Anno 4 - N. 11 (#121) Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano - Supplemento culturale del Corriere della Sera del 16 marzo 2014, non può essere distribuito separatamente
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Domenica 16 marzo 2014
La pittura per me è prima di tutto disegno. La Luce nasce come forma da costruire per poi diventare colore
Bernardo Siciliano
per il Corriere della Sera
2 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA
DOMENICA 16 MARZO 2014
Sommario
Il dibattito delle idee
SSS corriere.it/lalettura
L'inserto continua online con il «Club della Lettura»: una community esclusiva per condividere idee e opinioni
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Il dibattito delle idee Le elezioni fanno male alla democrazia di STEFANO MONTEFIORI
Orizzonti
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L’intervista Vikram Chandra narra(programma)tore di SERENA DANNA
7 Studi
Comportamento e mente: la disonestà aguzza l’ingegno di FEDERICA COLONNA
9 Visual Data
Do you speak English? E la tua economia vola di MARIA SEPA
Caratteri
10 Speciale Bologna
Children’s Book Fair Chi trova un libro (ri)trova un tesoro di CRISTINA TAGLIETTI
Nero 11 IlpiùCorsaro Hunger Games: gli adolescenti non sono quello che crediamo di FRANCESCO GUNGUI
le guerre 12 Tutte dei cattivi ragazzi
di SEVERINO COLOMBO
13 Gli amori difficili
delle brave ragazze
di ROBERTA SCORRANESE
14 Classifiche dei libri La pagella
di ANTONIO D’ORRICO
Sguardi
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Arte e disagio mentale I fantasmi di Ugolina (e degli altri) di FRANCESCA RONCHIN
L’esperimento Trompe-l’oeil in Psichiatria: sole e cielo spuntano sui muri di FULVIO BUFI
18 Le mostre
Il talamo di Alfred e Gisela era colore. E poesia di SEBASTIANO GRASSO
19 Al Museo del Prado
Giganti e titani: le Furie che si presero l’Europa di GIOVANNA POLETTI
Percorsi
20 Scritture La scalogna è un’arte e Malamud il suo maestro di ALESSANDRO PIPERNO
22 Controcopertina
I mosaici di Cefalù: il re delle tessere è normanno di CARLO VULPIO
Tempi moderni Il vecchio curriculum rischia di finire in pensione. Nuove minacce per la privacy
Il lavoro è un affare di cuore Così le aziende cercano personale ricorrendo a Big Data e videogiochi (e all’algoritmo che trova il partner) dal nostro inviato a New York MASSIMO GAGGI
P
er la sua nuova avventura giornalistica alla rete Espn, il genio dei numeri Nate Silver, l’analista divenuto famoso per aver previsto con accuratezza la rielezione di Obama applicando il suo metodo statistico ai sondaggi d’opinione, sta reclutando decine di persone che devono avere dimestichezza con il lavoro redazionale, ma anche con la scrittura dei codici di programmazione informatica. La loro selezione non passa attraverso l’esame dei tradizionali curricula. Quanto i candidati hanno fatto fino a oggi a Silver interessa relativamente: lui sceglie soprattutto chi gli sembra più flessibile, più aperto al cambiamento. Silver ha lasciato nell’estate scorsa il «New York Times», che aveva accolto lui e il suo blog «FiveThirtyEight», ma nel quale Nate non si sentiva libero di sviluppare pienamente l’impresa e il suo team. Oggi riorganizza la sua attività nell’ambito di un gruppo editoriale, Espn, celebre soprattutto per le sue reti televisive sportive, ma che sta cercando di espandersi in tutte le direzioni. E infatti il team di Silver produrrà contenuti sportivi — numeri e statistiche sono pane quotidiano per ogni tifoso che si rispetti, che si tratti di basket, baseball o altro — ma anche politici, scientifici ed economici. Per questo Silver ha ottenuto da Espn piena autonomia non solo operativa, ma anche logistica: mentre il quartier generale del gruppo editoriale è in Connecticut, «FiveThirtyEight» ha fissato la sua sede a Manhattan, dove da tempo si allenano i primi membri del nuovo team: gente che arriva dal «Wall Street Journal», dall’agenzia «Reuters», dal «Tampa Bay Times», un quotidiano della Florida, ma anche dalla Federal Reserve Bank di Atlanta. Nate nelle scorse settimane ha dedicato gran parte del tempo alla scelta dei professionisti da assumere per il sito, che esordisce su Espn in questi giorni. Fissato con i numeri, ha inquadrato tutti i candidati in un grafico i cui assi misurano, da un lato varie gradazioni dei metodi di lavoro (dagli approcci più intuitivi a quelli più rigorosa-
i Il personaggio Nate Silver (foto) è nato a East Lansing, Michigan, nel 1978. Statistico, si è formato in economia all’università di Chicago e alla London School of Economics. È direttore del blog «FiveThirtyEight» che debutta domani, lunedì 17, su Espn. Suo il libro Il segnale e il rumore. Arte e scienza della previsione (traduzione di Manfredi Giffone, Fandango, pp. 670, € 24,50) I Big Data Con l’espressione si indicano tecniche avanzate di machine learning (apprendimento automatico) per estrarre, analizzare, e processare enormi quantità di dati
SSS Ha cominciato Nate Silver, l’analista che ha lasciato il «New York Times» per mettersi al servizio della tv Espn: seleziona lo staff costruendo un grafico che incrocia attitudini e competenze e punta a chi è più «empirico» e «quantitativo»
mente empirici, fattuali e misurabili) e dall’altro la tendenza a essere più qualitativi o più quantitativi nel proprio rendimento professionale. Messi tutti i candidati nel grafico, Nate ha scelto quelli che si collocano nel quadrante dei più empirici e dei più quantitativi. Nella sua personalissima trasposizione grafica del mondo dei professionisti dell’informazione, il quadrante degli empirici rigorosi e qualitativi appartiene a gruppi editoriali innovativi come «Vox Media» e a personaggi sofisticati come Ezra Klein: una firma di punta del «Washington Post» che, come Silver, ha appena lasciato il giornale per sviluppare il suo «Wonkblog» in un altro ecosistema editoriale (quello di «Vox», appunto). Nate ha collocato, poi, i columnist tradizionali, i classici editorialisti della stampa Usa, nel quadrante dei qualitativi intuitivi (molta qualità nella scrittura ma, secondo lui, poco rigore nell’analisi) mentre l’ultimo quarto del suo grafico — alta produttività e scrittura molto personale, non basata su una considerazione rigorosa dei fatti — è stato riservato alla stampa sportiva.
Quello di Nate Silver che usa i grafici per assumere è ancora un caso abbastanza raro, certo. Ma le tecniche di reclutamento del personale negli Stati Uniti stanno cambiando rapidamente. I «cv», i curricula presentati dai candidati, contano sempre meno, mentre cresce il numero delle aziende che scelgono, se non sulla base di numeri statistici e grafici, consultando comunque un ampio ventaglio di dati: l’enorme patrimonio di informazioni provenienti dai Big Data, che spesso rivela caratteristiche nascoste dei candidati, dalla creatività alla loro volubilità. Le aziende, ormai, non si accontentano solo di sapere se una persona valutata per l’assunzione ha determinate capacità professionali. Vogliono anche capire quali sono il suo temperamento e le sue aspirazioni: se si sentirà parte dell’azienda o se andrà via alla prima offerta allettante. O se, davanti a una trasformazione dell’attività produttiva, accetterà di mettersi in gioco a tutto campo. Così le piattaforme che un tempo servivano soprattutto per selezionare, per scremare il gran numero di curricula che arrivavano a un’azienda, si trasformano in qualcosa di molto più complesso: sistemi capaci di esplorare le storie dei candidati attraverso i meandri dei social network (come nei classici casi degli «investigatori digitali» al servizio di chi assume che scoprono foto «compromettenti» dei candidati da loro stessi postate su Facebook anni fa) e scavando nelle miniere di Big Data.
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Ibm per 1,3 miliardi di dollari: un’azienda specializzata in screening, reclutamento e formazione professionale, capace di analizzare in un anno 40 milioni di candidati. O come Evolv, una start up di San Francisco che usa complessi algoritmi con i quali offre alle aziende che lo richiedono lavoratori specializzati da impiegare anche per periodi brevissimi. Un’altra start up californiana, Knack, utilizza, invece, i videogiochi soprattutto per misurare le capacità cognitive, l’emotività e le doti di memoria dei candidati.
I dipartimenti risorse umane delle grandi società studiano la nuova scienza della forza-lavoro e, per scegliere i candidati più promettenti, ricorrono a strumenti di tutti i tipi: dai videogame, usati soprattutto dalle aziende che vogliono ringiovanire il loro personale, a siti utilizzati fino a ieri solo per organizzare incontri sentimentali. BeautifulPeople.com ha già affiancato da più di un anno alla sua attività principale, il dating, un sito specializzato in reclutamento del personale. E anche eHarmony, forse la più celebre tra le società che cercano partner per i «cuori solitari», da quasi un anno sta rielaborando il proprio algoritmo per cercare di fare incontrare un datore di lavoro e un lavoratore, anziché due cuori.
Le società di dating erano da tempo alla ricerca di nuovi campi d’attività perché il loro modello di business ha una debolezza di fondo: ogni cliente ben servito è un
FOTOGRAFIE DI ULIANO LUCAS
cliente perduto. Chi trova il partner giusto grazie al sito di dating, smette di esserne un utente. Ma eHarmony e le altre rappresentano solo uno spicchio di questa rivoluzione delle tecniche di selezione del personale. Un’attività alimentata, come detto, da una sua scienza (o presunta tale) e che ormai viaggia sulle ali di grosse società specializzate come Kenexa, acquistata l’anno scorso da
SSS I siti di incontri hanno rivolto altrove le loro tecniche perché il modello di business ha una debolezza intrinseca: il cliente soddisfatto è un cliente perso. Così scommettono sulle società che corteggiano uomini della concorrenza e nuovi talenti
Il ricorso al gaming serve a valutare certe caratteristiche dei candidati — prontezza di risposta, reazione a situazioni impreviste — ma anche ad avvicinare persone e mondi lontani dal proprio universo aziendale. Con il gioco My Marriott Hotel, ad esempio, la celebre multinazionale americana degli alberghi ha avvicinato una platea di persone di 120 Paesi del mondo che, impegnati a gestire al meglio la cucina del ristorante virtuale dell’albergo, un domani potranno diventare indifferentemente suoi clienti o candidati all’assunzione. Nel caso della grande società di consulenza aziendale Deloitte Touche, invece, il gioco che si risolve in una specie di viaggio virtuale attraverso le sedi cinesi della compagnia (gli uffici di Pechino, Shanghai e Hong Kong) serve soprattutto a far conoscere la compagnia ai possibili nuovi dipendenti. E infatti 50 mila utenti del viaggio virtuale sono poi entrati nella sezione del sito della Deloitte riservato alle carriere. Tecniche raffinate e a volte anche subdole perché chi ha bisogno di personale spesso non si limita ad attingere al serbatoio di chi si offre sul mercato del lavoro. Alle ricerca di talenti, molte aziende cercano soprattutto di attirare quelli che già lavorano per la concorrenza. E qui le tecniche sono le più diverse. Da quelle rozze — il grosso camion con su scritto a caratteri cubitali «assumiamo gente in gamba, stipendi allettanti», parcheggiato davanti ai cancelli dell’azienda rivale — agli «agenti segreti» sguinzagliati nelle feste degli ex-alunni delle università più prestigiose o nei corridoi delle fiere del lavoro. A volte l’indagine degli uffici di reclutamento assume le vesti di un innocuo torneo. Dietro il quale non c’è necessariamente un datore di lavoro privato: già dieci anni fa il Pentagono, bisognoso di veicoli guidati a distanza (allora non ne aveva nessuno), selezionò gli ingegneri da assumere con un grand challenge, una gara sponsorizzata dal ministero della Difesa tra team che dovevano sfidarsi su un percorso di 250 miglia schierando robot totalmente autonomi, capaci di muoversi grazie a un sistema computerizzato basato su mappe digitali. Insomma, in futuro il curriculum, se sopravviverà, avrà il valore di un biglietto da visita o poco più, mentre le tecniche di reclutamento basate su Big Data verranno declinate nei modi più fantasiosi: negli Usa c’è anche chi, convinto che la vita sia tutta un liceo, va a cercare i voti ottenuti dai candidati nei Sat, i test scolastici federali ai quali quasi tutti gli studenti americani si sottopongono negli anni della high school. Fantasia illimitata che, però, almeno un problema di limiti lo pone: quello etico dei confini sempre più labili delle tecniche di indagine accettabili. Metodi di ricerca che troppo spesso, sotto la pressione delle aziende o per la rapida evoluzione delle tecnologie, si trasformano in vere e proprie tecniche di sorveglianza. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Dall’intenso programma della settimana
ANTICIPAZIONI
SABATO 22 MARZO 10.15 Naso rosso. Spettacolo teatrale di e con Maria Ellero 10.30 La letteratura dall’alfabeto. Convegno inaugurale
Intervengono Duccio Campagnoli - Presidente di BolognaFiere, Virgilio Merola - Sindaco di Bologna Massimo Mezzetti - Assessore alla cultura Regione Emilia Romagna, Alfieri Lorenzon - Direttore AIE Associazione italiana editori, Flavia Cristiano - Direttore del Centro per il Libro, Mario Ambel - studioso di didattica, Nicola Cinquetti, Luisa Mattia, Angela Nanetti - tre autori che dalla cattedra sono approdati alla scrittura
10.30 Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia. Severino Colombo presenta Giuseppe Rizzo 12.00 Ilaria Alpi, la ragazza che voleva raccontare l’inferno. Incontro con Gigliola Alvisi. Presenta Luciana Cavina 16.00 La letteratura incontra l’Arte. Un felice esempio brasiliano: Il mio amico Vincent. In collaborazione con Arte Fiera 17.00 C’era una volta una Band: The Beatles
DOMENICA 23 MARZO Giornata della cultura ebraica per ragazzi 11.00 Children’s Story. I disegni dei bambini dal ghetto di Terezin Visita alla mostra con Ada Treves 11.45 Bruno il ragazzo che imparò a volare. Incontro con Nadia Terranova 12.00 Mejn Alef Beif. Incontro con Urszula Lausinska e Anna Makòvka Kwapisiewicz 15.00 Una stella tranquilla. Incontro con Pietro Scarnera 12.00 I cinquant’anni di Mafalda. Con Vanna Vinci e Concita De Gregorio 15.00 L’Atleta si racconta. Incontro con il rugbista Giovanbattista Venditti 16.00 I cinque malfatti. Concita De Gregorio incontra Beatrice Alemagna 16.30 La tecnologia a piccoli passi. Le app per i più piccoli
LUNEDÌ 24 MARZO 9.30 A is for Alphabet, T is for Toys. Laboratorio con Tom Schamp 10.30 L’arte di illustrare. Incontro con Roberto Innocenti 11.00 Un paese per giovani lettori. Convegno
Intervengono Duccio Campagnoli – Presidente di BolognaFiere, Gian Arturo Ferrari - Presidente del Centro per il Libro, Marco Polillo - Presidente dell’Associazione Italiana Editori, Marta Suplicy - Ministro della Cultura del Brasile, Paese ospite della Fiera del Libro per Ragazzi.
sabato 22 - giovedì 27 marzo 2014 BolognaFiere - Padiglione 33
Ingresso Sud Moro
sabato - mercoledì 9.30 - 18.30 / giovedì 9.30 - 16.00 INGRESSO GRATUITO PER BAMBINI, RAGAZZI E STUDENTI UNIVERSITARI - ADULTI € 5
Una grandissima libreria internazionale per ragazzi
200 incontri con autori e illustratori, laboratori di cucina, astronomia, natura, musica, poesia, sport... 900 illustrazioni da tutto il mondo migliaia di titoli con tutte le novità dell’editoria internazionale programma a cura di BolognaFiere in collaborazione con Giannino Stoppani Cooperativa Culturale
Un evento di in collaborazione con
24/27 marzo 2014
11.45 Il romanzo storico. Con Teresa Buongiorno, Anna Lavatelli, Daniela Morelli, Anna Vivarelli 14.00 The shop around the corner. Il libraio specializzato per ragazzi 16.00 Cibo Scuola e Cultura. A piccoli passi verso il futuro del pianeta
MARTEDÌ 25 MARZO 9.30 Raccontare e insegnare il cielo e le stelle. Convegno 10.00 La permanenza del classico nell’editoria per ragazzi. Dalla mitologia reinterpretata da Laura Orvieto a Ulisse rivisitato dagli scrittori contemporanei. Incontro con Valentina Garulli 13.15 La sorpresa dei libri. Letture per scoprire il libro coi buchi. Con Roberto Piumini 14.30 Oggetti smarriti e mangiatori di libri. Incontro con Oliver Jeffers 16.00 Dialogo intorno ai libri. Beatrice Masini intervista Bianca Pitzorno
MERCOLEDÌ 26 MARZO 9.30 Konrad Lorenz. Incontro con Luca Novelli 10.30 O mae’. Storia di judo e di camorra. Incontro con Luigi Garlando 15.00 Fili d’erba. Il fragile equilibrio fra uomo e natura. Incontro con Nicola Davies 15.00 Un autore classico contemporaneo. Incontro con David Almond. Presenta Benedetta Marietti. 17.30 La scienza per i ragazzi, tra fantasia e realtà. Con Alessandro Cecchi Paone e Licia Troisi
GIOVEDÌ 27 MARZO 10.00 Disastri. Incontro con Paolo Nori 10.00 Altre storie a testa in giù. Incontro con Bernard Friot 11.15 Mandami tanta vita. Incontro con Paolo di Paolo 14.30 Henri è Matisse e io… chi sono?. Incontro con Eva Montanari
non perdere le promozioni speciali per raggiungere Bologna con le Frecce Trenitalia con il Patrocinio di
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CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA
Va pensiero
Il dibattito delle idee Politica
di Armando Torno
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L’ecologia degli antichi Un volume antologico di testi antichi, curato da Patrick Voisin, dal titolo Ecolo (Les Belles Lettres, pp. 312, e 14,50), svela i problemi ecologici di greci e romani. Ecco Lucrezio che racconta le deforestazioni causate dagli incendi o la
speculazione immobiliare narrata da Plinio il Vecchio e da Seneca il Retore; ecco i disastri delle inondazioni considerati meno dannosi dei rimedi da Tacito, o le esalazioni che uccidono (zolfo, bitume ecc.) di cui parla ancora Lucrezio.
Da molla del progresso a perpetuazione di élite? In un saggio e in quest’intervista lo storico belga David Van Reybrouck esprime delusione per il voto. «I rappresentanti vanno scelti in altro modo»
Il voto fa male alla democrazia. Sorteggiamo dal nostro corrispondente a Parigi STEFANO MONTEFIORI
L
a sfida delle donne tra la socialista Anne Hidalgo e Nathalie Kosciusko-Morizet (centrodestra) per diventare sindaco di Parigi è il momento mediaticamente più appassionante; poi c’è il valore di test nazionale, per vedere se la sinistra del presidente François Hollande riesce a risalire in popolarità. L’opposizione dell’Ump, dilaniata dalle lotte interne, potrà finalmente contarsi, e tutti attendono al varco il Front national: quanti comuni alla fine saranno governati dagli uomini e dalle donne di Marine Le Pen? Domenica prossima, 23 marzo, in Francia si tiene il primo turno delle elezioni municipali (il ballottaggio sette giorni dopo), e già ci si prepara alle Europee di maggio. I francesi sono chiamati alle urne e di questo trattano talk show, comizi, dibattiti e appelli. Ma i sempre più evocati e corteggiati elettori, alla fine, a votare non vanno. Due anni fa, al secondo turno delle legislative francesi, i non votanti furono il 43,71% , un record (e pure in Italia, alle ultime politiche, l’astensione ha raggiunto il 24,8% alla Camera e il 24,9% al Senato, ossia il massimo storico dalla nascita della Repubblica).
In questi giorni pre-consultazione le pubblicità-progresso a Parigi mettono le mani avanti: accanto alla foto di una scheda elettorale si legge la gigantesca frase «arma di democrazia di massa». Sarà vero? E se lo è, perché è diventato necessario ricordarlo a cittadini sempre più riluttanti? «Che cosa è andato storto con la democrazia», si chiede l’«Economist» in copertina, e lo storico belga David Van Reybrouck offre la sua risposta: le elezioni. O meglio la loro sopravvalutazione, il considerarle una sorta di sinonimo della democrazia. Sostanzialmente l’unico modo attraverso il quale la democrazia può essere esercitata. «Contro le elezioni» è il suo nuovo saggio. Il titolo ha il merito di attirare l’attenzione, ma forse le conviene chiarire se lei è per caso un sostenitore delle dittature. «No non lo sono affatto, ovviamente, anzi mi considero un fervente democratico. Ma siamo tutti diventati dei fondamentalisti delle elezioni e abbiamo perso di vista la democrazia. L’abbiamo visto anche con le primavere arabe: la rivolta dell’Egitto ha portato con sé elezioni, ma non una democrazia accettabile». Sono in crisi anche le democrazie più antiche, quelle occidentali. «Siamo alle prese con la democrazia da circa 3 mila anni, ma lo strumento delle elezioni lo usiamo da soli 250. Le elezioni sono state inventate, dopo le rivoluzioni americana e francese, non certo per fare avanzare la democrazia, ma semmai per arrestare e controllare i suoi progressi. Il voto ha permesso di sostituire a un’aristocrazia ereditaria una nuova aristocrazia elettiva». Non starà mica rievocando le critiche sovietiche alla «falsa democrazia bor-
vece vanta i successi della tecnocrazia, evidenti in Cina per esempio, secondo uno schema opposto rispetto ai populisti: invece di privilegiare la legittimità, i tecnocrati puntano all’efficenza. Oppure, ci sono quelli che incolpano la democrazia rappresentativa, come fanno i movimenti come We are the 99% e gli Occupiers americani o gli Indignados. Io invece me la prendo con le elezioni, o meglio con la pigrizia di ridurre tutto al voto. Le elezioni sono il combustibile fossile della politica: un tempo erano in grado di stimolare la democrazia, ma ora provocano problemi giganteschi. Questo non significa che abbia visto con favore la nomina in Italia, da Mario Monti in poi, di presidenti del Consiglio non eletti».
