€ 24,00
ALEXANDRA BIRCKEN BETH CAMPBELL DANIELA DE LORENZO FRANCO MENICAGLI ERNESTO NETO CLAIRE MORGAN JORGE PARDO CORNELIA PARKER TOBIAS PUTRIH TOBIAS REHBERGER TOMAS SARACENO BOJAN SARCEVIC HANS SCHABUS LUCA TREVISANI PAE WHITE HECTOR ZAMORA
Da ormai più di un secolo indagare nel campo della scultura significa percorrere spazi ibridi, eterogenei, la cui unica certezza, il fattore comune a tutte le esperienze, dalla più tradizionale alla più sperimentale, dalla più ‘oggettuale’ alla più ‘installativa’, è la persistenza dell’elemento di realtà - lo spazio ‘esterno’- con cui l’opera è costretta a interagire. Ogni scultura, oggi come in passato, non può ignorare ciò che è ‘fuori da sé’, ciò che è ‘oltre’ la sua stessa forma, ‘al di là’ della sua presenza. Cosa da intendersi sia in senso fisico (lo spazio circostante, che individua e allo stesso tempo è individuato dalla scultura) sia in senso semantico (lo spazio di significato determinato dalla relazione tra la scultura e l’ambiente che la definisce e che, allo stesso tempo, dalla scultura è definito). Come sempre nella storia del mondo e delle idee, esistono strette relazioni tra le forme dell’arte e i caratteri distintivi dell’epoca in cui tali forme sono prodotte. Relazioni che, per quanto riguarda la scultura, si manifestano e si chiariscono attraverso il diffondersi di alcune qualità specifiche. Leggerezza, instabilità, mutevolezza, inconsistenza, debolezza, sono tutti elementi connotativi, riconoscibili in gran parte della produzione scultorea di oggi. Elementi che consentono un fin troppo facile parallelo con alcuni dei fattori considerati distintivi del nostro tempo, segnato da una profonda discontinuità, da una ‘li-
Sculpture today and the expedient of suspension For over a hundred years now, exploring the field of sculpture has meant crossing hybrid, heterogeneous spaces; the only certainty -- the common factor of all experiences, from the most traditional to the most experimental, from the most objectrelated to the most installation-based -- is the persistence of reality, that ‘external’ space with which the artwork must interact. All sculpture, today as yesterday, must take into account what is ‘beyond itself’, that is to say that which is beyond its own form, beyond its presence. This is to be considered in senses both physical (the surrounding space which defines the sculpture and, at the same time, is defined by it) and semantic (the space of meaning determined by the sculpture/environment relationship which defines the sculpture and, simultaneously, is defined by it). As always in the history of the world and ideas, there are close relations between the forms of art and the distinctive features of the period that produced them. Relations which, with regard to sculpture, are manifested and clarified through the diffusion of several specific qualities such as lightness, instability, changeability, inconsistency, and weakness. These are all connotative elements, recognizable in much of the sculpture produced today. They allow an all-too-easy comparison with some of the features considered distinctive of our present time, which is marked by deep discontinuity, by a fluid nature (to quote Bauman’s renowned definition) generator of uncertainties, disruptions, indeterminacies, delegitimizations. In the
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LORENZO GIUSTI
La scultura oggi e l’espediente della sospensione
Suspense - dal latino suspensus: sospeso, indeciso, inquieto - è una parola errante. Sembra che il termine fosse originariamente nato in Inghilterra e successivamente, attorno al XV secolo, prelevato dai francesi per poi tornare nel Regno Unito e da lì diffondersi nel mondo. Quale che sia la sua provenienza, e comunque lo si legga, all’inglese o alla francese, Suspense costituisce un titolo evocativo che richiama alla mente immagini e suggestioni diverse. Rimanda innanzitutto all’idea di sospensione nello spazio, ma, contemporaneamente, anche a una tensione, a un sentimento di attesa o d’inquietudine; una connotazione spaziale intrinsecamente allacciata a una emotiva e anche a una che potremmo definire concettuale, in quanto connessa a un’auspicabile sospensione del giudizio. Fra le tante cose a cui può rinviare, la scultura non è decisamente il riferimento più immediato, essendo tradizionalmente legata a un’idea di solidità e staticità, tuttavia, nel nostro caso, proprio la scultura costituisce la trama e l’ordito su cui intessere riflessioni più ampie. Una mostra di opere sospese non presenta dunque la caratteristica più tipica della scultura, ma ne esibisce una sua declinazione dotata di un’ontologia di relazioni materiali, spaziali ed emotive.
