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Autoritratto (1475 ca.) Antonello da Messina olio su tavola, 36x25 cm Londra, National Gallery
Introduzione alla Mostra La vicenda biografica di Antonello da Messina è stata oggetto, nel corso dei secoli, di ricostruzioni biografiche contraddittorie e talora piuttosto fantasiose. Molte le ragioni di una così complicata vicenda critica: ad una complessiva scarsezza di materiale documentario, infatti, si affianca la singolare concentrazione cronologica dei dipinti rimasti dal 1470 in poi. La mostra si propone di rappresentare attraverso lo spazio e le opere in esposizione, il percorso formativo e artistico di Antonello. Per costruirla sono stati ricreati i suoi viaggi, quelli documentati e quelli solo supposti, dai vari storici a partire dal Vasari. In questo senso l’esibizione si pone a metà tra il vero, la storia e l’immaginifico, raccontando quello che è stato o quello che poteva essere lasciando libera interpretazione al visitatore. Questi compirà un viaggio obbligato attraverso le tappe principali della vita dell’artista, in cui potrà osservare e comprendere le influenze più importanti che egli ha ricevuto dall’esterno o che ha trasmesso ai suoi successori, per rendere l’idea di ciò che era Antonello: un uomo curioso di tutto ciò che gli era attorno, la pittura fiamminga prima, successivamente gli studi sullo spazio e la luce, sempre pronto a mettersi in discussione. Con il suo fecondo contributo, l’arte del Quattrocento si libererà dagli ormai opprimenti paradigmi fiorentini, preparandosi al grande exploit rinascimentale.
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Venezia
Roma Napoli
Messina
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Messina (1430-?) Antonello nasce nel 1430 circa a Messina da Giovanni de Antonio, e da Garita (presumibilmente Margherita). Si suppone che il padre, marmoraio, avesse intravisto nel figlio un grande talento artistico, ma che non potendogli offrire un’adeguata preparazione in patria, lo abbia mandato a studiare a Napoli, dal famoso maestro Colantonio. Antonello, sebbene abbia viaggiato per tutti i maggiori centri d’Italia, è sempre rimasto molto legato alla sua terra, un ambiente che pur essendo privo di grandi personalità creatrici, appare ricco di fervore nel più largo raggio degli interessi commerciali, economici e di conseguenza anche artistici. In particolare il linguaggio figurativo nell’Italia Meridionale prima di Antonello era ricco di spunti provenienti da Spagna, Borgogna, Provenza e Fiandre.
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Napoli (1450ca.-56) Secondo la testimonianza di Pietro Summonte, letterato discepolo di Giovanni Pontano e futuro preside dell’Accademia Pontaniana, Antonello da Messina, quindi, intorno al 1950 è a Napoli, come apprendista nella bottega di Colantonio. Il regno di Napoli è la periferia della cultura fiamminga, e Colantonio è il pittore più noto della città partenopea e interprete delle influenze di questa cultura, dove solo più tardi fiorirà una più specifica corrente umanista. Riguardo all’apprendistato di Antonello, sappiamo quasi per certo che a lui si debbano attribuire dieci tavolette raffiguranti beati francescani, dipinte per la pala che il maestro Colantonio realizza per la chiesa di San Lorenzo Maggiore. Ma è in una delle sue pietre miliari, databile parecchi anni dopo il suo apprendistato, che gli insegnamenti fiamminghi creano, mischiate alle lezioni fiorentine, un’opera che è sintesi dell’unicità di questo artista: San Girolamo nello studio. Il discepolo, più che aggiungere la tridimensionalità, aggiunge aria, spazialità e una lettura complessa e intellettuale, dipingendo una tempera con lo stesso calore e vividezza dei maestri Van Eyck e Van der Weyden, presenti nelle collezioni di Alfonso D’Aragona e fonti d’ispirazione per il maestro della bottega, Colantonio.
