'altra vita tolto.
Io non posso negar quel che tu chiedi; in giù son messo tanto perch'io fui 138 ladro a la sagrestia d'i belli arredi, e falsamente già fu apposto altrui. Ma perché di tal vista tu non godi, 141 se mai sarai di fuor da' luoghi bui, apri li orecchi al mio annunzio, e odi. Pistoia in pria d'i Neri si dimagra; 144 poi Fiorenza rinova gente e modi.
Tragge Marte vapor di Val di Magra ch'è di torbidi nuvoli involuto; 147 e con tempesta impetüosa e agra sovra Campo Picen fia combattuto; ond'ei repente spezzerà la nebbia, sì ch'ogne Bianco ne sarà feruto. 151 E detto l'ho perché doler ti debbia!»
poi disse: «Più mi duol che tu m'hai colto ne la miseria dove tu mi vedi, 135 che quando fui de l'altra vita tolto. poi disse: «Ciò che più mi addolora è che tu mi hai colto nella miserevole condizione in cui mi trovo sino da quando fui tolto dall'altra vita.
Io non posso negar quel che tu chiedi; in giù son messo tanto perch'io fui 138 ladro a la sagrestia d'i belli arredi, Io non posso negarti quel che chiedi di sapere; sono messo tanto giù a penare, poiché fui ladro del tesoro alla sacrestia del Duomo di Pistoia, e falsamente già fu apposto altrui. Ma perché di tal vista tu non godi, 141 se mai sarai di fuor da' luoghi bui, e lasciai che il furto venisse falsamente imputato ad altri. Ma affinché tu non goda per avermi visto qui, allor che sarai di fuori da questo luogo buio (privo di Luce Divina), apri li orecchi al mio annunzio, e odi. Pistoia in pria d'i Neri si dimagra; 144 poi Fiorenza rinova gente e modi. io ti dirò e tu intendi il mio annuncio. Dapprima Pistoia si spopolerà dai Neri. Poi Firenze risorgerà (come tutto il mondo dopo la profetizzata selezione dell'Umanità), e muterà il suo modo di vivere (nella nuova Era felice dell'Acquario).
Tragge Marte vapor di Val di Magra ch'è di torbidi nuvoli involuto; 147 e con tempesta impetüosa e agra Allora la coscienza di Marte (che è quella planetaria, successiva alla umana), toglierà i "vapori di Val di Magra" (tutto il male inquinante) che è il prototipo di torbidi nuvoloni simili alle fumogene nuvole dell'inquinamento terrestre che sarà annientato "con tempesta impetuosa e agra" durante l'apocalittica rupulita sovra Campo Picen fia combattuto; ond'ei repente spezzerà la nebbia, sì ch'ogne Bianco ne sarà feruto. 151 E detto l'ho perché doler ti debbia!» sopra il Campo Piceno sia combattuto il Male dal Bene, onde il Bene repentinamente spazzerà la nebbia del Male, così "ch'ogne Bianco" ogni uomo (egli dice "Bianco", poiché i Neri li considera dispersi come parte inquinante) ne sarà "ferito" (spiritualmente scosso durante lo sconvolgimento apocalittico). "E detto l'ho perché doler ti debbia!"»
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
Cerchio ottavo: fraudolenti Bolgia settima: ladri - Vanni Fucci - il centauro Caco - le metamorfosi di cinque fiorentini: Agnello Brunelleschi, Buoso Donati, Puccio Sciancato, Cianfa Donati e Francesco Cavalcanti
Al fine de le sue parole il ladro le mani alzò con amendue le fiche, 3 gridando: «Togli, Dio, ch'a te le squadro!»
Da indi in qua mi fuor le serpi amiche, perch'una li s'avvolse allora al collo, 6 come dicesse 'Non vo' che più diche'; e un'altra a le braccia, e rilegollo, ribadendo sé stessa sì dinanzi, 9 che non potea con esse dare un crollo.
Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi d'incenerarti sì che più non duri, 12 poi che 'n mal fare il seme tuo avanzi?
Per tutt'i cerchi de lo 'nferno scuri non vidi spirto in Dio tanto superbo, 15 non quel che cadde a Tebe giù da' muri.