The Suspension of Sculpture Suspense – from the Latin suspensus: suspended, undecided, uneasy; it is a word that has wandered. It seems that the term originated in England and later, around the fourteenth century, was picked up by the French only to be taken back to England, from where it spread to the rest of the world. Whatever its provenance, Suspense is an evocative title which calls to mind different images and feelings. Firstly it refers to a hanging in space, yet, at the same time, also to a tension, a feeling of waiting or of unease. Used to connote space, it is intrinsically tied to an emotional connotation as well as to an intellectual one (since, after all, it implies an auspicabile suspension of judgment). Among the many things that suspension can refer to, sculpture is decidedly not one of the first things to come to mind; this is because sculpture is traditionally tied to an idea of solidity and stasis. However, in our case, this art form serves as the loom on which to weave more ample reflections. So while an exhibition of hanging artworks does not present the most typical characteristics of sculpture, the event does display its condition of having an ontology of material, spatial and emotional relations. Nowadays sculpture’s field of reference is so very vast that it is difficult to define its borders: in the last decades we have used the word ‘sculpture’ to refer to many
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ARABELLA NATALINI
La sospensione della scultura
Appare ormai lontano quel tempo, agli inizi del Novecento, quando Costantin Brancusi si tormentava sull’importanza del basamento per le sue sculture, spesso adoperando le opere stesse come piedistalli al fine di abolire la separazione tra scultura e ambiente. Arrivò a produrre una scultura di basamenti successivi, la Colonna infinita, quasi a suggellare una continuità tra la terra e il cielo: il territorio dell’arte, appunto. Che dire poi di Piero Manzoni, che per evidenziare la coincidenza tra arte e vita pose in un parco un podio, un grande basamento rovesciato su cui si collocava la più grande e vivida scultura del mondo, il mondo stesso?!? Forse Brancusi e Manzoni, nei loro tormenti attorno alla scultura e al suo basamento, non avrebbero potuto immaginare che presto il basamento non ci sarebbe stato più, e la scultura, libera di disporsi nello spazio, avrebbe preso slancio e movimento, si sarebbe espansa o ristretta, divenendo edificio o installazione, magari video e persino ambiente. Ammettiamolo, era divenuto ingombrante quel pezzo di pietra o di metallo che un tempo, sollevando da terra l’oggetto, stava a identificarlo come arte. Da quando l’arte aveva cominciato a prendere la strada della realtà, a voler confondersi con essa, a divenire più vera del vero, il basamento non serviva più. Ma attenti, perché col basamento rischiava di andarsene anche la scultura. Che infatti, negli anni recenti, pareva silenziosamente sparita...