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San Gerolamo nello studio (1475 ca.) Antonello da Messina tavola 46x36,5 cm Londra, National Gallery
Antonello e Colantonio Il raffronto con un dipinto del suo primo maestro Antonio Colantonio, raffigurante il medesimo tema, offre una visione chiara di ciò che Antonello da Messina impara durante il suo apprendistato per poi elaborarlo in un linguaggio del tutto personale. Infatti, se la tavola di Colantonio appare qualitativamente inferiore già ad un primo sguardo, l’analisi degli elementi pittorici chiarifica la distanza delle due concezioni del soggetto. Colantonio usa gli oggetti presenti - le penne, i libri, lo scrittoio, le forbici, il cappello cardinalizio - per descrivere il personaggio, che occupa interamente il primo piano dividendolo con il leone a cui sta levando la spina, Antonello usa gli stessi oggetti per arredare e definire uno spazio. Il pittore messinese costruisce attorno alla figura del santo uno spazio prospettico, dove le diverse posizioni e le proporzioni degli oggetti sottolineano la profondità della scena secondo la loro distanza dalla fuga. La prospettiva rinascimentale nasce all’inizio del XV secolo grazie agli studi di Brunelleschi e Leon Battista Alberti che pubblica le due idee nel trattato Della Pittura. Di certo quindi possiamo dire che Antonello da Messina non è uno sperimentatore empirico, quanto piuttosto un profondo conoscitore di queste idee che all’epoca del dipinto avevano già avuto grande seguito. Pur non avendo quindi legami con la pittura fiorentina, San Girolamo nello
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San Gerolamo (1446-1450 ca). Antonio Colantonio tavola 125x150 cm Napoli, Museo di Capodimonte
studio è sicuramente concepito all’interno della cultura umanistica, con il santo non eremita nella sua cella come nel caso del suo maestro, ma uno studioso seduto al suo scrittoio. La figura acquista importanza in quanto inserita vicino al punto di fuga della prospettiva, al centro della grandiosa composizione creata da Antonello. La ricerca scientifica si percepisce nel modo di trattare le luci ed i panneggi fiamminghi: nessun bagliore è lasciato al caso, e la stessa luce sul volto del santo trova giustificazione nel riflesso dato dal suo manoscritto, che accende il volto nella scena già toccata dalla luce proveniente dall’arcata in primissimo piano. Se nella tavola di Colantonio si riescono a vedere le palesi origini nelle fiandre, basti pensare al quadro di medesimo soggetto di Van Eyck, il discepolo crea, partendo dagli insegnamenti del maestro napoletano, un quadro del tutto originale sia rispetto alle sue origini sia rispetto alle lezioni umanistiche dell’Antonello divenuto maturo. Da sottolineare inoltre la tensione creata dall’avvicinamento della fiera verso il Santo ancora ignaro della sua presenza, assolutamente inesistente nell’opera di Colantonio dove il contatto tra i due personaggi è già avvenuto e la ferocia del leone svanita del tutto. 14|15 Antonello da
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Le Fiandre Che Antonello si sia spinto in gioventù fin nelle Fiandre per approfondire la sua conoscenza dell’arte nordica, viene affermato dal Vasari e in qualche caso l’ipotesi trova credito ancora oggi. Non esistono, però, prove concrete del viaggio e non sembra che un tale avvenimento possa inserirsi nel serrato corso della biografia dell’artista. In modo più verosimile si suppone che Antonello sia venuto a conoscenza dei modelli fiamminghi di Van Eyck, Memling o Van der Weyden durante il suo periodo di formazione a Napoli, terra d’incontro commerciale e artistico tra Spagna, Francia e Stati d’Italia. Per questo motivo questa sala è diversa dal resto dell’esposizione ed è da considerarsi frutto di una ricostruzione di un viaggio immaginifico sulla base delle opere di Antonello da Messina maggiormente avvicinabili a tale corrente artistica. Le Fiandre, territorio di difficile definizione geografica, corrispondente approssimativamente alla regione compresa tra la Francia nordorientale e l’Olanda meridionale, fanno parte, fra il XIV e il XV secolo, del ducato francese di Borgogna. L’arte fiamminga di questo periodo trova la sua massima espressione nella pittura, per la quale si usa la dicitura di “rinascimento fiammingo”. Anche nelle Fiandre, come in Italia, si cerca di studiare ciò che è conoscibile da parte dell’uomo: l’ambiente in cui esso vive, piuttosto che cercare di rendere intellegibile ciò che è divino e va oltre la conoscenza umana. In Italia però, e soprattutto a Firenze, ciò significava il dominio dell’uomo, con la ragione, sulla realtà che lo circonda e quindi la comprensione del mondo secondo la legge prospettica che incatena tutte le cose al suo punto di vista. Nelle Fiandre invece si compie uno studio minuzioso della realtà nei suoi dettagli, accostando innumerevoli elementi l’uno all’altro, a volte con l’uso di strumenti ottici come la camera oscura, per raggiungere la verosimiglianza della natura.
