Che cosa direbbe Gutenberg? Il rinascimento digitale dell'editoria

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Che cosa direbbe Gutenberg?

Il Rinascimento digitale dell’editoria

Ricerca intorno alla progettazione di una rivista digitale per iPad o altri device

Candidato

Daniela VERONA

Relatore

Prof. Franco ZERI

Tesi di Laurea Magistrale in Design e Comunicazione Visiva e Multimediale ANNO ACCADEMICO 2010/11

Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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Che cosa direbbe Gutenberg?

Il Rinascimento digitale dell’editoria

Ricerca intorno alla progettazione di una rivista digitale per iPad o altri device

Candidato

Daniela VERONA matr. 1087068 Relatore

Prof. Franco ZERI Tutor

Prof. Carlo MARTINO

Tesi di Laurea Magistrale in Design e Comunicazione Visiva e Multimediale UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” Facoltà di Architettura – Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione

ANNO ACCADEMICO 2010/11



Indice 7

Introduzione

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE 1.1 Cos’è “digitale” 1.2 La digitalizzazione 1.3 Il linguaggio ipermediale 1.4 I visionari 1.5 Interfaccia grafica e interazione

11 12 19 21 29 39

41 43 49 52 59 67

2. L’EDITORIA DIGITALE 2.1 La quarta rivoluzione: dal libro all’eBook 2.2 Cronologia dell’editoria digitale 2.3 eBook o Digital Magazine? 2.4 eBook reader o tablet? 2.5 DRM (Digital Rights Management) 2.6 Come si progetta una rivista digitale

75 3. IL PROGETTO “Artribune” 77 3.1 Cos’è Artribune 85 3.2 Progettazione della rivista digitale Artribune per iPad 100

Bibliografia

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Introduzione Questa ricerca nasce da un riflessione sui nuovi dispositivi multimediali e sulla grande crescita di domanda ed offerta riguardante riviste e libri digitali. Da quando nel 1971 un giovane studente americano decise di digitalizzare la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti distribuendola poi in rete, il mondo dell’editoria ha iniziato a preoccuparsi per il suo futuro. Oltre ad abolire il passaggio in tipografia e semplificare le problematiche della distribuzione, è avvenuta una vera e propria rivoluzione, che può essere paragonata solo a quella compiuta da Gutenberg con l’invenzione della stampa a caratteri mobili. Non a caso il primo progetto di biblioteca digitale libera e gratuita prende proprio il suo nome. Il vero mutamento è stato, però, nel modo di scrivere e fare letteratura. Con i nuovi mezzi è possibile pubblicare il proprio manoscritto senza la figura dell’editore e promuoverlo e distribuirlo a costi limitati ad un grandissimo bacino di lettori quale è internet. Con l’introduzione, poi, di nuovi strumenti come eBook Reader e tablet è cambiato anche il modo di fruizione della conoscenza, che è diventato più interattivo, multimediale e personalizzabile. La prima preoccupazione degli addetti al settore fu credere che il digitale avrebbe sostituito completamente la carta, ma questo a distanza di anni non è ancora avvenuto e probabilmente non avverrà mai. Questo è successo ogni volta che è stato introdotto un nuovo media: tuttavia né la radio, né il cinema sono stati rimpiazzati. Hanno casomai trovato “nuove strade”. La differenza principale è che ora il libro fisico, da prodotto di massa diventerà sempre più di nicchia, mentre la grande diffusione prediligerà sempre più gli eBook e le riviste digitali. Il digitale ha portato a un nuovo Rinascimento della cultura, dalla letteratura classica a quella scientifica, dalle testate giornalistiche alle riviste di settore, che hanno ora a disposizione nuove tecnologie ed opportunità. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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Come, infatti, dice McLuhan nel suo libro “Il medium è il massaggio”: [...] L’interazione fra i vecchi e i nuovi ambienti crea numerosi problemi e confusioni. L’ostacolo principale a una chiara comprensione degli effetti dei nuovi mezzi di comunicazione è la nostra radicata abitudine a osservare i fenomeni da un punto di vista fisso. Parliamo, ad esempio, di “acquisire la prospettiva”. Questo processo psico-logico deriva inconsciamente dalla tecnologia della stampa. La tecnologia della stampa ha creato il pubblico. La tecnologia elettrica ha creato la massa. Il pubblico consiste di individui distinti, che si muovono con un punto di vista separato e fisso. La tecnologia richiede che abbandoniamo il lusso di questa posizione, questo modo di vedere frammentario. (McLuhan & Quentin, 1967) Questa riflessione è lo spunto per l’approfondimento di questa ricerca che percorrerà la storia della rivoluzione digitale, fatta di nuove scoperte, ma anche di grandi visionari, fino all’analisi più dettagliata dei nuovi strumenti per la progettazione editoriale. Nell’applicare quanto appreso sui Digital Magazine per iPad, verrà illustrato il progetto reale del primo numero di una rivista italiana sull’arte contemporanea “Artribune”.

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE

La ruota è un’estensione del piede, il libro è un’estensione dell’occhio, i vestiti, un’estensione della pelle, i circuiti elettrici, un’estensione del sistema nervoso centrale. Quando questi rapporti cambiano, cambiano gli uomini. Marshall McLuhan

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE

1.1 Cos’è “digitale”

Il termine “digitale” deriva dall’inglese “digit” (“cifra”) e più anticamente dal latino “digitus” (“dito”) ed è un termine usato nell’ambito informatico ed elettronico per indicare tutto ciò che può essere rappresentato attraverso un numero limitato di cifre: il codice binario. Trattandosi di un insieme di valori finito, composto da due elementi pari a 0 e 1, viene anche chiamato discreto e si contrappone al termine analogico che invece indica un sistema considerato infinito, variabile e continuo. ANALOGICO DIGITALE

001001010001000101001000100010010001001

Alla base del digitale si trova il bit, la più piccola unità d’informazione riconosciuta da un elaboratore elettronico, che interpreta il singolo impulso come un valore binario. Nell’ambito informatico il bit può assumere due significati diversi a seconda del contesto: come unità di misura dell’informazione (dall’inglese “binary unit”), termine introdotto dalla Teoria dell’informazione di Claude Shannonnel 1948 ed ancora oggi usato nel campo della compressione dati e delle trasmissioni numeriche; o come una delle due cifre della sequenza binaria (in inglese “binary digit”) equivalente alla scelta tra due valori (sì/no, vero/falso, acceso/ spento) quando questi hanno la stessa probabilità di essere scelti. Tale unità è stata paragonata all’entità fisica dell’atomo da Nicholas Negroponte, esperto e visionario del pensiero digitale, che, già nel 1995, aveva capito cosa il futuro ci avrebbe prospettato: una digitalizzazione di massa. (Zeri, 1998) Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


1.2 La digitalizzazione La digitalizzazione è il processo di conversione attraverso il quale una grandezza analogica, composta da valori continui, diventa digitale (discreta). In questo modo qualsiasi tipo di elemento – un’informazione, un’immagine, un suono, un testo – può essere ridotto a un codice numerico formato unicamente dai valori 0 e 1. (Zeri, 2000) La digitalizzazione si sviluppa in tre momenti: l’acquisizione (o capturing) del segnale analogico attraverso specifici strumenti come scanner o sintetizzatori; l’elaborazione dei dati codificati in modo da comprimerli e convertirli in un formato leggibile dal computer o altri dispositivi; la scrittura di tale codice su un supporto che ne permetta la diffusione. La necessità di questa trasformazione si affianca all’invenzione dei primi sistemi informatici e l’introduzione dei primi microprocessori negli anni ’70, ma già dagli anni ’30 molti esperti avevano ipotizzato un modo per potenziare la conoscenza e renderla più efficiente e diretta. La rivoluzione digitale nasce quindi molto tempo prima di quanto siamo soliti pensare e va letta come un processo che ha seguito la rivoluzione tecnologica in base alle richieste del sistema produttivo. L’obiettivo principale individuato dalle avanguardie della ricerca è quindi quello di organizzare la grande quantità d’informazioni che ci sommerge, attraverso un procedimento di semplificazione estrema che ha alimentato lo sviluppo della tecnologia ed ha generato innovazioni fondamentali come gli ipertesti, i personal computer ed internet. La digitalizzazione, però, non si limita solo a trasformare un segnale analogico in codice binario o creare contenuti nativi discreti: è anche in grado di trasformare qualunque forma di attività umana in software, cioè in istruzioni modificabili e programmabili utili a descrivere e controllare il comportamento di una macchina. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


A questo proposito è necessario guardare più nel dettaglio tale processo di trasformazione che si articola attraverso diversi livelli: codifica numerica, programmabilità, modularità, trasmissibilità, archiviabilità e transcodifica. (Manovich, 2002)

1 ASCII (American Standard Code for Information Interchange).

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1.2.1 Codifica numerica La codifica numerica è il concetto primario della conversione digitale, ma le modalità di tale processo possono essere differenti a seconda del segnale analogico originale. Tanto quanto un suono viene sintetizzato con l’ausilio di un microfono ed un video attraverso dei programmi specifici, allo stesso modo i testi possono essere trasformati in codice ASCII1 o acquisiti tramite la tecnologia OCR2 che permette il riconoscimento dei caratteri scritti.

OCR (Optical Character Recognition).

3 Il termine pixel deriva dalla contrazione delle parole inglesi picture element. Rappresenta il più piccolo elemento dell’immagine e possiede caratteristiche variabili in funzione del sistema di rappresentazione adottato.

4 RGB è il nome di un modello di colori le cui specifiche sono state descritte nel 1931 dalla CIE (Commission internationale de l’éclairage). Tale modello di colori è di tipo additivo e si basa sui tre colori rosso (Red), verde (Green) e blu (Blue), da cui appunto il nome RGB.

5 L’unità di misura dpi si riferisce al numero di punti per lunghezza, dove quest’ultima viene indicata con l’unità di misura del pollice.

Per quanto riguarda le immagini bidimensionali, si può usufruire di uno scanner, strumento in grado di trasformare le informazioni di luminosità e saturazione in pixel3. Questo procedimento è anche detto quantizzazione, perché quantifica i valori analogici del colore in valori numerici da 0 a 255 sui canali RGB4. Nelle immagini rappresentate da dati informatici solitamente i punti riprodotti sono così piccoli e numerosi da non essere distinguibili ad occhio nudo e si fondono in un’unica immagine solo quando vengono stampati su carta o visualizzati su un monitor. Si parla quindi di risoluzione, ovvero la densità dei punti di immagine (dot) all’interno di una matrice visiva misurabile in dpi (dot per inch)5. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


Le immagini tridimensionali possono invece essere convertite in strutture statiche, voxel6, o in movimento, NURBS7, attraverso uno scanner 3D. La trasformazione di questi segnali analogici in una rappresentazione codificata comporta una differenza peculiare: mentre un’informazione analogica, una volta impressa su un supporto (carta, nastro magnetico) rimane indelebile, permanente e non modificabile, il corrispettivo numerico rimane, per natura, modificabile e scalabile. A tale libertà di manipolazione è seguìto lo sviluppo di linguaggi inediti sul piano culturale e visivo che hanno permesso la creazione di opere multimediali ed ipermediali dalla fusione di testi, audio, video ed animazioni, prevedendo anche un interessante grado d’interattività con l’utente. Una delle caratteristiche del segnale digitalizzato è l’omogeneità. Come afferma infatti Nicholas Negroponte: “Non esiste infatti differenza qualitativa tra un bit di colore e un bit che rappresenta un suono, in quanto qualsiasi sia l’input di partenza esso viene tradotto in una serie omogenea di valori binari.” (Negroponte, 1996)

6 Voxel (volumetric pixel o più precisamente volumetric picture element) elemento di volume che rappresenta un valore di intensità di segnale o di colore in uno spazio tridimensionale, analogamente al pixel che rappresenta un dato di un’immagine bidimensionale.

Questa grande versatilità è sicuramente uno dei punti di forza del digitale, che risulta essere in questo modo ampiamente adattabile e programmabile.

7 NURBS (Non Uniform Rational B-Splines) traducibile in B-Splines razionali non uniformi, una classe di curve geometriche utilizzate nella grafica tridimensionale per rappresentare curve e superfici.

Processo di digitalizzazione di un’immagine analogica.

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


1.2.2 Programmabilità La programmabilità è la capacità di un segnale digitale di evolversi e modificarsi in base alle diverse esigenze. Considerando le potenzialità e la semplicità del codice binario, si è sentita fin da subito l’esigenza di creare dei linguaggi di programmazione in grado di convertire la sequenza di valori o e 1 in istruzioni per i diversi dispositivi. L’interpretazione varia secondo molti fattori: la macchina, l’obiettivo, l’interazione con l’utente e il linguaggio. Quest’ultimo, in particolare, si è sviluppato fino a creare moltissime varianti che possono sembrare diverse tra loro, ma dal punto di vista della capacità computazionale sono tutte equivalenti; ovvero, un programma scritto in un certo linguaggio può sempre essere codificato con qualsiasi altro linguaggio. E allora ci si chiede il perché di questa molteplicità. Il fatto è che ogni linguaggio risulta più o meno adatto a secondo del tipo di applicazione che si vuole ottenere, mentre tutti i tentativi di creazione di un linguaggio unico standard hanno dato scarsi risultati. Questo perché ogni linguaggio possiede una caratteristica che lo rende più adatto ad un programma piuttosto che a un altro, un po’ come accade con le lingue naturali (italiano, inglese, ...) e le metalingue come l’esperanto,8 che sono rimaste nei fatti degli esperimenti di glottologia.

8 L’esperanto è una lingua artificiale sviluppata tra il 1872 e il 1887 dall’oftalmologo polacco Ludwik Lejzer Zamenhof, ed è di gran lunga la più conosciuta e utilizzata tra le Lingue Ausiliarie Internazionali (LAI).

Una classificazione generica dei linguaggi di programmazione li divide in basso livello e alto livello. I linguaggi di programmazione di basso livello, come il linguaggio macchina, permettono la connessione di una stringa di bit con un’operazione elementare. Essendo molto vicino alla logica del processore risulta essere molto lontano dal modo di ragionare dell’uomo e quindi poco adatto alla codifica di algoritmi più complessi. è per questo che sono nati i linguaggi di alto livello, con cui poter scrivere i programmi in grado di tradurre e convertire i file sorgente nelle corrispondenti istruzioni per il processore in linguaggio macchina. Il grande vantaggio dei linguaggi di alto livello, motivo del loro sviluppo e successo, è il fatto di essere indipendenti dal processore e dalla macchina su cui si sviluppa. In questo modo si ha una Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


maggiore portabilità delle applicazioni, in quanto è possibile utilizzare lo stesso sorgente su macchine differenti senza problemi di compatibilità. Una grande differenza la fa la scelta di rendere disponibile o meno al pubblico i sorgenti, e quindi si parla di codici aperti o codici chiusi a seconda che sia possibile o meno l’interazione e la modifica del codice anche da parte di terzi. Evoluzione della programmazione è l’automazione, che tenta di rimuovere l’intenzionalità umana ogni qual volta che il software esegue un’azione indicata nel programma. Da diverso tempo si progettano sistemi, come nel campo dell’intelligenza artificiale o della ricerca semantica, che tentano l’emulazione dell’intelligenza umana dando un significato ad ogni istruzione e al suo rispettivo risultato.

9 HTML (HyperText Markup Language), è il linguaggio utilizzato per descrivere i documenti ipertestuali disponibili online.

1.2.3 Modularità Altra importante caratteristica del prodotto digitale è la sua modularità. Gli elementi mediali, infatti, vengono assemblati in strutture di dimensioni più ampie, ma continuano a mantenere le loro identità originali. In questo modo possono essere combinati in strutture sempre più complesse senza però perdere la propria indipendenza. Un esempio chiaro ed efficace è il caso della pagina web HTML9. Essa riesce infatti a contenere immagini, testi, video, suoni ed interazioni che possono essere riorganizzati e collegati tra loro liberamente. Dall’idea di modulo reiterabile si passa conseguentemente al concetto di scalabilità, che si applica sia alla possibilità di variazione della dimensione senza perdita d’informazioni che avviene nei file vettoriali, sia alla capacità di un file digitale di contenere diversi livelli di dettaglio. Il principio di modularità si può descrivere anche attraverso la similitudine con una mappa. Se paragoniamo infatti un oggetto mediale a un territorio geografico, le diverse mappe riprodotte con scale differenti forniranno maggiori o minori particolari sulla sua struttura originale. Allo stesso modo un’immagine a tutto schermo visualizzerà una serie di dettagli che saranno esclusi nella sua versione iconica. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


1.2.4 Trasmissibilità e archiviabilità Tra le conseguenze della codifica numerica di un prodotto digitale possiamo riscontrare la trasmissibilità e l’archiviabilità.

Logo USB.

10 USB (Universal Serial Bus), standard di comunicazione seriale che consente di collegare diverse periferiche ad un computer. È stato progettato per consentire a più periferiche di essere connesse usando una sola interfaccia standardizzata ed un solo tipo di connettore, e per migliorare la funzionalità plug-and-play consentendo di collegare o scollegare i dispositivi senza dover riavviare il computer.

La trasmissibilità è la capacità di trasformazione dell’oggetto analogico in informazioni fedeli all’originale, in modo tale da mantenere l’esattezza del messaggio nonostante la possibilità infinita di copie che si possono produrre. Ad esempio, una volta che un suono è stato trasformato in una sequenza di numeri, esso può essere duplicato un’infinità di volte senza per questo perdere di consistenza e di fedeltà. La problematica prettamente morale e legale nata con lo sviluppo del digitale, fu teorizzata già nel 1936 dal filosofo tedesco Water Benjamin nel suo saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. Egli, infatti, s’interrogava sull’autenticità dell’opera d’arte con l’avvento delle nuove tecniche artistiche, quali la fotografia ed il cinema, e a modo suo spiegava come la facilità di realizzazione di copie indistinguibili dall’originale avrebbe portato alla “perdita dell’aura” dell’opera in sé. Stessa cosa avviene ora nella duplicazione digitale, che mantiene ancora irrisolta la questione. L’archiviabilità, invece, si riferisce alla possibilità di conservazione dell’informazione codificata su supporti fisici o digitali che consentono la registrazione, la conservazione e la rilettura dei dati. Tali dispositivi di memoria di massa utilizzano uno o più dischi magnetici per l’archiviazione dei dati e possono essere di tipo fisso, come l’Hard Disk interno al computer; rimovibile, come le pendrive e i dischi esterni che solitamente comunicano con la macchina attraverso una porta USB10 o come CD e DVD, che utilizzano l’apposito lettore. A questi si aggiungono i database (in italiano base di dati), archivi elettronici in grado di immagazzinare e organizzare grandi quantità di dati differenti. La loro potenzialità sta nella possibilità di stabilire delle connessioni tra gli elementi, in modo tale da creare dei collegamenti tra le diverse informazioni riutilizzabili successivamente in modo dinamico. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


1.2.5 Transcodifica Durante il processo di elaborazione digitale avviene un’altra integrazione: la fusione dell’aspetto numerico e quantitativo con quello più propriamente contenutistico. I due livelli s’intrecciano a un punto tale da determinare la nascita di una cultura ibrida, tra il modo tradizionale dell’uomo di percepire il mondo ed il modo in cui i computer lo rappresentano. Ogni informazione digitale si divide infatti in due livelli: un’organizzazione strutturale che ha senso per gli utenti, nel quale le immagini descrivono oggetti riconoscibili, i file di testo si compongono di frasi articolate e gli spazi virtuali vengono definiti attraverso il sistema degli assi cartesiani; e una struttura che segue gli schemi dell’archiviazione di dati tipica dei computer. Questa trasformazione appartiene quindi sia al piano culturale, attraverso il dialogo tra i diversi elementi semantici, dal contenuto alla qualità formale dell’immagine; sia al sistema informatico, attraverso il quale interagisce con altri file presenti sul computer comunicando caratteristiche puramente tecniche, quali la dimensione, il tipo di file, il tipo di compressione utilizzata, il formato, etc. Il livello culturale e il livello informatico fusi tra loro portano quindi a una ridefinizione dei modelli espressivi e comunicativi. Il digitale produce un’elaborazione profonda dei contenuti, tale da consentire una nuova concettualizzazione della comunicazione visiva in forme inedite e originali di tipo ipermediale. Sul piano culturale questo significa un sapere diffuso e partecipativo, modificabile in tempo reale dallo spettatore/attore, che influisce sull’andamento comportamentale e stilistico della società e permette il passaggio da ricezione passiva a partecipazione attiva (interazione).

