LE STAVKIRKER NORVEGESI Il fascino del legno Chiara Davì
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO A.A. 2012/2013 Corso di Progettazione dei Sistemi Espositivi e Museali 1°livello Relatore: Alessandra Buccheri con la collaborazione di Mariafrancesca Agnese Giglia
LE STAVKIRKER NORVEGESI Il fascino del legno
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO Anno 2012/2013 Corso di Progettazione dei Sistemi Espositivi e Museali 1°livello Studente: Chiara Davì 6473 Relatore: Alessandra Buccheri Corelatore: Mariafrancesca Agnese Giglia
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1. CONTESTO STORICO E GEOGRAFICO
pag. 7
INTRODUZIONE
- 1.1 Origine ed evoluzione
pag. 12
- 1.2
Cristianizzazione
pag. 14
- 1.3 Simbologia e mitologia
pag. 18
2. ANALISI DELLA STRUTTURA E DELLE DECORAZIONI pag. 25
- 2.1 Il metodo Stav
pag. 25
- 2.2 Parte Decorativa
pag. 31
- 2.2.1 Pitture
pag. 32
- 2.2.2 Sculture e Intagli
pag. 38
- 2.3 Approfondimenti sulla produzione
pag. 45
- 2.3.1 Dettagli
pag. 48
3. IPOTESI DI ALLESTIMENTO
pag.54
- 3.1. La mostra
pag. 54
- 3.2 Spazi espositivi di riferimento
pag. 59
- 3.3 Intervento attuato
pag. 62
- Tavole
pag. 64
- Foto plastico
pag. 66
BIBLIOGRAFIA
pag. 69
SITOGRAFIA
pag. 69
INTRODUZIONE Il mio percorso di analisi e studio delle Stavkirker è nato da una scoperta fortuita fatta attraverso il testo Leggere le chiese, di Denis R. McNamara. Il testo descrive tutti gli aspetti che possono essere presi in considerazione, volendo analizzare le chiese, quindi le diverse tipologie, facciate e portali, finestre e trafori, altari e tabernacoli, vetrate, torri e guglie. Vi è anche una sezione dove le chiese vengono divise in base ai materiali e nella parte riguardante il legno, si fa riferimento proprio all’argomento della mia tesi. Le Stavkirker hanno subito attirato la mia attenzione, in quanto argomento totalmente nuovo per me e sconosciuto, a tal punto interessante da portarmi a fare numerose ricerche, inizialmente iconografiche, fino ad arrivare all’acquisto del primo libro che trattava quest’argomento: Gunnar Bugge, Stavkirker, Milano 1993. L’interesse andava aumentando a tal punto da portarmi a considerare la possibilità di sviluppare questo tema come oggetto della mia tesi. All’inizio, presa dall’euforia, il fascino irresistibile di queste costruzioni in legno, così singolari, mi ha condotta a un‘ulteriore ricerca bibliografica, portandomi a comprare online numerosi libri. Subito però ho notato la numerosa quantità di materiale bibliografico in inglese, ma non è stato questo a fermarmi. Ho cercato su tutti i siti che conoscevo e non, e mi sono anche spinta alla ricerca all’interno di biblioteche, quali quella della facoltà di Architettura dell’Università di Palermo, trovando una tesi a riguardo e anche una pubblicazione, e presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, dove mi è stato possibile prenotare un testo direttamente dal Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere Moderne, dell’Università di Bologna. Tutto il materiale trovato mi ha permesso di comprendere e organizzare un’idea completa del contesto in cui venivano costruite e soprattutto dei dettagli tecnici, sia dell’architettura che delle decorazioni. Mancante invece è stato tutto ciò che poteva riguardare dei collegamenti con altre tipologie costruttive o con tutto quello che riguarda l’immaginario cristiano, che ovviamente e ampliamente è connesso con quello autoctono norvegese. Proprio per colmare questa lacuna, ho pensato di orientare la mia ricerca verso un testo che non trattasse direttamente le Stavkirker, ma che sviluppasse in maniera completa un’analisi sulla conversione della Scandinavia. Tutto ciò per meglio comprendere in che ambiente e con che cultura potevano essere state concepite. Lo sviluppo della tesi, parte da varie considerazioni di carattere geografico e storico, al fine di comprendere quanto effettivamente le Stavkirker siano legate a una nazione specifica, la Norvegia, e quanto questa abbia condizionato gli sviluppi di quest’attività artistica così particolare. Superficialmente è facile scambiare una Stavkirke con una deviazione dalla classica cattedrale gotica, ma quello che subito salta all’occhio è la netta semplicità, sia dei materiali che della struttura, e l’armonia con l’ambiente naturale in cui si trova. Abbiamo ovviamente altri esempi di chiese in legno, in Polonia, Ungheria e Romania, che però si distaccano da quest’esempio norvegese, soprattutto per il periodo di costruzione, ovvero 1600 - 1700; quindi al massimo si può ipotizzare un’influenza pervenuta da viaggi o racconti in seguito a questi proprio dalla Norvegia. 6
Capitolo I CONTESTO STORICO E GEOGRAFICO Il termine Stavkirke (da stav = palo e kirke = chiesa) indica una tipologia di costruzione in cui è stato impiegato un preciso metodo costruttivo: lo stav. All’epoca della loro costruzione, che va dal 1050 al 1300 circa, le Stavkirker erano più di mille, ma nel 1350 la peste nera investì la Norvegia, portando con se più di metà della popolazione e l’ottanta per cento dell’aristocrazia; ciò comportò l’abbandono delle terre e ovviamente anche delle chiese, che andarono perdendosi e disfacendosi. Intorno al 900 arrivarono i primi religiosi, portatori del pesante compito della conversione. Vi riuscirono solo grazie alla lungimiranza dei capi-clan, i quali pensarono di poterne ricavare dei profitti, come per esempio attraverso il battesimo, che era visto come un atto di unione e di fiducia reciproca, da parte di grandi re cristiani europei. Questo comportò anche l’instaurarsi di un maggior flusso di attività commerciali (compra-vendita di pelli di tricheco, ossa di balena, corna di renna e vari manufatti in ferro) e ovviamente scambi culturali; i portatori di una nuova religione pensarono di recuperare gli antichi templi pagani (hov) con l’obiettivo di insediarsi al meglio, sfruttando i luoghi da tempo cari alla popolazione e che possedevano un ricco valore simbolico. Così si ebbero edificazioni al disopra di antiche strutture e, in seguito alla Riforma Protestante, nel 1536, dopo un periodo di abbandono dovuto alla peste, anche le sobrie Stavkirker dovettero far i conti con le ulteriori necessità che si vennero a creare, dato il sempre maggior numero di fedeli: sfondamento delle pareti per far spazio a finestre (originariamente vi erano solo poche aperture in alto, probabilmente credendo nella stessa idea romanica di dover ricercare Dio al “sacro buio”, nel proprio intimo), ribaltamento delle aperture (non più verso l’interno, in seguito ad un incendio disastroso che provocò la morte di molti fedeli riuniti all’interno e che, cercando di uscire, si accalcarono verso la porta), costruzione di pulpiti, cori, transetti, campanili (esterni o non), inserimento di ulteriori panche laterali (le panche erano state l’unico arredo interno per molto tempo), costruzione di un portico esterno e l’utilizzo sempre più frequente di elementi in ferro, materiale inizialmente utilizzato solo per serrature e cardini. Oggi si conservano ancora una trentina di Stavkirker, situate in Norvegia, principalmente nelle zone di Valdres e nel Sognefjord1. (fig.1) La prima zona è attraversata da 2 fiumi, Begna e Etna, mentre la seconda è un vero e proprio fiordo, ovvero una rientranza interna della costa originata da una valle glaciale o fluviale, il secondo fiordo al mondo per estensione. Entrambe le zone sono caratterizzate dalla vicinanza ai corsi d’acqua, fatto di grande interesse per la presente ricerca. Un altro elemento fondamentale è quello delle ampie riserve boschive direttamente in situ, caratteristica tipica di tutta la zona scandinava (intendendo Norvegia, Svezia e Danimarca). Il legno era quindi la materia prima più diffusa in zona, utilizzato per qualsiasi tipo di costruzione dalle popolazioni autoctone. Gli artigiani erano abili nella lavorazione del legno, per la fabbricazione di abitazioni, luoghi di culto e imbarcazioni: le famose incursioni vichinghe che interessarono 1 Per una panoramica storica completa sulle Stavkirker, cfr: Gunnar Bugge, Stavkirker, Milano 1993; Panagiotis Kizeridis, Stavkirker, Le Chiese di legno del Medioevo norvegese, Roma 1977.
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l’Europa per tutto il Medioevo hanno origine qui. Queste navi avevano consentito, negli anni tra il 600 e il 1000 d.c., di colonizzare la Groenlandia, l’Islanda, di conquistare l’Irlanda, di arrivare stabilmente in Scozia, Normandia e Bretagna, di percorrere il Mediterraneo, di risalire i fiumi dell’entroterra europeo sino al più profondo territorio russo e di giungere, prima di Cristoforo Colombo, in America2. (fig. 2) Era in Scandinavia che i Vichinghi si procuravano il legno per le drakkar (fig. 3), ingegnose navi dalla prua molto rialzata (per permettere una navigazione sicura nelle acque infide del Mar del Nord), dotate di lunghi remi e decorate con teste di drago intagliate. Le sofisticate tecniche di lavorazione autoctone furono sfruttate in pieno anche per la realizzazione dei primi luoghi d’incontro, atti alle riunioni del thing (assemblea) e al commercio, le halls (fig. 4). Erano delle strutture in legno, formate da un unico ambiente con un’apertura sul tetto, per permettere l’ingresso di luce e la fuoriuscita di fumo, data l’usanza di accendervi un fuoco proprio al centro. Queste sale non venivano usate quotidianamente per funzioni come cucinare o per la produzione di oggetti artigianali, infatti avevano un preciso valore all’interno della società: rappresentavano la vittoria di una famiglia sui propri nemici. E’ questo il motivo per cui è avvenuta una perdita totale di tali costruzioni, non abbandonate o trasferite altrove, ma volontariamente distrutte come simbolo della sconfitta per la famiglia proprietaria; come ricorda Lydia Klos: <<Many of the epic poems relate that the total destruction of the enemy and the elimination of his line is accompanied by the burning down of his ceremonial hall.>>3. Il loro valore simbolico tale da venire incendiate e a volte vi venivano anche eretti, sopra le ceneri, dei tumuli (fig. 5) (tipica sepoltura a forma di collinetta) per sottolineare l’importanza del defunto in questione. Queste usanze ci permettono di entrare in contatto con una società dove le azioni rituali e il valore sono parte centrale della vita: le navi funerarie, come quella di Oseberg e quella di Gokstad, che sottolineano l’importanza che si dava al defunto, tale da dover portar con se oggetti che dimostrino e manifestino il suo valore in vita; le raffigurazioni di animali mostruosi e i serpenti incisi sui portali delle Stavkirker, che si ricollegano al serpente mitologico Midhgardhr, al lupo Fenrir e ad altre figure, che sottolineano il peso che anche la cultura stessa e la letteratura hanno nella quotidianità e nell’ambito spirituale; il legno come materiale pregiato e virtuoso, in quanto vivo, non artificiale e preferito alla pietra, al contrario malefica, impura e “prodotto delle tenebre”4 , e per questo scelto come fondamento di un’intera civiltà. 2 Tesi sostenuta da Anders Winroth in The Conversion of Scandinavia, Yale Univeristy Press 2012, cap. 4. Si racconta di un certo Erik Torvaldsson, detto il Rosso, che intorno al 950 venne condannato per omicidio e messo al bando, quindi fu costretto ad allontanarsi e giunse in Groenlandia, chiamata da lui “Greenland”, vista la ricchezza delle risorse naturali e l’aspetto verdeggiante dei fiordi. Trascorsi i tre anni in cui sarebbe stato perseguibile per il suo misfatto, decise di far ritorno in patria e portò in Groenlandia tutti coloro che vollero cogliere l’opportunità di stabilirsi in un luogo fiorente, divenendo un ottimo capo. Intorno all’anno 1000 il figlio Leif si stabilì in Vinland (in lingua norvegese Winland, ovvero quella porzione di America settentrionale oggi nota come Terranova), ma fu costretto ad abbandonare il luogo a causa degli ostili “Skraelinger”, ovvero i Nativi Americani. Un’altra fonte afferma che “Leif fece vela a sud e toccò terra in tre punti, denominati in base al loro aspetto Helluland, la Terra delle Pietre Piatte (l’Isola di Baffin), Markland, la Terra del Legno (il Labrador) e Vinland, la Terra del Vino (Terranova). Leif Eriksson e, subito dopo, il fratello Thorvald, trascorsero solo un inverno a Terranova. Una successiva spedizione fu compiuta dall’islandese Thorfinn Karlsefni che progettava una permanenza definitiva nella nuova terra, ma che abbandonò il proposito a causa dell’ostilità e dei continui scontri con le popolazioni indigene.” Tratto da Roberta Gianadda, Celti, germani e vichinghi, Milano 2007. Cfr. anche http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/16331154?dopt=Abstract. 3 Dr. Lydia Klos, The simbolic significance of halls in the early history of northern Europe, in http://www.zbsa.eu/ research/projects/projekte-mensch-und-gesellschaft/ohne-cluster/halle_und_herrschaft/halle_und_herrschaft-en. 4 Michel Pastoureau, Medioevo Simbolico, Bari 2009, p. 73.
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Fig. 1 Distribuzione delle Stavkirker in Norvegia
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Fig. 2 Rotte e insediamenti vichinghi
Fig. 3 Particolare dell’Arazzo di Bayeux, metà XI secolo, Centre Guillaume le Conquérant, Bayeux
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Fig. 4 Ricostruzione di una â&#x20AC;&#x153;Hallsâ&#x20AC;? vichinga, al Lofotr Viking Museum (Norvegia)
Fig. 5 Tumulo di Knowth (Irlanda)
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1.1
Origine ed evoluzione
La Stavkirke non ha eguali in nessuna parte del mondo, nasce in Norvegia proprio perché ci sono i prerequisiti tali per far evolvere i luoghi tradizionali, come le abitazioni o i grandi palazzi, in un edificio che in seguito diverrà il simbolo di un mondo lontano, ricollegandosi a tradizioni ed eventi passati. Basta pensare alle Stavkirker come una rivisitazione del bosco sacro, dove vi si accedeva per ripararsi dalle intemperie e per proteggersi da animali feroci o da qualsiasi tipo di pericolo esterno (foresta félone come ricorda Jacques Le Goff, foresta traditrice dove sono in agguato tutte le insidie possibili5 ), e allo stesso tempo dandogli non solo una valenza di rifugio per il corpo, ma anche per lo spirito data anche la perfetta atmosfera di luogo mistico e di introspezione. Bisogna precisare però che la natura non era da difendere, ma veniva temuta, quindi varcando la soglia della Stavkirke il fedele si ritrovava in un’atmosfera di protezione e serenità. Bosco sacro non solo per la fitta sequenza di tronchi, ma anche per la scelta di luoghi precisi, isolati e in particolare penisole lacustri, con la montagna alle spalle, oppure su una collina lungo un fiordo, e comunque in generale vicino ai luoghi di mercato, ovvero kaupang, specialmente sulle coste della Norvegia occidentale e del lungo fiordo del Sogne. Come detto sopra, quest’edificio trae origine (e l’archeologia conferma che la scelta del sito era determinata dalla preesistenza nel posto di un luogo di culto pagano) dalle strutture facenti parte degli insediamenti vichinghi. Nello specifico i Trelleborg (fig. 6) (nome della località dove è stato ritrovato il primo sito risalente al 1000 circa - scavi del 1936 -1941), oggi presenti solo in Danimarca e Svezia, erano una sorta di fortezze, all’interno delle quali si svolgevano tutte le attività della comunità; avevano una struttura circolare con un fossato intorno e delle mura di difesa in legno di quercia, ed erano divisi in quattro spicchi da due vie principali (come il cardo e il decumano per i Romani) che portavano a quattro ingressi, dividendo l’area in quattro aree, contenenti grandi case poste secondo uno schema quadrato. Queste longhouses avevano una forma simile a quella di una nave, quindi molto allungata; erano divise in più stanze, un’ampia sala centrale e le altre più piccole. Ogni casa aveva quattro ingressi, due sul lato corto e due su quello lungo e le porte erano protette da portici. Altro esempio è Ranheim, dove, in seguito a degli scavi, è stato rinvenuto un hov formato da un’unica stanza rettangolare di 5.3 m x 4.5 m, fatta da pali in legno posti a 1.8 m circa l’uno dall’altro (quattro pali angolari e due posti a metà di ogni muro, per un totale di dodici pali). Tutte queste strutture sono il chiaro segnale di un continuum effettivo da una tipologia di edificio e di religione ad un’altra (come la Basilica di Domitilla, luogo di incontro per pregare, che fece poi da base per la costruzione delle basiliche a unico ambiente; quindi la domus romana fece nascere la struttura a navata unica). Cito a questo proposito R. Carli e R. M. Paniccia: << La Stavkirke, in sintesi, può essere considerata quale “oggetto” rappresentativo di un passaggio categoriale tra paganesimo e cristianesimo. Un passaggio che la cultura cristiana tende a descrivere quale discontinuità tra un prima “pagano” e un dopo “cristiano”, separati da una cesura netta e definitiva.>> 6 5 Maurizio Chelli, Manuale dei simboli nell’arte, Il Medioevo, Roma 2010,cap.4 p.38. 6 Tratto da Renzo Carli, Rosa Maria Paniccia, La Stavkirke norvegese e lo spazio anzi. Continuità e discontinuità nella rappresentazione sociale e nel mito, Rivista di Psicologia Clinica n.2, 2011, p.81.