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Madonna Salting (1460 ca.) Antonello da Messina cm 43 x 34,5 Londra, National Gallery
Le influenze di Van Eyck L’affascinante Madonna Salting prende il suo nome dal collezionista che nel 1910 la donò alla National Gallery. È un dipinto dai complessi, richiami culturali, tanto da essere stato identificato, in principio come opera di scuola fiamminga, successivamente spagnola o addirittura russa. In realtà si tratta di uno dei più precoci lavori di Antonello, risalente probabilmente alla fine degli anni cinquanta del Quattrocento, al rientro in Sicilia dal suo viaggio napoletano a contatto con Colantonio. Ed è stato proprio il maestro napoletano il tramite d’accesso alle varietà dei linguaggi artistici presenti nella corte di Alfonso II d’Aragona da cui Antonello seppe elaborare un proprio dizionario a caratteri fiamminghi e provenzali. Caratteri che si possono scorgere facilmente in quest’opera “attraverso” l’utilizzo dei colori ad olio, la precisione nel rendere i dettagli più lontani della composizione in un gioco prezioso e aristocratico di finiture degli ornamenti. É interessante notare come Antonello abbia fatto suoi i particolari modi di trattazione della luce e di ricerca del dettaglio tipici della tradizione fiamminga, rintracciabili per esempio nella Madonna del Cancelliere Rolin dipinta da Jan Van Eyck (1439). In entrambe le opere la figura cardine è la Madonna col Bambino in braccio che viene incoronata dagli angeli.
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Madonna del Cancelliere Rolin Jan Van Eyck cm 66 x 62 Parigi, Louvre
Il fascino dei personaggi è dato dalla ricchezza e dalla seduttività anche tattile ricreata nella descrizione dei tessuti: più scuri e vari quelli di Antonello, estremamente morbido e ampio il mantello della Vergine del Van Eyck. I volti delle due donne ricercano una perfezione che sfocia quasi nell’astrattismo ed entrambi sono rivolti al Figlio che tengono sulle gambe, abbassati in un gesto di candido pudore. La complessa illuminazione diurna del Van Eyck fa brillare i gioielli finemente decorati e scandisce i dettagli minuziosi dell’architettura che in Antonello viene invece completamente annullata: nell’opera dell’artista messinese la Vergine si staglia su un fondo nero che ne esalta luci e ombre e ne ammorbidisce i contorni. La presenza del Bambin Gesù è resa in modo molto differente dai due artisti: in Antonello è evidente la dolcezza con cui il Figlio ricambia lo sguardo della madre, attratto in modo infantile dalla presenza dei due angeli, mentre Van Eyck descrive un Messia già conscio della propria missione che si presenta inerme davanti al mondo, ma ricco della sua fierezza e sorretto dall’amore materno. Il suo sguardo è già lontano da Maria, sicuramente per la presenza della figura del Cancelliere, in un gesto d’attenzione verso coloro che lo circondano e lo seguono. 20|21 Antonello da
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Messina (1456-?) Sembra, dai documenti, che nel 1456 Antonello sia nuovamente a Messina a capo di una bottega aperta assieme all’allievo Paolo di Ciacio. Nel 1457, dipinge la prima opera firmata: un perduto gonfalone per San Michele dei Gerbini di Reggio Calabria, realizzato sul modello di quello dipinto per la confraternita di San Michele di Messina, anch’esso perduto. Anche il fratello Giordano figura come apprendista della bottega di Antonello. Non si riesce a stabilire con certezza quante volte si sia recato a Napoli in questo periodo di fervide attività artistiche e di incrocio delle più diverse tendenze culturali. Di sicuro si sono alternati soggiorni a Napoli, Reggio Calabria, Messina e nelle altre città Siciliane. I contatti napoletani con la tradizione iberica, incrociati con la sensibilità provenzale sfociano nella ricerca di eleganze compositive e semplificazioni formali. In particolare i modelli provenzali addolciscono le stilizzazioni e la solenne sacralità valenzana e concentrano l’indagine su una realtà ricca di dettagli. Ed ecco le creazioni di tipico carattere fiammingheggiante, prove dell’influenza di Colantonio, ma allo stesso tempo di un allontanamento dal suo essere solamente tramite tra due culture a cui non aggiunge niente di nuovo. 22|23 Antonello da