Post Postmonument It seems so long ago now, that period at the beginning of the Twentieth Century when Costantin Brancusi agonized over the importance of the base for his sculptures, often using the works themselves as pedestals so as to eliminate the separation between sculpture and milieu. He eventually produced a sculpture made up of successive bases, the Infinite column, almost as if to assert a continuity between earth and sky as the territory of art. And what can we say about Piero Manzoni who, to highlight the correlation between art and life, used a park as the setting for a podium, a large, upside-down base that served to support the biggest, most vivid sculpture in the world, the world itself?! Perhaps Brancusi and Manzoni, wrestling with the question of the sculpture and its base, could never have imagined that the base would soon no longer exist, and sculpture, free to position itself in space, would have gained momentum and movement, would have expanded or shrunken, become an edifice or an installation, perhaps a video, and even a space itself. Let’s admit it, that piece of stone or metal that once identified an object as art by raising it off the ground had become unwieldy. Once art had begun to move towards reality, to seek to blend in with it and become more true than truth, the base was no longer necessary. But, there was the risk that sculpture itself might be swept away along with the base. And in fact, in recent years, it seems to have silently disappeared…
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FABIO CAVALLUCCI
Post Postmonument
ALEXANDRA BIRCKEN 050
Le opere di Alexandra Bircken si caratterizzano per la pratica del cucito che dà loro forma. L’artista assembla materiali eterogenei - lana, stoffa, rami, rocce, ma anche pelle, cera e plastiche - creando forme composite che ricordano di volta in volta ceppi ricoperti di lana, missili sbilenchi, reti filiformi che, come ragnatele, catturano detriti, bulbi e fiori. Attraverso le sue sculture, l’artista intesse relazioni tra il mondo naturale e quello artificiale, realizzando oggetti difformi che rimandano a strutture organiche e, contemporaneamente, a un contesto prettamente urbano. I materiali impiegati, tesi, lacerati ed espansi, richiamano in alcuni casi il paesaggio cittadino, in altri il corpo umano, i suoi organi e il suo involucro, senza tuttavia mai rappresentarlo direttamente. Alexandra Bircken ci offre uno sguardo inquieto e curioso verso la realtà che ci circonda mettendo in scena oggetti transitori, deformati e deformanti, che rinviano a un ‘senso di sereno caos’ del mondo. Riflessioni sul ruolo della moda nella rappresentazione della donna e della figura dell’artista trapelano nel frequente uso di tessuti e nella lavorazione della maglia, attraverso i quali si attiva una considerazione sulla preziosità e allo stesso tempo sull’abiezione della moda per mezzo di un’estetica casalinga, artigianale e terapeutica. Se l’opera Drape (2007) ricorda l’umile riparo di un vagabondo, con i rami a sorreggere logori pezzi di stoffa, altri lavori, come Wood (2007), si compongono di soli pezzi di legno, con i quali l’artista individua rudimentali strutture tra lo scultoreo e l’architettonico. L’opera esposta a EX3, Lapses (2010) si presenta come un tendaggio composito che recupera la tradizione del patchwork, inglobando all’interno del suo vivido cromatismo elementi che si annodano su se stessi mettendo in luce nodi e tensioni interne. Brandelli di stoffe cucite assieme ‘collassano’ dall’alto, evidenziando la rudimentalità e la precarietà della struttura; da questa ‘greve leggerezza’ l’artista dà forma a un drappo in grado di riscaldare il sonno ma anche di lasciare un varco per risvegliare un inconscio sopito. Già in altre opere precedenti, come Spindel (2007) o Tentakel (2009), l’artista aveva fatto ricorso alla sospensione come modalità per rendere evidente il senso di estrema precarietà dei propri lavori.
Alexandra Bircken’s use of sewing often gives form to her artworks. She assembles a variety of materials – wool, fabric, tree branches, rocks but also leather, wax and plastic – to make composite forms that recall something different each time: wool-upholstered trunks, crooked missiles, threadlike nets that capture detritus, bulbs and flowers as if they were oversized spiderwebs. Via her sculptures the artist establishes relationships between the natural world and an artificial one, creating deformed objects that refer to organic structures and, at the same time, to a strictly urban environment. In some cases the materials employed, stretched, torn and extended recall the city landscape, in others the human body, its organs and its shell (even though Bircken never really represents it in an explicit way). The artist gives us a disquieting and queer gaze on surrounding reality through her staging of transitory, deformed and deforming objects, which reference a ‘sense of [the world’s] serene chaos’. Reflections on the role of fashion in representing women and the artist as a figure can often be glimpsed in her frequent use of fabrics and knitting; through these means, which create a domestic, craftlike and therapeutic aesthetic, Birken stimulates critical thought on fashion’s nature which is, simultaneously, highly precious and degraded. Recalling the humble shelter of a homeless person, Drape (2007) is formed by tree branches holding up filthy pieces of cloth; other works like Wood (2007) rely only on that organic material alone to create rudimental structures, which are artworks situated between sculpture and architecture. The piece shown at EX3, Lapses (2010) is a composite curtain inspired by the tradition of patchwork; it contains elements of vivid color which are tied together in knots thus emphasizing its inner intricacies and tensions. Tatters of cloth sewn together ‘collapse’ from above, highlighting the structure’s rudimentary and precarious nature. From this ‘grave lightness’ the artist generates a drapery to warm sleep but also to open a passage to reawakening the drowsing unconscious. Already in previous artworks, like Spindel (2007) or Tentakel (2009), the artist had resorted to hanging her pieces as a way of underscoring their sense of extreme precariousness.
