Contratto Unico contro la precarieta': critica del ddl Nerozz-Marini e ipotesi per una terza via

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Cont ratto Unico contro la


precarietà.

Critica del DDl Nerozzi-Marini e Ipotesi per una Terza Via

Un documento a cura di Davide Imola


SUPERARE LA PRECARIETA’: IPOTESI A CONFRONTO (a cura di Davide Imola) Negli ultimi mesi si è riaffacciata con forza una discussione su come affrontare la spinosa questione della precarietà e del dualismo presente nel mercato del lavoro italiano che vede da una parte i lavoratori dipendenti assunti a tempo indeterminato, in particolare quelli dell’industria, tutelati e protetti sia sul lavoro contro i licenziamenti ingiustificati con l’Articolo 18 sia dagli ammortizzatori sociali in caso di licenziamento. Dall’altra parte ci sono oltre 4 milioni di lavoratori a termine e a collaborazione o partita iva individuale con scarse tutele sul lavoro e con scarse o nulle tutele sociali in caso di perdita del posto. La discussione si è riaccesa quando gli economisti Boeri e Garibaldi, il Senatore Ichino, i Parlamentari del coordinamento PD contro la precarietà promosso dall’Associazione 20 maggio e, infine, il Senatore Nerozzi hanno presentato ognuno una loro proposta di legge. Nessun disegno di legge su questo tema, al contrario, è stata presentato per il momento dal centro destra e dalle altre opposizioni. A seguito della presentazione di queste quattro proposte, in particolare quella del Prof. Ichino, si sono accese numerose polemiche e non sempre si è andati a fondo sul contenuto delle stesse. E’ per questo che ci è sembrato giusto proporre una scheda comparativa che prende in considerazione i tre testi di legge fino ad oggi presentati assieme alla proposta Boeri Garibaldi che non è un articolato di legge. Il nostro tentativo è di metterli a confronto dando un quadro su cui ognuno possa farsi un’opinione compiuta partendo dai reali contenuti di questi disegni di legge senza sottrarci dal dare un nostro quadro della situazione della precarietà italiana e un giudizio sull’efficacia delle soluzioni ipotizzate. Negli ultimi trenta anni in Italia si è verificata una fuga dal “costo dei diritti”, su cui si sono affrettate direttamente o attraverso le esternalizzazioni molte imprese italiane. Questo fenomeno ha prodotto, oltre all’incertezza permanente e all’assenza di tutele e diritti universali per milioni di lavoratori, anche la perdita di vigore della nostra competizione economica sul piano qualitativo e su quello dell’innovazione. È dunque giusto


l’obbiettivo, posto da più parti, di superare il mercato duale del lavoro che tanti danni economici, sociali e culturali sta producendo nel nostro Paese. Le risposte date, però, nell'ultimo decennio si sono rivelate inefficaci e le indicazioni alternative troppo ideologiche sono risultate impraticabili. Oggi sono in campo, come abbiamo detto, alcune proposte sul “contratto unico”. Le prime presentate dagli economisti Boeri e Garibaldi e quelle del Senatore Ichino, hanno avuto l’indubbio merito di riaprire la discussione e di tentare di dare delle risposte concrete mettendo in gioco idee e saperi su questo importante tema. A nostro avviso però siamo ancora prigionieri di un dibattito troppo ideologico che vede contrapporre padri contro figli e il nucleo di lavoratori con diritti e tutele contro chi ha meno protezioni sociali. A queste due proposte se ne è aggiunta di recente un’altra presentata dal Senatore Nerozzi che, pur prendendo ispirazione da quella di Boeri/Garibaldi, avanza ipotesi che vanno al di là delle idee maturate dai due economisti. Tra queste vi è poi il disegno di legge presentato dai parlamentari del PD contro la Precarietà che si pone lo stesso obbiettivo prendendo, però, una strada diversa. Se il vero obbiettivo è quello di superare il dualismo del lavoro e la precarietà, vediamo se queste proposte rispondono ad alcuni obbiettivi fondamentali. ASSORBIMENTO DEI CONTRATTI PRECARI In realtà i testi presentati dai Professori Ichino e Boeri e da Nerozzi non superano le forme attuali di lavoro precario. Infatti, nella proposta del Senatore Ichino si adotta il nuovo sistema solo su base volontaria con accordo tra imprese e sindacati. E’ ovvio che adotteranno questo sistema, teoricamente più costoso, solo le imprese che non utilizzano contratti atipici o che hanno provveduto ad utilizzarli attraverso l’esternalizzazione d’attività verso altre imprese collegate a quella principale. Nella Proposta del Sen. Nerozzi si lasciano le forme presenti così come stanno salvo trasformare, retroattivamente a partire dalla sua stipula, in CUI il lavoro parasubordinato che abbia due terzi di reddito annuo con un unico committente ad esclusione di chi ha redditi superiori a 30.000 € e di chi è iscritto ad ordini professionali. Non si prevedono clausole di salvaguardia per i parasubordinati assunti in CUI in caso di licenziamento ne incentivi per le imprese. Inoltre si consentirebbe il già enorme utilizzo del tempo determinato anche per chi ha redditi annui superiori a 25.000 € o inferiori e riproporzionati in caso di part time. Nella proposta Boeri/Garibaldi invece c’è il mantenimento di tutte le forme di lavoro attuali lasciando all’aumento dei costi previdenziali parificati ai dipendenti, e all’aumento del costo del lavoro, con l’introduzione di un salario minimo legale presente anche nel testo Nerozzi, il compito di far assorbire il lavoro precario dalla nuova regolazione contrattuale che supera l’Art. 18 per tre anni.


Qualsiasi forma di salario minimo per legge non potrà che essere inferiore al più basso dei contratti nazionali di lavoro, pena la crisi d’interi settori merceologici, e inoltre, va chiarito che mediamente il salario minimo legale è più basso di un terzo rispetto al salario medio se si guarda ai Paesi dove questo provvedimento è stato adottato. Infine il salario minimo legale inserito anche nei settori oggetto di contrattazione collettiva consentirebbe alle imprese di non applicare i CCNL senza vedersi estendere dal giudice il trattamento della contrattazione collettiva perché si applicherebbe il salario minimo. CONCORRENZA FRA CONTRATTI Le collaborazioni a progetto e ancor più le partite iva individuali o le associazioni in partecipazione, non cambiando minimamente l’attuale normativa, risulterebbero, nei progetti Ichino, Boeri e Nerozzi, comunque più convenienti dal punto di vista economico, ma anche rispetto alla possibilità di licenziare e a tutte le altre regole lavorative non dovendo applicare i contratti nazionali di lavoro. Partendo dalla considerazione che un fenomeno così ampio come quello della precarietà non è risolvibile senza una ampia condivisione delle parti sociali risulterà difficilissimo per qualunque proposta concorrere efficacemente ed essere condivisa socialmente tenuto conto degli attuali vantaggi, sia economici sia di assenza di tutele, a disposizione delle imprese. Secondo noi, senza ridurre gli abusi e i vuoti legislativi e contrattuali esistenti per tutte le forme di lavoro atipico, e senza ridurre i costi del lavoro in ingresso per le imprese, non si risolverà il problema della precarietà incidendo invece sulle tutele esistenti in materia di licenziamenti individuali. INDEBOLIMENTO DELLE TUTELE COMPLESSIVE Un altro limite è che, per come si presentano le proposte Ichino/Boeri e Nerozzi, l’assenza dell’Art.18 per ogni lavoratore durerebbe da 3 a 19 anni con la stessa azienda e, considerata l’attuale mobilità dei lavoratori, si tradurrebbe in un’abrogazione più o meno pesante, e nel ritorno al licenziamento ad nutum che porta con se molte perplessità. Le protezioni dello statuto dei lavoratori, infatti, sono servite a rendere possibili le libertà, di opinione e di organizzazione sindacale, e a rendere meno facili le discriminazioni sul lavoro. Dire che restano le tutele contro le discriminazioni ma è possibile licenziare con facilità i singoli lavoratori per motivi economici, tecnici od organizzativi, o senza nemmeno questi motivi come risulta dal testo Nerozzi, di fatto indebolisce anche le stesse protezioni contro le discriminazioni che più facilmente passeranno come “licenziamenti economici o con risarcimento”. Basta vedere già oggi chi sono i primi a finire in cassa integrazione o mobilità, o pensare a tutto il fenomeno delle dimissioni in bianco nelle piccole imprese.