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Le prime opere
Visita dei tre angeli ad Abramo Antonello da Messina cm 21.4 x 29.3 Reggio Calabria, Museo della Magna Grecia
Quest’opera dalle modeste dimensioni, attualmente conservata al Museo della Magna Grecia di Reggio Calabria, è considerata una delle prime opere di Antonello da Messina, ed è associata alla Visita dei tre angeli ad Abramo. Si pensa che entrambe le tavolette siano nate per la devozione privata e similmente ad altre opere con lo stesso fine, sono state realizzate su materiali deteriorabili. Per questo motivo oggi ci pervengono consunte dall’azione del tempo. Addirittura tale alterazione ha creato dei problemi al processo di attribuzione dell’opera all’artista messinese. Osservando la tavoletta, però, è evidente una commistione di elementi italiani e fiamminghi: la raffigurazione del Santo in penitenza è tipicamente italiana, (la tradizione nordica lo preferisce intellettuale nello studio), mentre il paesaggio roccioso che contestualizza la penitenza del santo è una scelta stilistica derivante dalle Fiandre, in particolare dallo studio del maestro nordico Jan van Eyck e dal suo discepolo Petrus Christus. Anche la tavoletta raffigurante Visita dei tre angeli ad Abramo è piuttosto rovinata a causa dei materiali sui quali è stata composta e le pessime condizioni di conservazione. La tavoletta presenta tagli irregolari sui lati minori (della figura di Abramo, a destra, è visibile solo un lembo di stoffa rossa) e, allo stesso modo del San Gerolamo
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San Girolamo Penitente Antonello da Messina cm 40,2 x 30,2 Reggio Calabria, Museo della Magna Grecia
penitente, tracce di doratura su quelli maggiori. Registrata nei vecchi inventari del Museo con la dicitura “scuola di Antonello”, si deve a L. Venturi (1908) la prima attribuzione al pittore messinese che trova concorde, sia pure con qualche perplessità, gran parte della critica. Il soggetto, inteso prima come una scena notturna con un presepe o una natività, è stato individuato correttamente da Brunelli (1908), ma l’esatta interpretazione del tema iconografico viene confermata dalla tavola dell’Art Museum di Denver, attribuita al pittore provenzale Josse Lieferinxe, non escludendo così l’ipotesi che possa trattarsi di una derivazione da “un modello vaneyckiano o comunque di ascendenza vaneyckiana, forse di Petrus Christus”. Come per il San Gerolamo penitente, gli elementi di cultura fiamminga e l’avvio di nuove ricerche prospettiche - si pensi al “teoremino in prospettiva del tavolinetto tondo” notato da Longhi (1953) oltre a confermare lo stesso tempo di esecuzione delle due opere, rendono più plausibile una datazione negli inoltrati anni sessanta.
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Roma (?-1560) Il 1465, con il Salvator Mundi, segna un’esplicita svolta verso la tradizione toscana di quegli anni. Questa maturazione nel senso delle grandi novità prospettiche e volumetriche deve cadere tra il 1465 e il 1470 (anno di realizzazione dell’Ecce homo), periodo di cui, purtroppo, non si hanno documenti diretti o referenze bibliografiche. Basandosi solo sull’opera di Antonello si può constatare come, conclusi gli anni di preparazione in ambito meridionale, si presentino influssi pierfrancescani in particolare sul tema dello scandaglio spaziale dei volumi nella coscienza di una solare prospettiva luminosa. É da questo momento che le sue opere si articolano in una visione unitaria profondamente rinascimentale, che assorbe e minimizza il richiamo alle fonti settentrionali. Le soluzioni di Piero della Francesca sono entrate a far parte del bagaglio di conoscenza di Antonello da Messina, diventandone parte determinante; ciò appare evidente nei risultati anche se tuttora non sono note le modalità di tale incontro. Non è possibile tuttavia che egli ne sia venuto in contatto nella sua permanenza a Napoli o in Sicilia, per la semi-contemporaneità degli eventi. Per questo si pensa che prima del viaggio documentato a Venezia, un primo itinerario di Antonello dovesse essere Roma e forse addirittura Firenze.