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Inoltre vi è anche un continuum, se così vogliamo intenderlo, nelle metodologie di costruzione; infatti i costruttori delle Stavkirker avevano tratto esperienza dalla carpenteria navale, sfruttando quindi le medesime conoscenze nel taglio e lavoro del legno, con i minimi e grezzi strumenti a disposizione – lo scalpello, l’ascia e coltelli vari (per le sculture e i bassorilievi veniva usato il “piede di capra”) - e variando tutto in base alla quantità e qualità del materiale a disposizione, alle possibilità economiche e alla reperibilità di buoni carpentieri e artigiani. Si cominciava dai singoli pezzi e poi si passava all’assemblaggio, che poteva richiedere dai cinque ai sei mesi (seguenti all’inverno in cui veniva presa la materia prima), differenziando in tronchi lunghi e stretti per le colonne interne, corti e robusti per quelle d’angolo esterne e per quelle intermedie, disposte lungo le pareti perimetrali; la circonferenza variava tra i 140 e i 175 cm. Il tipo di legno usato era quasi esclusivamente il pino (furu), ma a volte anche l’olmo (per esempio usato per l’erezione della chiesa di Urnes). La scelta del materiale era molto importante, così come la sua stagionatura (che avveniva in loco e poteva durare anche diversi anni). Per iniziare si asportava la corteccia, si tagliavano i rami, cosicché l’albero moriva con calma e allo stesso tempo si impregnava della sua stessa linfa, così da seccarsi lentamente. Era importante far seccare bene anche i chiodi (infatti non veniva usato nulla che non fosse di legno, tranne che per le serrature e i sistemi di montaggio delle porte, tutti in ferro) per evitare la fuoriuscita dei perni dalle loro sedi, a causa di un’asciugatura non completa7. È interessante, a questo punto, sottolineare come la scelta del legno (pino o olmo che sia) rispecchi in pieno l’idea medievale che si aveva di alberi benefici e non; l’olmo era uno di quelli, insieme al tiglio e la quercia (simbolo della fortezza, fra le quattro virtù cardinali, e della Fede, fra le tre virtù teologali), che veniva piantato davanti le chiese, a differenza del tasso o del noce che venivano considerati nefasti – il tasso in quanto albero solitario e che cresce in luoghi dove altri alberi non crescono, quasi avesse fatto un patto con il Diavolo; il noce viene proprio considerato un albero di Satana, infatti le sue radici tossiche fanno perire tutta la vegetazione intorno a esso, e si dice che addormentarsi sotto le sue fronde possa determinare incontri con spiriti maligni8. Nell’Edda in prosa si legge: <<Il frassino è fra tutti gli alberi il più grande e il migliore; i suoi rami si protendono su tutto il mondo e sovrastano il cielo.>>9 , e ancora << - Gangleri domandò: “Dov’è la residenza principale oppure il sacrario degli dei?”. Risponde Har: “Si trova presso il frassino Yggdrasill; là gli dei tengono giudizio ogni giorno”.>> 10. In tutte le religioni arcaiche l’albero è stato oggetto di culto come elemento di comunicazione tra tre mondi: gli inferi, la terra e il cielo. E’ simbolo di rigenerazione, di rinnovamento ciclico senza fine, della vittoria della vita sulla morte.
7 Sull’argomento cfr. Ilaria Garofalo, Le Stavkirker Norvegesi, Un’architettura, una tecnica, Trento 1992, cap. 2. 8 Per approfondimenti cfr. Michel Pastoureau, Medioevo Simbolico, Bari 2009, cap. 2 paragrafo1. 9 Snorri Sturluson, Edda, Milano 2011, p. 65. 10 Sturluson, 2011, p. 65.
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Fig. 6 Fortezza ad anello di Aggersborg (Danimarca)
1.2
Cristianizzazione
Innanzitutto bisogna in parte sfatare il mito che la Scandinavia sia diventata cristiana solo grazie ai continui flussi di evangelizzazione da parte di uomini di chiesa: è stata anche una scelta volontaria, ben pensata e per un preciso motivo che affonda le sue radici nella struttura stessa delle comunità scandinave. I molteplici capi-clan che avevano bisogno di espandere il loro potere, dovevano instaurare uno stretto rapporto con i loro guerrieri, avendo capito che necessitava creare un legame saldo, di rispetto reciproco e basato su un do ut des. Proprio per questo motivo, in cambio di protezione da parte dei loro soldati, offrivano loro doni per sottolinearne il patto, che veniva sancito con i cosiddetti armrings o torquis11 (fig. 7); era una questione di rispetto e onore. In questo modo si assicuravano la loro lealtà fino alla morte e il loro supporto nell’ampliamento dei loro possedimenti (e non regni, perché ancora non esistevano; la prima unione vera e propria dei ventinove piccoli regni si ebbe nel 872), donando oggetti di valore – e questo spiega anche i molteplici ritrovamenti di armi, oggetti, gioielli, animali (a volte) e utensili all’interno delle tombe di grandi guerrieri, per essere considerati, anche dopo la morte, come abili combattenti. Non erano mercenari, ma seguaci, erano uomini liberi con un senso dell’onore tale da non tollerare certi tipi di legami venali; se non vi era un legame di sangue, doveva essere creata una sorta di parentela attraverso un rituale di fratellanza, un matrimonio o un’amicizia formalizzata da un brindisi nella casa del signore. Questa relazione veniva costantemente ribadita attraverso doni, che dovevano essere prestigiosi, il che obbligava i capi-clan ad interessarsi dell’acquisizione di beni di valore (anelli, braccialetti in oro e argento), a volte facevano costruire qualcosa appositamente dai loro artigiani – come l’ascia di Mammen (fig. 8),
11 “A torc, also spelled torq or torque, is a large, usually rigid, neck ring typically made from strands of metal twisted together. The great majority are open-ended at the front, although many seem designed for near-permanent wear and would have been difficult to remove. Smaller torcs worn around the wrist are called bracelets instead. Torcs are found in the Scythian, Illyrian Thracian, Celtic, and other cultures of the European Iron Age from around the 8th century BC to the 3rd century AD. The Celtic torc disappears in the Migration Period, but during the Viking Age torc-style metal necklaces came back into fashion.” Tratto da http://en.wikipedia.org/wiki/Torc.
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ritrovata in una tomba in Danimarca12 – o ricercavano oggetti esotici (come piume di pavone, tessuti in seta o oggetti in vetro), grazie agli intensi scambi commerciali. Questo era il modo in cui le relazioni di potere venivano create in una società senza stati, dove i guerrieri non erano costretti a combattere per il loro re, ma sentivano un senso di dovere nei confronti del loro signore, solo fino a quando non avrebbero avvertito di ricevere poco in cambio, e preferendo passare quindi a un leader più generoso. In quest’ottica va intesa la scelta della religione cristiana come ideologia prestigiosa, perché associata a potenti sovrani europei. Religione che permetteva la creazione di una comunità di guerrieri che sarebbero dovuti essere per forza leali, attraverso una serie di riti, come il battesimo; era come un sistema di credenze e pratiche che creavano una comunità, più utile del paganesimo – intimo e personale. I signori capirono di poter sfruttare il battesimo con i grandi sovrani europei, facendoli diventare i padrini della loro conversione, instaurando ovviamente dei legami in questo modo, che avrebbero fatto accrescere il loro potere e istituendo a loro volta connessioni con il loro seguito. È il caso di un capo norvegese, Olav Haraldsson, che fu re dal 1015 al 1028. Nel 1012, Olav partecipò a una spedizione per raccogliere la danegeld, una tassa che i Vichinghi richiedevano per risparmiarli dal saccheggio del territorio, in questo caso l’Inghilterra; dopo ciò, l’esercito fu sciolto e il suo capo Thorkil, con quarantacinque navi, si recò in Inghilterra al servizio del re Ethelred, mentre Olav continuò a vagare e saccheggiare lungo le coste della Francia e della Spagna. Quando il re danese Svein Forkbeard attaccò e conquistò l’Inghilterra nel 1013, il re Ethelred e sua moglie si rifugiarono in Normandia, cominciando a reclutare mercenari per riconquistare l’Inghilterra e Olav si unì a loro. Durante l’inverno fra il 1013 e il 1014, Olav fu battezzato dall’arcivescovo Roberto di Rouen, ovvero il fratello del duca Riccardo di Normandia e della moglie del re Ethelred, il che confermava ancor di più il suo legame con il re e gli donava prestigio; prestigio che passava automaticamente ai suoi seguaci, come un uomo chiamato Eyvind, che da Olav fu battezzato e che andò in suo aiuto, quando decise nel 1015 di conquistare la Norvegia. Il battesimo di Eyvind sanciva il suo legame con Olav e, attraverso di lui, anche con il re Ethelred e il duca Riccardo13 . L’influenza del Cristianesimo è inoltre visibile nelle sepolture; mentre i pagani erano soliti bruciare i defunti e dopo inumarli, per i cristiani era proibito. Sono state ritrovate tombe, in Svezia ad esempio, dove alcuni corpi erano stati bruciati e altri no. I cristiani seppellivano i corpi con la testa rivolta verso ovest e, dal nono secolo, anche i pagani cominciarono a farlo e smisero di corredare le sepolture di molti oggetti (armi, animali domestici, utensili da cucina, cibo, navi e anche servi), seguendo le usanze cristiane di seppellirli con semplici vestiti e tutt’al più con qualche ciondolo al collo; inoltre i defunti cristiani non venivano mai sepolti in tumuli, ma sempre in zone consacrate. La tomba di Mammen risulta molto interessante da questo punto di vista in quanto è un tumulo, con all’interno molti oggetti di valore (ripensiamo all’ascia) e vi è stata ritrovata anche una candela di cera, il che suggerisce che fosse un cristiano. A questo punto è possibile considerare l’ipotesi che fosse diventato cristiano ancora in un periodo in cui non era possibile trovare un cimitero o un luogo consacrato (e per 12 Per approfondimenti cfr. Anders Winroth in The Conversion of Scandinavia, Yale Univeristy Press 2012, p. 49. 13 Ci riferiamo a Riccardo III, fratello di Roberto il Magnifico, duchi di Normandia e diretti avi di Ruggero I d’Altavilla, che nel 1061 sbarcò a Messina e invase l’isola riuscendo nel 1072 ad arrivare a Palermo, che venne poi eletta capitale. Fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Normanni#Normanni_in_Italia_meridionale.
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questo la scelta della candela come per santificare la sua sepoltura) ma allo stesso tempo era stato un capo-clan e per questo si doveva sottolineare l’importanza del suo rango con una sepoltura di un certo peso. Curioso è a questo punto notare l’uso di due simboli religiosi: la croce, simbolo della fede cristiana e il martello Mjollnir simbolo del dio pagano della guerra Thor; in una sepoltura decorata con martelli il defunto aveva al collo una croce, in altre indossavano entrambi come pendenti. Ne è un esempio significativo uno stampo per fusione di croci cristiane e martelli di Thor del X-XI secolo ritrovato a Copenaghen (fig. 9). Nel corso del Novecento, sono stati portati avanti molteplici indagini e scavi, in varie zone della Norvegia, proprio dove sorgevano tumuli (nello specifico erano undici, di cui due in pietra). Furono ritrovate delle sepolture ricche di suppellettili, armi, gioielli, utensili in legno e/o in ferro, slitte, letti, ossa di animali, oggetti provenienti da scambi commerciali (in vetro o in seta), ma ciò che più ha sconvolto gli archeologi è stato il ritrovamento di intere navi (non drakkar ma karver, ovvero navi più piccole e per l’uso personale di un gran signore per viaggiare lungo la costa) alla base della sepoltura, che aveva una forma proprio di camera sepolcrale (e come quelle delle piramidi egizie, trafugate) con muri perimetrali e una copertura. Questi tumuli, di sabbia e argilla blu, hanno fatto si che non si degradassero e si consumassero buona parte degli oggetti contenuti all’interno; ovviamente parte dei pezzi in legno erano marci e quelli in ferro corrosi e arrugginiti (dovuto proprio al danneggiamento in seguito ai furti), infatti sono serviti degli attenti e accurati lavori di recupero e restauro per portarli al loro originario splendore e poterli esporre nel Museo delle Navi Vichinghe a Oslo14 (nel miglior dei casi venivano ripuliti seguendo procedimenti differenti in base al tipo di legno e al suo stadio di conservazione, altre volte ricostruite intere porzioni delle navi). Di notevole importanza è anche il Tempio di Uppsala (fig. 10), tempio pagano che sorgeva nell’antica città Gamla Uppsala e dove si svolse il culto fino al 1078, distrutto nel 1087 dal re Ingold I in seguito proprio a scontri fra pagani e cristiani. Non ci sono notizie certe, ma sono stati ritrovati al di sotto di essa edifici in legno che sostengono la tesi che si trattasse di una sala annessa all’edifico del re; secondo una fonte, il tempio era ricoperto d’oro e conteneva le statue di Thor, Odino e Freyr. All’interno vi si svolgevano sacrifici umani, ogni nove anni, durante il mese di febbraio, e le vittime venivano appese ai rami, nel bosco sacro vicino il tempio. Si sa anche che i re svedesi venissero incoronati lì. Per concludere si può dire che sia stato un processo abbastanza lungo e tortuoso, con l’adozione e l’uso di riti e usanze cristiane contemporaneamente a quelle pagane.
