Il Pascolamento Razionale Voisin Gestire gli animali al pascolo aumentando rese del foraggio e fertilitĂ del suolo
Introduzione
Il settore zootecnico in Italia Se c’è un settore della produzione agro-zootecnica che ha accusato più di altri i limiti del processo industriale, è forse quello dell’allevamento. Le aziende hanno dovuto affrontare dagli anni ’60 ad oggi una continua domanda di ammodernamento e specializzazione per andare incontro alle esigenze del mercato. Sono stati richiesti investimenti in strutture e mezzi tecnici per contrastare il forte aumento dei costi di produzione e il quasi impercettibile aumento dei prezzi. Se prendiamo il caso della Lombardia, il prezzo del latte in stalla è rimasto praticamente costante dal 1995 ad oggi, attorno ai 35 centesimi al litro riconosciuti all’allevatore, con fluttuazioni minime attorno a questa cifra. Nello stesso periodo, il prezzo del latte per le famiglie è passato dai 98 centesimi del 1995 a quasi 1,5 € nel 2017. Stando ai dati dell’Istat, nel periodo 2002-2016 si sono persi 310 operatori del settore lattiero-caseario tra aziende agricole, centrali del latte, cooperative, caseifici e centri di raccolta. Se si esclude il settore equini/ovini/caprini che è cresciuto sensibilmente (28%), il numero di capi di bestiame è diminuito costantemente dall’inizio degli anni 2000 ad oggi. I capi bovini e bufalini sono scesi di oltre il 4%, mentre i suini hanno avuto una flessione del 7%. Questa situazione si inserisce in un contesto di perdita inesorabile di aziende agricole in atto da decenni. Analizzando solo il periodo 2000-2014, hanno cessato l’attività 775.000 aziende, pari al 32% del totale. Alla luce di questi numeri assume ben poca importanza l’aumento delle giovani aziende, accolto con grande entusiasmo da istituzioni e organizzazioni di categoria. Le imprese condotte da giovani con meno di 35 anni rappresentano poco più del 7% del totale, contro il 22% della Francia e il 19% 3 della Germania.
Le conseguenze del sottocosto Pensiamo che uno dei tanti motivi che hanno portato alla crisi descritta per l’Italia (ma i dati sono simili per tanti paesi europei e per gli Stati Uniti) sia la ricerca continua del basso prezzo per le derrate alimentari e per la carne. A causa della crescente richiesta di carne dei paesi emergenti e dalle nazioni che esportano petrolio, il prezzo della carne è crollato tra il 2010 e il 2015, attestandosi attorno ai 4 dollari al chilo per il manzo, a circa 3,5 dollari al chilo per gli ovini e a meno di 1,5 dollari al chilo per il pollo e il maiale. Entro il 2025 i prezzi sono previsti in leggera risalita, facendo eccezione per quelli del maiale, trascinati in basso soprattutto dalla crescita di allevamenti in Cina (OECD/FAO, 2016). Quando siamo al supermercato o quando parliamo con un allevatore la domanda che non ci poniamo mai è questa: qual è il costo della carne a basso costo? Nella ricerca continua dell’offerta al banco, del sottocosto, della promozione del momento non vediamo il prezzo nascosto delle nostre scelte di consumo. L’allevamento usa l’80% della superficie agricola mondiale, il 40% della produzione mondiale di cereali, il 10% dell’acqua del pianeta (Caparrós, 2014): se dovessimo conteggiare tutte le esternalità negative di questa attività produttiva, quanto dovrebbe costare il filetto di manzo? E il petto di pollo? Se non alziamo gli occhi dal piatto non possiamo vedere le conseguenze delle nostre scelte alimentari. Di seguito se ne citano alcune. La veloce degradazione delle risorse naturali negli ultimi 70 anni. Lo sviluppo dell’agroindustria ha permesso di raggiungere risultati strabilianti in termini di produttività dal dopoguerra ad oggi, ma ha portato ad un veloce impoverimento dei suoli.
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Per sopperire al crollo di fertilità dei terreni si ricorre all’applicazione di fertilizzanti chimici: nel mondo se ne usano 200 milioni di tonnellate all’anno (FAO, 2015). La produzione di carne è responsabile dell’80% dell’uso di fosforo e azoto a livello mondiale (GPNM, 2013). L’uso crescente dei fertilizzanti riduce ulteriormente il margine economico per i produttori. L’efficienza dei fertilizzanti è molto bassa: secondo uno studio coordinato dalla FAO (GPNM, 2013) si disperdono nell’ambiente più dell’80% dell’azoto, e dal 25% al 75% del fosforo impiegati in agricoltura. Oltre allo spreco di energia usata per produrli, questi concimi sono dannosi perché finiscono nell’acqua sotto forma di nitrati e fosfati e nell’atmosfera sotto forma di ammoniaca e protossido di azoto. L’installazione, diffusa soprattutto nel continente americano, di allevamenti industriali di grandi dimensioni con migliaia di bovini o suini, o milioni di polli sono delle vere bombe biologiche, in cui milioni di metri cubi di liquami prodotti aggravano il problema dell’inquinamento da fertilizzanti chimici delle falde e dei mari. L’allevamento è una delle maggiori fonti di emissione di gas serra in atmosfera. Con 7,1 gigatonellate di CO2 equivalente prodotta, le attività zootecniche incidono per il 14,5% del totale delle emissioni di gas serra, derivanti da attività umane (FAO, 2013). Quasi la metà del gas prodotto è metano (CH4), mentre l’altra metà è suddivisa equamente tra anidride carbonica (CO2) e protossido di azoto (N2O). Tra tutte le fonti di emissioni del sistema-allevamento a livello globale i valori più importanti sono rappresentati dalla produzione e trasformazione dei mangimi, che incidono per il 45% e la fermentazione digestiva dei ruminanti, che provoca il 39% delle emissioni.
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Potremmo continuare a lungo citando lo sfruttamento del lavoro nei grandi mattatoi industriali, l’erosione dei suoli, la perdita biodiversità , l’abbattimento di milioni di ettari di foreste primarie per fare spazio agli allevamenti, le condizioni tremende in cui sono allevati gli animali. Insomma, crediamo che anche questi dati, per quanto parziali, ci impongano di immaginare e praticare un nuovo modello produttivo efficiente e sensato dal punto di vista sociale, economico, ambientale e della salute pubblica.
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Un modello più sostenibile 200 milioni di tonnellate all’anno (FAO, 2015). La produzione Una parte della risposta a questi enormi squilibri mondiali potrebbe arrivare da una gestione più efficiente dei luoghi che per migliaia di anni hanno provveduto al benessere di milioni di persone e alla conservazione delle risorse naturali: i pascoli e le praterie, che ricoprono 3,3 miliardi di ettari del pianeta (FAO, 2017). La migliore gestione dei pascoli e delle mandrie è individuata dalla FAO (2017) come una delle chiavi per ridurre l’impatto dell’allevamento sul cambiamento climatico, riducendo le emissioni di un 20-30%. L’alimentazione incide in modo significativo sulla salute animale e sulla qualità della carne. È stato dimostrato che bovini allevati completamente ad erba accumulano una concentrazione maggiore di omega 3 nelle carni e nel latte, oltreché di precursori della vitamina A ed E ed altre sostanze antiossidanti. La differente concentrazione di acidi grassi e altre sostanze nella carne derivata da bovini allevati solo con erba dà al prodotto un sapore diverso rispetto alla carne allevata con concentrati. Inoltre, la sua composizione risulta essere più bilanciata rispetto alle esigenze nutrizionali dell’uomo (Daley, 2010). Il sistema produttivo intensivo, ma anche quello estensivo o semiestensivo, se mal gestiti, espongono gli animali a rischi che possono influire sulla loro salute. Nei bovini alimentati con grandi quantità di concentrati, ad esempio, si può più sviluppare più facilmente una condizione di acidosi sia clinica che sub-clinica che può sfociare nella comparsa di varie patologie. Anche i sistemi estensivi o semi
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estensivi nascondono dei rischi che predispongono gli animali allo sviluppo di altrettante patologie legate soprattutto alle parassitosi ed alle carenze nutrizionali. Il pascolo razionale, se ben gestito, riduce alcuni dei rischi contenuti nei vari sistemi produttivi oggi più diffusi. Un allevatore che voglia basare il suo sistema produttivo sul pascolo, prima di essere un allevatore di bestiame, dovrebbe considerarsi come un produttore di foraggi e vedere le cose prima dal punto di vista dell’erba, ma senza trascurare le esigenze degli animali che ci aiutano a gestire e valorizzare questa produzione. Per poter avere una visione reale del sistema, tuttavia, non basta seguire gli animali e osservare l’erba, ma va data grande attenzione al suolo. Da qui ha origine ogni processo produttivo, e nel suolo si ripercuotono gli effetti deleteri o virtuosi delle pratiche agronomiche e zootecniche. Col nostro lavoro, e quindi mettendo gli animali al pascolo, possiamo incrementare la fertilità del suolo, o depauperarla velocemente. Altri aspetti fondamentali da considerare sono un’adeguata selezione genetica degli animali, la riduzione delle malattie e dei parassiti, la selezione di specie foraggere e l’integrazione minerale e proteica alla dieta a base di foraggio. In questo testo ci concentreremo sulla gestione del manto erboso e sull’impatto positivo dal punto di vista agronomico, economico e ambientale che può apportare una gestione efficiente dei pascoli e degli animali.
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La storia e le tecniche del Pascolamento Razionale
Le origini del Pascolamento Razionale In una conferenza TED del 2013, il biologo zimbabwano Allan Savory riprende i concetti sviluppati in un suo libro del 1999. Savory racconta come nella sua esperienza professionale in Africa aveva visto enormi aree avviarsi verso la desertificazione nel giro di pochi anni. Questo processo era coinciso con l’istituzione dei parchi naturali nati per proteggere la fauna selvatica. La stessa dinamica la osservò una volta trasferitosi negli Stati Uniti, dove molte zone che erano ricadute nei parchi nazionali iniziarono a degradarsi perdendo la naturale copertura di specie vegetali. Dopo anni di supposizioni ed errori, che lo avevano portato anche a far abbattere migliaia di elefanti credendo che fosse il loro numero eccessivo la causa della degradazione dei suoli, Savory iniziò a osservare la fauna selvatica. Notò che le grandi mandrie di erbivori selvatici si spostano in gruppi molto compatti, spinti continuamente dalla minaccia dei predatori. Inoltre, questi animali non amano mangiare sulle proprie deiezioni e sono portati ad errare perennemente. In quel momento si accese la lampadina nella testa del biologo, che si disse: “Sta’ a vedere che la degradazione dei parchi africani e statunitensi è dovuta all’allontanamento dai pascoli delle mandrie allevate!”.