LA TERZA VIA La terza proposta cerca di non mettere in concorrenza i diritti acquisiti dei padri (che tra l’altro vuol dire facilitare la possibilità di licenziamento dei lavoratori stabili delle grandi aziende che sono meno del 10% del totale delle imprese) con le migliori condizioni economiche dei figli. Infatti il Contratto Unico d’Inserimento Formativo (Cuif), prendendo come modello l’apprendistato, mira a lasciare nel mercato del lavoro solo poche forme contrattuali regolandole meglio di oggi e punta a divenire la principale forma d’ingresso al lavoro con contenuto formativo e con fortissimi incentivi alla stabilità. In questa proposta il superamento o l’assorbimento d’alcune forme di lavoro oggi abusate è esplicito e concreto, così come reali sembrano essere le convenienze per le imprese sia in termini di flessibilità nei primi tre anni che di convenienza economica: riduzione dei costi contrattuali all’inizio, sgravi contributivi dopo l’assunzione a tempo indeterminato che si estendono retroattivamente dall’inizio se l’impresa ha fatto realmente la formazione. Infine, la formazione è un punto centrale sia per rendere più competitive le imprese, sia per rendere più occupabile il lavoratore in caso di perdita del lavoro. Per ricostruire un equilibrio accettabile tra lavoro e capitale e riprendere il controllo sociale dell’offerta di lavoro, occorre agire in primo luogo sui costi e poi su una riforma sia degli ammortizzatori sociali estendendoli a tutti, sia dei sistemi di ingresso al lavoro che coniughino convenienza economica per le imprese che usano contratti di lavoro standard, con la flessibilità iniziale e la successiva stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Se l’utilizzo della flessibilità fatto dalle imprese italiane è una sostanziale fuga dai costi del lavoro, non è con un livellamento al ribasso dei diritti per le generazioni future che si può ricomporre il dualismo del mercato del lavoro italiano e creare migliori condizioni competitive per le imprese e contemporaneamente migliori tutele per tutto il mondo del lavoro. Occorre quindi un nuovo patto fra produttori positivo e virtuoso, e che sia in grado di dare risposte alla complessità dei problemi che abbiamo di fronte senza scorciatoie. Un patto per il lavoro che dia vantaggi a tutti tenendo in equilibrio le esigenze di flessibilità e di riduzione dei costi delle imprese con la necessità di prospettive professionali, stabilità e sicurezza sociale dei lavoratori. Di seguito la sintesi comparativa delle quattro proposte.


PROPOSTA ICHINO Contratto collettivo di transizione al nuovo sistema di protezione del lavoro

Tabella Comparativa PROPOSTA PARLAMENTARI PD ASS. 20 MAGGIO Contratto Unico d’Inserimento Formativo

PROPOSTA NEROZZI Contratto Unico d’Ingresso

PROPOSTA BOERI Contratto Unico (E’ l’unica proposta non formulata come Disegno di Legge)

QUANDO SI PUO’ FARE

Questa proposta vale solo per un’impresa o un gruppo di imprese che accettano volontariamente di stipulare un Contratto collettivo di transizione al nuovo sistema di protezione del lavoro con una o più organizzazioni sindacali, delle quali almeno una radicata in non meno di quattro regioni.

Possono stipularlo tutte le imprese ma una sola volta con lo stesso lavoratore e i datori di lavoro dovranno trasformare a tempo indeterminato almeno il 50% degli assunti.

Possono stipularlo tutte le imprese ma una sola volta con lo stesso lavoratore

Possono stipularlo tutte le imprese.

COME FUNZIONA

Solo nelle aziende aderenti al nuovo rapporto di lavoro le assunzioni sono a tempo indeterminato e si aprano con un periodo di prova di sei mesi e con la possibilità di licenziamento per motivi

Consiste in un percorso d’accompagnamento al lavoro stabile suddiviso in due periodi di pari durata. Il primo “d’abilitazione” a tempo determinato rescindibile

Il contratto è a tempo indeterminato dall’inizio. E’ articolato in due fasi: “ingresso” non superiore a tre anni e di “stabilita” alla fine della fase d’ingresso.

Il contratto è a tempo indeterminato dall’inizio. Il contratto prevede una fase di inserimento ed una fase di stabilità.


QUANTO DURA

economici, tecnici ed organizzativi avendo, in questo caso, un risarcimento economico e ammortizzatori sociali per 4 anni pagati dall’azienda salvo ricollocazione.

con preavviso ed il secondo, dopo l’assunzione a tempo indeterminato, di “consolidamento professionale”.

L’articolo 18 è applicabile, in parte, solo dopo 20 anni di anzianità del lavoratore con la stessa azienda. L’impresa, in precedenza, può avviare un licenziamento individuale per motivi economici, tecnici od organizzativi.

Il periodo d’abilitazione a tempo determinato dura massimo 3 anni. La fase di consolidamento inizia con l’assunzione a tempo indeterminato. La durata complessiva è definita dai CCNL in base alla professionalità da conseguire.

Non si applica il periodo di prova. Non è previsto un impedimento ad assumere con CUI per le aziende che hanno avuto procedure di ristrutturazione, licenziamenti o CIGS nell’ultimo anno. Superata questa fase il contratto viene regolato dalla disciplina dei licenziamenti oggi in essere. Entro il limite massimo di tre anni, la durata complessiva è definita dai CCNL o, in mancanza, dal singolo datore di lavoro assieme al singolo lavoratore.

E’ prevista una compensazione monetaria durante la fase di inserimento in caso di licenziamento del lavoratore. Superata questa fase il contratto viene regolato dalla disciplina dei licenziamenti oggi in essere, secondo la dimensione d’impresa (+ o – 15 dipendenti). La fase di inserimento dura fino a tre anni nella quale il licenziamento può avvenire solo dietro compensazione monetaria, salvo giusta causa. La fase di stabilità inizia al termine del terzo anno.