El si fuggì che non parlò più verbo; e io vidi un centauro pien di rabbia 18 venir chiamando: «Ov'è, ov'è l'acerbo?»
Maremma non cred'io che tante n'abbia, quante bisce elli avea su per la groppa 21 infin ove comincia nostra labbia.
Sovra le spalle, dietro da la coppa, con l'ali aperte li giacea un draco; 24 e quello affuoca qualunque s'intoppa.
Lo mio maestro disse: «Questi è Caco, che sotto 'l sasso di monte Aventino, 27 di sangue fece spesse volte laco. Alla fine delle sue parole il ladro alzò le mani tendendo i pugni con ambedue i pollici stretti tra l'indice e il medio in segno di scaramanzia e gridò: «Disfallo tu questo scongiuro, Dio, perché, io contro il tuo volere lo indirizzo!»
Da allora in poi considerai le serpi amiche, perché una di esse gli si avvolse al collo come per dire: "Non voglio che tu dica ancora cose sacrileghe";
un'altra, con l'intreccio del suo corpo, legandogli le braccia, gli rese impossibile ogni piccolo movimento. Ahi Pistoia, Pistoia, perché non decidi di'incenerirti per non più durare a lungo, poiché nell'operare il male superi i tuoi antenati?
Per tutti i cerchi scuri dell'inferno non vidi mai uno spirito sul cammino di Dio, tanto superbo, neanche Capaneo che, folgorato da Giove, cadde giù dalle mura di Tebe. Egli fuggì senza più proferir parola ed io vidi un centauro venire gridando: «Dov'è, dov'è l'involuto ribelle?»
Non credo che la Maremma toscana abbia tante biscie quante ne aveva egli sul groppone fin dove nel centauro comincia la forma umana.
Sulle spalle, dietro la nuca aveva un drago e il drago, simbolo di aggressività infuoca chiunque in tal peccato s'imbatte.
Il mio maestro disse: «Quello è Caco, che nelle grotte di Monte Aventino, dove egli dimorava, fece spesso con le sue stragi un lago di sangue.
di Dante Alighieri
nel libero commento di Giovanna Viva
Non va co' suoi fratei per un cammino, per lo furto che frodolente fece 30 del grande armento ch'elli ebbe a vicino; onde cessar le sue opere biece sotto la mazza d'Ercule, che forse 33 gliene diè cento, e non sentì le diece».
Mentre che sì parlava, ed el trascorse e tre spiriti venner sotto noi, 36 de' quali né io né 'l duca mio s'accorse, se non quando gridar: «Chi siete voi?»; per che nostra novella si ristette, 39 e intendemmo pur ad essi poi.
Io non li conoscea; ma ei seguette, come suol seguitar per alcun caso, 42 che l'un nomar un altro convenette, dicendo: «Cianfa dove fia rimaso?»; per ch'io, acciò che 'l duca stesse attento, 45 mi puosi 'l dito su dal mento al naso. Egli non va con gli altri suoi compagni per via del furto che fece al grande armento, quando Ercole si fermò con le sue bestie nei pressi della sua grotta;
Caco rubò le bestie dall'armento tirandole per la coda, affinché le orme apparissero in direzione opposta a quella dell'antro. allora cessarono le sue opere malefiche sotto la mazza di Ercole, che gli assestò cento percosse, ma egli non ne avvertì neanche dieci perché morì prima». È evidente che il drago, che egli ha sulle spalle e che "affuoca qualunque s'intoppa" e le bisce che reca in groppa, servono per essere da lui scagliate contro i peccatori. Mentre così parlava, Caco passò oltre e tre spiriti vennero sotto il nostro ponte (Agnello, Buoso e Puccio Sciancato) dei quali non ci accorgemmo, se non quando gridarono: «Chi siete voi?»; per questo il nostro discorso si interruppe e da allora in poi badammo soltanto ad essi. Io non li conoscevo; ma accadde, come suole accadere per caso, che uno di loro ne nominasse un altro, dicendo: «Cianfa dove sarà rimasto?»; allora io, affinché Virgilio facesse attenzione alle loro parole, gli accennai di tacere, ponendomi l'indice tra il mento e il naso.