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Il ragionamento era semplice: in assenza del pascolamento e del disturbo animale gli organi aerei delle specie erbacee perenni, una volta andati a seme, muoiono e ricadono su se stessi, ossidandosi e soffocando o compromettendo seriamente il ricaccio dell’erba l’anno seguente. Così, se per alcuni anni si accumula biomassa secca sulla base delle piante foraggere, queste non riescono a far ripartire il loro ciclo vitale e muoiono. Al loro posto rimangono macchie di terra nuda che si espandono velocemente, anno dopo anno. Le idee di Savory vennero supportate da un vecchio libro, Productivité de l’herbe (1957), scritto da un biochimico e agricoltore francese, André Voisin. Il lavoro di Voisin è la base tecnica e teorica della gestione del pascolamento che in tante zone del mondo è stata messo in pratica.
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La fisiologia delle piante erbacee perenni Per capire a fondo le conseguenze della brucatura degli animali (bovini, ovini o caprini) su un pascolo, è importante conoscere la fisiologia delle specie erbacee perenni, che normalmente sono usate dagli allevatori. Voisin costruì una curva di crescita dei pascoli della sua azienda in Francia, misurando l’altezza dell’erba giorno per giorno. Il grafico che venne fuori riportava sulle ascisse il tempo e sulle ordinate la quantità di materia fresca prodotta giorno per giorno. La curva era una sigmoidea, con un inizio e un finale lenti e una parte centrale molto veloce. Fatte le solite raccomandazioni sull’unicità di ogni luogo e la specificità di ogni azienda, possiamo assumere la curva di crescita creata da Voisin come valida per la maggior parte dei pascoli delle aree temperate. Come possiamo vedere dalla figura 3, una pianta foraggera prima di essere pascolata (stadio 4) presenta sia la parte aerea che l’apparato radicale molto sviluppati. Durante la sua attività la pianta ha trasformato l’energia solare in zuccheri e li ha usati in parte per crescere, in parte li ha inviati sotto il colletto e alle radici
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stoccando carboidrati. Parte di questi si è trasformata in essudati radicali, essenziali nel processo di umificazione del terreno. Questo grande magazzino sotterraneo di carboidrati rimane inutilizzato durante l’inverno, ma permette alla pianta di ripartire in primavera e dopo che è stata pascolata. Vedremo come la gestione di questa dispensa sotterranea di zuccheri è fondamentale per garantire salute e produttività sia al pascolo che al bestiame. Dopo il passaggio degli animali, la pianta si riorganizza e si avvia un processo che, ancora una volta, vogliamo semplificare e generalizzare per renderlo più comprensibile. Tornando all’immagine che ritrae la pianta nei suoi diversi stadi di sviluppo possiamo capire cosa succede. Nel disegno, ogni stadio della pianta si compone di tre elementi: la parte aerea, lo sviluppo delle radici e una colonnina che indica il livello di carboidrati di riserva accumulati. La pianta affronta i cambiamenti descritti in seguito. Stadio 1: viene brucata quando si trova al massimo dello sviluppo radicale e di energia accumulata; dopo la brucatura una parte delle radici muore. Stadio 2: qualche giorno dopo la pascolata, l’erba non è in grado di fare fotosintesi perché non ha le foglie, o se è rimasto qualche tessuto verde è capace di fotosintetizzare solo a livelli minimi; dunque richiama i carboidrati di riserva sotto al colletto per ricostituire i propri tessuti. Così quasi tutte le sostanze di riserva vengono consumate per ripartire. In questo stadio la maggior parte
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delle specie foraggere è povera in fibra e ricca di composti azotati solubili (Pinheiro, 2014) che, se pascolati, possono dare diarrea agli animali. È per questo che, se in una particolare situazione di emergenza si dovesse pascolare prima del momento ideale, si raccomanda di aggiungere 4-5 kg di paglia all’erba eccessivamente fresca (Elizondo, 2017). Inoltre, l’erba molto giovane è carente di calcio e magnesio, elementi indispensabili per il corretto sviluppo degli animali (Zambon, 2015). Stadio 3: dopo alcuni giorni o settimane, a seconda delle zone, la pianta è al massimo ritmo di crescita, e grazie allo sviluppo elevato dei tessuti verdi può ricominciare a mandare alle radici sostanze di riserva. In questa fase l’erba si sta preparando ad essere pascolata di nuovo. Stadio 4: quando la parte ripida della curva sigmoidea è al suo culmine, la pianta ha già accumulato molte sostanze di riserva e si prepara a fiorire. Questo momento, che Voisin chiamava “punto ottimo di riposo”, coincide con lo stadio di botticella per le Graminacee e di bottone fiorale per le Leguminose. Generalmente, nelle graminacee, lo stadio di botticella coincide con l’ingiallimento delle prime foglioline basali.
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È adesso che gli animali devono tornare a pascolare l’appezzamento perché: • le sostanze di riserva sono cospicue così da far ripartire bene la pianta; • l’azoto è sotto forma di amminoacidi, più salutari di nitrati e nitriti (Pinheiro, 2014); • c’è un buon contenuto di fibra, che equilibra l’azoto; un buon rapporto tra fibre e amminoacidi/ proteine è fondamentale per consentire una digestione ottimale, soprattutto ai ruminanti; • c’è il rapporto migliore tra tempo e velocità di crescita: da questo momento, la pianta crescerà più lentamente. Nel loietto, ma anche in tutte le altre specie foraggere delle Graminacee, ci sono sempre tre foglie vive: quando la quarta foglia spunta, muore la prima, la più giovane. Il momento migliore per pascolare è quando la terza foglia è avviata oltre la metà del suo sviluppo. Aspettare il ricaccio della quarta foglia significa lasciare morire la prima, e quindi proporre agli animali una parte disseccata della pianta, poco appetibile.
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Stadio 5: la pianta è in piena fioritura nelle Leguminose e in spigatura nelle Graminacee. La crescita è rallentata o bloccata. In questa fase vengono richiamate dalla parte aerea gran parte delle sostanze di riserva per avviare la fase riproduttiva. La richiesta di acqua al suolo da parte delle piante è massima. Da questo momento inizia il declino dell’erba e il contenuto di fibra aumenta esponenzialmente fino alla disseminazione e alla morte con il conseguente disseccamento. Il loietto è una delle specie che dopo la spigatura diventano più fibrose, rendendosi meno appetibile per gli animali, mentre i trifogli mantengono una buona qualità anche in fase di disseminazione. Nel nostro paese tutto questo ciclo ha una durata molto variabile: per completarsi può impiegare da poche settimane nei pascoli irrigui di pianura ad alcuni mesi, o addirittura un anno, nei pascoli di alta montagna.
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Le basi del pascolamento razionale Guardando i volantini che pubblicizzano i prodotti delle aziende zootecniche spesso si legge “animali allevati al pascolo brado”. L’associazione di idee che facciamo immediatamente è: animali felici, prodotti di qualità, rispetto della natura. Però, aggiungendo qualche elemento sulla fisiologia animale e tornando a guardare lo schema sugli stadi vegetativi ci accorgiamo che le cose, probabilmente, non stanno così. Cosa succede in un pascolo brado? Le mandrie hanno un grandissimo spazio a disposizione e sono libere di cercarsi le erbette che più le soddisfano, giusto? Non proprio, perché gli animali sono programmati per pascolare non più di un determinato numero di ore al giorno: pecore e vacche pascolano per circa 8 ore, mentre le capre, che sono più selettive, circa 11 ore (Zambon, 2015). Questo significa che se il pascolo non è di alta qualità, come spesso accade, le bestie non sono in grado di soddisfare i propri bisogni alimentari nel periodo dedicato alla raccolta dell’erba. E perché il pascolo non è quasi mai di alta qualità? Perché le vacche, le pecore, le capre hanno la massima libertà di selezionare ciò che più le soddisfa, pascolando le specie più appetibili, più profumate o più facili da brucare. Se trovano una pianta interessante, come un bel cestone di erba mazzolina allo stadio 4 della figura 3, lo brucano fino al colletto e se ne vanno felici. Dopo qualche giorno, si ricordano che in quell’angoletto c’era un bel cesto di erba mazzolina e tornano a brucarlo.
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Il problema è che adesso quella pianta si trova allo stadio 1 o 2 e sta usando tutte le riserve per ricacciare. Una volta ripascolata, l’erba mazzolina, o qualunque altra specie, deve ripartire da capo e usare le poche sostanze di riserva rimaste in magazzino per emettere nuovi germogli. Ma magari di là si trova a passare un’altra vacca o pecora e la nostra povera erba è pascolata di nuovo. Dopo alcune brucature così, la pianta non ha più carboidrati di riserva e muore. Al suo posto si insedia una specie pioniera, sicuramente meno pregiata dal punto di vista foraggero, o rimane un buco vuoto e scoperto, che con la pioggia si erode e col calpestio degli animali si compatta. Il pascolo selettivo diventa un grande problema quando il carico animale (cioè il numero di animali ad ettaro) è molto basso e il tempo di permanenza è abbastanza lungo da consentire il ricaccio dell’erba già pascolata. Come abbiamo visto gli animali, se possono scegliere, raccolgono l’erba più assiduamente in quelle aree del pascolo ricoperte da specie più appetibili che a lungo andare vengono sostituite da macchie vuote e macchie in cui le piante meno pregiate vanno a seme. Questo processo si chiama sovrapascolamento ed è la dinamica che porta rapidamente al declino dei pascoli per la minore produzione e la minore qualità del foraggio.
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CosÏ, invece di animali felici, alleviamo pecore, vitelli e capre costretti, per cercarsi il cibo, a fare mezzofondo o trekking, a seconda della morfologia delle aziende. In questo modo dissipano tantissima energia nel camminare e il prodotto finale, soprattutto la carne, è di minore qualità , piÚ fibrosa e muscolosa per tutto l’allenamento che gli abbiamo fatto fare. Ricomponendo il collage di storia, biologia e fisiologia vegetale, siamo in grado di gettare le basi per progettare un sistema di pascolamento efficiente e razionale.
