Urbis genio III: I segreti di Riva del Vin - II (e del Bucintoro "dai tralci di vite"), 2016

VENEZIA - ARCHITETTURA - ICONOGRAFIA

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URBIS GENIO

I SEGRETI DI RIVA DEL VIN - II

(e del Bucintoro “dai tralci di vite”)

DARIO ZANVERDIANI

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URBIS GENIO III

Venezia, novembre 2016

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In memoria di Fiamma e Laura Zanverdiani

Collana di studi documentati sull’architettura, l’iconografia e la città di Venezia.

Numero III novembre 2016 Testi originali, ricerche d’archivio, progetto grafico, impaginazione, ridisegni e rielaborazioni digitali, fotografie d’architetture e paesaggio: Dario Zanverdiani

ISBN : 978-88-92638-74-7 Finito di stampare nel mese di Novembre 2016 per conto di Youcanprint Self-Publishing

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I SEGRETI DI RIVA DEL VIN - II (e del Bucintoro “dai tralci di vite”) Dario Zanverdiani

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INDICE

APPENDICE Dario Zanverdiani

AGGIUNTE ALLE CASE DEI BOMBARDIERI

E CORTE NOVA DI SANTA TERNITA

Nota all’edizione: Questo terzo volume conclude una “trilogia” di studi sull’architettura e l’iconografia veneziana, completando l’argomento del secondo. Risultano anche corrette (in nota) alcune inesattezze riscontrate su temi accessori. Inoltre vi vengono integrati argomenti presenti invece nella prima pubblicazione della medesima serie.

Non potendolo fare puntualmente per ogni specifico argomento, ringrazio il prof. arch. Corrado Balistreri per le preziose indicazioni fornitemi sui più disparati temi emersi nel corso di questa ricerca.

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TESTIMONIANZE SUL BUCINTORO NEL QUATTROCENTO Già da un primo sguardo d’insieme, si coglie nella xilografia anonima londinese20 parzialmente esaminata nella prima parte di questo studio, soprattutto negli aspetti architettonici, l’emblematico valore di straordinaria ed esuberante trascrizione visiva delle annotazioni di Marin Sanudo relative ai cerimoniali dogali. L’unica possibile interpretazione dell’immagine è infatti quella che vi individua un’attenta descrizione visiva del passaggio a Rialto del corteo acqueo del bucintoro, in occasione della visita di un illustre ospite di stato di rango principesco21, da condursi nel giorno del suo ingresso solenne in Venezia verso la residenza destinatagli, la quale per consuetudine e nella maggior parte delle occasioni era il palazzo del Duca di Ferrara, già Pesaro, oggi noto come Fontego dei Turchi22, a San Giovanni Decollato sul Canal Grande. Se si esclude una deliberata quanto inverosimile “falsificazione” del soggetto, che ne sposti la datazione, la configurazione del bucintoro quattrocentesco potrebbe superficialmente apparire, a uno scarsamente avveduto osservatore, frutto di una libera o poco fedele interpretazione, in quanto in apparenza difforme dalle altre testimonianze iconografiche coeve. Tuttavia, a un più attento esame, proprio l’analisi comparata della xilografia conduce a meglio precisare le fasi di evoluzione morfologica e costruttiva nel tempo del prestigioso vascello ducale. Come spesso accade, proprio nell’anomalia e nella percepita dissonanza si celano infatti i più profondi motivi d’interesse e tramite il dubbio si evolve la ricerca, non certo con facili quanto vuote, presunte certezze. Preliminarmente, per affrontare la questione, è essenziale rendere conto, almeno in sintesi, dei vari e illuminanti resoconti letterari concernenti il bucintoro, redatti nel corso del Quattrocento.

All’inizio del secolo, è particolarmente significativa la testimonianza del segretario cremonese Andrea Marini23, racchiusa tra le pagine di un manoscritto pubblicato nel 190324: “L’imponente splendida nave dalla mirabile struttura, che viene chiamata bucintoro, è pronta all’approdo. S’innalza con un ponte coperto: sotto di esso sono ordinatamente disposti trecento [innumerevoli] vogatori che remano, al di sopra per quanto ne permette la lunghezza, ospita trecento [innumerevoli] uomini. Il seggio del doge è posto a poppa della nave. La copertura di tutta la nave è in panno di seta rosso, color porpora dove siede il doge. Dietro il seggio sventola nell’aria un alto vessillo con un’ampia insegna dell’Evangelista Marco. Nel pomo [o sfera] del vessillo è appeso un mirabile scudo di color celeste, nel quale si cela un leone dorato.”

Più oltre si accenna, inoltre, ad un castello di poppa quadrato ospitante vessilli e insegne e alla particolare, invadente decorazione con fronde vegetali del bucintoro, che non risparmia vo Pagina precedente: la prua del bucintoro.