051 Lapses, 2010
DANIELA DE LORENZO 058
La ricerca artistica di Daniela De Lorenzo è caratterizzata dall’integrazione di linguaggi diversi (scultura, video, fotografia) nei quali è possibile rintracciare la presenza di due distinte direttrici di senso: la temporalità e l’identità, indagate tramite l’elemento unificatorio del corpo. La spazialità e la materialità scultorea e la temporalità frammentaria del medium fotografico e del video assurgono pertanto ad ambiti complementari di ricerca, atti a restituire un’immagine plurale, in cui essenziale è la compresenza simultanea di elementi indefiniti e mutevoli. L’uso scultoreo del feltro, ulteriore cifra stilistica dell’artista, è legato alla caratteristica del materiale di preservare la ‘memoria’ del gesto che vi viene agito. Nelle sculture della De Lorenzo, cuciture, contratture e pieghe si qualificano come strumenti linguistici che imprimono forma, volume e plasticità alla materia. In Pantomima (2009), gli elementi anatomici sono realizzati sovrapponendo strati di feltro, a colmare la superficie cava del materiale precedentemente modellato sul corpo dell’artista. La medesima attenzione agli elementi di torsione e postura forzata del corpo presente nelle sculture è centrale nei video e nelle fotografie: in Agile (2005), ad esempio, videoperformance ispirata alle analisi condotte dal neurologo Charcot, la relazione tra isteria e memoria è indagata tramite il fissarsi del corpo in determinate posture. Nel dialogo tra le due opere presenti in mostra, l’artista propone una riflessione sul valore della sospensione sia in senso letterario, sia figurato, attraverso la riproposizione dell’immagine di un contorsionista nel punto massimo della sua elevazione, desunta da una fotografia di Muybridge. In Falsetto (2010), l’impronta del corpo dell’artista viene ricomposta e riarticolata; la dimensione sospesa della scultura e la disgregazione della figura umana ripropongono sul piano della spazialità la stessa vibrazione musicale suggerita dalla titolazione dell’opera, attuando una sorta di commistione anatomico-musicale. Nel bassorilievo Escamotage (2010), l’artista sperimenta una particolare lavorazione del feltro, realizzata per addizione dei diversi strati di materiale: la terza dimensione qui viene solo suggerita dal leggero svelarsi del corpo umano, il quale emerge gradualmente dal fondo.