In Italia il Movimento Cinque Stelle parla molto di nuove forme di democrazia grazie alla rete, lei che cosa ne pensa? «Sono d’accordo sul fatto che la nostra democrazia ottocentesca non sia più adatta ai tempi, ma non condivido le soluzioni che loro propongono». Qual è allora il suo rimedio? «Seguo con interesse alcuni esperimenti di estrazione a sorte, che negli ultimi anni sono stati condotti un po’ ovunque nel mondo, dalla provincia canadese della Bri-
SSS
Tiromancino
Attenti al «secchiazionista» Gianpasquale Santomassimo, sul «manifesto» del 5 marzo, ha coniato il bizzarro termine «secchiazionismo», ibrido tra il dirigente del Pci Pietro Secchia e il Partito d’Azione, per designare una presunta «confluenza» capace anche di «ammiccamenti alla lotta armata». Sarà, ma il migliore amico ex azionista di Secchia era Leo Valiani. Un tipo non proprio tenero e ammiccante verso il terrorismo rosso. Antonio Carioti
Steve Lamber (Los Angeles, 1976), Capitalism Works For Me, 2011, alluminio e parti elettriche (Ethan Cohen)
ghese» in favore della vera democrazia, quella proletaria? «No, per niente, anche se da qualche anno mi arrivano ogni genere di accuse, da destra e da sinistra. Questo libro nasce dopo l’esperienza del movimento G1000 che ho contribuito a fondare in Belgio nel 2011-2012, unendo fiamminghi e valloni alla ricerca di una migliore organizzazione della democrazia nel nostro Paese. Non sono un bolscevico. Semplicemente prendo atto che le elezioni hanno portato a vere iniezioni di democrazia fintanto che si allargava il suffragio, esteso a tutti gli uomini e poi a tutte le donne. Da decenni ormai il percorso si è di fatto invertito e, soprattutto in Occidente, i cittadini sono stanchi di una partecipazione fondata quasi solo sul voto. Nel
mio libro precedente Congo (in Italia lo pubblicherà Feltrinelli, ndr) racconto la colonizzazione belga in Africa e poi i sacrifici immensi di tanti che hanno perso la vita per ottenere libere elezioni. Vedere come questo strumento venga sempre di più snobbato in Occidente deve far riflettere e ha poco senso gettare tutta la responsabilità su milioni di cittadini che legittimamente non credono più a quest’organizzazione della società e della politica». Lei nel suo libro parla di «sindrome di stanchezza democratica», individuando quattro diagnosi possibili: colpa dei politici, della democrazia, della democrazia rappresentativa o della democrazia rappresentativa elettiva. «A dare la colpa ai politici sono i populisti. Da Silvio Berlusconi a Geert Wilders e Marine Le Pen ai nuovi arrivati Nigel Farage o Beppe Grillo. Chi critica la democrazia in-
Neuroscienze Cent’anni fa il testo base di un precursore ancora ostracizzato
Il Freud (critico) prima di Freud si chiama Janet di SANDRO MODEO
A
lungo sepolta come una Pompei sotto le ceneri (così lo storico della psichiatria Henri F. Ellenberger), l’opera di Pierre Janet è oggi rivalutata, soprattutto grazie alle neuroscienze, per molte sequenze pionieristiche, dagli studi sul trauma e i disturbi dissociativi all’attenzione, in ottica darwiniana, alle dinamiche inconsce (sia operative che affettivo-emotive). In uno scritto uscito esattamente un secolo fa (ora pubblicato da Bollati Boringhieri con il titolo La psicoanalisi, traduzione di Cristina Spinoglio, con un saggio notevole di Maurilio
Lo psichiatra francese Pierre Janet (1859-1947)
Orbecchi, pagine 168, e 13), Janet non solo rivendicava la paternità di certe idee freudiane, ma — pur riconoscendone i preziosi contributi — denunciava i rischi della nascente disciplina: la commistione indebita di medicina e metafisica, il linguaggio «vago e metaforico» carico di «simbolismi rocamboleschi», la chiusura in un settarismo da Christian Science con tanto di scomuniche. Non a caso, Janet è stato dal principio (e per certi versi è ancora) in cima alla lista di proscrizione. © RIPRODUZIONE RISERVATA
i L’autore Lo storico della cultura, archeologo e scrittore fiammingo David Van Reybrouck (nella foto) è nato a Bruges in Belgio nel 1971, ed è autore di poesia, prosa, teatro e saggistica. Alcuni dei suoi antenati e il padre ingegnere hanno lavorato in Africa I libri Il suo saggio più recente è apparso in francese il mese scorso con il titolo Contre les élections (Babel). Tra le sue opere, tutte scritte in lingua neerlandese, De Plaag («La peste») e Congo. Een geschiedenis («Congo. Una storia»). Quest’ultimo verrà pubblicato in Italia da Feltrinelli entro l’anno
tish Columbia all’Islanda al Texas a, più recentemente, l’Irlanda. Qui si è appena conclusa la Convenzione costituzionale, che ha visto collaborare per un anno 66 cittadini tirati a sorte con 33 eletti. Quest’assemblea inedita è riuscita ad avviare senza scossoni la riforma di 8 articoli della Costituzione irlandese, affrontando anche la questione del matrimonio omosessuale che in Francia ha provocato forti tensioni». Pensa che introdurre il criterio dell’estrazione a sorte potrebbe funzionare non solo in piccoli Paesi, ma anche in grandi nazioni come Francia o Italia? «Sarebbe importante almeno accettare il principio, e poi introdurlo gradualmente nelle assemblee locali, affiancandolo agli strumenti classici di democrazia elettiva». Quale competenza potrebbero avere persone chiamate a deliberare per estrazione a sorte? «E perché, quale competenza hanno oggi la maggior parte dei deputati nei nostri Parlamenti? I migliori di loro usano la legittimità offerta dallo status di eletti per chiedere informazioni e consigli agli esperti, e infine decidere a ragion veduta. Niente che non potrebbe fare una persona tirata a sorte. Con il vantaggio fondamentale che i cittadini tirati a sorte sarebbero forse più inclini a dare priorità al bene comune, e non alla propria rielezione». Quali altri studiosi si interessano a questi temi? «Oltre a Habermas, vorrei citare l’americano James Fishkin e i francesi Bernard Manin e Yves Sintomer. È il momento di pensare a una democrazia deliberativa e non più solo elettiva. Quando John Stuart Mill proponeva il voto alle donne, a metà dell’Ottocento, lo prendevano per pazzo. Le novità non ci devono spaventare». @Stef_Montefiori © RIPRODUZIONE RISERVATA
6 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA
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Orizzonti Nuovi linguaggi, scienze, religioni, filosofie
Vikram Chandra
L’intervista Lo scrittore indo-americano racconta il suo debito estetico ed esistenziale nei confronti dell’informatica. E avverte: non temete la tecnologia
Narraprogrammatore di SERENA DANNA
A
desso è chiaro perché quei giovani programmatori informatici tra i protagonisti di Amore e nostalgia a Bombay sono così realistici. Vikram Chandra, 52 anni, uno dei più importanti esponenti della letteratura indiana in lingua inglese, il programmatore l’ha fatto davvero. E conosce talmente bene l’universo di codici, errori e computazione da aver scelto per il suo debutto nella saggistica un libro dedicato all’informatica. Geek Sublime, appena uscito in Inghilterra, è un racconto chiaro e molto originale — il «Guardian» l’ha definito «memoir tecno-artistico» — in cui si mischiano
Creare per un computer è come costruire romanzi Che però vivono d’ambiguità principi di programmazione, teorie del linguaggio ed estetica. Raggiungiamo Chandra via Skype a Berkeley, California, dove insegna scrittura creativa. Cominciamo dall’origine della sua passione per l’informatica: era un adolescente nerd? «Decisamente, anche se allora non conoscevo la parola. In India venivo definito “topo da biblioteca” perché la lettura ossessiva era il modo in cui esprimevo il mio essere nerd. Non facevo altro che leggere, ma i libri erano davvero cari a Mumbai negli anni Settanta, così dovevo puntare sui prestiti degli amici o delle biblioteche. Negli Stati Uniti, durante il li-
ceo, ho fatto qualche lezione di informatica ma la svolta è arrivata dopo: studiavo sceneggiatura alla Columbia University di New York e cercavo di scrivere il primo romanzo. Non avevo soldi, così trovai un lavoro in uno studio medico: il mio compito era trascrivere e catalogare le ricette. Cominciai a scrivere programmi per facilitare il processo». Sostiene che il lavoro da programmatore l’abbia aiutata nell’attività di romanziere. In che senso? «I codici informatici dimostrano quanta complessità possa emergere da gesti molto semplici. La costruzione di una rete articolata, che avviene grazie a
ILLUSTRAZIONE DI ANGELO MONNE
poche e precise azioni, è qualcosa che appartiene al romanzo. Naturalmente né il programmatore, né il narratore dovranno mai svelare al pubblico lo sforzo compiuto per arrivare alla superficie interattiva. La forma dell’oggetto dovrà apparire inevitabile e raggiunta senza sforzo». Cosa hanno in comune informatici e scrittori? «Entrambi hanno a che fare con il linguaggio, ma in maniera molto diversa: nella programmazione l’ambiguità può portare al disastro. Quando scrivi codici il linguaggio deve essere completamente ed esclusivamente denotativo. Nel linguaggio poetico, al contrario, viene in-
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CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA
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Vittorio Criscuolo è il #twitterguest Il #twitterguest che consiglia da oggi un libro al giorno sull’account Twitter @La_Lettura è Vittorio Criscuolo, che insegna Storia moderna presso l’Università statale di Milano. Oltre a vari studi sull’età rivoluzionaria e napoleonica e sulla storia politica e culturale dell’Italia fra Settecento e Ottocento, ha pubblicato: Il giacobino Pietro Custodi (1987), Albori di democrazia nell’Italia in rivoluzione 1792-1802 (2006) e Napoleone (2009).
Studi Indagati i nessi fra inganno e talento
La disonestà aguzza l’ingegno di FEDERICA COLONNA
C trodotta e utilizzata una voluta ambiguità, un’implicazione che — stando alla tradizione classica degli esteti indiani e ai teorici del linguaggio — è sempre stata oltre qualsiasi possibilità di denotazione. La poesia parla attraverso ciò che non dice, grazie a una risonanza che gli studiosi chiamano dhvani, vibrazione, riverbero. Questa differenza porta a un’obiettiva differenza nel loro lavoro di tutti i giorni. Spesso i geek amano definirsi artisti. Bisogna andarci piano...». Programma ancora? «Occasionalmente e non quanto vorrei, eppure i computer restano, insieme alla scrittura, la mia grande passione. Non è un caso se nel periodo più difficile della mia carriera, è stata l’informatica a darmi il sostegno economico e morale per farmi andare avanti. Mi sento davvero fortunato per il fatto di vivere quest’epoca: l’umanità sta cambiando a una velocità unica nella storia. Programmare è un piacere, ma è anche un aiuto prezioso per capire pienamente il mio tempo, il mio mondo e me stesso». Eppure nel mondo intellettuale si riscontrano le maggiori ostilità nei confronti della rivoluzione informatica. Il suo collega Jonathan Franzen è un fiero rappresentante della categoria. « Credo che molte persone siano terrorizzate perché il mondo in cui sono cresciute non esiste più. Succede sempre quando c’è un cambiamento radicale. All’inizio della rivoluzione della stampa, che consentì la riproduzione meccanica di testi e l’educazione di massa, c’erano le
Visioni digitali
Dettagli di foto in movimento di IRENE ALISON
A
l primo sguardo non è che una semplice foto. Ma basta concedere agli occhi il tempo di adattarsi, per lasciarsi sorprendere da un guizzo imprevisto. I capelli della modella si muovono al vento, le ciglia si sollevano in un battito d’ali, la seta dell’abito è percorsa da un brivido. No, non è cinema. E nemmeno un semplice Graphics Interchange Format (immagini in movimento). Cinemagraph — una nuova tecnologia della visione sviluppata dalla coppia di visual artist Jamie Beck e Kevin Burg — promette di rendere obsoleto il vecchio Gif e di cambiare la relazione tra immagini fisse e immagini dinamiche. Grazie a Cinemagraph, è possibile infatti dare vita a singoli dettagli di immagini statiche, rendendo mobili elementi isolati nella fotografia. È sufficiente un’occhiata alla New York catturata con Cinemagraph da una finestra del Chelsea Hotel, animata dall’incessante fluire dei taxi gialli lungo l’Ottava avenue, per intuirne le potenzialità narrative. E per farsene ipnotizzare. © RIPRODUZIONE RISERVATA
i La vita Vikram Chandra (foto Emblema/Francesco Acerbis) è nato nel 1961 a New Delhi, figlio di un dirigente d’affari e di un’autrice di cinema e teatro a Bollywood. Dopo i primi studi in India, si trasferisce negli Stati Uniti e si laurea in un’università famosa per il suo corso di scrittura creativa, il Pomona College in California. Durante gli anni di studio universitario, il futuro scrittore si mantiene lavorando come programmatore informatico Le opere Il suo debutto letterario è del 1995, con Terra rossa e pioggia scrosciante, uscito in Italia nel 2009 per Mondadori, un romanzo in cui si mescolano elementi mitologici e visionari e vicende contemporanee, con una scimmietta che è in realtà l’incarnazione di una divinità. Al fortunato debutto sono seguiti il romanzo Giochi sacri, nel quale compare il detective Sartaj Singh, e Amore e nostalgia a Bombay entrambi pubblicati da Mondadori: quest’ultimo libro, in particolare, è una raccolta di racconti che ritraggono la città ipermoderna del cinema e dell’informatica Il nuovo saggio Appunto a proposito di informatica, Chandra ha scritto il suo primo libro di non fiction, Geek Sublime, appena pubblicato in Inghilterra e in uscita negli Usa a settembre per Faber & Faber, in cui lo scrittore rievoca la sua esperienza di programmatore e la sua passione per il computer, unendo memoir, saggio estetico e riflessione sul mondo «quasi a parte» degli autori di codici
stesse paure per la perdita di intimità, credibilità e rigore. “Adesso tutti possono pubblicare i libri”, dicevano. Temevano che i figli potessero leggere di nascosto libri piccanti a letto... Allora si scatenò il “panico da stampa”, adesso siamo nel pieno “panico da internet”. Gli uomini che hanno più paura del cambiamento sono quelli a loro agio con il “regime” che internet sta scardinando, per semplificare: maschi bianchi di mezza età e di classe sociale medio-alta. Tendono a guardare con nostalgia a un sistema di produzione e di potere che escludeva automaticamente le masse e rimpiangono il periodo in cui scrittori e intellettuali erano considerati star culturali, decisori dei gusti del popolo. Per loro quella doveva essere una specie di età dell’oro. Invece se guardo indietro vedo solo schiavitù, colonialismo, distruzioni di manoscritti ed emarginazione. Io ho un modello completamente differente nella testa: nulla muore ma tutto si reincarna e trova nuove forme di espressione. Pensiamo solo a quante volte è stato dichiarato morto il romanzo: gli annunci sono cominciati negli anni Sessanta, e circa ogni sei mesi, qualche uomo saggio lo dichiara morto. E invece mai tanti romanzi sono stati scritti e letti nella storia dell’umanità come in questi anni». L’ostilità dichiarata della classe intellettuale, con scrittori e accademici che non perdono occasione per schierarsi contro le conseguenze nefaste del web, ha secondo lei contribuito al dominio culturale e sociale delle grandi aziende di internet? « Non c’è dubbio, credo però che come la classe culturale del mondo occidentale stenti a capire la rivoluzione in corso, i vari Mark Zuckerberg e Jeff Bezos non ne comprendano davvero le implicazioni e le conseguenze. È rischioso, ma fa parte della natura stessa delle rivoluzioni: sfuggono al controllo dei progenitori e prendono strade che vanno oltre le loro idee e follie. Siamo tutti stranieri in questa nuova terra, nativi sono solo i nati in questi anni. Come ha sottolineato lo scienziato Alan Kay: “Tecnologia è tutto ciò che è stato inventato dopo la tua nascita, il resto è solo roba”. Quando i neonati di oggi saranno uomini percepiranno il loro ambiente come “solo roba” e ci guarderanno come noi guardiamo oggi i nostri nonni che annaspano con la televisione». Da programmatore, come vede il futuro del web? «La crescente interattività è una progressione naturale. Più interessante ma decisamente più difficile è l’evoluzione del web semantico, dove le informazioni non sono più un insieme di testi ma un meta-linguaggio universale che permette al mio programma di usare i tuoi dati e viceversa. Ovviamente per riuscirci avremmo bisogno di vocabolari e ontologia condivisi: questo non può avvenire in maniera verticistica, così il web semantico rischia di restare un’utopia. Ma è comunque una buona direzione da prendere». @serena_danna © RIPRODUZIONE RISERVATA
he cosa lega Jordan Belfort, finanziere interpretato da Leonardo DiCaprio in The Wolf of Wall Street, e Walter White, protagonista della serie tv Breaking Bad? Entrambi, ingegnosi e abili ingannatori, sono geni del male: evil genius, per usare la definizione di Francesca Gino, docente di Decision Making alla Harvard Business School e ricercatrice presso la Mind, Brain, Behavior Initiative sempre di Harvard. «L’immagine del genio del male — spiega a “la Lettura” — è pervasiva. La troviamo nei film, nei racconti, nei fumetti. Penso a Cadel Piggot, il bambino protagonista del romanzo dell’australiana Catherine Jinks (Evil Genius, appunto, del 2005, ndr). Ha un dono particolare per il pensiero creativo e inventa un mondo fantastico basato sulla menzogna, pieno di frodi, finzioni e computer hacking. Oppure a Rotwang, lo scienziato di Metropolis, il film del 1927 di Fritz Lang, o al personaggio dei fumetti “Lex” Luthor. Ma anche al finanziere criminale Bernard Madoff». E proprio a partire dal fantasioso schema di Ponzi di Madoff — la tecnica alla base della famigerata truffa finanziaria, ideata per la prima volta da Carlo Ponzi negli anni Venti del secolo scorso — Gino e Scott Wiltermuth della University of Southern California hanno cominciato a indagare il rapporto tra creatività e disonestà, arrivando alle conclusioni pubblicate lo scorso febbraio dalla rivista «Psychological Science».
Inganno e ingegno vanno spesso a braccetto. Non solo chi pensa fuori dagli schemi è più originale e disonesto di chi non lo fa, come avevano dimostrato gli esperimenti condotti nel 2012 dalla stessa Gino con Daniel Ariely, della Duke University. Ma è vero anche il contrario: barare rende le persone più creative. Gino e il suo team di ricercatori hanno sottoposto più di 700 studenti a cinque diversi esperimenti, pensati per mettere alla prova la tendenza a mentire e per misurare la loro originalità. «Abbiamo prima chiesto alle persone di autovalutarsi in un gioco matematico — racconta — per concedere loro l’opportunità di gonfiare i risultati della propria performance. La seconda esercitazione consisteva nell’eseguire un compito in apparenza non correlato: davanti a un insieme di tre parole — malanno, spalle, sudore — avrebbero dovuto aggiungere la quarta, legata a ciascuna delle precedenti. In quel caso la parola era «freddo»: malanno dovuto al freddo o al raffreddamento, la freddezza di chi ci ignora dandoci le spalle, il sudore freddo. Il compito serve a verificare l’abilità di un individuo a identificare quelle che vengono chiamate associazioni remote. Il risultato? Circa il 59% dei partecipanti ha barato nel primo test. Chi lo ha fatto, inoltre, ha anche dimostrato un incremento di creatività nell’esercizio successivo. «Il comportamento disonesto e quello creativo — continua Gino — hanno qualcosa in comune: coinvolgono entrambi la rottura delle regole». Ecco perché siamo tutti individui «moralmente flessibili» o, per usare le parole di Ariely, abbiamo un codice morale simile a quello di un computer difettoso, pieno di bug, buchi. Se, infatti, per decadi la ricerca psico-sociale ha considerato le persone come «portatrici sane di etica», capaci di attribuire grande valore all’onestà e di confidare nella propria, in realtà «ci battiamo — sottolinea la ricercatrice — per mantenere una immagine positiva di noi stessi. Ma esistono for-
ze sottili e profonde che ci deviano dai nostri sé morali. Anche chi riconosce grande valore alla moralità può assumere comportamenti immorali e autoconvincersi che non lo siano. La creatività, o l’abilità di inventare storie, potrebbe fornire alle persone i mezzi necessari per giustificare certi comportamenti ancora prima di commetterli». In altre parole: prima di ingannare gli altri, siamo bravi a farlo con noi stessi. Un’idea condivisa anche da Ian Leslie, commentatore politico e autore di Bugiardi nati. Perché non possiamo vivere senza mentire (Bollati Boringhieri, traduzione di Barbara Del Mercato, pagine 290, e 22,50): «Siamo cantastorie di natura — ha scritto su Moreintelligentlife.com — e spingiamo la nostra capacità narrativa al di là dei confini dell’esperienza, forzando il guinzaglio che ci incatena alla realtà. È meraviglioso: deriva da qui la nostra capacità di concepire futuri alternativi e mondi diversi».