14 Per approfondimenti, cfr. Thorleif Sjovold, Le Navi Vichinghe di Oslo, Oslo, 1983.
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Fig. 7 Bracciale vichingo con terminazioni a testa di drago, fine dellâ&#x20AC;&#x2122;XI secolo, Gotland, Historiska Museet di Stoccolma
Fig. 8 Ascia cerimoniale di Mammen (Jutland), X secolo, Copenaghen, Nationalmuseet
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Fig. 9 Stampo vichingo per fusione di croci cristiane e martelli di Thor, X-Xi secolo, Copenaghen, Nationalmuseet
Fig. 10 Unâ&#x20AC;&#x2122;incisione che rappresenta il Tempio a Uppsala secondo la descrizione di Adamo da Brema, dallâ&#x20AC;&#x2122; Historia de Gentibus Septentrionalibus (1555) di Olao Magno
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1.3
Simbologia e mitologia
Abbiamo visto come, persino nella scelta dei materiali e dei luoghi, le civiltà nordiche attuavano delle precise scelte, dettate dal loro modo di pensare e vedere il mondo, dai loro credi. Ma cerchiamo di andare più a fondo nella letteratura, nella mitologia e nelle credenze che hanno influenzato la costruzione delle Stavkirker. La prima fonte, su cui basare la nostra ricerca, è l’Edda in prosa15 , oggi presente solo in sette manoscritti più antichi composti tra il XIV e il XVII secolo, di Snorri Sturluson, storico, poeta e politico islandese che visse tra la fine e la prima metà del 1200. L’Edda è un manuale di arte scaldica per aspiranti poeti e, solo in secondo luogo, un trattato di mitologia norrena tratto dall’Edda poetica, una raccolta di poemi in norreno, ritrovata senza titolo e, per la somiglianza di temi, rinominata come quella di Sturluson. L’Edda è divisa in quattro parti: -
Fyrirsögn ok Formáli (prologo),
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Gylfaginning (l'inganno di Gylfi) nel quale presenta i miti e le divinità più importanti,
attraverso episodi tratti dalla cosmogonia e dalla mitologia,
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Skáldskaparmál (dialogo sull'arte poetica) dove si occupa delle kenningar16 ,
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Háttatal (trattato di metrica) nel quale l'autore esamina i ritmi e i tipi di strofa.
Il motivo per cui utilizziamo l’Edda17 come fonte è che senza dubbio possiamo trarre importanti spiegazioni alle innumerevoli raffigurazioni di draghi, serpenti, lupi, figure che brandiscono armi, martelli e così via. Nelle illustrazioni medievali (sia codici miniati che immagini nelle chiese) era costante il rapportarsi alle credenze, superstizioni e a tutto quell’ampio immaginario di simboli, a cui costantemente vi si rifacevano gli artisti e la gente comune. Sappiamo benissimo quanto e come si è scritto sui gargoyle, sui grilli, sulle chimere e tutto quell’elenco di animali fantastici, tratti e descritti nei bestiari (formulati a partire dalla versione latina di un importante testo di storia naturale, scritto in lingua greca da autore anonimo, intitolata il Phisiologus, tradotta cospicuamente e ampliata con l’aggiunta di studi filosofici e naturalistici derivati da Aristotele e da Lucrezio), che si ritrovano continuamente nelle rappresentazioni di leggende, miti e insegnamenti all’interno di molti edifici religiosi in tutto il mondo. Anche qui, nelle Stavkirker, sono presenti molti e svariati “simboli” di una visione e di credenze specifiche, del luogo ovviamente, ma da poter comunque relazionare sempre alle credenze su larga scala, del periodo di riferimento. Con ciò è facile notare molti collegamenti e relazioni con appunto figure dell’immaginario medievale centro-europeo. Un esempio è una maschera situata nella Stavkirke di Hegge (fig. 11), dove vediamo un volto con un occhio chiuso e la lingua di fuori (possibile riferimento alla figura della Gorgone, con valenza quindi apotropaica, per scacciare il maligno). Nulla di strano sembra, potrebbe benissimo essere una qualsiasi figura grottesca 15 Sturluson, 2011. 16 Ovvero una metafora, solitamente composta da due o poche più parole, che simboleggia (in modo alquanto difficile per esser compreso da noi) una frase più complessa: es. “lune della fronte” ovvero gli occhi, “rovina dei rami” cioè il fuoco; è utilizzata anche per i nomi di persona, riassumendo così un evento particolare per cui quel personaggio debba essere ricordato. 17 Ogni volta che verrà incontrato il termine senza ulteriori specifiche di tipologia letteraria, si vorrà indicare l’Edda in prosa di Sturluson.
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riscontrabile in molte chiese medioevali o nei libri miniati, ma fa riflettere se consideriamo che all’interno della mitologia nordica, Odino (dio della guerra, della conoscenza, della magia e della poesia) cedette un occhio per acquisire conoscenza e saggezza dal gigante Mimir. Nell’Edda si racconta a proposito del frassino Yggdrasill: <<Tre radici sostengono l’albero e ampie si estendono; una nella terra degli Asi e l’altra in quella dei giganti della brina, là dove una volta c’era il Ginnungagap; ma la terza sta sopra Niflheimr, e sotto questa radice si trova Hvergelmir, e Nidhhoggr da basso la rode. Ma sotto quella radice che è nel mondo dei giganti c’è la fonte Mimir, in essa sono celati saggezza e acume e colui che la possiede si chiama Mimir; ed egli è ricco di conoscenza, poiché beve alla fonte con il corno Giallarhorn. Un tempo venne Allfodhr18 e chiese di bere un sorso alla fonte, ma lo ottenne soltanto dopo aver lasciato in pegno un occhio.>> 19 A questo punto risulta difficile discernere fra ciò che si rifà al più comune immaginario medievale e cosa, invece, è collegato alle tradizioni del luogo; volendo vedere la questione in un altro modo, basti pensare a Panofsky20 e al suo metodo iconologico, secondo il quale ogni immagine, nel corso del tempo, ha modo di riproporsi tale e quale, o anche imbevuta di nuovi e/o diversi significati; questo spiegherebbe i punti in comune e le somiglianze fra due immagini, che potrebbero, come non, avere un legame formatosi negli anni. É un po’ anche la teoria di Baltrusaitis, il quale afferma che proprio il Medioevo non ha perso i contatti con il passato e dove si può vedere come molti elementi anche decorativi si ritrovino a distanza di tempo, in tutt’altre zone; un esempio sono gli intrecci zoomorfi, di derivazione islamica (derivano dalla scrittura cufica, della città di Kufi in Iraq, piena di accenti decorativi). Non possiamo di certo affermare con certezza che i vichinghi abbiano visitato quei territori, ma di certo è interessare notare delle somiglianze e fare delle similitudini fra i serpenti decorati nei portali e nelle navi vichinghe e gli intrecci-serpente di manoscritti (fig. 12) o oggetti ritrovati in varie parti del mondo (Raqqua, Inghilterra, Renania)21 o con i tralci persiani con teste (anche questi molto simili ai motivi decorativi utilizzati nelle assi laterali dei portali, con animali e racemi intrecciati – è possibile trovare similitudini con i capitelli della Basilica di San Vitale, a Ravenna, traforati con motivi naturali e racemi - fig.13). Queste decorazioni riprendono il tema del simplegma, di origine orientale, dove la pianta diventa un serpente o un rapace, gli animali diventano volute vegetali e le cui code terminano con fiori; evolvendosi gli elementi si sono separati con la parte vegetale totalmente intrecciata, al cui interno si trovano uomini, animali ed esseri fantastici, il significato può alludere al caos nel mondo, prima della grazia divina, oppure serve a richiamare il tema della foresta, luogo delle visioni e tentazioni. Nel portale della Stavkirke di Urnes (fig.14), ad esempio, ritroviamo gli appena citati intrecci con serpenti, ma ciò che salta all’occhio è anche la somiglianza con le decorazioni celtiche, per cui si è portati a pensare che derivino dalla visione, o comunque in qualche modo, dal rapportarsi con oggetti e/o decorazioni irlandesi o delle isole britanniche; basti pensare ai libri miniati, come quello di Kells (fig. 15), Durrow o quello di Aberdeen. Proprio sul libro di Kells si racconta che fosse stato messo in salvo a Kells in seguito 18 Uno dei tanti nomi di Odino. 19 Tratto da Sturluson, 2011, p. 65. 20 Per ulteriori approfondimenti, cfr. Erwin Panosky, Studi di Iconologia, 2009. Vedi anche Giulio Carlo Argan, Premessa allo studio della storia dell’arte, in G.C.Argan, Maurizio Fagiolo dell’Arco, Guida alla storia dell’arte, Firenze, 1977. 21 Jurgis Baltrusaitis, Il Medioevo fantastico, Antichità ed esotismo nell’arte gotica, Milano, 1973, cap. 4.
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ad un’incursione vichinga nel monastero in cui era custodito, nel nord dell’Inghilterra, a Lindisfarne (dove appunto era stato miniato), il che ci lascia pensare e intendere come possa essere probabile che i vichinghi siano entrati in possesso di un qualche altro libro; da ciò è necessario sottolineare anche l’importanza dei nodi (fig. 16), di derivazione prettamente celtica, e di cui si dispongono svariati esempi. Bisogna inoltre sottolineare l’estremo valore simbolico delle teste di drago (fig. 17), presenti nella parte superiore nell’esterno delle Stavkirker. Similmente ai gargoyle delle chiese gotiche, questa figura deriva anche da una leggenda francese in cui si narra di un drago chiamato Grand'Goule che viveva in una grotta vicino alla Senna e ogni anno richiedeva dei sacrifici come offerta; ma intorno al 600 un sacerdote giunse a Rouen promettendo di liberare la popolazione da quest’incubo, in cambio della conversione di tutti i cittadini e dell’edificazione di una chiesa, quindi sconfisse il drago che venne bruciato al rogo, tranne la testa e il collo che vennero posti sulle mura della città (divenendo il modello per la francese gargouille)22. Vi sono pareri contrastanti riguardo il loro valore positivo o meno, in quanto si ritiene che possano essere custodi del luogo, rifacendoci all’idea della natura circostante come malvagia e pericolosa, oppure che siano espressione dell’animo vivo dell’edificio in quanto luogo sacro, e quindi come pervaso da forze benefiche e amiche. Altra idea è che il drago accolga il fedele all’ingresso, quasi a voler ammonire dal passare la soglia colui il quale ha perso la fede nelle divinità care ai vecchi padri. Per concludere, molte di queste immagini, come afferma Jacques Le Goff23 , <<contengono il “meraviglioso” inteso come sovrannaturale, il “magico” come manifestazione del maligno e il “miracoloso” come intervento divino>>, il tutto visto con l’ottica della sempre possibile doppia valenza di un’immagine a volte positiva a volte negativa, a secondo del contesto di riferimento dove altri elementi presenti nella composizione determinano il senso del simbolo (derivante dalla parola greca symballein che significa “mettere insieme”, e quindi è ciò che separa e al tempo stesso unisce, ovvero significare una cosa diversa da sé, da quella che è la sua apparenza, richiamando più significati). Per esempio il leone viene considerato feroce se ha tra le fauci un agnello, mentre salvatore se lo porta via dalla minaccia di un lupo; questa simbologia sugli animali fu ripresa dalle credenze del Vecchio e Nuovo Testamento e, per le loro presunte attitudini positive o negative, anche nella vita quotidiana venivano trattati di conseguenza, celebrandoli con feste o processandoli con tanto di verdetto e condanna a morte.
22 http://it.wikipedia.org/wiki/Gargoyle. 23 Maurizio Chelli, Manuale dei simboli nell’arte, Il medioevo, Roma 2010, p.10.
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Fig. 11 Maschera situata nella Stavkirke di Hegge, X secolo circa
Fig. 12 Intrecci-serpente
Fig. 13 Particolare di un capitello della Basilica di San Vitale, Ravenna, 547 circa
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Fig. 14 Portale della Stavkirke di Urnes, 1130 circa
Fig. 15 Book of Kells, 800 circa, Trinity College, Dublino
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Fig. 16 Intrecci gotici e islamici
Fig. 17 Particolare delle teste di drago, Stavkirke di Fantoft, 1150 circa
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Capitolo II ANALISI DELLA STRUTTURA E DELLE DECORAZIONI 2.1 Il metodo Stav Nel primo capitolo si è fatto riferimento al metodo Stav24 per la costruzione delle Stavkirker, questo presuppone l’esistenza di altri metodi costruttivi utilizzati nella stessa regione e nel periodo in questione, ovvero il metodo laft e il metodo grind. Come già detto, il metodo Stav è chiamato così perché si riferisce alla tecnica di costruzione, appunto Stavteknikk (fig.18), che si basa sull’utilizzo del palo in legno come elemento fondamentale e portante. Anche il laft prevede l’utilizzo di pali in legno, ma la differenza sta nella disposizione di questi: nel metodo Stav troviamo assi di legno poste verticalmente a formare le pareti dell’edificio in questione e dei pali angolari a sezione circolare che reggono l’intera costruzione, mentre nel laft (fig. 19) sono pali a sezione circolare posti orizzontalmente incisi e incastrati fra loro agli angoli (da laftbygg, ovvero procedimento a blocchi o tronchi sovrapposti). Questi due metodi hanno origini differenti, il primo era diffuso e usato nella zona occidentale della Norvegia, il secondo non era originario del luogo ma proveniente dall’Est e andò sostituendo il metodo Stav nell’edilizia abitativa. Tutti questi procedimenti derivano comunque dalla costruzione a palizzata, che ha radici nell’architettura primitiva della zona alpina e del Nord Europa; inizialmente l’ambiente interno era delimitato da tavole o tronchi grossolanamente tagliati a metà e fissati direttamente sul terreno, ma ciò creava problemi di umidità, quindi si decise di passare alla fase in cui i legni delle pareti poggiavano sul perimetro di un quadrilatero di travi di soglia, ovvero delle tavole poste orizzontalmente come base d’appoggio, d’isolamento e da sostegno per il tetto, e solo i pali angolari fissati direttamente sul terreno. Infine si giunse al completo sollevamento dal suolo anche dei pilastri angolari, poggianti su una base in pietra, composta da scapoli grezzi posti a secco (fig. 18). Questi metodi furono utilizzati in Norvegia fin dal Medioevo per la realizzazione di edifici sia di carattere civile che religioso, nello specifico con il sistema Stav si costruivano chiese ed edifici importanti, mentre con il grind piccoli edifici di campagna, utilizzati come depositi o abitazioni molto povere. Il sistema Stav fu utilizzato fino alla metà del XVI secolo, abbandonato per motivi ancora oggi oscuri e sostituito con il metodo laft25. Le prime chiese costruite con il metodo Stav erano a navata unica e di dimensioni ridotte, ispirandosi agli hov; a queste seguirono quelle a impianto basilicale sullo schema delle basiliche cristiane in pietra; più tardi si aggiunsero il tipo a colonna centrale, a navata unica e con una colonna centrale per sorreggere il 24 Sul metodo Stav, cfr, capitolo I e Bugge, Stavkirker, Milano 1993; Ilaria Garofalo, Le Stavkirker Norvegesi, Un’architettura, una tecnica, Trento 1992; Panagiotis Kizeridis, Stavkirker, Le Chiese di legno del Medioevo norvegese, Roma 1977. 25 Si pensa che il passaggio sia dovuto anche a un motivo simbolico: così come nelle costruzioni più antiche le tavole erano poste verticalmente una accanto all’altra, così i fedeli assistevano alle celebrazioni in piedi cercando di unire la loro anima al cielo; successivamente così come le tavole venivano poste orizzontalmente una sopra l’altra, così i fedeli sedevano sulle panche per assistere alle funzioni. Cfr. Garofalo, 1992, p. 28.