Daniela De Lorenzo’s artistic investigation is characterized by the integration of different languages (sculpture, video, photography) in which two distinct issues can be discerned: identity and the quality of time, both explored through the body’s unifying lens. Sculptural spatiality and materiality, together with the fragmentary time-related qualities of photography and video, are therefore taken as complementary fields of research, capable of comunicating a plural image in which the essential feature is the simultaneous presence of indefinite and changing elements in the same space. The choice of using felt sculpturally, another of the artist’s defining stylistic features, is tied to this material’s quality of conserving the ‘memory’ of the gesture made on it. In De Lorenzo’s sculptures, stitching, tucks and folds are qualified as linguistic tools employed to impress form, volume and plasticity on matter. In Pantomime (2009), specific pieces of anatomy are carried out by overlapping layers of felt to fill the empty space as it had been modelled by the artist’s body. The sculpture’s same attention to the body’s torsion and forced positioning is also central to the artist’s video and photography works. For example, in Agile (2005), a videoperformance inspired by Charcot’s neurological experiments, the relationship between hysteria and memory is explored by the special positioning of the body. Via the dialogue undertaken between her two works present in this exhibition, the artist launches a reflection on the value of suspension, both in the literal and the figurative sense. In Falsetto (2010), the form of the artist’s body is rearranged in a disarticulate way; the hanging of the sculpture and the disgregation of the human figure propose the kind of musical vibration suggested by the title, giving rise to a physical kind of anatomical/musical blending. In the low relief Escamotage (2010), De Lorenzo works on an image taken from a Muybridge photograph: the contortionist captured at the highest point of his swing, speaks figuratively about suspension. Here the artist employs a particular technique of working felt that requires the addition of various layers of material: the third dimension is suggested here by the slight revelation of the human body which gradually emerges from the background.
059 Falsetto, 2010
088
01
“Suspension is a good way to avoid things standing in your way”. 02
089 04 03 05
01 I Die Every Day, 1 Cor. 15,31, 2005 02 Fragments of their pleasant spaces in my fashionable version – the winter collection, 2009 03 Polvareda (donde se cuentan las razones que pasó Sancho Panza con su señor con otras aventuras dignas de ser contadas) or the weather at eleven, 2008 04 7 Ends of the World, 2003 05 Infections, 2008
TOMAS SARACENO 090
Nel lavoro di Tomas Saraceno trova espressione un approccio all’arte al contempo scientifico, morale ed estetico. Le installazioni scultoree dell’artista argentino si presentano come complesse strutture in sospensione, nelle quali ogni parte si lega all’altra in maniera interdipendente. Analogamente l’opera, nella sua interezza, si lega all’ambiente di cui fa parte, sia esso quello architettonico, quello urbano o quello naturale. Nel 2006, con Flying Garden, ha prefigurato uno sviluppo aereo delle coltivazioni vegetali, costrette a trovare nuovi habitat a causa dell’alterazione dei terreni, dovuta all’inquinamento e ai cambiamenti climatici. Per farlo ha utilizzato alcune sfere trasparenti cariche di elio e un gruppo di piante della specie Tillandsia, la cui caratteristica è di essere senza radici e di assorbire il nutrimento dall’umidità dell’aria. Un altro importante progetto è il Museo Aerosolar, un’enorme mongolfiera fatta di sacchetti di plastica riciclati, destinata a ingrandirsi nel tempo grazie alla collaborazione di tutti coloro che intendono portare avanti l’impresa. In condizioni particolari la mongolfiera riesce a librarsi in volo grazie alla sola energia solare che riscalda l’aria all’interno della struttura. Insieme a materiali semplici, di uso comune, l’artista impiega materiali tecnologicamente avanzati. Attualmente sta collaborando con la N.A.S.A. per la realizzazione di un’opera che sfrutti il potenziale dell’Aerogel, una sostanza isolante superleggera. Il progetto Air Port City impegna l’artista dal 2002. Le cellule di cui si compongono i lavori di questa serie, concepite come città fluttuanti, possono entrare in contatto tra loro o separasi, come delle nuvole. Biosphere 06, in particolare, si presenta come un giardino in sospensione, composto da un’unica cellula. L’artista intende lo spazio aereo come lo spazio architettonico del futuro. In volo tutto può essere messo in discussione e ricostituito: i confini, le proprietà, i sistemi politici e sociali. Ciò che emerge è una visione del mondo come complesso sistema di relazioni, attraverso la quale l’artista promuove lo sviluppo di un rapporto integrato dell’uomo con la natura. Un rapporto in cui l’arte, al pari dell’architettura, è chiamata a svolgere un ruolo fattivo, costruttivo, e non soltanto estetico.