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


1.3

Il linguaggio ipermediale

Il linguaggio ipermediale nasce dall’esperienza pionieristica del Memex (dalla contrazione di “memory extender”), una sorta di calcolatore analogico dotato di un sistema di archiviazione descritto dall’ingegnere statunitense Vannevar Bush nel suo saggio “As We May Think” (Come potremmo pensare) pubblicato su The Atlantic Monthly nel 1945. In realtà, tale intuizione risaliva già agli anni trenta quando Bush capì che la letteratura scientifica si stava espandendo a una velocità superiore rispetto alla capacità dell’uomo: “Nelle nostre attività professionali siamo ancora attaccati in modo piuttosto stretto a metodi di rivelare, trasmettere e recensire i risultati, che sono vecchi di generazioni ed oramai inadeguati per i loro scopi.” (Bush, 1945) Copertina del saggio “As We May Think” di V. Bush.

Disegno progettuale del Memex di V. Bush.

Ideò quindi una macchina a estensione della propria memoria, che risolveva il problema della gestione e della consultazione rapida di grandi quantità d’informazioni, fondando le basi dell’odierna ipertestualità e rispecchiando l’esigenza di un’organizzazione non lineare. Egli sapeva perfettamente che per le tecnologie dell’epoca non era realizzabile, ma questo non fermò la progettazione dettagliata di tale scrivania meccanizzata dotata di schermi traslucidi, una tastiera, set di bottoni e leve in grado di gestire un vasto archivio di testi e immagini. Il Memex presenta alcune delle caratteristiche principali dell’ipertesto: i collegamenti (link); il ruolo partecipativo dell’utente e la possibilità di sviluppare percorsi diversi a partire da uno stesso documento, tali da renderlo il precursore del personal computer e del World Wide Web. Sulla base di queste intuizioni Theodor Holm Nelson fondò nel 1960 il progetto Xanadu, con l’intento di creare un’interconnessione tra computer dotati di un’interfaccia utente molto semplice. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


Questo tentativo è documentato nei libri Dream Machines (Nelson, 1974) e Literary Machines (Nelson, 1981) e può essere spiegato e visualizzato attraverso il seguente grafico. Modello del principio di Xanadu.

Logo del progetto Xanadu.

Il documento si presenta come una lista di contenuti = FILE VIRTUALE

FILE VIRTUALE

ed è disponibile così come è richiesto dal lettore

SCRIVANIA = insieme dei contenuti disponibili sempre accessibili e collegati tra loro

Un nuovo documento viene inserito nella scrivania ed entra nel processo

Quest’esperienza permise a Nelson di coniare, nel 1965, il termine hypertext (ipertesto), dalla contrazione di hyper (dal greco “superiore”) e text (dal latino “trama, intreccio, tessere”), coinvolgendo nel significato ogni sistema di scrittura non lineare che utilizza l’informatica. Gli si attribuisce anche il primo utilizzo della parola “ipermedia”, nata dall’esigenza di indicare la fusione tra ipertesto e multimedialità dovuta all’inserimento di contenuti provenienti da media differenti e non più solo testo ed immagini. Il linguaggio ipermediale si è evoluto nel tempo fino a diventare indispensabile e basilare per moltissime tecnologie moderne, ma è rimasto sostanzialmente quello immaginato da Bush e Nelson, ovvero un insieme di blocchi di contenuto collegati digitalmente fra loro secondo una rete di connessioni semantiche non sequenziali. (Zeri, 2000)

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


1.4

I visionari

Se la tecnologia digitale si è sviluppata fino a quella che conosciamo oggi, è anche grazie a degli uomini visionari che in tempi non sospetti hanno saputo vedere e cogliere il futuro. Oltre ai già citati Vannevar Bush e Theodor Nelson bisogna parlare anche di altri pionieri informatici come Nicholas Negroponte, Alan Key e Steve Jobs. Nicholas Negroponte (1943)

Computing is not about computers any more. It is about living. L’informatica non riguarda più solo i computer. Si tratta di un modo di vivere.

11 One Laptop per Child http://one.laptop.org

12 MIT (Massachusetts Institute of Technology).

La citazione a lato descrive perfettamente lo spirito e la vocazione per l’evoluzione digitale di Negroponte. E come poteva non essere tale. Lui era presente quando l’IBM ha assemblato il primo personal computer e quando il Dipartimento della Difesa Americana investì in un sistema di comunicazione che permettesse un futuro ai superstiti in caso di attacco nucleare creando Internet. Fu l’unico a credere in una rivista d’avanguardia sull’attualità e la tecnologia, Wired, che ora è considerata una pietra miliare del settore. Ha creato nel 2005 l’associazione no profit One Laptop per Child11 perché crede fermamente che con un computer da 100 Dollari si possa diffondere l’istruzione e la libertà anche nei luoghi più remoti dell’Africa e dell’Asia, oltre a sostenere la causa per l’attribuzione del Nobel per la pace a Internet. (Negroponte, 2010) Già nel 1985, mentre lavorava al MIT,12 fondò insieme a Jerome Wiesner uno dei più prestigiosi laboratori d’innovazione al mondo: il MediaLab. Una sorta di Salon de Refusès dove raccogliere tutte le ricerche più valide nel campo multimediale che non riuscivano a trovare il loro posto nelle categorie più importanti del momento: dai sistemi operativi ai protocolli di rete, dai linguaggi di programmazione all’architettura di sistema. L’obiettivo del laboratorio era ideare, prevedere e realizzare i sistemi d’interfaccia uomo-macchina, in modo da facilitarne l’interazione. Di questi progetti, non tutti sono stati realizzati, ma hanno comunque influito su quello che è il design dell’interazione oggi. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


Molte delle sue intuizioni, tra cui la definizione del bit come la più piccola unità di misura dell’informazione digitale, sono raccolte nel libro Being Digital, pubblicato per la prima volta nel 1995 e in seguito tradotto in 25 lingue. Alan Curtis Kay (1940)

Don’t worry about what anybody else is going to do. The best way to predict the future is to invent it. Non preoccuparti di cosa sta per fare qualcun altro. Il miglior modo per predire il futuro è inventarlo.

Alan Kay è stato forse il più attivo tra i pionieri informatici. Non c’è strumento o linguaggio attuale, che non sia già stato pensato e realizzato da Kay quarant’anni fa. Negli anni ’70 entra a far parte del gruppo di ricercatori dello Xerox Palo Alto Research Center (PARC), un luogo speciale dove le migliori menti del tempo hanno potuto sperimentare e inventare buona parte delle tecnologie che utilizziamo ancora oggi, dal mouse al concetto di icona e finestra. È considerato il padre della programmazione orientata agli oggetti (OOP, Object Oriented Programming) per il suo impegno nella creazione del linguaggio Smalltalk, con il quale ha permesso l’interazione tra uomo e computer attraverso lo sviluppo delle prime interfacce grafiche. L’idea più visionaria di Alan Kay rimane però il Dynabook, ideato ancora nel 1968, e considerato l’antenato dei laptop e dei tablet. Egli concepì questo dispositivo come un personal computer interattivo e portatile, accessibile come un libro ed utile all’apprendimento dei bambini. (Rampersad, 1997)

Questa connotazione educativa lo ha spinto, infatti, a partecipare al progetto di Negroponte One Laptop per Child con il linguaggio open source Squeak, evoluzione del suo Smalltalk. Purtroppo era consapevole che le tecnologie dell’epoca non erano ancora pronte per uno strumento così elaborato, un po’ come accadde con il Memex di Vannevar Bush, ma questo non fermò i suoi studi e possiamo, in effetti, costatare come nel mercato odierno la sua intuizione si sia tramutata in un oggetto reale e indispensabile. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


La sua personale opinione su quanto è stato fatto in quegli anni e su quanto si fa oggi in ambito digitale rimane comunque molto critica: “Twenty years ago at PARC, I thought we would be way beyond where we are now. I was dissatisfied with what we did there. The irony is that today it looks pretty good. The result of our work is techniques for doing software in an interesting and more powerful way. That was back in the seventies. People today aren’t doing a lot of work to move programming to its next phase.” Venti anni fa al PARC, pensavo saremmo andati più avanti di dove siamo oggi. Ero poco soddisfatto di quello che stavamo facendo. L’ironia è che oggi sembra invece tutto fantastico. Il risultato del nostro lavoro è stato in pratica creare software in modo più interessante e potente. Questo negli anni ’70. La gente oggi non si sta impegnando molto per portare la programmazione a un livello più avanzato.

Progetto e foto del protipo del Dynabook di A. Kay (1968).

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


Steven Paul Jobs (1955-2011)

Stay hungry, stay foolish. Siate affamati, siate folli.

Apple Lisa (1983).

13 LISA (Local Integrated Software Architecture)

Uno dei personaggi più influenti ed importanti del mondo informatico è sicuramente lui: Steve Jobs, fondatore della Apple Inc. nel 1976. Le sue capacità imprenditoriali, oltre a quelle tecniche, hanno reso il marchio Apple un brand fondamentale dell’Information Technology distinguendosi dalla concorrenza per stile, design, qualità ed affidabilità. Quello che non tutti sanno è che Jobs non ha ricevuto un’illuminazione divina, ma egli stesso ammette di essersi ispirato agli studi che si stavano svolgendo allo Xerox PARC. Invitato insieme ad altri suoi dipendenti a visitare il centro di ricerca nel dicembre 1979, egli poté vedere i primi esperimenti di interfaccia grafica basati sul linguaggio Smalltalk di Alan Kay. Egli capì subito le potenzialità di questa metafora di utilizzo del computer e fu il primo a rendere reale quest’idea commercializzando nel 1983 il modello Apple Lisa,13 il primo computer con mouse e interfaccia a icone. “And they showed me really three things. But I was so blinded by the first one I didn’t even really see the other two. One of the things they showed me was object orienting programming they showed me that but I didn’t even see that. The other one they showed me was a networked computer system...they had over a hundred Alto computers all networked using email etc., etc., I didn’t even see that. I was so blinded by the first thing they showed me which was the graphical user interface. I thought it was the best thing I’d ever seen in my life. Now remember it was very flawed, what we saw was incomplete, they’d done a bunch of things wrong. But we didn’t know that at the time but still though they had the germ of the idea was there and they’d done it very well and within you know ten minutes it was obvious to me that all computers would work like this some day.” (Jobs, 1996) In realtà, mi fecero vedere tre cose. Ma ero così accecato dalla prima che non ho neanche visto le altre due. Una di queste era la programmazione orientata agli Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


oggetti, me l’hanno mostrata ma non l’ho neanche vista. L’altra era un sistema di computer in rete… avevano più di cento computer Alto, tutti collegati, che usavano email etc, ma non ho visto nemmeno questa. Ero talmente accecato dalla prima cosa che mi presentarono: l’interfaccia grafica. Ho pensato fosse la cosa migliore che avessi mai visto in vita mia. Ora ricordandola era piena di difetti, quello che vedemmo era incompleto, avevano fatto alcuni errori. Non lo sapevamo allora, nemmeno immaginato, ma ebbero il germe di un idea… Era lì, e l’avevano anche realizzata molto bene. E in circa dieci minuti per me fu ovvio che tutti i computer avrebbero funzionato così, un giorno.

La sua capacità visionaria non fu tanto nelle idee, ma nell’impegno che mise nel concretizzarle prima di altri. Seguirono, infatti, altri modelli e sistemi operativi sempre più all’avanguardia fino a uscire dal mercato dei computer per entrare in altri settori merceologici con l’iPod, l’iPhone e l’iPad, dettando ogni volta legge per i prodotti concorrenti. È proprio l’ultimo device a scatenare il dubbio che Steve Jobs non fosse il più grande inventore del nostro secolo, ma solo un bravissimo imprenditore in grado di recuperare le idee di più di quarant’anni fa. La somiglianza con il progetto del Dynabook di Alan Kay è, in effetti, impressionante.

L’unico modo per capire se davvero Jobs ha rubato l’idea di Kay è chiederlo direttamente a quest’ultimo e fortunatamente Wolfgang Gruener, un attento giornalista del Tom’s Hardware US, l’ha già fatto al posto nostro. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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Did Steve Jobs Steal The iPad? Genius Inventor Alan Kay Reveals All (Gruener, 2010)

Steve Jobs ha rubato l’iPad? Il geniale inventore Alan Kay rivela tutto

[…] Kay believes that computers can be much more powerful than most people can imagine today. A significant component of the Dynabook’s usage model was that its users would be able to easily develop simple applications.

[…] Kay crede che i computer potrebbero essere più potenti di quanto le persone possano immaginare oggi. Una caratteristica significativa del modo d’utilizzo del Dynabook era la possibilità per gli utenti di sviluppare facilmente delle semplici applicazioni.

[…] There is a clear difference between the Dynabook concept and what the iPad is today. If you look at the iPad and the Dynabook, the usage models could not be any different. You could even claim that the iPad is geared for passive computing, while the Dynabook represented an idea of active computing. The last thing you would want to do on an iPad is write your own software. You have the App Store, so why would you program anything?

[…] C’è una differenza chiara tra il concetto del Dynabook e quello che è l’iPad oggi. Se guardi ad entrambi, il modello d’utilizzo non potrebbe essere più diverso. Si potrebbe perfino affermare che l’iPad sia stato realizzato per un uso passivo, mentre il Dynabook rappresentava un’idea di uso attivo del computer. L’ultima cosa che vorresti fare con un iPad è scriverti da solo il software. Esiste l’Apple Store, perché dovresti programmare qualcosa?

[…] So, did the Dynabook influence Steve Jobs and the iPad? “Hard to imagine that it didn’t,” Kay said. “Of course,

[…] Quindi, il Dynabook ha influenzato Steve Jobs e l’iPad? “Difficile pensare che non l’abbia fatto” dice Kay “Sicuramente molte

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


many things in the multi-touch UI, page turning animations, etc. were first done by the group of my friend Nicholas Negroponte at MIT,” Kay said. “The idea of touch screen interaction also goes back to this community, both at PARC and Negroponte’s research group at MIT that invented a multi-touch tablet in the 70s.” So Kay and Jobs have a lasting relationship. There is a particularly interesting event between the two that relates to the iPhone and the iPad. “When Steve showed me the iPhone at its introduction a few years ago and asked me if ‘it was good enough to criticize,’ which is what I had said about the Mac in 1984, I held up my Moleskine notebook and said “make the screen at least 5”x8” and you will rule the world”. […] I asked Kay, of course, whether he felt that Jobs had stolen the idea for the iPad. Kay quickly denied such a thought. He actually enjoys the success Jobs has with this product and said credit has been given to all parties involved. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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cose come l’interfaccia multituoch, le animazioni delle pagine, ecc. sono state fatte prima dal gruppo del mio amico Nicholas Negroponte al MIT. Anche l’idea del touch screen appartiene a questo gruppo, tra il PARC e il MIT inventarono un tablet multi-touch già negli anni ‘70.” Il rapporto tra Kay e Jobs è quindi di lunga data. C’è una curiosità particolarmente interessante tra i due legata all’iPhone e all’iPad. “Quando Steve mi mostrò l’iPhone al suo lancio qualche anno fa e mi chiese se ‘era buono abbastanza da essere criticato’, cioè ciò che gli dissi a proposito del Mac nel 1984, ho preso il mio notebook Moleskine e dissi “fai lo schermo almeno 13 x 20 cm e detterai legge nel mondo”. […] Ovviamente, chiesi a Kay, se riteneva che Jobs avesse rubato l’idea per l’iPad. Kay fermò subito l’insinuazione. In realtà è contento del successo che Jobs ha ottenuto con questo prodotto e afferma che è stato dato credito a tutte le parti coinvolte. 1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


[…] Clearly, the idea of the Dynabook went far beyond what the iPad is today and it does not represent the vision of the Dynabook idea. In a way, Apple may have taken the best thoughts of the Dynabook and squeezed it into a marketable model and a scenario that fit into Apple’s business plan. No doubt, there has been a lot of brainwork to make the Dynabook work for Apple. However, the whole iPad release and Apple’s claim as an innovator just does not feel right. The iPad seems to be a typical Apple product and not quite the innovation it seems to be at first sight. […] I wonder: Is there an opportunity for Alan Kay’s Dynabook? An iPad with a Squeak implementation that enables any user to write his or her own applications, rather than resorting to purchasing an app?

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[…] Chiaramente, l’idea del Dynabook andava molto oltre quello che è l’iPad oggi tanto da non rappresentare la lungimiranza di quel progetto. In un certo senso, Apple ha probabilmente preso il meglio del Dynabook e l’ha compresso in un modello commercializzabile all’interno di un contesto che rientra nella strategia di business della Apple. Senza dubbi, ci si è dovuti spremere le meningi per cercare di rendere il Dynabook adatto ad Apple. Tuttavia, tutta la storia del rilascio dell’iPad e della proclamazione di Apple come innovatrice suona male. L’iPad dà l’impressione di essere il tipico prodotto Apple e non l’innovazione che poteva sembrare a prima vista. […] Mi chiedo: Esiste una possibilità per il Dynabook di Alan Kay? Un iPad con il linguaggio Squeak che permetta agli utenti di scrivere le proprie applicazioni, piuttosto che dover ripiegare sull’acquisto di una app?