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Le origini del Pascolamento Razionale Il pascolo deve essere ricco di specie differenti per garantire il massimo apporto di energia, proteine e fibra agli animali. Maggiore è la densità dell’erba, minori sono i problemi di erosione e compattamento.
Alto carico animale Il sistema UBA, acronimo di “Unità di Bestiame Adulto” correntemente usato in zootecnia, è stato creato in relazione all’apporto di azoto e non in base alla disponibilità di foraggio (Zambon, 2015). Un sistema di pascolamento efficiente deve mettere in relazione il numero di animali con la disponibilità di erba. È necessario far pascolare un numero elevato di animali per ettaro in un tempo relativamente breve per aumentare la redditività dell’azienda attraverso la non selettività del pascolamento e la corretta gestione delle deiezioni. Non selettività del pascolamento. Gli animali devono mangiare la maggior parte del foraggio che hanno a disposizione nel tempo loro fornito, lasciando al massimo il 20% di erba. In questo modo le foglie dell’erba, essendo state pascolate, non si disidratano e la pianta, stimolata anche dalla luce solare che adesso arriva in modo più diretto a colpire la porzione germinativa, può richiamare tutti i carboidrati di riserva per ricacciare. Inoltre, instauriamo una competizione alla pari tra tutte le specie nel momento del ricaccio. Il foraggio, al momento del pascolamento, deve essere molto denso ma non dovrebbe superare i 25-30 cm di altezza. Con l’erba molto alta c’è uno spreco elevato a causa del calpestio degli animali (Undersander, 2014), che tra l’altro sono obbligati a interrompere l’azione di raccolta per masticare.
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Corretta gestione delle deiezioni. Un bovino adulto può produrre 25-30 kg di letame e 10-12 litri di urina al giorno (Undersander, 2014). Il letame e l’urina sono una stupenda fonte di nutrienti e sostanza organica, ma possono essere assimilati velocemente dal terreno solo con un alto carico animale. Gli animali, molto vicini tra loro, lasciano una grande quantità di deiezioni per unità di superficie, e questo permette di apportare una grande quantità di nutrienti e sostanza organica, che viene degradata dalla microbiologia del terreno, dei lombrichi e da molti altri invertebrati, tra cui gli stercorari che se ne nutrono. Inoltre, con un pascolo non selettivo e un alto carico animale, le deiezioni sono ben distribuite in tutta la parcella. Ogni sito in cui è stata depositata una deiezione diventa una macchia dove l’erba cresce più rigogliosa e sana; queste macchie di fertilità tendono a unirsi con il succedersi dei cicli di pascolo e portano la parcella a una maggiore produzione di erba. Un altro vantaggio che deriva dal calpestio è la rottura della crosta superficiale del terreno quando questo è nudo. Tale “lavorazione” superficiale, insieme alla forte concimazione, è in grado di togliere la dormienza ai semi di specie di alto interesse foraggero che erano rimaste penalizzate dallo sviluppo delle piante pioniere e poco appetibili. Il fenomeno provoca un aumento della qualità generale del pascolo, e un aumento della diversità di specie foraggere altamente palatabili.
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Undersander (2014) ci dice che gli animali non amano mangiare sull’erba ricresciuta attorno alle proprie deiezioni, ma non hanno problemi a consumare quella rinata sul letame di altre specie. Anche per questo, come vedremo, è molto vantaggioso succedere specie diverse di animali sulla stessa parcella.
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Rispetto del tempo di riposo Per aumentare gradualmente la produttività del bestiame e del foraggio è fondamentale non sovrapascolare e non stressare il pascolo. Il sovrapascolamento non si verifica quando ci sono troppi animali in una parcella, ma quando il bestiame staziona troppo tempo nello stesso recinto o quando vi ritorna troppo rapidamente. Ciò accade nel caso del pascolo brado, in cui le pecore, i cavalli, le capre o le vacche possono tornare a brucare le piante che hanno appena pascolato. Riprendendo lo schema precedente, gli animali devono lasciare la parcella prima che le prime piante brucate possano ricacciare. Potranno poi tornarci soltanto quando le piante hanno recuperato appieno e si trovano di nuovo allo stadio di bottone fiorale per le Leguminose o di botticella per le graminacee (Voisin, 1957). Per conoscere esattamente il tempo minimo e massimo di riposo del proprio pascolo ogni allevatore dovrebbe contare quanti giorni, dopo il passaggio degli animali, l’erba impiega a tornare allo stadio 4 del solito grafico o, come diceva Voisin, al “punto ottimo di riposo”. Nella stessa azienda il tempo di recupero può variare da stagione a stagione a seconda delle temperature e della piovosità.
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Spostamenti frequenti Per evitare il sovrapascolamento, gli animali vanno spostati prima che le prime specie erbacee pascolate ricaccino. Non esiste un tempo di permanenza ideale nello stesso recinto, l’importante è che gli animali abbiano lasciato la parcella prima che l’erba inizi a rispuntare. Per applicare al pascolo un elevato carico animale istantaneo, molti allevatori tendono a spostare il bestiame ogni giorno. Voisin (1957) indicava in 3 giorni il tempo massimo di permanenza nello stesso recinto. Gli spostamenti vanno organizzati in base alla logistica aziendale e alla fisiologia dell’erba, parametri che spesso non si conciliano. L’ideale sarebbe spostare le mandrie non nella parcella vicina, ma in quella che si trova esattamente nel “punto ottimo di riposo”. Attenzione però: anche il sottopascolamento, prodotto da un periodo di riposo troppo lungo, può essere dannoso. Infatti, in assenza prolungata di animali, il ciclo dei nutrienti contenuti nell’erba, predigeriti nello stomaco o negli stomaci degli erbivori e restituiti al terreno attraverso le deiezioni, rallenta. In ambienti aridi, come abbiamo visto dall’esperienza di Allan Savory, questo processo può portare a una rapida desertificazione. In aree con precipitazioni più costanti si assiste invece all’entrata nel pascolo di specie arbustive e arboree pioniere, che annunciano la riconquista delle aree pascolive da parte del bosco. È ciò che registriamo da decenni nei pascoli alpini e appenninici dell’Italia centro-settentrionale.
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Animali diversi al pascolo Gli animali hanno preferenze alimentari diverse e consumano il foraggio con modalità differenti. I bovini, per la conformazione anatomica della bocca, non riescono a prendere o selezionare la singola pianta, ma strappano ciuffi d’erba che in prati polifiti possono contenere diverse specie vegetali. Gli equini, al contrario, grazie ai loro incisivi ed alla mobilità delle loro labbra riescono a selezionare le singole specie erbacee molto di più rispetto al bovino. Le pecore hanno preferenza per le specie foraggere, mentre le capre, eccellenti selezionatrici, considerano il foraggio quasi un ripiego, preferendo foglie e giovani germogli di piante arboree e arbustive.
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Anche la capacità digestiva dei vegetali cambia molto tra i nostri animali. I bovini non possono ingerire eccessive quantità di foraggio di bassa qualità o eccessivamente lignificato, perché la lignina non è attaccabile dalla flora batterica e quindi tende a ristagnare nel rumine. Di contro, i caprini e in misura minore gli ovini, riescono a sfruttare porzioni della cellula vegetale che altri non riescono a digerire. Gli equini, invece, non essendo dotati di prestomaci, possono ingerire foraggi ad alto contenuto di lignina. Questi infatti riescono ad attraversare il tratto digerente senza particolari problemi. Un cavallo o un asino rispetto ad un bovino, in proporzione, riescono ad estrarre meno nutrienti per chilo di erba, ma sono in grado di ingerire quantità maggiori di foraggio di più bassa qualità e soddisfare comunque i loro fabbisogni. Per gli allevatori che possiedono animali di specie diverse è molto semplice massimizzare lo sfruttamento del pascolo. Si possono introdurre le specie più rustiche come le capre e le pecore subito dopo la pascolata degli animali un po’ più esigenti come i bovini. Oppure restando nell’abito della stessa specie, si possono alternare classi fisiologiche diverse. Ad esempio, si possono introdurre le vacche in asciutta dopo il passaggio delle vacche in lattazione. In questo modo si hanno diversi vantaggi: • si ripulisce la superficie dall’erba rimasta in piedi o brucata parzialmente; • si consuma il foraggio non utilizzato in precedenza perché cresciuto attorno al letame; • si spargono ulteriormente le deiezioni (lo svantaggio è che parte del loro contenuto, soprattutto quello azotato, si può volatilizzare più velocemente); • si torna a concimare con nuovo letame e nuova urina.
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Sull’esempio dell’agricoltore statunitense Joel Salatin si sta diffondendo anche il pascolo mobile delle galline dopo il passaggio dei bovini o delle pecore. Le galline si nutrono dei semi e dell’erba rimasta a terra, ma soprattutto vanno a razzolare in mezzo alle deiezioni alla ricerca di larve e lombrichi, diminuendo la carica parassitaria della specie ruminante, ottima integrazione proteica alla loro razione. Inoltre, scavando spargono il letame favorendone una più veloce degradazione. Solitamente, un rapporto equilibrato tra capi bovini e pollame è di 1:3 o 1:4.
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Integrazione del foraggio con gli alberi In un sistema pascolivo efficiente la presenza degli alberi è essenziale, anche in misura di qualche centinaio di piante all’ettaro. Troppo spesso gli alberi sono considerati come un ingombro dagli allevatori, ma nell’ultimo periodo si sta iniziando a dare valore ai sistemi agrosilvopastorali. In queste strutture produttive il ruolo dell’albero è centrale, e la sua multifunzionalità è sfruttata al massimo. In un’azienda con animali, il contributo delle specie arbustive ed arboree è determinante per tanti aspetti, che approfondiamo nelle prossime righe.