L'espiazione delle trasformazioni chirurgiche - v. 46-78
nel libero commento di Giovanna Viva
Se tu se' or, lettore, a creder lento ciò ch'io dirò, non sarà maraviglia, 48 ché io che 'l vidi, a pena il mi consento.
Com'io tenea levate in lor le ciglia, e un serpente con sei piè si lancia 51 dinanzi a l'uno, e tutto a lui s'appiglia.
Co' piè di mezzo li avvinse la pancia, e con li anterïor le braccia prese; 54 poi li addentò e l'una e l'altra guancia; li diretani a le cosce distese, e miseli la coda tra 'mbedue, 57 e dietro per le ren sù la ritese.
Ellera abbarbicata mai non fue ad alber sì, come l'orribil fiera 60 per l'altrui membra avviticchiò le sue.
Poi s'appiccar, come di calda cera fossero stati, e mischiar lor colore, 63 né l'un né l'altro già parea quel ch'era: come procede innanzi da l'ardore, per lo papiro suso, un color bruno 66 che non è nero ancora e 'l bianco more.
Li altri due 'l riguardavano, e ciascuno gridava: «Omè, Agnel, come ti muti! 69 Vedi che già non se' né due né uno».
Già eran li due capi un divenuti, quando n'apparver due figure miste 72 in una faccia, ov'eran due perduti.
Fersi le braccia due di quattro liste; le cosce con le gambe e 'l ventre e 'l casso 75 divenner membra che non fuor mai viste.
Ogne primaio aspetto ivi era casso: due e nessun l'imagine perversa 78 parea; e tal sen gio con lento passo. Se tu, lettore, sei restio a credere, non ti meravigli ciò che io ti dirò, poiché a quello che vidi, io stesso appena mi consento di credere. Mentre levavo lo sguardo verso di loro, vidi un serpente con sei piedi lanciarsi verso uno dei tre e tutto su costui aggrovigliarsi. Con i piedi di mezzo gli avvinse la pancia, con gli anteriori gli prese le braccia, poi gli addentò l'una e l'altra guancia; gli distese sulle coscie i piedi posteriori e fra le coscie gli spinse la coda e la ritese su per le reni aderendo alla sua schiena. Mai edera fu abbarbicata ad un albero così come quell'orribile fiera si avvitacchiò sulle membra di quel peccatore. Poi si fusero entrambi come fossero stati di calda cera e mischiarono i loro colori tanto che né l'un né l'altro si distinguevano più: ma avevano assunto un colore nuovo, simile al bruno che si spande sulla carta prima di bruciare, allora che il nero si perde sul bianco che sotto il nero muore. Gli altri due lo guardavano intensamente e ciascuno gridava: «Ohimé, Agnello, come ti muti! Vedi che non sei più né due né uno». Non due, perché il corpo è uno, non uno, perché le anime che occupano il corpo sono due. Già le due teste si erano fuse in una sola, quando apparvero in due figure miste in una sola faccia nella quale le prime fattezze erano perdute. Questa allucinante descrizione, dall'apparenza di un quadro fosco e lugubre di un pittore pazzo, è la veritiera immagine di alcuni dei molteplici esperimenti medico-scientifici di fusione anatomica "uomo-serpente", pare che sia l'effetto del prolungato grido di terrore di tutti gli esseri viventi sulla Terra (vegetali, animali, umani), ai quali la scienza ribelle alle Leggi Divine porta dolore e morte e ricorda le mostruose creazioni espiative in grembo materno. Dalle due braccia dell'uomo e dai due piedi anteriori del serpente si formarono le due braccia del mostro e le cosce con le gambe, il ventre e il torace diventarono membra mai viste. Ogni originario aspetto era stato cancellato dalla figura perversa che non era né due né nessuno, ma soltanto una mostruosa immagine che se ne andò con lento passo trascinandosi sulla via della vita quale diabolica distorsione del Divino Pensiero Creativo.
nel libero commento di Giovanna Viva
l'intervento chrurgico nella fusione anatomica uomo-serpente. Infatti:
"e tutto a lui s'appiglia" - v. 51 Il corpo del serpente viene chirurgicamente sovrapposto a quello dell'uomo, dopo essere stati privati della pelle i punti combacianti di entrambi i corpi.