COMPENSAZION E IN CASO DI LICENZIAMENT O

Nel caso il lavoratore sia licenziato, riceve dall’impresa un indennizzo pari ad una mensilità per ogni anno di servizio fino a 10 anni e a 45 giorni per ogni anno per il periodo superiore a 10 anni d’anzianità. L’indennizzo è: decurtato del preavviso previsto; è dimezzato sotto i 16 dipendenti; non è dovuto quando il lavoratore abbia maturato i requisiti per la pensione. Il licenziamento diventa collettivo quando si superano i 4 licenziamenti individuali in 120 giorni.

Dopo l’assunzione a tempo indeterminato rimangono le procedure di tutela, conciliazione e risarcimento previste oggi in base alla dimensione dell’impresa (+ o – 15 dipendenti).

Nei primi tre anni è previsto il licenziamento con una compensazione monetaria pari a 5 giorni di retribuzione per ogni mese di lavoro fino ad un massimo di 6 mensilità. Il licenziamento può avvenire senza motivazione con il risarcimento per qualsiasi motivo esclusi quelli disciplinari e discriminatori per cui continua ad applicarsi la norma vigente.

La compensazione monetaria, durante la fase d’inserimento, aumenta di un ammontare pari a 15 giorni di retribuzione per ogni trimestre di lavoro, fino ad un massimo di 6 mensilità nei 3 anni.


COSA SOSTITUISCE

Fermo restando che riguarda solo le aziende che accettano di applicarlo sostituisce gran parte delle forme di lavoro precario esistenti salvo i casi di cui al paragrafo successivo.

Sostituisce l’apprendistato professionalizante, quello di alta qualificazione e il contratto a termine (salvo che per alcuni casi). Assorbe i contratti di collaborazione, le partite Iva e gli occasionali abusati lasciando solo le collaborazioni coordinate instaurate per qualifiche elevate e con compensi non inferiori al lavoro subordinato. Cancella il lavoro a chiamata e accessorio e i contratti d’inserimento. Applica i contratti collettivi di lavoro alle associazioni in partecipazione con apporto di lavoro e al lavoro eseguito in presenza di cessione dei diritti

Non sostituisce nessuna Non sostituisce delle forme di lavoro nessuna delle forme di esistenti. lavoro esistenti. Nelle forme che rimangono non si apporta nessun correttivo nell’utilizzo salvo l’ampliamento dell’utilizzo del contratto a termine. Infatti il tempo determinato si potrà fare anche quando la retribuzione lorda del prestatore superi l’importo di 25.000 euro su base annua con riferimento ad una prestazione a tempo pieno ma si potrà stipulare un contratto a termine anche per prestazioni di durata inferiore calcolando l’importo equivalente pro


d’autore.

quota

COSA ASSORBE E CHI RIMANE FUORI

Dal “contratto di transizione” rimangono esclusi: i rapporti di lavoro stagionali o puramente occasionali, i collaboratori con autonomia, con più di 40 mila € di reddito e tutti gli iscritti agli ordini. Nelle forme che rimangono non si apporta nessun correttivo nell’utilizzo.

L’intervento legislativo riguarda tutte le forme di lavoro precario e professionale sia subordinato che “autonomo” aumentandone i costi e riducendone notevolmente i margini di abuso

Si stabilisce che gli “atipici” con un reddito di più di due terzi con un unico committente diventano CUI, retroattivamente dalla prima assunzione. Non si inserisce nessuna salvaguardia per i licenziamenti possibili dopo la trasformazione in CUI. Ne sono comunque esclusi chi ha più committenti, gli iscritti agli ordini e coloro che hanno un reddito superiore ai 30.000 € annui, 15 mila per i primi due anni.

Non si apporta nessun correttivo nell’utilizzo delle attuali forme di lavoro.

FORMAZIONE

Formazione e servizi per il reimpiego sono previsti dopo l’eventuale licenziamento.

Durante tutto il periodo, l’azienda formerà il lavoratore sia in affiancamento sul lavoro,

Non è prevista formazione specifica.

Non è prevista formazione specifica


sia con corsi di formazione effettivi e qualificati a cui sono collegati gli incentivi. INCENTIVI

È prevista una fiscalizzazione del contributo previdenziale per i giovani, le donne e gli anziani, con una riduzione del costo previdenziale dal 33% al 26% per un anno.

I salari saranno regolati Non sono previsti come avviene oggi per gli incentivi. apprendisti e, quindi, con compensi che aumentano gradualmente nel periodo di abilitazione. Gli sgravi contributivi, pari a quelli oggi previsti per l’apprendistato, sono concessi solo dall’assunzione a tempo indeterminato. Chi dimostrerà di aver fatto realmente la formazione avrà estesi parte degli sgravi contributivi.

Non sono previsti incentivi.

RIASSUNZIO NE PRESSO LA STESSA IMPRESA

Non è specificato nella proposta presentata.

Non è possibile la riassunzione presso la stessa impresa mentre con un'altra impresa, entro 12 mesi, si recupera il periodo

Chi ha interrotto un contratto unico durante i primi 3 anni, potrà riassumere lo stesso lavoratore, nei

Chi ha interrotto un contratto unico durante i primi 3 anni, potrà riassumere lo stesso lavoratore, nei successivi


già svolto.

dodici mesi, scontando il periodo già svolto. Non vale per eventuali contratti a termine stipulati prima del CUI.

successivi dodici mesi, scontando il periodo già svolto. La stessa cosa vale per i lavoratori a termine già assunti in precedenza e riassunti con il contratto unico.

PREVIDENZA

Si fa una media della contribuzione attuale portandola al 30% per tutti. Non si fa cenno alla contribuzione sociale.

I contributi previdenziali e sociali degli atipici diventeranno gradualmente come quelli dei dipendenti.

I contributi previdenziali e sociali degli atipici diventeranno gradualmente come quelli dei dipendenti.

Tutte le prestazioni di lavoro, incluso le collaborazioni a progetto, sono assoggettate a un’aliquota previdenziale pari al 33 %. Non si fa cenno alla contribuzione sociale.

AMMORTIZZ. SOCIALI

Viene attivata un’assicurazione contro la disoccupazione che sostituisce quella pubblica: la durata è pari al rapporto intercorso con limite massimo di quattro

Estensione degli ammortizzatori sociali a tutti i lavoratori, compresi atipici e imprese individuali. Pagamento della contribuzione contro la disoccupazione involontaria

Non sono previste proposte di revisione o allargamento degli ammortizzatori sociali.

Non sono previste proposte coordinate di revisione degli ammortizzatori sociali.


anni, con copertura iniziale del 90% dell’ultima retribuzione, decrescente di anno in anno fino al 60%.

a tutti.

COMPENSO MINIMO

Non è previsto.

Assimilazione dei compensi di tutte le forme di lavoro minimi dei CCNL e istituzione di un compenso minimo garantito solo per i settori o le forme escluse dalla contrattazione collettiva.

REIMPIEGO E ULTERIORI INTERVENTI

L’assicurazione e i servizi di reimpiego collegati sono affidati ad enti bilaterali, o consorzi d’imprese e sono finanziati interamente dalle imprese aderenti (contributo stimato allo 0,5% del monte salari): più rapida è la ricollocazione, più basso è il costo del sostegno al reddito.