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piccolo campanile (similmente alle navi che avevano l’unico albero proprio al centro della chiglia), e quello a quattro colonne (con il taglio della colonna centrale e la creazione di un ambiente centrale con annesso coro). Le Stavkirker possono essere divise in due grandi tipologie: a navata unica e basilicale (fig. 20). La differenza sta nelle fondazioni, nella prima vi è una singola base in pietra su cui poggiano le travi di soglia, che si incrociano all’estremità e generalmente non si prolungano oltre tale punto; per la seconda invece abbiamo un doppio telaio di fondazione, uno interno composto da quattro travi di fondazione e uno disposto lungo il perimetro della chiesa, formato invece dalle travi di soglia. Le travi di fondazione hanno sezione rettangolare e dimensioni variabili, comprese tra i 20x30 – 25x35 cm. Le travi di soglia sono invece a sezione trapezoidale, molto strette e alte, anche oltre i 50 cm. In fase di edificazione, prima venivano poste le travi di fondazione della navata, se vi era il coro anche quelle per esso, poi le travi di soglia (ricoperte di un impasto protettivo di pece e catrame e dotate inoltre di fori per lasciar defluire le acque, che altrimenti ristagnerebbero); solo in ultimo venivano realizzate le fondazioni per l’abside e il deambulatorio esterno26 (fig. 21). Le colonne costruite con il sistema Stav possono essere di due tipi: interne ed esterne. Le prime sono presenti ad angolo o intermediamente solo nel tipo basilicale, con la navata centrale rialzata rispetto alle laterali; le seconde si trovano sia nel tipo basilicale sia in quello a navata unica e possono essere ad angolo o intermedie. Quelle interne solitamente sono prive di decorazioni lungo il fusto, hanno basi lavorate e a volte anche i capitelli più o meno scolpiti, a forma cubica o cilindrica a cuscino; mentre quelle esterne sono prive di decorazioni e capitelli, a volte presentano basi di tipi e caratteristiche diverse. Le colonne interne insieme alle travi e ai controventi costituiscono lo scheletro interno della chiesa, che può essere vista come composta da quattro pareti, ognuna formata da un telaio contenente un numero variabile di colonne27. I telai si fronteggiano a coppie uguali e si possono classificare in base al numero delle colonne contenute, quelli longitudinali sono di 5,6 o 7 colonne, quelli trasversali di 4,5; le colonne interne dei telai più corti non sempre sono intere per tutta la loro lunghezza, infatti le colonne mediane o a volte solo quella centrale, nei telai trasversali sono sempre interrotte a un’altezza variabile, che di solito coincide con la prima fila di controventi di parete. Le colonne dei telai longitudinali invece possono giungere fino a terra o essere interrotte, in questo caso riguarda solo la colonna centrale o tre colonne alternate o tutte le colonne intermedie del telaio (quelle cosiddette “a quattro colonne”). L’interruzione delle colonne ha sempre un motivo percettivo e visuale, per sottolineare l’asse est-ovest nel caso dei telai corti o dell’asse nord-sud per i telai più lunghi, già comunque accentuato dalla presenza dei portali nelle pareti nord e sud in corrispondenza dell’interruzione. Le colonne interne presentano una diversa conformazione a seconda che siano intermedie o d’angolo, quelle d’angolo sono sempre intere e a sezione circolare, mentre quelle intermedie sono formate da un fusto con sezione variabile (circolare o ovale) e da due elementi non sempre e necessariamente presenti, ovvero una base a sezione circolare con la funzione di allargare la sezione della colonna nel punto di connessione con le travi di fondazione, e un capitello, a cuscino o cubico, ornato o no da decorazioni scultoree. 26 Cfr. Garofalo, 1992. 27 Cfr. Garofalo, 1992.
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Per quanto riguarda le colonne esterne, anch’esse possono essere d’angolo o intermedie; le colonne esterne d’angolo sono formate da un fusto di dimensioni maggiori rispetto alle colonne interne, senza capitello ne decorazioni, a sezione circolare, e da una base a campana più larga del fusto, che può essere ricavata dal tronco stesso della colonna oppure può esservi applicata, mediante chiodatura con elementi lignei. Le colonne esterne intermedie sono conformate come quelle d’angolo, ma con dimensioni ridotte. Tutte le colonne sono ricavate da un tronco unico che permette di avere diametri anche di 25 cm e altezza di 8-10 m; per proteggerle dagli agenti atmosferici, soprattutto le colonne esterne vengono rivestite da uno strato protettivo di pece, e a volte da un vero e proprio manto di protezione realizzato con scandole lignee incatramate e inchiodate al fusto, sempre tramite connettori in legno. Le colonne sono collegate tra di loro tramite due tipi di travi: di bordo e di cappello. Le travi di bordo, dette anche di soglia superiore, sono presenti solo nel tipo basilicale, in quanto collegano le colonne interne delle chiese e sono a sezione trapezoidale. Le travi di cappello, cosiddette perché posto al colmo delle colonne, collegano tra di loro sia le colonne interne che quelle esterne, quindi sono presenti sia nel tipo basilicale sia in quello a navata unica; la loro conformazione varia a seconda della loro posizione, in uno o due pezzi e a sezione poligonale se collegano le colonne interne, se collegano le colonne esterne sono a sezione rettangolare o poligonale, sempre in due pezzi28. Per contrastare l’effetto della forza spingente laterale delle colonne, sono presenti due sistemi di controventamento: il sistema dei controventi di parete e il sistema dei controventi di piano. Quelli di parete sono su più livelli e quasi sempre diversificati, infatti troviamo il primo livello con archi a tutto sesto (raramente archi a ferro di cavallo), il secondo livello con travi gemelle a sezione rettangolare dette tenger, il terzo livello da croci di Sant’Andrea con un elemento centrale di forma circolare e per finire un quarto livello anch’esso con archi a tutto sesto. I controventi di piano invece sono di due tipi: tre livelli in verticale con elementi ad arco, posti orizzontalmente a collegare i telai delle colonne interne con i controventi di parete e un livello di controventi inclinati che collegano i telai interni con lo scheletro portante esterno della chiesa. Tutto ciò vale per le chiese del tipo basilicale, per quelle a navata unica invece sono presenti solo i controventi di piano, ma non quelli inclinati. Per i controventi venivano usate quelle parti dell’albero più robusto, e in particolare per gli archi e le mensole a quadrante o kne (fig. 22) si usava la parte dove il fusto si divide verso i rami più grandi, sfruttando così la naturale resistenza alla piegatura; di solito i controventi erano divisi in più pezzi, uniti ad incastro o collegati da cavicchi di legno. Per la copertura si ha una struttura di base con travi a incrocio a formare l’orditura principale, posta trasversalmente lungo la navata, su di essa vi è un impalcato semplice o doppio, fatto da assi verticali e/o orizzontali poste una accanto all’altra e per finire una copertura con scandole lignee incatramate, fissate con chiodi lignei; a conclusione una tavola di bordo e a volte elementi di cappello o colmo, riccamente decorati con intagli. Uniche interruzioni erano le finestre, originariamente piccole aperture tonde senza vetri, poste lungo le pareti a nord e sud e una più ampia finestra posta sul timpano occidentale, di diametro pari circa a 16 cm, e dei fori lungo le pareti sud del coro, per la confessione o per dare la comunione ai lebbrosi. All’esterno è possibile trovare un deambulatorio (fig. 23), a volte chiuso o parzialmente o 28 Cfr. Garofalo, 1992.
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totalmente formato da arcate continue, a volte traforate tranne nella zona dell’abside, che svolge una funzione di protezione, ma è privo di utilità dal punto di vista statico in quanto poggia sulla parete della navata centrale29. Attualmente la struttura interna ed esterna di molte di queste chiese ha subito modifiche, rifacimenti e restauri più o meno invasivi, a volte diventando a pianta cruciforme tramite l’inserimento di un transetto, in alcune si trovano aggiunzioni esterne come torri, campanili e deambulatori, all’interno invece possiamo trovare cupole, pulpiti e cori. L’inserimento di cupole, si pensa, derivi dagli scambi commerciali che hanno fatto spingere i Vichinghi verso la Russia, entrando a contatto con il mondo bizantino e con il concetto di chiesa a pianta centrale. Ciò è visibile nella scelta dei quattro montanti per sostenere la tipica cupola sospesa dell’Oriente, riscontrabile in molte Stavkirker della valle di Valdres, nel sud della Norvegia30.
Fig. 18 Evoluzione della costruzione a elementi lineari, con l’utilizzo della tecnica Stav: dalla palizzata (1) alla introduzione della trave di soglia (2) alla costruzione a travi e pilastri sollevata dal suolo su fondazione di scapoli di pietra a secco (3)
29 Cfr. Garofalo, 1992. 30 Cfr. Panagiotis Kizeridis, Stavkirker, Le Chiese di legno del Medioevo norvegese, Roma 1977.
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Fig. 19 Stavkirke di Lom, dove si può notare un allungamento della navata e un transetto costruiti con la tecnica Laft, ovvero a tronchi orizzontali
Fig. 20 Schema dei principali tipi di Stavkirker
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Fig. 21 Interno della Stavkirke di Gol, 1212 circa
Fig. 22 Esempio di mensola a quadrante o Kne, della nave di Gokstad, fine IX secolo
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Fig. 23 Deambulatorio della Stavkirke di Øye
2.2 Parte Decorativa Le Stavkirker presentano molteplici decorazioni sia di tipo pittorico che a intaglio sul legno. Data l’eccezionale varietà e le sostanziali differenze, è opportuno trattare le due tipologie di decoro separatamente in sezioni diverse, nonostante dialoghino e si intreccino tra esse sia a livello concettuale che fisico. La prima sezione tratta le decorazioni pittoriche, che sono esclusivamente interne e riguardano i cibori (elemento architettonico a forma di baldacchino che sovrasta l’altare) e i paliotti (quei pannelli decorativi che rivestono il lato anteriore degli altari). Invece la seconda sezione tratta di tutti i lavori svolti sul legno, dai capitelli, ai portali, ai mascheroni, all’arredamento interno come panche e altari, alle teste di drago esterne. Bisogna sottolineare la differenza dei soggetti e dei periodi di esecuzione, in quanto le pitture sono state eseguite tra il XIII e il XIV secolo mentre tutti i lavori su legno sono dello stesso periodo di maggiore diffusione e costruzione delle chiese, quindi fine 900 fino al 1100 inoltrato, di conseguenza anche i temi si devono ricondurre al periodo di riferimento, infatti non troviamo temi cristiani trattati negli intagli e nei vari lavori in legno come non troviamo temi della mitologia nordica nelle pitture. Bisogna tener presente che molte di queste chiese sono state distrutte e ricostruite, alcune smantellate e riedificate in nuovi luoghi, il che ha comportato la perdita di alcune parti degli edifici, a volte la sostituzione con elementi nuovi o ancora lo sradicamento dal luogo d’origine, per essere trasportato e conservato in un museo, o comunque in un luogo adatto per far sì che possa essere fruito al meglio e preservato da ulteriori pericoli. Ogni osservazione che verrà fatta dovrà tener conto del contesto in cui si opera, considerando il periodo storico, le contaminazioni possibili o probabili e la tradizione di appartenenza; tutto ciò può permettere un’ulteriore spiegazione e analisi di un fenomeno artistico, non solo architettonico e/o religioso, che è stato in grado di svilupparsi a 360° grazie alle capacità autoctone e alle influenze esterne. 31
2.2.1 Pitture Bisogna intanto considerare che in origine, le Stavkirker non erano decorate con pitture ma molto probabilmente avevano sulle pareti, che, a differenza del soffitto, ben si prestavano a essere dipinte per l’ampiezza della superficie quasi del tutto non interrotta, tappeti a disegni o arazzi tessuti, come quelli di Bayeux31 (fig. 24), con raffigurazioni tratte dalla Bibbia, dalla mitologia e dalle saghe nordiche. Questo sviluppo artistico si deve ai due sovrani costruttori e amanti delle arti, Håkon Håkonson e suo figlio Magnus Lagabøter, in particolare Håkon ebbe rapporti con il sovrano inglese Enrico III e ciò comportò legami culturali e scambi di artisti con le Isole Britanniche. Nelle città norvegesi vennero introdotte e prodotte opere d’arte di ogni genere e a Bergen convergevano visitatori e artigiani da tutti gli stati del Nord e del Baltico. Per quanto riguarda la pittura norvegese del XIII secolo32 , al suo interno distinguiamo tre o quattro diverse categorie: gli affreschi, anche se ne sono giunti pochi fino ai nostri giorni data la scarsezza di chiese in muratura e anche per le successive tinteggiature nelle poche chiese restanti; i cibori e i paliotti, il gruppo più consistente e di cui tratteremo; in fine si potrebbero considerare anche i manoscritti miniati, purtroppo completamente distrutti e perduti. I paliotti rinvenuti sono realizzati in pino o alcune volte in quercia; se ne sono conservati trentatre esemplari, raffiguranti scene della vita del santo cui è dedicato l’altare, con una base in gesso talmente sottile da lasciar penetrare la pittura nel legno. Eccetto la Norvegia, solo in Spagna abbiamo un numero consistente di paliotti del periodo romanico fino al tardo gotico, con pittura su legno, stucco dipinto o intaglio in legno dipinto, nel resto d’Europa si trova solo qualche esempio sparso, in Danimarca, Germania e Islanda33. Anche se si trovano paliotti sparsi per tutto il paese fino a Tromsø sul Mare Glaciale Artico, il nucleo norvegese maggiore proviene dalla zona del Sogn, dove già nel XIX secolo lo Historisk Museum di Bergen cominciò a raccoglierli rendendosi conto del loro valore artistico. Quello che subito salta all’occhio sono le dimensioni, da uno fino a due metri di larghezza e un metro di altezza, i contorni molto marcati, l’attenzione per i particolari e per le pieghe, segno di una tradizione molto probabilmente legata ai codici miniati. Inoltre va comunque sempre considerato che dovevano esserci dei maestri specializzati nella pittura su tavola che, come negli altri generi pittorici, si copiavano a vicenda ripetendo una serie di elementi sempre uguali e riconoscibili o a volte influenzandosi. Ciò non permette di identificare singoli artisti o gruppi ma è possibile circoscrivere tre zone in cui distinguiamo produzione e artisti differenti fra loro: Bergen nella Norvegia occidentale fu il centro dei maestri del paliotto, Trondheim al Nord con artisti che sfruttavano le conoscenze dei maestri vetrai e degli scultori arrivati in città per la costruzione della cattedrale e nella zona orientale invece vi erano diversi centri artigianali come Oslo, la sede vescovile di Hamar e l’antica città commerciale di Tønsberg34. 31 Arazzo del XII secolo che illustra la conquista della Gran Bretagna da parte dei Normanni nel 1066, periodo che corrisponde anche alla costruzione delle prime Stavkirker, infatti nell’arazzo troviamo rappresentate navi e case con evidenti strutture lignee, tutte ornate con teste di drago. Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Arazzo_di_Bayeux. 32 Il testo di riferimento fondamentale per questo argomento è Martin Blindheim, Pitture gotiche delle chiese norvegesi, Milano, 1965. 33 Blindheim, 1965 34 Blindheim, 1965
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Se volessimo analizzare le pitture delle diverse chiese cercando di organizzarle in “scuole”, ritengo che non potremmo raggrupparle neanche nei casi in cui si trovano nella stessa zona, per differenze di rappresentazione molto evidenti. Ho notato una distribuzione delle pitture di quantità superiore nella zona centrale della Norvegia, fra le chiese di Torpo, Nes, Ål e Heddal, di cui alcune più importanti e più grandi rispetto ad altre. Non ho però riscontrato evidenti discrepanze fra le pitture degli edifici che potevano essere più importanti, rispetto a quelli minori (in base all’importanza che l’edificio poteva avere nel periodo di esecuzione delle pitture); si può quindi ipotizzare che gli autori dei lavori pittorici fossero coinvolti nei cantieri delle singole chiese a prescindere dall’importanza maggiore o minore del singolo edificio in questione, e che quindi partecipavano trattandosi magari proprio di abitanti del luogo dove veniva effettuata l’edificazione. Riguardo l’organizzazione degli artisti sappiamo che Magnus Lagabøter aveva emanato uno statuto per la città di Bergen, nel quale si diceva che i pittori dovessero avere le botteghe tutte nella strada principale. Per quel che concerne le tecniche in uso, secondo un libro islandese di pittura, ma prodotto probabilmente a Bergen35 , i colori venivano mescolati con una specie di olio e i pittori stendevano strati di gesso che pulivano tre volte, sopra vi stendevano strati di argento e dopo aver utilizzato denti di lupo o di cane per lisciarli, li stendevano al sole per l’asciugatura. L’oro invece doveva essere steso sopra l’argento o a volte si utilizzava una vernice simil-oro a olio o coppale, una resina, per ragioni d’economia e per un controllo assente da parte di corporazioni (come accadeva per esempio a Parigi dove una tale tecnica era proibita). I temi e le figure più ricorrenti sono la Vergine vista come la Luna, che riceve la luce del Sole ovvero il Cristo, Re del Cielo, spesso raffigurato in trono intento a conversare con gli Apostoli dalle aureole trilobate, che gli stanno intorno. Spesso ricorre l’uso di un fondo dorato con ornamenti a foglie incisi; lo stile è decisamente di stampo inglese ma troviamo a volte anche influenze dell’alto gotico francese, con corpi snelli e ampi panneggi. I colori più diffusamente usati sono il rosso, il verde, l’azzurro e il nero per sottolineare le pieghe delle vesti, una specie di contorno che indica quindi una forte influenza della pittura europea su vetro. La Vergine viene raffigurata sul suo seggio, in una veste rossa con un mantello verde, tiene in braccio il Bambino, anch’egli con veste verde, che tende la mano verso una colomba posata su un ramo, che la Vergine tiene nella sua destra; sopra la Vergine vi sta un’architettura su cui si stagliano due ali d’angelo. Il fondo è d’oro con bordi e incorniciature in rosso, verde, bianco e beige; questo prezioso cromatismo è presente in tutte le scene di vita della Vergine all’interno dei cibori e nei paliotti. Nei cibori troviamo utilizzati gli stessi colori e le stesse scene, con l’aggiunta della Creazione, il Giardino dell’Eden, la Caduta, l’Annunciazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Fuga in Egitto, l’Ultima Cena e la Crocifissione36. Di singolare interesse, a mio avviso, è il particolare di un paliotto della Stavkirke di Røldal della fine del XIV secolo, raffigurante La Discesa al Limbo (fig. 25). Cristo è rappresentato in posizione decentrata con una veste verde scuro che lascia scoperta una spalla e un braccio, è scalzo e tiene in una mano una lunga asta con in cima una croce e il tipico stendardo della Resurrezione con la croce rossa di San Giorgio, mentre l’altra mano è raffigurata nell’atto del benedire. Nel capo ha un’aureola che sembra quasi un copricapo, divisa in otto sezioni, a colori alterni, rosso e verde (la stessa tonalità della veste). Il corpo è raffigurato con 35 Blindheim, 1965. 36 Blindheim, 1965.