"Co' piè di mezzo li avvinse la pancia" - v. 52 I piedi di mezzo del serpente furono inseriti all'altezza della pancia dell'uomo.
"e con li anterior le braccia prese" - v. 53 I piedi anteriori furono innestati sotto le braccia.
"poi li addentò e l'una e l'altra guancia" - v. 54 Per rendere il volto umano lngo al pari del serpente, furono incavate l'una e l'altra guancia.
"li diretani a le cosce distese" - v. 55 I piedi posteriori furono cuciti distesi sulle coscie dell'uomo nello stesso modo in cui erano stati congiunti i due corpi.
"e miseli la coda tra 'mbedue" - "e dietro per le ren sù la ritese" - v. 56 - 57 La coda fu cucita tra le gambe del corpo umano. Tale cucitura fu prolungata lungo la schiena nell'intento di renderla somigliante a quella del serpente che presenta al centro un leggero rigonfiamento. Naturalmente tra le gambe fu praticato un foro, mediante il quale ogni funzione corporea doveva procedere.
"Poi s'appiccar, come di calda cera" - "fossero stati, e mischiar lor colore" - v. 61 - 62 Come se fossero stati di calda cera si congiunsero l'un l'altro in un sol corpo attraverso i punti in cui la pelle era stata asportata e mischiar loro colore, per via dei globuli sanguigni di ben diversa natura, la cui fusione diede alla nuova materia uno strano colore.
"Già eran li due capi un divenuti" - "quando n'apparver due figure miste" - v. 70 - 71 Ed ecco che le due teste diventavano una sola.
"in una faccia, ov'eran due perduti" - v. 72 In una faccia "perduti" spiritualmente, non più esistenti sulla scia delle loro esperienze, che per entrambi erano ormai confuse, quindi "perdute", perché cancellate per sempre dalla "grande lavagna della vita".
"Fersi le braccia due di quattro liste" - v. 73 La divisione di entrambe le braccia in quattro liste ciascuna poteva effettuarsi soltanto dopo aver tolto le ossa e siccome sotto le braccia erano già stati inseriti i piedi del serpente, si presume che le due braccia divise in liste furono lasciate lateralmente cadere come frange, quasi al pari di un serpente a sonagli.
nel libero commento di Giovanna Viva
"le cosce con le gambe e 'l ventre e 'l casso" - "divenner membra che non fuor mai viste" - v. 74 - 75 Le cosce con le gambe, il ventre e il torace, per via dei due corpi sovrapposti, erano divenute membra mai viste.
Ma le meraviglie della "Scienza senza Coscienza" non sono nuove e non sono poche.
Anche oggi noi sappiamo che embrioni di cervelli umani sono stati trapiantati ai conigli. Questo esperimento è stato condotto da una équipe di biologi sovietici "scienziati" presso l'Istituto di Genetica Generale dell'Accademia Sovietica delle Scienze. Secondo l'Agenzia TASS, "l'esperimento ha avuto esito positivo in quanto il fenomeno di rigetto è stato nullo".
A Londra i due pionieri e massimi specialisti dei "bambini in provetta", prof. Patrick Steptoe e prof. Robert Edwards, hanno chiesto alla Sanità Inglese di poter trapiantare embrioni umani in maiali e in conigli per perfezionare la fecondazione in vitro.
L'Agenzia E.F.E., di Los Angeles, ha informato che è stato trapiantato ad una bambina di 14 giorni il cuore di un mandrillo.
Oggi la Scienza avanza la richiesta di inseminare nell'utero della scrofa embrioni umani.
Come un tempo vedemmo l'uomo-serpente e il serpente-uomo, così anche oggi, quasi certamente, vedremo il porco-uomo e l'uomo-porco. Così potremmo anche vedere la distruzione della razza terrestre, che oggi ripete le stesse cose che l'uomo edificò un tempo in Sodoma e Gomorra, le due "città del peccato" distrutte da una bomba atomica che gli Extraterrestri gettarono da un "disco volante" quando i Sodomiti e i Gomorriti osarono mostrificare, anche mediante rapporti tra uomini e bestie, la forma umana creata da Dio per l'evoluzione dell'Essere.