Mentire, quindi, è una sorta di necessità evolutiva: lo facciamo quasi tutti — il 60 per cento delle persone, secondo una indagine del 2002 dell’università del Massachusetts, dice almeno una bugia durante una conversazione di 10 minuti — e lo ripetiamo spessissimo (circa 1,5 bugie al giorno secondo la psicologa americana Bella DePaulo, autrice di The Hows and Whys of Lies, 2010). Ingannare, però, non è una prerogativa umana. Anche le scimmie mentono ai propri simili. Lo dimostrano gli studi empirici dello scienziato Richard Byrne, il quale, racconta Volker Sommer nel libro Elogio della menzogna. Per una storia naturale dell’inganno (Bollati Boringhieri, 1998), ha studiato gli inganni dei babbuini ai danni di loro simili: fingono un’aggressione per distrarre gli altri animali dai propri intenti — un attacco, il furto di un tubero. Insomma, aveva ragione Marlon Brando: in Lying for a Living, una serie di video a cui il celebre attore stava lavorando prima della morte, spiegava il valore della bugia e vantava, di fronte a un pubblico di apprendisti, tra cui Leonardo DiCaprio e Sean Penn, grandi doti di mentitore: «Se puoi mentire, puoi recitare», diceva Brando. Ecco una ragione in più per seguire il consiglio di Leslie: quando vostro figlio a tre anni dice una bugia fategli un applauso. Sta sviluppando la propria creatività. Francesca Gino, però, mette in guardia di fronte all’elogio dell’inganno. «La menzogna, la frode, i comportamenti immorali — conclude — sono tra le più grandi sfide personali e sociali del nostro tempo». Mentre, infatti, ci scandalizziamo di fronte a pochi casi estremi, come la vicenda Madoff, sottovalutiamo i più diffusi comportamenti illeciti. «Il mio lavoro — continua la professoressa — mostra come spesso persone buone possono commettere azioni cattive». Non siamo, però, destinati alla frode. La biologia non ce la impone. Possiamo scegliere, invece, come usare la creatività, slegandola dalla disonestà. E per farlo abbiamo uno strumento magico: l’educazione. «I genitori possono usare ogni occasione per insegnare ai propri figli a essere persone buone, così l’etica potrà diventare parte del loro Dna. Se la moralità diventa un elemento chiave della nostra identità, allora possiamo usare la creatività per trovare soluzioni innovative e grandi idee senza varcare i limiti dell’etica». E divertirci, così, con la fantasia. Senza per questo, però, diventare geni del male. @fedecolonna © RIPRODUZIONE RISERVATA
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DOMENICA 16 MARZO 2014
DOMENICA 16 MARZO 2014
CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA
Orizzonti Visual data Globalizzazione
Sopra le righe di Giuseppe Remuzzi
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L’altra guerra dei soldati Siamo abituati ad associare i soldati con guerra, distruzione e morte. Non è sempre così. Le forze militari dell’Uganda hanno preso un impegno davvero insolito: contribuire al benessere e alla salute delle popolazioni che vivono nella parte
orientale del Paese. Si sono concentrati sull’Aids che là porta morte ancora oggi a 63 mila persone all’anno e tanti sono bambini. I militari si sono organizzati per far fare i test di laboratorio e hanno distribuito 43 mila preservativi.
Esiste una correlazione tra sviluppo dei Paesi e diffusione della lingua franca. Ma l’eccezione della Francia, ultima in Europa, pone interrogativi sulla validità del paradigma
Do you speak English? E la tua economia vola
di MARIA SEPA
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uanto è importante saper parlare l’inglese? Quali vantaggi se ne ricavano? Osservando la visualizzazione, balza anzitutto agli occhi il legame tra il livello di conoscenza di questa lingua e il benessere economico di un Paese. Ai vertici della classifica troviamo infatti nazioni piccole e ricche dell’Europa del Nord — Svezia, Danimarca, Paesi Bassi, Finlandia e Norvegia — che hanno un’economia dinamica, orientata all’innovazione tecnologica e all’esportazione
e che si rivelano particolarmente propensi ad abbracciare e padroneggiare la lingua degli affari e della tecnologia. Inoltre si tratta di Stati i cui idiomi non sono parlati altrove e dunque naturale è la propensione ad abbracciare una lingua franca. Il grafico mostra anche che nei Paesi in via di sviluppo, in particolar modo Turchia, Indonesia, Vietnam e nazioni Bric (Brasile, Russia, India, Cina) il livello di conoscenza dell’inglese è in aumento, parallelamente alla loro crescita economica. All’opposto, una scarsa conoscenza dell’inglese rimane una delle ragioni
fondamentali della bassa competitività dell’America Latina e di molti Paesi del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale. E ciò vale probabilmente anche per l’Italia. Un’eccezione è invece rappresentata dalla Francia, dove una bassa conoscenza dell’inglese (la Francia si colloca all’ultimo posto tra i Paesi europei sotto questo profilo ed è peraltro una delle nazioni in cui il livello di conoscenza dell’inglese è diminuito negli ultimi anni) non corrisponde ad arretratezza economica. Questo si potrebbe spiegare con l’inveterata ostilità che i francesi nutrono
per tutto ciò che è anglosassone e con il loro orgoglio identitario — notoriamente in Francia l’inglese ha avuto una scarsa penetrazione nella vita quotidiana, e perfino nella terminologia tecnologica (il Gli autori La visualizzazione di questa settimana è stata realizzata da studio bruno, agenzia di visual design fondata a Venezia dai grafici Andrea Codolo e Giacomo Covacich. I lavori dello studio sono visibili sul sito www.b-r-u-n-o.it.
computer, per dire, resta l’ordinateur). Il caso della Francia è isolato, non mette veramente in discussione l’equazione conoscenza dell’inglese-sviluppo economico, ma può servire a sollevare qualche domanda: l’uso sempre più ampio dell’inglese nei media e nella vita pubblica non costituisce una minaccia per la sopravvivenza delle lingue locali? È possibile coniugare l’attuale, inarrestabile processo di omogeneizzazione linguistica con la necessità di mantenere vive e funzionali le nostre lingue particulari? E come raggiungere questo obiettivo? © RIPRODUZIONE RISERVATA
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L’appuntamento
Tutti i continenti Polo Sud incluso e tre premi
Fiera internazionale del libro per ragazzi
Eventi La Fiera lancia una settimana dedicata alla lettura e alla cultura per i più giovani, con un emporio internazionale da 2.500 titoli. E inaugura un ciclo di recuperi di figure storiche
Chi trova un libro (ri)trova un tesoro di CRISTINA TAGLIETTI
A Bologna torna il genio dell’illustratore Ugo Fontana Art Déco, tocchi nordici e una lezione: comanda il testo
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U
n tesoro ritrovato rende più preziosa l’edizione 2014 della Fiera del libro per ragazzi di Bologna, che l’anno scorso ha compiuto cinquant’anni. Una fiera che si conferma come un imprescindibile appuntamento internazionale per l’editoria per ragazzi (settore che, è bene ricordarlo, in Italia resiste alla crisi meglio di altri) e che da quest’anno offre due importanti novità. La prima è il lancio della «Settimana del libro e della cultura per ragazzi», concentrata in un nuovo padiglione aperto al pubblico, dove classici e novità saranno disponibili in un’enorme libreria internazionale di circa 2.500 volumi e dove si terranno incontri e presentazioni. L’altra è la creazione di una nuova sezione, chiamata appunto «Il Tesoro perduto», dedicata alla riscoperta di grandi maestri dell’illustrazione per l’infanzia oggi dimenticati e introvabili nelle librerie. Inaugura l’iniziativa una mostra monografica, retrospettiva e ricchissima, su Ugo Fontana (1921-1985), illustratore fiorentino che ha dedicato tutta la sua opera ai libri per ragazzi raggiungendo livelli di straordinaria qualità. Un artista che certamente non voleva essere considerato tale e che tuttavia si distinse per originalità, ricerca formale ed eleganza come ben argomentano Giorgia
Grilli e Fabian Negrin, curatori della mostra e autori di un prezioso saggio critico contenuto nella monografia (pubblicata da Ets in italiano e inglese) Ugo Fontana. Illustrare per l’infanzia. Grilli e Negrin hanno fatto un’enorme ricerca, durata oltre un anno, consultando archivi delle case editrici e biblioteche, setacciando le cantine dei familiari di Fontana e parlando con chi lo ha conosciuto.
Nella mostra, che dopo la Fiera si sposterà alla Pinacoteca nazionale di Bologna, si troveranno più di 90 tavole originali, realizzate per illustrare fiabe, romanzi e volumi di non-fiction, alcune anche inedite. L’opera di una vita, insomma, che consentì a Fontana di attingere a tutta la storia dell’arte, rielaborandola in complesse composizioni, cercando soluzioni e tecniche diverse (come l’uso della glicerina da mescolare all’acquerello e alla tempera, o la carta vergatina) per riprodurre effetti che rimandassero ad atmosfere e periodi storici precisi, che dessero corpo a materiali e tessiture e «consentissero la realizzazione di superfici vibranti anziché piatte». Per l’occasione anche Mondadori, Fabbri
e Salani hanno deciso di ripubblicare tre volumi illustrati da Fontana che ben danno l’idea della varietà di stili e di testi a cui sapeva applicarsi. Grandi Regine, pubblicato per la prima volta nel 1968 con i testi di Giuliana Pistoso e le illustrazioni di Fontana (che l’anno successivo gli valsero in Cecoslovacchia il premio della Biennale dell’illustrazione di Bratislava), torna nell’edizione Mondadori con nuovi testi di Roberto Piumini. Fabbri ripubblica La Bella Addormentata nel bosco, uscita per la prima volta nel 1982, che sembra discostarsi dal percorso sempre molto coerente e personale di Fontana, rendendo omaggio a un altro maestro, il danese Kay Nielsen, illustratore della fiaba popolare norvegese A est del sole, a ovest della luna. Qui Fontana, miscelando — come fanno notare Grilli e Negrin — l’Art Déco, la secessione viennese, le influenze nordiche, arriva a un «tocco decorativo rarefatto e raffinatissimo che allontana i personaggi dal primo piano e li fonde con i dettagli vegetali e minerali». Da Salani esce invece Mondo Bambino, una serie ideata con Donatella Ziliotto tra il 1958 e il 1969, forse uno dei primi progetti pensati per i pre-lettori, per dare voce e corpo alla loro vita quotidiana, alla loro scoperta del mondo. Fontana ha sempre guardato
con estrema attenzione all’infanzia, al bambino come «committente più autentico» e alla complessità del suo mondo interiore. «Ci fu un tempo in cui ebbi rapporti con uno specialissimo datore di lavoro. Uno che sapeva bene quello che voleva: lo sapeva e lo chiedeva» scriveva nel 1971 per il catalogo della Mostra degli illustratori della Fiera di Bologna. Lo specialissimo datore di lavoro che lo faceva sentire timido e insufficiente era il figlio e questo modo di definirlo spiega bene la filosofia di un illustratore che, nel corso di oltre quarant’anni, ha lavorato per i più grandi editori dando forma e colore a più di 250 titoli in Italia e all’estero, ha vinto prestigiosi premi internazionali, avendo sempre come punto di riferimento i più piccoli. «Per questo — continuava — entrai in tutte le scuole, frequentai bambini e maestri, direttori didattici, studiosi. Frugai dappertutto e dopo tanti anni, eccomi ancora, innamoratissimo, a tentare di illustrare con umiltà». Non era un pittore mancato, costretto a ripiegare su un genere considerato minore ma, al contrario, riteneva che disegnare per l’infanzia fosse la sfida in assoluto più alta. Per lui illustrare è «qualcosa che viene dopo e che non può andare al di là del testo», eppure — scrivono Grilli e Negrin — Fontana
La mostra The Lost Treasure, dedicata ad Ugo Fontana (1921-1985, sopra in una foto giovanile gentilmente concessa dal figlio Giovanni) è curata da Giorgia Grilli (studiosa del Centro di ricerca in letteratura per l’infanzia dell’Università di Bologna con il quale la Fiera ha recentemente sottoscritto una convenzione per la realizzazione di progetti di studio) e da Fabian Negrin, illustratore di fama internazionale. La mostra è accompagnata da un volume, Ugo Fontana. Illustrare per l’infanzia edito da Ets, che raccoglie oltre 90 tavole e uno studio critico di Grilli e Negrin (pagine 200, e 30). Al termine della Fiera la mostra verrà ospitata, dal primo al 27 aprile, nella Pinacoteca nazionale di Bologna (Sala Clementina, ingresso gratuito) Le immagini di queste pagine Abbiamo scelto le tavole di Fontana, alcune inedite, per illustrare le quattro pagine dedicate da «la Lettura» alla Fiera di Bologna. A sinistra: un’illustrazione inedita tratta da La Bella Addormentata nel bosco, 1982, ora ripubblicato da Fabbri. Nella pagina accanto: alcune delle illustrazioni in mostra tratte dal volume Ugo Fontana. Illustrare per l’infanzia. Dall’altro a sinistra: Caterina di Russia, per il volume Grandi Regine, del 1968, ora riedito da Mondadori; un’illustrazione fatta per Un pastorello tra i saraceni (1961); un disegno di Il tappeto volante (1968) e una tavola inedita fatta per Thomas Edison. I disegni di Fontana illustrano anche le due pagine seguenti: a pagina 12 un’altra tavola inedita di Thomas Edison; a pagina 13, un’illustrazione fatta per Pelle d’asino (1966)
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Bologna Children’s Book Fair, Fiera internazionale del libro per ragazzi, giunta all’edizione numero 51, si tiene da lunedì 24 a giovedì 27 marzo. Partecipano oltre 1.200 editori da 70 Paesi e da tutti i continenti compreso l’Antartide (davvero: con la Georgia Australe). L’ingresso è riservato agli operatori (al contrario del padiglione «Non
ditelo ai grandi», prima edizione, aperto a tutti dal 22 al 27): editori, autori, illustratori, agenti, traduttori, mondi dell’editoria e dell’educazione (l’anno scorso, in totale, 25 mila visitatori). La nazione ospite del 2014 è il Brasile che nella mostra Linee infinite, infinite storie presenta 55 artisti e illustratori. Da segnalare anche la Mostra
degli illustratori che propone 75 artisti scelti da una giuria internazionale, tra oltre tremila; e una personale della giapponese Satoe Tone. Nel corso della fiera verranno annunciati i vincitori del premio H. C. Andersen, il 24, e dell’Astrid Lindgren Memorial Award, il 25; sarà assegnato il Bop (Bologna Prize for the best children’s publisher of
the year). Incontri con autori e addetti ai lavori sono in programma al Caffè degli Autori (atteso David Almond), al Caffè dei Traduttori (tra gli ospiti Maria Teresa Andruetto, premio Andersen 2012) e al Caffè digitale. La fiera è aperta dalle 9 alle 18.30; giovedì fino alle 15; ingresso da piazza Costituzione; www.bookfair.bolognafiere.it).
Editoria & società
Il Corsaro Nero più Hunger Games I ragazzi non sono quello che crediamo di FRANCESCO GUNGUI
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era prima di tutto «un pensatore»: «Chi lo ha conosciuto non manca di considerarlo un maestro, di vita, cioè qualcuno che, con la più grande semplicità e mai in modo ieratico o plateale, ha comunque aperto gli occhi, ha contribuito a scelte esistenziali».
Nato a Firenze nel 1921, Fontana si inserisce in quella generazione di illustratori toscani che hanno in Piero Bernardini il loro punto di riferimento, ma con il tempo il suo stile diventa così personale che si sviluppa, tra gli anni Sessanta-Settanta, un vero e proprio «filone alla Fontana». D’altronde tutte le testimonianze raccolte da Giorgia Grilli e Fabian Negrin concordano anche nel ricordare la generosità dell’illustratore nel trasmettere i segreti del mestiere. Mentre di professione faceva il disegnatore cartografo all’Istituto geografico militare di Firenze, Fontana cominciò a illustrare (soprattutto in bianco e nero a china) libri per ragazzi per Marzocco, la futura Giunti, oltre che (a colori) libri di lettura per la scuola elementare e sussidiari. Negli anni Cinquanta sarebbe venuta la collaborazione con Malipiero e con La Scuola, caratterizzata dall’influenza di una certa illustrazione americana nella ste-
«Non ditelo ai grandi»
Un padiglione col planetario dalla cupola gonfiabile Un intero padiglione, il 33, della Fiera ospita «Non ditelo ai grandi», prima edizione della Settimana del libro e della cultura, da sabato 22 a giovedì 27 marzo. L’iniziativa, che prende in prestito il titolo dal saggio sull’infanzia di Alison Lurie, è un’enorme libreria internazionale. Organizzata per temi, ospita incontri, laboratori, dibattiti, attività. Spazio alla scienza, grazie a un planetario digitale con cupola gonfiabile; largo alla musica (omaggio a Claudio Abbado); e potere ai Classici (Gian Burrasca), alla Storia (i disegni del ghetto di Terezin), ai fumetti (Mafalda). Tra i nomi più attesi: Bernard Friot (Altre storie a testa in giù, Il Castoro), Luigi Garlando (‘O mae’. Storia di judo e di camorra, Il Battello a Vapore), la giornalista Nicola Davies (con la nuova collana «Fili d’erba» di Editoriale Scienza) e Ilaria Alpi. La ragazza che voleva raccontare l’inferno (Rizzoli), la vita deIla reporter raccontata da Gigliola Alvisi. Ingresso da viale Aldo Moro; orari 9.30-18.30; e 5; gratis ragazzi e studenti; www.nonditeloaigrandi.it.