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Integrazione foraggera. Le foglie contengono elevate quantità di proteine e spesso sono altamente digeribili, soprattutto all’inizio della stagione. Il loro apporto alla dieta dei bovini può arrivare fino al 30% della razione totale, mentre le capre possono arrivare a coprire quasi tutta la dieta con materiale forestale. Le foglie possono essere somministrate in vari modi: • brucatura libera di piante presenti nel pascolo o piantumate in sistemi agrosilvopastorali; • portando i rami freschi più bassi appena tagliati degli alberi forestali nel pascolo; • facendo un “fieno di alberi”, cioè potando i rami o tagliando i polloni quando le foglie contengono il massimo di nutrienti, verso la metà di giugno, ed essiccandole per integrarle alla razione invernale. In molti paesi tropicali e subtropicali l’apporto di foglie alla dieta a base di foraggio non è mai stato interrotto e questo ha fatto conoscere piante prodigiose dal punto di vista foraggero come Gliricidia sepium, Leucaena leucocephala, Sesbania sesban, Albizia procera e molte altre. In Italia, man mano che aumentano la consapevolezza e la necessità di immaginare sistemi produttivi complessi con una forte presenza di alberi nei pascoli, in zone aride o di alta montagna si sfrutta il pascolo in bosco durante la diapausa estiva. In attesa del ricaccio autunnale dell’erba gli animali, con una adeguata integrazione in fieno, possono superare agevolmente il periodo di siccità senza perdere peso e quantità di grasso alimentandosi con le foglie degli alberi.
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Gli studi sull’integrazione alla dieta animale attraverso i fodder trees sono abbastanza rari, ma ultimamente sono emersi dati molto importanti (Emile, 2016). Si è visto che piante come il gelso, il frassino maggiore, l’ontano e il tiglio possono integrare molto bene la dieta anche di vacche in lattazione per il loro alto contenuto di proteine e per l’elevata digeribilità. Altre specie sono sicuramente interessanti per bovini con esigenze minori o per animali un po’ più rustici. Comparate con le performance delle specie di alta qualità foraggera, le più difficilmente assimilabili sembrano il nocciolo, la quercia e il castagno.
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Fertilità generale. La presenza di specie perenni permette alle radici di fare associazioni micorriziche con i funghi del suolo. Scegliere di piantare leguminose o alberi azotofissatori di altre famiglie come l’ontano, garantisce un continuo apporto di azoto al terreno. Questi processi non fanno che favorire la fertilità e la produttività complessiva del sistema pascolo. Microclima. In estate è fondamentale la presenza di alberi per far riparare le mandrie. Un bovino ha bisogno di 3-5 m2 di spazio ombreggiato (Pinheiro Machado, 2014). È stato osservato che all’ombra aumentano sia la produttività del pascolo (Wilson in Pinheiro Machado, 2014) che le rese in carne e latte (Bartabaru 1997) degli animali. Rompere i forti flussi ventosi con le proprietà frangivento degli alberi preserva inoltre le mandrie da eventi estremi e le piante erbacee dalla disidratazione. Insomma, non esiste un motivo valido per non includere nei pascoli una buona quantità di alberi!
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Mettere gli animali al pascolo Non esiste un solo metodo per progettare pascoli che rispettino le basi teoriche, anche solo in parte, di cui abbiamo parlato finora. Affrontare nel dettaglio i diversi approcci appesantirebbL’allevatore e la lettura, quindi affrontiamo soltanto gli aspetti più pratici. Deve sapere innanzitutto quanto producono i suoi pascoli e quanto è, in media, il tempo di recupero dell’erba in ogni momento dell’anno. Per avere un risultato sicuro si possono fare delle parcelle di saggio in cui l’erba viene tagliata e pesata fresca e se possibile, ripesata dopo l’essiccamento in forno a bassa temperatura. Se non si riesce ad essiccarla possiamo assumere che i foraggi contengano circa il 20-25% di sostanza secca rispetto alla biomassa fresca. Dobbiamo poi sapere quale è il fabbisogno dei nostri animali: un ovino mangia tutti i giorni circa il 3% in sostanza secca del proprio peso corporeo, mentre un bovino può’ andare dal 2,5-3% (fattrice o vitellone) al 3,5-4% (vacche in lattazione). Un altro dato importante è il numero dei giorni in cui gli animali rimangono di solito al pascolo nel corso della stagione produttiva.
Divisione dell’area di pascolo Conoscendo i fabbisogni giornalieri degli animali, la produttività dei pascoli e la durata del pascolamento, possiamo ottenere il numero approssimativo degli animali che possiamo allevare: questonumero è chiamato carico animale. Il calcolo della dimensione delle parcelle viene dato della quantità di parcelle che si devono realizzare e sul tempo medio di riposo dell’erba. Se scegliamo di operare rotazioni giornaliere basterà dividere il totale della superficie per il tempo di recupero medio del pascolo, che è variabile a seconda della zona tra i 30 e i 150 giorni. Si ottiene così la superficie di ogni parcella. Ancora una volta abbiamo semplificato una dinamica molto complessa, come quella della relazione tra animali e pascolo. In questo esempio consideriamo che il tempo di recupero dell’erba è sempre 60 giorni e che la sua produttività rimane costante e uniforme, 1,5 t/ha di sostanza secca. Sappiamo però che i dati variano molto in base alla temperatura e alla piovosità, che all’interno dell’azienda ci sono aree più produttive di altre e che probabilmente la seconda e la terza pascolata avranno rendimenti più bassi della prima. Per questo tutto il lavoro di progettazione deve essere specifico per ogni azienda, così come la sua applicazione al pascolo deve essere basata sulla costante osservazione, adattando via via le scelte alle variabili del momento.
A questo punto bisogna considerare come suddividere le parcelle. È evidente che, se abbiamo la possibilità, la soluzione ideale è creare recinti quadrati, della stessa forma e dimensione. Rete viaria: risulta fondamentale per agevolare lo spostamento degli animali la costruzione di una rete viaria, progettata in modo di far sì che tutte le parcelle, o la maggior parte di esse, possa essere collegata ad una strada. I camminamenti devono permettere il passaggio di mezzi agricoli (3-5 metri), e lo spostamento veloce degli animali da un settore all’altro. In una condizione ideale tutto il pascolo dovrebbe essere circondato perimetralmente da un ampio camminamento. La rete viaria, di solito, rappresenta una tara di circa il 10%, ma il foraggio presente nei passaggi viene comunque pascolato dagli animali. L’ideale sarebbe impostare le strade principali con recinzioni permanenti, mentre per le parcelle interne è molto semplice usare un filo elettrificato.
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Rete idrica: All’incrocio di 4 parcelle viene posizionata una zona di abbeverata, alla quale si potrà accedere dalla parcella in uso. Va considerato che il rendimento degli animali cala se devono percorrere lunghe distanze per abbeverarsi: per i bovini alcuni autori (Undersander, 2014) sostengono che gli animali non debbano percorrere più di 250 m per arrivare all’abbeveratoio. Altri studiosi (Pinheiro Machado L.C, 2014) ritengono che la distanza massima possa arrivare a 1000 metri. Inoltre, la presenza dell’abbeveratoio nella parcella fa sì che gli animali pascolino uniformemente la totalità della parcella e che lascino le deiezioni ben distribuite nella stessa.
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Per la maggior parte delle aziende, tutto ciò che abbiamo appena descritto per le recinzioni e i punti acqua potrebbe ascriversi al libro dei sogni. La morfologia e la micro-parcellizzazione di gran parte dei nostri paesaggi non consentono infatti di adottare questa uniformità . Allora cosa facciamo? Cerchiamo di fare il meglio e di avere, per lo meno, parcelle di dimensioni simili e punti acqua ben distribuiti, provando a trovare un punto di equilibrio tra una buona logistica aziendale e il tempo necessario alle operazioni. Ad ogni modo la progettazione accurata di queste strutture è indispensabile per massimizzare l’uso dello spazio e delle risorse economiche ed agronomiche.
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L’addestramento degli animali è forse più importante delle scelte tecniche. Soprattutto quelli che provengono da molti anni di pascolo brado, o peggio ancora dalla stalla, si troveranno a disagio nelle prime settimane e li vedremo nervosi. In questo periodo non sono rari gli sfondamenti di recinzioni e filo elettrico, specialmente quando sono in parcelle poco produttive, ma questo fa parte del processo di cambiamento e adattamento. In questa nuova fase, per abituare gli animali al filo elettrico è possibile rinchiudere la mandria per qualche giorno in un recinto tradizionale nel cui perimetro viene sistemata la recinzione elettrificata. Così gli animali familiarizzano con questa novità ed anche se un animale dovesse sfondare la recinzione elettrificata si troverebbe davanti l’altra recinzione. Col passare delle settimane e dei mesi, il bestiame imparerà a fidarsi dell’allevatore e gli animali non vedranno l’ora di passare alla parcella successiva, ricca d’erba. Aspetteranno pazienti e transiteranno ordinatamente nel nuovo recinto. Questa fase è facilitata se diamo alle bestie orari regolari, eseguendo lo spostamento sempre alla stessa ora. Noteremo anche una voracità insolita, perché gli animali avranno appreso a rendere più efficiente la permanenza in un recinto.
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L’arricchimento del pascolo A volte, di fronte a pascoli poco produttivi o sovrapascolati, capita di vedere allevatori che con un colpo di aratro azzerano cotici erbosi decennali. Crediamo che, con le conoscenze di oggi, questa scelta sia quasi sempre errata e che la maggiore produzione netta di sostanza secca di un prato-pascolo seminato non compensi le perdite sul medio periodo in termini di diversità, adattabilità, stabilità dei versanti e struttura del suolo, che viene migliorata anno dopo anno dalle radici delle specie spontanee. Possiamo migliorare un prato-pascolo spontaneo senza distruggerlo e molto spesso la tecnica che usiamo è quella della trasemina. Significa arricchire di specie foraggere di alto valore un ecosistema naturale e possiamo traseminare almeno in tre modi: • seminando a spaglio e mettendo subito dopo a pascolare gli animali, che con il loro calpestio interrano i semi delle foraggere; • seminando a spaglio e passando poi con un erpice a molle o a denti che graffi leggermente la crosta del terreno interrando i semi e successivamente con un rullo che saldi il contatto dei semi con il suolo; • usando una macchina da semina diretta (su sodo), che con il suo meccanismo a dischi apre un microsolco nel terreno e vi deposita i semi. Tranne che in alta montagna, è utile traseminare alla fine dell’estate, sperando che qualche pioggia settembrina aiuti i nostri semi a germinare. Così le nuove piante si potranno affermare bene prima dell’inverno e saranno pronte per un bel salto di crescita la primavera successiva.