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attenzione per i particolari, ma con scarsa attenzione all’anatomia, infatti quello che trapela è un senso molto arcaico della rappresentazione della figura umana. Gli unici particolari del corpo delineati sono il tronco e il volto, purtroppo in parte rovinato nella zona degli occhi; tutto il viso è incorniciato da una folta chioma di mossi capelli biondi e barba dello stesso colore. Sulle mani e sulla parte destra del tronco ha dei segni di color rosso, più scuro rispetto a quello dell’aureola. Di fronte a lui vi è un Leviatano di color blu con le fauci spalancate da cui divampano fiamme, che lascia accostare delle figure umane completamente nude verso Cristo, quasi come le volesse salvare dalle fiamme dell’Inferno, nell’ultimo attimo di possibile pentimento. Dietro il Leviatano vi è una figura cornuta probabilmente un diavolo, nell’atto di suonare uno strumento a fiato; a completare la scena vi è un diavolo verde, nella parte bassa, che brucia tra le fiamme, con sguardo sofferente. La scelta del Leviatano (fig. 26) si rifà a tutta una tradizione delle raffigurazioni dell’Apocalisse, a volte addirittura descritto come un doppio o triplo gorgoneion, altre volte rappresentato solo come una testa su due gambe, altre volte ancora con la bocca aperta da cui fuoriescono fiamme37. Per quanto riguarda lo stile, si nota una forte stilizzazione dei volti, del viso e delle mani, a volte un disegno non preciso dal punto di vista prospettico nella raffigurazione dei piedi, che infatti risultano visti quasi dall’alto in scene che in realtà mostrano figure poste frontalmente o viste di lato; gli abiti sono caratterizzati da pieghe quasi scultoree e in alcuni dipinti possiamo trovare anche un’innaturalezza diffusa nel movimento del corpo. Per tutte le scene abbiamo come sfondo un cielo stellato oppure una tenda o delle cornici che contornano il soggetto centrale, come se fossero una quinta, con toni che vanno dal giallo al verde, e una cornice a forma di mandorla o di arco a tutto sesto o trilobato per le figure singole o un semplice riquadro per le composizioni con più figure. Risalta subito una forte bidimensionalità e una chiara e netta influenza da parte delle miniature irlandesi e inglesi, basate sull’utilizzo di intrecci di racemi e figure stilizzate. In Inghilterra, presso Canterbury e Winchester, si sviluppò nel X e XI secolo un tipo di miniatura anglosassone che si distingueva per un disegno a mano libera proveniente dai modelli classici romani. Le miniature erano caratterizzate da un fine tratteggio dei contorni e da una scelta di temi di carattere sacro, come la crocifissione e varie rappresentazioni di Cristo, la Vergine e i Santi. Quando parliamo di arte inglese e irlandese prima del 1000 e quindi prima della diffusione dell’arte romanica38 , ci riferiamo alla cosiddetta Arte Insulare o Iberno-sassone, ovvero l’arte altomedievale delle Isole Britanniche nel periodo tra il 600 e il 900 circa, i cui centri artistici maggiori furono l’Irlanda39 , la Scozia e il regno di Northumbria nell’Inghilterra settentrionale e che si diffuse anche nell’Inghilterra meridionale, in Galles e nell’Europa continentale, grazie soprattutto ai monaci irlandesi40. Quest’arte deriva dalla fusione di tradizioni anglosassoni e celtiche (irlandesi e scozzesi) per la produzione di oggetti in metallo e di oreficeria, e per la miniatura, dove tutto era estremamente decorato con intrecci inseriti in schemi geometrici e l’uso di colori molto vivaci accostati per contrasto. Quindi troviamo elementi comuni nella miniatura inglese e irlandese 37 Cfr. Discesa al Limbo, Manoscritto di Wolfenbuttel (tratto da Jurgis Baltrusaitis, Il Medioevo fantastico, Antichità ed esotismo nell’arte gotica, Milano, 1973, p. 46). 38 Riferimento alla Battaglia di Hastings del 1066 per la conquista dell’Inghilterra, tra il re Aroldo II degli Anglosassoni e il Duca di Normandia, Guglielmo II, anche noto come il Conquistatore. 39 Inoltre è curioso sapere che i primi monasteri irlandesi erano costruiti in legno, almeno fino al X secolo, come è confermato dal primo termine usato per indicare le chiese, derthech, che significa letteralmente “casa di quercia”. Tratto da http://www.treccani.it/enciclopedia/irlanda_(Enciclopedia_dell’_Arte_Medievale)/. 40 http://it.wikipedia.org/wiki/Arte_insulare.
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altomedievale che vengono riproposti, in seguito a contatti e scambi culturali, all’interno delle decorazioni norvegesi successive al 1000. Bisogna considerare l’arte irlandese altomedievale insieme a quella scozzese e inglese settentrionale, perché gli amanuensi e gli artisti appartenevano a un ambito culturale ed ecclesiastico non esclusivamente irlandese, e i temi ricorrenti si riferivano al mondo cristiano dell'area mediterranea e alle terre precristiane del Nord. Nel Libro di Durrow, ad esempio, troviamo sia i simboli degli evangelisti che vari motivi decorativi con animali, oltre ai capilettera molto colorati e alle cosiddette carpet pages (fig. 27) (si tratta di pagine caratterizzate da decorazioni principalmente geometriche, le quali possono però includere forme animali o altre figure; tali ornamenti nei manoscritti occupano generalmente l'intero folio, e sono spesso posti prima dell'incipit di ognuno dei quattro vangeli), segno quindi di una svariata moltitudine di fonti e riferimenti a loro disposizione. Ovviamente sono sempre presenti i motivi a intreccio, componenti fondamentali dell’arte irlandese, accanto a quelli celtici e animalistici. Nell’importantissimo e famosissimo Libro di Kells troviamo infatti molti animali stilizzati, come serpenti e felini, e altri più realistici come galline, topi e una lontra; inoltre non mancano delle figure umane, come guerrieri rannicchiati, ginnasti posti a formare le iniziali e vari volti e teste, il tutto inserito in un ormai consolidato intreccio41. Infine è possibile trovare riferimenti e similitudini fra lo stile e le caratteristiche del disegno delle figure e delle decorazioni rappresentate nelle pitture delle Stavkirker, e una serie di illustrazioni di salteri, vangeli, evangeliari e bibbie, in un periodo compreso fra X e XIII secolo, di origini europee. Un esempio molto interessante, a mio avviso, è il Roman de Godefroy de Bouillon (fig. 28) dove troviamo una scelta di colori e il trattamento delle vesti molto simile a quello norvegese, e ancor di più nella Bible de Souvigny, testo scritto alla fine del XII secolo in Francia, dove anche i volti sono decisamente somiglianti42.
41 “Nel contributo barbarico alla trasformazione delle forme in Occidente si può considerare particolarmente significativa per la sua evidenza la diffusione a macchia d’olio della decorazione a intreccio. Per la verità questo tema ha origine nel mondo classico, nella decorazione architettonica e scultorea con motivi vegetali di tralci e girali, trattati tuttavia in termini naturalistici (..) Nella produzione barbarica appare invece l’intreccio a nodi o matasse, fitto e inestricabile, che ricopre tutta la superficie dell’oggetto e sembra poter proseguire fuori di esso, all’infinito. Questo tipo di intreccio non è prerogativa solo del mondo barbarico: dal V secolo si espande nelle regioni più diverse; in Occidente come in Oriente. Ma il suo sviluppo più originale si avrà nel IX e X secolo nell’oreficeria dei Vichinghi o Normanni (= Uomini del Nord), popolazione di guerrieri e navigatori le cui scorrerie flagellarono l’Europa di quei secoli. L’applicazione più stupefacente dell’intreccio nordico si ritrova nelle straordinarie miniature dei codici dei monasteri d’Irlanda, largamente diffusi anche nell’Europa continentale che ne trasse stimoli e spunti per il repertorio decorativo.” Tratto da Eleonora Bairati, Anna Finocchi, Arte in Italia, Volume primo, dalla Preistoria al XIV secolo, Torino, 1986, p.246-247. 42 Per ulteriori approfondimenti vedere anche, Salterio di Westminster, 1200 circa, Londra, British Museum; Altare di Klosterneuburg, Nicolas de Verdun, 1181.
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Fig. 24 Particolare dell’Arazzo di Bayeux, ritraente il Re Harold che giunge in Normandia, metà XI secolo, Centre Guillaume le Conquérant, Bayeux
Fig. 25 Particolare di un paliotto della Stavkirke di Røldal, fine XIV secolo, Historisk Museum di Bergen
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Fig. 26 Rappresentazione del Leviatano, Scuola francese, XIII secolo, Bibliotheque Municipale, Cambrai (Francia)
Fig. 27 Particolare del Libro di Durrow, XII secolo, Trinity College LIbrary, Dublino
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Fig. 28 Saladino e dei prigionieri cristiani, illustrazione tratta dal Roman de Godefroy de Bouillon, 1337
2.2.2 Sculture e Intagli In questo gruppo rientrano tutti i lavori in legno: la maggior parte è costituita dai portali delle chiese, di cui si hanno 126 esemplari superstiti provenienti da circa 80 chiese (solo un terzo dei portali sono rimasti in situ), il resto è costituito da panche, capitelli, mascheroni, cibori e sedie. Le Stavkirker hanno generalmente tre ingressi: quello principale sulla facciata rivolta verso occidente, quello secondario nella parete meridionale della navata centrale e uno riservato al celebrante che conduce direttamente al coro. L’ingresso alla chiesa era considerato come un momento simbolico, infatti si reputava la porta d’ingresso come l’accesso verso la salvezza e la pace, da ciò l’importanza e l’attenzione che veniva data ai portali. L’intelaiatura della porta è incorporata nel sistema a tavole della parete, di solito della stessa altezza, fino a circa 4 metri e circa 60 cm di larghezza, quindi piuttosto stretta. Insieme ai pezzi superiori incastrati tra loro, le assi laterali sono abbondantemente decorate con la tecnica dell’intaglio, con varie decorazioni di figure umane, animali o fogliame. Solitamente la composizione dei portali con i draghi, i più diffusi, è costituita da rampicanti che fuoriescono dalla bocca di un animale, posto in un angolo inferiore, sviluppandosi poi verso l’alto fino a unirsi ad altri grandi draghi sulle assi laterali, intrecciandosi fra loro. Il tutto culmina sulle tavole più alte dove di solito compare un terzo drago (fig. 29), di dimensioni inferiori, con la testa ciondolante sopra l’archivolto (maggiormente presente nei portali con arco rotondo rispetto a quelli rettangolari); si è portati a considerare il terzo drago come cattivo e in contrasto con gli altri due. La scelta di trattare temi non propriamente cristiani o che comunque non possiedono un insegnamento, all’interno dell’apparato decorativo delle Stavkirker, si è pensato derivi dalla volontà di far accettare più velocemente la nuova religione cristiana da parte dei pagani, proprio tramite l’uso dei medesimi simboli già conosciuti in quanto presenti nella tradizione del luogo, senza voler ulteriormente inserire altre simbologie che ovviamente all’inizio dell’evangelizzazione potevano risultare oscure e incomprensibili. Il culmine di quest’arte si ha nell’esempio del portale della Stavkirke di Urnes (fig. 30) , portale non facente parte di questa chiesa ma oggi inglobato nella parete settentrionale. 38
Le decorazioni risalenti al 1050 - 1100 sono costituite da figure intrecciate di animali, con una profondità di intaglio che raggiunge i 10 cm sulle tavole, minore invece è sulla porta. Si pensa che il processo per giungere a un tale livello di perfezione sia durato almeno un secolo, quindi che fosse già conosciuto e quindi di derivazione antica risalente ai tempi pagani o semipagani. I temi maggiormente trattati si rifanno alle antiche saghe nordiche, fra le più ricorrenti vi sono la Saga di Sigurd e la Saga di Volsung43 e solo nei portali più tardi, verso la fine del XIII secolo, si incontrano motivi riconducibili all’iconografia cristiana, come le foglie e i tralci di vite intrecciati. Anche le serrature in ferro erano decorate, con motivi che si sono ritrovati anche in molti scudi di epoca medioevale rinvenuti in Norvegia e si crede che il motivo di tale contaminazione fosse che così come gli scudi dovevano proteggere l’uomo, anche le serrature, in maniera più simbolica e universale, dovevano farlo. Nelle decorazioni dei portali, non mancano i motivi floreali e gli animali, come alberi, animali intrecciati, viti, composizioni libere di animali e figure umane, arabescati, animali che si fronteggiano e draghi. I critici si dividono fra chi si sforza di trovare significati simbolici, cristiani o pre-cristiani, e chi vi vede semplicemente decorazioni e ornamenti, che si pensa derivino dall’arte irlandese44 . La vite abitata da leoni e volatili, che si ritrova nella scultura anglosassone, si considera come rappresentazione dell’Albero della Vita o, in altre parole, Yggdrasil, l'equivalente nordico. Quindi invece di essere il luogo del bene, la vite è attaccata da creature malvagie, quasi come se volesse simboleggiare una lotta tra il bene e il male. Riferendoci all’apocalisse pre-cristiana o Ragnarok, si è pensato che le autorità clericali avessero accettato queste rappresentazioni e raffigurazioni non cristiane quasi come a voler scongiurare la continuazione di una religione pagana, magari proprio grazie a una specie di autodistruzione del paganesimo stesso attraverso questa mitologica lotta finale, e quindi attraverso proprio la paura della fine del mondo45 . Un esempio dove ritroviamo trattato questo tema è il portale della Stavkirke di Urnes dove appunto ritroviamo un leone che si batte con delle bestie, e ciò è stato visto nell’ottica cristiana della lotta fra il leone di Giuda e l’antico serpente ma altre volte senza alcun significato prettamente cristiano e solo decorativo; altri ancora pensano che questo portale derivi da un antico hov e che quindi in realtà non si tratti di un leone ma di un cavallo, altri ancora si limitano a considerarli animali ornamentali o delle semplici scene di battaglia46. 43 Nella mitologia norrena e germanica, Sigfrido (in norreno Sigurðr, conosciuto anche come Sigurd o Sigfried) è un eroe epico della letteratura nordica. Le sue gesta sono raccontate da numerose tradizioni, incluse la Saga del Nibelungo, la Saga dei Völsungar e il poema epico Nibelungenlied. La saga dei Völsungar è un’opera in prosa, realizzata in Islanda nel tardo XIII secolo, che parla dell’origine e del declino del clan dei Völsungar (i discendenti di Völsungr), la storia di Sigfrido e Brunilde e la distruzione dei Burgundi. Fonte http://it.wikipedia.org/wiki/Sigurd. 44 Erla Bergendahl Hohler, Norwegian Stave Church Sculpture, Oslo 1999, vol. II p.23. 45 Ragnarok indica, nella mitologia norrena, la battaglia finale tra le potenze della luce e dell’ordine e quelle delle tenebre e del caos, in seguito alla quale l’intero mondo verrà distrutto. Prevede la fine del sole e della luna divorati da due lupi, con alluvioni, terremoti e catastrofi naturali e un grande combattimento finale fra divinità che vedrà alla fine rinascere il mondo. “L’assenza di paralleli corrispettivi escatologici nelle altre mitologie europee, cioè la mancanza di narrazioni sulla fine del mondo, ad esempio, in ambiente greco o romano, ha portato diversi studiosi a ipotizzare influssi più o meno decisi, nei Ragnarok, dell’immaginario cristiano, in particolare dall’Apocalisse di Giovanni. L’ipotesi sarebbe corroborata dal fatto che la mitologia norrena sia stata codificata quasi interamente in seguito all’arrivo del Cristianesimo nell’Europa settentrionale. Tuttavia, anche e proprio per questo motivo, l’ipotesi rimane tale e priva di una qualunque verifica.” Cit. http://it.wikipedia.org/wiki/Ragnar%C7%ABk. 46 Cfr. Erla Bergendahl Hohler,1999, vol. II p.23.