sura del colore. Ma è soprattutto nei volumi di grande formato realizzati con Fabbri (tra cui sette Fiabe sonore) che lo stile di Fontana diventa riconoscibile e a sua volta modello da imitare. Con Fabbri il suo nome si lega più strettamente al fiabesco, genere in cui, dicono Grilli e Negrin, si è forse riconosciuto in modo più completo anche per la sua capacità di «inventare, quasi fosse un architetto, uno stilista, un acconciatore, gli ambienti ma soprattutto i costumi, le pettinature, i copricapi, le calzature, gli accessori». Con Fabbri, Fontana utilizzò per alcuni titoli lo pseudonimo Una, cosa abituale per l’epoca, ma, e questa è una scoperta dei curatori, di fatto regalò a un altro illustratore, Giorgio Sansoni, due titoli (Griska e l’orso e Lo straniero): secondo la loro ricostruzione fece i disegni e probabilmente lo aiutò anche a stendere il colore. Dopo due anni di collaborazione con Mondadori (1972-73), durante i quali si lamentava di essere «pagato molto per lavorare poco», Fontana non avrebbe più avuto un editore fisso. Avrebbe però continuato a sperimentare, sempre «in bilico tra modernità e tradizione, tra realismo e astrazione», dimensioni apparentemente opposte che soltanto i grandi sanno conciliare. © RIPRODUZIONE RISERVATA
na tipica discussione editoriale è quella sui target e sulla loro definizione. Chi sono i ragazzi? Chi sono i giovani adulti? Qualcuno di voi ha mai sentito parlare di nuovi adulti? E fino a che età si è bambini? La catalogazione della libreria prevede uno spazio 0-5, il cosiddetto pre-school; una tripartizione per i cinque anni della scuola primaria di primo grado; un’area 10-13 che è quella propriamente riservata a quelli che in questo articolo chiameremo «ragazzi» — una stagione sempre più incerta, schiacciata tra l’allungamento dell’infanzia e l’ingresso prematuro nell’età adulta — e dove si trovano spesso le riedizioni dei classici; e infine l’area per giovani adulti, che fino a qualche anno fa era colorata di rosa e ora invece si è tinta di nero: si è passati dal genere realistico-femminile al fantasy-horror, dicitura questa che spesso praticamente sostituisce quella di young adult, come se gli adolescenti fossero un sottogruppo del genere. Negli ultimi dieci anni, mentre gli scrittori di tutto il mondo si affannavano a conquistare il terreno quasi inesplorato della letteratura YA (young adult), andando a creare di fatto un nuovo genere che in breve avrebbe riempito gli scaffali delle librerie, altri autori muovevano guerra ai testi ritenuti noiosi, o troppo impegnativi, spesso proposti a scuola, spesso proposti negli anni critici, quelli durante i quali c’è chi smette di andare a catechismo e chi smette di leggere libri. Per avere idea di cosa succede nei tre anni folli della scuola media, bisogna guardare una piccola biblioteca di classe, sembra l’incubo di un archivista ubriaco. Da Il corsaro nero al Diario di una schiappa, da Piccole Donne alle Ragazzine (nota serie per preadolescenti), dai libri illustrati di Geronimo Stilton a romanzi femminili, alcuni impegnati, altri frivoli, dagli urban fantasy alla moda ai Piccoli Brividi (altra nota serie di romanzi dell’orrore per i più piccoli). Ne ho viste parecchie di queste piccole biblioteche che rappresentano meglio delle librerie i gusti dei lettori. Da anni infatti faccio incontri nelle scuole parlando di libri e scrittura e ormai ho un quadro chiaro della situazione: alle scuole medie, i cosiddetti ragazzi smettono di leggere. C’è chi si incarta su qualche classico, chi ha ricevuto in regalo la nuova playstation, chi finisce la collezione di Geronimo Stilton e poi si vergogna a continuare ma non sa più cosa comprare. Chi sopravvive a questa selva oscura, vede la luce non appena intravede copertine dall’aria accattivante, storie di forte identificazione, delle quali spesso esiste anche un film… eccoli che arrivano, i giovani adulti. Inseguiti da Ende, Collodi, Kipling, Salgari, Verne, i ragazzi soccombono e le ragazze fuggono rifugiandosi tra vampiri, demoni, guerrieri fantasy ed eroine innamorate. In questa corsa disperata non sono pochi quelli che, alla fine, arrivano a farsi un gusto proprio, diventano lettori, cominciano a scegliersi i libri, e questo è il piccolo miracolo di questi anni cruciali, oltre che il vero motivo per cui è importante salvare i ragazzi. Che si può fare? Prima di tutto, detto tra noi (noi adulti che leggiamo i giornali), prendiamoci le nostre responsabilità: siamo noi che abbiamo profanato il terreno candido della preadolescenza, per vendere bibite, cantanti, serie tv e via dicendo. Poi occorre smettere di pensare che esista una sola scelta: o la playstation o i libri, i Club Dogo o Emilio Salgari, Vite Parallele o Piccole Donne. Non sono esperienze alternative e non esiste un conflitto tra un bestseller come Hunger Games e un caposaldo della letteratura fantascientifica come 1984. Sarebbe meglio però fare piazza pulita di tutta la retorica sulla lettura e sull’importanza di leggere: non possiamo pensare di far innamorare i ragazzi dei libri meravigliosi a loro dedicati dicendo che i classici sono belli e importanti. La lettura è il cibo della vita? Cosa c’è di meglio di un buon libro? Con un libro non sei mai solo. Tutti questi slogan rischiano solamente di allontanare i ragazzi dalla lettura, e non parlo degli appassionati, parlo di quelli che leggerebbero volentieri due o tre libri all’anno senza doversi sentire in colpa perché sono solo «poco sopra la media nazionale». I libri non sono bottiglie da collezionare e un bravo enologo non è necessariamente un ubriacone. © RIPRODUZIONE RISERVATA
R L’autore: Francesco Gungui (Milano 1980) ha scritto numerosi libri per ragazzi tra cui: «Mi piaci così», a cui è seguito «Mi piaci ancora così» (Mondadori) e «Inferno. Canti delle terre divise» (Fabbri)
12 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA
DOMENICA 16 MARZO 2014
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Caratteri La Fiera di Bologna
«Smile», sorridere alla vita con l’apparecchio «Sorridi» dice la dentista a Raina. Non poteva iniziare peggio la giornata per questa ragazzina che frequenta le scuole medie e che per una rovinosa caduta è costretta a mettere l’apparecchio ai denti. Smile della disegnatrice e
scrittrice americana Raina Telgemeier (traduzione di Laura Bortoluzzi, pp. 224, € 15,50) è la divertente avventura tra ortodonzia, innamoramenti e umorismo con cui Il Castoro debutta nel genere graphic novel per ragazzi.
Una generazione di protagonisti non esattamente buoni percorre i generi, romanzi realistici e distopici, fantasy, thriller, avventura. E Mario Tagliani, educatore in carcere, racconta quelli veri
Anti-eroi
Tutte le guerre dei cattivi ragazzi di SEVERINO COLOMBO
B
ad heroes: sono loro i nuovi protagonisti della letteratura per ragazzi che sfilano idealmente alla 51ª edizione della Bologna Children’s Book Fair. I «cattivi ragazzi» si chiamano Pete, Nathan, Noah, Tobias, Leonard, vivono dentro libri molto diversi, abitano universi narrativi paralleli e tra loro lontani (romanzo realistico, distopico, fantasy, thriller, avventura). In comune questi personaggi hanno il fatto di condividere irrequietezza e irruenza, tormenti e inquietudini che caratterizzano l’«età di mezzo», quella di chi non è più bambino e non è ancora adulto (ammesso che questa stagione della vita, come riflette Francesco Gungui, abbia ancora un senso). Per loro la cattiveria non è una scelta di campo definitiva ma una fase temporanea, una necessità. Talvolta una condizione inconsapevole Diciassette anni: a quest’età chi vive nel mondo manicheo creato da Sally Green in Half Bad (Rizzoli) deve sapere da che parte stare, se con gli Incanti Bianchi, buoni; o con quelli Neri, cattivi. Le due specie da sempre si combattono rubandosi doti e poteri sovrannaturali. Nathan, che racconta in prima persona, è «mezzo cattivo» senza colpa: è tale solo perché ha in sé una parte scura, figlio di una maga bianca e del più potente stregone oscuro. La sua cattiveria nasce dal non sapere ancora chi è, di chi può fidarsi e qual è il suo posto nel mondo. Per il Consiglio degli Incanti, che detta legge in Half Bad, Nathan è una «crisalide», definizione che riassume in maniera efficace lo stadio intermedio di maturità. Pericoloso per il suo enorme potenziale negativo, vive rinchiuso in una gabbia. Il romanzo d’esordio scritto di nascosto da Sally Green, ex ragioniera e studi in geologia , ha fatto il pieno di consensi alla Fiera del Libro di Londra (comprato in 40 Paesi, diventerà anche un film per la Fox 2000); per i temi che mette sul piatto — libertà, controllo — qualcuno ha perfino scomodato 1984 di George Orwell; ma quanto a letture — e a modelli di prigionia — il debito è dichiarato: «Non ho mai letto un libro» fa dire Green a Nathan, per poi aggiungere: «Però un libro preferito ce l’ho. È di Solženicyn, Una giornata di Ivan Denisovic. L’hai letto?». L’autrice, alle prese con un sequel che dovrebbe intitolarsi Half Wild, svela che la fonte d’ispirazione è da cercare altrove: «Spesso osservando mio figlio ho riflettuto sul tema: Natura vs. Educazione. Perché fa questa cosa? Cosa rende lui, lui?». Domande che sarebbero perfette anche per capire che cosa passa nella testa di Pete, al quale Kevin Brooks in L’estate del coniglio nero (Piemme) affida il racconto, anche qui in prima persona, di un’avventura che coglie il delicato momento di passaggio dall’età della spensieratezza a quella delle responsabilità. Pete è un bravo ragazzo
i I libri Half Bad della scrittrice esordiente inglese Sally Green è uscito da Rizzoli (traduzione di Luca Scarlini, pp. 400, € 15); è un fantasy adatto a lettori dai 13 anni. Stessa età per il thriller young adult di un altro autore inglese, Kevin Brooks, L’estate del coniglio nero (Piemme, traduzione di Paolo Antonio Livorati, pp. 420, € 15). Dello scrittore americano Matthew Quick l’editore Salani pubblica Perdonami, Leonard Peacok (traduzione di Maria Antonietta Scotto di Santillo, pp. 288, € 14,90; da 14 anni). Allegiant uscito per DeAgostini (traduzione di Roberta Verde, pp. 544, € 14,90; da 14 anni) è l’ultimo atto della trilogia fantasy che Veronica Roth ha ambientato nella città dove vive, Chicago. La scrittrice N. K. Jemisin con I Centomila Regni, uscito da Gargoyle (traduzione di Serena Maccotta; pp. 382, € 18; da 14 anni) ha vinto il Locus Award come romanzo d’esordio. My bass guitar (San Paolo, pp. 200, € 14; da 12 anni) è il secondo libro per ragazzi di Benedetta Bonfiglioli; il primo, Pink Lady, è stato l’anno scorso finalista ai premi Bancarellino e Fenice Europa. Scritto da Mario Tagliani Il maestro dentro. Trent’anni tra i banchi di un carcere minorile esce il prossimo 27 marzo per Add editore (prefazione di Fabio Geda; pp. 192, € 14) Gli spazi Alla letteratura young adult e ai temi giovanili la fiera dedica una sezione all’interno del nuovo format «Non ditelo ai grandi» (aperto a tutti). Gli incontri vanno sotto il titolo «Teen Track»; tra gli ospiti David Almond, Paola Capriolo e Paolo Nori
(«Volevo solo starmene disteso in camera a guardare il soffitto») e un cattivo occasionale: per lui la rabbia è un modo per non sentire la paura. Una telefonata innesca una catena di fatti cui Pete non può, non sa e, talvolta, non vuole sottrarsi: accetta un’uscita con alcuni compagni di un tempo, rivede una vecchia fiamma, beve, fuma, riaffiorano passioni e tensioni; la serata finisce in un luna park con la sparizione di Raymond, l’amico «strano» con cui Pete ha una sintonia profonda e speciale. Poi tutto precipita: la realtà, cui la prosa di Brooks resta ancorata, diventa un incubo. Pete interrogato dalla polizia; Pete minacciato dagli amici; Pete che resta solo. Più il gioco si fa duro più il ragazzo si tiene stretti i suoi segreti. Per arrivare alla verità si toglie la maschera di buono: morde, scalcia, ruba e colpisce basso.
0-3 anni
A una categoria transitoria appartengono anche la sedicenne Tris e il diciottenne Tobias, entrambi «divergenti», cioè con tratti della personalità in contraddizione tra loro. Loro sono cattivi in quanto diversi, cattivi in quanto eccezioni in società ordinate per gruppi dove ognuno in base a indole e carattere ha il proprio ruolo: i Candidi, i Paci-
SSS Bestseller L’ex contabile Sally Green ha scritto di nascosto «Half Bad», che diventerà un film. E Kevin Brooks narra la furia di un adolescente tranquillo
fici, gli Intrepidi, gli Eruditi... È il mondo distopico di Veronica Roth che i lettori hanno imparato a conoscere nei primi due capitoli della saga, Divergent (di cui il 3 aprile è in uscita il film in Italia) e Insurgent. Un mondo però destinato a crollare nel terzo e ultimo capitolo, Allegiant (DeAgostini). L’orizzonte fantasy si mette al servizio del romanzo di formazione ne I Centomila Regni (Gargoyle) di N. K. Jemesin. Il punto di vista qui è quello di Yeine, diciannovenne alle prese con l’eredità di un regno conteso; i cattivi sono i cugini gemelli rivali al trono. Per essere all’altezza il vincitore dovrà dimostrare di possedere qualità morali, saper distinguere tra potere e abuso, integrità e corruzione, Bene e Male. Su un piano realistico, con tono da commedia, si muove My bass guitar (San Paolo) di Benedetta Bonfiglioli. È una cattiveria di facciata, una rabbia da difesa quella di Noah, diciassette anni, scontroso protagonista del romanzo. Ottimo musicista, pessimo studente, si presenta così alla nuova compagna di classe Lisa: «Mio padre non l’ho mai conosciuto e mia madre è andata via»; vero, il ragazzo, affidato alla zia, vive da solo. «Vorrebbe dire che va bene così, che basta a se stesso, che sa prendersi cura di sé, che non ha bisogno di nessuno», ma sa che non è così. Una consapevolezza che diventa il preludio all’avvicinamento tra i due. Sono, invece, ragazzi veri, buoni e cattivi — che hanno sbagliato, che hanno paura, che si mettono in gioco — quelli di cui racconta Mario Tagliani, per trent’anni insegnante nel carcere minorile Ferrante Aporti di Torino. Nel libro-testimonianza Il maestro dentro (Add, in uscita il 27 marzo) racconta i giovani dal suo punto di vista, che è quello di chi ha letto sui volti dei suoi allievi la rabbia, la sconfitta, la disperazione e che ha provato a trasmettere — oltre a nozioni — umanità, fiducia e voglia di guardare avanti. Ma l’adolescenza può diventare il terreno per una guerra interiore, per essere cattivi con se stessi. Come accade con i brutti pensieri che prendono il protagonista di Perdonami, Leonard Peacock (Salani) di Matthew Quick. È una giornata che non promette nulla di buono per Leonard, quella in cui compie 18 anni: si alza, fa colazione e con l’iPhone scatta una foto alla tazza dei cereali e alla pistola P38, che sta lì accanto, arma con cui ha deciso di uccidere prima il suo miglior amico e poi se stesso. Matthew Quick si avventura sul terreno delle fragilità di un’età dove esiste solo tutto o nulla, vita o morte, l’essere e il non essere. E forse non è un caso che il libro di Sally Green e quello di Quick si aprano con una citazione dall’Amleto di Shakespeare: prima che un principe pieno di dubbi e paure, un ragazzo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
4-6 anni
La fiaba dei pronomi. Con pinguino Romeo diventa rosso e gira di notte
A
U
questa età non sanno proprio niente di niente, beati loro. Ecco allora Il grande libro di Mattia. I 5 sensi, di Liesbet Slegers (editore Clavis, parte del ricco catalogo del gruppo Il Castello, pp. 56, € 15,95). Cosa saranno un profumo, un sapore, un colore? E naturalmente questi extra-piccoli non conoscono nemmeno i nomi, figuriamoci i pronomi, cominciamo allora dal primo, da Io, di Emma Dodd (Ippocampo, pp. 20, € 9,90), la copertina col piccolo pinguino stupefatto e interrogativo (nella foto) su tutto quello che lo circonda vale già metà libro. E in seguito, dopo un bel po’, aiutiamoli a fare il grande salto (non ancora riuscito a certi adulti): Tu, sempre della stessa autrice e dello stesso editore: «...mi piace ogni parte di te: i tuoi occhi, le tue orecchie, il tuo naso. Mi piace ogni parte di te. Mi piaci tutto, da testa a... coda». Il pinguino qui è diventato uno scimmiotto.
n elefantino innamorato timidissimo, Romeo & Giulietta di Mario Ramos (Babalibri, pp. 32, € 12, foto; il catalogo di questa casa editrice è puro piacere per gli occhi). Librino da conservare accuratamente e da passare tra una ventina d’anni al fidanzato. Se anche lui diventa tutto rosso per niente. Come questo Romeo costretto a uscire solo di notte così nel buio il rossore non si vede. Ancora un Cappuccetto Rosso? Un altro? Per forza, il fratellino maggiore ha conciato da far paura il libro, e il nuovo nato ha tutti i diritti di averne uno nuovo fiammante e di conoscere anche lui la prodigiosa storia di questa disubbidiente bambina (nella versione originaria di Perrault il lupo se la mangia e fine; non ci sono santi; e i cacciatori non salvano le vite; così impara a disubbidire alla mamma). La coppia vincente di questa nuova edizione è formata da Roberto Piumini ed Elena Temporin (Emme, pp. 25, € 14,90).
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CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 13
DOMENICA 16 MARZO 2014
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Caratteri La Fiera di Bologna
Omaggi ai maestri Lodi e Denti La prima Fiera senza Roberto Denti. Il maglione rosso del libraio per ragazzi più amato d’Italia, scomparso il 21 maggio 2013 , non si vedrà a Bologna, ma verrà ricordato ogni giorno, con letture di brani dei suoi libri al Caffè degli Autori, e,
il 25 marzo, con un incontro al Caffè degli Illustratori. Il 24 marzo omaggio anche a Mario Lodi, (scomparso il 2 marzo) con il documentario «Quando la scuola cambia» di Vittorio De Seta. Intervengono Goffredo Fofi e Francesco Tonucci.