Fu così che (come si legge nella Bibbia a proposito di "Sodoma e Gomorra") "l'Eterno che aveva gli occhi d'ogni intorno" (e altro non erano che i numerosi oblò di un disco volante), "fece piovere sulla Terra fuoco e fiamme". Dopo la fusione anatomica "uomo-serpente" eccoci giunti alla descrizione della trasformazione dell'uomo in serpente e del serpente in uomo.
nel libero commento di Giovanna Viva
Come 'l ramarro sotto la gran fersa dei dì canicular, cangiando sepe, 81 folgore par se la via attraversa, sì pareva, venendo verso l'epe de li altri due, un serpentello acceso, 84 livido e nero come gran di pepe; e quella parte onde prima è preso nostro alimento, a l'un di lor trafisse; 87 poi cadde giuso innanzi lui disteso.
Lo trafitto 'l mirò, ma nulla disse; anzi, co' piè fermati, sbadigliava 90 pur come sonno o febbre l'assalisse.
Elli 'l serpente, e quei lui riguardava; l'un per la piaga, e l'altro per la bocca 93 fummavan forte, e 'l fummo si scontrava.
Taccia Lucano ormai là dove tocca del misero Sabello e di Nasidio, 96 e attenda a udir quel ch'or si scocca.
Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio; ché se quello in serpente e quella in fonte 99 converte poetando, io non lo 'nvidio; ché due nature mai a fronte a fronte non trasmutò sì ch'amendue le forme 102 a cambiar lor matera fosser pronte. Nello stesso modo in cui il ramarro, sotto la sferza dei raggi del sole durante la canicola, passa da una siepe all'altra veloce come una folgore nell'attraversare la via, ugualmente veloce un serpentello si diresse verso gli altri due, ritto come una guizzante fiammella accesa e livido e nero come grano di pepe;
Ugualmente veloce è l'infiltrazione del diabolico pensiero. esso si lanciò a trafiggere uno di loro nell'ombellico, parte da cui si prende il primo alimento della vita per la formazione del corpo fisico; dopo si rovesciò a terra disteso davanti a lui.
Il corpo fisico che è il più gran dono di Dio per l'evoluzione dello Spirito e che lo stesso uomo cerca di mostrificare ancora oggi, attraverso esperimenti chirurgici resi possibili da una Scienza perversa. Il trafitto guardò, ma nulla disse; anzi, fermo e preso da torpore, sbadigliava come assalito da sonno o da febbre.
Questo fa pensare alla iniezione soporifera che precede un intervento chrurgico. Lo sguardo si incorcia tra l'uomo e il serpente nella consapevolezza di essere entrambi vittime della diabolica opera che investe l'evoluzione degli uomini e delle bestie, le cui forme furono create dalla stessa Mente Divina.
L'uno attraverso la piaga e l'altro attraverso la bocca, fumavano forte e il fumo si scontrava così come si scontrano le cortine fumogene dell'ignoranza umana, sia attraverso "la bocca" la parola, sia attraverso "la piaga" le opere nefande.
E sono le piaghe del mondo, le quali creano un vivaio funesto lì dove si dovrebbe invece attingere la linfa vitale, lì dove il "serpentello" dell'ignoranza, "acceso" dal pensiero umano, livido e nero di color di morte, uccide la vita, proprio in "quella parte onde è preso nostro alimento"
nel libero commento di Giovanna Viva
Taccia Lucano ormai là dove parla del meschino esempio di Sabello e di Nadisio e attenda di udire quel che ora (dal presente commento) "si scocca" scaturisce.
Taccia anche Ovidio là dove parla della metamorfosi di Cadmo in serpente e di Aretusa in fonte per sfuggire al fiume Alfeo, perché se quello in serpente e quella in fonte, egli poetando converte, nei suoi errori di interpretazione io non lo invidio,
poiché mai delle due nature una di fronte all'altra, egli interpretò trasmutazione alcuna, così che tutte e due le forme fossero confuse l'una con l'altra oppure trasmutate in una.
Né Lucano, né Ovidio intesero mai il vero significato di cotanta metamorfosi. Nessuno dei due suppose fosse questa l'espiazione di coloro che, in nome della Scienza, operarono i delitti più atroci, tra i quali la fusione di due corpi, allorché la diabolica Mente umana scoprì che il corpo lungo e stretto del serpente poteva essere mutato in quello alto e magro dell'uomo e viceversa.