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


1.5

Interfaccia grafica e interazione

Abbiamo visto come l’intuizione dell’utilizzo di un’interfaccia grafica per semplificare la comunicazione e l’interazione tra utente e macchina sia stata la scelta decisiva per rendere la tecnologia digitale accessibile a tutti, ma cosa s’intende per interfaccia? Nel senso più generale del termine, qualunque strumento che ci aiuti a interagire col mondo intorno a noi nel modo più ‘adatto’ alla nostra conformazione fisica e sensoriale, alle nostre abitudini e alle nostre convenzioni culturali e sociali – svolgendo dunque una funzione di mediazione fra noi e il mondo – può essere considerato un’interfaccia. Nell’ambito informatico l’interfaccia uomo-macchina ha attraversato tre fasi evolutive: da una visualizzazione complessa per righe di codice, all’introduzione di paradigmi visivi ed icone che interagiscono con sistemi di input quali il mouse e la tastiera, fino alla più moderna interfaccia naturale che permette un apprendimento più veloce delle gestualità necessarie alla comunicazione con device touchscreen.

CLI

codice

GUI

metafore WIMP

Screenshot di un’interfaccia a riga di comando con linguaggio DOS.

NUI

gesti OCGM

Command Line Interface (CLI) L’interfaccia a riga di comando deriva dai primi calcolatori, i quali non erano in grado di compiere alcuna elaborazione autonomamente ed avevano bisogno di un’interazione di tipo testuale, tramite tastiera, tra utente ed elaboratore. Attualmente un’interfaccia di tipo CLI si ottiene per mezzo di un programma che permette all’utente di interagire digitando opportuni comandi su un emulatore di terminale testuale ed è ancora molto diffusa per il controllo e la configurazione di dispositivi come router, switch e stampanti di rete, ma anche per connettere in remoto una rete di computer. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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Esempi di icone utilizzate per il cursore del mouse sullo schermo.

14 Termine coniato da Merzouga Wilberts nel 1980.

Graphic User Interface (GUI) L’interfaccia grafica, come siamo abituati ad intenderla, deriva invece dall’intuizione nata allo Xerox PARC e realizzata dal giovane Steve Jobs nel 1983 nel computer Apple Lisa. Essa rappresenta il paradigma visivo con il quale l’utente può dare istruzioni al computer o ad altri device attraverso immagini piuttosto che codici. Utilizza metafore semplici da comprendere che vengono poi tradotte in icone cliccabili, in sistemi di archiviazione tramite cartelle e in finestre che permettono di esplorarne il contenuto. Questo sistema viene anche chiamato WIMP14, acronimo di “Window, Icon, Menu e Pointing device” (in italiano “finestra, icona, menu e dispositivo di puntamento”) proprio perché questi quattro elementi rappresentano le basi dell’interfaccia grafica su qualsiasi sistema operativo e non solo, il termine è stato infatti esteso anche al mondo dei videogiochi. In ogni caso l’unico modo con cui l’utente può interagire con la macchina e con questo tipo di interfaccia è per mezzo di tastiera e mouse, attraverso i quali è possibile compiere azioni come cliccare, spostare, ingrandire in modo semplice e abbastanza intuitivo.

Natural User Interface (NUI) Infine, l’interfaccia che più di tutte rende i movimenti e l’interazione immediata e quasi scontata è quella naturale. Questo aggettivo evidenzia quanto sia facile apprendere questo nuovo linguaggio, tanto da diventarne esperti con poche e mirate istruzioni. Sfrutta le gestualità più comuni dell’agire quotidiano e rende l’interfaccia stessa praticamente invisibile. I comandi vengono dati attraverso movimenti del corpo dell’utente, in particolare gesti delle dita della mano che possono essere singoli o combinati. Si riferisce infatti a tutta la nuova generazione di dispositivi con display touchscreen, ma anche alle ultime piattaforme di gioco che sfruttano i sensori di movimento per rendere l’esperienza più completa e immersiva. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


Esempio di gesti e manipolazioni su schermo touchscreen.

Si passa quindi dal sistema WIMP a quello OCGM, acronimo di “Objects, Containers, Gestures e Manipulations” (in italiano “oggetti, contenitori, gesti e manipolazioni”). (George, 2009) Tale cambio di paradigma è stato annunciato da Ron George, un designer americano, che ha cercato di dare una spiegazione chiara, ma anche filosofica di questo mutamento. Gli “oggetti” rappresentano l’essenza dell’esperienza perchè diventano essi stessi l’interfaccia fisica o virtuale. I “contenitori” sono il raggruppamento di tali oggetti, che non devono per forza essere finestre o archivi gerarchici. I “gesti” e le “manipolazioni” riguardano, invece, i movimenti necessari a comunicare con il sistema. Nei primi l’azione indica l’inizio di una funzione ed è quindi indiretta perché necessita la risposta del dispositivo, nelle seconde l’influenza sull’oggetto o sul contenitore diventa diretta ed immediata. Tale differenziazione è fondamentale per la progettazione di un’interfaccia naturale in quanto i “gesti” sono i movimenti più intuitivi, semplici e legati al mondo delle metafore, mentre le “manipolazioni” sono più complesse ed hanno bisogno di essere apprese.

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


1.5.1 Storia dell’interazione Chiarite le diverse definizioni di interfaccia è utile osservare come le modalità di interazione si sono evolute nel tempo. Se si parla d’interazione tra l’uomo ed il mondo che lo circonda, i computer sono l’ultima cosa con cui si è dovuto interfacciare. Dagli utensili più comuni a quelli meccanici, il genere umano ha sempre dovuto trovare il modo di mettersi in relazione con gli strumenti che esso stesso creava e questo è avvenuto attraverso diverse fasi. (Rigamonti, 2011) L’era della manopola Negli anni ’20 - ’30, a seguito della rivoluzione industriale, la macchina industriale era al centro dell’attenzione e venivano costruite secondo l’esaltazione estetica tipica del periodo. Erano marchingegni enormi che potevano essere controllati dall’uomo solo attraverso delle manopole, che quindi permettevano solo ed unicamente la regolazione del compito che essa svolgeva. Modern Times, Charlie Chaplin (1936).

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L’era del pulsante Dagli anni ’40 - ’50 la situazione cambia e finalmente l’uomo torna ad essere al centro del sistema produttivo costruendo delle macchine di dimensione più umana. Si aggiunge anche una nuova funzionalità, quella del bottone, che quindi dà la possibilità di scelta tra due stati: acceso e spento, attivo e disattivo. Nasce in questo periodo il concetto di workdesk, ovvero della postazione di controllo alla quale hanno accesso i cosiddetti colletti bianchi, una nuova categoria di operai che non ha più bisogno di tute per non sporcarsi, ma al contrario può permettersi il lusso di una camicia bianca. La grande novità è che l’interazione uomo-macchina non avviene più solamente a lavoro, ma entra nelle case della gente con i primi elettrodomestici. Il design dell’interazione diventa fondamentale perchè non deve più comunicare solo con utenti tecnicamente preparati, ma anche con casalinghe e persone inesperte, che devono essere in grado di dare istruzioni complesse in modo semplice ed essenziale. Workstation ORACLE (anni ‘40).

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


L’era del “punta e clicca” È solo negli anni ’80, con l’introduzione dei personal computer e del mouse, che l’interazione diventa più completa, ma anche più complicata. Per questo nasce l’esigenza di un’interfaccia grafica, che approfitti di un sistema di metafore visive che rendano semplice la comunicazione con questa nuova macchina. Il design di tale interazione si sviluppa su tre livelli: la messa in pagina, legata all’aspetto estetico-grafico dell’interfaccia; la messa in forma, che si occupa dell’organizzazione funzionale, tramite l’utilizzo o meno di periferiche quali il mouse e la tastiera; e la messa in scena, che riguarda le azioni da compiere per fare in modo che “accada qualcosa”, un evento che si attivi in risposta ad un movimento come ad esempio cliccare, puntare, selezionare, trascinare, ecc. (Anceschi, 1993) Rimangono sempre presenti i precedenti paradigmi della manopola e dei bottoni, che diventano virtuali ed aiutano l’utente a mantenere una certa confidenza con le azioni che svolge in ambito digitale rispetto a quelle che fa fisicamente. A questo si aggiungono tutta una serie di movimenti che cercano di essere il più simili possibili a quelli quotidiani aiutati da un insieme di richiami visivi iconici che indirizzano l’utente verso la prossima mossa da fare. Primo prototipo di mouse realizzato da Douglas Engelbart presso lo e Stanford Research Institute (1963) a confronto con un mouse moderno.

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


L’era del gesto Con l’introduzione massiccia del touchscreen sui dispositivi mobili, tutto quello che prima veniva fatto con una periferica esterna, come il mouse o la tastiera, diventa gestibile con un semplice tocco. Per i nativi digitali sembra impossibile che un comando non si possa dare sfiorando lo schermo con un dito o agitando lo strumento, ma per tutti quelli che sono cresciuti con il concetto del punta e clicca, non è stato facile cambiare completamente modo di comportarsi davanti ad un nuovo device. È l’iPhone nel 2007 a permettere questo grande salto di paradigma, che cambia completamente il modo di utilizzare un telefono. Tutte le macchine iniziano a diventare sempre più dei terminali multimediali e non unici portatori di quella tal funzione: con un telefono posso ascoltare musica e fare foto, come con una TV digitale posso navigare su internet ed interagire veramente. Questo ha richiesto un nuovo e più profondo lavoro di ricerca per quanto riguarda le interfacce grafiche, che hanno dovuto reinterpretare il passato, ma permettere azioni sempre più libere e personali.

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


Come, infatti, si può vedere nell’abaco dell’interfaccia iPhone, i pulsanti sono fondamentali per la scelta di attivazione o disattivazione di una certa funzionalità, ma data la virtualità di tale gesto, in mancanza di un bottone fisico da poter cliccare, questo deve essere simulato graficamente con molta cura. Elementi per l’interfaccia grafica dell’iPhone.

È un chiaro esempio di interfaccia naturale, perchè simula pulsanti e regolatori con cui l’utente ha già familiarità nell’ambito fisico per indurlo a compiere dei gesti studiati per dare quella determinata istruzione al dispositivo. Un esempio evidente è l’idea promossa da Apple di ingrandire un’immagine semplicemente con il gesto di due dita che allontanandosi dal centro compiono un movimento talmente banale ed ovvio da non avere bisogno di spiegazioni.

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


1.5.2 La metafora della scrivania Un modo per capire l’evoluzione dell’interfaccia grafica nella storia è osservare com’è cambiata graficamente la metafora della scrivania nei diversi sistemi operativi. Il desktop è stato reinterpretato dalle diverse case produttrici a seconda del target e dell’esperienza grafica del momento, dalla prima versione in bianco e nero realizzata da Steve Jobs per il computer Apple Lisa nel 1983 alla più attuale legata ai tablet e gli smartphone. Di seguito alcuni esempi.

Apple Lisa

Xerox Star

1983

1985

Amiga Workbench

Apple GS/OS desktop

Windows 3.11

1985

1986

1993

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


Windows 95

Windows XP

Mac OS X 10.3 “Panther”

1995

2001

2003

Windows Vista

Mac OS X 10.5 “Leopard”

Apple iPhone

2006

2007

2007

Windows 7

Apple iPad

Mac OS X 10.7 “Lion”

2009

2010

2011

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1. LE ORIGINI DEL DIGITALE


2. L’EDITORIA DIGITALE

Il digitale rende la convergenza non solo possibile, ma inevitabile. Brian O’Leary

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2. L’EDITORIA DIGITALE

2.1 La quarta rivoluzione: dal libro all’eBook

La realtà in cui viviamo si basa, per molti aspetti, sulla scrittura. Dal libro sacro delle religioni monoteiste al testo scolastico, dal libro contabile all’editoria tradizionale, il “libro” è un elemento onnipresente nella nostra società. Da quando, nel 1455, Johann Gutenberg inventò la stampa a caratteri mobili, la diffusione del testo scritto si è ampliata in modo esponenziale, sfruttando un supporto che è diventato familiare e alla portata di tutti. Il libro è considerato un mezzo di comunicazione perfetto. (Laconi, 2010) La sua fisicità e la libertà che lascia al lettore di decidere quando leggerlo e come utilizzarlo, lo rende uno strumento di potere sotto il nostro controllo. Una fisiologica trasformazione è avvenuta nei secoli con il miglioramento delle tecniche di stampa e l’introduzione del computer, ma mai come adesso l’editoria sta cambiando forma, diventando completamente digitale. “La pagina è sostituita dallo schermo, i caratteri stampati si trasformano in bit. E il libro – o almeno, il libro al quale siamo abituati – sembra minacciato su più fronti.” (Roncaglia, 2010) L’ipertestualità si sostituisce alla scrittura lineare, l’introduzione di nuovi media cambia completamente le abitudini e le gestualità del lettore. Nascono nuovi canali di distribuzione e archiviazione, differenti modalità di gestione dei guadagni e problemi di protezione dei diritti d’autore, sono richieste nuove professionalità e competenze ben diverse da quelle coinvolte nell’editoria classica. La rivoluzione che viviamo ai giorni nostri è, con ogni evidenza, più radicale di quella di Gutenberg, in quanto non modifica solo la tecnica di riproduzione del testo, ma anche le strutture e le forme stesse del supporto che lo comunica ai lettori. (Chartier, 1999) Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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2. L’EDITORIA DIGITALE


Se analizziamo le tappe evolutive della divulgazione dell’informazione, possiamo indicare come prima grande rivoluzione il passaggio da comunicazione orale a scritta, con la creazione dell’alfabeto. Successivamente, la trasformazione del supporto da rotolo a libro provocò un cambiamento importante nella produzione e diffusione del testo scritto, alla quale seguì l’intuizione geniale del tipografo di Magonza, che con i caratteri mobili sconvolse completamente il mondo della stampa. Possiamo quindi definire quella odierna come la quarta rivoluzione (Roncaglia, 2010) che interessa il mondo della testualità e nella quale è ancora difficile orientarsi. È necessario cambiare linguaggio e riconsiderare l’intero progetto, introducendo e approfondendo tutte le caratteristiche tecniche legate al mondo digitale.

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2. L’EDITORIA DIGITALE


2.2

Cronologia dell’editoria digitale

1968

Alan Kay progetta, ma non realizza, il Dynabook: l’antenato dei laptop e dei tablet.

1971

È l’anno simbolo per la nascita dell’eBook. Il 4 luglio 1971 Michael Stern Hart, un giovane studente dell’Università dell’Illinois, digitalizza la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, realizzando il primo testo digitalizzato scaricabile su Internet. Intuisce le potenzialità dell’editoria digitale e sceglie di utilizzare questa tecnologia per diffondere il patrimonio culturale dell’umanità lanciando il Progetto Gutenberg*, la biblioteca digitale che distribuisce gratuitamente opere letterarie di domino pubblico in forma elettronica. * Cosa direbbe Gutenberg?

http://www.gutenberg.org

Per quanto l’editoria digitale sia il superamento dell’idea di stampa inventato da Gutenberg, il suo nome ricorre anche nel primo grande progetto di diffusione della letteratura attraverso la digitalizzazione dei testi. Il Progetto Gutenberg nasce nel 1971 dalla volontà di Michael S. Hart di realizzare una biblioteca digitale di libri liberamente consultabili. Superando i limiti legati alla distribuzione e la riproduzione di testi cartacei, il progetto crede nel connubio tra eBook ed Internet per diffondere in tutto il mondo l’eredità letteraria che ci appartiene, con l’obiettivo di “rompere le barriere dell’ignoranza e dell’analfabetismo”. Gestito da migliaia di volontari, oggi conta 36 000 eBook, soprattutto in lingua inglese, pronti per essere scaricati su PC, eReader, iPad o altri device, a seconda dei formati disponibili: ePub, Kindle, HTML o normale testo formattato. Tutti i testi sono distribuiti gratuitamente e non è necessaria nessuna registrazione, anche se sul sito è possibile fare una piccola donazione per supportare il progetto. La maggior parte dei titoli è riutilizzabile senza restrizioni perché libera da copyright secondo le normative in vigore negli Stati Uniti. È necessario però controllare che non sia ancora protetto in altri Stati e quindi gestirlo di conseguenza. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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2. L’EDITORIA DIGITALE


1981

Dick Brass (Dictronics Publishing Inc.) sviluppa il primo software che darà vita a un dizionario elettronico: nasce la prima enciclopedia elettronica, la Random House Electronic Thesaurus.

1987

Viene pubblicato e distribuito su floppy dalla Eastgate Systems il primo romanzo ipertestuale tratto dal libro di Michael Joyce “Afternoon”. Il romanzo, realizzato tramite l’uso di collegamenti ipertestuali, era caratterizzato da una struttura non lineare.

M. Joyce, “Afternoon” (screenshot)

1993

Incipit

Franco Crugnola e Isabella Rigamonti progettano e realizzano, per la loro tesi di laurea al Politecnico di Milano, uno tra i primi eBook reader e lo chiamano Incipit. Apple presenta il suo primo modello di palmare: Newton Message Pad. Adobe lancia il formato PDF (Portable Document Format).

Apple Newton Message Pad

1994 Logo progetto Manuzio

1995

Digital Book offre 50 libri digitali su floppy disk in formato DBF (dBASE Format).

Liber Liber, una ONLUS italiana che promuove il libero accesso alla cultura, fonda il Progetto Manuzio, la prima biblioteca digitale in lingua italiana ispirata al progetto Gutenberg. http://www.liberliber.it/progetti/manuzio/index.htm

Amazon inizia la vendita di libri fisici via Internet.

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2. L’EDITORIA DIGITALE


1996

Joe Jacobson inventa la nuova tecnologia e-ink o e-paper. Fonda la società E-Ink, che negli anni successivi diverrà leader di settore nella produzione di schermi a inchiostro elettronico. Il Progetto Gutenberg supera i mille titoli.

1998

NuvoMedia Rocket Ebook

NuvoMedia SoftBook

Kim Blagg ottiene il primo codice ISBN per un eBook ed inizia la vendita di libri multimediali via amazon.com, bn.com e borders.com La NuvoMedia lancia sul mercato la prima generazione di eBook reader: Rocket Ebook e SoftBook. Si tratta dei primi lettori portatili con schermo touchscreen con tecnologia LCD retroilluminata, capaci di scaricare eBook direttamente da librerie online attraverso un modem interno che permette la connessione a Internet. Cominciano a proliferare siti di vendita di eBook in lingua inglese, come eReader.com e eReads.com

1999

Dal National Instituite of Standard and Technology (NIST), nasce l’OpenBook Forum, un’organizzazione internazionale che vede riuniti i principali editori, autori, produttori hardware e software, utenti e associazioni. Gli obiettivi comuni sono quelli di stabilire le specifiche e gli standard per l’editoria elettronica; sviluppare cioè delle specifiche comuni per tutti i sistemi stabilendo unformato standard per la conversione di testi in formato digitale. Microsoft e Mondadori firmano un accordo per la futura realizzazione congiuntadell’eBook in Italia.

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2000 S. King, “Riding the Bullet - Passaggio per il nulla”

2001

Prima fra le università italiane, dall’aprile 2001 l’Università della Tuscia avvia la sperimentazione del formato eBook come strumento per la pubblicazione di testi legati alla didattica, alla ricerca, alla vita universitaria, ma anche a collaborazioni con altri enti e istituzioni culturali.