Un’opera di fantasia («La sottile linea rosa»), una trasmissione su Mtv arrivata dall’America («16 anni e incinta»), film e dati statistici: Lolita è diventata adulta molto in fretta
Eroine
Gli amori difficili delle brave ragazze di ROBERTA SCORRANESE
L’
intima natura dell’amore ama nascondersi e riconoscerne la fisionomia è forse una delle chiavi d’accesso alla maturità. Ma parlare dell’«amore delle ragazze», del sesso da adolescenti e dell’innamoramento che, a volte, porta a una gravidanza, richiede un esercizio di umiltà: scendere dal piedistallo dell’età adulta e vestire i loro occhi, il loro linguaggio, la loro prospettiva. In sintesi: capirle. È amore quello che ci racconta Annalisa Strada ne La sottile linea rosa (Giunti), storia di Perla, sedici anni e in attesa di un bambino? È amore quello che spinge Juno, la protagonista dell’omonimo film con Ellen Page, ad affrontare una gravidanza appena sedicenne al fianco di Paulie? È amore quello che Anna, interpretata da Liana Liberato nel film Trust di David Schwimmer, legge nelle parole e negli approcci sessuali di Charlie, un 35enne che, spacciandosi per un coetaneo della ragazzina, la seduce e l’abbandona, lasciandola ferita a morte? Sta qui il problema: guardare le cose nella giusta prospettiva, senza pietismi nè prurigini, ma con delicatezza venata di autenticità. Una sfida raccolta dall’editoria per ragazzi (Giunti in testa) ma anche dalla televisione: il coraggioso programma 16 anni e incinta di Mtv (versione italiana del format americano 16 and pregnant) ha messo un Paese di fronte a storie che ancora oggi si preferisce pensare lontane, vive solo nelle periferie della civiltà. Carmen, sedici anni, italianissima, ha tre figli. Sì, tre figli avuti da un coetaneo che, inevitabilmente, preferisce la moto e il bar alle serate in casa. E come dargli torto? Come dare torto anche a Cesare, il tipo «ganzo» che seduce la scialbina Perla sotto l’effetto di una sangria? Scandalo e recriminazioni perdono consistenza davanti alle cifre: secondo la Società italiana di ginecologia e ostetricia, quel 2,1 per cento delle gravidanze (in Italia) portato a termine da ragazze tra i 14 e i 19 anni, è destinato a crescere. E lo conferma Margherita Moioli, referente del Centro di Accompagnamento alla crescita per genitori adolescenti dell’azienda ospedaliera San Paolo, a Milano, struttura pubblica pressoché unica in questo genere. «L’età media delle madri adolescenti è sempre più bassa — spiega Moioli —. La cosa ci preoccupa perché sono sintomi di un disagio sociale vissuto in famiglia». Altri numeri: nel 2012, sono state 5 mila le ragazze sotto i 18 anni che sono rimaste incinte. Seimila quelle al di sotto dei 21. Perché? Perché questo divario sempre più sottile tra l’età bambina e l’età adulta che sta lentamente erodendo quel fertilissimo
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immaginario che è l’adolescenza? Perché questa impellenza improvvisa nel trasformarsi non più soltanto in «piccole donne» (il rituale del primo rossetto, dei tacchi alti, della sigaretta) ma ben oltre, in «piccole adulte», con affetti ingombranti (molte di queste gravidanze non sono casuali), atteggiamenti «navigati»? È come se si passasse direttamente alla «seconda» Lolita, quella giovane donna appesantita dalle amarezze che Humbert ritrova alla fine della sua parabola incendiaria. Moioli sottolinea: «Non conoscono bene l’alfabeto dei sentimenti e spesso scambiano per amore quel che amore non è». Tanto è vero che più sono giovani (al centro milanese c’è anche una madre di tredici anni) più negano la gravidanza, perché non ne riconoscono sintomi e responsabilità. Il romanzo Megan di Mary
Hopper (EL editore) è la fotografia perfetta di questa inconsapevolezza: la quindicenne Megan resta incinta e da allora è costretta a muoversi attraverso una serie di forze ostili, dai parenti agli amici. «E poi, una volta che non si può più tornare indietro, c’è il problema dell’insegnar loro la maternità», dice la specia-
SSS Famiglie A Milano c’è un Centro di Accompagnamento alla crescita per genitori adolescenti: «L’età media è sempre più bassa»
7-9 anni
Libri, film e serie tv L’editoria per ragazzi ha accolto la difficile sfida di affrontare il tema delle gravidanze adolescenti. Il romanzo di Annalisa Strada La sottile linea rosa (Giunti, pp. 146, € 8,90) racconta la storia di Perla, che aspetta un figlio a soli sedici anni. Megan, di Mary Hopper (EL, pp. 144, € 7,75) è la vicenda di una ragazzina che, oltre al trauma della gravidanza, deve sopportare anche le critiche e le maldicenze intorno a sé. Un’estate, una vita di Julia Green (Mondadori junior, pp. 246, € 8) è invece la storia di Mia, che non regge l’impatto di aspettare un figlio da adolescente e sceglie la via della fuga. Incinta a quattordici anni è la protagonista di Storia di Irene di Erri De Luca (Feltrinelli, pp. 109, € 9). Mentre Tutto per una ragazza di Nick Hornby (Guanda, pp. 274, € 15) affronta la questione dal punto di vista di lui, del giovane che ha provocato la gravidanza. Ma anche il cinema e la televisione da qualche anno stanno trattando con intelligenza il tema. Innanzitutto, ricordiamo il film Juno (2007, regia di Jason Reitman, con Ellen Page) storia di una sedicenne che porta a termine la gravidanza. Poi c’è la discussa serie televisiva 16 anni e incinta, in Italia trasmessa dal settembre del 2013 da Mtv che riporta l’esperienza di alcune adolescenti mentre sono in attesa di un bambino. Sempre nel filone serie tv, c’è la statunitense La vita segreta di una teenager americana, che in Italia è stata trasmessa sia dai canali Fox che da Mtv
lista. Di colpo, una bambina si ritrova a dover badare a un altro bambino, spesso in un ambiente poco favorevole. Sia Fox che Mtv hanno trasmesso in Italia la serie La vita segreta di una teenager americana, dove la quindicenne Amy resta incinta e, oltre alla nuova vita, è costretta a districarsi tra i litigi dei genitori. A volte si scappa, come Mia, la protagonista di Un’estate, una vita (Mondadori junior) di Julia Green. Il test positivo, la paura, la vergogna e, infine, la reazione più bambina che si possa immaginare: via da tutti. «Avere un figlio a 17 anni porta a tante rinunce, non è semplice, la vita cambia totalmente, ma basta un suo sorriso per capire che è stata la scelta migliore». Così scrive sulla sua bacheca Facebook Ivonne Nicastro, una delle madri bambine raccontate da 16 anni e incinta. Ecco, quello che maggiormente colpisce una sensibilità matura è lo stridio tra le foto di questa bambina forse un po’ provata ma ugualmente frizzante, colorata, acerba e le espressioni «da grande», mutuate chissà da quale mondo adulto. Perché non sempre restare incinte significa diventare madri. Ci sono quelle che restano bambine per tutta la vita, come la signora Malausséne dell’omonimo ciclo di Daniel Pennac («Era graziosa come una mamma. E ancora giovane come una mamma»). Ci sono quelle che si chiudono ancora di più nel proprio mondo infantile (come in Storia di Irene, di Erri De Luca, edito da Feltrinelli: mutismi e fughe di una quattordicenne che chiamano «sgualdrina incinta»). E poi ci sono loro, i ragazzi, l’altra metà di questo cielo così mutevole. Un bel romanzo di Nick Hornby, Tutto per una ragazza (Guanda) affronta la questione con gli occhi di lui. Sam ha sedici anni, ama lo skateboard e ha un solo obiettivo nella sua giovane vita: non ripetere gli errori della sua famiglia, dove molti matrimoni sono stati «riparatori». Però la bella Alicia lo fa innamorare e poi gli confessa di essere rimasta incinta. Sam allora non riesce ad affrontare questa verità e decide di scappare da Londra. Forse, per capire l’amore degli adolescenti, occorre partire da queste fughe, che non si possono definire assenze di responsabilità. Ma sono comprensibili, sacrosanti smarrimenti, come quelli di Sara, protagonista della celebre canzone di Antonello Venditti: «Svegliati è primavera/ Sara, sono le sette e tu devi andare a scuola». C’è la scuola, il motorino, gli amici, i libri, i progetti. Poi arriva quello che non ti aspetti e forse è da qui che comincia il vero romanzo sull’amore delle brave ragazze. rscorranese@corriere.it © RIPRODUZIONE RISERVATA
10-12 anni
Il lupo di Virginia ha perso una «O» Senti, è il dizionario di lingua Canese
I
l bambino legge, la nonna semina (o viceversa; o insieme leggono e seminano): Benvenuto Pomodoro! di Anna Lavatelli e Alessandra Cimatoribus, in dono una bustina di semi veri (Le Rane Interlinea, pp. 29, € 12; il catalogo di questo editore per grandi e per piccoli si fa sempre più notare). Storia come quelle di una volta, con nomi di una volta (Aurora, Caterina, Adele, Velia, Osvaldo), ogni tanto ci vuole proprio, autrici due professioniste non di una volta, al meglio delle loro capacità. Virginia Wolf, la bambina con il lupo dentro, di Kyo Maclear e Isabelle Ars (Rizzoli, pp. 32, € 13, accanto un’illustrazione). Wolf è scritto con una sola «o», come lupo, però c’entra anche la celebre Virginia Woolf, quella con due «o», con sua sorella Vanessa che dà il via così: «Un giorno mia sorella Virginia si è svegliata che aveva un lupo dentro. Faceva versi da lupo e si comportava in modo strano». Una storiella che in poche pagine aggancia due generazioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA
I
l sommo Quentin Blake, con Russell Hoban per Mostri (NordSud, pp. 33, € 13,90, foto), cercate di non perdervelo (nonni, non vi sarete persi il suo capolavoro Si può essere giovani almeno due volte...). Questo piacerà ai bambini che disegnano tanto, ai bambini che non hanno paura dei mostri e a quelli che hanno paura dei mostri. E nemmeno perdetevi La doppia vita del signor Rosenberg, di Fabrizio Silei (Salani, pp. 170, € 12,90) ambientato a New York eppure vi aleggia l’ombra di Dickens. Copertina di Roberto Innocenti, il nostro illustratore più grande, scoperto non dagli italiani. Infine Vita da cani di Marina Morpurgo (Feltrinelli, pp. 124, € 13), coautori il cane Blasco, la veterinaria Paola Bianchi e l’illustratrice Gaia Stella. Utile come un manuale, divertente come una fiaba, contiene un dizionario di Canese. © RIPRODUZIONE RISERVATA
testi di VIVIAN LAMARQUE
14 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA
DOMENICA 16 MARZO 2014
Legenda
Caratteri Le classifiche dei libri
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(2) posizione precedente
1 in salita 5 in discesa
S R N
stabile rientro novità
100 titolo più venduto (gli altri in proporzione)
Espinosa vince la sfida della vita e conquista l’affetto dei lettori Vitali, Connelly e Violetta tra i best. Fossati scrittore sfida Guccini La pagella
di Antonio D’Orrico
Colin Dexter Il mistero del terzo miglio Sellerio
Top 10
ebook
di Alessia Rastelli
voto
7 1 (2)
È l’ispettore Morse 1 100 il Montalbano inglese 2 (1)
L’
ispettore Morse è stato per anni il commissario Montalbano degli inglesi e, forse non a caso, le sue avventure sono pubblicate in Italia dallo stesso editore di Andrea Camilleri. Televisivamente parlando l’ispettore Morse non ha però avuto successo da noi mentre comincia ad averne in libreria. Morse è molto diverso da Montalbano. Per cominciare è un po’ nevrotico (soffre, contemporaneamente, di acrofobia, aracnofobia, misofobia, ornitofobia, necrofobia). Per altri aspetti, invece, è simile al collega italiano. Il vino rosso, per esempio, lo rende sempre un po’ sentimentale. A volte è brusco e tratta male le persone (soprattutto per telefono). L’ispettore ha un suo Fazio (il fedele Lewis) ma non ha un Mimì Augello (e questo non depone a suo favore). L’ispettore Morse è un romantico nel senso che tende a innamorarsi di ogni donna bella che incontra (la cosa qualche volta ha un seguito) e rimpiange, e segretamente insegue, il fantasma di un amore di quando era studente Colin Dexter è nato finito senza un vero a Stamford nel 1930 perché. L’ispettore Morse non ha una Livia al suo fianco (e meno male, aggiungiamo noi montalbaniani che non sopportiamo la fidanzata del nostro commissario preferito). Certe volte, l’ispettore Morse ci fa stringere il cuore. Come in questa scena. L’ispettore è a colloquio per ragioni investigative con una bellissima escort che, a un certo punto, gli chiede: «Lei non sa molto dei fatti della vita?». Lui risponde: «No, non molto». Allora la donna lo guarda e quello che si vede davanti le sembra «un uomo sperso e affaticato». I polizieschi di Colin Dexter sono polizieschi classici all’inglese (quelli che da anni ha rilanciato l’editore Polillo). I gialli classici inglesi sono la commedia all’italiana degli anglosassoni (cioè il loro modo di rappresentare vizi e virtù nazionali) e, in questi tempi di serial killer assatanati, sono soavi come storie d’amore.
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Piemme, € 19,90
53
Clara Sánchez Le cose che sai di me Garzanti, € 18,60
(5)
6
Michele Serra Gli sdraiati
(7)
1
45
Feltrinelli, € 12
43
Luis Sepúlveda Storia di una lumaca che scoprì... Guanda, € 10
7 (9)
1
8
Stephen King Doctor Sleep
(8)
S
41
9 40
Rizzoli, € 19,90
40
Lucia Vaccarino Il mio diario, un anno dopo Walt Disney, € 14,90
10 (-)
R
Sperling & Kupfer, € 19,90 Giampaolo Pansa Bella ciao
(6)
5
Andrea Vitali Premiata ditta Sorelle Ficcadenti Rizzoli, € 18,50
54
5 S
Alan Friedman Ammazziamo il Gattopardo Rizzoli, € 18
Michael Connelly Il quinto testimone
(4)
S
Albert Espinosa Braccialetti rossi. Il mondo giallo Salani, € 12,90
Sfiora la vetta la rivolta anti-banche Ammazziamo il Gattopardo di Alan Friedman continua a dominare in digitale. L’analisi della crisi italiana del giornalista americano è al primo posto su Libreriauniversitaria.it, negozio online con l’originaria vocazione di offrire soprattutto testi per studenti e professionisti. Nella sua Top Five, tuttavia, non entrano più gli ebook del gruppo Mondadori, dopo il cambiamento di strategia della società di Segrate e la decisione di non vendere più i titoli digitali su alcuni store. La seconda posizione è occupata da Mario Bortoletto, imprenditore edile di Padova, vicepresidente nazionale del movimento «Delitto di usura» che ne La rivolta del correntista racconta la sua storia di resistenza alle banche. Seguono in classifica tre ebook di narrativa: Premiata ditta Sorelle Ficcadenti di Andrea Vitali (terzo, in promozione il 3 e 4 marzo), Le cose che sai di me (quinto) di Clara Sánchez, entrambi forti anche in versione cartacea, e il fantasy Il cerchio degli amanti di J. R. Ward. Da segnalare, in settima posizione, 12 anni schiavo , l’autobiografia di Solomon Northup (Newton Compton, e 4,99), da cui è tratto l’omonimo film di Steve McQueen, recente vincitore di tre Oscar.
@al_rastelli ehibook.corriere.it © RIPRODUZIONE RISERVATA
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La classifica 1 100
Alan Friedman Ammazziamo il Gattopardo Rizzoli, e 9,99 ePub con Adobe DRM
Mario Bortoletto 2 99 La rivolta del correntista Chiarelettere, e 5,99 ePub con Social DRM Andrea Vitali 3 76 Premiata ditta Sorelle Ficcadenti Rizzoli, e 9,99 ePub con Adobe DRM J. R. Ward 4 75 Il cerchio degli amanti Rizzoli, e 9,99 ePub con Adobe DRM 5 68
Clara Sánchez Le cose che sai di me Garzanti, e 9,99 ePub con Adobe DRM
Narrativa italiana
1
(1) S 66
Andrea Vitali Premiata ditta Sorelle Ficcadenti Rizzoli, € 18,50
Andrea Vitali, terzo assoluto, mantiene la vetta degli Italiani davanti a Michele Serra e Francesco Guccini. La squadra dei cantautori si arricchisce di un altro nome di peso, Ivano Fossati, new entry con il romanzo di un chitarrista. Tra i titoli nuovi Giuseppina Torregrossa e Francesca Del Rosso alias Wondy, «supermamma» guarita dal cancro.
(2) S 45 2 Michele Serra Gli sdraiati Feltrinelli, € 12
(3) S36 3 Francesco Guccini Nuovo dizionario delle cose perdute Mondadori, € 12
Narrativa straniera
1
(1) S 54
Michael Connelly Il quinto testimone Piemme, € 19,90
Il giallista Michael Connelly resta davanti a Clara Sánchez e a Stephen King nel podio-fotocopia di una settimana fa. Si fanno strada le donne: al quarto posto si piazza Danielle Steel, signora del romanzo sentimentale, new entry con una storia di famiglia; settima l’irlandese Lucinda Riley, che avanza di nove posti con un racconto di viaggio e magia.
(2) S 53 2 Clara Sánchez Le cose che sai di me Garzanti, € 18,60
(3) S 41 3 Stephen King Doctor Sleep Sperling & Kupfer, € 19,90
Saggistica
1
(2) 1 100
Albert Espinosa Braccialetti rossi. Il mondo giallo Salani, € 12,90
Prima settimana da campione per lo scrittore e sceneggiatore spagnolo Albert Espinosa: il libro in cui racconta la sua vittoria sul cancro scalza il saggio di Alan Friedman dalla vetta della top ten. Tra i migliori dieci sono da segnalare la risalita della fiaba di Sepúlveda, il rientro del diario di Violetta e il calo di Pansa. Nella Varia comanda John P. Sloan.
(1) 5 72 2 Alan Friedman Ammazziamo il Gattopardo Rizzoli, € 18
(3) S 40 3 Giampaolo Pansa Bella ciao Rizzoli, € 19,90
Varia
1
(1) S 37
John P. Sloan English da zero Mondadori, € 15,90
(-) R 21 2 Robert Greene Riprenditi la tua vita Newton Compton, € 9,90
Ragazzi
1
(1) 1 43
Luis Sepúlveda Storia di una lumaca che scoprì... Guanda, € 10
(3) 1 40 2 Lucia Vaccarino Il mio diario, un anno dopo. Walt Disney, € 14,90
Stati Uniti 2 Donna Tartt
3 J. Evanovich
The undead pool
The Goldfinch
L. Goldberg The chase
HarperVoyager, $ 27,99
Little, Brown, $ 30
Bantam, $ 28
1 Kim Harrison
(3-9 marzo 2014)
CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 15
DOMENICA 16 MARZO 2014
Il podio del critico di Emanuele Bernardi
Il numero di Giuliano Vigini
10
Emanuele Bernardi (Roma, 1975) è docente di Storia contemporanea alla Sapienza di Roma. Si occupa di storia politica, economica e internazionale del ‘900. È autore di Riforme e democrazia (Rubbettino) su Manlio Rossi-Doria; è in corso di stampa Il mais miracoloso. Storia di un’innovazione tecnologica (Carocci).
Come abbiamo letto nelle pagine precedenti, si sta avvicinando la Fiera del libro per ragazzi di Bologna. Se qualcuno che scrive o illustra libri per ragazzi (e magari pensa di avere il capolavoro nel cassetto) volesse nel frattempo sapere che cosa non è un libro per ragazzi e
Cinque anni che paiono secoli Carocci, € 28
Contro scettici e disfattisti Laterza, € 22
quando invece si può parlare di un libro per ragazzi ben scritto, ben illustrato e ben pubblicato, può andarsi a leggere «La vera storia dei Topipittori» scritta da Giovanna Zoboli sul sito della casa editrice. Niente di più illuminante, realistico e simpatico di questo racconto autobiografico per capire i
La rivoluzione globale Einaudi, € 35
meccanismi attraverso i quali una buona idea diventa un bel libro. Lo spunto serve qui per ricordare i 10 anni di attività dei Topipittori che, tra albi illustrati, fumetti, narrativa e saggi, hanno già pubblicato 112 titoli che fanno onore a un settore in crescita e sempre più apprezzato anche nel mondo.
(Elaborazione a cura di GfK. Dati relativi alla settimana dal 3 al 9 marzo 2014)
(6) S 23 6 Fabio Volo
(7)519 8 10 (-) N 17 12 (15)114 Margaret Mazzantini Giuseppina Torregrossa Andrea Camilleri
Sellerio, € 13
Mondadori, € 18
Mondadori, € 20
(5) S25 5 Sara Tessa
(-) N 11 18 20 (-) N 10 Francesca Del Rosso Andrea Frediani Wondy
300. Nascita di un impero
Longanesi, € 17,60
Rizzoli, € 17
Newton Compton, € 9,90
(9)121 (8)518 7 9 Chiara Gamberale Marcello Fois
(10)516 11 Antonio Manzini
(11)514 13 Susanna Tamaro
15 (-) N12
Illmitz
Ivano Fossati Tretrecinque
Newton Compton, € 9,90
Feltrinelli, € 16
Sellerio, € 14
Bompiani, € 14
Einaudi, € 18,50
(-) N 37 4 Danielle Steel
(9) 132 (7) 523 6 8 C. Cussler, J. Scott Clara Sánchez
Sperling & Kupfer, € 19,90
Longanesi, € 17,60
Garzanti, € 9,90
Cinquanta sfumature di grigio Mondadori, € 5
(11) 5 17 14 16 (20) 1 15 Valérie Tong Cuong Tracy Chevalier
Entra nella mia vita
(12) S 17 12 Colin Dexter
Sabotaggio
(8) 5 19 10 E. L. James
Sellerio, € 14
Salani, € 12,90
La ragazza con l’orecchino di perla Neri Pozza, € 9,90
(4) 5 37 5 Patricia Cornwell
(16) 1 29 7 Lucinda Riley
(5) 5 21 9 Clara Sánchez
(6) 5 19 11 Ronald H. Balson
(17) 1 17 13 Pierre Lemaitre
(15) S 16 15 E. L. James
(10) 5 15 17 Isabel Allende
(-) N 14 19 Philipp Meyer
Garzanti, € 14,90
Mondadori, € 17,50
Feltrinelli, € 19
Einaudi, € 20
I peccati di una madre
Polvere Mondadori, € 20
Il profumo della rosa di mezzanotte Giunti, € 9,90
(curatore) Sei per la Sardegna Einaudi, € 6
Il profumo delle foglie di limone Garzanti, € 9,90
(7) 1 28 (10) 1 17 (6) 5 12 4 6 8 Solomon Northup Vittorino Andreoli Carlo Rovelli 12 anni schiavo
L’educazione (im)possibile
La realtà non è come ci appare
Newton Compton, € 9,90
Rizzoli, € 18,50
Raffaello Cortina, € 22
La costola di Adamo
Volevo solo averti accanto
Skira, € 14,50
Il mistero del terzo miglio
Ci rivediamo lassù
(14) 1 12 10 12 (16) 1 9 Christiane V. Felscherinow Simon Pearson (con S. Vukovic) Christiane F. La mia seconda vita Rizzoli, € 17
Un eroe in fuga Newton Compton, € 9,90
La voce degli uomini freddi Mondadori, € 18
(13)512 16 Alessia Gazzola
La creatura del desiderio
Per dieci minuti
Splendore
(12)512 14 Mauro Corona
La miscela segreta di casa Olivares Mondadori, € 18
L’uragano di un batter d’ali
La strada verso casa
3 Umberto Gentiloni Silveri
La lezione di Topipittori: i bei libri nascono da buone idee
(4) S 27 4 AA.VV. Carnevale in giallo
1 2 Leonardo Rapone Silvio Pons
L’Atelier dei miracoli
Cinquanta sfumature di rosso Mondadori, € 5
Le ossa della principessa
(19)112 17 19(14)511 Alessandro D’Avenia Massimo Gramellini Bianca come il latte, rossa come il sangue Mondadori, € 13
Il gioco di Ripper
Fai bei sogni Longanesi, € 14,90
(-) R 15 18 E. L. James Cinquanta sfumature di nero Mondadori, € 5
Garzanti, € 16,40
(-) R 9 14 T. Colin Campbell
(15) 5 7 (4) 5 7 16 18 Mario Bortoletto Nuccio Ordine
Macro, € 20
Chiarelettere, € 10
L’utilità dell’inutile. Manifesto Bompiani, € 9
(-) R 7 20 Simone Cristicchi
Mondadori, € 16,50
M. Campbell Thomas The China study
La rivolta del correntista
Mappa mundi
(-) N 7 19 Luca Ricolfi
Ladri
(17) S 7 17 Malala Yousafzai
Philomena
(13) 5 9 15 Robert M. Edsel
La trappola dell’austerity
(5) 5 12 (11) S 11 (-) N 9 9 11 13 Stefano Livadiotti Domenico De Masi Jorge Mario
Laterza, € 5,90
Piemme, € 18,50
Bompiani, € 16,50
Rizzoli, € 21
Sperling & Kupfer, € 16,90
Garzanti, € 12,90
Mondadori, € 19
(con B. Witter) Monuments men
(con C. Lamb) Io sono Malala
L. Lorenzoni Inglese in 21 giorni
Cambio dieta
È pronto! Salva la cena...
Cosmetici fai da te
(7) 5 8 9 10 (-) R 8 A. Clerici, A. Romani Ferzan Ozpetek
Open. La mia storia
(5) 5 10 (4) 5 10 7 8 Benedetta Parodi Carlitadolce
La dieta del supermetabolismo
(3) 5 11 5 6 (-) N 11 M. De Donno, G. Navone Nicola Sorrentino
S. Barzetti Tutti a tavola!
Rosso Istanbul
Sperling & Kupfer, € 16
Einaudi, € 20
Sperling & Kupfer, € 12,90
Mondadori Electa, € 14,90
Rizzoli, € 17,90
Gribaudo, € 14,90
Mondadori, € 16,90
Mondadori, € 16,50
(2) 5 38 3 Jeff Kinney
(5) 1 17 4 AA. VV.
(4) 5 17 5 Suzanne Collins
(6) S 17 6 AA. VV.