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Bibliografia • OECD/FAO (2016): OECD-FAO Agricultural Outlook 2016-2025. OECD Publishing, Paris • CAPARRÓS M.: (2014) La fame. Giulio Einaudi editore, Torino • FAO (2015): World fertilizer trends and outlook to 2018. Food and Agriculture Organization of the United Nations, Rome, Italy • GLOBAL PARTNERSHIP ON NUTRIENT MANAGEMENT - GPNM (2013): Our Nutrient World - The challenge to produce more food and energy with less pollution. Centre for Ecology and Hydrology (CEH), Edinburgh UK • GERBER P.J. et al.: (2013). Tackling climate change through livestock – A global assessment of emissions and mitigation opportunities. Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO), Rome • FAO (2017): Livestock solutions for climate change. Food and Agriculture Organization of the United Nations, Rome, Italy • DALEY C. A. (2010): A review of fatty acid profiles and antioxidant content in grass-fed and grain-fed beef. Nutritional Journal 9:10 • PINHEIRO MACHADO L.C. (2014): Pastoreio racional Voisin: tecnologia agroecológica para o terceiro milênio. Editora Expressão Popular, São Paulo • ELIZONDO J. (2017): Introduction to regenerative grazing. Appunti non pubblicati • ZAMBON F. (2015). Animali al pascolo. Appunti non pubblicati • UNDERSANDER D. et al (2014): Pastures for profit: a guide to rotational grazing. Cooperative Extension Publishing, University of Wisconsin- Extension
Bibliografia • VOISIN A. (1957): Productivité de l’herbe. France Agricole • EMILE JC et al (2016): Nutritive value and degradability of leaves from temperate woody resources for feeding ruminants in summer. 3rd European Agro forestry Conference. INRA, Montpellier, 23-25 Mai 2016, France • PINHEIRO MACHADO L.C. (2014): Pastoreio racional Voisin: tecnologia • ZAMBON F. (2015). Animali al pascolo. Appunti non pubblicati • UNDERSANDER D. et al (2014): Pastures for profit: a guide to rotational grazing. Cooperative Extension Publishing, University of Wisconsin- Extension • VOISIN A. (1957): Productivité de l’herbe. France Agricole • EMILE JC et al (2016): Nutritive value and degradability of leaves from temperate woody resources for feeding ruminants in summer. 3rd European Agro forestry Conference. INRA, Montpellier, 23-25 Mai 2016, France • PINHEIRO MACHADO L.C. (2014): Pastoreio racional Voisin: tecnologia agroecológica para o terceiro milênio. Editora Expressão Popular, São Paulo • BARTABARU D., (1997): Efecto de la sombra sobre la producción lechera. Revista Plan Agropecuária. Montevideo, n°77
Nota Il testo di queste pagine è tratto principalmente dal libro “Agricoltura Organica e Rigenerativa” di Matteo Mancini, edito da Terra Nuova Edizioni nel 2019. Si ringrazia l’Editore per la gentile concessione dei testi e delle immagini. Publishing, Paris
Per maggiori informazioni contattare: Deafal - Agricoltura Organica e Rigenerativa, area Allevamento via Federico Confalonieri 3/b 20124 Milano tel: 02/27019551 allevamento@deafal.org www.agricolturaorganica.org
Analisi di mercato
Il Pascolamento Razionale Voisin è una tecnica di allevamento che oggi più che mai, in Europa e non solo, sembra rispondere egregiamente alle esigenze del mercato e a quelle degli allevatori che cercano alternative ai sistemi di produzione più conosciuti per far fronte a marginalità che tendono ad assottigliarsi: conseguenza questa di costi di produzione crescenti, produttività decrescente dei terreni e filiere commerciali che tendono a stressare la politica dei prezzi. Si è visto come il PRV garantisca agli animali un altissimo livello di benessere, migliori la struttura e la fertilità del suolo e aumenti la produttività per ettaro rispetto al pascolamento libero e all’impianto di colture annuali. Tale strategia di produzione comporta costi molto contenuti e input energetici limitatissimi, coniugando il vantaggio economico dell’imprenditore a un guadagno in termini di sostanza organica per il terreno.
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Un allevamento che utilizzi il Pascolamento Razionale Voisin ha quindi come scopo quello di proporre al pubblico un prodotto di altissima qualità non solo organolettica ma anche da un punto di vista: produttivo: grazie al totale benessere raggiunto dagli animali che vivono allo stato brado; ambientale: grazie al saldo negativo delle emissioni nette di CO2 che si ottiene da una corretta gestione del pascolo e della mandria; economico: una gestione ingegnerizzata dell’allevamento, permette una riduzione degli investimenti complessivi, dei costi operativi e la valorizzazione del prodotto, che consente in tal modo marginalità superiori alla media del settore.
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Mercato di riferimento Sistemi di produzione differenti quali il Pascolamento Razionale Voisin possono essere adottati per motivi economici, etici o di costo opportunità. Il mercato di riferimento, come indicato anche dai dati del Panel Ismea e non solo, presenta alcune caratteristiche che sembrano indicare come sistemi alternativi di produzione non siano solamente auspicabili, ma possano nei prossimi anni marcare la differenza tra le aziende che sopravviveranno con successo e quelle che invece soffriranno gli alti e bassi del mercato, i capricci degli intermediari e che potranno avviarsi inesorabilmente verso un progressivo declino. I dati del Panel Ismea-Nielsen evidenziano la conferma anche nel 2019 della stagnazione dei consumi agro-alimentari delle famiglie italiane, che oramai è da considerarsi una condizione strutturale e non più congiunturale. Sono cambiati negli ultimi anni in particolar modo i modelli di consumo in relazione anche alla composizione familiare e agli stili di vita, piuttosto che in rapporto al livello di reddito disponibile. I modelli di acquisto sono divenuti più razionali anche per contenere di molto gli sprechi, così come sono sensibilmente aumentati i pasti fuori casa. Fatto questo che ha influito significativamente sulla spesa alimentare familiare e in particolar modo sull’acquisto dei prodotti sfusi. Per questi ultimi fatti la spesa continua negli ultimi anni a contrarsi (-3% 2019 vs 2018) tra i quali oltre il 50% è rappresentato da carni, ittici e frutta.
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Coerentemente con un cambio generale dei consumi e della composizione familiare, questa tendenza si riscontra in tutta Italia, pur marcando il centro, quindi il Lazio in particolar modo, un aumento più spiccato dei consumi dei confezionati (+2,8%) a discapito di quelli sfusi (-4,8%). Questo scenario mette in luce un mercato nella migliore delle ipotesi cosiddetto a somma zero se non addirittura in contrazione. Un mercato a somma zero è un mercato nel quale il guadagno o la perdita di un soggetto economico è perfettamente bilanciato da una perdita o un guadagno di un altro soggetto in una somma uguale e opposta. Se alla somma totale dei guadagni dei partecipanti si sottrae la somma totale delle perdite, si ottiene zero. Detto in altri termini, la possibilità di crescita di una azienda è fattibile solamente a discapito di altre aziende: mors tua, vita mea. Questo panorama altamente competitivo impone una reazione immediata degli attori coinvolti, in quanto se non si opera intelligentemente il rischio è quello di subire tale trend negativo del mercato. Ciò può significare una riduzione della propria quota di mercato o in alternativa, ove non ci sia capacità negoziale sulle tariffe di vendita, una riduzione dei prezzi di acquisto dei propri prodotti che potrebbe non risultare sostenibile ove le marginalità risultino essere già molto esigue. La stagnazione, se non recessione in alcuni casi, del mercato agroalimentare impone ai produttori, soprattutto quei piccoli e medi produttori incapaci di operare secondo logiche di economia di scala, la necessità di differenziarsi per preservare le proprie quote di mercato.
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Le previsioni, da un punto di vista gestionale, risultano essere peggiorative, per cui diventa indispensabile affermarsi ora ed emanciparsi da subito, per quanto possibile, da filiere commerciali tradizionali. In tal senso, sistemi a pascolamento, e in particolar modo rigenerativi, possono rappresentare elementi di differenziazione utili a tale scopo, qualunque sia il canale commerciale poi utilizzato. Difatti, come vedremo più avanti, l’ottimizzazione del conto economico, l’incremento delle marginalità, i flussi di cassa migliorativi e l’emancipazione dai fornitori tradizionali saranno elementi chiave per una maggiore stabilità economico finanziaria degli allevamenti.
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Consumi del comparto dei proteici di origine animale e lattiero-caseario Il Pascolamento Razionale Voisin sembra offrire agli allevatori un’alternativa di particolare rilievo strategico in un mercato mondiale (agroalimentare e non) che oramai da un paio di decenni sembra spaccarsi progressivamente in due: la stessa ricerca Ismea conferma l’aumento del consumo massivo di prodotti a basso costo e di bassa qualità, così come aumenta il consumo (in valore) di prodotti di alta qualità, con prezzi più elevati e rivolti a mercati sempre più di nicchia. In questo scenario il PRV offre la possibilità agli allevatori di concentrarsi su una produzione che ha tutte le caratteristiche per rientrare nel secondo caso. L’unico che consentirà nei prossimi anni, soprattutto ai piccoli e medi produttori che più difficilmente riescono ad applicare economie di scala, di sopravvivere e prosperare. La speranza è appunto che come accaduto per il vino negli ultimi decenni, il mercato presenti in futuro un’evoluzione caratterizzata da una maggiore consapevolezza su alcune caratteristiche del prodotto che porti ad un consumo sì inferiore, ma a favore di prodotti di maggiore qualità. Significative le variazioni negative per le varie tipologie di prodotti, tutte comunque accomunate dalla
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tendenza, forte, di un aumento dei valori unitari (prezzo al kg) e da una contrazione significativa dei volumi acquistati. Ciò comporta, dal lato dei produttori, la necessità di scegliere da che parte stare e quali modelli produttivi adottare. In funzione di queste prospettive di mercato, se le grandi aziende zootecniche potranno permettersi l’applicazione di economie di scala e quindi raggiungere un certo grado di competitività nel mercato massivo, per le piccole e medie aziende la situazione non potrà che essere complicata: dovranno infatti scegliere se sottostare alle leggi del mercato fatte da intermediari e GDO oppure tentare di posizionarsi, con un investimento nel tempo che però non può tardare, nella fascia dei prodotti di qualità e assicurarsi un prezzo più elevato. In questo scenario il Pascolamento Razionale Voisin, presenta un’opportunità di fondamentale importanza. Garantisce cioè non solo conti economici migliorativi (riduzione dei costi e aumento della marginalità anche a parità di prezzo di vendita), ma anche, e soprattutto, la possibilità di offrire sul mercato un prodotto che perlomeno per quanto riguarda il sistema produttivo, sembra riunire in sé tutte le caratteristiche per offrire ai piccoli e medi produttori italiani e laziali la possibilità di distinguersi dalla concorrenza.