Tomas Saraceno’s work expresses an approach to art which is scientific, moral and aesthetic all at the same time. The Argentinian artist’s installations are complex hanging structures in which each part is tied interdependently to the other. In the same way, the entire artwork is tied to its architectural, urban or natural environment. In 2006, with Flying Garden, Saraceno foresaw the aerial development of cultivated plants, forced to find new habitats because of terrain alterations through pollution and climate change. To achieve his end, the artist used several transparent spheres filled with helium and groups of plants of the species Tillandsia, which is characterized its lack of roots and its ability to absorb humidity from the air. Another important project was Museo Aerosolar, an enormous hot-air balloon made from recycled plastic shopper bags, which will eventually grow in size over time thanks to the collaboration of all people who will want to participate in this enterprise. In special conditions solar energy warming the air inside the balloon structure actually allows the hot-air balloon to rise off the ground. Together with simple, commonly-used materials the artist uses technologically advanced elements as well. He is currently working with N.A.S.A. to develop an artwork to exploit the potential of a superlight insulation substance called Aerogel. The Air Port City project has been underway since 2002. The works in this series are composed of cell-like structures, conceived liked fluctuating cities which can enter into contact with each other or separate, as if they were clouds. In particular Biosphere 06 is seen as a floating garden, composed of a single-cell unit. To the artist’s way of thinking, aerial space is the architectural space of the future. When everything is in flight it can all be questioned and reconstituted: borders, properties, political and social systems. What emerges is a vision of the world as a complex system of relations, through which the artist promotes the development of an integrated relationship between man and nature. A relationship in which art, on an equal footing with architecture, is called upon to play an active, constructive – and not only aesthetic - role.
091 Biosphere 06, 2009
096 01
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01 Only After Dark, 2007 02 Something in the Air, 2005 03 Replace the Irreplaceable, 2006 04 Stamina and the Muse, 2010 05 Untitled, 2006
LUCA TREVISANI 102
Il lavoro di Luca Trevisani si sviluppa attraverso molteplici linguaggi (disegno, collage, video, suono), ma in particolare tramite la scultura, con la quale l’artista registra le possibilità metamorfiche di diversi tipi di materiali, “un procedimento di crescita che ha qualcosa di organico in sé”, ha dichiarato l’artista. Il dubbio, la capacità di questionare, la consapevolezza della modificabilità della materia, della realtà, sono gli strumenti che consentono il continuo evolversi delle opere. L’occhio ricerca la simmetria, per inclinazione naturale, ma l’incapacità di ottenerla genera tensione. Lo sguardo scorre attraverso le opere, penetrandole, individuando le relazioni che corrono tra le varie parti. The weaving constellation (2005) si compone di una struttura di assi di legno flessibili sorretta da cinque palloncini colorati riempiti di elio. La precarietà della scultura è sottolineata, oltre che dai materiali si cui si compone, dall’instabilità della sua collocazione e delle sue dimensioni, soggette all’azione dell’aria. In sospensione è anche il lavoro Every basin is a mixing bowl (2008), realizzato con nastri audio, fili da pesca e altri oggetti. L’equilibrio instabile della costruzione è lo stesso che lega i materiali tra loro, chiamati a sostenere un improbabile dialogo visivo. Quello ricercato da Trevisani è sempre un flusso indefinito di forme e immagini, uno studio, spesso intuitivo, delle molteplici identità che ogni forma può assumere. Soap bubble skin (2007), l’opera selezionata per il progetto Suspense, si presenta come un intreccio di assi di legno impiallacciato, ripiegate su se stesse a creare frammenti di spazio. L’opera testa la qualità statica del materiale, la sua naturale leggerezza e flessibilità. Sulla superficie sono impresse immagini derivate dagli studi dell’architetto tedesco Frei Otto sulle bolle di sapone. Come in molte sue opere, anche in questa Trevisani allude alla complessità delle relazioni tra uomo e natura, tra forme idotte, costruite, e forme organiche, tra figure geometriche e linee curve. Soap bubble skin mette in scena un flusso indistinto di forme e immagini, un processo di costante trasformazione della materia, che non ha origine né fine. “La materia è materia”, scrive Primo Levi in uno dei libri preferiti dall’artista (Il sistema periodico), “né nobile né vile, infinitamente trasformabile, e non importa affatto quale sia la sua origine prossima”.