2004

Google lancia il progetto Google Book Search, che permette la ricerca nel testo di libri digitalizzati. Quando il volume non é protetto da copyright é possibile scaricare l’intero PDF, mentre in caso contrario, a seconda degli accordi con l’editore, é possibile vedere l’anteprima di alcune pagine.

2005

Amazon acquista Mobipocket, una compagnia francese di programmi di lettura di eBook per diversi supporti.

2006

Sony lancia il suo Sony Reader con tecnologia e-ink. Il primo eBook reader con schermo e-ink messo in commercio in Europa è iLiad, progetto di iRex Tecnologies, una derivazione della Philips.

Sony Reader

2007 Amazon Kindle 1

L’eBook conosce il suo primo periodo di grande popolarità grazie a Stephen King, che pubblica un romanzo multimediale “Riding the Bullet - Passaggio per il nulla” in forma esclusiva su Internet a soli 2.50$. In solo quarantott’ore il libro fu scaricato da cinquecentomila utenti.

Amazon lancia il proprio eReader Kindle negli Stati Uniti. Bookeen lancia il lettore Cybook Gen3 in Europa.

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2008

Sony Reader PRS-505

Adobe e Sony raggiungono un accordo per la condivisione delle loro tecnologie legate agli eReader e alla protezione dei diritti d’autore DRM (Digital Rights Management). Sony lancia il Sony Reader PRS-505 in Francia e Inghilterra. BooksOnBoard inizia la vendita di eBook per iPhone.

2009 Amazon Kindle 2 e Kindle DX

Amazon lancia il Kindle 2 ed il Kindle DX negli USA. L’integrazione tra l’eBook store di Amazon ed il Kindle ha permesso ad Amazon di coprire il 60% delle vendite di eBook alla fine del 2009. Barnes & Noble lancia il lettore Nook negli USA.

Barnes & Noble Nook

2010 Amazon Kindle DX International Edition

Bookeen Cybook Orizon

Bookboon.com raggiunge la cifra di dieci milioni di download di eBook gratuiti in un anno.

Amazon lancia il Kindle DX International Edition. Bookeen presenta il Cybook Orizon al Consumer Electronics Show. Apple lancia il tablet iPad, un dispositivo multifunzione utilizzabile anche come eReader. Contemporaneamente annuncia un accordo con i cinque maggiori editori in lingua inglese, che permette ad Apple di iniziare la vendita su larga scala di eBook mediante l’iBookstore, in aperta concorrenza con Amazon e Barnes & Noble. Google annuncia un nuovo servizio di vendita eBook online (Google Editions), in concorrenza con Amazon, Barnes & Noble e Apple.

Apple iPad

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... (2010)

TIM lancia BibletStore, un servizio di vendita di eBook online che raggruppa i maggiori editori italiani, e Biblet, un eReader comprensivo di connessione 3G gratuita verso BibletStore. Samsung Galaxy Tab 7.0

Sulla scia di Stealth, la prima piattaforma di distribuzione eBook italiana, sorgono BookRepublic, Edigita, Biblet e una costellazione di eBookstore di libri elettronici in italiano. Samsung lancia la serie di tablet Galaxy Tab.

2011

Apple iPad 2

Samsung Galaxy Tab 10

L’Association of American Publishers rende noto che nel febbraio del 2011 per la prima volta il formato più venduto è stato quello basato su eBook. (Association of American Publishers, 2011) Apple lancia l’iPad 2. Samsung lancia la versione 10 e 10.1 del Galaxy Tab con sistema operativo Android, che può essere considerato il primo vero concorrente dell’iPad. Amazon espande il proprio mercato e lancia il suo primo tablet Kindle Fire.

Amazon Kindle Fire

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2.3

eBook o Digital Magazine?

La definizione concreta di eBook non è ancora unica e condivisa. Quello che è certo è che il nome deriva dalla contrazione delle parole inglesi “electronic book” e, da un punto di vista letterale, può indicare la versione digitale di un libro. Ci sono però ancora molti aspetti da chiarire e ambiguità da risolvere. Innanzitutto la confusione nata dall’uso indiscriminato del termine “eBook” per indicare sia i contenuti, sia i software, sia gli hardware relativi al nuovo medium. (Francia, 2007) In ogni caso esistono delle definizioni (Subba Rao, 2004) più autorevoli di altre come: eBook is a term used to describe a text analogous to a book that is in digital form to be displayed on a computer screen. − Cox and Mohammed, 2001 eBook è il termine utilizzato per descrivere un testo simile ad un libro che si presenta in forma digitale e può essere visualizzato sullo schermo di un computer.

eBooks could expand over print media by adding hypertext links, search and cross reference functions and multimedia. − Hi - Tech dictionary Gli eBook spaziano oltre la stampa, aggiungendo collegamenti ipertestuali, ricerche, funzioni di riferimento e diversi media.

An eBook is digital reading material that one views on a desktop or notebook computer or on a dedicated, portable device with a large storage capacity and the ability to download new titles through a network connection. − Adobe Systems, 2001 Gli eBook sono materiale di lettura digitale che possono essere visionati su un computer fisso, portatile o dedicato, un supporto mobile con un ampia capacità di archiviazione e la possibilità di scaricare nuovi titoli attraverso la connessione ad un network.

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Riassumendo le posizioni sopra indicate, possiamo definire l’eBook come un testo elettronico, nato con questa forma o successivamente digitalizzato, che mantiene la conformazione tipica del libro, ma sfrutta le caratteristiche di multimedialità e interattività proprie del medium che lo ospita. Si lega a uno specifico sistema di fruizione, con software o hardware dedicati, è fruibile attraverso uno schermo e prevede dinamiche di distribuzione legate alle politiche di download di Internet o delle case editrici proprietarie. Un altro elemento di confusione è causato dall’ambiguità tra eBook, Digital Magazine e PDF interattivo. (Elli, 2011) Si parla di eBook nel caso di libri elettronici prevalentemnete in formato ePub (Electronic Publication).15 Gli ePub possono contenere testo, immagini, animazioni, hyperlink a pagine web, audio e video e possono essere visualizzati su iPad o altri tablet secondo le limitazioni del supporto (il primo Kindle, ad esempio, non prevede la visualizzazione di immagini a colori o la riproduzione di suoni e video). Nonostante le possibilità multimediali, è spesso diffuso come semplice testo di lettura per eBook reader, dove le parole sono definite dalla tecnologia e-ink, studiata appositamente per agevolare la leggibilità su schermo. In ogni caso è necessario installare un programma compatibile con la propria piattaforma (Windows, Linux, Mac, eBook reader, iPad, iPod, smartphone) chiamato genericamente “Reader”. Tra i più diffusi: Adobe Digital Editions, FB Reader, iBooks (per iPad, iPhone).

15 ePub è uno standard aperto basato su xHTML (Extensible Hypertext Markup Language), per il quale esistono strumenti software di authoring, composizione e lettura su tutte le piattaforme, da Windows a Linux passando per OS X.

Completamente diverso è invece il Digital Magazine, una vera e propria applicazione (App) per le piattaforme iOS (iPad, iPhone), Android e PlayBook (Blackberry). La differenza sostanziale è nella natura stessa del prodotto ed è legata al modo di utilizzo del tablet. Essendo pensato per lettori di device mobili e non per PC, non si parla di clic o passaggio del mouse per attivare e navigare i contenuti, ma di movimenti delle dita: un “tap” equivale a un clic del mouse. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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Inoltre nel Digital Magazine si parla di pagina multilivello, dove non tutto è presentato a prima vista nella pagina, ma ci sono elementi nascosti o in pausa, come audio e video, che possono essere attivati solamente attraverso l’interazione dell’utente con l’interfaccia grafica touchpad a disposizione. La maggior parte dei Digital Magazine sono acquistabili e scaricabili dalle più note piattaforme di distribuzione delle applicazioni come AppStore, Android Market, BlackBerry App World o direttamente dai siti degli editori. Meno nobile, ma molto utilizzato, è infine l’eBook come PDF interattivo, che deve la sua larga diffusione alla possibilità di essere davvero crossmediale, ovvero la possibilità di lettura su praticamente tutti i device senza troppi problemi di compatibilità di software e/o piattaforma. Nonostante il legame con il tradizionale PDF (Portable Document Format) questa tipologia può includere anche contenuti multimediali quali filmati, clip audio e pulsanti interattivi, ma non riesce a sfruttare a pieno le potenzialità d’interazione con l’utente, come invece accade in un Digital Magazine.

eBook

Digtal Magazine

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PDF interattivo

2. L’EDITORIA DIGITALE


2.4

eBook reader o tablet?

Dopo aver chiarito il termine eBook e le diverse alternative esistenti, è necessario approfondire anche il campo dei supporti di lettura mobile o più comunemente chiamati eBook reader. Questo termine può essere utilizzato per indicare sia il dispositivo, che può essere un personal computer, un tablet o un palmare, sia il software legato alla consultazione e alla lettura degli eBook. Una differenza sostanziale la pone la tecnologia e-ink,16 che migliora la leggibilità e la risoluzione del testo attraverso uno schermo non retroilluminato che emula la stampa dell’inchiostro sulla carta senza affaticare l’occhio del lettore.

16 E-ink o e-paper, è una tecnologia di display progettata per imitare l’aspetto dell’inchiostro su un normale foglio. A differenza di un normale schermo, che usa una luce posteriore al display per illuminare i pixel, l’e-paper riflette la luce ambientale come un foglio di carta. Questa tecnologia è stata inventata nel 1996 da Joe Jacobson, fondatore di E-Ink, ed è attualmente la tecnologia più utilizzata dagli eBook reader.

L’oggetto che conosciamo noi oggi è frutto dell’evoluzione dell’idea avveniristica del Memex di Vannevar Bush del 1945 e delle intuizioni di Alan Kay che progettò, ma non realizzò, il Dynabook nel 1968. Tra i primi esperimenti troviamo nel 1993 “Incipit”, un progetto italiano realizzato da Franco Crugnola e Isabella Rigamonti per la loro Tesi di Laurea al Politecnico di Milano. Si trattava di una lavagnetta dalla forma arrotondata con un ampio schermo, dei pulsanti di comando per navigare tra le pagine e un ingresso per floppy o CD-ROM. Purtroppo le due grandi aziende a cui era stato proposto, tra cui Microsoft, non ne capirono la portata commerciale e lo rifiutarono, tanto che i creatori decisero di non brevettarlo. (Pianetaebook.com, 2011) Lo stesso anno, Apple lanciò il primo modello della famiglia Newton, creando da zero un nuovo mercato e in anticipo su tutti commercializzò il primo vero “palmare”, concetto coniato dall’amministratore delegato di Apple, John Sculley, nel 1992 in una conferenza stampa presso la fiera dell’informatica Consumer Electronics Show di Las Vegas. Il Newton Message Pad era uno strumento avanzato e dotato di una serie di programmi che gli permettevano di interagire con il sistema operativo esistente sui computer Mac. La causa del suo insuccesso non fu il prezzo, dai 999 ai 799 dollari. A minare la sua credibilità ci hanno pensato la complessità dello strumento e il mancato riconoscimento Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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2. L’EDITORIA DIGITALE


della scrittura, da loro stessi pubblicizzato. Nonostante i successivi miglioramenti, la fiducia riposta in questo nuovo mezzo era stata ormai disattesa e ad Apple non rimase che chiudere il progetto. La vera nascita degli eBook reader risale quindi al 1996, anno in cui Joe Jacobson formulò la tecnologia e-ink e stabilì un modello da imitare. A questo punto è necessario fare una distinzione tra eBook reader e tablet. I tablet sono dispositivi poliedrici, interattivi e multimediali, nati per prolungare l’esperienza di uso del computer quando si è lontani dalla scrivania o in movimento. Tale esigenza è nata con l’arrivo del primo iPad Apple, che ha saputo creare il proprio mercato anche grazie alle diverse applicazioni aggiuntive che lo rendono unico e versatile. Con un tablet si può anche leggere un eBook scaricato appositamente per quella edizione, ma avendo uno schermo retroilluminato (LCD) è sconsigliato per la lettura di testi lunghi. Al contrario un eBook reader è principalmente un dispositivo di lettura con tecnologia e-ink. Contiene solo le funzioni legate alla gestione del libro digitale: girare pagina, ingrandire il testo, sottolineare, fare annotazioni e, oltre ad essere più semplice ed immediato, risulta anche più leggero e meno ingombrante. In entrambi i casi gli eBook possono essere acquistati online negli appositi canali di distribuzione.

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Il mercato Il mercato degli eReader sta attraversando un periodo di grande espansione. Considerando i numeri dell’ultimo biennio con quasi 18 milioni di eReader e tablet comprati nel 2010 e 25 milioni di device acquistati entro la metà del 2011, gli analisti tendono a prevedere che nel 2015 il mercato si espanderà a quasi 300 milioni di apparecchi venduti. Tra tutte le case produttrici spicca il colosso Amazon che con la serie Kindle detiene la fetta più grande del mercato degli eReader.17 Nel settore tablet, invece, la concorrenza è aperta. Dal recente tentativo di espansione di Amazon con il Kindle Fire ai nuovi dispostivi con sistema operativo Android marcati Sony, Samsung e Barnes & Noble, solo per citarne alcuni, tutti devono confrontarsi con l’iPad della Apple, che continua a dettar legge sia dal punto di vista commerciale sia sotto l’aspetto grafico e interattivo. Quello che ci prospetta il futuro degli eReader è però la nascita di display ibridi in grado di fondere le caratteristiche della tecnologia e-ink di lettura non affaticante a quelle dello schermo LCD ad alta risoluzione e chissà che questo non si applichi anche ai tablet, dove il campo dell’editoria digitale sta avendo sempre più successo. Un obiettivo importante da raggiungere, ma che al momento sembra non essere nelle intenzioni delle aziende produttrici, è l’individuazione di uno standard riguardo alle dimensioni e la risoluzione dello schermo, in modo tale da aiutare gli editori a creare un prodotto unico di facile diffusione sul maggior numero di device. Per questioni di business questo ancora non è possibile, ma se da un lato chi realizza gli eBook si trova ad affrontare scelte importanti legate a formati e sistemi di protezione che potrebbero pregiudicare la sua distribuzione, dall’altro l’utente è ancora in grado di scegliere il modello più congeniale da una vasta gamma di prodotti. 17 Technology Research | Gartner Inc. (2011).

Di seguito alcuni degli esempi più rappresentativi dei dispositivi in commercio. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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eReader

Kindle 3 (Kindle Keyboard) Produttore: Amazon Risoluzione: 600 x 800 pixel a 167 ppi (pixel per pollice) Schermo: 6” (diagonale) − tecnologia E-ink “Pearl” Dimensioni: mm 190 x 123 x 8.5 Peso: 241 gr Connessione: WiFi

Kindle 4 (Kindle Touch) Produttore: Amazon Risoluzione: 600 x 800 pixel a 167 ppi, 16 sfumature di grigio Schermo: 6” (diagonale) − tecnologia E-ink “Pearl” Dimensioni: mm 166 x 114 x 8.7 Peso: 170 gr Connessione: WiFi

Nook Touch Produttore: Barnes & Noble Risoluzione: 600 x 800 pixel a 167 ppi, 16 sfumature di grigio Schermo: 6” (diagonale) − tecnologia E-ink “Pearl” Dimensioni: mm 165 x 127 x 11.1 Peso: 212 gr Connessione: WiFi Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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Cybook Orizon Produttore: Bookeen Risoluzione: 600 x 800 pixel a 167 ppi Schermo: 6” (diagonale) − tecnologia SiPix ePaper Dimensioni: mm 189.8 x 125.7 x 7.6 Peso: 245 gr Connessione: WiFi

Sony PRS T1 Produttore: Sony Risoluzione: 600 x 800 pixel a 167 ppi, 16 sfumature di grigio Schermo: 6” (diagonale) − tecnologia E-ink “Pearl” Dimensioni: mm 173 x 110 x 8.9 Peso: 168 gr Connessione: WiFi

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Tablet

iPad

iPad 2 Produttore: Apple Risoluzione: 1024 x 768 pixel a 132 ppi Schermo: 9,7” (diagonale) − multi-touch widescreen lucido

retroilluminato LED con tecnologia IPS Dimensioni: mm 241.2 x 185.7 x 8.8 Peso: 613 gr Connessione: WiFi + 3G Sistema operativo: Apple iOS 5 Mercato di riferimento: Apple Store

Kindle Fire Produttore: Amazon Risoluzione: 1024×600 a 169 ppi Schermo: 7” (diagonale) − multi-touch widescreen lucido retroilluminato LED con tecnologia IPS Dimensioni: mm 190 x 120 x 11.4 Peso: 413 gr Connessione: WiFi + 3G Sistema operativo: Android 2.3 Gingerbread Mercato di riferimento: Amazon Appstore

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Sony Tablet S Produttore: Sony Risoluzione: 1280 x 800 a 161 ppi Schermo: 9,4” (diagonale) − multi-touch LCD TFT a colori Dimensioni: mm 241.2 x 174.3 x 10.1 Peso: 598 gr Connessione: WiFi + 3G Sistema operativo: Android 3.2 Honeycomb Mercato di riferimento: Android Market

Samsung Galaxy Tab 10.1 Produttore: Samsung Risoluzione: 1280 x 800 a 149 ppi Schermo: 10.1” (diagonale) widescreen − multi-touch LCD TFT WXGA Dimensioni: mm 256.7 x 175.3 x 8.6 Peso: 565 gr Connessione: WiFi + 3G Sistema operativo: Android 3.2 Honeycomb Mercato di riferimento: Android Market

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2.5

Logo DRM Digital Rights Managment.