(-) N 17 7 Silvia D’Achille
(7) 5 16 9 Silvia D’Achille
(8) 5 14 10 Suzanne Collins
Diario di una schiappa. Guai in arrivo! Il Castoro, € 12
Beauty book. Violetta. Con gadget Walt Disney, € 12,90
Il canto della rivolta
Fashion book. Violetta
I miei amici. Peppa Pig
(-) R 16 8 Silvia D’Achille Peppa maxicolor
Colora con Peppa Pig
Hunger games
Mondadori, € 13
Walt Disney, € 14,90
Giunti Kids, € 5,90
Giunti Kids, € 6,90
Giunti Kids, € 3,90
Mondadori, € 13
Francia
(con J. Bernas) Magazzino 18
L’enigma della crescita
(6) 1 12 3 4 (2) 5 11 H. Pomroy, E. Adamson Andre Agassi
Inghilterra
Uno splendido disastro
Il figlio
(12) 1 17 (8) 1 12 5 7 Federico Rampini Martin Sixsmith
Bergoglio La gioia di ogni giorno Mondadori, € 14
(-) R 14 20 Jamie McGuire
Germania
1 Sophie Kinsella
2 Kate Atkinson
3 Robert Galbraith
1 Guillaume Musso
2 3 Erwann Menthéour Marc Levy
1 Simon Beckett
2 Jonas Jonasson
3 Haruki Murakami
Wedding Night
Life after life
The Cuckoo’s Calling
Central Park
Et si on arrêtait de se mentir
Une autre idée du bonheur
Der Hof
Transworld, £ 7,99
Black Swan, £ 7,99
Little, Brown, £ 16,99
Xo, € 21,90
Solar, € 37
Robert Laffont, € 21
Wunderlich, € 19,95
Die Analphabetin, die rechnen konnte Carl’s books, € 19,99
Die Pilgerjahre des farblosen Herrn Tazaki DuMont, € 22,99
16 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA
DOMENICA 16 MARZO 2014
Le caricature di Mola: il Seicento che si prende in giro
IN VIAGGIO di CARLO BERTELLI
SSS
D
i Giovanni Battista Mola (1586-1665), modesto architetto, nato a Coldrerio, presso Chiasso, ma operoso a Roma, si ricorda specialmente una guida di Roma per il 1663. Molto più famoso è il figlio Pier Francesco (1612-1666), che giunse a Roma nel 1616, e dopo viaggi per l’Italia settentrionale, dal 1647 si stabilì per sempre a Roma, dove il ricordo dei dipinti visti nei suoi viaggi fu sopraffatto dai nuovi interessi suscitati da Annibale Carracci, Domenichino, Nicolas Poussin, Pietro Testa. Di Pier Francesco sembrava si sapesse tutto, specialmente dopo la monografia di R. Cocke pubblicata a Oxford nel 1972, ma ora un libro, scanzonato e volutamente leggero e quasi giornalistico, a tratti autobiografico (Andrea De Marchi, Mola. Il disegno e la pittura. Psicologia e filologia a confronto, Skira, pp. 192, e 39) vi aggiunge la decrittazione di 15
In un libro leggero e scanzonato il racconto del talento ironico di Pier Francesco e del suo controverso rapporto con il padre
Sguardi
foglietti, sparsi in varie raccolte per lo più private, vergati con rapidi disegni nei quali ricorre un goffo baffuto personaggio (a sinistra), in cui l’autore riconosce il padre Giovanni Battista, non più autorevole come nel ritratto dell’Accademia di San Luca, ma tornato contadino come il suo contemporaneo Bertoldo. I disegni, che Pier Francesco dovette eseguire per tutta la vita, raccontano, con insospettato senso del ridicolo, i litigi col padre, che gli rimprovera (tra l’altro) di non guadagnare abbastanza. È la Roma di Bernini e già si annuncia lo spirito mordace di un Ghezzi. Al confronto con le realizzazioni pittoriche di Mola, i disegni confermano le oscillazioni del pittore tra l’attrazione verso una narrazione realistica e l’adeguamento a un modo di pensare classicheggiante.
Cambusa di Nicola Saldutti
Pittura, scultura, fotografia, design, mercato
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{
Petroliere wi-fi Ci sono navi che si chiamano Panamex perché possono attraversare il Canale di Panama. Ci sono petroliere, quelle più vecchie, che arrivano fino a 300 mila tonnellate. Ci sono quelle più giovani che sono molto più piccole, circa 35-40 mila tonnellate. Prima servivano giganti che attraversassero il mare per portare il petrolio da raffinare. Adesso servono navi in grado di collegare i porti velocemente. Come accade con il wi-fi.
Outsider Una galleria di Milano espone i lavori di uomini e donne colpiti da forme di disagio mentale. Le costanti: serialità, grottesco, frammentazione, fogli riempiti fino ai bordi
I fantasmi di Ugolina (e degli altri) di FRANCESCA RONCHIN
Le opere dei malati psichiatrici oltre la lettura clinica Angosce, valori estetici e quotazioni di artisti fuori campo
D
i lei non si sa nulla. Dove sia nata o a che età siano comparsi i primi segni della psicosi che l’avrebbe portata al ricovero nell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano. Si sa solo che era una donna giovane e che della sua vita, sopravvissuti alla chiusura dell’allora manicomio, ora Policlinico di Affori, restano il nome, Ugolina Valeri detta Ugolina, e 81 fogli di carta Raffaello 240 x 330 mm. Oggi, i suoi disegni, tutti realizzati in clinica tra il 1964 e il 1967, escono per la prima volta allo scoperto con Fuori Campo, artisti outsider a Milano, insieme a quelli di molti altri alienati. Eppure, la domanda senza risposta — «chi era Ugolina?» — sembra destinata ad attraversare la mostra quasi a emblema di un’arte intenzionata ad affrancarsi sempre più da una lettura medica dei disegni. «Non siamo di fronte a cartelle cliniche — spiega Francesco Porzio, critico d’arte e curatore della mostra — ma a opere che innanzitutto hanno una valenza estetica. Non è un caso che con i loro stilemi nuovi e visionari siano state spesso “prese in prestito” dall’arte contemporanea, basti pensare a Max Ernst e Paul Klee». Per quanto nel 1945, già Jean Dubuffet parlasse di Art Brut dando così una dignità al territorio degli autori autodidatti o ai cosiddetti margini della società, per quanto le opere di soggetti con problemi di salute mentale abbiano trovato una loro collocazione come outsider artist, il mercato per loro è solo agli inizi. Complice quella convenzione critica per cui non esisterebbe l’arte senza un progetto o un’intenzionalità, per il momento, più che nei circuiti ufficiali, questi artisti viaggiano principalmente in musei o percorsi a loro dedicati. Del resto, il fenomeno è relativamente recente. Se nel 1800 l’arteterapia entra negli istituti psichiatrici mossa da un intento clinico e con Lombroso i medici imparano a guardare alle opere degli alienati come a panoramiche di sintomi da classificare, è solo verso gli anni Cinquanta, con lo sviluppo delle teorie psichiatriche in direzione psicoanalitica e fenomenologica, che i disegni iniziano a essere osservati anche nella loro portata artistica. Mentre sul mercato arrivano i farmaci antipsicotici per meglio contenere, talvolta reprimendo, talvolta permettendo l’estro artistico, negli ospedali psichiatrici nascono gli atelier fino a diffondersi come ausilio psicoterapico nelle comunità di recupero e nei centri di salute mentale. Proprio qui, attualmente operano alcuni degli artisti in mostra a Milano come Gianluca Pirrotta, attivo presso l’atelier Manolibera della Cooperativa Nazareno di Modena, e Marco Raugei, del centro di attività espressive La Tinaia dell’ospedale Neuropsichiatrico di Firenze. Quanto spesso capiti di trovarsi di fronte a
i
L’altra mostra
I «graffiti» di Palermo: le forme del turbamento
Per tre mesi ha puntato il suo obiettivo di fotografo sui muri della Real Casa dei matti di Palermo (l’ex manicomio). Il risultato sono questi Graffiti della mente (sopra) che ora Bebo Cammarata propone in una mostra (aperta fino a martedì) alla Galleria Artetika di Palermo (via Noto 40, Tel 091 79 30 713). Due le sezioni: una dedicata ai segni tracciati dai degenti del manicomio negli anni Cinquanta; l’altra narra le contaminazioni di altri disagi tracciate dopo la chiusura.
lavori di grande valore artistico non è facilmente quantificabile. Lontano da tentazioni romantiche per cui la follia è sempre un po’ geniale, «gli autori che si staccano nettamente dalla media — azzarda Porzio — saranno un caso ogni cento a dir tanto. Ugolina è tra questi» . Il debutto nel mercato arriva senza che al momento vi siano molte quotazioni di riferimento a parte i lavori di Carlo Zinelli, principale outsider artist italiano scoperto da Vittorino Andreoli negli anni Sessanta. Se i suoi lavori sono valutati attorno agli 11 mila euro, con Ugolina, per ora, si parte dai 700 euro, «ma è chiaro che potrebbe valere molto di più — precisa Porzio — dato che la portata artistica è equiparabile a quella di riferimenti dell’Art Brut come Eloisa o Adolf Wölfli». Volti ibridi, figure a metà tra l’umano e l’animale in un continuo movimento metamorfico, quella di Ugolina è una produzione consistente che si svolge lungo un percorso di tre anni e che, come ricorda la psichiatra che l’ha seguita, inizia piuttosto tardi, all’improvviso. «I disegni procedono dal micro al macro — spiega Giorgio Bedoni, psichiatra, tra gli organizzatori della mostra — in una sorta di lenta ma continua messa a fuoco dei propri fantasmi». Sagome indefinite si agglutinano sulla carta come organismi cellu-
L’evento Fuori campo. Artisti outsider a Milano, Milano, Galleria Isarte (Corso Garibaldi 2, Info Tel 335 6341 228; www.isarte.net), dal 21 marzo al 4 aprile (inaugurazione giovedì 20 marzo ore 18); dal martedì al sabato, 11-13 / 15-19. Realizzata in collaborazione con la Galleria Rizomi-Art Brut di Torino, la mostra è curata da Giorgio Bedoni (psichiatra esperto di outsider art) e dallo storico dell’arte Francesco Porzio. Saranno esposte una cinquantina di opere di artisti d’epoca e provenienza differenti accomunati però dalla definizione di outsider e quindi fuori del circuito ufficiale dell’arte. Tra i lavori quelli di personaggi già noti come Marco Raugei, Paul Duhem, Carlo Zinelli, Giovanni Bosco, Maria Concetta Cassarà, Jill Galliéni, Gianluca Pirrotta, Curzio Di Giovanni, l’americano Donald Mitchell, lo svizzero François Burland. Esposte anche due sculture di Umberto Gervasi a cui la Galleria Isarte (unica a Milano a occuparsi di outsider art) aveva dedicato una rassegna nello scorso autunno. Per l’occasione verranno poi presentati i disegni inediti di Ugolina (Ugolina Valeri) eseguiti tra il 1964 e il 1967 nell’ospedale psichiatrico Paolo Pini di Milano Le quotazioni I prezzi delle opere di outsider art esposte in questa occasione oscillano intorno ai mille euro (da un minimo di 500 a un massimo di 2.000). Le quattro tele di Carlo Zinelli variano invece tra i 10 mila e i 12 mila
lari dove l’uno è origine e continuazione dell’altro. «Un lavoro contrassegnato da quell’automatismo psichico che tanto piaceva ai surrealisti — continua Bedoni — convinti che l’arte dei matti, insieme a quella dei bambini e dei primitivi, avesse un contatto privilegiato con le dimensioni inconsce e quindi con la verità delle cose».
Ma se è vero che la valenza formale delle opere nate in contesti psichiatrici ha un’autonomia oltre quella clinica, l’impulso da cui nascono non è mai di ricerca formale bensì di un’urgenza quasi fisiologica, la risposta a un bisogno dato dalla malattia: stare meglio. «Il foglio bianco permette al paziente psicotico di colmare i propri vuoti, che spesso sono vuoti di memoria — spiega Bedoni a “la Lettura” —. Non è un caso che venga riempito quasi del tutto, fino ai bordi, nel difficile tentativo di ricomporre sulla carta una realtà che nella propria mente è frammentata dalla malattia». Se l’efficacia artistica di questi disegni derivi in qualche modo dalla malattia è difficile dirlo. «Non è semplice trovarvi una vera specificità — ammette Bedoni — simili modalità espressive si riscontrano ad esempio anche in certi territori dell’espres-
CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 17
DOMENICA 16 MARZO 2014
L’esperimento I dipinti dei pazienti di psichiatria al Cardarelli di Campobasso
Trompe-l’oeil in ospedale Sole e cielo spuntano sui muri dal nostro inviato a Campobasso FULVIO BUFI
Qui sotto: Ugolina, Senza titolo (inchiostro su carta, 5 dicembre 1965). Sopra: Curzio Di Giovanni, Una Ragazza con la Pelliccia Griggia (matita su carta, 2013). Nella pagina a sinistra: Marco Raugei, Questecsono le machine mortobelle (inchiostro nero su carta, 1995). I titoli sono riportati come furono scritti dai pazienti
I
sionismo. Di certo è chiaro che le forme creative che emergono da contesti psichiatrici sono frutto di un modo ben preciso di essere nel mondo, un mondo dove sano e malato sono sfumature di un continuum». Difficilmente però, sfuggirà anche all’occhio più inesperto la presenza di alcune costanti come la serialità, la ripetizione, il grottesco, la frammentazione e la presenza di un repertorio di oggetti piuttosto limitato ma specifico di ogni autore. Marco Raugei, una frequentazione di istituti psichiatrici ininterrotta fino ai 19 anni, riempie il foglio delle ripetizioni ad esaurimento di uno stesso soggetto. Macchine fotografiche, trenini e automobili, soggetti quasi infantili ma una fascinazione consapevole del ritmo e delle ripetizioni. «Quando i suoi disegni — spiega Porzio — sono entrati in collezioni come quella de l’Art Brut di Losanna e la Collection abcd di Parigi, nell’apprendere l’apprezzamento del pubblico, la reazione di Raugei è stata di gioia immensa». Un episodio che quasi lascia intravedere sprazzi di autocoscienza artistica riscontrabili anche nella volontà di andare oltre i propri limiti ortografici e dare un titolo a ogni singolo disegno. Ad ogni modo, assicura, siamo di fronte a un aspetto marginale, perché qui non ci sono velleità artistiche ma urgenze patologiche.
Come nel caso di Jill Gallieni, che trova nelle preghiere a Santa Rita un modo per uscire dai tormenti mentali. Di qui, la creazione senza tregua di disegni dove quelle che a prima vista sembrano ghirlande colorate, sono in realtà litanie così fitte da essere illeggibili. Una netta riproposizione seriale di elementi si ritrova in Curzio Di Giovanni, 57 anni, ospite da trent’anni del centro di riabilitazione psichiatrica Fatebenefratelli di San Colombano, Lodi, per via di una sindrome autistica sviluppata nell’infanzia. I suoi soggetti sono volti incontrati su cataloghi e riviste. Da un ritaglio di giornale, la foto di una modella bionda, diventa Una Ragazza con la Pelliccia Griggia disegnata con matite colorate su un foglio 34 x 24 in mostra a Losanna. I dettagli vengono ripresi fedelmente per poi essere tradotti in segmenti geometrici che si compongono come le tessere di un mosaico perché, se la malattia mentale non dà tregua, la realtà, una volta analizzata, deve sempre essere ricostruita. L’aveva capito già negli anni Venti lo psichiatra Hans Prinzhorn, quando provando a definire il quid dell’arte dei matti scriveva: «Ogni tentativo di definirne la qualità distintiva è destinato a sfuggire... Ci basti dire che quel quid giace, da qualche parte, in un’inquietante sensazione di stranezza». © RIPRODUZIONE RISERVATA
muri delle corsie d’ospedale sono muri muti. Non raccontano dolore come quelli delle celle nelle carceri, né ribellione o goliardia come quelli delle scuole o esaltazione come quelli degli stadi. E neppure volgarità, come quelli di qualsiasi luogo pubblico appena nascosto alla vista di chiunque. I muri delle corsie d’ospedale sono muti e vuoti e tutti uguali. Lisci di linoleum o di pittura igienizzante, grigi di rassegnazione o di tempo e soldi che servono ad altro. I muri delle corsie d’ospedale sono solo brutti ricordi: come la malattia che porta a starci in mezzo. Lo pensava pure lo psichiatra Franco Verde quando si guardava intorno nel piccolo reparto (dieci posti letto poi ridotti a sette) che dirige all’ospedale Cardarelli di Campobasso. E lo pensavano anche i suoi pazienti che per quel reparto c’erano passati, e quelli che c’erano capitati solo per un Day Hospital, ma che frequentavano invece il centro di salute mentale esterno di cui Verde — in qualità di dirigente del Dipartimento di salute mentale della Asl di Campobasso — pure è responsabile. E, ancora, lo pensavano i giovani operatori di Laboratorio Aperto, la cooperativa sociale che dal 2001 lavora a un programma di recupero per pazienti psichici basato su arte e artigianato, oltre che su comunicazione web. Lo pensavano in troppi perché quei muri del Cardarelli restassero grigi all’infinito. Certo, intervenire su tutti era impossibile, ma almeno quelli di Psichiatria dovevano cambiare faccia. Facile pensare ai colori, che, come insegnano gli studi elaborati dall’architetto Jorrit Tornquist per il Niguarda a Milano, in ambito ospedaliero hanno particolare importanza, perché incidono sull’umore — quindi sulla salute psichica — dei ricoverati, e anche su quello di medici e paramedici. Ma a Campobasso sono andati oltre. Perché — hanno pensato — ancora meglio del colore sono le forme colorate. Meglio ancora se sono forme capaci di dare emozioni, di portare lo sguardo e la mente e il cuore oltre i muri, oltre l’ospedale, oltre la malattia. C’è una sola cosa che può riempire di contenuti così ambiziosi uno spazio vuoto: l’arte, in questo caso la pittura. «Ai pazienti che vengono ricoverati, e in particolare ai pazienti psichici, capita di subire la disorganizzazione delle percezioni spazio-temporali», spiega Franco Verde. Il tempo va rimodulato sui ritmi ospedalieri — sveglia all’alba, pranzo a mezzogiorno, cena alle 7 di sera e dopo un’ora o due già notte — ma lo spazio se non c’è non c’è. E in ospedale non c’è. A meno che non lo si dipinga. Eccola l’idea che il primario e i suoi collaboratori e i soci della cooperativa e i pazienti che con loro fanno squadra andavano cercando: portare lo spazio in ospedale, dipingerlo sui muri, «aprire» finestre o magari anche porte, affacciate sull’orizzonte, su prati verdissimi, sul mare. Mettere il sole proprio di fronte a un letto e far dimenticare a chi su quel letto è steso che fuori piove o nevica, perché lui il suo sole lo tiene lì, sempre, giorno e notte. Oppure portargli in stanza le cose di casa: le mensole con i libri, una consolle con oggetti familiari, le piante e i fiori sul davanzale, il camino, un cagnolino accucciato. La tecnica pittorica è quella del trompe-l’oeil, che in-
ganna l’occhio e l’illude di vedere immagini tridimensionali. E gli autori sono artisti che prima di mettere piede nelle stanze di Laboratorio Aperto forse nemmeno sapevano di esserlo. Sono tutti pazienti psichiatrici. Come Giovanni Guerriero, uno che è capace di trasformare in quadro qualsiasi cosa. Va in giro a raccogliere pannelli pubblicitari come quelli che espongono le farmacie oppure i bar, i pub o altri negozi, quelli che vengono chiamati totem. Se sono in cartone li lascia dove stanno, sceglie solo quelli in forex. Perché «hanno una superficie che se trattata con la base giusta li fa diventare meglio di una tela pregiata». Nei locali della cooperativa, appesi ai muri ce ne sono molti. Giovanni ne stacca uno e prima di mostrare il quadro in cui lo ha trasformato, lo gira: «Era una pubblicità della CocaCola, ora è un’opera d’arte. Perché l’arte è anche riciclo dei materiali, riutilizzo di roba che altrimenti diventerebbe spazzatura». Nella sala adibita a laboratorio di pittura, invece, c’è un trompe destinato al Cardarelli, La tavola qui accanto si intitola Hope ed è stata realizzata espressamente per «la Lettura» da Giovanni Guerriero, paziente del Centro di salute mentale di Campobasso e autore anche di alcuni dipinti nel reparto di Psichiatria del Cardarelli ma che sta ancora poggiato sul suo cavalletto, evidentemente in attesa degli ultimi ritocchi. È dipinto su un pannello di legno sottilissimo, «perché minore è lo spessore e meno sembra un quadro. E migliore è l’effetto che fa», spiega Giovanni. Contributo terapeutico, coscienza ecologica, impegno sociale, solidarietà, anche opportunità di reddito, perché tramite la cooperativa i pazienti riescono ad accedere alle borse lavoro finanziate dalla Regione. Si possono trovare mille cose dietro una storia come questa che una volta tanto succede al Sud, dove la sanità è disastrata e dove arte e cultura pure se la passano piuttosto male. Certo, quei dipinti tridimensionali che ornano le pareti di Psichiatria al Cardarelli non potranno tutti essere definiti opere d’arte, e, chiaramente, non hanno nemmeno la pretesa di guarire chi è ricoverato in quel reparto. Ma da quando ci sono, e saranno circa dieci anni, i ricoverati hanno dimostrato di apprezzarli, e queste cose contano, quando si ha a che fare con il disagio mentale. «Ci sono stati soltanto due casi di dipinti danneggiati dai pazienti, e per la verità uno dei due non fece altro che aggiungere con la penna qualche rondine a una scena di campagna, perché diceva che ci mancavano», racconta Verde. Che il suo reparto non solo lo ha aperto ai dipinti e ai colori, ma ha anche concesso a una associazione di pazienti psichici di utilizzarlo come location per un cortometraggio scritto, diretto, interpretato e girato tutto da loro. Si chiama Commedia Rock. Ed è pure divertente. © RIPRODUZIONE RISERVATA
18 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA
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Ciak, si legge
Sguardi Le mostre Sodalizi
di Cecilia Bressanelli
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I voli di carta di Mary Poppins Mary Poppins non canta e i suoi libri non si prestano a pigolii e balletti, di certo non a un musical. La scrittrice Pamela Lyndon Travers non cede a compromessi. Almeno fino a quando non riconosce in Walt Disney un narratore che,
come lei, usa l’immaginazione per metter ordine dove pare perduto. E ciò può accadere sulla carta e sullo schermo. Saving Mr. Banks racconta di come Mary Poppins sia volata oltre i libri per entrare nell’immaginario cinematografico.