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Propensione all’acquisto e trend di consumo Alcune tendenze di acquisto sembrano manifestarsi con forza in modo particolare nelle grandi città. Per i produttori laziali, la presenza di una grande metropoli come Roma rappresenta una grande opportunità in tal senso. L’adozione di un sistema sostenibile come il PRV, se ben comunicata, risponde a molti dei requisiti che i consumatori ricercano con sempre maggior forza nei prodotti agroalimentari e in particolar modo tra i piccoli e medi produttori che esulano dalle logiche della grande distribuzione organizzata. Il mercato agroalimentare in Italia negli ultimi anni, con particolare riferimento ai comparti degli alimenti proteici (carni e uova) e lattiero-caseario, manifesta tendenze di consumo che pur lentamente, mostrano una progressiva affermazione. Da un lato infatti la GDO tende a proporre alimenti a buon prezzo per un mercato scarsamente differenziato e dall’altro si assiste ad una progressiva acquisizione di consapevolezza della qualità alimentare che viene ricercata soprattutto nelle produzioni piccole e locali. Fenomeno questo che si concentra in particolar modo nei grandi centri urbani e nelle aree limitrofe, mentre è meno marcato in provincia. Tale fenomeno ha un’esigua rilevanza in termini di volume, ma acquista progressivamente un peso maggiore in termini di valore (fatturato), rappresentando per i piccoli produttori un’opportunità rilevante in termini di mercato e soprattutto in termini economico-finanziari. Cambiano però, o meglio si delineano maggiormente, alcuni trend specifici che influenzano significativamente le scelte alimentari degli italiani. Gli alimenti devono rispondere sempre più
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infatti alle seguenti caratteristiche come mostrato in una ricerca Ismea del 2018: • benessere e salute: sano, sicuro, equilibrato e leggero • sostenibilità: naturale, equo, etico e semplice • fiducia e rassicurazione: chiaro, trasparente, certificato • individualità: particolare, creativo, distintivo, disintermediato • esperienza-emozione: gratificante, gustoso, sensoriale, bello, nuovo, curioso • condivisione-scambio: condivisibile, comunicabile, raccontabile • autenticità-radicamento: vicino, locale, vero, territoriale Questi sono i complessi valoriali che i consumatori oggi ricercano nei cibi che acquisiscono e per i quali, come vedremo poi, sono disposti a pagare un premium-price più elevato. Le grandi metropoli sembrano concentrare in tutto il panorama italiano e non solo, il pubblico più sensibile a queste caratteristiche. Certo la bontà del prodotto continua a farla da padrone (va da sé quindi che un prodotto realizzato con il Pascolamento Razionale Voisin ma scadente sotto questo punto di vista non può avere nessuna possibilità di successo), ma altri elementi quali l’italianità, i prodotti a km0, il rispetto ambientale e il benessere animale sembrano interessare una fetta sempre crescente della popolazione e in particolar modo della popolazione residente nelle grandi metropoli. Roma, o meglio l’area metropolitana di Roma, con i suoi quasi 5 milioni di abitanti, rappresenta un bacino enorme di potenzialità che i produttori laziali che adottino sistemi quali il PRV potrebbero facilmente sfruttare trovando clienti, particolarmente sensibili ad un’offerta innovativa ed etica.
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Comportamento d’acquisto L’adozione del Pascolamento Razionale Voisin come sistema produttivo può apportare vantaggi certamente in termini di riduzione dei costi di produzione e aumento dei volumi prodotti per ettaro. Può farlo però anche in termini di valore aggiunto del prodotto, per il quale i clienti possono riconoscere un premium-price. È importante però che i produttori comprendano quali sono i comportamenti d’acquisto dei clienti per scegliere le modalità di distribuzione commerciale e vendita più idonee alla valorizzazione del prodotto stesso. Riportiamo alcuni risultati di una ricerca Cawi (Demetra) rivolta a 1.000 individui. A ciascun canale il consumatore tende a riconoscere un ruolo specifico: se nel supermercato si tende a comprare prodotti in quantità per fare le scorte nel frigorifero e nel congelatore di casa, nei piccoli negozi ci si reca principalmente per prodotti pregiati da offrire in occasioni particolari, dove il negoziante è percepito come consulente per l’acquisto. Inferiore in termini percentuali invece l’acquisto direttamente dal produttore, al quale ci si rivolge, quando è possibile avere un contatto diretto, per avere prodotti di qualità a prezzi più abbordabili di quelli dei negozi tradizionali. Se l’adozione del PRV può comportare la vendita di prodotti a un prezzo superiore, è importante allo stesso tempo tenere conto
delle abitudini di acquisto dei clienti: il rischio altrimenti è quello di avere grande difficoltà a creare una clientela fidelizzata. Prezzi competitivi con il mercato, pur se leggermente più alti della media, uniti ad una comunicazione efficace e ad una politica commerciale coerente con la nicchia di mercato di riferimento, potrebbero rappresentare il giusto mix competitivo per garantire ai piccoli e medi produttori che adottano il sistema di PRV, un grande successo nelle vendite dei propri prodotti. Quando quindi una produzione con il PRV è efficace, i prodotti sono buoni e il prezzo è competitivo con la media di mercato, allora ben il 73% del mercato può essere un potenziale cliente (Cawi). Dietro suggerimento, sono ritenuti rilevanti anche altri parametri – origine, tracciabilità, alimentazione degli animali, modalità di allevamento – anche se emerge, da un lato, la convinzione che essi siano sintetizzabili, e quindi valutabili, in termini di qualità organolettica; dall’altro, una certa difficoltà a dedicare tempo alla valutazione di tali aspetti (leggere l’etichetta, ecc.), che viene delegata al rapporto fiduciario con il negoziante-venditore. Appare comunque importante sapere, volendo, di poter accedere a determinate informazioni e per questo il rapporto diretto con il produttore può essere la chiave di volta delle strategie commerciali dei produttori che adottano il PRV. Soprattutto a Roma, come evidenziato nello stesso studio, tende a riscuotere diffuso successo il concetto di km0, che rafforza l’aspetto positivo dell’italianità. La motivazione principale di tale apprezzamento viene dagli stessi partecipanti ricondotta al fatto che minore è la lunghezza del trasporto, minori sono i rischi di una inadeguata conservazione.
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Tutti questi ultimi parametri sembrano celare grandi potenzialità per i piccoli e medi produttori locali che adotteranno sistemi di produzione innovativi quali il PRV, sapranno comunicarli, garantiranno prodotti di qualità superiore a quelli reperibili nella GDO, a prezzi ragionevoli e sapranno instaurare un rapporto il più possibile diretto con i propri clienti. Certo è che sarà indispensabile, per chi vorrà sfruttare al meglio tutte le potenzialità di questo sistema, adottare una organizzazione commerciale che non svilisca il prodotto, consenta ai clienti acquisti agevoli e possa competere con i vantaggi che la grande distribuzione organizzata indubbiamente offre alla clientela cittadina. Chiaramente non esiste una formula universale valida per tutti i produttori, ma è importante che ognuno si organizzi (o chieda aiuto a chi può avere tali competenze per farlo) per spuntare prezzi vantaggiosi e garantirsi volumi di vendita adeguati alla propria offerta produttiva. Dai dati emersi nella suddetta ricerca di mercato, è doveroso sottolineare qui, che per coloro i quali continueranno ad organizzare le proprie vendite tramite i classici canali e intermediari, la vita sarà sempre più dura. Il PRV consentirà da subito un miglioramento del conto economico che senza dubbio offrirà a chi adotterà questa tecnica un’importante boccata di ossigeno per diverso tempo. Ciò non toglie che il futuro dei piccoli e medi produttori passerà inevitabilmente attraverso un’innovativa commercializzazione dei propri prodotti. E anche qui, a parità di condizioni, chi adotterà il PRV, potrà avere rispetto alla concorrenza, una marcia in più dal punto di vista commerciale.
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Vincolo di budget
È noto come in ultima istanza i comportamenti d’acquisto siano vincolati alle disponibilità economiche (vincolo di budget). Dalle analisi effettuate nella ricerca Cawi, si evidenzia come il 37% circa del campione si dichiari indifferente al prezzo rispetto alla qualità: detto in altri termini queste persone pur di garantirsi il prodotto della qualità che vogliono, sono disposte a pagare il prezzo che trovano senza esitazioni. Nel rimanente 63% dei casi invece, alcune esigenze sembrano invece venir meno se posti di fronte ad un prezzo non accessibile. In primo luogo, ad esempio, il biologico e successivamente l’italianità del prodotto. Detto in altri termini, nella maggioranza dei casi certe caratteristiche sono importanti, ma non così tanto da giustificare qualsiasi prezzo. Un’indicazione importante anche per chi si avvicina al Pascolamento Razionale: il solo PRV non giustifica un aumento dei prezzi senza una contrazione della domanda. Detto in altri termini chi vorrà intraprendere la strada del Pascolamento Razionale e vorrà beneficiare del valore aggiunto che questo conferisce ai prodotti venduti dovrà fare molta attenzione a comunicare bene le proprietà del prodotto, tenendo conto che i clienti tenderanno a preferirlo a parità di prezzo o per un prezzo aggiuntivo ragionevole. Tranne i pochi casi di rispondenti che dichiarano
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di non guardare il prezzo e di ricercare solo la qualità e di una minoranza che predilige il biologico e l’acquisto diretto, la maggior parte dei rispondenti sembra disposta ad accettare prezzi più elevati soprattutto in caso di occasioni particolari (ospiti, festività, ecc.), nelle quali ci si reca da negozianti o rivenditori specializzati per acquisti speciali. Elevata è apparsa la quota di coloro che hanno dimostrato di ricordare o ritenere di ricordare il prezzo al kg dei prodotti acquistati, pari al 71% del campione. Rispetto al grado di istruzione dei rispondenti, tra i laureati si evidenzia una quota nettamente inferiore di mancate risposte (solo il 19% non ha idea del prezzo dei prodotti acquisiti) e un prezzo percepito più elevato. Il prezzo quindi è come sempre l’elemento maggiormente discriminante al momento dell’acquisto. Esiste però una fetta del mercato (soprattutto cittadino) che si dichiara non disposta a scendere a compromessi sulla qualità e sugli elementi che ritiene fondamentali per il cibo che compra, indipendentemente dal prezzo. Certo quello è l’El Dorado per ogni produttore, ma sarebbe un errore puntare solo su quella fetta di mercato, soprattutto se non si è particolarmente performanti
dal punto di vista commerciale. Puntare insomma alla fascia più alta sì, ma non dimenticarsi del grosso del mercato che è invece molto ben predisposto ad acquisire prodotti migliori se il prezzo è competitivo (parlando sempre di una fascia alta di prodotti) o di poco superiore. L’errore, detto altrimenti, sarebbe quello di pensare che il solo PRV possa giustificare qualsiasi sproposito in termini di politica di prezzo. Un prezzo più alto non lo si paga semplicemente perché il prodotto è più buono e/o meglio realizzato. Lo si paga anche e soprattutto quando ci si innamora, non è una esagerazione affermarlo, del progetto produttivo e della storia che c’è dietro. Il PRV diventa quindi un’incredibile arma in tal senso, proprio perché di per sé è già una bella storia da raccontare, ma non è autosufficiente per giustificare qualsiasi prezzo: sarà il produttore che dovrà saper spiegare perché fa il PRV e perché crede tanto in questo sistema di produzione. Allora il prezzo più alto sarà non solo il valore del prodotto acquisito, ma anche un premio per una visione di mondo, che il PRV rappresenta.
