I concetti di “nazione” e di “Italia unita” sono scontati per noi contemporanei. Ma non lo furono affatto per i nostri predecessori, tra cui Cavour, Mazzini, Garibaldi che si dedicarono con tutte le loro forze a questa causa. Ricordiamo che solo con l’Impero Romano la penisola era unita e visse un periodo di crescita economica, culturale e sociale. Dopo la caduta di questa grande potenza, si formarono nel territorio italiano tanti piccoli stati, spesso deboli, tanto che nessuno di essi riuscì mai a conquistare il Paese e a unificarlo sotto un unico potere. L’Italia, se così si poteva definire, fu quindi caratterizzata fin dall’antichità da un’estrema frammentazione. Una prima unificazione dell’Italia, se pur esclusivamente dal punto di vista culturale, fu voluta dai colti e dai letterati del 500. Infatti alla frammentazione politica corrispondeva anche una frammentazione linguistica. Non bastava più il latino, lingua dei colti, ma si avvertiva il bisogno di un volgare che superasse i confini regionali e che andasse ad unificare simbolicamente tutta l’Italia, interessando anche quelle classi sociali più basse che fino ad allora erano state escluse dalla cultura e di conseguenza dalla politica Ma gli intellettuali ebbero un ruolo decisivo anche per quanto riguarda l’unificazione politica dell’ Italia. Infatti molti letterati nelle loro opere sostennero questa causa. Ad esempio Machiavelli con il suo famoso trattato politico “Il Principe” (1513) esorta gli abitanti italiani ad unire le proprie forze contro i barbari che avevano aggiogato l’Italia. Infatti essa era sempre stata vista come territorio di conquista dalle potenze europee. Un altro celebre esempio che si può addurre è quello di Dante che nella “Divina Commedia” (1472) dedica un intero canto alla difficile situazione politica italiana dell’epoca. “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!” Addirittura egli definisce l’Italia “serva”, “nave senza timone”, “non signora delle sue provincie ma casa di prostituzione” proprio perché divisa e lacerata al suo interno da continue lotte e rivalità. Dante riconosce che questa condizione così desolata è dovuta ai politici del tempo ma soprattutto alle due somme autorità, il papa e l'imperatore che non adempivano ai loro doveri di guide spirituale e temporale. Tutto questo per dire che ciò che noi diamo oggi per scontato in realtà non lo è affatto, cela alle sue spalle l’impegno di molte persone che in epoche diverse cercarono di dare il loro contributo direttamente o indirettamente alla nascita dell’Italia unita. Ecco perché il RISORGIMENTO è un periodo della nostra storia molto importante che ogni italiano degno di essere chiamato tale dovrebbe conoscere. Ed ecco perché noi vogliamo, tramite questo breve libro, ricordare quelle grandi gesta che portarono all’Unità d’Italia dopo secoli e secoli di frammentazione e lotte intestine.
Lavoro svolto da Maggio M.Rosaria, Corrado Arianna, Merico Davide, Pedone Rocco, Orsi Salvatore
Durante il congresso di Vienna (1815) il ministro austriaco Metternich definì l’Italia un “espressione geografica” per sottolineare il fatto che la divisione in tanti piccoli Stati impediva all’Italia di avere una propria identità nazionale. In Italia gli ideali di unità e indipendenza cominciarono a diffondersi tra gli intellettuali italiani verso la fine del XVIII secolo, con la discesa in Italia delle truppe napoleoniche (1796) e la conseguente diffusione degli ideali della Rivoluzione. Nello stesso anno nacque il tricolore: bianco, rosso e verde.
Intellettuali, come Manzoni e Verdi, seppero interpretare nelle loro opere il sentimento d’identità nazionale che andava crescendo
Verdi Manzoni, Marzo 1821
I moti del 1821, come la successiva ondata del 1831, nati nell’Europa della Restaurazione e animati da un’esigenza di libertà, furono repressi duramente dalle armate austriache. Il fallimento di questi tentativi rivoluzionari determinò l’affermarsi di diverse correnti politiche.
REPUBBLICANESIMO
LIBERALISMO MODERATO
Giuseppe Mazzini
Tesi cattolico-moderate: Vincenzo Gioberti
PROGRAMMA
PROGRAMMA
UNITÁ L’Italia doveva essere una, non una federazione di stati. La questione non è tecnica o istituzionale: vivere in unità è un diritto che Dio concede ai popoli e che i popoli non devono tradire.
INDIPENDENZA L’Italia unita non potrà mai realizzarsi senza l’indipendenza dallo straniero. Dio ha destinato l’Italia agli italiani e nessun altro popolo può avanzare diritti legittimi sulla loro terra
LIBERTÁ L’Italia deve essere libera, cioè aperta al pieno rispetto dei diritti civili dei cittadini. La libertà di parola, di espressione, di stampa, di religione, dovrà essere a fondamento del nuovo Stato. A queste libertà civili si dovrà aggiungere il diritto del popolo a scegliersi il proprio governo , attraverso il suffragio universale.