Luca Trevisani’s work is developed through various artistic vocabularies (drawing, collage, video, sound), but especially via sculpture. Through this latter medium, the artist registers the metamorphic possibilities of different kinds of materials, “a process of growth, which has something organic about it,”, the artist has stated. Doubt, propensity to question, awareness of the possibility to transform matter, thus reality: these are the instruments that allow the continual evolution of Trevisani’s artworks. The eye is naturally inclined to seek out symmetry but the inability to attain it generates tension. The gaze moves across the artworks, penetrating them, noticing the relationships that cross the various parts. The structure of The Weaving Constellation (2005) is made up of flexible wooden poles supported by five colored helium-balloons. The sculpture’s precarious nature is emphasized not only by its component materials, but also by its instable situation and its dimensions, which depend upon the air’s behavior. Another hanging work, Every Basin is a Mixing Bowl (2008), is carried out with audio tapes, fishing line and other objects. The construction’s instable equilibrium is mirrored in the very imbalance binding the materials together among themselves when they are called upon to support an improbable visual dialogue. What Trevisani is seeking is an indefinite flux of forms and images, an often intuitive study of the multiple identities that each form is able to assume. The work selected for the Suspense project, Soap Bubble Skin (2007), appears to be an interweaving of poles of veneered wood, bent over on themselves to draw fragments of space. The artwork verifies the material’s static qualities, its natural lightness and flexibility. On the surface are printed/imprinted images taken from the studies of soap bubbles carried out by German architect Frei Otto. As in many of his other artworks, here, too, Trevisani alludes to the complex relationships between man and nature, between the man-made, constructed forms and organic ones, between geometric shapes and curved lines. Soap Bubble Skin sets up an indistinct flux of forms and images, a process of the material’s constant transformation which is without beginning and without end. In one of the artist’s favorite books, The Periodic Table, Primo Levi wrote “Matter is matter, it is neither noble nor base but rather infinitely transformable, rendering its most recent state irrelevent”.
103 Every basin is a mixin’ bowl, 2008
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“Le sculture sospese, o senza piedi, risentono dello spettatore, della sua presenza, dei suoi movimenti, dei suoi gesti. Tutte cose vive nella relazione, come i mobile di Calder. Non conta che ne richiamino la forma o meno; quello che conta non è come una cosa appare, ma come funziona”. 04
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01 6 Degrees of Separation, 2007 02 Every Basin is a Mixin’ Bowl, 2008 03 Soup Bubble Skin, 2008 04 Two Comb Space, 2008 05 Soup Bubble Skin, 2008
PAE WHITE 106
Il lavoro di Pae White è presente sulla scena artistica internazionale dall’inizio degli anni Novanta grazie soprattutto alle creazioni scultoree, ma nella sua carriera si è dedicata anche alla pubblicità e al teatro. Il piacere formale e un certo appagamento visivo non sono secondari nella fruizione delle sue opere, nelle quali l’osservatore è chiamato prima di tutto a gioire di una complessità di forme e di colori, interrogandosi sulla natura dei materiali utilizzati e sul loro potenziale estetico. Pae White è nota per avere realizzato numerose opere in sospensione, sia in carta (Griefs, 2002, OROSCOPO, 2004) sia in vetro (Flowers in the forest, 2003). Come complessi mobiles, questi lavori anelano al movimento, a una dinamicità brulicante, in virtù della loro estrema leggerezza affiancata a una forte densità formale e cromatica. Un’opera come Chocolate mint almost (2005) può dirsi esemplare del lavoro dell’artista. Realizzata con una miriade di piccoli frammenti di carta colorati sostenuti da fili appesi al soffitto, l’opera è soggetta ai turbamenti