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San Sebastiano (1476) Antonello da Messina Dresda, Staatliche Kunstsammlungen Dresden
I primi influssi Italiani Il dipinto raffigurante San Sebastiano (Dresda), oggi ritenuto uno dei capolavori tardi di Antonello, era anticamente attribuito a Giovanni Bellini, fino alla scoperta della firma apposta dal messinese, emersa dopo l’asportazione di alcuni ritocchi. L’opera, di committenza veneziana, era stata ordinata dalla Scuola di San Rocco in seguito a un’epidemia di peste, ed era previsto venisse affiancata dalle rappresentazioni di San Cristoforo e San Rocco, affidate ad altri artisti. Seppur facente parte del periodo veneziano di Antonello sono evidentissimi gli influssi pierfrancescani: nella consapevolezza di doversi confrontare con l’arte veneziana, Antonello raccoglie la sfida dimostrando le proprie capacità nella rappresentazione prospettica: sceglie dunque di ambientare la scena in una veduta urbana - forse uno scorcio di Venezia -, creando l’impressione di profondità spaziale attraverso la decorazione geometrica del pavimento - illusione accentuata dal frammento di colonna in primo piano - e individuando con precisione il punto di fuga dietro al polpaccio destro del santo. E’ perfettamente visibile il richiamo alla Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca, che affida alla costruzione architettonica l’impressione di spazialità e profondità della scena. In entrambe le opere, le figure umane assumono valenze autonome statuarie, quasi fossero parte degli edifici che li circondano. Le figure dei due martiri sono trattate in modo molto simile: entrambi
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Flagellazione di Cristo (1444-1469) Piero della Francesca cm 58 x 81,5 Urbino, Galleria Nazionale delle Marche
i corpi a torso nudo subiscono una leggera torsione che li fa emergere rispettivamente dalla rettitudine dell’albero e della colonna. La differenza principale sta nel posizionamento delle due figure: San Sebastiano, è in primo piano, la sua innaturale tranquillità più assimilabile all’estasi che al dolore è ripresa dall’innaturalezza con cui l’albero sbuca dai marmi del pavimento, invece che dalla terra. La sua figura si staglia rispetto al paesaggio arioso e limpido in cui ogni elemento è geometricamente collocato. Cristo, invece, è collocato sul fondo dello spazio, oppresso dai suoi boia e dall’architettura classicheggiante che chiude la vista del cielo. Antonello supera l’insegnamento di Piero: rifiuta la scomposizione geometrica del martire, di cui sono anzi risaltati i morbidi contorni, ed evita l’allontanamento della storia in un passato ideale: in entrambi i quadri alcune figure conversano amabilmente, ma se in Piero della Francesca questi assumono un’importanza esagerata (forse dipendente dalla commissione), in Antonello da Messina sono figure di contorno: le dame al balcone intrattengono un’amena conversazione, affacciate a un parapetto la cui troppo accesa continuità è interrotta da tappeti stesi: così l’evento sacro è trasportato nella contemporaneità, all’oggi, ed è inserito con tale consonanza all’interno del tono pacato della rapppresentazione, da realizzare una piena integrazione fra la dimensione del sacro e quella della vita quotidiana.
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Messina (1560-1474) É documentato che nel 1460, il padre Giovanni noleggia un brigantino per andare a prendere Antonello e la sua famiglia, i servi e le masserizie ad Amantea, in Calabria, forse al suo ritorno da Roma. Una volta tornato in patria realizza il Polittico di San Gregorio, rendendo visibile un grande divario con tutta la produzione precedente e soprattutto con le esperienze più vicine allo stile fiammingo; divario che si esprime nell’impostazione statuaria delle figure, nella loro autonoma presenza strutturale. Sembra chiaro che Antonello abbia cambiato stile e che un riferimento diretto e limitato ai modelli d’oltralpe non è più possibile.