I coniugi tedeschi Andersch e Dichgans scrissero (lui), dipinsero (lei), scoprirono talenti e animarono riviste (insieme). La Svizzera, ad Ascona, celebra il doppio centenario della nascita
Il talamo di Alfred e Gisela era colore. E poesia di SEBASTIANO GRASSO
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anto e controcanto. Tenore e soprano? I coniugi tedeschi Alfred Andersch e Gisela Dichgans. L’elvetica Ascona, al Museo d’arte moderna, ricorda il doppio centenario della loro nascita (in verità un po’ stiracchiato quello della donna, classe 1913). Quanto diceva Alfred («Lei crea nello spazio, io nel tempo») diventa il sottotitolo della mostra, curata da Peter Erismann, che si apre oggi, domenica 16 marzo. Esposti dipinti, disegni e grafica della donna e poesie, romanzi e saggi del marito, oltre a numerose fotografie, scattate da entrambi o da Monique Jacot, a Berzona, in Canton Ticino, dove gli Andersch si ritirano nel 1958 e dove finiranno i loro giorni. Alfred e Gisela si conoscono nel 1940. Alle spalle hanno esperienze matrimoniali fallimentari e alcuni figli. Li uniscono l’avversione per il nazismo e una grande curiosità per arte e letteratura. Alfred, nato a Monaco di Baviera, apprendistato da libraio, è responsabile dell’Associazione giovani comunisti della Baviera meridionale. Nel ‘33 finisce a Dachau. Nel ‘41 si arruola nell’esercito tedesco e nel ‘44 diserta. Prigioniero degli americani, è mandato in un campo di concentramento negli Usa (lo stesso succede a Burri). Dopo la guerra si dedica a riviste letterarie, a programmi radiofonici e alla scrittura. A 38 anni (1952) pubblica Le ciliege della libertà. Quindi, Zanzibar (‘57), La rossa (‘58), Un amante in penombra (raccolta dei rac-
i L’esposizione Alfred e Gisela Andersch. Lei crea nello spazio, io nel tempo, Ascona, Museo comunale d’arte moderna, da oggi al 1°giugno (Info Tel +4191 75 98 140; www.museoascona.ch). La rassegna, curata da Peter Erismann in collaborazione con il Museum Strauhof di Zurigo, analizza il rapporto tra lo scrittore Alfred Andersch e la moglie Gisela, pittrice autodidatta. In alto, da sinistra: Gisela Andersch, Axe VIII (1978) e Axe (1973)
conti di due volumi usciti rispettivamente nel ‘58 e nel ‘63), Romanzo (‘67), Wintesplest (‘74): 600 pagine da ridurre in fin di vita il più accanito dei lettori. Infine, altri tre libri di racconti. Alfred valorizza e scopre nuovi talenti. Valga per tutti l’esempio di Böll, Enzensberger, Grass e della Bachmann. Sulla sua rivista «Texte und Zeichen» appaiono lavori di Adamov, Beckett, Borges, Celan, Neruda, Pavese. Progetti editoriali, copertine e disegni di Gisela Dichgans. Ma anche di Harp, Stein-
berg e Chagall. Di «Texte und Zeichen», costretta a chiudere nel 1957, escono solo sedici numeri. In mostra ad Ascona ci sono tutti, accompagnati da tre Kreisphasen, da Rot Steigend e Esster Schnee di Gisela. Pittura e scrittura convivono. Come succede a quasi tutti gli artisti autodidatti, Gisella, nata nell’attuale Wuppertal, comincia col figurativo. Quando si interessa all’Arte concreta, al secondo Bauhaus, alla francese Abstraction-Création, all’olandese De Stijl e alla Teoria della forma e della figurazione di Paul
Klee, diviene quasi naturale la sua conversione all’astrattismo geometrico. Nel ‘63 la prima esposizione — con l’aiuto di Max Bill —, di cui, ora, possono rivedersi alcuni lavori come Tema ed alcune Variazioni, oltre a paesaggi astratti (Asha, Perfuga, Dorset) o al successivo Testa-coda, titolo anche d’un saggio di Alfred Andersch dedicato alla moglie. Entrambi i coniugi amano viaggiare. Nel ‘53 attraversano, a piedi, solo con gli zaini sulle spalle, la Lapponia, la Svezia e la Norvegia. Durante queste perenigrazioni, Alfred si estrania dalla realtà («Nella solitudine cresco come il granturco in una notte», annota in Wanderungen im Norden, riprendendo una frase di Thoreau). Viaggi in Scandinavia, ma anche in Italia (Roma, Sardegna, Sicilia ed Eolie). Alfred ha un’ottima conoscenza della lingua di Dante. Traduce Leopardi, Ungaretti, Fortini e dedica alcuni scritti a Moravia, Antonioni, Bassani, Nono e Pasolini. Immagini costruite con parole, quelle di Alfred. Dipinte, quelle di Gisela. Nel ‘47 l’artista traccia, a pastello, un villaggio dell’Eifel ed altri paesaggi. Di colpo — ricorda Alfred — le case diventano cubi colorati in campo bianco. Dice Gisele: «Via i sentimenti dal quadro». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Allestimento
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Rigore scientifico
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Catalogo
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Sguardi Le mostre
Scatti flessibili di Fabrizio Villa
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C’è vita oltre Photoshop A volte basta avere un’idea semplice per dare una svolta. È il caso di Daniel Arnold, fotografo in crisi di Brooklyn. Nel giorno del trentaquattresimo compleanno vende le stampe delle sue immagini su Instagram a 150 dollari
l’una e guadagna 15 mila dollari in 24 ore. Scatti realistici che ritraggono momenti di vita vissuta, senza alcun intervento di Photoshop. Segno che la vera fotografia è ancora apprezzata. Forse è cambiato il modo di venderla?
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Calendario
L’appuntamento Le Furie. Da Tiziano a Ribera. Madrid, Museo del Prado, fino al 4 maggio (Info Tel +34 913 30 28 00; www.museodelprado.es), a cura di Miguel Falomir; Catalogo Ed. Museo Nacional del Prado, pp. 192, € 35 I capolavori Ventotto le opere esposte. Tra gli autori: Michelangelo, Rubens, Salvator Rosa, Luca Giordano, Cornelis van Haarlem, Gregorio Martinez La galleria A destra, dall’alto in basso: Michelangelo (1475-1564), Tizio (1532, disegno a matita, Windsor, Royal Collection); Tiziano Vecellio (1480/901576), Tizio (1548-49, olio su tela, Madrid, Prado); Peter Paul Rubens (1577-1640) e Frans Snyders (15791657), Prometeo incatenato (1611 circa, olio su tela, Philadelphia Museum of Art)
MILANO Le origini di Klimt In mostra cento opere di Gustav Klimt (1862-1918), uno dei maggiori pittori austriaci, animatore della Secessione viennese. Attraverso opere famose come le Tre età della donna e Giuditta I (sopra, 1901), si giunge alla ricostruzione del Fregio di Beethoven (1902). Palazzo Reale Fino al 13 luglio Tel 02 87 56 72
Dolore e bellezza Il Prado esplora le interpretazioni delle figure dei giganti: un mito anche pittorico
Le Furie che si presero l’Europa da Madrid GIOVANNA POLETTI
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i vuole coraggio. Solo un museo come il Prado poteva pensare di dedicare un’intera mostra a Tizio, Sisifo, Tantalo e Issione, giganti tormentati nell’Ade con i supplizi più atroci. Nelle sale della nuova ala, attorno all’immane gruppo del Laocoonte giunto in copia dal Museo Nazionale di Scultura di Valladolid, alcune colossali tele del Prado trovano una nuova ragione d’essere e aiutano a riconoscere la rivoluzionaria importanza della pittura di Tiziano in Europa. Miguel Falomir, curatore della mostra e a capo del dipartimento di pittura italiana del Museo, è riuscito a dimostrare come queste imponenti figure dalle posture inverosimili e dallo straordinario impatto visivo rimandino a una sola data e soprattutto a una donna. Fu infatti nel 1548 che Maria d’Ungheria, sorella di Carlo V e governatrice dei Paesi Bassi, incaricò Tiziano di dipingere per il suo castello di Binche, alle porte di Bruxelles, quattro grandi tele che immortalassero le pene infernali cui i Giganti erano stati condannati dagli dèi per avere osato ribellarsi ai loro voleri.
Le pitture, che facevano parte di un ampio progetto iconografico, arrivato a noi grazie a un disegno coevo, dovevano celare con un’allegoria un precipuo fine politico. La commissione a Tiziano arrivò infatti pochi mesi dopo la vittoria di Carlo V sulla Lega di Smalcalda, rappresentata dai principi protestanti tedeschi che cercavano di opporsi allo strapotere asburgico. Dei quattro capolavori di Tiziano, è giunto a noi solo il Sisifo, colto nell’inane sforzo di trasportare sulle spalle un masso enorme, mentre il magnifico Tizio esposto in mostra è una copia realizzata più tardi dallo stesso Tiziano per accontentare i desideri di un duca della famiglia reale spagnola. Sebbene la corale rappresentazione della Gigantomachia avesse avuto in Giulio Romano e Perin del Vaga eccellenti e precedenti esempi, è con il disegno che Michelangelo regalò a Tommaso de’ Cavalieri nel 1532 che la singola figura del gigante Tizio conquistò una sua autonomia e una precisa identità. Il disegno, che ebbe vastissima fortuna grazie alle incisioni che lo riproducevano, ritraeva il Gigante assalito ma non ancora ferito dall’aquila castigatrice. Fu Tiziano, con ogni probabilità influenzato dall’exemplum doloris del Laocoonte venuto alla luce nel 1506 in una vigna accanto alla Domus Aurea, a im-
I supplizi di Tizio e Sisifo, Tantalo e Issione trasformarono un’epoca: tutto partì da Tiziano mortalare con superbo realismo lo strazio del condannato durante il fiero pasto dell’incombente rapace. Il gruppo marmoreo del Laocoonte, che giustamente Falomir ha voluto al centro delle sale per creare il fulcro emotivo della mostra, rappresentò la suprema immagine dell’equazione dolore/bellezza nell’arte. Nei decenni successivi, scomparsa l’originaria valenza politica, le Furias costituirono una singolare sfida artistica per i pittori di tutta Europa. Nessun soggetto profano riscontrò ugual successo in diversi Paesi, dalle Fiandre all’Italia, passando per la Germania e la Spagna, a dispetto della geografia, della religione o della committenza. Per oltre un secolo dopo Tiziano, molti pittori si cimentarono nel ritrarre questi sfortunati giganti, talvolta come sospesi e privi di gravità, colti nelle loro nudità, nelle posizioni più ardite e contratti nei muscoli e nei volti tra gli spasmi delle sofferenze infinite. La loro fedele rappresentazione, in grado di spaventare ma anche commuovere, divenne la sfida da vincere.
Oltre ai magistrali esempi di Tiziano, Rubens e Ribera, Falomir ha setacciato le raccolte di tutto il mondo per trovare alcuni indimenticabili esempi, come quelli dipinti da Hendrick Goltzius, Cornelis van Haarlem e Theodoor Rombouts nelle Fiandre e di alcuni artisti italiani. A partire dal 1630, a Napoli fece difatti fortuna la cosiddetta «estetica dell’orrore», stimolata dalle Furias dipinte da Ribera. Tele talmente forti che si narra fecero nascere malformato il figlio del suo committente. È comunque certo che Ribera ispirò le opere estreme di Luca Giordano e Salvator Rosa, che, a loro volta, diffusero questi soggetti anche a Venezia e Genova, dove lavoravano Giovanni Battista Langetti, Antonio Zanchi e Gioacchino Assereto. Quest’ultimo, intorno agli anni Quaranta, propose tele in formato più piccolo, come gli splendidi supplizi di Prometeo (una versione di Tizio scevra di connotati morali) e di Tantalo. Quest’aspetto rivela la democratizzazione di questa tematica che fece la sua fortuna grazie alla violenta, quasi assordante, spettacolarità del dolore. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Allestimento
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Rigore scientifico
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TRENTO Immagini e Controriforma Dopo il Concilio di Trento (1545-1563) l’arte diviene uno strumento della Chiesa romana per combattere la penetrazione delle idee del protestantesimo. La mostra presenta una settantina di opere del territorio trentino (sopra: Pittore lombardo, Madonna e santi intercedono presso la Trinità, XVII secolo). Museo Diocesano tridentino Fino al 29 settembre Tel 0461 23 44 19
BOLOGNA Ottocento sconosciuto In mostra una serie di dipinti del 1800 dal Mambo e dalla Pinacoteca Nazionale. Quattro sezioni: ritratto e scena di genere; accademia; pittura di storia; paesaggio. (sopra: Giovanbattista Bassi, 1784-1852, Veduta delle cascatelle di Tivoli, 1800-25). Pinacoteca Nazionale Fino al 27 aprile Tel 051 420 94 11
SIENA Iconografia della maternità Nella cripta del Duomo prosegue l’esposizione della Madonna del Latte (sopra) di Ambrogio Lorenzetti (12901348) conservata nel Museo Diocesano di arte sacra di Siena. Uno dei più begli esempi dell’iconografia della Virgo lactans. Duomo / Cripta Fino al 31 ottobre Tel 0577 28 63 00
a cura di CHIARA PAGANI
20 LA LETTURA CORRIERE DELLA SERA
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Percorsi
Storie, date, biografie, reportage, inchieste
Scritture Gli Usa come luogo ostile, gli ebrei come «incarnazione stessa della tragedia». Un narratore disadorno, di cui ricorre il centenario della nascita
La scalogna è un’arte e Malamud il suo maestro di ALESSANDRO PIPERNO
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arebbe bello se un giorno Renata Colorni, la titanica curatrice dei classici Mondadori, raccogliesse in un Meridiano una selezione di biografie dei grandi scrittori di cui si è occupata negli ultimi trent’anni. Che libro affascinante! L’impressione che potrebbe trarne un lettore buongustaio è di trovarsi di fronte alle mirabili biografie vittoriane in cui i dati reali venivano graziosamente mescolati a quelli presunti: una tecnica cara a Walter Pater, Marcel Schwob, il grande Lytton Strachey. Un’enciclopedia delle mediocrità, delle sofferenze, delle incertezze, delle invidie e delle troppe bollette da pagare che hanno funestato i geni letterari dell’umanità. Be’, qualcosa mi dice che in questa fantasmagorica opera borgesiana troverebbe spazio (in appendice?) anche la biografia che apre il nuovo Meridiano dedicato a Malamud, che potrebbe intitolarsi: Bernard Malamud, su come vivere in ritirata. Con un certo spirito Paolo Simonetti, l’abile curatore della suddetta cronologia, ha messo in epigrafe una frase dello stesso Malamud: «Non so che cosa farà con me un futuro biografo — credo ben poco». Intendiamoci: non si può dire, in senso stretto, che Bernard Malamud appartenga alla confraternita dei grandi reclusi (Salinger, Pynchon e così via). In lui non c’è retorica dell’isolamento, né il narcisismo altezzoso dell’ascesi. Più che altro c’è riserbo, timidezza e tanta circospezione, però niente di patologico. Chissà, forse, con buona pace di Barthes, la vita dice qualcosa (non tutto, ma qualcosa sì) dell’opera di un artista. La vita borghese (piccolo borghese) di Bernard Malamud è consustanziale ai suoi libri zeppi di povere anime angustiate, prese a cazzotti dalla vita. Piccoli ebrei (ma non
SSS Gli sconfitti Racconta le vicende di povere anime angustiate, prese a cazzotti dalla vita, che vagolano tra Brooklyn e il Lower East Side
La morale del disincanto di personaggi battuti dal destino: la felicità è pericolosa
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L’autore Lo scrittore Bernard Malamud (sopra: con la figlia Janna e il nipote Peter nel 1984), figlio di ebrei russi emigrati negli Usa, è nato cent’anni fa (26 aprile 1914) ed è morto a New York il 18 marzo 1986 Il «Meridiano» È appena uscito il primo dei due Meridiani Mondadori (in alto la copertina) dedicato alle opere complete di Malamud (pp. 1.920, e 65). Il volume offre i romanzi e le raccolte di racconti pubblicati tra il 1952 e il 1966. A The Natural (1952, romanzo d’esordio) e The Assistant (1957), presentati con i titoli Il fuoriclasse e Il giovane di bottega, si affiancano Una nuova vita (1961) e L’uomo di Kiev (1966), più i racconti di Il barile magico (1958) e Prima gli idioti (1963). Il saggio introduttivo è firmato dal critico britannico Tony Tanner. La cronologia e le «Notizie sui testi» sono curate da Paolo Simonetti
solo) che stentano ad assimilarsi alla società americana: creature dignitose e indigenti che vagolano tra Brooklyn e il Lower East Side, tra il Bronx e l’Upper West, succhiando grandi cetrioli, compulsando vecchie copie del «Forward», non smettendo di desiderare ciò che non potranno mai avere. Diciamo che tra i due grandi Roth americani, Malamud è più vicino a Henry che al suo discepolo Philip. Così come occorre chiarire che, a dispetto degli impropri accostamenti giornalistici che lo ritraggono come un sorta di fratello minore di Saul Bellow, Malamud ha lasciato in Europa la sua famiglia. Babel, Kafka, Schultz, Singer e, in un certo senso, persino il nostro Svevo: ecco i cugini più prossimi. Diciamo che, mentre per Bellow (e per i suoi personaggi) l’America è un’opportunità straordinaria, la patria da conquistare con spavalderia, per Malamud (e per i suoi personaggi) l’America è un problema, l’ennesimo luogo sulla terra ostile agli ebrei e alle brave persone. Forse è questa la ragione per cui i suoi eroi (sì, mi piace chiamarli così) vivono in uno stato di scaramanzia permanente. La felicità è pericolosa. Non provarci nemmeno, a essere felice. Qualsiasi felicità conquistata, qualsiasi sogno lungamente coltivato, ti si torcerà contro. Lo sa bene Morris Bober, protagonista de Il giovane di bottega, con il suo insano desiderio di mettersi in proprio e di aprire un negozio di alimentari che non porterà niente di buono né a lui né alla sua famiglia. Lo sa ancor più Roy Hobbs, eroe de Il fuoriclasse, il promettente giocatore di baseball che, un istante prima di coronare il sogno di una vita di entrare in una grande squadra, si becca una revolverata. Ma chi lo sa meglio di tutti è Yakov Bok de L’uomo di Kiev. Il povero Yakov pagherà a carissimo prezzo l’improvvida decisione di lasciare lo shtetl ucraino in cui è nato e vissuto, e di avventurarsi nella tundra gelida, ingiusta e ferocissima dei goyim. La scalogna (ma non nel senso romantico che le attribuisce Baudelaire, bensì nel senso biblico caro ai fratelli Cohen) si accanisce in modo quasi sistematico sui personaggi di Malamud. Emblematico il formidabile attacco del racconto L’ange-
SSS La personalità Leggere queste pagine dà una gioia che ondeggia tra sorriso e commozione. È questione di tono. Il suo è un impasto di ironia e pietà
Una mostra a Philadelphia
L’integrazione americana si gioca sul «diamante»
Da The natural, romanzo d’esordio di Malamud pubblicato nel 1952 (poi diventato un film con Robert Redford), a My baseball years di Philip Roth uscito nel 1980. La passione degli ebrei d’America per il baseball non è però solo cosa «da scrittori». Lo testimonia Chasing dreams: baseball and becoming American, la mostra appena aperta al National Museum of American Jewish History di Philadelphia (fino al 26 ottobre, www.nmajh.org). L’idea è quella di raccontare un’integrazione nei riti e nel mood americano che passava (e ancora passa) attraverso il tifo per le gesta di grandi giocatori come Sandy Koufax e Hank Greenberg (sopra), ma anche per la piccola quotidianità di personaggi «di contorno» come Esther Schimmel che vendeva hot dog davanti allo Sportsman’s Park (a fianco). La mostra va anche oltre: celebrando altre stelle come Joe DiMaggio e Ichiro Suzuki che a loro volta hanno segnato il percorso di integrazione di altre minoranze (italiani, giapponesi, afro, dominicani, portoricani). Nativi e immigrati (jewish e no) tutti ugualmente stregati dal «diamante».