Istituzione d’appositi strumenti per politiche formative e politiche attive per l’impiego. Costruisce il repertorio nazionale delle qualifiche professionali. Riforma l’apprendistato finalizzandolo al conseguimento di una qualifica professionale. Aumento della responsabilità e

Si istituisce il compenso orario minimo per tutte le prestazioni lavorative compresi i contratti a contenuto formativo. Questa previsione è possibile per Decreto con o senza un accordo fra le parti sociali. Non sono previsti altri interventi.

Si istituisce il salario minimo nazionale per tutte le forme di lavoro incluso le collaborazioni a progetto. Per questo si insedia una commissione nazionale di 5 esperti in carica 5 anni. Non sono previsti altri interventi.


l’autoregolazione delle parti sociali.


SCHEDA CRITICA DEL DISEGNO DI LEGGE PER L’ISTITUZIONE DEL CONTRATTO UNICO DI INGRESSO (testo proposto alla Camera dei Deputati: On. Bobba, On. Mosca e altri - al Senato della Repubblica: Sen. Nerozzi e altri) (a cura di Davide Imola – marzo 2010) Art. 1 (Contratto unico di ingresso) 1. E’ istituito il contratto unico di ingresso, di seguito denominato “CUI”, quale contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, a tutela progressiva della stabilità. 2. Fatta salva l’ipotesi di cui all’articolo 5, il CUI può essere stipulato solo in sede di prima assunzione alle dipendenze del medesimo datore o committente. 3. Per quanto non previsto dalla presente alla legge, al CUI si applica la normativa vigente in materia di rapporto di lavoro subordinato.

Teoricamente il CUI si propone come contratto unico di inserimento al lavoro ma in realtà rimangono invariate anche tutte le altre forme di lavoro oggi presenti salvo pochi limiti di carattere economico per identificare una dipendenza economica nel lavoro parasubordinato, mentre si allarga il contratto a termine. Nelle forme che rimangono non si apporta nessun correttivo nell’utilizzo. Art. 2 (Articolazione temporale del contratto ) 1. E’ fatto divieto di apporre un termine al CUI. 2. Il CUI si articola in due fasi: a) la fase di ingresso, di durata non superiore a tre anni; b) la fase di stabilità, a decorrere dalla conclusione della fase di ingresso. 3. Al CUI non si applica la disciplina in materia di periodo di prova.


Non è previsto un impedimento ad assumere con CUI per le aziende che hanno avuto procedure di ristrutturazione, licenziamenti o CIGS nell’ultimo anno. Questo consentirà anche di non tutelare chi fino ad oggi ha goduto delle tutele dell’Art. 18 in quanto alle imprese è concesso di poter sostituire i lavoratori licenziati con altri lavoratori in CUI. Art. 3 (Durata della fase di ingresso) 1. La durata della fase di ingresso è stabilita, entro il limite di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a), dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali di lavoratori e datori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale ovvero, in mancanza, dalle parti contraenti. 2. Le parti possono in ogni momento pattuire, anche in costanza di rapporto, l’anticipazione dell’inizio della fase di stabilità. In tal caso, il datore di lavoro è tenuto a comunicare all’INPS la data di effettiva decorrenza della fase di stabilità.

Se la durata della fase d’ingresso può anche essere lasciata ai contraenti, è difficile che nella fase negoziale le parti sociali si accordino per regolarla e, quindi, tutto verrà lasciato ad un rapporto non paritario tra lavoratore e datore di lavoro. Questo, inoltre creerebbe difformità di comportamento tra aziende anche dello stesso settore o nella stessa area territoriale. Questa impostazione segue una linea di condotta tenuta da tempo dal Ministro Sacconi e dal Centro destra tesa a ritenere le parti contraenti su un piano paritario negando, così, tutto l’assetto del diritto del lavoro e della giurisprudenza del nostro paese che ritiene il lavoratore subordinato come contraente più debole. Art. 4 (Disciplina del licenziamento individuale ) 1. Durante la fase di ingresso, in caso di cessazione del rapporto conseguente al recesso del datore di lavoro per motivi diversi dal licenziamento disciplinare, al prestatore è riconosciuta la tutela obbligatoria nella forma di un’indennità di licenziamento a carico del datore di lavoro di ammontare pari a cinque giorni di retribuzione per ogni mese di prestazione lavorativa. Resta comunque ferma l’applicazione della normativa vigente in caso di licenziamento disciplinare e di licenziamento del quale il giudice ravvisi un motivo determinante discriminatorio ovvero un motivo futile totalmente estraneo alle esigenze proprie del processo produttivo. 2. Durante la fase di stabilità si applica la normativa vigente in materia di licenziamento individuale.


In questo modo si applica un periodo di prova fino a tre anni con licenziamento di fatto “ad nutum” perché privo di motivazioni e anche della dimostrazione di “motivi tecnici ed economici” che sono, al contrario, previsti anche nella proposta Ichino. In queste condizioni il riferimento al licenziamento per motivi disciplinari è puramente “didattico” perché il datore di lavoro potrà superare ogni ostacolo senza dover dare motivazioni (le procedure non sono previste nella proposta presentata) e, quindi, potrà tranquillamente non applicare tutta la parte contrattuale che regola le procedure disciplinari. Non solo non si supera il dualismo di tutele tra piccole e grandi imprese ma, di fatto, si estende l’attuale legislazione prevista per le piccole imprese anche alle gradi. Infatti la tutela obbligatoria in forma di risarcimento con un indennità fino a 6 mensilità è già prevista nella legge 108/1990 che regola i licenziamenti individuali nelle aziende da 5 a 15 dipendenti. Nella norma del 1990, infatti, anche se con altri meccanismi di calcolo si raggiunge un risarcimento in caso di mancata reintegra (che comunque è prevista così come sono previsti il ricorso al giudice e le procedure di contestazione) fino ad un massimo di 6 mensilità. Altro pericolo prevedibile è la non circoscrizione più netta dell’utilizzo dei licenziamenti individuali in sostituzione di quelli collettivi. In questo modo si potrebbe ricorrere ad un utilizzo plurimo e persistente di licenziamenti “ad utum” per evadere le procedure previste dai licenziamenti collettivi. Art. 5 (Nuova assunzione alle dipendenze del medesimo datore ) 1. Il datore di lavoro che abbia interrotto un CUI durante la fase di ingresso può riassumere, entro i dodici mesi successivi all’interruzione del rapporto, il lavoratore alle sue dipendenze, con il medesimo contratto unico di ingresso. In tal caso, la durata della fase di ingresso è ricalcolata scomputando il periodo di lavoro già svolto. Il medesimo periodo è altresì computato ai fini del calcolo dell’indennità di cui all’articolo 4, comma 1.

Non si prevede, come invece nel testo Boeri/Garibaldi, la possibilità di assunzione per un lavoratore che abbia già fatto un contratto a termine con il medesimo lavoratore computando il periodo a termine già svolto ai fini dell’anzianità nel periodo d’ingresso del CUI.


Art. 6 (Salario minimo) 1. Con decreto del Presidente della Repubblica, adottato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, è stabilito il compenso orario minimo applicabile a tutti i rapporti aventi per oggetto una prestazione lavorativa, inclusi quelli con contenuto formativo, come individuato sulla base di apposita intesa con le parti sociali da stipularsi presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Decorso inutilmente tale termine, il decreto di cui al presente comma è adottato su proposta del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, approvata dal Consiglio dei Ministri, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. 2. Il salario base dei lavoratori dipendenti non può essere determinato in misura tale che il reddito del lavoratore risulti inferiore a quello che risulterebbe dall’applicazione del compenso orario minimo di cui al comma 1.