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Allevamento biologico Negli ultimi anni i consumi del biologico in Italia continuano a crescere pur segnando un progressivo assestamento che denota comunque come l’interesse da parte dei consumatori per i prodotti certificati biologici sia ancora elevato. Le stime attribuiscono al consumo interno del prodotto biologico un valore che è arrivato a superare i 2,5 miliardi di euro. È evidente come, ormai da qualche stagione, la GDO stia investendo significativamente nel biologico. Il suo ruolo è determinante nella crescita del fatturato complessivo delle vendite e ha contribuito (e continua a farlo) significativamente nel creare una cultura di massa di prodotti qualitativamente superiori sia da un punto di vista organolettico che da un punto di vista produttivo. Quanto più la Grande Distribuzione Organizzata investe sul Biologico, quanto più anche produzioni sostenibili quali quella del Pascolamento Razionale Voisin saranno apprezzate. La GDO ha il grande merito di aver democratizzato consumi di maggiore qualità in un pubblico sempre più vasto. Questa è la condizione necessaria per far sì che ulteriori passi in avanti nella direzione della qualità organolettica, produttiva, del rispetto ambientale e del benessere animale possano essere ancor più apprezzati da un pubblico che negli anni matura e aumenta il proprio potere acquisitivo. Il Pascolamento Razionale Voisin rappresenta proprio la risposta a queste necessità e potrebbe prescindere, lì dove il rapporto con i clienti sarà diretto, anche dal Biologico.
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Consumatori Millennials Il 70% dei millennials (i nati tra il 1981 e il 1996), ovvero il mercato di riferimento dei prossimi 20 anni, è disposto a spendere di più per cibo che considera di qualità come evidenzia una ricerca Mintel del 2019. Un altro elemento cruciale è la trasparenza: oltre il 65% degli intervistati è infatti convinto che l’origine del cibo che si acquista tra gli scaffali del supermercato sia un fattore determinante, soprattutto quando si tratta di alimenti di origine animale, e per questo l’etichetta sul prodotto si rivela uno strumento fondamentale per ogni consumatore. A questo proposito fondamentale è il tema del benessere animale: la maggior parte degli intervistati dichiara di essere disposto a pagare di più per prodotti con maggiori standard di produzione responsabile, tendenza che si riscontra anche per quanto riguarda il consumo di prodotti biologici in generale, in
netta crescita: metà degli intervistati dichiara infatti di acquisire più prodotti biologici rispetto a cinque anni fa. Per i Millennials responsabilità significa anche difesa dell’ambiente: oltre il 60% del campione afferma di essere consapevole delle implicazioni della propria alimentazione sull’ambiente, e di preferire quindi packaging e confezioni sostenibili. Oggi sono solo una piccola parte del mercato, dominato ancora dalle generazioni precedenti, ma rappresenteranno sempre di più il mercato di riferimento per tutti i produttori negli anni a venire. La loro maggiore attenzione a temi quali la qualità, il rispetto dell’ambiente e del benessere animale, troveranno nei sistemi rigenerativi di allevamento quali appunto il Pascolamento Razionale Voisin una piena soddisfazione che sarà premiata con la disponibilità al pagamento di prezzi che includono al loro interno anche l’adozione di pratiche sostenibili di allevamento. Il Pascolamento Razionale Voisin rappresenta in tal senso, forse ancora meglio del Biologico, una prospettiva incredibile per soddisfare un pubblico che negli anni a venire sarà l’indiscusso riferimento commerciale per qualsiasi prodotto agroalimentare. Iniziare da oggi significa quindi investire sul futuro commerciale della propria azienda.
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Conto economico del PRV
Per una corretta valutazione economico-finanziaria di un progetto di allevamento secondo i criteri del Pascolamento Razionale Voisin, si rende necessario in prima istanza sottolineare l’importanza dei fattori che seguono: • produttività per ettaro; • efficienza e ricerca della massima marginalità; • valore aggiunto e premium price.
Produttività per ettaro L’allevamento in Italia, da latte o carne che sia, presenta caratteristiche peculiari che trovano soprattutto nei piccoli e medi allevamenti la loro massima espressione. Questo accade per cultura produttiva, contesto economico, caratteristiche degli allevamenti, sistema di incentivi e sostegno al reddito, oltre che per l’organizzazione della filiera di fornitori che intorno a esso, e ai suoi meccanismi, è andata sviluppandosi negli anni. La tensione produttiva in Italia si concentra normalmente in Italia nella ricerca della massima produttività per animale: sia che si tratti di produzione lattiero casearia che di carne, il principale sforzo degli allevatori è teso all’ottenimento della maggior produzione possibile di latte o di chili di carne per capo allevato. Generalmente si ricerca la miglior media produttiva nell’industria lattea, così come animali il cui peso unitario sia il più alto possibile per ottenere la miglior resa in carne. La scarsa disponibilità di terreni, l’allevamento generalmente in stalla, ma anche l’incentivazione di massime produzioni da parte dei fornitori, contribuiscono attivamente a questa tendenza più o meno radicata in tutto il territorio nazionale.
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In un sistema che prevede invece l’utilizzo del Pascolamento Razionale Voisin, il primo grande cambiamento si deve osservare proprio nel diverso paradigma produttivo, con lo spostamento della tensione della ricerca della massima produzione, dal singolo capo alla superficie utilizzata. Semplificando molto, la resa in questi termini non sarà quindi valutata in termini di latte per vacca o chilo per capo, ma in termini di latte prodotto per ettaro o chili di carne prodotti per ettaro. Questo apparentemente semplice cambio di approccio cela in realtà al suo interno un profondo cambiamento nella gestione dell’allevamento e delle sue dinamiche produttive. Produrre difatti latte per ettaro comporta per esempio una tensione al maggior carico animale per superficie a dispetto, apparente, di una riduzione della produzione per unità animale. Numeri alla mano, sarà semplice vedere come questo approccio implica un sensibile miglioramento del conto economico aziendale. Proviamo a fare un esempio con un allevamento da carne. Indipendentemente dalla razza e procedendo sempre per semplificazione, potremmo ipotizzare un carico animale al pascolamento pari a 0,3 Uba/ettaro. La resa in carne per ettaro in un anno potrebbe essere pari a circa 70/80 kg di polpa. Per sopperire a queste rese così basse, negli anni si è proceduto appunto al confinamento in stalla e alla messa a punto di sistemi di alimentazione basati su foraggi, insilati, mangimi e concentrati (che provengono da altri terreni, non ottimizzano quindi la resa per ettaro e costano molto di più). Abbiamo visto invece come in un sistema di Pascolamento Razionale Voisin si assiste principalmente a due tipi di fenomeni: l’efficienza di pascolamento passa dal 30% al 90% e la produzione di materia secca arriva nel tempo a duplicare se non triplicare.
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Va da sé quindi che la capacità di carico animale al pascolamento aumenta sensibilmente consentendo quindi una resa per ettaro (in termini di chili di carne o latte che sia) sensibilmente maggiore. Grazie a questo sistema il carico animale può passare in una zona dove sarebbe altrimenti pari a 0,3 anche a superare l’unità bovina adulta per ettaro e quindi aumentare di molto il totale dei chili di carne o di latte prodotti in un anno grazie al pascolamento. Questo vantaggio si andrebbe poi a unire alla riduzione (se non all’eliminazione, in alcuni casi) di ulteriori integrazioni nutrizionali di altro genere. Certo il lettore penserà subito che non sempre sia possibile pascolare tutto l’anno, così come non sempre è disponibile la superficie necessaria per tutti gli animali. Come detto l’esempio, in quanto tale è una forte semplificazione che però vuole dimostrare come sistemi ibridi, possano portare a un sostanziale miglioramento del conto economico riducendo di molto i costi di produzione.
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Efficienza e ricerca della massima marginalità In una ricerca effettuata dall’azienda Allevamento Rigenerativo - Az. Agricola La Argentina (Studio e progettazione per allevatori italiani di sistemi con Pascolo Razionale) in collaborazione con l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, nella quale sono stati intervistati su base volontaria circa 100 allevatori principalmente laziali, è emerso come sovente la gestione economica delle aziende zootecniche soffra di un approccio tendente più alla massimizzazione del fatturato che delle marginalità. Del campione intervistato, l’80% degli allevatori sono da latte e il rimanente da carne. Si tratta di aziende principalmente a conduzione familiare, con in media 3-4 persone impiegate, tutte appartenenti alla stessa famiglia o legate da relazioni familiari. Alcuni dati che meritano essere riportati qui brevemente: • il 60% delle aziende è indebitata con istituti bancari; • nel 36% dei casi, le aziende non conoscono con esattezza la propria marginalità aziendale; • il 65% degli allevatori non ha previsto per sé e per i familiari che lavorano in azienda uno stipendio; • il 60% delle aziende non è a conoscenza della redditività del settore e delle altre aziende di pari dimensioni.