1. Capolettera da Antiphonarium Romanum, tipografo Lucantonio Giunta, Venezia 1503 (elaborazione digitale). Si notino le analogie stilistiche con i decori della prua del Bucintoro “dai tralci di vite”.

2. Xilografia di Zoan Andrea, La Navicella, frontespizio dell’Apocalypsis Jesu Christi, stampata da Alessandro Paganini, Venezia 1516 (elaborazione digitale). La modalità di resa grafica delle onde è paragonabile a quella caratterizzante la xilografia anonima londinese.

3. La prua del Bucintoro “dai tralci di vite” nel 1506. Si nota come il rilievo del leone marciano sullo scafo, contrariamente agli esempi successivi, sia collocato completamente al di sotto di una cornice che segna il livello delle aperture per i remi sul ponte inferiore che, inoltre, terminano prima dello sportello d’ingresso per i passeggeri.

4. La prua del bucintoro cinquecentesco (1526), dettaglio dall’incisione con la processione dogale in Piazza San Marco attribuita a Jost Amman (prototipo 1554-58; immagine invertita per il raffronto).

5. Particolare della prua del bucintoro cinquecentesco (1526), da un dipinto di Sebastian Vrancx, Ingresso a Palazzo Ducale della dogaressa Morosina Morosini Grimani (4 maggio 1597; elaborazione digitale).

6. La prua del bucintoro cinquecentesco (1526), particolare da Andrea Vicentino, Lo sbarco della dogaressa Morosina Morosini Grimani al Molo di San Marco (Museo Correr – Venezia; elaborazione digitale).

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DAME, PATRIZI, CITTADINI E POPOLANI Il procedere solenne del corteo acqueo appare fissato, nel brulicare concitato di imbarcazioni e persone, come in una sequenza fotografica sostanzialmente priva di profondità, ma certamente ricca d’informazioni: quasi una ripresa, dal privilegiato punto di vista del balcone di un palazzo78, durante un’odierna regata, con la preoccupazione della rapida, perpetua e più completa possibile, registrazione di un evento, di un luogo e di un tempo. Nonostante l’enorme distanza che separa la moderna, meccanica serialità di immagini tutte simili e forse in gran parte inutili, dalla faticosa e meditata costruzione di un’opera raffinata, quale un’incisione xilografica, il paragone sorge spontaneo per il realismo, la vivezza e il coinvolgimento della rappresentazione.

Questa, non in virtù di una convincente costruzione prospettica complessiva, ma bensì per il sorprendente dettaglio nell’ampiezza dell’inquadratura, ci coinvolge e conduce nel suo spazio, permettendo gli spostamenti necessari a cogliere ogni episodio, ad apprezzare sia le quinte architettoniche che i protagonisti insigni o i personaggi minori: come, se terminate le doverose prese fotografiche dall’alto ― continuando con il paragone ― si scendesse immediatamente in strada, per divenire protagonisti in prima persona dello spettacolo collettivo, catturato e per sempre sospeso nell’istante dell’immagine.

Magazzini e botteghe si mostrano chiusi dalle serrande di legno, a esclusione delle tre barberie, già localizzate nella prima parte di questo studio, sulle quali si notano le indispensabili e gradevoli vetrate, composte da elementi a disco fermati a piombo e schermate, in basso, da grate lignee. In proposito, rispetto al dipinto di Carpaccio, si nota una possibile incongruenza, oppure una variazione nel frattempo intervenuta, che vede in luogo dei catini appesi sulla seconda bottega da sinistra la rappresentazione di un poggiolo di tavole.

Talvolta indifferenti, talvolta particolarmente curiosi, i garzoni conversano e giocano spensierati presso una piccola botte, si affrontano in una zuffa aizzando un cane, oppure trasportano barili, mentre altrove si procurano una scala a pioli su cui salire per godere di una migliore visuale. Le donne assistono all’evento per lo più affacciate alle finestre, spesso quasi con ritrosia, qualche volta con spontanea disinvoltura appoggiate sui davanzali, ovunque adorni di tappeti come d’uso in occasione di pubbliche e fastose cerimonie, stando alle immagini coeve e successive. Ottagoni, croci, stelle, formelle, medaglioni arrotondati, quadrilobi, fogliami e tralci vegetali, bordure a nastri intrecciati, concluse da lunghe frange, caratterizzano i decori, sia geometrici che curvilinei, di tali preziosi manufatti provenienti dalle coste del Mediterraneo orientale, probabilmente prodotti e acquistati al Cairo, a Damasco e in Anatolia79. In toga i patrizi, ma anche i cittadini specialmente se investiti di particolari ruoli pubblici, come medici, avvocati e segretari; in dogalina le dame, in giubbone o zupon e calzabraga altri esponenti del ceto medio, commercianti, giovani e popolari, non mancano alcuni religiosi: tutti si soffermano lungo le rive, oppure si affollano sui pontili e sulle gradinate di rive e ponti80. Indossate dai gondolieri, oltre alle più consuete calzamaglie, si notano corte braghe allacciate al di sotto delle ginocchia ― osservabili anche nel dipinto di Carpaccio ― mentre in capo, più d’uno indossa una berretta con Pagina precedente: abiti femminili nella xilografia anonima.