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Intagliati sono anche i capitelli, i più diffusi sono quelli cubici, ma abbiamo uno svariato elenco di forme come quelli conici, a campana, cilindrici e trapezoidali, tutti decorati principalmente con viti e racemi intrecciati, a volte con volti umani molto stilizzati o figure animali fantastiche, paragonabili alla tradizione dei bestiari come grifoni, draghi, chimere, serpenti intrecciati, quadrupedi bicefali. Gli stessi motivi decorativi li troviamo nei cosiddetti mascheroni con volti umani o animali, a volte deformati in pose grottesche, a volte intagliati, altre dipinti o combinando le due tecniche. I mascheroni (fig. 31) sono un particolare predominante della Stavkirke di Borgund e sovente sono celati al di la di un soffitto piatto collocato in epoca posteriore in quanto, dopo la Riforma del 1537, furono ritenuti inadatti e quindi anche tagliati via e adorati come dei tutelari delle case private (faxe), così da ristabilire un contatto con le antiche tradizioni pagane. I più interessanti sono quelli della Stavkirke di Ål con volti differenti dagli altri e con un effetto tridimensionale dovuto a una rastrematura proprio sotto la mascella. Altri elementi decorati e che svolgono anche una funzione strutturale, per conferire una maggiore stabilità interna, sono le Croci di Sant’Andrea (fig. 32), riscontrabili in sedici chiese, caratterizzate da due assi separate e agganciate insieme, con i bracci decorati con file di singole foglie e un cerchio centrale decorato con cerchi concentrici intagliati o dipinti oppure, come a Hemsedal, con i bracci smerlati ma con le foglie solo dipinte in nero. All’interno delle Stavkirker può anche capitare di trovare dei cibori, un esempio è quello di Hopperstad (fig. 33) posto nell’angolo della navata centrale, vicino all’apertura del coro, che fungeva da altare laterale consacrato alla Vergine; è coperto da un tetto a doppio spiovente, ornato da medaglioni dipinti che illustrano scene tratte dalle storie della Vergine e poggia su colonne riccamente decorate con motivi vegetali a intaglio e teste umane. Nell’arredo interno bisogna includere le sedie e le panche, decorate con motivi vegetali, che potevano essere costruite in due modi differenti: costruzione a pali o costruzione a pannelli. Il primo tipo era costituito appunto dall’utilizzo di quattro pali verticali posti agli angoli, dove le tavole orizzontali che formano la parte anteriore, la seduta, lo schienale e i laterali sono incastrate a mortasa (consiste in un foro a sezione generalmente quadrata o rettangolare, effettuato su un pezzo di legname o di metallo, con lo scopo di unire una parte costruttiva all'altra). Il secondo tipo combina due grandi pannelli verticali con pannelli orizzontali frontali, lo schienale e la seduta, dove le singole parti sono agganciate, inchiodate o incastrate a mortasa con le altre. Esternamente alle Stavkirker troviamo le teste di drago (fig. 34) (ormai quasi tutte copie, di originali ne troviamo solo nelle Stavkirker di Lom e Borgund) poste sulla linea di displuvio dei tetti, caratterizzate da musi profondi e occhi puntati in avanti nello stile di Urnes, che a sua volta si basa sulle reliquie in bronzo a forma di abitazione, dove compaiono anche le teste di drago. Sempre sui tetti troviamo anche delle croci, l’unica preservata è a Lom, con due bracci separati e uniti a croce, con volute al centro. La tecnica dell’intaglio ha diverse origini: sia gli intagliatori dell’antica tradizione norvegese sia le sculture in pietra dell’Europa contemporanea hanno giocato un ruolo importante, e bisogna anche tenere in considerazione l’arte dell’oreficeria. Oggetti intagliati sono stati ritrovati sin dall’Età del Bronzo con semplici decorazioni incise e un’estesa collezione di oggetti in legno incisi proveniente dalla nave funeraria di Oseberg dell’VIII - IX secolo testimoniano il continuo utilizzo di questa tecnica. Del X e XI secolo abbiamo ben poco ma di certo molto importanti sono le Pietre runiche di Jelling (fig. 35) (Danimarca) e sempre di 40
questo periodo abbiamo altri ritrovamenti in Islanda47. Le tavole per i portali erano generalmente fatte in pino e da ogni tronco si ricavavano due tavole che venivano rivestite di catrame per ritardare il processo di essiccazione, perché ovviamente il tronco doveva essere necessariamente essiccato per evitare che restringesse. Tale processo continuava per anni, più velocemente durante i primi due-tre e poi sempre più lentamente. Se le tavole si fossero ristrette troppo, avrebbero ridotto l’altezza totale del portale e causato una mancata corrispondenza nella decorazione fra lo stipite e le assi laterali. Sul retro delle tavole si possono riscontrare a volte dei segni lasciati dalle asce o dai coltelli utilizzati, il che dimostra l’esteso quantitativo di utensili usati per l’intaglio, come svariati tipi di coltelli, scalpelli, martelli e steli d’erba o pinne di squalo utilizzate invece per le tecniche pittoriche. Gli intagliatori si servivano anche di squadre e compassi per i complessi disegni preparatori incisi con un coltello o comunque con un oggetto appuntito, che tutt’oggi si possono ancora vedere su alcune tavole, lasciate incompiute. Il coltello era lo strumento più usato ma c’erano alcune operazioni durante il lavoro, in particolare quando si incideva affondo, scavando e estraendo il legno dalla base, che non potevano essere fatte con un coltello; per esempio per le scanalature si adoperavano strette asce e uno scalpello di ferro per arrotondare la parte superiore, invece per fissare ripiani o listelli venivano usati dei pioli in legno, mentre i lavori in ferro battuto venivano fissati con dei chiodi in ferro. Le illustrazioni medievali sulle tecniche scultoree mostrano che le statue in pietra o in legno venivano scolpite posizionandole in orizzontale o inclinandole leggermente, per intagliare più facilmente lungo le venature e rendere il processo più facile, dato che si pensa si dovessero impiegare almeno 3 mesi per la realizzazione di un portale da parte di un unico intagliatore. L’aspetto finale di una tavola lavorata era dovuto a diverse componenti. Intanto si avevano due livelli, uno di base e uno a rilievo che risaltava in quanto si intagliava molto profondamente, facendone risaltare la superficie con i bordi che potevano essere lasciati spigolosi o essere arrotondati. La profondità poteva variare da 1-1,5 cm a 7,5 cm. Anche il lavoro da attuare sul livello a rilievo poteva variare da portale a portale, togliendo la parte più profonda del livello più basso l’intagliatore si trovava davanti varie superfici lisce in cui poteva arrotondare gli angoli, inclinare o inserire dei rientri in certi punti, cosicché quando aveva portato a termine il lavoro avrebbe avuto il rilievo al livello originale mentre tutto il resto era sprofondato dietro di esso, a un livello oscillante tra i 3 e i 5 mm sotto il piano originale. Nel dettaglio si avevano gli steli di viti gonfiate verso l’esterno e il fogliame concavo sempre grazie agli svariati utensili adottati anche per definire le superfici, come gli scalpelli usati per rendere un doppio contorno o i coltelli che invece rendevano una linea scanalata a v.
47 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 48-49.
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Fig. 29 Illustrazioni del disegno del portale della Stavkirke di Ă&#x2026;l
Fig. 30 Particolare del portale della Stavkirke di Urnes, 1130 circa
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Fig. 31 Mascherone della Stavkirke di Torpo
Fig. 32 Croci di Santâ&#x20AC;&#x2122;Andrea della Stavkirke di Gol, 1212
Fig. 33 Ciborio della Stavkirke di Hopperstad
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Fig. 34 Testa di drago della Stavkirke di Borgund. 1180
Fig. 35 Pietre runiche di Jelling, Danimarca
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2.3 Approfondimenti sulla produzione Alcuni dati suggeriscono la presenza di un team costruttivo, inclusi gli intagliatori dei portali, nel possibile cantiere delle Stavkirker, altri la negano. Il capo mastro doveva essere in tutti i casi un professionista che seguiva delle regole ben precise, facendosi aiutare a volte per gli intagli di minor importanza da altri componenti del team. L’enorme attività costruttiva del XII secolo deve aver favorito la nascita di numerosi gruppi di professionisti che, nel corso di due-tre generazioni, costruirono un gran numero di chiese. Sono state trovate delle iscrizioni runiche nelle Stavkirker di Ål e Torpo con il nome del loro costruttore Torolf, più una serie di altri nomi disomogenei; il che potrebbe indicare un maestro itinerante che lavorava con due diversi gruppi locali48 . Se effettivamente un maestro si spostava di gruppo in gruppo, allora anche il suo controllo era solo parziale e questo spiegherebbe anche il motivo della mancanza di coordinazione e similitudini tra le parti della costruzione e quelle dei portali. I finanziamenti per le attività costruttive, in Norvegia così come in altri paesi, sappiamo che derivavano dalla decima, introdotta nel XII secolo, e dalle tasse per i servizi ecclesiastici49 . Alcune leggi indicano che la partecipazione pratica della popolazione locale era prevista per la riparazione delle chiese, e forse anche per l’erezione di nuovi edifici. Sappiamo che il vescovo doveva dare il permesso per costruire, ma la distribuzione geografica delle Stavkirker non coincide con i confini del vescovado e anche le decorazioni prive di motivi religiosi indicano che il clero aveva un’influenza limitata sulle procedure. Bisogna anche considerare che la costruzione di una chiesa in pietra poteva andare avanti per diversi anni da persone diverse e in diversi momenti, mentre una chiesa in legno doveva essere costruita in un’unica volta, in maniera coordinata (sono state trovate fonti che parlano di chiese importate in Islanda, o addirittura prefabbricate, dove non crescono alberi abbastanza alti da poter essere utilizzati per l’edificazione di chiese in legno); la standardizzazione non era così inusuale, infatti furono così prodotte le croci in pietra provenienti dai cimiteri di York e Chester. A volte troviamo l’utilizzo di assi di larghezza differente, dovuto alla necessità di usufruire del materiale più vicino al luogo di costruzione. Non sappiamo se per mancanza di materiale o per sfruttare elementi appartenenti a edifici distrutti, ma troviamo molti portali riutilizzati nelle costruzioni più tarde, cosa che risalta subito data la presenza di decorazioni differenti o a volte anche materiali; altre volte invece non si nota affatto, proprio a causa di una standardizzazione evoluta a tal punto da poter utilizzare un portale al posto di un altro, anche a distanza di tempo. Per individuare un team costruttivo bisogna prendere in considerazione una serie di edifici vicini che posseggano le medesime caratteristiche costruttive o di intaglio, come Borgund/Hurum/Lomen/Lom50. Le prime tre in particolare si accomunano per le somiglianze costruttive e decorative, ma tutte comunque vengono attribuite a diversi maestri, in qualche modo collegati fra loro. Poi abbiamo Gol e Hegge, che in comune hanno similitudini architettoniche e soluzioni tecniche che lasciano pensare di essere state 48 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 39. 49 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 39. 50 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 40.
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costruite dallo stesso team. Un altro gruppo di chiese è accomunato invece dalla somiglianza dei portali, Atrå/Flesberg/Nore/Tuft, ma non si sa se furono intagliati dallo stesso maestro o da più maestri molto vicini tra loro. Dato che in questo caso solo i portali posseggono una relazione stretta, si potrebbe pensare alla possibilità di un maestro itinerante e indipendente che si occupava esclusivamente dell’intaglio dei portali e che si sia unito ai diversi team di lavoro. Si sono notate differenze anche fra le decorazioni dei portali e quelle interne, il che confermerebbe la presenza di un singolo intagliatore per i portali a cui non veniva affidato l’incarico di decorare altro, separando quindi i due compiti. Le decorazioni interne invece erano svolte dal team che si occupava di tutta la costruzione. I decoratori minori, se così vogliamo intenderli, erano comunque liberi di svolgere lavori differenti anche all’interno della stessa costruzione (un esempio visibile sono i capitelli interni e quelli esterni del portale occidentale della Stavkirke di Urnes, differenti nella tecnica del rilievo). E’ un fatto abbastanza appurato dagli studi sulla costruzione di sculture nel Medioevo che l’idea di un unico stile uniforme all’interno di un’unica costruzione non era importante51. Durante la costruzione e la produzione delle decorazioni, alcuni membri del team, quindi non solo il maestro intagliatore che si occupava dei portali, usavano degli utensili appuntiti, come un coltello per incidere o abbozzare una figura, per eseguire una sorta di disegni preparatori, a volte colorati in nero; alcuni di questi disegni erano seguiti da iscrizioni in latino o in rune. In 11 chiese sono stati trovati punti di contatto tra i portali e i disegni incisi. Nella Stavkirke di Ål due leoni raffigurati nel muro a nord della navata, incisi e pitturati, hanno una serie di caratteristiche in comune con i leoni dei capitelli del portale occidentale. Ad Åtra, vi è una testa di drago incisa sul retro del portale che viene considerata come disegno preliminare per il portale stesso. Per quanto riguarda la nazionalità dei membri facenti parte del team e dello stesso maestro intagliatore dei portali, ci sono pareri contrastanti. Se si pensa alle Stavkirker come un fenomeno norvegese, allora si ritiene che dovessero essere necessariamente norvegesi. Altri invece sostengono che le prime chiese, in legno e in pietra, dovessero essere state costruite da artigiani stranieri (la Cattedrale di Lund, per esempio, è stata iniziata da costruttori e scultori stranieri ed è diventata un centro di educazione per tutta l’area intorno). Si ritiene inoltre che i maestri dei portali fossero sicuramente del luogo, per le somiglianze tecniche e la disposizione delle decorazioni. Si è pensato che la tecnica dell’intaglio non fosse considerata un’arte da preservare e tramandare per la sua mancata presenza, a differenza dell’oreficeria e della pittura, nelle fonti del tempo. Va detto però che non si trattava di un’arte di basso livello dato che persino i monaci usavano l’intaglio e che essi stessi potrebbero essere stati dei maestri itineranti. In varie zone d’Europa c’era una netta distinzione del lavoro già nella prima metà del XIII secolo, distinguendo e separando i singoli tipi di mestieri, ma senza nominare ancora gli intagliatori52. Chi intagliava il legno per le chiese in Inghilterra nel XIV secolo era chiamato falegname, ma si occupava tanto della produzione di sgabelli quanto della decorazione a intaglio. Soltanto nel 1372 si riconosce la figura dell’intagliatore o incisore, come nuova specializzazione, che si occupa sia di pietra che di legno. 51 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 41. 52 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 44.