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Polittico di San Gregorio: Antonello da Messina Angelo Annunciante, Olio su tavola, cm 65 x62 Vergine Annunciata, Olio su tavola, cm 65 x54.7 San Gregorio Magno, Olio su tavola, cm 125 x63.5 Madonna col bambino in trono, Olio su tavola, cm 129.5 x 77 San Benedetto, Olio su tavola, cm 126 x 63 Messina, Museo Regionale, inv. 548
Il polittico di San Gregorio Il polittico è datato 1473, perciò la sua realizzazione dev’essere avvenuta in patria, prima del viaggio a Venezia, del 1475. Come già ripetuto, i viaggi compiuti da Antonello, gli hanno permesso di poter approfondire le sue conoscenze pittoriche e perfezionare la tecnica prospettica che in quegli anni dilagava in Italia, trasferendo all’opera un’assoluta modernità assieme alla visione unitaria dei diversi scomparti (seguendo lo stile catalano). Il Polittico presenta un fondo oro che riprende la tradizione italiana di questo tipo di dipinto. Già smembrato nel Settecento e danneggiato considerevolmente dal terremoto di Messina del 1908 (era rimasto sotto le macerie della chiesa), il Polittico è pervenuto lacunoso e mutilo della tavola superiore centrale, raffigurante probabilmente una Deposizione e, forse, anche della predella. Nel tentativo di arginare il precario stato di conservazione l’opera è stata oggetto di restauro in molteplici occasioni. Opera cardine nel percorso stilistico del maestro messinese, lascia intravedere ancora una volta come “le esperienze di tipo pierfrancescano si focalizzano sul tema dello scandaglio spaziale dei volumi prospetticamente impostati e ruotanti nella sicura coscienza di una solare prospezione luminosa
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Polittico di San Gregorio (particolare) Antonello da Messina Madonna col bambino in trono, Olio su tavola, cm 129.5 x 77
... In una ideale determinazione dei volumi le immagini si isolano in un proprio empireo di compiutezza formale dove risulta minimizzato, annullato, ogni elemento realistico, esterno, contingente o caduco”. Resta certo che questo capolavoro offeso dal tempo “costituisce una novità nel percorso noto di Antonello” perché sostituisce al tipo di ‘icona’ con storiette laterali, ancora legata alla vecchia impostazione usata da Colantonio e dallo stesso Antonello per la Pala di San Nicola (opera eseguita nel decennio precedente, nota attraverso gli schizzi del Cavalcaselle) “il nuovo polittico ‘italiano’ che unisce le
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Venezia (1474-1476) Dal 1475 inizia il suo soggiorno veneziano che durerà fino all’autunno del 1476. Al centro della sua riflessione c’è la figura umana, sia in quanto anatomia, sia per quanto riguarda l’espressività, derivati dall’esperienza pierfrancescana e belliniana. Antonello è chiamato dal patrizio Pietro Bon per eseguire la Pala di San Cassiano per la chiesa omonima, opera che sarà spezzata, ritagliata e posta nei musei di varie città (Vienna, Barcellona, Budapest). L’inaugurazione di quest’opera esplode letteralmente come una bomba atomica dell’arte. Il maestro messinese ha portato sulla laguna, insieme alle nuove concezioni rinascimentali, il colore compatto e cristallino della pittura nordica. La serie delle opere veneziane del grande maestro siciliano è di estrema importanza per l’influenza che queste eserciteranno sulla pittura della Serenissima e principalmente su quella di Giovanni Bellini. Il trapasso dall’una all’altra sta a indicare che Antonello porta sì a Venezia l’esperienza di Piero della Francesca ma la rinnova egli stesso a contatto con la poetica di Giovanni Bellini. Giunge insomma a quella completa risoluzione delle forme in architettura e dell’architettura in colore-luce, per cui la Pala di San Cassiano si pone come il punto di arrivo di tutte le precedenti ricerche e come il punto di partenza delle ulteriori esperienze sia di Bellini sia dei suoi allievi e seguaci.