DRM (Digital Rights Management)

Fino ai primi anni ’90 l’associazione formato-supporto risultava immediata e scontata. Il testo si declinava in un libro o giornale fisico, l’audio in cassette, CD o radio e il video in televisione, cinema o videocassette. In ogni caso l’unica forma di duplicazione possibile avveniva mediante un procedimento di tipo analogico, che però comportava una perdita di qualità tale da limitare e disincentivare il fenomeno della pirateria. Tutto è cambiato quando i contenuti sono diventati completamente digitali e quindi per propria natura facili da replicare in copie identiche all’originale. Con Internet, poi, si è semplificato il processo di distribuzione e, se da una parte ha sviluppato nuove opportunità di profitto, dall’altra ha incrementato esponenzialmente il numero di copie illegali in circolazione. Come scrive Alessandro Scintu nella relazione DRM, Digital Rights Management: “L’introduzione del digitale e di Internet ha causato notevoli cambiamenti nel mondo di autori, editori e broadcaster e più in generale nel mondo multimediale, creando un nuovo paradigma commerciale e di utilizzo: da distribuzione e vendita di beni tangibili a distribuzione e licenza d’uso di beni intangibili, ossia ciò che deve essere commercializzato non è più la copia dell’opera, bensì il diritto d’accesso all’opera stessa.” (Scintu, 2006) Tali cambiamenti resero necessaria una nuova politica di tutela dei diritti delle varie figure presenti nella nuova catena di distribuzione dell’opera digitale. La tecnologia ha cercato fin da subito di introdurre accorgimenti che rendessero difficile o di scarsa qualità la copia pirata, ma è servito un vero cambiamento d’approccio per capire che la modalità più efficace riguardava l’accesso al contenuto. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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2. L’EDITORIA DIGITALE


È in questo contesto che sono nate le tecnologie di Digital Rights Management (DRM). In ambito informatico l’acronimo DRM può essere interpretato in due modi differenti: sia come l’insieme delle tecnologie software e hardware per la “gestione dei diritti digitali” (Digital Management of Rights) mediante la cifratura dei contenuti e la distribuzione a pagamento o gratuita delle chiavi di apertura, al fine di proteggere i contenuti da eventuali accessi illegali; sia come il sistema di “amministrazione digitale dei diritti”, che quindi non si limita agli aspetti di sicurezza, ma sovrintende la descrizione, l’identificazione, la distribuzione, la protezione e la tracciatura di tutte le forme di cessione del diritto d’uso di uno specifico contenuto. (Definizione adottata dal W3C - World Wide Web Consortium). I DRM sono anche chiamati “filigrana digitale”, in quanto le informazioni nascoste che vengono aggiunte ai file, hanno lo scopo di regolamentarne l’utilizzo come la filigrana delle banconote ne impedisce la falsificazione. Come tutti i metodi di protezione, però, anche quelli utilizzati nei sistemi di DRM non sono assolutamente inviolabili. Qualunque sia la tecnologia utilizzata, bisogna considerare due aspetti nel calcolare la robustezza di un sistema di DRM: la resistenza nel tempo, che deve avere una durata tendenzialmente uguale all’obsolescenza sul mercato del prodotto da proteggere. il costo della protezione, che deve essere proporzionato al valore del bene da proteggere dal punto di vista del produttore, non dell’acquirente. Affinché sia efficace, un sistema per la gestione dei diritti non deve semplicemente replicare le tradizionali modalità distributive del mondo fisico, ma deve anche essere in grado di adattarsi alle molteplici modalità con le quali un contenuto digitale può essere licenziato. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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2. L’EDITORIA DIGITALE


Alla base di ogni sistema per la gestione dei diritti c’è quindi un modello dei diritti (Rights Model) che specifica tutti i tipi di utilizzo del contenuto e i relativi attributi: quante volte, per quanto tempo, da chi, a quale prezzo, ecc. (Rosenblatt, Rosenblatt, Trippe, & Mooney, 2002) Un modello chiaro e semplice è descritto nel saggio “Letting Loose the Light” di Mark Stefik, dottore dello Xerox PARC Research Labs, che divide i diritti secondo tre modalità riguardanti la fruizione finale, il trasferimento e il riutilizzo. (Stefik, 1996) Diritti sulle modalità di fruizione finale

Diritti sulle modalità di trasferimento

Diritti sulle modalità di riutilizzo

Copia permanente

Duplicazione

Estrazione

Visione

Spostamento

Modifica

Esecuzione

Duplicazione

Incorporazione

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2. L’EDITORIA DIGITALE


Per quanto riguarda, invece, gli attributi dei diritti, esistono ulteriori tre categorie: Compenso, che riguarda qualsiasi cosa l’utente finale deve dare in cambio del diritto d’utilizzo del contenuto e può andare dal prezzo, alla compilazione di un modulo di registrazione o l’accettazione del monitoraggio d’uso. Estensione dei diritti, che indica per quanto tempo, per quante volte, o in quali luoghi applicare i diritti. Tipi di utenti finali, che permette di avere insiemi differenti di diritti per varie classi di utenti. (Iannella, 2001)

Rivisitazione della pubblicità dell’Apple iPod in relazione alla protesta contro i DRM.

Tutto questo viene racchiuso in una licenza che l’utente deve accettare e sottoscrivere obbligatoriamente per poter avere accesso al contenuto attraverso procedure di profilazione e autenticazione, che possono rendere molto complesso e a volte impossibile la condivisione dello stesso contenuto su device differenti o più aggiornati. Tra i limiti e le problematiche riguardanti i DRM c’è infatti la mancanza di uno standard unico in grado di garantire il corretto funzionamento di questo sistema. Questo è dovuto a diversi fattori, tra i quali la vulnerabilità delle tecnologie utilizzate, la necessità di comunicazione con standard già esistenti e diversi tra loro, come ad esempio l’utilizzo dello stesso file digitale su computer, telefonini, tablet e altri device, ma soprattutto la scelta di certe aziende di sfruttare questa diversificazione come leva per l’acquisizione o il mantenimento del potere di mercato. Uno dei casi più discussi sull’uso dei lucchetti digitali è stato quello dell’iTunes Music Store (attualmente iTunes Store) di Apple. All’apertura del negozio virtuale nel 2003, Apple adottò un DRM denominato FairPlay: con questo sistema una canzone acquistata sullo store poteva essere trasferita e riprodotta su un numero illimitato di iPod, ma eseguita solo su tre computer autorizzati. Il DRM non è più applicato alla musica scaricata dai server Apple dal 2009, ma rimane attivo su film, serie TV, audiolibri e suonerie. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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2. L’EDITORIA DIGITALE


L’approccio attuale di Apple, sulla scia di quello dei colossi Google (con Google Music) e Amazon (con Amazon Cloud Drive), è oggi decisamente differente. Pagando una quota fissa annuale, tutti i titoli musicali presenti sui propri dispositivi, indipendentemente dal fatto che siano stati scaricati o meno da iTunes Store, vengono inseriti in un database online, iCloud, e vengono resi disponibili per lo streaming e il download in alta qualità e libero da DRM su tutti i propri dispositivi Apple (Mac, iPhone, iPod touch, iPad): una specie di condono musicale. Per quanto riguarda gli eBook, le tecnologie DRM sono ancora largamente utilizzate. È tuttavia facilmente prevedibile uno scenario futuro simile a ciò che sta succedendo oggi per la musica digitale, anche per il sempre più diffuso scetticismo degli editori nei confronti dei DRM. Viene da pensare che, come accadde a inizio ‘900 con l’introduzione dei nuovi media, cinema, radio e TV, ancora oggi chi detiene il potere si sente costretto a difendere il proprio territorio, anche se allora si parlava di primato culturale e oggi più di interesse economico. Ancora una volta, l’evoluzione e non una miope conservazione, sembra essere la chiave del successo; in altre parole, bisogna trarre il massimo vantaggio dalle nuove tecnologie, invece di provare a fermarle.

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Intervista a Marco Calvo di Daniela Verona

Marco Calvo Presidente e fondatore dell’associazione culturale Liber Liber

Attivo da molti anni nel mondo della telematica, ha collaborato allo sviluppo e alla gestione di MC-link, uno dei principali Internet provider italiani, ed ha curato alcune rubriche per la rivista di informatica MCmicrocomputer, una delle più diffuse in Italia. Dell’associazione culturale Liber Liber cura il progetto Manuzio, prima biblioteca italiana di testi elettronici sul web. È amministratore della società E-text S.r.l. specializzata in progettazione di siti Internet. Nel settembre 2000 è stato nominato dal Ministro per la Funzione Pubblica membro del Comitato tecnico per l’accessibilità dei siti Web pubblici. Ha pubblicato alcuni manuali per la casa editrice Laterza (Frontiere di rete, Internet 2004, ecc.). È consulente e docente nel campo delle telecomunicazioni.

DV: Perchè i DRM sono considerati un ostacolo alla diffusione

della cultura digitale invece che una tutela per gli autori, motivo per il quale sono nati? MC: Inizio con una premessa che mi sembra utile: i DRM non sono nati a tutela degli autori, ma piuttosto dei distributori. Vengono propagandati come strumenti a difesa degli autori perché in questo modo appaiono eticamente più accettabili, in realtà danneggiano tanto gli utenti quanto gli autori. I motivi per cui i DRM sono considerati nocivi per la diffusione della cultura digitale sono che introducono complessità, costi, mancanza di interoperabilità e problemi tecnici a fronte di una totale inefficacia del contrasto della pirateria. Il motivo per cui i DRM sono totalmente inefficaci è presto detto: nessun utente che volesse scaricare un brano musicale pirata, o un ebook, perderebbe tempo a scardinare un sistema DRM. Accederebbe semplicemente a un sistema peer to peer, e scaricherebbe un file già sbloccato. Per contro, se il produttore del mio lettore non ha stretto accordi commerciali con il distributore di contenuti DRM, c’è il concreto rischio che pur avendolo pagato non avrò modo di fruire del mio Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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contenuto. Questi sciocchi intralci stanno sensibilmente rallentando la diffusione degli ebook, cagionando ai distributori un danno ben più significativo di quello prodotto dalla pirateria.

DV: Secondo lei, in materia di protezione contro la pirateria, dovrebbe esserci una differenza tra i diversi contenuti (eBook, musica, video, ...) o sarebbe meglio uno standard unico? MC: Non esiste alcun motivo intelligente per cui debbano essere utilizzati i DRM. Mi sembra perciò poco utile scendere nei dettagli tecnici. Perfino le major discografiche hanno finalmente capito quanto siano controproducenti i DRM, e ormai da tempo hanno deciso di rinunciarvi. Il mondo dell’editoria è purtroppo culturalmente più arretrato, la competenza tecnica della maggior parte dei dirigenti è scadente. L’industria musicale ha impiegato più di quindici anni per capire quanto siano sciocchi i DRM. Speriamo che l’industria editoriale ne impieghi qualcuno in meno, magari grazie all’aver scambiato due parole con qualche dirigente musicale ravveduto.

Parlando di standard, perchè ancora non è possibile individuarne uno, nonostante le tecnologie siano sempre più sofisticate? MC: Nessun progettista intelligente si occupa di DRM. Non mi sorprende che quelli che insistono non riescano a venirne a capo. DV:

Come vede e spera il futuro dell’editoria digitale rispetto ai sistemi di tutela dei diritti? MC: Mi piacerebbe un mondo dell’editoria che mettesse al centro dell’attenzione i lettori e gli autori. Un sistema che garantisse ai lettori un accesso ai contenuti semplice e svincolato da trappole tecnologiche, e che al contempo consentisse agli autori di non subire i contratti DV:

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capestro dei distributori. Mi piacerebbe ad esempio una norma che rendesse illegali i contratti di esclusiva, quei contratti cioè che ricattano gli autori. Oggi il mercato della produzione di contenuti culturali è nelle mani di pochissimi monopolisti, i quali in ragione della loro posizione sono nelle condizioni di decretare la vita o la morte di un’opera, e possono quindi ricattarne gli autori imponendogli compensi e condizioni contrattuali del tutto sfavorevoli. Se davvero la retorica che sentiamo quotidianamente a favore degli autori (e contro la cosiddetta pirateria) avesse un qualche fondamento, una simile norma sarebbe stata già approvata da tempo.

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2. L’EDITORIA DIGITALE


2.6

Come si progetta una rivista digitale

Dopo aver trattato l’editoria digitale dal punto di vista generale dei formati, dei supporti e dei sistemi di protezione è ora possibile approfondire in modo più dettagliato la progettazione delle riviste digitali su iPad o altri tablet. Innanzitutto bisogna comprendere la differenza che c’è tra l’ideazione di un eBook e quella di una rivista digitale perché, nonostante siano entrambi esempi di letteratura digitale, hanno caratteristiche completamente differenti. Gli eBook sono prevalentemente in formato pdf o epub e prevedono semplici e funzionali interazioni con l’utente limitate al normale uso di un libro: girare pagina, ingrandire il testo, ecc. Nei Digital Magazine, invece, il contenuto sfrutta le innumerevoli potenzialità del mezzo che lo ospita creando così un nuovo modo di fare comunicazione, con approfondimenti multimediali, infografiche interattive ed un coinvolgimento totale dell’utente-lettore. Si tratta, inoltre, di una vera e propria applicazione compilata e chiusa, che quindi deve rispettare standard e procedure imposte dal sistema distributivo. Dal punto di vista progettuale questo cambia totalmente l’approccio creativo. Si pone a metà tra la stampa e il web perchè ha bisogno di una redazione ed un flusso di lavoro simile a qualsiasi altra rivista, ma con l’opportunità ed il dovere di essere multimediale e attento alla capacità dell’utente finale di interagire con una nuova interfaccia. La User Experience (UX), infatti, è ancora limitata e questo comporta una progettazione incentrata tutta sul lettore che deve essere guidato ed accompagnato nella navigazione in modo semplice ed intuitivo. (Trento, 2010)

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2. L’EDITORIA DIGITALE


Modelli di sviluppo Esistono diversi modelli di sviluppo che un editore può scegliere in base alle proprie esigenze: lo sfogliatore PDF, che utilizza dei servizi online per convertire il PDF per la stampa in una rivista digitale. Tale risparmio comporta però un livello di interattività molto limitato. (es. La Gazzetta dello Sport)

Copertina

Sommario

Edicola

l’applicazione nativa, che ha bisogno delle competenze di programmatori e sviluppatori per creare un sistema di lettura e di interazione totalmente personalizzato in base alle esigenze del cliente. Si sceglie per distinguersi dalla concorrenza, ma impone costi e tempi di sviluppo molto alti. (es. iPanorama)

Copertina con menu personalizzato

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Sommario con descrizione

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Edicola

2. L’EDITORIA DIGITALE


il modello web, che si limita a creare una versione tablet del sito internet con un evidente risparmio di tempo, ma una perdita di opportunità dal punto di vista interattivo. l’applicazione nativa ibrida, combinazione delle precedenti, che sfrutta la versione web su un sistema considerabile come nativo. e i framework proprietari (Adobe Digital Suite Solution e Woodwing), che offrono un modello semplice ed efficace attraverso il quale anche i grafici editoriali, senza nessuna competenza di programmazione, possono realizzare un vero Digital Magazine. Questo grazie all’integrazione che avviene direttamente all’interno dello strumento principale del mestiere: Adobe InDesign. (es. Woodwing: TIME - es. Adobe Digital Suite Solution: Wired)

Copertina

Sommario

Edicola

Copertina

Sommario

Edicola

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2. L’EDITORIA DIGITALE


Adobe Digital Suite Solution o Woodwing L’utilizzo di framework proprietari risulta essere la soluzione più utilizzata da i più importanti magazine internazionali come Wired, The New Yorkers, TIME e le motivazioni sono semplici: l’interfaccia messa a disposizione è già completa e funzionante e può essere limitatamente personalizzata a fronte di una spesa decisamente inferiore all’investimento necessario per una App nativa; i tempi di realizzazione sono brevi perché si sfruttano le competenze dei grafici editoriali, che continuano in questo modo ad utilizzare lo stesso programma di realizzazione con l’aggiunta di nuovi menu per gestire interattività, video e audio. I due sistemi attualmente in commercio hanno, però, caratteristiche differenti sia nelle politiche di prezzo sia nel sistema di produzione. Woodwing ha un’architettura Client/Server propria che permette la gestione online e offline di diversi flussi di lavoro (stampa, web, app, ...) e comunica con Adobe InDesign come programma esterno. Al contrario, la Adobe Digital Suite Solution nasce proprio come estensione del programma di impaginazione, aggiungendo nuove funzionalità per gestire i file multimediali e le interattività. Ha però bisogno di un server d’appoggio per la pubblicazione della App che viene fornito direttamente da Adobe. Tale situazione è in parte variata dopo l’annuncio, all’Adobe MAX 2011 di Los Angeles, dell’integrazione del software Adobe nella piattaforma Woodwing, che offrirà la Digital Publishing Suite in qualità di rivenditore autorizzato. (Adobe, 2011) Questa novità rafforza il legame tra le due realtà produttive combinando le potenzialità del flusso di lavoro Woodwing con i vantaggi tecnici della Suite Adobe in un unico workflow cross-mediale.

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Attualmente il flusso di lavoro dei due sistemi è il seguente:

InDesign CD5 o CS5.5

InDesign CD5 o CS5.5

Adobe Digital Magazine Solution

Adobe Viewer

CREARE

AUTORE PRODUZIONE

Il grafico Si aggiungono realizza il le interazioni layout con ed i contenuti InDesign multimediali CS5 o CS5.5 attraverso il pannello Overlay Creator

Si produce il file in formato .folio e si aggiungono i metadata

DISTRIBUZIONE & GUADAGNO Si controlla l’anteprima del .folio su iPad...

... e si presenta al cliente

ANALISI

REALIZZAZIONE

Si analizzano le performance

Si esporta il file finale in formato .issue pronto per essere inviato all’Apple Store per la chiusura definitiva e la certificazione

software Woodwing

Per quanto riguarda i costi, invece, la differenza è stabilita sia dal costo del programma utilizzato sia dal canone annuale o una tantum che il cliente deve pagare per pubblicare ogni singola App e se vuole in aggiunta una propria edicola dove poter distribuire i diversi numeri della rivista. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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L’unica reale divergenza, legata alla proprietà della licenza di distribuzione, si basa sul fatto che con la piattaforma Adobe solo il cliente può essere il proprietario/editore della App, mentre con Woodwing anche lo sviluppatore può intestare a sé stesso tale contratto. Questo aspetto è stato risolto recentemente dall’introduzione di un nuovo tipo di contratto chiamato Adobe Digital Publishing Suite Single Edition che si affianca alle soluzioni Professional e Enterprise e permette finalmente anche ai designer o ai piccoli studi di comunicazione di pubblicare la propria App ad un prezzo accessibile (395$). (Adobe, 2011) In entrambe le soluzioni, alla fine del procedimento di progettazione e produzione, si ottiene un file in formato folio che può ancora considerarsi un file aperto e modificabile. Questo deve essere inviato al Server Provider per essere compilato e chiuso definitivamente in una App in formato ipa pronta per essere distribuita. La grande potenzialità di questo formato può essere espresso dallo slogan WORA “Write once, run anywhere” 18 (letteralmente: “Scritto una volta e funzionante ovunque”) che descrive perfettamente la capacità crossmediale dell’ipa di poter essere distribuito ed utilizzato su piattaforme differenti con sistemi operativi diversi tra loro. Questo vale dal punto di vista della funzionalità, ma c’è un aspetto che rende ancora impossibile una reale condivisione dello stesso file su tablet differenti ed è legato alla misura dello schermo e la sua risoluzione. Tale resolution gap è dovuto alla mancata standardizzazione dei dispositivi in commercio che, insieme al sistema di protezione delle App, obbliga gli utenti a scaricare applicazioni solo dal mercato online di riferimento e costringe i creativi a creare versioni differenti in base al formato. 18 WORA “Write once, run anywhere” è lo slogan lanciato nel 1996 dalla Sun Microsystems per illustrare le potenzialità crossmediali del nuovo linguaggio Java.