Non si fa cenno della rappresentatività che devono avere le parti sociali lasciando, su un tema così delicato e potenzialmente dirompente, anche la possibilità di accordi separati. In ogni caso non si definiscono tempi per il parere del CNEL, in cui comunque sono presenti le parti sociali che nell’ipotesi presentata non hanno raggiunto l’accordo, e, inoltre, non si definisce l’obbligatorietà della proposta, lasciando la possibilità di definire il salario minimo al Consiglio dei Ministri. Che senso ha fare un salario minimo orario per il lavoro dipendente quando ci sono già i CCNL in quasi tutti i settori che mediamente sono più garantisti del lavoro. L’unico terreno scoperto sono i soci di cooperativa e il lavoro parasubordinato ma basterebbe estendere l’obbligo di applicazione dei CCNL qualora si svolgano prestazioni di lavoro. Il salario minimo ha un senso solo per i pochissimi settori scoperti da CCNL, per i soci lavoratori appunto e per le modalità di lavoro parasubordinate ed autonome. Ci si preoccupa che il salario contrattuale non sia inferiore a quello minimo ma in realtà non potrà essere che più basso dei più bassi livelli contrattuali perché, in caso contrario, si metterebbero fuori mercato interi settori merceologici. L’esperienza europea dimostra che il salario legale è mediamente inferiore di almeno un terzo rispetto ai compensi contrattuali.


Inoltre tale importo sarà indifferenziato rispetto alle professionalità portando tutto il lavoro su un piano unico di retribuzione a disposizione dei datori di lavoro e, per di più, molto basso. Con un impostazione simile non ci sarà, salvo i rari casi di grande unità e grande potere contrattuale dei sindacati, la convenienza degli imprenditori a rinnovare i CCNL. Infine lo stesso salario contrattuale previsto per i contratti a causa mista come l’apprendistato che oggi hanno compensi percentualizzati e, nella fase iniziale, tendenzialmente più bassi rispetto ad un lavoratore qualificato per facilitarne l’inserimento saranno costretti a retribuzioni paritarie con i lavoratori qualificati perché il minimo non è superabile nemmeno per loro. Questo inibirà fortemente l’inserimento regolare dei giovani e tutta la contrattazione d’ingresso e di emersione del lavoro irregolare, precario e a causa mista. Art. 7 (Inquadramento professionale) 1. L’inquadramento professionale e il trattamento economico del lavoratore assunto con CUI sono quelli stabiliti dai contratti collettivi nazionali, applicabili per un lavoratore dipendente con analoga professionalità.

Nel testo a nostra disposizione non si chiarisce che si applicano tutte le norme contrattuali previste dai CCNL ma si precisano equivalenze solo per inquadramenti e salari. Questo lascia il campo ad intese contrattuali o ad interpretazioni giudiziarie che consentono l’inapplicazione della parte normativa o la stessa riduzione di salario e diritti sociali prodotta incidendo sulle tutele anziché sul salario. Nel disegno di legge non si fa alcun cenno alla formazione dei lavoratori superando un concetto essenziale sia per aiutare le imprese a stare al passo con una competizione sempre di più basata sulle competenze e sulla qualità dei beni e servizi resi e, inoltre, non aiuta i lavoratori a garantirsi una migliore possibilità di stabilità presso la stessa azienda oppure una migliore occupabilità nel mercato del lavoro. Art. 8 (Modifica della disciplina del contratto a termine ) 1. All’articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368, il comma 1 è sostituito dai seguenti: “1. E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato:


a) quando la retribuzione lorda del prestatore superi l’importo di 25.000 euro su base annua con riferimento ad una prestazione a tempo pieno ovvero l’importo equivalente pro quota per prestazioni di durata inferiore; b) quando ciò sia richiesto dalla speciale natura dell’attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima, secondo quanto disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica 7 ottobre 1963, n. 1525; c) in caso di sostituzione di lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto di lavoro, purché nel contratto a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione; d) nelle assunzioni di personale riferite a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi. 1-bis. In deroga al comma 1, è possibile apporre un termine al contratto di lavoro solo attraverso la contrattazione collettiva nazionale o aziendale stipulata dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Non si è mai visto un contratto a termine legato al reddito. Oltre la metà dei rapporti di lavoro hanno un reddito superiore ai 25 mila € con il rischio di tramutare tanti lavoratori da indeterminato a termine, soprattutto quelli parti time. Non si dice quanto dura il contratto a termine con limite economico per quanti rinnovi ecc. Invece di ridurre il dualismo si aumenta il ricorso al tempo determinato che è il principale fattore della precarietà italiana con i suoi attuali 2.300.000 contratti all’anno. Va sfatata anche la leggenda che il costo sia identico al tempo indeterminato infatti per i contratti a termine il costo è mediamente inferiore del 15/20 %, tra esclusioni da previsioni contrattuali ed esclusione dal pagamento di alcune parti contributive. Senza considerare la condizione di ricattabilità che vive il lavoratore in quel periodo, accettando di fare anche orari non retribuiti, attività non completamente in sicurezza, ecc. Fra l’altro con la previsione di un periodo di prova di tre anni, come quello proposto nel progetto di legge, e quindi, con l’introduzione di fatto di un contratto a termine di tre anni continuamente in scadenza non si sente certo il bisogno di allargare ulteriormente le causali di utilizzo del tempo determinato che al contrario, da più parti, oggi viene considerato troppo utilizzabile. Art. 9 (Contribuzione per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria)


1. Per i lavoratori dipendenti a termine di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, l’aliquota contributiva per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria è incrementata di un punto percentuale.

In questo modo si lasciano senza alcuna contribuzione specifica tutte le forme contrattuali che, anche oggi, sono escluse sia dal costo (rendendole più convenienti) sia dagli ammortizzatori sociali (lasciando un ampia fetta di persone senza tutele sociali). Rimarrebbero esclusi infatti gli apprendisti, i contratti di collaborazione pluricommittenti, le partite iva, i professionisti, le imprese individuali. Inoltre rimarrebbe l’enorme triplice divario tra gli ammortizzatori previsti per l’industria (CIG, CIGS, Mobilità, …), la contraddizione degli ammortizzatori in deroga pagati dalla fiscalità generale e non dalle imprese interessate e chi continuerebbe a non avere niente. Art. 10 (Contribuzione obbligatoria ai fini pensionistici ) 1. A decorrere dall’anno 2011, con riferimento ai lavoratori iscritti alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e successive modificazioni che non risultino assicurati presso altre forme obbligatorie, l’aliquota contributiva pensionistica e la relativa aliquota contributiva per il computo delle prestazioni pensionistiche sono incrementate annualmente in misura pari ad un punto percentuale, fino a convergenza con l’aliquota applicata ai lavoratori dipendenti iscritti all’assicurazione generale obbligatoria ed alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, di cui all’articolo 1, comma 10, della legge 8 agosto 1995, n. 335. e successive modificazioni.