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Pala di S.Cassiano (1475-1476) Antonello da Messina cm 115 x 133,6 (in totale) Vienna Kuntsthistorisches Museum
Antonello nella patria del Bellini La Pala di S. Cassiano fu commissionata dal patrizio Pietro Bon ed eseguita da Antonello nell’arco di otto mesi circa, dal mese di agosto 1475 ai primi di aprile del 1476, come si ricava dal testo di una lettera inviata dallo stesso committente, il 16 marzo 1476, a Galeazzo Maria Sforza (Beltrami, 1894), lettera nella quale la pala di San Cassiano, ancora non ultimata, viene definita “de le più ecxelenti opere di pennello che habia Ittalia e fuor d’lttalia”. Il dipinto ritrae una Sacra conversazione, con la Madonna col Bambino in trono tra i santi Nicola di Bari, Lucia, Orsola e Domenico; ad essi originariamente si aggiungevano altri quattro santi. Dell’opera rimane purtroppo soltanto la parte centrale, composta di tre frammenti ricongiunti. Un disegno di J. Wilde, del 1929, ne ipotizza la ricostruzione globale, dalla quale è possibile calcolare che la pala in origine misurava circa tre metri d’altezza per circa due metri e venti di larghezza. La bellezza nuova dell’opera appare fondata sul doppio registro di attenzione che essa esige: uno sguardo da vicino, per cogliere nel particolare i suggerimenti del mondo fiammingo e uno sguardo da lontano per riassumere unitariamente le architetture, i personaggi, l’atmosfera e la calda luce dorata che la pervade. Nella Pala di S. Giobbe dipinta dal Bellini nel 1487
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Pala di S.Giobbe (1487) Giovanni Bellini cm 258 x 171 Venezia, Galleria dell’Accademia
(Accademia di Venezia) sono invece raffigurate, a tre per tre su un solo pannello, in un’architettura simmetrica, sei maestose figure di santi che inquadrano la Vergine col Bambino seduta su un trono, ai piedi del quale giocano tre graziosi angeli musicanti. É evidente il riferimento all’opera di Antonello, ma è vero anche che il Bellini dipinse prima dell’artista siciliano un’altra Pala per la chiesa di San Zanipolo (Basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia) andata perduta e di cui rimangono una presunta copia del XIX sec. e la testimonianza di Cavalcaselle, secondo cui si tratterebbe della prima architettura unificata sotto un arco, accompagnata dai conseguenti studi meticolosi circa la prospettiva e il rapporto tra spazio architettato e dipinto e spazio reale. Antonello quindi, dopo aver ristrutturato la sua opera su Piero della Francesca, entra in un proficuo rapporto di scambio con il Giambellino. Da una critica di Marabottini sembra che l’architettura di Antonello sia più solenne di quella belliniana, derivata dall’ Alberti e da Piero della Francesca, il gruppo divino torreggia sugli otto santi, quattro per lato, non affollati in parata frontale, ma disposti a emiciclo nell’avvolgente, spaziosa atmosfera percorsa di ombra e di luce. “Dettagli lussuosi, come la veste damascata della Vergine, squisitezze ottiche, come il vasetto della Maddalena, le perle e i rubini dei fermagli, il cristallo sfaccettato del
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Pala di S.Giobbe (particolare) Giovanni Bellini cm 258 x 171 Venezia, Galleria dell’Accademia
pastorale, teoremi geometrici, come la mano scortata del S. Nicola, che sorregge il libro, e, su quello, le sfere auree, sospese come pianeti nello spazio, tutto vien riassorbito, fuso, reso palpabile e vivo nel lume unitario. Persino le tipologie delle figure sono mutate, scaldate da un nuovo tepore. Non più i volti chiusi, compatti, gli occhi tagliati come stupende mezzelune di basalto, le bocche fisse in sorrisi arcaici; ma invece una morbidezza diffusa, le iridi divenute chiare, cristalli umidi, le bocche appena dischiuse nel respiro, e gli ovali slargati, a ricercare una ideale, sferica perfezione. Giovanni Bellini, antagonista leale, riconoscerà subito il successo di Antonello; lo citerà apertamente nella Pala di S. Giobbe, l’opera capitale della sua maturità (1487 c.), e ancora, a distanza di trent’anni, in quella di S. Zaccaria (1505), quando già la lezione del messinese dava i frutti estremi nella malinconia luminosa di Giorgione, e il giovane Tiziano volgeva attorno lo sguardo dorato” (Marabottini, cat. Messina 1981).