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L’intaglio del legno era spesso la base per i lavori in metallo e sembra esserci una connessione tra scultura in legno e pietra nel tardo Medioevo per il carattere versatile degli artigiani medievali (un esempio è un ritrovamento archeologico di utensili da una tomba del periodo vichingo, la collezione Mastermyr - fig. 36 -, dove la combinazione dell’uso di svariati utensili indica che il possessore doveva essere un orafo, un comune fabbro, un costruttore di barche e anche di pettini in osso). Sono stati ritrovati anche oggetti non religiosi prodotti da intagliatori professionisti, un esempio è un collare da cavallo, di provenienza ignota, con dettagli simili al portale di Hemsedal, e due sedie, da Hol e Skrautvål, talmente identiche, da suggerire una produzione di massa. Sono state trovate inoltre due firme di singoli artisti: Eyvind ad Ål e Eindride a Vang, ma comunque, al di là di questi casi fortunati, la difficoltà nell’individuare un maestro e il suo lavoro è dovuta alla grande variazione delle opere dello stesso edificio, che apparentemente dovrebbero risultare uniformi53. A volte si ha difficoltà a individuare l’autore di un lavoro, perché gli artisti potevano decidere se continuare sullo stesso stile sin da quando avevano iniziato, o se variare nel tempo sia lo stile che i motivi decorativi. La tecnica poteva essere appresa dai libri o da un maestro, ma in seguito venir modificata con novità. Un criterio di analisi efficace per individuare le mani dei diversi autori può essere quello di distinguere gli elementi di continuità dalle innovazioni. Nell’ambito delle innovazioni bisogna poi raggruppare quelle simili perché probabilmente apportate, a volte anche inconsciamente, da uno stesso autore. Tali innovazioni possono così diventare una sorta di “firma” di ogni singolo artista. Questo modo di procedere è particolarmente utile soprattutto nello studio dell’arte medievale dove possono trovarsi due o tre artisti che cooperano allo stesso lavoro. Nello specifico si potevano occupare del disegno dei portali delle Stavkirker - il che è confermato dalle differenze proprio nelle decorazioni di alcuni portali che invece dal punto di vista strutturale sono identici - o viceversa. Nel caso dei portali, per notare delle differenze che indicano l’azione di più artisti, bisogna soprattutto osservare la profondità, la nitidezza e la superficie dei dettagli. Come accadeva normalmente in tutto il Medioevo, un maestro, per assicurarsi la continuazione del suo laboratorio professionale prendeva con sé apprendisti, il che è visibile in alcuni portali come ad Hylestad, dove troviamo lo stesso tipo di fogliame nell’asse sinistra e destra, ma il tratteggio e la qualità artistica delle curve e dei rilievi è molto diversa, segno certo della presenza del lavoro di un maestro e del suo apprendista. L’apprendista doveva imparare a eseguire armoniose proporzioni fra altezza e larghezza, e per gli archi doveva basarsi sul modello classico del portale in pietra, doveva comporre cerchi rotondi e organizzare bene gli spazi per tutti gli elementi importanti nella decorazione, precisione nelle linee e nelle superfici, utilizzando il numero più possibile di utensili. L’innovazione creativa non era un prerequisito né un interesse particolare. Ma nonostante tutte queste accortezze nella continuità nel tempo di un lavoro professionale e che garantiva una certa qualità, con lo sviluppo delle città, la costruzione di piccole chiese di campagna e la conseguente maggior domanda di artigiani specializzati nella costruzione di chiese in pietra nelle grandi città e di monasteri, il lavoro di quei piccoli team che lavoravano il legno divenne superfluo.
53 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 45.
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Fig. 36 Collezione Mastermyr, X secolo circa, Gotland (Svezia)
2.3.1 Dettagli Un’apparente moltitudine di decorazioni può essere ricondotta a un numero piccolo di prototipi originali. Anche se nessuno di questi si è conservato fino a oggi, possono essere comunque ricostruiti. Un‘evoluzione secondaria di queste decorazioni di base si è infatti preservata, magari con semplificazioni o manipolazioni. Per quanto riguarda un possibile contenuto religioso in queste decorazioni, è difficile trovare una specifica simbologia cristiana; alcuni possono rappresentare un’iconografia che esprime autorità e che è stata creata per costruzioni imponenti con connotazioni di potere, come palazzi reali. Proprio per queste connotazioni, si è potuta sviluppare una tradizione tale dove le decorazioni ornamentali per i portali potevano essere anche accettate dalla Chiesa54. Ci sono solo un numero limitato di motivi decorativi: la vite, il drago, il leone, uno stelo che esce da una bocca, la maschera e le palme. Per identificare una decorazione di base bisogna prendere molti esempi dello stesso tipo, ad esempio i draghi possono essere intrecciati, affrontati, o a gruppi di tre, mentre la vite è ondulata, doppia, a edera o arabescata. Avendo isolato la decorazione di base, le molteplici varietà delle composizioni possono essere riconosciute per quello che sono: secondarie o come combinazione di motivi di due o più separate decorazioni. Ma la decorazione di base deve comunque aver avuto un inizio, probabilmente come un lavoro principale in un importante chiesa in legno di città o una cappella reale, o persino in una costruzione imponente come 54 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 54.
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una sala reale, e per questo presa come esempio massimo, copiata e vista come il prototipo da seguire55. Le variazioni poi probabilmente furono viste come innovazioni, attraverso forse nuovi impulsi, ambizioni e la voglia di creare qualcosa di differente, andando oltre persino agli importanti monumenti in pietra. Purtroppo nessuno dei portali giunti sino a noi può essere considerato come prototipo, dato che i prototipi appartenevano a edifici molto importanti. Nelle copie potrebbero inoltre esserci elementi che non erano inclusi nei prototipi e viceversa, aggiungendovi magari caratteristiche provenienti anche dal di fuori della Norvegia. A questo proposito bisogna prendere in considerazione anche il possibile ritardo nell’arrivo di impulsi esterni, tesi sostenuta da alcuni storici, da altri smentita con l’affermazione che nel XII e XIII secolo, impulsi religiosi e politici si diffusero in Norvegia così come in tutto il resto d’Europa, quindi non ci sarebbe motivo di escludere anche un’influenza artistica. Altra considerazione è poi la possibilità di mancanza di volontà ad assorbire una nuova tradizione, il che spiega l’uso della decorazione con animali intrecciati per 200 anni; e per finire anche l’interesse del maestro intagliatore nell’apprendere e lasciarsi influenzare da nuove idee è da tenere in conto. I disegni e i graffiti aiutano molto da questo punto di vista, anche se comunque venivano sempre apportate modifiche anche in seguito a un disegno preparatorio. Ma quello che è necessario sottolineare è che ovviamente il prototipo doveva essere considerato un capolavoro, il che oltre a donargli il giusto merito, comportò l’inizio di una serie di copie, con ovvie imprecisioni, alterazioni ed errori. Considerando anche gli influssi esterni che portarono molteplici innovazioni, possiamo ben immaginare la distanza che i lavori successivi presero dal prototipo, sia per decorazioni, che per stile e per composizione. Se vogliamo vedere gli intagliatori come lavoratori locali, allora si parlerà di incomprensioni del prototipo e di errori evidenti, se invece li vogliamo considerare come professionisti tutto cambia, perché tutti i cambiamenti e le modifiche saranno state apportate volontariamente per iniziativa individuale. I portali decorati per le chiese cristiane dovrebbero contenere messaggi o simboli cristiani, ma solo una coppia di portali del XIII secolo possiedono una inequivocabile iconografia cristiana. Nesland e Hemsedal contengono scene, come la creazione, l’arca di Noè, l’albero di Jesse, esattamente come i tradizionali portali in pietra del continente. Uno studio fatto su alcune chiese di piccoli villaggi in Germania, Italia, Inghilterra e Danimarca mostrano una distribuzione bilanciata tra i portali decorati con il semplice simbolismo cristiano: croce, agnello, albero o Cristo stesso, e quelli con decorazioni puramente ornamentali; il che lascia pensare che non ci fosse una particolare richiesta da parte della Chiesa di decorare i portali con temi istruttivi o simbolici56. Ovviamente c’erano dei teologi nel Medioevo che richiedevano che i precetti cristiani fossero chiari e i riferimenti religiosi semplici, ma dobbiamo considerare due livelli di interpretazione e comprensione: quello della Chiesa come istituzione e quello del popolo. Quello che sorprende è che i maestri-intagliatori, nonostante l’uso di motivi animali, non abbiano in genere mostrato particolare interesse nel ricco mondo delle figure mostruose continuamente incontrate attraverso i bestiari, manoscritti o anche incensieri e portacandele di una qualunque chiesa. L’unica eccezione a questa tendenza è la rappresentazione dei draghi che, al contrario, sono molto presenti in diverse forme. 55 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 54. 56 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 55.
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Il tema più antico che riappare anche in seguito è quello degli animali che si confrontano sopra il portale d’ingresso, da vedere come una tarda manifestazione della tradizione ornamentale con animali. Proprio nel portale d’ingresso, la decorazione più ricorrente è costituita da 3 figure, identificabili in 3 draghi, figura che nell’immaginario cristiano rappresenta qualcosa di malefico, sia che sia alato o più simile a un serpente, e che risulta simbolo di una lotta contro Cristo. Il motivo con tre draghi, collegato ovviamente al motivo decorativo del confronto tra animali e a quello dei tre draghi intrecciati, può assumere diversi significati come essere un messaggio cristiano, nel caso di due animali che si attaccano con un motivo centrale, per esempio riprendendo il tema dell’albero della vita con due animali che vengono nutriti o attaccati da un albero o una vite, o Daniele e la tane del leone, con due animali che attaccano una figura umana. Quest’idea di malvagio collegato a un serpente è universale e pre-cristiana, infatti nel mondo norreno un drago compare nell’apocalisse pagana, volendo essere quasi un prestito per l’immaginario cristiano. A Hylestad però abbiamo una raffigurazione di una lotta mitica tra Sigurd e il drago Favne, dove la bestia è rappresentata più simile a un drago europeo, con una testa e un corpo molto diversi dai soliti draghi posti nei portali. Ciò sottolinea la volontà dell’intagliatore di raffigurare nei portali, differenziandosi quindi da quest’ultimo esempio, una bestia in generale e non un drago malvagio. In “De diversis artibus”, un manoscritto del XII secolo, un certo Theophilus57 cita i draghi fra i vari motivi decorativi possibili, insieme a fiori o uccelli, come adatti per le decorazioni di oggetti religiosi o per riempire gli spazi vuoti; quindi il motivo dei tre draghi forse non possiede nulla di simbolico, la composizione dipende poi dalla tradizione locale, dal luogo e dal tempo. Un altro importante tema è la vite (fig. VII), usato come il motivo principale, il più delle volte abitata da draghi e/o leoni; che abbia un significato cristologico è ovvio e comunque porta con sé idee di crescita, forza e abbondanza. A volte può venir fuori dalla bocca di un animale, tema che proviene dell’arte antica dove però la vite esce dal vaso, qui invece dalla testa di un animale, portando ovviamente con sé anche un significato cristiano che vede la vite come Cristo che ascende dall’Inferno, oppure la Chiesa che risale dalla bocca di Cristo. Il leone invece può essere interpretato solo come un simbolo cristiano, in aggiunta a vederli come guardiani dell’ingresso della chiesa, quando tra le fauci schiacciano una testa umana. Possiamo trovare vari tipi di rappresentazioni: il leone con il collo stretto, che sta fermo sulle zampe e con una di quelle anteriori messa in gesto di avviso; il leone liscio e paffuto, che si muove in tutte le direzioni con le zampe pronte ad attaccare e le fauci a mordere, la testa di solito è girata all’indietro o verso l’alto; il drago con due zampe e una coda non troppo lunga che può non avere le ali; il drago accovacciato, grosso e corto e che striscia con schiena e ali ripiegate, di solito posto nello stipite di sinistra; a destra invece troviamo un drago con le ali spiegate e i piedi piatti; l’albero con un tronco centrale e corti rami laterali che si sviluppano da degli anelli che li tengono uniti insieme (fig. II); le maschere di profilo che lasciano fuoriuscire dalla bocca un serpente o un drago; la vite senza foglie che si ripete sempre uguale a cerchi di otto (fig. 37). Tutti questi motivi possono quindi avere molteplici significati e proprio il contesto, ovvero la presenza di altri animali o della vite, possono indurre a capire se siano effettivamente usati solo come elementi decorativi o se invece posseggano un significato preciso, tenendo sempre in considerazione la volontà della prima 57 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 44.
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Chiesa cristiana di utilizzare una serie di simboli già esistenti per creare una serie di immagini per la nuova religione. Infine abbiamo alcune scene figurative che si rifanno ad esempio al ciclo poetico che arrivò in Norvegia nel IX secolo su Sigurd Favnesbane, e in effetti in tutta Europa si trovavano scene di gesta eroiche, illustrate nei portali delle chiese; questa scelta si spiega con l’importanza che veniva data a una figura simile, specialmente dopo la stesura del poema originale come una saga in prosa durante il XIII secolo, nella quale si faceva risalire la figura di Sigurd58 alla famiglia dominante norvegese. Ovviamente non erano temi per i portali delle chiese, ma in origine erano utilizzati per edifici profani, come le residenze di nobili, sale reali, il che sottolinea maggiormente come fosse qualsiasi tipo di cliente potente a richiedere lavori artistici59. Questo ci riporta al portale della Stavkirke di Urnes (fig. 14), decorato con animali intrecciati e annodati che si fronteggiano nella migliore tradizione con animali decorativi, e con un grande leone sulla tavola più ampia di sinistra. Sappiamo che il leone è un tema cristiano, ma quando è attaccato da un serpente o da un drago non lo è più in modo scontato. Questo portale fu commissionato da un signorotto locale e stupisce che il suo cappellano abbia accettato un portale con una decorazione così poco simbolica, e al massimo rifacente al concetto di potere e prestigio, data la lotta fra gli animali; l’unica spiegazione è che il clero accettasse ciò per esprimere il proprio potere e prestigio. Nello specifico nelle decorazioni del portale della Stavkirke di Urnes possiamo distinguere diversi temi: animali che si fronteggiano e altri intrecciati, mentre in altri portali, come quello di Vågå della prima metà dell’ XI secolo, troviamo delle decorazioni con una base tradizionale combinata però con l’elemento degli animali incatenati, di natura Anglosassone o Angloscandinavo60. Questi sono i temi che caratterizzano la rappresentazione degli animali nei portali e nell’esempio di Vågå possiamo trovarli tutti, infatti distinguiamo tre parti: una composizione in alto, una negli stipiti e un’altra fra l’arco e le colonne. In alto ci sono quattro coppie di animali, due di leoni e due di draghi, che si muovono in tutte le direzioni (caratteristica dello stile di Urnes dove gli animali sono liberi di muoversi, a differenza di quello romano dove invece si muovono orizzontalmente o verso l’alto); una delle due coppie, quella con gli animali più importanti della composizione che tiene in mezzo un piccolo leone, ha dimensioni maggiori con il collo allungato all’indietro e si attorciglia intorno all’archivolto. Negli stipiti troviamo una composizione simmetrica con leoni delle stesse dimensioni con il collo eretto, il corpo squadrato e gambe strette, alcuni con una zampa anteriore alzata e tutti posti in maniera alternata, uno con il volto verso sinistra e l’altro verso destra e intrecciati dalle loro grandi code. Il tema degli animali incatenati deriva da una particolare decorazione ritrovata su sculture in pietra e metallo angloscandinave del X-XI secolo, a loro volta derivate da antiche tradizioni della Mercia, con animali posti in maniera alternata e dalle code e gli arti intrecciati61 . 58 “Sigurd <<custode della vittoria>> è l’eroe nordico per eccellenza, noto alla tradizione continentale come Sigfrido. La sua vicenda, esemplare del destino di un eroe, propone la figura di un principe della luce, nemico eccellente delle forze dell’oscurità e del caos. Per questo la sua morte prematura provocata dai Nibelunghi, da intendere, verosimilmente, come <<esseri della nebbia>> va considerata come una morte sacrificale che esalta la sua qualità luminosa e lo rende simile agli dei.” Tratto da I miti nordici, Gianna Chiesa Isnardi, Milano, 1991, p.379. 59 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 57. 60 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 60. 61 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, p. 62-63.