REPUBBLICA L’Italia dovrà essere repubblicana perché non vi è democrazia senza l’abbattimento dei privilegi dinastici. Inoltre nei secoli l’Italia ha espresso le proprie migliori istituzioni nella forma repubblicana.
Egli valorizzava il ruolo positivo della tradizione cattolica e dell’istituzione pontificia. Il primato morale e civile dell’Italia stava nel fatto di essere stata la culla della cristianità occidentale, per questo il compito dell’unificazione doveva spettare al papa. Si parla di neoguelfismo.
Tesi moderate-federali: Cesare Balbo e Massimo D’Azeglio PROGRAMMA ° Balbo era un sostenitore del modello federale ma riteneva opportuno affidare la guida della federazione a un sovrano laico, non nascondendo la sua preferenza per la dinastia sabauda
° D’Azeglio immaginava un’Italia unita grazie alla forza militare e diplomatica di una dinastia locale che cercasse appoggi politici tra le nazioni più progredite, anche lui pensava al Piemonte
Tesi federale- democratica: Carlo Cattaneo PROGRAMMA Secondo Cattaneo la vera democrazia in Italia poteva realizzarsi solo attraverso il federalismo. Egli vedeva nell’unitarismo la prospettiva egemonica di un popolo su altri. Auspicava un’evoluzione graduale verso una federazione di repubbliche
Gioberti Mazzini Cattaneo D’Azeglio
Balbo
CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR Camillo Benso conte di Cavour rappresenta la figura dell’intellettuale liberale moderato. Egli perseguiva il “giusto mezzo” tra la politica reazionaria e violenta dei paesi europei più conservatori e le esagerazioni dei rivoluzionari democratici. Nel 1849 entrò come deputato nel parlamento piemontese e nel 1852 ebbe l’incarico di primo ministro. Egli, infatti, affrontò il problema dell’unità con la diplomazia. L’obiettivo di Cavour fu quello di creare una situazione internazionale favorevole all’unificazione italiana. Il regno sabaudo, senza l’appoggio delle grandi potenze
europee, non aveva infatti la forza economica e militare per intraprendere questo ambizioso programma. Il progetto di Cavour si concretizzò negli accordi di Plombières, stipulati con la Francia di Napoleone III nel 1858. La base degli accordi era costituita dalle convenzioni qui riportate:
Il trattato do Plombières portò gli sviluppi sperati da Cavour: nel 1859 la Francia entrò in guerra a fianco del Regno sabaudo contro l’Austria che subì pesanti sconfitte, fino l’improvviso armistizio trattato in segreto da Napoleone con l’Austria. Riprese così vigore l’iniziativa dei democratici guidati da Mazzini. Nel 1860 entrò in gioco Garibaldi.
GIUSEPPE GARIBALDI Originario di Nizza, di idee mazziniane, Garibaldi si era formato come combattente in Sud America. Rientrato in Italia si era distinto durante la seconda guerra d’indipendenza. Era l’unico che aveva le competenze per dare concretezza all’azione dei democratici. Nel 1860 fu egli, con i suoi mille, a intraprendere una vittoriosa campagna di liberazione del Sud, che fu consegnato a Vittorio Emanuele III. Così egli scriveva al re durante la campagna per la conquista dell’Italia meridionale.
A Novembre si tennero i plebisciti che portarono all’annessione di Umbria e Marche. Il 17 Marzo 1861 viene proclamato il Regno D’Italia. Nel 1866 l’Italia ottenne il Veneto. Nel1870 le truppe italiane entrarono a Roma conquistandola.
Popolane e aristocratiche, insegnanti, scrittrici, infermiere e attrici: queste le donne del Risorgimento italiano che parteciparono attivamente, nella vita pubblica e politica, al processo di unificazione della Nostra Italia. Eroine, spesso invisibili, che affiancarono i grandi uomini dell'Unità. I documenti che seguono vedono protagoniste due donne che risultano esemplari per ritrovare la memoria dell'altra metà della nostra Storia.