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2. L’EDITORIA DIGITALE


Layout ed architettura dei contenuti Scelta la piattaforma di creazione, ci sono molti altri aspetti da valutare nell’ideazione di un rivista digitale soprattutto nell’ambito grafico. Se si parla nello specifico dell’iPad, la scelta del carattere da utilizzare deve essere contenuta nella lista di font supportate,19 per non incorrere in una conversione errata dello stile di scrittura. Per questioni di leggibilità, inoltre, su tutti i tablet il corpo del testo non deve scendere al di sotto di 12 pt in modo da non affaticare la vista soprattutto in caso di schermo retroilluminato. Quando si arriva, finalmente, a progettare il layout della rivista, bisogna anche considerare il sistema di navigazione iPad che comprende due differenti visualizzazioni: verticale ed orizzontale a seconda dell’orientamento del dispositivo. A differenza di un impaginato per la stampa, nella rivista digitale non esistono pagine affiancate, ma storie differenti che si sfogliano in orizzontale, il cui sviluppo avviene attraverso pagine singole o un unico grande paginone da far scorrere in verticale e questo avviene in entrambi gli orientamenti. (Gilioli, 2011)

STORIA A

STORIA B

STORIA C

Layout A

Layout B

Layout C

Pagina 1

Pagina 1

Pagina 1 Pagina 2

19 Le 58 font attualmente supportate dal sistema operativo Apple iOS possono essere consultate su questo sito http://iosfonts.com

Navigazione verticale all’interno della storia / articolo Navigazione orizzontale tra le storie / articoli

Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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2. L’EDITORIA DIGITALE


La possibilità di diversificare layout e contenuti nelle due direzioni di lettura può essere vista come una novità editoriale unica. Un modo molto comune di sfruttare tale aspetto è la diversificazione delle copertine non solo nei contenuti, ma soprattutto nelle interazioni richieste all’utente.

Editori più intraprendenti hanno anche pensato di sperimentare due diverse riviste in una sola App, ad esempio in orizzontale la versione femminile ed in verticale quella maschile. In conclusione, la rivista digitale apre nuovi orizzonti alla comunicazione editoriale e quindi non può ridursi alla semplice riproduzione del documento già esistente attraverso uno sfogliatore PDF. È necessario riconsiderare l’intera struttura e il layout pensando a cosa il lettore si aspetta di trovare e di fare con questa nuova applicazione.

Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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2. L’EDITORIA DIGITALE


3. IL PROGETTO “Artribune�

Vinceranno le aziende editoriali che trasformeranno gli atomi (carta) in bit (digitale). Nicholas Negroponte

Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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3. IL PROGETTO “Artribune”

3.1 Cos’è Artribune

Artribune è una testata di arte e cultura contemporanea rivolta a lettori vivaci, attivi, attenti. Fin dalla sua nascita si pone l’obiettivo di diventare un punto di riferimento assoluto per l’informazione, l’aggiornamento, la comunicazione nel mondo dell’arte e della cultura in Italia. Interdisciplinare, senza limiti e barriere di settore, Artribune si rivolge a tutti coloro che amano l’arte, la creatività, l’architettura, il design, la moda, la musica, la letteratura, il cinema, il teatro, ecc. (Artribune, 2011) Artribune è anche una piattaforma editoriale multimediale, dove una vastissima redazione di giornalisti, professionisti, curatori, critici e storici dell’arte, blogger, esperti di comunicazione, filosofi, docenti universitari ed intellettuali, produce contenuti di qualità a 360 gradi, dall’archeologia alle ultime tendenze, dal cinema al design, dalla musica alle politiche culturali, fino al marketing territoriale e al lifestyle. Questi contenuti vengono poi veicolati attraverso una molteplicità di canali, aggiornati ed implementati in maniera quotidiana e capillare: il magazine freepress la web tv il sito web i social network e le app. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Il freepress Un’ottima grafica, un alto tasso di leggibilità per un prodotto editoriale scritto e confezionato con l’obiettivo di essere letto, di informare, di incidere sulle scelte, di indirizzare e individuare le tendenze. I temi di punta sono: l’attualità culturale, le news, le grandi inchieste dall’Italia e dell’estero, reportage e interviste a tutti i protagonisti del mondo culturale. Il focus è essenzialmente sulle novità, ma non mancano ampi spazi di riflessione e approfondimento critico. Sviluppato in maniera indipendente, ma sinergica, rispetto al sito, il magazine Artribune è un freepress ad uscita bimestrale distribuito in tutto il paese sia in abbonamento, sia durante i grandi eventi, sia in svariati punti di distribuzione gratuita. Ecco qualche numero: 55 mila le copie stampate in media 6 numeri all’anno + i numeri speciali 350 punti di distribuzione gratuita in Italia tra gallerie, musei, concept store, librerie... 9.000 opinion leader, vip e operatori qualificati raggiunti con un invio gratuito di ogni uscita

Artribune Magazine n. 4 – Speciale Auditorium di Firenze

n. O Maggio 2011

n. 1 Luglio 2011

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n. 2 Settembre 2011

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n. 3 Novembre 2011

3. IL PROGETTO “Artribune”


Artribune television Fondamentale nel progetto web di Artribune la presenza costante e continua di contenuti video. Come ormai è comune in ogni sito di news online (Repubblica.it, Corriere.it, ecc.), la presenza di filmati all’interno del flusso informativo è un elemento irrinunciabile. Artribune produce e veicola video di varia tipologia. Dal veloce filmato girato senza mezzi professionali dal redattore o inviato dal lettore, fino al documentario di qualità realizzato da una troupe professionale. La TV è completamente intrecciata con il resto della produzione contenutistica e, insieme alle gallerie fotografiche, è parte integrante delle recensioni, degli articoli di attualità e delle news.

Screenshot del video “Artribune vol. VI – I vip dell’arte ci mettono la faccia” Artribune television.

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Il sito web Artribune dedica molto impegno e la giusta attenzione al sito internet. Con contenuti multimediali di qualità ed un aggiornamento continuo delle informazioni tiene fede alla sua mission e si pone l’obiettivo di diventare uno strumento indispensabile per chi lavora nel mondo della cultura o è semplicemente interessato a questo settore. È un sito web dinamico, che dialoga costantemente con i social network (Facebook, Flickr, YouTube, Twitter) ed unisce le caratteristiche di servizio, come il calendario con le inaugurazioni del giorno e gli eventi in corso in tutta Italia, con i contenuti di approfondimento critico, giornalistico e di opinione. Per le recensioni delle mostre sceglie un format che mette in evidenza la parte multimediale dei video e delle gallerie fotografiche, sintetizzando il più possibile il lato testuale, in modo da facilitare una lettura più immediata, interattiva e contemporanea degli eventi. Grande attenzione è posta anche sui temi di attualità, dalle inchieste giornalistiche alle anticipazioni, dalle interviste in presa diretta agli approfondimenti, con il coinvolgimento di opinion leader del mondo della cultura, della politica e dell’economia.

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Le App Nel progetto di lancio di questa nuova realtà editoriale era già previsto un investimento nel mondo delle applicazioni per smartphone e tablet, e già a Novembre 2011 è stata lanciata la prima versione della App gratuita “Artribune. Arte intorno” al momento disponibile solo per iPhone e iPad. Il servizio offerto è quello della geolocalizzazione delle mostre in corso, le inaugurazioni e le chiusure che avvengono in tempo reale in Italia sfruttando il sistema di navigazione di Google Maps ed approfondendo con descrizioni ed informazioni utili il luogo di interesse.

Geolocalizzazione dell’utente

Punti di interesse

Approfondimento sulla mostra

L’idea iniziale era quella di realizzare una applicazione mobile istituzionale con buona parte delle funzionalità del sito web da affiancare ad App più specifiche, come quella appena rilasciata, che al momento serve come test riguardo alle reali esigenze degli utenti. Ancora non è prevista una versione Digital Magazine della rivista, ma la filosofia di crossmedialità di Artribune la porterà ben presto ad esplorare anche questa opportunità.

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Intervista a Massimiliano Tonelli di Daniela Verona

Massimiliano Tonelli Direttore di Artribune

Laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena, dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Ha moderato e preso parte come relatore a numerosi convegni e seminari; ha tenuto docenze presso centri di formazione superiore tra i quali l’Istituto Europeo di Design e l’Università La Sapienza di Roma. Ha collaborato con numerose testate tra cui Radio24-Il Sole24 Ore, Time Out, Formiche. Suoi testi sono apparsi in diversi cataloghi d’arte contemporanea e saggi di urbanistica e territorio. Attualmente è direttore di Artribune.

© Timothy Greenfield-Sanders

ha lasciato la direzione di Exibart, una piattaforma editoriale già ben avviata nel mondo dell’arte, per creare la nuova testata Artribune? MT: Il divorzio è stato abbastanza obbligato. E’ stato determinato dal fatto che Exibart aveva cambiato la propria compagine societaria ed era finito nelle mani di persone con le quali non era possibile continuare a portare avanti il prodotto di qualità che tutti i lettori conoscevano. DV: Perchè

DV: Qual’è

la sostanziale differenza tra queste due realtà? MT: Con Artribune abbiamo posto in essere un piano editoriale con poche somiglianze – d’altronde si tratta di due realtà editoriali in uno stesso mondo ed è normale che vi siano alcune somiglianze come vi sono tra Repubblica.it e Corriere.it ad esempio – e con molte differenze. Un esempio lampante è l’attenzione spasmodica che viene riservata, in Atribune, all’interazione con il lettore e il focus sempre presente sulla multimedialità. Ogni notizia è corredata di video (anche “amatoriali” fatti dai nostri giornalisti) o da fotogallery. Inoltre abbiamo fatto una vera rivoluzione sulla lunghezza degli articoli, portando le recensioni da 3000 battute medie a 800... Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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3. IL PROGETTO “Artribune”


DV: Artribune

non è solo stampa, ma anche TV, web, social network e applicazioni mobile e tablet. Perchè questa scelta e cosa comporta questa diversificazione nel flusso di lavoro di una normale redazione? MT: È assolutamente fondamentale ed indispensabile, per qualsiasi media company, anche piccola essere su tutti i media. La lotta è all’ultimo lettore. I lettori hanno smesso di catturarsi le informazioni, sono le media companies che devono catturare loro. E la caccia è più facile quando si hanno a disposizione più armi. E poi stare su più piattaforme è un atteggiamento che esso stesso genera contenuto e permette di orchestrare le informazioni.

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Il target di Artribune Individuando nella cultura un fattore strategico di crescita e di sviluppo, Artribune si rivolge a: professionisti del mondo dell’arte, del design, dell’architettura, dell’editoria, delle professioni creative; studenti delle scuole superiori, delle accademie e delle università; docenti e ricercatori di scuole superiori e facoltà; il grande pubblico appassionato d’arte e di cultura contemporanea; la classe creativa e in generale la fascia dai 20 ai 45 anni; i collezionisti; gli amministratori pubblici che si occupano di ambiti culturali; le aziende interessate ai linguaggi creativi attuali. Il successo di un prodotto come Artribune é spiegato anche nel “VII Rapporto Federculture” presentato al MAXXI20 il 24 marzo 2011, che dimostra come nel nostro Paese sia cresciuta la domanda del consumo culturale. (Grossi, 2010) Nel 2010 il teatro ha avuto un incremento del 13,5%, i concerti di musica classica del 5,9%, mostre e musei +3,8% e i siti archeologici +2,3%. Positivo anche l’andamento del settore dello spettacolo (+8,3%) tanto che si sono spesi oltre 1 miliardo di euro (+ 9,1%) per l’acquisto di biglietti e abbonamenti.

20 MAXXI, Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma.

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3. IL PROGETTO “Artribune”


3.2 Progettazione della rivista digitale Artribune per iPad Il progetto legato a questa ricerca si basa sulla realizzazione del primo numero della rivista Artribune sottoforma di magazine digitale fruibile attraverso iPad o altri dispositivi.

Obiettivi editoriali La realizzazione di una versione digitale (ipertestuale, interattiva e multimediale) della rivista Artribune si pone l’obiettivo di: mantenere coerenza e continuità con la filosofia di crossmedialità del progetto editoriale, quindi posizionarsi tra la carta ed il web rafforzando la qualità e la visibilità dei diversi media; convogliare le potenzialità e l’autorità della rivista cartacea con i contenuti multimediali visualizzabili solamente sul sito internet, come la web TV e le gallerie fotografiche. Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Obiettivi economici Dal punto di vista delle esigenze economiche del committente altri obiettivi importanti sono: posizionarsi in un mercato nuovo ed in crescita con un prodotto di qualità; allargare il bacino di utenti interessati alla rivista. A tal proposito si può scegliere tra due differenti tipi di layout: uno più attraente ed accattivante, anche se differente dal freepress; o uno più vicino alla carta stampata, dove però saranno le interazioni e le animazioni a creare l’aspetto emozionale.

Definizione del target Il target si può differenziare in due macroaree:

Possessori di iPad

Appassionati di arte contemporanea

EQUAZIONE: ARTE CONTEMPORANEA / iPAD Se ti occupi d’arte contemporanea “sei figo” + Se hai l’iPad “sei figo” = Se ti occupi di arte contemporanea ed hai un iPad sicuramente apprezzerai una rivista digitale sul tema

1. lettori della rivista Artribune e/o fruitori del sito internet quindi come precedentemente esposto: ¬¬ professionisti del mondo dell’arte e di tutte le professioni creative dai 20 ai 45 anni; ¬¬ studenti e docenti di scuole artistiche ed accademie; ¬¬ il grande pubblico appassionato d’arte e di cultura contemporanea; ¬¬ gli amministratori pubblici e le aziende interessate ai linguaggi creativi e culturali. 2. fruitori di contenuti multimediali attraverso iPad o altri device che si possono ulteriormente dividere in: ¬¬ appassionati di riviste di arte e cultura contemporanea; ¬¬ curiosi del servizio offerto da una nuova App e i lettori.

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Analisi della concorrenza Secondo la Forrester Research, entro il 2015, il giro d’affari collegato alle apps supererà i 27 miliardi di euro. Si tratta quindi di un mercato già ora molto ricco, che molto velocemente arriverà al limite di saturazione. Questo vale non solo per le App in genere, ma anche per il settore delle riviste digitali che quindi si trova già a combattere con un’ampia concorrenza. In Italia ancora non si può parlare dell’offerta che invece esiste in America o in Inghilterra, ma si tratta comunque di un mercato in espansione. Nel caso della rivista Artribune, le dirette concorrenti sono le riviste che parlano di arte contemporanea, ma sono ancora molto poche quelle che si sono dotate di una versione digitale per iPad o altri tablet, soprattutto in Italia. Un esempio utile da analizzare è la rivista digitale “Flash Art International iPad Edition”, simile ad Artribune sia nei temi trattati, sia nella tempistica d’uscita bimestrale, sia nel modello di sviluppo attraverso il framework della Adobe Digital Suite Solution.

Edicola delle riviste con il sistema Adobe Digital Suite Solution.

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Copertina con immagine slideshow

3. IL PROGETTO “Artribune”


Pagina di istruzioni dell’interfaccia con il menu Adobe Digital Solution

Indice interattivo scorrevole in verticale

Modello di articolo di approfondimento su più pagine

Pagina delle recensioni

Ingrandimento della foto della recensione con un “tap”

Innanzitutto è da far notare la scelta di Flash Art di realizzare solo la versione verticale della rivista, impedendo la rotazione dei contenuti e quindi limitando in partenza un certo tipo di interattività. Il risultato è sicuramente più simile alla versione cartacea e richiede un’interazione minima dell’utente legata soprattutto alle gallerie fotografiche.

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Definizione del canale distributivo Trattandosi di una rivista digitale sottoforma di App il canale distributivo principale è l’Apple Store che sfrutta iTunes per il download.

In futuro si potrebbe pensare di utilizzare anche altri mercati come Android Market e Zinio a fronte di poche modifiche rispetto all’originale. Il lancio di tale prodotto può essere legato ad un grande evento nel settore dell’arte dove la rivista già riveste un ruolo di primo ordine (es. Biennale di Venezia), ma deve essere costantemente pubblicizzato su tutti i media disponibili in modo da colpire un numero maggiore di destinatari interessati. Considerando l’uscita bimestrale della rivista cartacea gratuita, si può ipotizzare un’uscita mensile, o più frequente, della rivista digitale in modo da posizionarsi in supporto agli altri media. Artribune si deve quindi dotare di una vera edicola virtuale dove gli utenti potranno scegliere quale numero acquistare e dove verranno avvertiti dell’uscita dei nuovi numeri.

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Analisi SWOT

STREGHTS (punti di forza) Crossmedialità Posizionamento tra rivista cartacea e sito web Sfruttamento degli stessi contenuti su media di differente fruizione Ottimizzazione di costi e tempi

WEAKNESSES (debolezze) È necessario avere un iPad C’è bisogno di un utente già capace di interfacciarsi con device come iPad e simili Si rischia di essere ripetitivi se non si diversificano i prodotti dei tre media: carta, web e app

OPPORTUNITIES (opportunità) Sul mercato non esiste (o sono poco note) riviste sull’arte contemporanea di stampo giornalistico in lingua italiana La possibilità di creare un’edicola virtuale con tutti i numeri della rivista Cavalcare la moda dell’App per iPad al quale il target è attento

THREATS (minacce) Il mercato in cui si inserisce è già ricco di riviste digitali Il rischio di non essere sempre aggiornati con i nuovi standard digitali che escono di continuo

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Azioni per trasformare le debolezze in punti di forza Si realizzeranno differenti versioni per tablet diversi ed una visualizzabile anche tramite computer attraverso il lettore Zinio Dopo la copertina sarà presente una pagina di istruzioni per indicare l’utilizzo dell’interfaccia grafica La rivista digitale uscirà mensilmente o in occasione di grandi eventi (mentre il freepress è bimestrale) ed approfondirà temi e reportage solo accennati sul web

Azioni per trasformare le minacce in opportunità Per difendersi ed emergere in un mercato così vasto Artribune deve puntare sulla qualità dei contenuti e rimanere fedele al tema dell’arte contemporanea ancora poco trattato nelle riviste digitali Mantenere sempre attiva la ricerca sulle novità tecnologiche e gli standard emessi in modo da essere sempre aggiornati

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Definizione funzionale dell’interfaccia La pagina con le istruzioni riguardanti l’interfaccia e le azioni possibili per l’utente, è un elemento presente in tutte le riviste digitali. È necessario spiegare al lettore il significato delle icone che incontrerà, perchè si tratta di metafore e gestualità non ancora familiari, soprattutto ad un primo accesso. Di seguito alcuni esempi.