Opere scientifiche di questo genere avvengono tutt'ora anche attraverso gestazioni in provetta. Conosciamo gli esperimenti divulgati dai giornali e sfuggiti alla censura, concernenti innesti di due teste sui corpi dei vitelli e la creazione in provetta del cosiddetto "uomo-carota", sperimentato quest'ultimo da "luminari della Scienza", i quali hanno scoperto che le cellule della carota si confanno alla struttura cellulare umana.
nel libero commento di Giovanna Viva
Insieme si rispuosero a tai norme, che 'l serpente la coda in forca fesse, 105 e 'l feruto ristrinse insieme l'orme.
Le gambe con le cosce seco stesse s'appiccar sì, che 'n poco la giuntura 108 non facea segno alcun che si paresse.
Togliea la coda fessa la figura che si perdeva là, e la sua pelle 111 si facea molle, e quella di là dura.
Io vidi intrar le braccia per l'ascelle, e i due piè de la fiera, ch'eran corti, 114 tanto allungar quanto accorciavan quelle.
Poscia li piè di retro, insieme attorti, diventaron lo membro che l'uom cela, 117 e 'l misero del suo n'avea due porti.
Mentre che 'l fummo l'uno e l'altro vela di color novo, e genera 'l pel suso 120 per l'una parte e da l'altra il dipela, l'un si levò e l'altro cadde giuso, non torcendo però le lucerne empie, 123 sotto le quai ciascun cambiava muso.
Quel ch'era dritto, il trasse ver' le tempie, e di troppa matera ch'in là venne 126 uscir li orecchi de le gote scempie; ciò che non corse in dietro e si ritenne di quel soverchio, fé naso a la faccia 129 e le labbra ingrossò quanto convenne. Le due nature si corrisposero secondo la seguente norma, che il serpente divise la coda in forma di forca e l'uomo ferito fuse insieme i due piedi. Le gambe con le cosce si fusero fra loro, così che in poco tempo la giuntura delle gambe non mostrava più alcun segno visibile. La coda biforcata toglieva la figura delle gambe che in quel punto si perdeva, la pelle del rettile diveniva molle come l'umana, mentre quella dell'uomo si faceva dura quale pelle di serpente. Io vidi le braccia dell'uomo ritirarsi verso le ascelle e i due corti piedi del serpente allungarsi tanto per quanto si accorciavano le braccia dell'uomo. Poi i piedi posteriori del serpente si ritorsero formando il membro virile e così, al contrario, l'infelice uomo, dal suo, mise fuori due piedi. Mentre il diabolico fumo (del pensiero scientifico) l'uno e l'altro avvolge in un velo che dà colore nuovo alla nuova materia, genera il pelo sul corpo del serpente e spela il corpo dell'uomo, il corpo del primo essere si drizzò in piedi, mentre quello del secondo cadde a terra, non cessando di guardarsi fissamente l'un l'altro, mentre sotto i loro occhi io due musi andavano assumendo l'uno l'aspetto dell'altro. Quello che era dritto, il rettile che si stava trasformando in uomo, ritirò il muso verso le tempie e dalla materia restante, si formarono le orecchie sulle gote che prima ne erano prive; l'eccesso di materia che non si ritirò alle tempie, rimase dov'era e formò il naso e ingrossò le labbra di quel tanto che si addiceva a figura umana.
nel libero commento di Giovanna Viva
Quel che giacea, il muso innanzi caccia, e li orecchi ritira per la testa 132 come face le corna la lumaccia; e la lingua, ch'avea unita e presta prima a parlar, si fende, e la forcuta 135 ne l'altro si richiude; e 'l fummo resta.
L'anima ch'era fiera divenuta, suffolando si fugge per la valle, 138 e l'altro dietro a lui parlando sputa.
Poscia li volse le novelle spalle, e disse a l'altro: «I' vo' che Buoso corra, 141 com'ho fatt'io, carpon per questo calle».
Così vid'io la settima zavorra mutare e trasmutare; e qui mi scusi 144 la novità se fior la penna abborra.