ADELAIDE CAIROLI (1806-1871) Adelaide Cairoli nacque a Bono, vicino Milano, il 5 maggio del 1806. Madre dei fratelli Cairoli, oggi è considerata un modello di "madre della nazione". Una donna cioè capace di incarnare e diffondere l'intelletto femminile e i valori della Patria nell'Italia del Ventesimo secolo. La sua formazione culturale fu dunque impostata sui valori della religione cattolica. Si sposò a 18 anni con Carlo Cairoli, vedovo con due figli. Dall'unione tra Adelaide e Carlo nacquero otto figli. Adelaide curò personalmente l'educazione di ciascuno di loro. Finanziò anche giornali patriottici, ospitò un salotto politico letterario e intrattenne una fitta corrispondenza con gli intellettuali dell'epoca. In questa lettera rivolge un appello alle sue concittadine chiedendone la collaborazione
CRISTINA TRIVUIZIO (1824-1876) Cristina TrivuIzio Fu patriota, editrice di giornali rivoluzionari, scrittrice e giornalista. Frequentava i salotti borghesi dove entrò in contatto con idee e personaggi del patriottismo lombardo e della cospirazione e attirò le attenzioni della polizia austriaca. Sposò il principe Emilio Barbiano di Belgioioso d'Este a soli sedici anni. Ma il matrimonio finì presto. Separata dal marito si recò a Marsiglia, sorvegliata dagli agenti del governo austriaco. Fu così che quando Mazzini decise la spedizione in Savoia e Cristina, venduti i gioielli di famiglia, versò una somma ingente, la polizia ne venne austriaca ne venne subito a conoscenza, costringendola a scappare a Parigi. Nel 1845, ancora in esilio a Parigi, fonda la «Gazzetta Italiana».
Allo scoppiare delle rivolte del 1848 tornò in Italia. Prima a Napoli e dopo a Milano. Dopo alcuni viaggi tornò in Francia nel 1853, per poi stabilirsi tre anni più tardi nelle sue terre di Locate. È qui che compose l'Histoire de la Maison de Savie e fondò «L'Italie», un giornale politico ispirato ai periodici francesi. Nel documento che segue espone le sue riflessioni sulla questione italiana
I patrioti italiani avevano diffusi tra i vari strati della popolazione la loro fede nella causa dell’indipendenza, o almeno la profonda contrarietà al dominio austriaco. L’appoggio popolare alla lotta fu però limitato nella maggior parte dei casi ad alcuni settori della popolazione (commercianti, avvocati, artigiani, operai) e solo in rari casi incontrò il favore dei contadini. La canzone che segue è del 1848 ed esprime l’amore per la patria, manifestando quelli che erano i sentimenti del popolo
Ma quei Mille chi erano? Non certo una specie di compagnia di ventura all'antica; non una parte di vecchio esercito costituito, staccata a scelta o per caso; nessuna legge li obbligava, non erano soldati di professione, non avevano tutti quella media di età che di solito hanno i soldati; non una cultura comune ed uguale, e nemmeno una divisa uniforme. Vestivano quasi tutti alla borghese e alle diverse fogge, dalle quali, a quei tempi, si riconoscevano ancora a qual regione d'Italia e a qual classe sociale uno appartenesse. E parlavano quasi tutti i dialetti della penisola. Erano, per dir così, parte dell'esercito popolare militante di cuore nel partito rivoluzionario: tutti volontari, in prevalenza borghesi, per la metà circa lombardi, una sola donna, 150 avvocati, 100 medici, 60 proprietari terrieri, poi docenti, artigiani, commercianti, pochi operai, nessun contadino, per metà circa erano professionisti o intellettuali con esperienze belliche con Garibaldi, educati dalla Giovane Italia, tra le congiure e le insurrezioni. Essi erano stati destati al concetto della nazione.
Partenza da Quarto
La satira politica accompagnò tutta la storia risorgimentale. Tra il 1849-49, in varie città italiane, nacquero numerose riviste dai contenuti antiaustriaci, molte delle quali furono soppresse dalla censura. Esse ospitavano caricature, articoli e poesie con l’intento di mettere in ridicolo il nemico. Tra i personaggi maggiormente presi di mira c’era il generale Gyulai che aveva sostituito Radetzky al comando delle truppe austriache in Italia. A lui dedicarono caricature e canzoni come quelle che seguono.
Durante i moti rivoluzionari del ’48, i patrioti sentirono la necessità di manifestare la propria ideologia con segni esteriori dell’abbigliamento ricorrendo a particolari fogge di abiti, all’utilizzo di alcuni tessuti e alla scelta di alcuni accessori. Sulle cuffie delle dame comparvero nastri di tre colori e diventarono di moda i vestiti di velluto di fabbricazione lombarda. Un accessorio che diventò simbolo del patriottismo fu il cappello “alla calabrese” o “all’Ernani”. Il primo rievoca il cappello indossato dai rivoluzionari calabresi nel’47, il secondo riproduceva la foggia di quello portato dal protagonista dell’opera di Verdi, considerato simbolo della lotta alla tirannide.
Lavoro svolto da: Maggio Maria Rosaria, Corrado Arianna, Merico Davide, Pedone Rocco, Orsi Salvatore Classe IV H, A.S. 2012-2013 Fonti: “il nostro risorgimento”, Albigroni, Perego, Sartori “storia, fatti e interpretazioni”, Bertini