Pagina d’istruzioni della rivista digitale “TIME”

Pagina d’istruzioni della rivista digitale “la vita nòva” Il Sole 24 Ore

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Pagina d’istruzioni della rivista digitale “evo”

Pagine d’istruzioni della rivista digitale “The New Yorker” con video umoristico

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3. IL PROGETTO “Artribune”


L’interfaccia di Artribune si appoggia al layout di navigazione del framework della Adobe Digital Solution e mantiene al suo interno uno stile pulito e poco affollato per incentivare la lettura. Pagine d’istruzioni progettata in verticale ed orizzontale per “Artribune”

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Le icone delle azioni richieste all’utente per attivare determinate interazioni utilizzano il modulo romboidale arancione tratto dal logo stesso della testata, mantenendo così un filo logico con l’immagine coordinata progettata per tutti gli altri media.

clicca per far apparire contenuti nascosti

scorri testo o immagini in orizzontale

ruotare l'iPad

attiva contenuto audio

pausa (contenuto audio)

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zoom sui contenuti

scorri orizzontalmente le immagini a 360°

clicca per vedere lo slideshow di foto

indica lo scorrimento verticale dei contenuti

attiva contenuto video

contenuto visualizzabile online solo se connessi

3. IL PROGETTO “Artribune”


Architettura dei contenuti Il primo numero della rivista digitale conterrà le seguenti sezioni con diverse animazioni per presentare più COPERTINA argomenti ed incentivare fin da subito l’interazione dell’utente PUBBLICITÀ

sempre necessaria in una rivista gratuita

ISTRUZIONI PER L’USO DOPPIO EDITORIALE

per presentare l’interfaccia grafica come nel freepress

INDICE INTERATTIVO CON COLOPHON NEWS in un unica pagina lunga saranno presenti più articoli brevi supportati sempre da foto o contributi audio/video su più pagine a ARTICOLI DI APPROFONDIMENTO scorrimento, con contenuti multimediali e relative animazioni trattate come storie differenti, RECENSIONI MOSTRE saranno composte da testi brevi (800 battute) affiancati da gallerie fotografiche e altro materiale raccolta di progetti RUBRICA VIDEO “Arte e Tecnologia” video tratti da Artribune TV e legati ad una rubrica specifica sezione che CALENDARIO EVENTI ed INAUGURAZIONI necessita la connessione ad internet, permetterà la consultazione del calendario eventi del sito web ARCHIVIO PDF FREEPRESS del freepress in formato PDF Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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con tutti gli ultimi numeri

3. IL PROGETTO “Artribune”


Artribune digital edition Le caratteristiche principali alla base della progettazione della rivista digitale per iPad “Artribune digital edition” sono quindi le seguenti: modello di siluppo con framework proprietario: Adobe Digital Solution Suite con il supporto per l’edicola; uscita mensile o in occasioni speciali; layout verticale ed orizzontale con movimento degli stessi contenuti ed eventuale diversificazione dei file multimediali o delle interazioni tra le due direzioni; video, foto ed audio incorporati e quindi visualizzabili anche offline; la parte riguardante i contenuti che necessitano un aggiornamento costante, come il calendario eventi ed inaugurazioni, sarà navigabile all’interno della rivista comunicando con il sito internet (connessione WiFi o 3G obbligatoria). Di seguito alcune pagine della rivista realizzata con indicazione delle possibili interattività.

iPad

RUOTA E SCOPRI NUOVI CONTENUTI NUMERO I ANNO I GENNAIO - FEBBRAIO 2012

RUOTA E SCOPRI NUOVI CONTENUTI

NUMERO I ANNO I GENNAIO - FEBBRAIO 2012

Germano Celant.

Senza fiato al PAV di Torino.

Firmato Hirst e Flea.

Quegli / Questi anni.

Parola di Andrea Polli

Biennale di

Venezia a 360°

iPad

Un basso elettrico.

Copertina verticale con 3 diverse immagini cliccabili.

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Copertina orizzontale con animazione a 360° automatica con possibile controllo manuale.

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3. IL PROGETTO “Artribune”


ARTINDICE

ARTINDICE

ARTATTUALITÀ

ARTATTUALITÀ

Germano Celant.

Germano Celant.

Questi anni / Quegli anni.

Questi anni / Quegli anni.

ARTNEWS

ARTNEWS

Uno scivolo al museo.

Uno scivolo al museo.

ARTNEWS

ARTNEWS

Un Pomodoro volante.

Un Pomodoro volante.

ARTINDICE

ARTATTUALITÀ

ARTINDICE

ARTATTUALITÀ

Germano Celant.

Germano Celant.

Questi anni / Quegli anni.

ARTNEWS

Un basso elettrico

Un basso elettrico

ARTNEWS

ARTNEWS

Uno scivolo al museo.

ARTNEWS

Da Lia Rumma arriva Dré Wapenaar. ARTTV Arte e Tecnologia

Da Lia Rumma DIREZIONE Marco Enrico Giacomelli (vice) arriva Dré Wapenaar.

ARTNEWS

ARTNEWS

Un basso elettrico

Un basso elettrico

Claudia Giraud Helga Marsala

ARTTV Arte e Tecnologia

www.artribune.com

Digital Life 2 / RomaEuropa Festival Massimo Mattioli I Martedì Critici – Fabrizio Plessi Valentina Tanni Roberto Pugliese. Equilibrium Variant, 2011 Tatsuo Miyajima – UCCA, Pechino COMUNICAZIONE E LOGISTICA

DIRETTORE Massimiliano Tonelli

Santa Nastro

ARTISTI

ARTNEWS

ARTISTI

Il grattacielo più alto d’Italia: che Via Crucis ARTISTI

Un Pomodoro volante.

ARTNEWS

Uno scivolo al museo.

DIRETTORE Massimiliano Tonelli

ARTNEWS

Digital Life 2 / RomaEuropa Festival I Martedì Critici – Fabrizio Plessi Roberto Pugliese. Equilibrium Variant, 2011 Tatsuo Miyajima – UCCA, Pechino

ARTNEWS

Un Pomodoro volante.

www.artribune.com

+39 393 6586637 adv@artribune.com

ARTTV Arte e Tecnologia

ARTISTI

Italiani a Londra.

Italiani a Londra.

Piero Manzoni e Azimut

Piero Manzoni e Azimut

ARTEVENTI

ARTISTI

Al PAV di Torino

ARTISTI

REDAZIONE via Gaetano Donizetti 1 00198 Roma redazione@artribune.com PROGETTO GRAFICO Daniela Verona

ARTISTI

Il grattacielo più alto d’Italia: che Via Crucis

EDITORE

Calendario eventi ed inaugurazioni.

Il grattacielo più alto d’Italia: che Via Crucis

DIRETTORE RESPONSABILE Marco Enrico Giacomelli EDITORE Artribune srl via Gaetano Donizetti 1 00198 Roma

Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 184/2011 del 17 giugno 2011

ARTISTI

Italiani a Londra. Piero Manzoni e Azimut

Chiuso in redazione il 31 gennaio 2012

www.artribune.com

PUBBLICITÀ Cristiana Margiacchi +39 393 6586637 adv@artribune.com

Al PAV di Torino

Artribune srl freepress Archivio via Gaetano Donizetti 1 00198 Roma

ARTEVENTI

Calendario eventi ed inaugurazioni.

ARTISTI

DIRETTORE RESPONSABILE Marco Enrico Giacomelli

Archivio freepress

DIREZIONE Marco Enrico Giacomelli (vice) Claudia Giraud Helga Marsala Massimo Mattioli Valentina Tanni COMUNICAZIONE E LOGISTICA Santa Nastro

Digital Life 2 / RomaEuropa Festival I Martedì Critici – Fabrizio Plessi Roberto Pugliese. Equilibrium Variant, 2011 Tatsuo Miyajima – UCCA, Pechino

PROGETTO GRAFICO Daniela Verona

ARTISTI

Da Lia Rumma arriva Dré Wapenaar.

ARTTV Arte e Tecnologia

Digital Life 2 / RomaEuropa Festival I Martedì Critici – Fabrizio Plessi Roberto Pugliese. Equilibrium Variant, 2011 Tatsuo Miyajima – UCCA, Pechino

REDAZIONE via Gaetano Donizetti 1 00198 Roma redazione@artribune.com

Al PAV di Torino

ARTNEWS

Da Lia Rumma arriva Dré Wapenaar.

PUBBLICITÀ Il grattacielo più alto Margiacchi d’Italia: cheCristiana Via Crucis

ARTISTI

Al PAV di Torino

Questi anni / Quegli anni.

ARTNEWS

ARTEVENTI

ARTISTI

ARTEVENTI

Calendario Italianied a Londra. Piero Manzoni e Azimut inaugurazioni.

Calendario ed Archivio freepress inaugurazioni.

Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 184/2011 del 17 giugno 2011

Archivio freepress

Chiuso in redazione il 31 gennaio 2012

Indice interattivo con colophon a scomparsa. In entrambe le direzioni si sviluppa come una pagina piú lunga in altezza e quindi scorrevole.

ARTTV Arte e Tecnologia

RUOTA PER VEDERE I VIDEO

Per la rubrica video abbiamo selezionato per voi:

Digital Life 2 / RomaEuropa Festival – Ex GIL, Roma Arte contemporanea e sviluppo tecnologico si incontrano per “Digital Life 2”, seconda edizione di un progetto espositivo promosso dal RomaEuropa Festival... ARTNEWS a cura di Valentina Tanni

Seconda edizione per Digital Life, progetto espositivo sostenuto dal RomaEuropa Festival, tutto incentrato sulla relazione tra creatività e sviluppo tecnologico, arte contemporanea e mondo del digitale, nuove forme di comunicazione e sviluppo informatico.

Uno scivolo al museo. Dopo la Tate di Londra, Carsten Höller porta il suo famoso serpentone al New Museum di New York. E c’è anche una piscina… Un tubo trasparente lungo quasi quaranta metri è il pezzo forte della retrospettiva di Carsten Höller appena inaugurata al New

programma di esibizioni live. In mostra: Marina Abramovic, Ryoichi Kurokawa, Giuseppe La Spada, Christian Marclay, Masbedo, Quayola, Carsten Nicolai, Daniele Spano’, Saburo Teshigawara, Felix Thorn, Devis Venturelli, Santasangre + The Pool Factory, Cattid, Bcaa. di HELGA MARSALA

ARTNEWS a cura di Valentina Tanni ARTTV Arte e Tecnologia

Uno scivolo al museo. Dopo la Tate di Londra, Carsten Höller porta il suo famoso serpentone al New Museum di New York. E c’è anche una piscina…

Digital Life 2 / RomaEuropa Festival Roma, Ex GIL 26 ottobre/11 dicembre 2011 www.romaeuropa.net riprese e montaggio: STUDIO RAY produzione: Artribune Television

intitolata Experience. Scivolare all’interno del mega serpentone, un modo veloce e alternativo di passare dal quarto piano del museo al secondo senza usare le scale, è effettivamente un’esperienza. Chiunque abbia avuto l’opportunità (e il coraggio) di farlo alla Tate Modern di Londra,

Un tubo trasparente lungo quasi quaranta metri è il pezzo forte della retrospettiva di Carsten Höller appena inaugurata Experience. Scivolare all’interno del mega serpentone, un modo veloce e alternativo di passare dal quarto piano del museo al secondo senza usare le scale, è effettivamente un’esperienza. Chiunque abbia avuto l’opportunità (e il coraggio) di farlo alla Tate Modern di Londra, qualche anno fa, può testimoniare del carattere non esattamente “ludico” della discesa e di qualche livido accumulato come souvenir. Lo scivolo ha infatti delle scomode giunture metalliche all’interno e si prende velocità molto rapidamente. Volendo si possono usare elmetti e paragomiti, ma sarà

I Martedì Critici – Fabrizio Plessi Per il sesto appuntamento con i Martedì Critici Fabrizio Plessi incontra il pubblico di Roma, ripercorrendo il suo viaggio attraverso la natura e la tecnologia...

Un Pomodoro volante. No, nessuna allucinazione magrittiana: è così che l’obelisco del grande artista è arrivato al Vittoriale degli Italiani, qui il video

è proprio in omaggio al senso sublime

I Martedì Critici – incontro con Fabrizio Plessi a cura di Alberto Dambruoso e Marco Tonelli 18 ottobre 2011 Auditorium di Mecenate, Roma riprese e montaggio: STUDIO RAY produzione: Artribune Television

Gardone Riviera si arricchiscePugliese. di nuova Roberto

www.romaeuropa.net

Ecco, è proprio in omaggio al senso sublime per l’estetica riprese e montaggio: STUDIO RAY produzione: Artribune Television

Gardone Riviera si arricchisce di nuova arte”. Con queste parole il Presidente del Vittoriale degli Italiani Giordano Bruno Guerri ha commentato l’installazione nelle Limonaie della dimora dannunziana dell’Obelisco Cassodoro, I Martedì Critici – una grande scultura – quasi 7 metri di altezza per 1000 kg di Fabrizio Plessi peso – di Arnaldo Pomodoro. L’opera, concessa in comodato d’uso per 5 anni Perrinnovabili, il sesto appuntamento con

I Martedì Critici – incontro con Fabrizio Plessi a cura di Alberto Dambruoso e Marco Tonelli

I Red Hot Chili Peppers e l’artista inglese ancora 18 ottobre 2011

Auditorium di Mecenate, Roma riprese e montaggio: STUDIO RAY produzione: Artribune Television

Presente in questi giorni a Senso Orario, il Festival d’Arte Contemporanea di Volteggio, curato da Valentina Tanni, l’artista è contemporaneamente protagonista della mostra Unexpected Machines alla Galleria Mario Mazzoli di Berlino. E’ qui che è stato girato questo videodocumento che immortala l’opera Equilibrium Variant in azione. di HELGA MARSALA

Gallerista e performer. Da Lia Rumma arriva l’olandese Dré Wapenaar con un concerto per un solo spettatore. Lei

Roberto Pugliese. Equilibrium Variant, 2011 metallo, plexiglass, motori, circuiti elettronici Senso Orario, il Festival d’Arte Contemporanea di Volteggio, a cura di Valentina Tanni

valigie e persino etichette di brandy. E anche una chitarra elettrica, una Fender Stratocaster degli anni Settanta con il suo classico motivo a pois, battuta all’asta da Christie’s lo scorso settembre per circa 150mila dollari. Stavolta però, la motivazione è più nobile e Damien Hirst,Roberto in coppia con Pugliese. Flea, pirotecnico bassista dei Red Hot ChiliEquilibrium Peppers Variant, (band californiana che a Hirst ha commissionato anche 2011 la copertina dell’ultimo album), ha lanciato una linea di Equilibrium Variant, del 2011, è coloratissimi bassi elettrici. un’opera cinetica di Roberto Pugliese, La serie, che si chiama Spun Guitar, comprende cinquanta

giovane sperimentatore di macchine concepite come congegni estetici audiovisivi, secondo regole e modelli mutuati

recenti dipinti dell’artista inglese, gli “spin paintings”.

Tatsuo Miyajima – UCCA, Pechino Gallerista e performer. Da Lia Rumma arriva l’olandese Dré Wapenaar con per ‘Art inChIna’ la mostra di Tatsuo Miyajima all’Ullens Center Nel servizio di Claudia Brisotto for Contemporary Art di Pechino. ‘Ashes to Ashes, Dust to Dust’ è la prima personale in Cina un concerto per un solo spettatore. Lei

Due protagonisti, l’artista/esecutore ed un unico fruitore, ed una tenda, montata nella galleria. Due videocamere riprendono “il tessuto di sguardi e di parole” che si stabiliscono tra esecutore ed ascoltatore nello spazio della tenda, nonché il dettaglio delle mani del pianista che si muovono sulla tastiera, proiettando le immagini ingigantite all’esterno, per il pubblico presente al piano terra della galleria. Che galleria? La Lia Rumma di Milano, che ospita appunto il progetto Solo for You Piano Pavilion, di Dré Wapenaar. Ed i due protagonisti sono proprio loro, l’artista olandese e la gallerista napoletan-milanese, che per una volta assume in prima persona il ruolo di co-performer. Sarà lei infatti che assisterà alla performance dell’artista/pianista seduta sul divano predisposto all’interno del padiglione/tenda. Nel suo nuovo padiglione dedicato allo strumento musicale, e denominato appunto, Wapenaar eseguirà Canto Ostinato di Simeon ten Holt e Song Of Release di Joep Franssens. Si tratta del terzo padiglione dedicato dall’artista al pianoforte ed alla esecuzione e fruizione della musica dal vivo.

dell’artista giapponese...

Due protagonisti, l’artista/esecutore Secondo con la rubrica di Artribune Television, Art inChina. Nel servizio di ed un unico fruitore, edappuntamento una tenda, la mostra di Tatsuo Miyajima all’Ullens Center for Contemporary Art di montata nella Claudia galleria.Brisotto Due videocamere to Ashes, riprendono “il Pechino. tessuto diAshes sguardi e di Dust to Dust è la prima personale in Cina dell’artista giapponese, che

Mercoledi 16 novembre 2011 – ore 19.00 Galleria Lia Rumma / Via Stilicone, 19 – Milano www.liarumma.it

D’annunzio scrive, in un manoscritto conservato neiEx nostri Roma, GIL archivi: ‘Nelle opere d’arte l’osservatore sagace 26scoprirà ottobre/11 dicembre 2011

i Martedì Critici Fabrizio Plessi

Un’opera cinetica di Roberto Pugliese, giovane sperimentatore di macchine concepite come congegni estetici per la generazione di suoni, movimenti, vibrazioni, riverberi, secondo regole

parole” che si stabiliscono tra esecutore ed ascoltatore nello spazio della tenda, nonché il dettaglio delle mani del pianista che si muovono sulla tastiera, proiettando le immagini ingigantite all’esterno,

Arte contemporanea e sviluppo tecnologico si incontrano per “Digital Life 2”, seconda edizione di un progetto espositivo promosso dal RomaEuropa Festival...

grande artista di fama mondiale recentementeincontra esposta,il ilpubblico di Roma, ripercorrendo maestoso Cavallo blu di Mimmo Paladino. E se maestosa è il suo viaggio attraverso la natura e la tecnologia... già l’opera stessa, addirittura spettacolare è stato il suo arrivo, con l’Obelisco comparso nel cielo del Garda sospeso a un elicottero. Tutto testimoniato nel video allegato…

Equilibrium Variant, 2011

Equilibrium Variant, del 2011, è un’opera cinetica di Roberto Pugliese, giovane sperimentatore di macchine concepite come congegni estetici audio-visivi, secondo regole e modelli mutuati dalla

skateboard, sedie sdraio, valigie e persino etichette di brandy. E anche una chitarra elettrica, una Fender Stratocaster degli anni Settanta con il suo classico motivo a pois, battuta all’asta da Christie’s lo scorso settembre per circa 150mila dollari. Stavolta però, la motivazione è più nobile e Damien Hirst, in coppia con Flea, pirotecnico bassista dei Red Hot Chili Peppers (band californiana

RUOTA PER SAPERNE DI PIÙ

Digital Life 2 / RomaEuropa Festival – Ex GIL, Roma

Digital Life 2 / RomaEuropa Festival

pagine per interagire con questa e anche con altre opere. Tra le installazioni visitabili al New Museum, tutte incentrate sull’interazione con il visitatore, c’è anche una piscina. Si chiama Psycho Tank, ed è una camera di “privazione sensoriale” che genera una strana sensazione di “uscita al corpo” grazie a un ambiente surriscaldato e all’uso di sale di Epsom (epsomite). E naturalmente c’è anche una giostra, marchio di fabbrica inconfondibile di Höller (ne porterà una versione anche al Macro di Roma tra poco più di un mese per il progetto Enel Contemporanea).