E avvegna che li occhi miei confusi fossero alquanto e l'animo smagato, 147 non poter quei fuggirsi tanto chiusi, ch'i' non scorgessi ben Puccio Sciancato; ed era quel che sol, di tre compagni che venner prima, non era mutato; 151 l'altr'era quel che tu, Gaville, piagni. L'uomo che si stava trasformando in serpente, allungò il muso in avanti e ritirò le orecchie come fa delle corna la lumaca; e la lingua, che prima era unita e idonea a parlare, divenne biforcuta, mentre invece nell'altro la lingua, prima biforcuta, si richiuse; e il fumo (dell'ignoranza, creatrice di corpi mostruosi) si arrestò sull'opera compiuta. L'essere umano divenuto bestia, zufolando se ne fugge via per la "valle di lacrime" proseguendo sul cammino della vita e l'altro dietro a lui parlando sputa.
Non essendo perfettamente idoneo all'uso della parola e del pianto, così come il primo zufolava non essendo perfettamente idoneo al naturale sibilare dei rettili. Erano entrambi in forma imperfetta e distorta. Dopo volse le nuove spalle e"zufolando" disse all'altro: «Io voglio che Buoso corra come ho fatto io fino ad ora in forma di serpente, strisciando carponi per questo sentiero della vita».
E... chi è Buoso...?! A tal punto, i diversi commentatori si affannano ad identificare questo o quel personaggio a cui Dante si riferirebbe. Ma in verità, questa ricerca affannosa, che riempie intere pagine di tutti i precedenti commenti, non ha eccessiva importanza di fronte al grande messaggio di verità che Dante offre al mondo. Come già precedentemente affermato, la "Commedia" non va interpretata in tal senso, poiché i vari personaggi vengono citati soltanto come esempio di creature vissute negli errori umani. È evidente che "Buoso", l'uno o l'altro che sia, fu uno dei tanti promotori della trasmutazione dei corpi. Essi espiano rinascendo in corpi mostruosi o trasformandosi in seguito a malattie o altro in simili distorsioni corporee, percorrendo, così menomati, il sentiero della vita e avvolti dalle fiamme dei dolori del mondo. da quello fino ad ora concepito.
nel libero commento di Giovanna Viva
Così io vidi i condannati della settima bolgia mutare e trasmutare aspetto; e qui l'argomento nuovo deve farmi perdonare la confusione della descrizione se, per l'incredinbilità di certi concetti la mia penna sorvola e abbozza appena. Sebbene i miei occhi fossero alquanto confusi, il mio animo era libero (dalla "magìa" del plagio di errati insegnamenti umani) e non potevano quei peccatori tanto facilmente sfuggire alla mia attenzione, non potevo io non riconoscere Puccio Sciancato, il quale era il solo tra i tre compagni menzionati prima, a non essere mutato; l'altro era Francesco dei Cavalcanti, che fu ucciso a Gaville.
Puccio era nominato "Sciancato" per la sua menomazione che lo aveva già mutato in una adeguata trasformazione espiativa. L'altro, Francesco dei Cavalcanti, detto "il guercio", essendo già guercio, non aveva subito altra metamorfosi.
Così lo sciancato come il guercio, pur essendo nello stesso genere di espiazione degli altri, erano in un Karma più lieve, di un "cerchio" di dolore meno pesante.
Questo avviene quando, in precedenti vite, si è già "rimesso lo sconto espiativo" totale o parziale del male compiuto. Nel caso dello sciancato e del guercio, lo strascico restante per l'espletamento del Karma era molto più lieve. È questa, come tante altre, una legge fisica. Così si disperdono nel mare i "cerchi" prodotti da un sasso gettato nell'acqua e si disperdono nell'aria i "cerchi" delle onde sonore prodotte dal suono di una campana. In tal modo, tra l'una e l'altra vita, si affievoliscono nell'energia del dolore i "cerchi" del Karma. Pertanto il primo cerchio è il più denso e pesante, il secondo di meno e via via, anche i "cerchi infuocati" del dolore umano diventano sempre più morbidi e leggeri, fino a spengersi del tutto, in un susseguirsi di nascite e di morti.
Possiamo quindi intendere il significato dei "CERCHI" di cui qui si parla, in modo ben diverso