dell’aria, compreso il passaggio del visitatore. Alla Biennale di Venezia del 2009 l’artista ha immaginato il suo spazio espositivo all’interno dell’Arsenale come una grande gabbia per uccelli. Chiusi dentro un enorme reticolo colorato pendono grossi lampadari, di varie forme e dimensioni, ricoperti di mangime. Il canto degli uccelli riempie lo spazio, ma guardandosi attorno nessun animale è realmente presente. A ‘cantare’ sono alcuni uomini, esperti simulatori di suoni naturali. L’esperienza sensoriale che ne consegue assume un carattere surreale, di generale straniamento. L’ossatura di Cloud Clusters (2005) è realizzata intrecciando del filo di ferro attorno a scatole di cartone a cui l’artista ha, in un secondo momento, dato fuoco. Ciò che resta è la struttura colorata, sospesa da terra a un’altezza significativa, a richiamare la presenza del cielo. Con la stessa tecnica l’artista ha realizzato un’altra serie di opere, tra cui Cage (Hair birds), del 2005; in questa versione il filo di ferro è utilizzato per creare delle vere e proprie gabbie per uccelli. Nel caso di Cloud Clusters, invece, ciò che è virtualmente ingabbiato sono le nuvole, con la loro inconsistenza e leggerezza. Il gesto risulta indicativo di una precisa attitudine poetica, tenue, delicata e antimonumentale.
Pae White’s work began to appear on the international art scene in the early 1990s thanks especially to her sculptural creations, but, during the course of her career, she has worked in advertising and theater as well. Formal pleasure and a certain visual fulfilment are among the primary elements that viewers receive from her artworks. Observers are called upon at first glance to take joy in a complexity of forms and colors, even as they ponder the nature of the materials employed and their aesthetic potential. Pae White is well-known for having carried out a number of hanging artworks, both in paper (Griefs, 2002, HOROSCOPE, 2004) and in glass (Flowers in the Forest, 2003). Like complex mobiles, these works aspire to movement, to teeming dynamics, thanks to their extreme lightness reinforced by a strong formal and colorful density. In this way a piece like Chocolate Mint Almost (2005) can be considered a fine example of the artist’s work. Composed of a myriad of small pieces of colored paper hung by threads from the ceiling, the work is subject to air variations, including the passing of the visitor himself. At the 2009 Venice Biennale Pae imagined her space inside the Arsenale venue as a giant cage for birds. Enclosed within an enormous colored reticulum, large chandeliers were hung, all of different sizes and shapes, covered with birdfood. Although birdsong filled the space visitors looked around and realized that no birds were present. The ‘singing’ was done by several men, expert imitators of natural sounds. The sensory experience that resulted in this installation took on a surreal character of general alienation. Cloud Clusters (2005) has a framework made from wrapping wire around cardboard boxes which were later ignited by the artist. What remains is the colored structure, hanging very high up as if to recall the sky. With the same technique the artist made another series of works, including the piece Cage (Hair Birds) in 2005; in this version the wire is used to create true bird cages. Instead, in Cloud Clusters, the objects caged in a virtual way are clouds, with all their inconsistency and levity. The artist’s gesture indicates a precise attitude, which privileges the poetic, the tenuous, the delicate and the anti-monumental.
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01 Chocolate Mint, 2005 02 Weaving, Unsung, 2009 03 Cage (Hairbirds), 2005 04 Ex Machina [Pae White/Jorge Pardo], 2002 05 Black&Blind, 2008
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01 Suspension Lines, 2005 02 Untitled (Park 3 Structure 3), 2006 03 Sciame di Dirigibili, 2009 04 Errante, 2010 05 Sciame di Dirigibili, 2009
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“It is interesting that something that starts with a very formal concept dances in a very organic and natural behavior around the space�.