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Per quanto riguarda le colonne e l’arco, troviamo dei capitelli conici, un archivolto piatto e liscio derivanti dall’architettura anglosassone e dalla scultura in pietra norvegese, in particolare della città di Trondheim. Proprio da questa città provengono numerosi oggetti della prima metà del XII secolo come sculture, vari lavori in avorio di tricheco e oggetti in legno e pietra dell’arcivescovado e si sa che già dalla fine dell’ XI secolo venivano costruite chiese in pietra; tutto ciò dimostra un’attività artistica fervida, grazie anche ai numerosi influssi anglosassoni e anglonormanni, probabilmente proprio durante il XII secolo per la costruzione della futura cattedrale. Nei portali di alcune Stavkirker troviamo anche delle raffigurazioni incorniciate in quelli che vengono chiamati medaglioni (fig. 38), che possono contenere semplici motivi decorativi o scene vere e proprie, quelle più comuni riguardano la storia di Sigurd, come ad esempio a Hylestad dove la troviamo rappresentata in medaglioni e anche al di fuori di cornici vere e proprie, il che indica l’indipendenza delle scene con figure dai medaglioni. Analizzando il materiale, il totale delle scene con Sigurd sono 13, di queste 7 sono nei medaglioni, 3 in dei bordi rettangolari e 3 libere da qualsiasi tipo di cornice. Composizioni di figure inserite in dei medaglioni si ritrovano in tutta l’arte medievale ed erano particolarmente popolari nel XII e XIII secolo in tutte le branche delle arti, dai manoscritti, alla pittura su vetro, ai materiali tessili e alla pavimentazione; i motivi potevano essere religiosi o profani: le virtù, animali zodiacali, monaci al lavoro, santi ed eroi. A Hylestad troviamo scene tutte incentrate su Sigurd, ma proprio la parte più importante dell’uccisione di Favne risulta mancante, probabilmente si trovava nella parte superiore oggi sconosciuta, il che indica che non poteva esserci alcuna volontà di trasmettere un messaggio cristiano perché altrimenti si sarebbe scelta proprio la parte superiore per rappresentarla. Quello che comunque è giunto a noi mostra dei dettagli, come abiti e armi che si rifanno al XII secolo, con la forma dello scudo propria di quel tempo e gli abiti che si possono ritrovare nei manoscritti inglesi. La vite invece fa pensare a una stretta relazione con le decorazioni di manoscritti francesi o inglesi della fine del 1100 (in particolare i capilettera erano decorati con viti abitate da piccoli leoni energici). Si pensa che questa scelta di decorare i medaglioni con scene tratte dalla storia di Sigurd derivi dal maestro che si occupava della decorazione dei portali, il quale per evitare i confusi intrecci di viti, ricorrenti nei medaglioni, decise di sperimentare solo su un lato del portale questa nuova invenzione e sull’altro lasciare, alla maniera tradizionale, le scene in piena libertà. Questo presuppone ovviamente familiarità con la storia di Sigurd, probabilmente conosciuta attraverso altre raffigurazioni in luoghi profani, come la sala di un grande signore, in arazzi o pitture monumentali e forse anche grazie a un interesse letterario. In altri portali troviamo medaglioni, a volte con scene riguardanti Sigurd ma altre volte possiamo trovare vari animali, solo viti e serpenti, solo viti o orsi che combattono62.
62 Cfr. Erla Bergendahl Hohler, 1999, vol II, cap. 14.
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Fig. 37 Particolare del portale II della Stavkirke di Heddal
Fig. 38 Medaglione del portale della Stavkirke di Lisleherad
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CAPITOLO III IPOTESI DI ALLESTIMENTO 3.1. La mostra La scelta di allestire una mostra riguardante alcuni elementi delle Stavkirker si basa sull’obiettivo di promuovere la loro diffusione e conoscenza proprio attraverso l’esposizione delle parti più interessanti e salienti della loro struttura. L’edificio adibito a contenitore della mostra è ZAC, ovvero ZisaArtiContemporaneee, un padiglione espositivo sito all’interno dei Cantieri Culturali della Zisa. Attraverso l’utilizzo di questo spazio che, per le sue dimensioni, è adatto a ospitare un percorso completo di visione e analisi delle opere, si mira anche a restistuire un dialogo tra le opere esposte e alcuni rimandi che possano completarne il racconto. Le opere non provengono da una collezione esistente né da una singola chiesa (ogni nome sta a indicare la chiesa di provenienza), infatti oggi sono contenuti in vari luoghi come il Bergen Museum di Bergen, o presso l’Univ. Oldsaksaml a Oslo, in quanto diventati patrimonio dell’Unesco e dunque tutelati. Come detto nei precedenti capitoli, si è spesso deciso di dislocarle per essere accolte in spazi consoni alla loro cura e salvaguardia. Le opere inserite sono 16 e possono essere suddivise in tre tipologie, alle quali corrisponde l’ordine di posizionamento lungo il percorso espositivo: portali, capitelli e teste di drago. I. Hopperstad Portal I II. Tonjum Portal II III. Vang Portal I IV. Vang Portal II V. Hemsedal Portal II VI. Lisleherad Portal VII. Flesberg Portal I VIII. Urnes capital (x6) XIV. Lom gable head XV. Kaupanger ciborium XVI. Kaupanger ciborium
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I
II
III
IV
55
V
VI
VII
56
VIII
X
XII
IX
XI
XIII
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XIV
XV
XVI
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3.2 Spazi espositivi di riferimento
Science Centre Immaginario Scientifico di Montereale Valcellina
Il Science Centre Immaginario Scientifico di Montereale Valcellina è una sede distaccata dell'omonimo museo della scienza interattivo e multimediale di Trieste. Il museo ha sede nella ex centrale idroelettrica costruita nel 1905 e diventata museo dopo essere stata inserita in un intervento di realizzazione del Museo dell'Energia Elettrica e di Archeologia Industriale. All'interno della centrale, nel 2007 è stata inaugurata la sezione Fenomena, facendo nascere un coloratissimo Science Centre dell'Immaginario Scientifico, dove si possono esplorare liberamente i fenomeni naturali e giocare con la scienza: specchi deformanti, tornado di fuoco, pila umana, ombre colorate ecc. Inoltre, nel 2007 all'interno dell'ex latteria di Malnisio di Monterale Valcellina, è stato realizzato il Geo Centre Immaginario Geografico (IG), una struttura museale di nuovo tipo dedicata ai temi della geografia, del territorio e dell'ambiente. Si possono scoprire nuovi territori indossando apposite soprascarpe per calpestare gigantesche ortofoto a pavimento, fotografie aeree che sono state geometricamente corrette e georeferenziate (ortorettificate) in modo tale che la scala della fotografia sia uniforme, potendo considerare la foto equivalente a una mappa. Attraverso grandi lavagne interattive si può interagire con le mappe, i luoghi, i monti, i laghi, “toccando” il territorio e scegliendo il proprio percorso. Attivandosi semplicemente con le mani, infatti, permettono di navigare, accedere a indicazioni e approfondimenti su diverse località e luoghi notevoli ripresi dall’ortofoto, godendo di immagini ad alta risoluzione e di indicazioni geografiche, naturalistiche, demografiche ecc., utili per conoscere meglio i territori interessati. Il Geo Centre è un luogo che pone il visitatore come protagonista della visita, un ambiente museale interattivo, esperienziale ed emotivamente coinvolgente, che propone un’animazione didattica informale e partecipata come strumento principe per la divulgazione della cultura scientifica e del territorio.
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Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci Il Museo nazionale della scienza e della tecnologia “Leonardo da Vinci” ha sede a Milano, nell’antico monastero di San Vittore al Corpo, nelle vicinanze del luogo ove Leonardo possedeva alcuni terreni coltivati a vigna, all’epoca appena fuori le mura cittadine. È anche non lontano dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie, ove si trova il celebre Cenacolo e dalla Basilica di Sant’Ambrogio. Il museo con i suoi 40.000 m² complessivi è oggi il più grande museo tecnico-scientifico in Italia e possiede la più grande collezione al mondo di modelli di macchine realizzati a partire da disegni di Leonardo da Vinci. Il materiale è rappresentativo di tutto il prodotto dell’ingegno scientifico e tecnologico dell’uomo in ogni epoca. La sensazione di contatto con la tecnica si ha immediatamente dopo l’ingresso, dove è collocata la possente macchina a vapore Regina Margherita, utilizzata fino ai primi del ‘900 per generare elettricità in un setificio lombardo. L’attrattiva centrale è l’esposizione permanente dedicata a Leonardo, cui è adibita un’intera galleria. In questa immensa e bella sala, oltre a una introduzione sulla vita del Maestro, sono esposti 30 modellini di macchine progettate da Leonardo, spaziando da quelle civili, come la gru girevole o la macchina battipalo, a quelle militari, come la nave speronatrice, dagli studi sui materiali all’architettura, con il modellino della città ideale. È visibile anche un telaio automatico in legno, in grandezza naturale e perfettamente funzionante, realizzato a partire da appunti leonardeschi. Sulle pareti laterali sono collocati pannelli riproducenti opere e appunti relativi all’anatomia, a studi di fisica, macchine e ingegneria idraulica, cartografia. Da una serie di porte sulle pareti laterali della galleria si accede ad una serie di sale dedicate a specifiche discipline: - Orologeria, con la riproduzione della bottega dell’orologiaio trentino Antonio Bartolomeo Bertolla; - Radio e telecomunicazioni, con l’esposizione intitolata a Guglielmo Marconi. - Elettricità, dove è possibile assistere alla fragorosa scarica prodotta da un generatore elettrico di alta tensione; - Suono e acustica, che include la ricostruzione della bottega di un liutaio del XVII secolo; - Strumenti musicali, con la collezione in gran parte donata dalla cantante Emma Vecla; - Astronomia: in questa sala è conservato un campione di roccia lunare, ed è anche possibile effettuare 60
l’esperimento del Pendolo di Foucault. Trasversale alla galleria Leonardo da Vinci è l’ampia sala delle colonne, sede di concerti musicali e conferenze. Alcune sale del museo vengono dedicate ad esposizioni temporanee, conferenze e concerti. Per i ragazzi, ma in realtà anche per gli adulti, sono attivi diversi laboratori interattivi, dove è possibile svolgere attività pratiche sotto la supervisione e la guida di un animatore scientifico. Gli argomenti sono adatti a tutti i gusti: energia, metalli, ceramica, movimento, elettricità, chimica, colori, bolle di sapone e molto altro. EDUCATION & CREI è oggi chiamata la funzione dei servizi educativi del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci. Una struttura interna e permanente composta da esperti nei campi delle scienze, dell’educazione scientifica, della pedagogia, dell’educazione informale, della ricerca educativa che curano tutte le fasi del lavoro, dall’ideazione all’erogazione dei programmi educativi del Museo, tenendo conto di: - le diverse tipologie di visitatori (studenti delle scuole, insegnanti, famiglie, adulti, ecc.) e i loro bisogni, interessi e modalità di apprendimento; - la pluralità di metodologie, strumenti e risorse che incoraggiano un apprendimento informale attivo; - i temi del Museo, e i legami fra loro, integrati in tutte le proposte educative.
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3.3 Intervento attuato L’allestimento si basa su elementi semplici, volendo accompagnare il visitatore attraverso un percorso di scoperta e illusione, che si sviluppa lungo tutto lo spazio espositivo. Oltre alle opere, posizionate su pallet o piedistalli, è stato ipotizzato un sistema di approfondimento tramite l’uso di immagini descrittive dell’elemento, poste a parete attraverso l’uso di grafica prespaziata. Il primo soggetto che si incontra è un portale, posto su un semplice pallet rivestito da una striscia color blu, volendo ricollegarci ai colori della bandiera norvegese e a quelli dell’ambiente naturale di provenienza, pieno di laghi, fiumi e vicino al mare; in corrispondenza del primo portale, sulla parete retrostante, vi è un disegno che riprende la forma completa, guardandolo da una posizione frontale. Stesso sistema si ripete per il primo capitello e per la prima testa di drago; nello specifico, sono stati scelti il portale della chiesa di Hopperstad (a), il capitello della chiesa di Urnes (b) e la testa di drago della chiesa di Lom (c). Sul pavimento, si è scelto di riportare la sagoma dei confini geografici della Norvegia, per circoscrivere il percorso e ulteriormente sottolineare la provenienza effettiva degli elementi. Lungo tutto lo spazio espositivo è possibile trovare disposte le varie opere, in un percorso non lineare e volontariamente non simmetrico, come fosse un libero viaggio attraverso i luoghi della Norvegia e dando così la possibilità di visionare al meglio ogni singola opera. Si è ipotizzata un’illuminazione composta da proiettori posti sopra le opere, per creare una luce sagomata che potesse mettere in risalto l’opera in sè e delle lampade poste sotto la grafica a parete, creando quindi una luce radente. Alla fine del percorso si è pensato di ricreare una stanza dove poter proiettare, quasi come fosse una visita attiva, l’interno di una Stavkirke, con il fine di riuscire a rendere l’idea di queste strutture non appartenti alla nostra cultura. Si è scelto di porla alla fine, proprio per completare questa visita-studio, dopo aver visionato le singole parti costituenti l’edificio. Sono stati previsti dei tavoli interattivi come attività didattica, contenenti informazioni riguardanti i singoli elementi (quali disegni, foto etc). Di seguito gli elementi scelti per la grafica prespaziata a parete:
a
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b
c
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TAVOLE ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO A.A.2012/2013 DAVì CHIARA PROGETTO TESI: LE STAVKIRKER NORVEGESI
SERVIZI IGIENICI
UTA
TAVOLA CON OPERE
Pianta con opere
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO A.A.2012/2013 DAVì CHIARA PROGETTO TESI: LE STAVKIRKER NORVEGESI SEZIONE CON OPERE
Sezione con opere ed espositori ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO A.A.2012/2013 DAVì CHIARA
SCALA 1:100
PROGETTO TESI: LE STAVKIRKER NORVEGESI
SERVIZI IGIENICI
UTA
TAVOLA PERCORSO
Pianta con opere e percorso
SCALA 1:100
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SERVIZI IGIENICI
UTA
Sezione e pianta con illuminazione
Esempio di pallet usato per i portali
Esempio di elemento portante in ferro per i capitelli
142 cm
20 cm 130 cm 36 cm
70 cm
Esempio di pedana ed espositore
65
SCALA 1: 20
FOTO PLASTICO
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