Readazione

D’annunzio scrive, in un manoscritto conservato nei nostri archivi: ‘Nelle opere d’arte l’osservatore sagace scoprirà sempre nuove concordanze con

Un Pomodoro volante. No, nessuna allucinazione magrittiana: è così che l’obelisco del grande Per la rubrica video abbiamo selezionato per voi: artista è arrivato al Vittoriale degli Italiani, qui il video

di HELGA MARSALA Ashes to Ashes, Dust to Dust mostra di Tatsuo Miyajima all’Ullens Center for Contemporary Art, Pechino (China) servizio di: Claudia Brisotto produzione: Artribune Television

Mercoledi 16 novembre 2011 – ore 19.00 Galleria Lia Rumma / Via Stilicone, 19 – Milano www.liarumma.it

di Hirst e Flea, un disegno fatto a quattro mani due con la la dai biologia, la robotica... tecnica del “cadavre exquis”, un quadretto incorniciato di una farfalla e un set di venti plettri. Gli strumenti sono in vendita tramite Other Criteria, sia online che negli shop londinesi del Roberto Pugliese. marchio, e i prezzi vanno dalle diecimila alle cinquantamila Equilibrium Variant, 2011 sterline. Il ricavato delle vendite andrà all’organizzazione metallo, plexiglass, motori, Silverlake Conservatory Music, circuitiofelettronici che usa la musica come strumento per migliorare vita dei SensolaOrario, il Festival d’Arte Contemporanea di Volteggio giovani della comunità.

Tatsuo Miyajima – UCCA, Pechino Nel servizio di Claudia Brisotto per ‘Art inChIna’ la mostra di Tatsuo Miyajima all’Ullens Center for Contemporary Art di Pechino. ‘Ashes to Ashes, Dust to Dust’ è la prima personale in Cina dell’artista giapponese...

Ashes to Ashes, Dust to Dust mostra di Tatsuo Miyajima all’Ullens Center for Contemporary Art di Pechino servizio di: Claudia Brisotto produzione: Artribune Television

News e sezione video si sviluppano sempre in altezza per dare spazio a piú argomenti ed ai relativi contenuti multimediali

Che cosa direbbe Gutenberg? Tesi di Daniela Verona

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Gli articoli principali possono essere composti da piú pagine e, come in questo esempio, i contenuti della versione verticale possono essere completamente differenti da quella orizzontale.

ARTATTUALITÀ

Germano Celant. Questi anni

La mostra, anzi lo tsunami di mostre, in giro per l’Italia. L’atteggiamento degli artisti negli anni ‘70 e il cambio radicale degli anni ‘80.

RUOTA PER LEGGERE Germano Celant. Quegli anni

E il senso dell’Arte Povera oggi.

ARTATTUALITÀ ARTATTUALITÀ

Milano, 22 gennaio 2010 In occasione della presentazione alla stampa della grande mostra-evento “2011: Arte povera in Italia”, Germano Celant, curatore della mostra, ci illustra sedi, contenuti e numeri del progetto.

Germano Celant. di MASSIMO MATTIOLI

Recentemente s’è detto che Alighiero Boetti è il più grande artista italiano vivente. Che ne pensa? Alighiero finalmente inizia a essere riconosciuto a livello internazionale, per il ruolo che ha come anticipatore di una visione globale. Le sue Mappe, e il suo lavoro in Afghanistan, preannunciano le attuali aperture ai Paesi emergenti, fino agli anni ’70 o anche ’80 assenti dal panorama. Un grande anticipatore, non solo a livello di produzione linguistica, ma anche di attitudine a creare.

Quegli anni

Gli inizi dell’Arte Povera. Lo shock nella critica dell’epoca. Le gallerie (pochissime) che ospitavano arte di avanguardia. I maestri, le città, i viaggi e gli studi degli artisti. O almeno di quelli che se li potevano permettere.

RUOTA PER LEGGERE Germano Celant. Questi anni

La storia del nostro Paese è cambiata, e non di poco, da quegli ultimi battiti degli anni ‘60… Quale apporto può dare l’Arte Povera alla società contemporanea? Il punto su cui riflettere è la persistenza. È chiaro che l’Arte Povera oggi può essere considerata come un vecchio partigiano che continua a combattere. Ma è anche vero che si dimostra un modo di pensare interessante e attuale non solo per l’Italia, ma proprio per i Paesi emergenti. In India, in Cina, in Brasile, ci sono oggi emergenze culturali legate alle favelas, a realtà sociali “povere”. Oggi, insomma, l’attualità dell’Arte Povera sta anche nei suoi riscontri a livello globale. Un conto è il mercato, che è quello dei quadri e delle sculture da mettersi in casa; un conto è la creatività anche effimera: potrei citare l’afroamericano David Hammons, che negli anni ’80 vendeva palle di neve per la strada, come gesto creativo. Dico questo per dire che in tutto il mondo un approccio simile, il poter creare con niente, sia replicabile anche senza grandi mezzi, quindi senza il pensiero fisso al mercato.

ARTATTUALITÀ

Gli studi? Non tutti li avevano. Boetti aveva un appartamento, dove ci vedevamo per interpretare il suo manifesto e ci facevamo le canne.

ARTATTUALITÀ di LUDOVICO PRATESI

E sulla scena italiana? Parliamo anche del mosaico di mostre che hanno presentato l’Arte Povera. Evidentemente il progetto va visto in chiave di storicizzazione, poiché tante sono le differenze di clima culturale, politico, emotivo. Ma con molte chiavi: da una parte il riconoscimento di un movimento che ormai è riconosciuto a livello globale come il Futurismo; poi c’è il segnale forte di avere otto sedi, e non un’unica sede che risulterebbe diminutiva; legato a questo, c’è l’affermazione che in Italia esiste un sistema museale. Qui sono coinvolti i più importanti musei italiani, che hanno preso coscienza del fatto che il mettersi in sistema aumenta le potenzialità comunicative e propositive; si era tentato anche con il centenario del Futurismo, ma poi non ha

ARTE POVERA INTERNATIONAL a cura di Germano Celant e Beatrice Merz

Castello di Rivoli dal 19 febbraio

Nel 1967 in relazione ad un gruppo di artisti composto da Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Mario Merz, Marisa Merz, Giulio Paolini, Pino Pascali, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio, lo storico dell’arte contemporanea Germano Celant conia il termine “Arte Povera” che si ricollega alle grandi utopie delle avanguardie storiche per il suo esprimersi non rigido né impositivo, basato sulla relazione con le situazioni sociali e culturali, nonché ambientali e contestuali. Collegandosi idealmente alle sperimentazioni di Lucio Fontana e Alberto Burri, questa ricerca adotta una strategia linguistica in cui viene abolita ogni gerarchia espressiva e materica.

Da Treccani Channel: Germano Celant è il primo e principale teorico dell’arte povera.

Com’è iniziata l’avventura dell’Arte Povera? Ho iniziato a scrivere d’arte nel 1963 a Torino, come redattore della rivista Marcatre, diretta dallo storico dell’arte Eugenio Battisti. Ero segretario di redazione e avevo l’incarico di redigere una rubrica dedicata alle mostre. Per tenermi aggiornato ho iniziato a viaggiare tra Genova, dove abitavo, Milano e Torino. Allora non c’erano autostrade, i viaggi erano molto lunghi. Ero da solo, con una Due Cavalli, e guidavo per ore. Quali gallerie frequentavi? A Torino ho iniziato a frequentare gallerie come Il Punto e Galatea, legate a Gian Enzo Sperone. Ho visto i primi dipinti pop di Warhol e Lichtenstein, e proprio in quell’anno visito la mostra di Pistoletto nel 1963 alla Galatea, un posto incredibile con tende di velluto rosso e i suoi Quadri Specchianti. Michelangelo era già conosciuto, io ero interessato agli emergenti. Così, grazie a Gian Enzo ho cominciato a frequentare gli studi di alcuni artisti, come Mario e Marisa Merz, che ho visitato nel 1965, e Giulio Paolini, che avevo conosciuto un anno prima a Genova, come amico di Luciano Pistoi. Frequentavi anche Pistoi? È stato nella sua galleria torinese, Notizie, che ho visto tra il 1963 e il ‘64 i primi quadri di artisti internazionali come Jackson Pollock e Cy Twombly. Non era una situazione unica, ma un intreccio di persone che frequento settimanalmente a partire dal 1965, come Mario e Marisa Merz, Piero Gilardi e gli altri artisti dell’Arte Povera. Tutti tranne Pistoletto, che ho incontrato di persona solo nel 1966.

ARTATTUALITÀ

Dove vi incontravate? Ci si vedeva in galleria, che era come il bar. A Torino non c’era Rosati come a Roma, ma ci si incontrava nelle gallerie d’arte. C’era l’idea di stare insieme, nelle gallerie e negli studi. Com’erano gli studi? Non tutti li avevano. Alighiero Boetti aveva un appartamento, dove ci vedevamo nel 1966 per interpretare il suo manifesto e ci facevamo delle canne pazzesche. Michelangelo ce l’aveva, Mario e Marisa avevano lo studio che era anche la loro casa, Luciano Fabro lo aveva in corso Garibaldi a Milano, mentre i più giovani come Giovanni Anselmo e Gilberto Zorio non lo possedevano. Ricordo che andai a Garessio, il paese dove viveva Giuseppe Penone, e passammo una giornata insieme, mangiavamo con la madre i prodotti del bosco, funghi e castagne. Giulio Paolini invece lavorava in un appartamento (non ricordo se fosse casa o studio) che integrava nel suo lavoro d’artista, come una sorta di teatro domestico per l’arte.

ARTATTUALITÀ

fino al 29 gennaio TRIENNALE Arte Povera 1967-2011 www.triennale.org

Ricordi com’è nata l’Arte Povera? Non so con precisione. Sentivo che c’era un clima nuovo, fatto di tanti elementi che si combinavano tra loro. Allora in Italia c’era l’invasione americana: i pop erano arrivati da noi attraverso Gian Enzo Sperone, ma stavano arrivando anche i minimal. Ricordo di aver visto

fino ad aprile GAMEC Arte Povera in città www.gamec.it fino al 26 dicembre MAMBO Arte Povera 1968 www.mambo-bologna.org fino al 19 febbraio CASTELLO DI RIVOLI Arte Povera International www.castellodirivoli.org

fino all’11 marzo TEATRO MARGHERITA l’Arte Povera [è] in Teatro www.comune.bari.it

fino all’8 gennaio MAXXI Omaggio all’Arte Povera www.fondazionemaxxi.it

ARTATTUALITÀ

Chi sono stati i tuoi maestri? Una fi gura fondamentale è stato lo storico dell’arte Eugenio Battisti, che è stato dimenticato dal mondo accademico italiano, ma aveva capito l’importanza di avere uno sguardo internazionale. Ricordo che andavamo insieme a New York sugli aerei dell’Iceland Air, i più economici in assoluto. Combattevamo la stessa battaglia, lui sull’antico. Com’è nato il termine ‘Arte Povera’? Dalle circostanze. Avevo appena scritto un testo nel catalogo della mostra Lo Spazio dell’Immagine a Foligno nel 1967, e quindi sapevo di dovermi confrontare con il problema del rapporto tra l’opera e lo spazio. Vedevo che gli artisti utilizzavano materiali come il carbone, giornali o fascine di legno, e quindi mi venne in mente la parola ‘povera’. Il riferimento al teatro povero di Grotowsky è arrivato più tardi, allora non lo conoscevo perché c’erano poche informazioni su quello che accadeva fuori dall’Italia. Come mai avevi pensato a un gruppo? Allora era necessario. Fino agli anni ‘80 in questo Paese non c’erano strutture pubbliche museali per il contemporaneo, per farsi notare bisognava urlare. L’urlo è il manifesto. Quando poi arrivano le strutture, non c’è più bisogno di urlare, e quindi i manifesti scompaiono. Qual è stata la funzione dell’arte per te? Mi ha salvato la vita.

fino ad aprile MADRE Arte Povera più Azioni Povere 1968 www.museomadre.it

Le mostre in Italia

TRASCINA A SINISTRA

Dopo la mostra di Amalfi si scatenò subito la reazione negativa della critica romana, con i veti di Argan e Calvesi. Capii che ce l’avevo fatta.

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ARTE POVERA, RICCA EDITORIA di MARCO ENRICO GIACOMELLI

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3. IL PROGETTO “Artribune”


ARTISTI RUOTA PER SAPERNE DI PIÙ

La mostra “Breathless” coniuga al forte impatto visivo un obiettivo sociale importante: renderci partecipi dei dati allarmanti su inquinamento e riscaldamento globale. Roba da rimanere

ARTISTI

La mostra “Breathless” coniuga al forte impatto visivo un obiettivo sociale importante: renderci partecipi dei dati allarmanti su

Tra cascate digitali e Fiat 500 che sbuffano vapore acqueo, il PAV e l’americana Andrea Polli (Albuquerque, 1968) sono stati capaci di dar vita a una mostra decisamente affascinante dal punto di vista visivo, ma che trova il suo vero punto di forza nella divulgazione di dati estremamente complessi e astratti riguardanti i cambiamenti climatici. La cascata infuocata Particle falls, attraverso una costante mutazione d’intensità luminosa, rende visibile la quantità di PM10 nell’aria rilevata da un sensore posto all’ingresso del museo. Le installazioni Breather e Cloud Car, invece, esplicitano l’inquinamento prodotto da due automobili, la prima avvolta in un polmone che simula un collasso e l’altra che emette ininterrottamente una quantità d’acqua nebulizzata che colma d’una nebbia insalubre l’intero cortiletto interno. Per quanto gli spazi del PAV siano ristretti, il risultato è variegato, sia per la quantità di media utilizzati che per le questioni affrontate, che toccano ogni parte della Terra, rendendone ancor più dichiarata l’estrema e diffusa urgenza.

La mostra “Breathless” coniuga al forte impatto visivo un obiettivo sociale importante: renderci partecipi dei dati allarmanti su inquinamento e riscaldamento globale. Roba da RUOTA PER VEDERE IL VIDEO

Andrea Polli – Breathless a cura di Gaia Bindi e Claudio Cravero PAV Via Giordano Bruno 31 011 3182235 info@parcoartevivente.it www.parcoartevivente.it

Andrea Polli – Breathless a cura di Gaia Bindi e Claudio Cravero PAV Via Giordano Bruno 31 011 3182235 info@parcoartevivente.it www.parcoartevivente.it

di ANDREA RODI

di ANDREA RODI

Le recensioni, al contrario delle news, vengono divise in storie differenti navigabili in orizzontale. A seconda dei contenuti é possibile distribuire gallerie fotografiche, video, audio e testo nelle due direzioni di lettura, coinvolgendo cosí in maniera attiva il lettore che vuole approfondire l’argomento.

ARTEVENTI

CALENDARIO EVENTI

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LE INAUGURAZIONI

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Come detto in precedenza, la sezione legata al calendario eventi e le inagugurazioni é direttamente collegata al sito Artribune.com in modo da essere sempre aggiornata. La navigazione avviene all’interno della pagina stessa, senza aprire browser che porterebbero l’utente a navigare e perdersi nella rete. Quando la connessione non é disponibile sará visualizzato uno screenshot della pagina richiesta.

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3. IL PROGETTO “Artribune”


Bibliografia e sitografia Adobe. (3 ottobre 2011). Adobe and WoodWing Accelerate Publishing on Tablets With Adobe’s Industry-Leading Digital Publishing Suite. Tratto da Adobe.com: http://www.adobe.com/aboutadobe/pressroom/pressreleases/201110/100311Adobe WoodWingPartner.html Adobe. (2011). Digital Publishing Suite / Buying guide: Compare editions. Tratto da http://www.adobe.com/products/digital-publishing-suite-family/buying-guide.html Anceschi, G. (1993). Il progetto delle interfacce. Milano: Domus Academy. Association of American Publishers. (17 marzo 2011,). E-Books, Downloadable Audio Books Continue Growth Based on AAP Publishers January 2011 Sales Report. Tratto da Association of American Publishers: http://www.publishers.org/press/28 Artribune. (2011). Mediakit 2011. Tratto da Artribune.com: http://www.artribune.com Bush, V. (1945). As we may think. The Atlantic Monthly. Chartier, R. (1999). Cultura scritta e società. Milano: Sylvestre Bonnard. Francia, L. (2007). Ebook, modelli e valori in un concetto in evoluzione. Tesi di Laurea Specialistica in Giornalismo e Cultura Editoriale. George, R. (28 dicembre 2009). OCGM (pronounced Occam[‘s Razor]) is the replacement for WIMP. Tratto da Modern, by Ron George: http://blog.rongeorge. com/design/ocgm-pronounced-occams-razor-is-the-replacement-for-wimp/ Gilioli, V. (25 marzo 2011). Digital publishing: Tecnologie, strumenti e prospettive. Roma, Italia. Grossi, R. (2010). La cultura serve al presente. Creatività e conocenza per il benessere sociale e il futuro del Paese - VII Rapporto Annuale Federculture. RCS Etas Libri. Gruener, W. (17 aprile 2010). Did Steve Jobs Steal The iPad? Genius Inventor Alan Kay Reveals All. Tratto da Tom’S Hardware US: http://www.tomshardware.com/ news/alan-kay-steve-jobs-ipad-iphone,10209.html Iannella, R. (giugno 2001). Digital Rights Management (DRM) Architectures. Tratto da D-Lib Magazine: http://www.dlib.org/dlib/june01/iannella/06iannella.html Jobs, S. (1996). Triumph of the Nerds: The Rise of Accidental Empires (Episode 3). (R. X. Cringerly, Intervistatore) Laconi, S. A. (25 luglio 2011). Il futuro del libro nell’era digitale. Tratto da salaconi.it: www.salaconi.it/?p=744

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Ringraziamenti Inutile dire che i ringraziamenti sono d’obbligo alla fine di un percorso così importante e la lista dovrebbe essere lunghissima. Innanzitutto vorrei ringraziare la disponibilità di Massimiliano Tonelli e Valentina Tanni che, dalla redazione di Artribune, mi hanno permesso di realizzare un progetto reale e di alta qualità. A loro si aggiungono Franco Zeri per la supervisione, la fiducia e il grandissimo supporto che non si è limitato solo alla tesi, ma all’intero percorso di studi; Marco Calvo per l’intervista rilasciata; Vainer Gilioli per avermi aperto il mondo delle riviste digitali e il mio amico Matteo Sgambato per la revisione dei testi. Fondamentali sono stati certamente la mia famiglia e il mio ragazzo che hanno saputo sopportarmi e supportarmi in quest’esperienza. Ad alleggerire lo stress e la tensione ci hanno pensato invece le mie amiche più care e i miei colleghi di lavoro, dei quali non faccio i nomi per non fare torto a nessuno. Due persone però devo nominarle, Marcella e Simona, con le quali ho condiviso quest’avventura e grazie alle quali sono riuscita ad arrivare in fondo. Grazie.



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