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Messina (1476-1479) Dopo il soggiorno veneziano, Antonello è di nuovo a Messina e l’Annunciata di Palermo dà la misura di quest’ultima fase. Con il Polittico di San Gregorio aveva infatti affrontato lo stesso tema, ma proprio il confronto tra le due opere all’apparenza tanto simili va’ a rivelare, nuovamente, la sconvolgente rapidità di sviluppo dell’arte di Antonello, nel senso di una traduzione della realtà aliena da ogni astrazione, indifferente a ogni formalismo. Finalmente Antonello, nato estraneo al Rinascimento, si fa forza viva di esso. Tornava a morire nella sua Sicilia, ma ormai a Napoli, Roma e Venezia aveva lasciato un messaggio e un’eredità che saranno diffusi e amplificati fino alle soglie del nuovo secolo.
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La vergine annunciata (1475) Antonello da Messina cm 45 x 34,5 Palermo, Galleria nazionale della Sicilia
Il ritorno Questa straordinaria opera venne commissionata ad Antonello nel 1474 ed eseguita per la chiesa di Santa Maria Annunziata di Palazzo Acreide. La raffigurazione è caratterizzata da un taglio fiammingo molto netto: gli schemi nordici della ritrattistica del taglio a mezzo busto si rifanno elemento portante nella pittura di Antonello. Esistono due versioni originali dell’opera: una è conservata a Monaco dove la Madonna è raffigurata con le mani giunte sul petto, e quella palermitana in cui la mano alzata non è scorciata esattamente, ma piuttosto storpiata. Gli studiosi stanno ancora cercando di capire quale delle due versioni sia quella che fu vista a Venezia nel 1660 dal Boschini in casa del barone Tassis. Si pensa, comunque, che l’opera palermitana sia tornata in Sicilia grazie ad una presunta unione matrimoniale. Antonello dopo aver attraversato l’Italia, utilizza le conoscenze acquisite nella creazione di qualcosa di unico: la figura della Vergine è costituita secondo uno schema geometrico ben preciso che si rifà allo stile toscano, ma vi unisce elementi di carattere fiammingo: nella composizione del manto che copre il capo della vergine, addolcito dall’uso del colore che il messinese avevo imparato a Napoli durante i primi anni della sua formazione artistica. La scelta ardita di Antonello di tenere nascosta la figura che viene ad interrompere la lettura della Madonna, lascia libero spazio all’immaginazione dell’osservatore, dando però degli indizi precisi come il gesto della mano che sottointende la sorpresa provocata dall’apparizione dell’angelo, e il luminoso volto della Vergine durante la serena accettazione dell’annuncio.
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Antonello da Messina San Girolamo nello studio (1475 ca.) tavola 46x36,5 cm Londra, National Gallery
Jan Van Eyck Madonna del Cancelliere Rolin cm 66 x 62 Parigi, Louvre
Piero della Francesca Flagellazione di Cristo (1444-1469) cm 58 x 81,5 Urbino, Galleria Nazionale delle Marche
Antonello da Messina Pala di S.Cassiano (1475-1476) cm 115 x 133,6 (in totale) Vienna Kuntsthistorisches Museum
Colantonio San Girolamo (1446-1450 ca.) tavola 125x150 cm Napoli, Museo di Capodimonte
Antonello da Messina San Girolamo Penitente cm 40,2 x 30,2 Reggio Calabria, Museo della Magna Grecia
Antonello da Messina San Sebastiano (1476) cm 171 x 85,5 Dresda, Staatliche Kunstsammlungen Dresden
Giovanni Bellini Pala di S.Giobbe (1487) cm 258 x 171 Venezia, Galleria dell’Accademia
Antonello da Messina Madonna Salting (1460 ca.) cm 43 x 34,5 Londra, National Gallery
Antonello da Messina Visita dei tre angeli ad Abramo cm 21.4 x 29.3 Reggio Calabria, Museo della Magna Grecia
Antonello da Messina Polittico di San Gregorio Messina, Museo Regionale, inv. 548
Antonello da Messina La vergine annunciata (1475) cm 45 x 34,5 Palermo, Galleria nazionale della Sicilia
Antonello da Messina, Storia di un viaggio a cura di: Laura Bordin Benito Condemi de Felice Nicola Plaisant Daniele Bovolenta
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