CORRIERE DELLA SERA LA LETTURA 21
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lo Levine: «Manischevitz, un sarto, nel suo cinquantunesimo anno di età ebbe a patire molte disgrazie e molte umiliazioni. Uomo agiato, nel giro di una notte perse tutto quello che aveva: qualcosa aveva preso fuoco nel suo laboratorio che, dopo l’esplosione d’un recipiente metallico pieno di smacchiatore, bruciò fino alle fondamenta. Sebbene Manischevitz fosse assicurato contro gli incendi, le cause per danni intentategli da due clienti rimasti feriti tra le fiamme lo spogliarono fino all’ultimo centesimo di tutto ciò che aveva riscosso. Quasi contemporaneamente suo figlio, un ragazzo molto promettente, fu ucciso in guerra, e sua figlia, senza neppure una parola di preavviso, sposò un tanghero e sparì con lui come cancellata dalla faccia della terra». Non c’è successo, non c’è speranza di riscatto che prima o poi non vengano umiliati. Allora meglio nascondersi, non farsi vedere, non dare nell’occhio. Meglio non scatenare l’invidia dei goyim o la capricciosa ira dell’Onnipotente. È così che ragionano gli ebrei di Malamud. Perché gli ebrei? Perché proprio gli ebrei? Perché Malamud non fa che parlarci di loro? Be’, è lui stesso a rispondere, in una delle rare interviste concesse: «Perché li conosco. Ma soprattutto, ne parlo perché gli ebrei sono l’incarnazione stessa della tragedia». Questa è un’idea che lo ossessiona e che lo illumina. A un certo momento ne
L’immagine Robert Motherwell (1915-1991), Untitled / Candelabra (1951, inchiostro su carta, centimetri 36,2 x 64, 8, New York, The Jewish Museum). Si tratta di uno degli studi preparatori per il murale commissionato nel 1950 all’artista americano per la hall della Congregation B’nai Israel di Millburn, nel New Jersey. L’architetto dell’edificio Percival Goodman, oltre a Motherwell, avrebbe coinvolto nel progetto di decorazione anche altri due importanti esponenti dell’astrattismo espressionista americano come Adolph Gottlieb e Herbert Ferber che avrebbero rispettivamente realizzato la Torah Ark Curtain e l’altorilievo And the bush was not consumed
Il barile magico, uno dei suoi racconti più celebri, un personaggio trova proprio nell’ebraismo la consolazione alle proprie angustie, tanto da commentare quasi con soddisfazione: «Un ebreo deve soffrire». Un postulato che Malamud avrebbe di certo potuto sottoscrivere. Ma allora perché, malgrado Malamud non faccia altro che parlarci di questi poveri diavoli, malgrado non faccia altro che scriverne con uno stile così apparentemente trasandato e così severamente disadorno, malgrado non faccia altro che mettere in scena il reiterarsi irrevocabile del grande dramma ebraico... insomma perché, mi chiedevo, malgrado tutto questo, leggere Malamud ti dà una gioia così sottile che ondeggia tra sorriso e commozione?
È questione di tono. Del resto, la narrativa è sempre questione di tono. L’inconfondibile tono Malamud è un impasto calibrato di ironia e pietà. Il suo scabro naturalismo è riscattato dall’ironia, e la miserabile mediocrità dei personaggi è trasfigurata dalla pietà con cui li guarda. È come se la circospezione di Malamud, la paura che lo affligge, coinvolgesse anche lo stile. Malamud è il contrario di un esibizionista. Non concepisce la scrittura come performance. Malamud usa parole semplici, ma mai dozzinali; non ricorre a giri di frasi particolarmente
Nei minimum classics
L’opera omnia con prefazioni d’autore Il 10 aprile sarà in libreria per minimum fax, nella collana minimum classics, L’uomo di Kiev di Malamud, con la prefazione inedita di Alessandro Piperno (traduzione di Ida Omboni), il romanzo che nel 1966 ottenne il Premio Pulitzer e il National Book Award. Dal 2006 l’editore sta pubblicando l’opera omnia dello scrittore al ritmo di un libro all’anno. Finora sono usciti Il migliore (2006, traduzione di Mario Biondi, prefazione di Philip Roth), Una nuova vita (2007, traduzione di Vincenzo Mantovani, prefazione di Jonathan Lethem), Gli inquilini (2008, traduzione di Floriana Bossi, prefazione di Aleksandar Hemon), Le vite di Dubin (2009, traduzione di Bruno Oddera e Giovanni Garbellini, prefazione di Cynthia Ozick), Ritratti di Fidelman (2010, traduzione di Ida Omboni, introduzione di Emanuele Trevi), Il barile magico (2011, traduzione di Vincenzo Mantovani, introduzione di Jhumpa Lahiri), Prima gli idioti (2012, traduzione di Ida Omboni) e Il commesso (2013, traduzione di Giancarlo Buzzi, prefazione di Marco Missiroli).
elaborati e complessi. Per lui la sintassi è uno strumento, non certo un fine. Predilige gli spazi angusti, i sentimenti indefiniti. Poi c’è sempre qualcosa di improbabile. Una nota d’irrealtà che rende l’amalgama ancor più gustosa. Ma persino questa deriva magica viene trattata con garbo. Non scantona mai nel demonismo di Singer, tanto meno nel gotico o nel sovrannaturale. Malamud resta con i piedi per terra. Tanto che il lettore è autorizzato a interpretare il magico in Malamud come la tipica fuga dalla realtà dell’alienato, il delirio di colui che soffre di un serio disagio psichico. E, infine, c’è il sesso. Niente di esplicito. Niente di spericolato. Niente di funambolico. Al punto tale che forse il termine «sesso» non rende bene l’idea. È più cauto parlare di desiderio. Desiderio allo stato puro. Desiderio umiliato. Ancora una volta Malamud è più vicino a Italo Svevo che a Philip Roth. Le tre o quattro pagine de Il giovane di bottega dedicate agli sguardi furtivi che Frank Alpine lancia a Helen valgono tutta l’opera di Henry Miller. Un’ultima cosa, un piccolo rilievo personale che spero il lettore saprà perdonarmi. Ci ho messo parecchio a innamorarmi di Malamud. Quasi vent’anni. Non si può dire che la sua narrativa offra l’alimento di cui il mio palato ha bisogno. Tutta questa sobrietà, tutto questo rigore narrativo non rispondono in alcun modo al mio ideale. Diciamo che Malamud me lo sono fatto piacere, come Zeno Cosini si fa piacere la moglie Augusta. E, proprio come quello di Zeno nei confronti della moglie, ho scoperto strada facendo che il mio amore per Malamud non era un ripiego. Anzi, ho scoperto che esso, come i grandi amori coniugali, aumentava con la pratica e con la consuetudine. Oggi non c’è pagina di Malamud che non mi riempia di ammirazione. C’è qualcosa di tonificante nell’imparare ad amare ciò che non ti somiglia. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Percorsi
Controcopertina
Il patrimonio italiano
La cattedrale fatta costruire da Ruggero II esprime l’intreccio di culture tipico della Sicilia, ma anche la volontà del monarca di affermare il primato sul Papa e sulla Chiesa
Il re delle tessere è normanno dal nostro inviato a Cefalù (Palermo) CARLO VULPIO
Il duomo e i mosaici di Cefalù celebrano un potere che si sottometteva solo a Dio
C’
è un dettaglio, nella meravigliosa cattedrale di Cefalù, che, come tutti i veri dettagli, non solo conta ma fa la differenza. Per l’arte, per la storia, per la politica. Questo dettaglio è il trono del re. Trono che il primo re di Sicilia, Ruggero II, cambiando le regole fino a quel momento condivise, volle spostare dal lato sud al lato nord della basilica. Le consuetudini, anche quelle dei molto pragmatici normanni dei quali Ruggero II era uno dei rampolli più riusciti, volevano che sul lato nord all’ingresso del coro, il lato più prestigioso, stesse il trono del vescovo. Ma Ruggero II, che aveva fatto costruire la cattedrale, decise che su quel lato doveva starci lui, non solo perché era il re, ma perché a lui spettava la giurisdizione sulla Chiesa per la nomina dei vescovi. Non è che tutt’a un tratto Ruggero II si fosse montato la testa. È che non aveva mai dimenticato chi era. Lui era figlio di Ruggero I, suo zio il temuto Roberto il Guiscardo (l’Astuto) e suo nonno Tancredi d’Altavilla, cioè i più efficaci costruttori di quella monarchia normanna che era nata non da bolle, decreti e papiri nascosti, ma dalle imprese militari, per lo più mercenarie, di una élite di spavaldi soldati di ventura di origine norvege-
Qui sopra: un particolare del chiostro del duomo di Cefalù. In alto: il Cristo Pantocratore e, sotto, la facciata della cattedrale e il cratere a calice con scena del venditore di tonno del IV secolo a. C. Foto grande: un particolare dei mosaici del presbiterio. In basso a destra: un aquila-leggio del XII secolo (servizio fotografico di TONY VECE)
se che avrebbero cambiato la storia della Sicilia e dell’Italia meridionale. Ruggero I e suo fratello Roberto il Guiscardo aprirono la strada, sgombrandola dai bizantini (l’ultima roccaforte in Italia, Bari, capitolò nel 1071) e dagli arabi (Palermo, capitale dell’emirato più solido, si consegnò nel 1072). Ma furono duchi di Puglia, Calabria e Sicilia. Mai re. Ruggero II invece venne incoronato re il 25 dicembre 1130, a Palermo, dall’antipapa Anacleto II, che il normanno appoggiava contro il Papa legittimo Innocenzo II. Nemmeno la corona reale però sarebbe stata sufficiente a far scegliere a Ruggero II quel benedetto lato nord per incardinare il proprio trono, se una trentina di anni prima, nel 1098, Papa Urbano II, in occasione della prima crociata, non avesse concesso a suo padre Ruggero I il «legato apostolico». Il che significava attribuire a Ruggero I una funzione di quasi-papa, dal momento che poteva raccogliere le entrate della Chiesa, giudicare le questioni ecclesiastiche in Sicilia e soprattutto scegliere liberamente i vescovi. Al papato questo stava bene, poiché i normanni erano l’unico braccio armato sul quale potesse contare in funzione antimusulmana (arabi) e antiortodossa (bizantini), ma non andò più bene nel momento in cui Ruggero II reclamò per sé, come ereditata, la funzione di legato apostolico del pa-
dre. Su questo punto, la Chiesa prontamente eccepì che quella funzione era da intendersi come concessa alla persona di Ruggero I, non al suo ruolo di signore della Sicilia, e quindi non poteva trasmettersi per via ereditaria. «La controversia si trascinò a lungo e, a distanza di un secolo, sotto Federico II di Svevia (nipote di Ruggero II, ndr), avrebbe avuto conseguenze drammatiche, sfociando nel più violento di tutti i conflitti tra potere secolare e spirituale», scrive David Abulafia in Federico II. Un imperatore medievale (Einaudi).
Intanto, Ruggero II non perse un minuto nel far tradurre in arte la condizione di re che rivestiva e la convinzione di quasi-papa a cui riteneva, non senza fondamento, di aver diritto. E spinto anche da «quell’amalgama di invidia e ammirazione che Bisanzio suscitava nei normanni dell’Italia meridionale» (ancora Abulafia), non esitò a sfoggiare mitra, tunica, dalmatica e sandali rossi, cioè i segni del potere bizantino, ma anche di quello papale. Di più. Nella chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, più nota come la Martorana, a Palermo, un prezioso mosaico ritrae Ruggero II incoronato direttamente da Cristo. Mentre a Cefalù, oltre alla posizione del trono in duomo, di
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Greche di Alice Patrioli
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Il silenzio del vero vincitore Leggere Pierluigi Cappello che scrive di Omero è un lieve volo della mente: seguiamolo, in una giornata di pioggia, fino alla piana di Troia, dove «l’incantatore greco» l’ha condotto. Lì, tra polvere e terra, possiamo vedere «la testa
bruna d’Ettore» e sentire «ma prima che Achille in alto levasse/ via nel cielo/ asta di frassino e urlo di vittoria,/ salire dal corpo del vinto/ il silenzio del vincitore vero» (da Una lettura in Azzurro elementare, Rizzoli, pp. 244, € 10).
SSS Una copertina un artista
Il corpo nudo di New York
cui abbiamo detto, Ruggero II recluta le migliori maestranze in circolazione — greci, ebrei, arabi — per la realizzazione dei mosaici della cattedrale e ingaggia artisti della rinomata scuola romanica pugliese per le finissime decorazioni antropomorfe dei capitelli del chiostro del monastero agostiniano, a cui si accede da una porta della navata sinistra del duomo. L’ideale di assolutismo monarchico di Ruggero II, che vedeva il re come rappresentante di Dio in terra, tocca i suoi vertici. Solo suo nipote Federico II di Svevia lo eguaglierà in questo. Ma adesso è Ruggero II il sovrano che porta il Regno di Sicilia degli Altavilla alla sua massima espansione: l’intera Italia meridionale, più l’isola di Corfù e un «Regno normanno d’Africa» che comprende la Tunisia e Tripoli. È lui che il mondo deve celebrare. Sceglie Cefalù, la Kephaloidion greca (un promontorio «a forma di testa»), poi Cephaloedium romana e infine Gaflud araba, e da qui decide di dare avvio alla «rifondazione ruggeriana», come felicemente la definisce Antonio Franco nel suo Le radici e le pietre. Studi su Cefalù antica (Misuraca editore). Ecco quindi il duomo. Il trono del re sul lato nord. L’idea di collocare due sarcofaghi di porfido per conservare le proprie spoglie (che però sono nel duomo di Palermo, accanto a quelle del nipote Federico II), facendo così del tempio il proprio mausoleo personale. E infine i mosaici. Seicentocinquanta metri quadrati di stupendi mosaici. Non entreremo nella insensata disputa tra i mosaici di Cefalù e quelli di Monreale. Tra chi considera i primi l’espressione «più classica» e «più alta» dell’arte bizantina e chi invece giudica i secondi più belli e più significativi. Diremo però che c’è un «potere assorbente» di Monreale rispetto a Cefalù — forse dovuto a una migliore pubblicità o all’assenza di ostacoli burocratici superabili con «offerte spontanee» — che non è giustificato da nulla. Al contrario, i mosaici di Cefalù, terminati nel 1148, com’è scritto nell’epigrafe sottostante, sono il primo esempio di immagine monumentale in una Sicilia che fino a quel momento, in virtù della dominazione araba, aveva vietato qualunque rappresentazione antropomorfa. Non solo. Il Cristo Pantocratore, la Vergi-
I conquistatori
L’epopea leggendaria dei guerrieri biondi
Poco dopo l’anno Mille cominciarono ad affluire nell’Italia meridionale gruppi di normanni, popolazione di origine scandinava che si era insediata stabilmente in Francia, nella regione tuttora denominata Normandia, durante il X secolo. All’inizio furono ingaggiati come mercenari, ma poi presero ad operare in proprio e fondarono in Campania la città di Aversa. Più avanti la famiglia normanna degli Altavilla estese man mano il proprio dominio in tutto il Sud, sconfiggendo i longobardi, i bizantini e il papa Leone IX. Nel 1061 Ruggero I d’Altavilla sbarcò in Sicilia, allora dominata dagli arabi, e dopo un decennio di dure lotte conquistò Palermo nel 1072. Suo figlio Ruggero II fu incoronato re di Sicilia nel 1130: la sua vita e le sue imprese sono state ricostruite dallo storico Hubert Houben nel libro Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra Oriente e Occidente (Laterza, 1999). Lo stesso Houben ha appena pubblicato l’opera di sintesi I normanni (Il Mulino, pp. 144, € 12).
ne, gli Arcangeli Uriele, Raffaele, Gabriele e Michele, i Dodici apostoli, i Santi e i Profeti, gli Angeli e i Serafini ritratti nella curva dell’abside, sulle pareti del presbiterio e sulla volta, sono mosaici particolari, unici, poiché si tratta di «mosaici dipinti», realizzati fondendo tessere e pittura. Lo scoprì nel 2001, durante i lavori di restauro della cattedrale, Maria Andaloro, docente di Storia dell’arte medievale all’università di Viterbo. «Mi sono accorta — dichiarò Andaloro — che le figure rappresentate sia nell’abside che nelle pareti erano ricoperte di pittura. Ero di fronte al primo esempio di comunione tra due tecniche ideologicamente distanti. L’uso della pittura, in questo tipo di opere, da un lato soddisfa un’esigenza puramente cromatica, per cui si cercano di ottenere dei colori che in natura non potremmo trovare, e dall’altro permette di intervenire all’interno del disegno strutturale. I mosaici di Cefalù da questo punto di vista sono un caso esemplare, non riscontrabile in nessun’altra opera». I mosaici sono maestosi, impressionanti, luminosi. E pieni di fiori. «Vi è un trionfo e una pioggia di fiori. Festoni, fasce, ghirlande, profili. Oltre a ori e argenti, smalti, paste vitree, ossidiane, agate, diaspri, madreperle, porfidi rossi e serpentini verdi», scrive, entusiasta, monsignor Crispino Valenziano nella sua Introduzione alla basilica cattedrale di Cefalù (Opera del Duomo edizioni). La conca dell’abside è riempita dall’enorme e bellissima figura del Cristo Pantocratore, che «parla» con le mani. Due dita della mano destra (indice e medio uniti) indicano la natura umana e divina di Cristo, le altre tre (anch’esse unite) il mistero della Trinità. La mano sinistra invece regge un Evangelario aperto, nel quale, in greco e in latino, si legge: «Io sono la luce del cosmo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Sotto il Cristo, la Vergine orante, la Madre di Dio, l’unica donna ritratta in tutta la decorazione musiva, che veste come una principessa e poggia su un cuscino di porpora gemmata che sembra una nuvola, mentre gli Arcangeli che sono accanto a lei le si rivolgono con atteggiamento devoto.
Nel 2015 finalmente la cattedrale di Cefalù e i suoi mosaici entreranno a far parte del patrimonio mondiale dell’umanità e ogni altra questione di primazia passerà in secondo piano, visto che nell’albo d’oro dell’Unesco, insieme con Cefalù, ci saranno anche Monreale e Palermo, e le tre città avranno tutto l’interesse a promuovere un «itinerario arabo-normanno» comune. Il cui vero nemico è nella secolare inadeguatezza delle infrastrutture (la ferrovia, i collegamenti con mezzi pubblici) proprio lungo il tragitto tra Palermo e Messina, quella prospera Via Valeria dei Romani al centro della quale si trova Cefalù, che grazie ai transiti commerciali non ha mai vissuto momenti di vera e propria depressione economica. Lo sa bene anche il neosindaco, Rosario Lapunzina, che dopo il protocollo Unesco ha firmato altri due documenti. Il primo è l’adesione di Cefalù — attraverso la fondazione russa Metropoli, nata per recuperare la cultura del millenario impero euroasiatico bizantino — all’associazione delle città russe e italiane «Eredi di Bisanzio». Il secondo riguarda il rischio di chiusura del museo «Mandralisca», che, insieme con la Rocca e il cosiddetto Tempio di Diana che lassù resiste, è una delle principali ricchezze di Cefalù. Il «Mandralisca», frutto della lungimiranza del barone Enrico Piraino di Mandralisca, meriterebbe un capitolo a parte. Qui ricorderemo soltanto il Ritratto d’uomo, uno dei capolavori di Antonello da Messina, «che ha un sorriso malefico, beffardo — ha scritto Vittorio Sgarbi — e sembra proprio la fototessera di un mafioso capace di ogni nequizia», e il Venditore di tonno, vaso greco della prima metà del IV secolo avanti Cristo, proveniente da Lipari. Il vaso raffigura una scena di compravendita di tonno tra due persone che sembrano due caricature e fece scrivere a Guido Piovene: «Vi è qualche cosa nella vita spicciola siciliana che è rimasta immutata per oltre due millenni». © RIPRODUZIONE RISERVATA
È il corpo di New York. Un corpo «nudo», dipinto con la verità dello sguardo di chi vive la sua energia, di chi ne conosce dolori, opportunità, cinismi, delusioni e successi. New York, simulacro di tante vite, ma solo evocate e proiettate in un orizzonte senza confini. Il sogno di New York è lì, nel cielo azzurro, terso, delimitato da linee orizzontali e verticali, quasi a definire in una griglia prospettica il bisogno di una disciplina, di un ordine necessario. Bernardo Siciliano (Roma, 1969) è uno dei pochi artisti delle nuove generazioni che difende il valore della pittura e infatti dà vita nel suo studio di Brooklyn (dal 1996 vive a New York) a opere in cui alterna paesaggi urbani a ritratti familiari o di modelle che ritrae con una potente e provocatoria sensualità. Immaginifico voyeur, Siciliano osserva e vive il destino della sua città con intensità. E sembra metterla a nudo come le sue donne. In un passo del libro Colazione da Tiffany, Truman Capote scrive: «Notai che la casella dell’appartamento numero due era contrassegnata da un bigliettino perlomeno strano. (…) Il biglietto diceva: Signorina Holiday Golightly, e sotto, in un angolo: in transito». Forse, anche Siciliano ci ricorda con i ritratti di una New York densa di umanità celate, di illusioni e grandi speranze, che siamo avvolti da un destino comune, lo stesso della nostra amata Holly: siamo semplicemente «in transito». (gianluigi colin)
Supplemento culturale del Corriere della Sera del 16 marzo 2014 - Anno 4 - N. 11 (#121) Direttore responsabile Condirettore Vicedirettori
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Dedicato all’amore che sa durare. È ancora possibile oggi conservare un amore e perdonare il tradimento? Decidere di restare con qualcuno che torna? Concita De Gregorio, la Repubblica
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