In questo modo si parifica la contribuzione previdenziale a quella dei dipendenti anche per i professionisti e le collaborazioni pluriccommittenti iscritte alla gestione separata ma che, invece, rimangono esclusi dal CUI e che acuiscono la loro discriminazione con gli altri lavoratori autonomi e gli altri professionisti iscritti ad altre gestioni previdenziali. In più rimane la discriminazione verso le partite iva che versano per intero la quota contributiva contro un terzo dei collaboratori. Si aumentano i contributi ma, per chi rimarrà parasubordinato, non si agganciano i compensi ai dipendenti lasciando così la possibilità, come già successo più volte in passato, tutto il costo dell’aumento contributivo sui lavoratori.


Questo problema rimane irrisolto anche dal salario minimo che sarà inferiore alla media dei compensi almeno di un terzo, come in tutti i paesi europei che l’hanno adottato, e paradossalmente penalizzerà maggiormente il lavoro intellettuale e ad alto contenuto professionale. Inoltre, ben più grave, si lasciano inalterate le aliquote per le prestazioni sociali lasciando gli iscritti alla gestione separata e alle casse professionali, con pochissime tutele sociali (non tutti hanno la maternità, pochissimi la malattia e con indennità bassissime, molti non hanno i congedi parentali, non tutti hanno l’Inail, …). Art. 11 (Conversione del rapporto di lavoro parasubordinato in contratto unico di ingresso ) 1. Ferma restando la disciplina di cui all’articolo 69 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, il rapporto di lavoro autonomo continuativo, di lavoro a progetto e di associazione in partecipazione, con committenza pubblica o privata, dal quale il prestatore tragga più di due terzi del proprio reddito di lavoro complessivo, su base annuale, è considerato a tutti gli effetti un contratto unico di ingresso, a far data dalla sua stipulazione, salvo che ricorra alternativamente uno dei seguenti requisiti: a) la retribuzione annua lorda del prestatore superi i 30.000 euro; tale limite si dimezza per i primi due anni di iscrizione ad una gestione di previdenza obbligatoria; b) il prestatore sia iscritto a un albo o un ordine professionale incompatibile con la posizione di dipendenza dall’azienda. 2. Nei casi di cui al comma 1, la durata della fase di ingresso è pari, se prevista, alla durata del contratto originario, fermo restando il limite massimo di cui all’articolo 1, comma 2, lettera a). 3. Il criterio di qualificazione di cui al comma 1 si applica anche al rapporto di lavoro, ulteriore rispetto al rapporto sociale, tra socio lavoratore e cooperativa di lavoro. 4. Il requisito di cui al comma 1, inerente alla composizione del reddito di lavoro del prestatore, si presume sussistente in tutti i casi di collaborazione continuativa in cui il creditore della prestazione non possa documentare la diversa e autonoma fonte di reddito della quale il prestatore goda in misura superiore a un terzo del suo reddito di lavoro complessivo. La documentazione può consistere, alternativamente, a) in una autodichiarazione del prestatore accompagnata dalla documentazione dei redditi diversi; b) nella copia della dichiarazione dei redditi del prestatore relativa all’anno precedente. 5. L’insorgenza o la cessazione in costanza del rapporto del requisito inerente alla composizione del reddito di cui al comma 1


determinano, rispettivamente, l’insorgenza o la cessazione della condizione di dipendenza a far data dall’inizio dell’anno fiscale successivo.

Essendo attualmente tutti i contratti, citati da questo articolo, a termine non si chiarisce se la data da considerare per la retroattività è quella dell’ultimo rapporto o se si parte dal momento in cui si è stipulato il primo contratto con quel datore di lavoro. Non è prevista nessuna tutela per il lavoratore che viene assunto forzatamente con questo progetto e, una volta assunto con CUI può, per mezzo dello stesso contratto, essere licenziato dopo poco senza motivazioni e con un’indennità relativamente bassa. Si realizzerebbe il capolavoro di colpire un’azienda, per lo più di piccole dimensioni, con un assunzione a tempo indeterminato retroattiva che colpirebbe economicamente l’impresa senza garantire al lavoratore di rimanere assunto dalla medesima impresa ed, anzi, con la previsione molto probabile di un suo licenziamento ad nutum. Si lasciano inalterate le norme vessatorie ed equivoche su contratto a progetto, collaborazioni, associazioni in partecipazione e partite iva individuali avendo così, comunque, una fetta enorme di lavoratori che continuano ad essere senza tutele ne garanzie pur non avendo un committente prevalente e lasciando una grande via d’uscita di grande convenienza ai datori di lavoro che vogliano abusarne. S’illudono i lavoratori parasubordinati di avere la possibilità di essere tutti assunti, o meglio si fa un’operazione meramente ideologica a cui le persone hanno smesso da tempo di credere visto che nelle ultime elezione oltre il 70% dei precari ha votato a destra. Oltre alla possibilità per molte aziende di aggirare queste norme, è stravagante che se si superano i 30 mila € lordi annui o i 15 mila per i primi due anni sia concesso di non trasformare in CUI il rapporto di lavoro anche a chi ha una monocommittenza oppure un committente prevalente. In questo modo si concede a moltissimi committenti di continuare ad operare in forme che si vorrebbero superare al termine del secondo o terzo anno (a secondo dei fatturati) si ricomincia con qualcun altro. Inoltre, il retro pensiero che se sono fuori dal lavoro dipendente non debbano avere tutele, ha fatto lasciare inalterati, cioè nulli, i diritti di questi lavoratori sia quando lavorano che quando perdono il lavoro. Come se avere un reddito lordo annuo di 30 mila € sia


sufficiente a rinunciare a tutele sociali dignitose, ad ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione, o a un futuro previdenziale decente. Sempre in questo articolo si escludono dall’ipotetica trasformazione in CUI anche tutti coloro che sono iscritti ad ordini e collegi condannando tutti i giovani professionisti alla precarietà a vita. Senza considerare che, proprio dall’attuale crisi, è emerso il grande sfruttamento del lavoro intellettuale dei giovani e che, persino le associazioni datoriali come Confprofessioni fanno proposte di maggiore tutela dei giovani professionisti. Il PD invece, se sposasse questa proposta, li lascierebbe esclusi dalle proprie politiche e da qualsiasi accesso ai diritti come se l’essere iscritto ad un ordine dia diritto automaticamente ad avere uno studio ed un reddito di primo piano. Non è più così da tempo. Per come è formulato il comma 5, che determina l’inserimento o l’uscita dal CUI nel caso in cui anche in costanza di rapporto cambino le condizioni di reddito, si consente la fuoriuscita dal lavoro dipendente per tutti coloro che hanno un part time verticale o perché due datori di lavoro si sono accordati di abbinare il proprio rapporto di lavoro facendo ritornare nell’oblio della precarietà chi, eventualmente, ne era fuoriuscito da poco. Pur avendo previsto, nel disegno di legge, una forte mobilità tra varie forme di lavoro non si superano né i problemi di totalizzazione fra i contributi previdenziali versati nelle varie casse né, tanto meno, di difformità tra le tutele sociale e i trattamenti fra i vari strumenti ancora presenti nel mercato del lavoro. Art. 12 (Rivalutazioni annuali e relazione al Parlamento ) 1. Con decreti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro il 31 dicembre di ogni anno, sono stabilite, sulla base dell’andamento delle retribuzioni dei contratti a tempo indeterminato del settore privato, come stimato dall’ISTAT sulla base delle rilevazioni OROS, le rivalutazioni degli importi di cui all’articolo 1, lettera a), del decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368, e di cui all’articolo 11, comma 1, lettera a), della presente legge. 2. Entro tre anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali riferisce al Parlamento circa gli effetti sull’andamento dell’occupazione e dei salari derivanti dall’attuazione delle disposizioni della presente legge, come stimati secondo metodologie rese accessibili alla valutazione indipendente. A tal fine, l’INPS rende accessibili a titolo gratuito i microdati anonimizzati relativi alle carriere e alle retribuzioni dei lavoratori del settore privato iscritti alle rispettive gestioni obbligatorie.