1. Dama alla finestra, probabilmente con copricapo detto balzo; tappeto orientale a disegno geometrico.

2-3. Donzelle alle finestre; si notino le particolari e realistiche posizioni delle braccia.

4-5. Donne in dogalina e fazuol, tra gli astanti sulla Riva del Vin. 6-8. Confronto con abiti femminili antichi raffigurati da Cesare Vecellio (1590). Al centro, nobile in dogalina con in capo il balzo.

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APPENDICE: AGGIUNTE ALLE CASE DEI BOMBARDIERI E CORTE NOVA DI SANTA TERNITA LE CASE DEI BOMBARDIERI A SANTA TERNITA

Una prima osservazione suppletiva trova origine dal confronto della raffigurazione della Scuola di Santa Barbara a Santa Maria Formosa, nella stampa del Carlevarijs del 1703, con un dettaglio di un’incisione edita dal Lovisa nel 1717 ca. e con lo stato di fatto. I punti di vista delle immagini sono completamente diversi, ma da uno strettissimo scorcio prospettico della seconda, sembra proprio che le finestre del livello superiore della Scuola fossero originariamente dotate di timpani, confermando una più ampia alterazione ottocentesca della sede dei Bombardieri, implicante la modifica delle aperture di primo piano. Nell’immagine di Domenico Lovisa risulta presente anche il marcapiano non registrato dal Carlevarijs, ma il dettaglio dell’incisione esaminato è troppo minuto e secondario, rispetto alla prospettiva d’insieme, per fornire eccessive certezze; una seconda fascia orizzontale viene delineata per di più sopra la canonica ed entrambe potrebbero essere state al tempo realizzate solamente con intonaco. Interessante, poi, la presenza nell’immagine di un incavo molto pronunciato sullo spigolo dell’edificio, in corrispondenza delle rampe dell’adiacente ponte delle Bande, contraddetto dal leggerissimo smusso attualmente presente soltanto sull’elemento angolare in pietra d’Istria, su cui è scolpita una raffigurazione in bassorilievo della santa. È possibile, inoltre, fornire una seconda interpretazione dell’affusto scolpito ai piedi di Santa Barbara nel già esaminato rilievo lapideo infisso presso le case dei Bombardieri1. Il foro danneggiato sull’affusto, visibile nella raffigurazione del pezzo d’artiglieria, potrebbe costituire l’alloggiamento per una staffa atta all’inclinazione del pezzo. Sanudo, nel 1504 e in relazione all’Arsenale, annota le spese relative non solo ai maestri bombardieri ma anche ai fabbricanti degli affusti, significativamente detti inzochadori 2, quindi coloro i quali inserivano il pezzo in un zocho. In esempi tratti dall’iconografia relativa a battaglie terrestri d’inizio ‘500, si notano carri ancora piuttosto grossolani, in un caso forse perfino con corde a vincolarne la canna, modelli che si possono considerare di transizione a quelli illustrati nel testo dello “strenuo capitano Alessandro Capo Bianco vicentino delli bombardieri della città di Crema” (1598), per le più moderne bocche da fuoco in bronzo.

Le due possibili versioni, del grezzo affusto tardo quattrocentesco – cinquecentesco di una bombarda in ferro, possono trovare in effetti riscontro nell’iconografia navale del tempo. Se la disposizione a slitta orizzontale è visibile nell’immagine del bacino di San Marco disegnata dal Reuwich nel 1483 ed edita nel 14863, merita particolare attenzione una singolare xilografia co Pagina precedente: esempi d’iconografia cinquecentesca su bombardieri e artiglieria (elaborazioni digitali).

1-2. Frontespizio e affusto di cannone da Alessandro Capobianco, Corona e palma militare di arteglieria, Venezia 1598.

3. Bombardarius, tavola di Jost Amman, da Hartmann Schopper, De omnibus illiberalibus sive mechanicis artibus, Francoforte 1574 (I ed. 1568). Si osserva un laboratorio per la fabbricazione di armi da fuoco.

4. Vignetta da Perossino della Rotonda, El fatto d’arme fatto ad Ravenna nel M.D.xii. Adi xi de apprile. Si notano affusti ancora piuttosto grezzi, forse vincolati con corde.

5. Nicolò degli Agostini, Li successi bellici seguiti nella Italia dal M.CCCCC.IX al MCCCCC.XI, Nicolo Zoppino e Vincenzo de Polo, Venezia 1521.

6. Dettaglio da illustrazione dei Libri tre de Orlando inamorato, Nicolo Zoppino e Vincezo de Polo, Venezia 1521.

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