COMMENTO GENERALE sul DDL Nerozzi-Marini

I padri, i figli e i costi. Si scambiano i diritti dei padri con quelli dei figli senza garantire a questi ultimi benefici effettivi e senza curarsi minimamente della competizione sui costi operata dalle imprese italiane che hanno abusato della precarietà. Uno degli aspetti di sottovalutazione più gravi, infatti, fatto da questo disegno di legge è di non curarsi affatto della motivazione principale per cui, in Italia, si è arrivati ad una tale situazione di precarietà e di sfruttamento così ampio e generalizzato delle giovani generazioni e, persino, del lavoro intellettuale. La concorrenza operata dalle nostre imprese ha, in larga parte, utilizzato la flessibilità per abbassare i costi del lavoro uscendo dai vincoli contrattuali senza dover riorganizzarsi ed investire per produrre una competizione sulla qualità e sull’innovazione di prodotto come fatto da gran parte delle economie occidentali dove, infatti, la flessibilità costa maggiormente del lavoro stabile. Questa tendenza italiana è documentata in decine di ricerche e analisi, ultima quella di Isfol Plus. Con questo disegno di legge si cerca, ancora una volta, di mettere in concorrenza i diritti acquisiti dei padri (che significa facilitare enormemente la possibilità di licenziamento nei primi tre anni di lavoro dei lavoratori stabili delle grandi aziende che sono meno del 10% del totale delle imprese) con le migliori condizioni economiche dei figli. Senza, per altro, garantire effettivamente quest’ultimo risultato perché sia le vie di fuga lasciate alle imprese che ne volessero approfittare, sia le difficoltà ad imporre un simile sistema sono ampiamente visibili. Se l’utilizzo della flessibilità fatto dalle imprese italiane è una sostanziale fuga dai costi del lavoro, non è con un livellamento al ribasso dei diritti per le generazioni future che si può ricomporre il dualismo del mercato del lavoro italiano e creare migliori condizioni competitive per le imprese e contemporaneamente migliori tutele per tutto il mondo del lavoro. In questo contesto si deve riuscire a dare voce e fare proposte efficaci per gli interessi e le necessità dei lavoratori discontinui senza perdere di vista le difficoltà e i bisogni delle imprese.

Tempo Determinato e contrattazione collettiva


In questo Disegno di legge si opera un forte allargamento dell’uso del tempo determinato. Persino introducendo una nuova quanto stravagante modalità di contratto a termine legata non ad un evento o una causale specifica ma ad un compenso che non sia inferiore ai 25 mila €. In tutto il Disegno di Legge si indebolisce il ruolo delle parti sociali e il ruolo della contrattazione collettiva e, in particolare agli artt. 3 e 6, si mina la stessa efficacia dei CCNL che possono tranquillamente essere inapplicati a favore del salario minimo istituito in forma alternativa da questo progetto di legge e non solo come compensazione dove vi sia assenza dell’efficacia contrattuale.

La coesione sociale e la contrattazione La coesione sociale oltre ad essere un valore fondante dello sviluppo civile, come si è verificato più volte nel nostro recente passato, è sempre più un pre-requisito della stessa competitività e della crescita economica dell’intero paese. Per questo è indispensabile che non si formino sacche di lavoro precario senza regole e senza tutele o che non si affrontino unilateralmente temi come il processo del lavoro, la riforma degli ammortizzatori, gli interventi previdenziali, le regole contrattuali. Non solo, è indispensabile rimettere in capo alle parti sociali quelle responsabilità di regolazione dei diritti e dei comportamenti nel lavoro che spesso sono state abdicate e scaricate sulla collettività. Occorre rafforzare il ruolo e i compiti delle parti sociali e non ridurli e mortificarli come nel Disegno di Legge di CUI.

Prova di forza Un altro punto su cui non si può che essere fortemente critici è che, nella situazione politica e sociale in cui versa il nostro paese, nell’attuale scontro politico, di divisione tra le parti sociali e dopo oltre 25 anni di presenza della precarietà in tutti i settori economici, si propone (Art. 10) di assumere retroattivamente circa 800 mila parasubordinati e circa 200 mila partite iva e associazioni in partecipazione aumentando dall’oggi al domani e retroattivamente i costi sia contrattuali che previdenziali per le imprese. O si pensa, ammesso che sia giusto oltre che possibile, di poter imporre un tale scossone al sistema economico e delle imprese nel nostro paese senza operare il minimo sforzo in materia di sostegno in questo passaggio, oppure si pensa che questa impostazione possa avere una larga condivisione politica e sociale. Di entrambe le ipotesi si può dubitare fortemente.


Appare un’operazione fortemente ideologica che presuppone spallate normative e imposizione di costi più alti e spesso fittizi, solo per chi rispetterà i CCNL perché sarebbero possibili forti vie d’uscita per quelle aziende che si adagiassero sul salario convenzionale e sulla non applicazione dei CCNL che, come è noto, nel nostro paese non hanno valore erga omnes. Inoltre si danno ampie possibilità di aggirare le previsioni normative qui previste, lasciando inalterate e prive di diritti e tutele sociali tutte le forme di precarietà oggi presenti. A tutto ciò, poi, si aggiunge un periodo di prova, nel finto tempo indeterminato, della durata di tre anni. Occorre, al contrario, un nuovo patto fra produttori positivo e virtuoso, e che sia in grado di dare risposte alla complessità dei problemi che abbiamo di fronte senza scorciatoie. Un patto per il lavoro che dia vantaggi a tutti tenendo in equilibrio le esigenze di flessibilità e di riduzione dei costi delle imprese con la necessità di prospettive professionali, stabilità e sicurezza sociale dei lavoratori.

L’economia della conoscenza e il lavoro intellettuale. In una competizione sempre più basata sulla conoscenza e sulle capacità individuali, oltre che di sistema, nel produrre sviluppi e innovazioni, il lavoro intellettuale e professionale diventa essenziale. Probabilmente per l’intero sistema economico rendere produttivo e tutelare il knowledge work sarà il grande compito di questo secolo, proprio come quello di rendere produttivo e tutelare il lavoro manuale fu il compito del secolo scorso. In questo senso è criticabile un Disegno di Legge che si dovrebbe porre il compito di estirpare il dualismo del lavoro e che, con considerazioni solo di carattere economico o con forzature come l’esclusione delle professioni da alcuni processi, lascia fuori dalla regolazione dei rapporti di lavoro e dall’estensione delle tutele sociali gran parte dei lavoratori della conoscenza sia in forma autonoma che subordinata (con pericolose possibilità di scivolamento forzato di questi ultimi in una fittizia autonomia o in un rapporto a termine).

Più discontinuità dei rapporti di lavoro ma senza una revisione degli ammortizzatori Non si prevedono, come invece tentava di fare il progetto di Ichino e quello del CUIF, nessun aggiornamento o riforma degli ammortizzatori sociali, ne alcuna forma di accompagnamento ad altra attività, con servizi specializzati di autplacement a carico


delle imprese lasciando inalterati, e quindi largamente inefficaci, i sistemi di protezione e di reimpiego fuori dal lavoro che sono sbilanciati sulla protezione dei lavoratori stabili delle grandi imprese. Con una tale possibilità di perdere il lavoro dovuta all’allargamento del periodo di prova, ai primi tre anni di tutti i contratti a tempo indeterminato, all’allargamento delle causali del tempo determinato e al permanere di tutte le altre forme di lavoro senza correttivi, seppur entro certi parametri economici, In questo quadro così debole l’indennità di licenziamento proposta, che dovrebbe disincentivare il datore di lavoro è pari a quella oggi prevista per i lavoratori delle imprese sotto i 15 dipendenti (legge 108/1990) che, con calcoli temprali leggermente diversi, prevede un risarcimento massimo di 6 mensilità. Invece di estendere l’Art. 18 a tutti i lavoratori, (come proposto in passato e di recente da alcuni degli estensori di questo Disegno di legge) si allarga la fascia coperta solo da un limitato licenziamento risarcitorio.

Precari da tutelare imprese da incoraggiare. Infine giudicando questo Progetto di Legge largamente insufficiente ad affrontare il superamento del dualismo del lavoro italiano e, per alcuni aspetti, pericoloso nella tenuta di un sistema di regole e tutele collettivo vogliamo porre l’attenzione su un limite culturale molto presente nel mondo politico e sindacale del centro sinistra. Da questo disegno di legge si percepisce chiaramente, infatti, che ancora una volta si pensa ai precari in modo generalizzato come se fossero tutti uguali e, peggio, come fossero un pericolo per i lavoratori stabili. Non si pensa mai a loro come lavoratori da tutelare seriamente senza illuderli con processi aleatori e irrealizzabili e, contemporaneamente, si pensa di poter ignorare la complessità dei processi economici che condizionano le imprese mentre, solo affrontandoli, si può consentire ai datori di lavoro di farsi carico di un nuovo modello di regolazione sociale dei rapporti di lavoro.

La pubblica Amministrazione


Stando all’attuale testo, che non prevede esclusioni, sarebbero inclusi dal CUI anche i rapporti di lavoro instaurati con le Amministrazioni Pubbliche. In questo senso il testo proposto, oltre a sollevare dubbi sulla possibilità di licenziare per tre anni i vincitori di concorso assunti nel pubblico impiego, diventerebbe indispensabile estendere il pagamento del contributo per la disoccupazione involontaria e la possibilità di accedere all’indennità di disoccupazione anche per i lavoratori pubblici oggi esclusi. Nel Disegno di Legge non se ne fa cenno.


ALMENO NON PARLATE DI LOTTA ALLA PRECARIETA’ È stata presentata al Senato una proposta di legge sul Contratto Unico d’Ingresso (CUI) riferibile al professor Boeri per il superamento del dualismo del lavoro e della precarietà. Leggendo il testo di legge sul CUI viene spontaneo dire che la riscrittura dei diritti del lavoro dovrebbe almeno non essere spacciata per aiuto ai precari. Nel testo proposto, infatti, restano tutte le forme di lavoro precario oggi presenti e non vi è nessun correttivo al loro utilizzo “truffaldino”. In più, si amplia l’utilizzo dei Contratti a termine (oltre 2 milioni e trecentomila) introducendo la bizzarria di un criterio di reddito a giustificazione del termine (si può mettere un termine sopra i 25mila euro riproporzionati per i part time). A questo si aggiunge il CUI come nuova forma di precarietà all’armamentario già esistente. Inoltre, i CUI sono possibili anche in aziende che hanno in corso licenziamenti o Cassa Integrazione e possono, così, sostituire lavoratori tutelati con altri non tutelati. Ogni rimando contrattuale alle parti sociali, poi, è depotenziato perchè, dopo pochi mesi, in mancanza d’accordo si lascia alle imprese o al Governo la possibilità di fare ciò che vogliono. Non si supera il dualismo di tutele tra piccole e grandi imprese ma si estende in modo peggiorativo quanto previsto nei licenziamenti per le piccole aziende anche alle grandi. Il CUI, inoltre, diventa di fatto un periodo di prova lungo tre anni con licenziamento “ad nutum” perché privo di motivazioni. Si inventa il salario minimo per Legge sovrapposto ai Contratti Nazionali di Lavoro. Se non è alternativo a quello previsto dai Contratti a cosa serve? Tale salario minimo non potrà che essere più basso di tutti i salari contrattuali perché, in caso contrario, si metterebbero fuori mercato interi settori merceologici. Dove esiste il salario legale è mediamente inferiore di un terzo rispetto ai compensi contrattuali. Infine, inserendo un salario minimo legale senza che i contratti abbiano in Italia valore “erga omnes” e non solo per i settori scoperti da contrattazione collettiva, come sarebbe stato ragionevole, si da la possibilità a chi vuole evitare di applicare i contratti di farlo restando in regola con la legge perché applica il salario minimo. Si annuncia, poi, il superamento dei rapporti parasubordinati ma in realtà è una disposizione facilmente aggirabile perchè è vincolante solo per chi ha un reddito legato per più di due terzi ad un unico committente. Invece chi ha più datori di lavoro, chi guadagna più di 30 mila euro, o ancora chi ha l’obbligo di iscriversi ad ordini professionali resta precario a prescindere dalla qualità del rapporto di lavoro. Inoltre, anche nei casi in cui l’azienda deve assumere il parasubordinato retroattivamente come subordinato, può licenziarlo nei tre anni successivi perché assunto con il CUI e senza garanzie.


Il Contratto Unico di Ingresso somiglia, per taluni aspetti, alle proposte sulla flexsecurity ma declina solo la flex trascurado la parte security costituita dal percorso di ricollocazione al lavoro, dalla formazione e dall’estensione degli ammortizzatori di cui non vi è traccia. Questa proposta non affronta il nodo principale: la fuga dal “costo dei diritti” che ha prodotto, oltre all’assenza di tutele e diritti universali per milioni di lavoratori, anche la perdita di vigore della nostra competizione sul piano qualitativo e su quello dell’innovazione. Non si può evitare, invece, di definire una proposta che protegga i lavoratori riducendo realmente i contratti precari e rendendo non abusabili quelli necessari per la flessibilità. Una proposta che contemporaneamente dia incentivi economici alle imprese rendendo più conveniente fare formazione e meno costoso rispettare i diritti dei lavoratori invece che abusarne. Mi auguro che il PD sappia scegliere altre soluzioni tra quelle già presentate in parlamento perché con il CUI si continua a seguire il vecchio ritornello che mette in concorrenza i diritti acquisiti dei padri con presunte e poco credibili migliori condizioni dei figli.


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