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Questi dati, seppur non esclusivi probabilmente dei soli allevamenti zootecnici, ma caratteristica di molte piccole e medie aziende a gestione familiare, portano però a riflessioni più estese sulla necessità di una maggiore efficienza gestionale e ricerca della marginalità. L’assenza di una gestione economico finanziaria delle aziende zootecniche (complice anche in molti casi la non obbligatorietà di bilancio) sposta inevitabilmente l’attenzione verso numeri più facilmente comparabili quali la quantità di litri prodotti per capo o il peso degli animali mandati al macello. Inoltre, non siamo in grado oggi di dire se questo possa essere un effetto degli incentivi europei (Pac e misure varie del PSR, che inevitabilmente portano a dopare i numeri aziendali e a indebitare oltre misura i produttori, poi costretti a operare con numeri che giustifichino importanti flussi di cassa in uscita) o legato più semplicemente ad abitudini gestionali fortemente sedimentate nel settore. Fatto sta che, dati i risultati di cui sopra, è evidente come la ricerca della massima marginalità venga troppo spesso, soprattutto nei piccoli e medi allevamenti, affrontata con una certa superficialità.
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La gestione dei costi, così come la ricerca continua della massima marginalità aziendale (MOL: margine operativo lordo) è invece proprio una delle chiavi gestionali dei sistemi che adottano il PRV. Un sistema che adotti il Pascolamento Razionale Voisin parte da alcuni presupposti fondamentali: • riduzione al minimo dei flussi di cassa in uscita verso fornitori esterni; • massimizzazione delle rese per ettaro in termini di foraggio; • incremento del carico animale; • riduzione delle ore lavoro; • incremento della produzione di latte e carne per superficie; • riduzione delle spese gestionali, sanitarie e nutrizionali; • indipendenza del conto economico dagli incentivi statali e le misure di sostegno al reddito; • riduzione dell’utilizzo di fonti fossili (gasolio). Difatti, negli allevamenti che fanno uso del Pascolamento Razionale Voisin la tensione è tutta rivolta verso la massima produzione di foraggio, l’efficienza di pascolamento e conseguentemente l’incremento del carico animale e resa per ettaro. Va da sé che una corretta efficienza dei pascoli comporta inevitabilmente anche una riduzione delle spese, tanto per quanto riguarda gli aspetti nutrizionali quanto per quelli relativi alla sanità animale, infatti è noto che quanto più gli animali sono liberi di pascolare tanto meno tendono ad ammalarsi.
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Il confronto basato sulla produzione di litri di latte per vacca non tiene conto dei costi che questo approccio comporta: costi a breve, medio e lungo termine. Si pensi ai problemi sanitari certo, ma anche per esempio alla vita utile di un capo fortemente stressato da produzioni molto elevate che quindi dopo due o tre lattazioni deve essere sostituito (contro le 8/10 di un sistema con PRV). Produzioni più basse per capo vengono invece compensate da un maggior numero di animali per ettaro ed è proprio in questo cambio di paradigma, accompagnato da costi gestionali inferiori, che risiede tutta la forza economico finanziaria del modello che il PRV propone. Certo, come dicevamo anche sopra, non sempre è possibile tenere tutti gli animali tutto l’anno al pascolamento: per mancanza di superficie, per condizione climatiche avverse e via dicendo. Tra i due estremi però, ovvero il pascolamento al 100% e la stabulazione al 100%, possono esistere chiaramente differenti situazioni di compromesso che pur se limitati, comportano comunque inevitabilmente un miglioramento del conto economico aziendale per tutti gli aspetti sopra citati.
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Valore aggiunto e premium price Come evidenziato nella precedente ricerca di mercato, i consumatori si stanno differenziando sempre di più tra consumatori massivi, interessati soprattutto al prezzo, e consumatori consapevoli, le cui scelte ricadono in particolar modo su prodotti che rispondano a proprietà organolettiche superiori, ma anche al benessere animale e all’ambiente. In particolar modo abbiamo visto come questi ultimi aspetti risultino rilevanti tra i Millenials, che saranno il grosso del pubblico di riferimento per i prossimi anni. La qualità offerta da allevamenti al pascolamento tramite il sistema di PRV si coniuga altresì con la responsabilità ambientale e, se ben comunicata, può essere un elemento contundente nello spuntare un prezzo superiore al momento di vendere i propri prodotti. Certo, per riuscire pienamente in questa operazione è auspicabile una verticalizzazione della commercializzazione, ovvero la possibilità per il produttore di raggiungere direttamente i propri clienti bypassando gli intermediari. Un passaggio non sempre fattibile per tutte le aziende zootecniche, a causa del poco tempo disponibile, delle scarse competenze e degli investimenti necessari. Inutile dire che quest’ultimo punto, però, lì dove il processo produttivo garantisce marginalità superiori, potrebbe essere agevolmente aggirato nel tempo proprio grazie alla rinnovata capacità di investimento di un’azienda che proprio grazie al PRV disporrebbe di maggiori liquidità di cassa.
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Ad ogni modo, quello che è certo è che il mercato nei prossimi anni riconoscerà come per il biologico un premium price per i prodotti provenienti da allevamenti al pascolamento che operano nel pieno rispetto degli animali e dell’ambiente. Non fosse altro perché il pubblico lo richiede e quindi tutta la filiera si adatterà a tale nuovo bisogno esplicito. Dati alla mano, grazie a una nostra ricerca effettuata su circa 200 potenziali consumatori laziali, sappiamo che il valore percepito di un prodotto del genere è di gran lunga superiore. Analizzando nel dettaglio i principali prodotti proteici (abbiamo volontariamente tralasciato i formaggi, vista l’ampia varietà di prodotti che si inscrive in questa categoria) emerge il seguente quadro:
Il valore percepito è appunto il prezzo che i clienti ritengono corretto per un prodotto di qualità, allevato al pascolo e secondo criteri di sostenibilità. La predisposizione all’acquisto indica invece quanto i clienti sarebbero effettivamente disposti a comprare quel prodotto e quindi a pagare per esso.
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Si evince un prezzo mediamente superiore del 20-25% rispetto agli stessi prodotti nella versione industriale. Un premium price che chiaramente, in termini percentuali, si riscontrerebbe tanto nella vendita dei prodotti ai clienti finali come agli intermediari commerciali. Se si coniuga questo elemento di maggior redditività all’abbattimento dei costi produttivi legato al modello di Pascolamento Razionale Voisin, è evidente come le marginalità della produzione zootecnica con questo sistema, tendano ad aumentare significativamente.
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Conto economico semplificato Di seguito si presenta un conto economico sommamente semplificato che ha la sola intenzione di mostrare il differenziale di produzione e la capacità di ritorno dell’investimento relativo alla sola spesa per le infrastrutture necessarie per la realizzazione di un progetto di Pascolamento Razionale Voisin.
A seguire, un esempio semplificato di conto economico di un’azienda con 10 ettari di terreno che alleva bovini da carne e che si specializza nella linea vacca-vitello. Nell’esempio, si prende in considerazione il solo carico a pascolamento con un sistema di pascolamento estensivo VS uno con Pascolamento Razionale Voisin. Il peso dei vitelli è stato definito in 200 kg ipotizzando una razza da carne con buona rusticità.
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È evidente come la razza incida molto sul conto economico, per cui non sarà lo stesso parlare di un allevamento di maremmane, Aberdeen Angus o altre razze continentali da carne. L’esempio ha però lo scopo di presentare, procedendo appunto per semplificazione, le potenzialità di un allevamento da carne che poi dovranno essere declinate caso per caso. Come si vedrà in fondo alla tabella, l’incremento di marginalità (MOL) secondo le condizioni indicate in questo conto economico, è pari a circa un +290% con un tempo di ritorno dell’investimento, pari a soli 34 mesi.
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Nell’esempio che segue abbiamo provveduto ad analizzare, sempre procedendo per semplificazione, il caso di un allevamento da latte. L’allevamento dispone anche qui di 10 ettari di terreno, ma in questo caso chiaramente è previsto, anche nel pascolamento estensivo, un carico animale maggiore grazie all’integrazione di mangimi. È evidente che l’esempio sottostante ipotizza la capacità degli animali di pascolare e una riduzione della produzione di latte non sempre possibile sulla base della razza in uso: vedi ad esempio Frisona vs altre razze da latte o razze a doppio proposito. Il conto economico non entra quindi nell’analisi specifica di ogni allevamento, ma ha l’intenzione di mostrare, sempre per semplificazione, come un diverso approccio produttivo sia possibile. Come si vedrà anche qui in fondo alla tabella, l’incremento di marginalità (MOL) secondo le condizioni indicate in questo conto economico, è pari a un +249% con un tempo di ritorno dell’investimento pari a soli 4 mesi.
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In entrambi i casi sopra citati, non sono state volutamente prese in considerazione ulteriori variabili migliorative del conto economico, poiché avrebbero aumentato di molto le variabili analizzate rischiando di rendere poco comprensibile l’esempio stesso. Pensiamo ad esempio alla riduzione di costi dovuti a: • spese sanitarie: animali al pascolo presentano un’incidenza inferiore di problematiche sanitarie, così come la riduzione dei litri di latte per capo incide fortemente su questa voce di spesa; • lettiere e pulizia della stalla: il minor tempo passato dagli animali in stalla riduce fortemente le spese relative alla manutenzione ordinaria, straordinaria e gestione generale della stalla; • letame: spargere il letame non è più necessario con gli animali al pascolo, riducendo così spese relative a mezzi agricoli, trattori e infrastrutture; • lavorazione terreni: in un PRV il pascolo polifita non richiede particolari lavorazioni del suolo (Mai comunque l’aratro a favore di lavorazioni su sodo se necessarie). Si riducono così le spese legate al possesso di mezzi agricoli, alla loro manutenzione e al loro uso oltre a quelli necessari per erbai annuali. • ore lavoro: il carico di lavoro si riduce molto di conseguenza, comportando minori oneri finanziari e un miglioramento della qualità di vita, soprattutto, va detto, per gli allevamenti da latte.
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Allo stesso modo, non sono stati prese in considerazione, in entrambi i casi, elementi migliorativi del conto economico, in grado di aumentare i flussi di cassa in entrata: • verticalizzazione: la possibilità di vendere direttamente ai consumatori finali carne e prodotti lattiero-caseari, spuntando così prezzi migliori e lasciando all’interno della propria azienda la marginalità che altrimenti andrebbe ad altri intermediari; • valorizzazione del prodotto: il premium-price che potrebbe essere riconosciuto per prodotti derivanti da animali al pascolo gestiti con tecniche ambientalmente sostenibili e rispettose del benessere animale; • biologico e altre misure: il prezzo non tiene conto di eventuali miglioramenti derivanti dalla conversione a biologico dell’allevamento in questione o da misure che premino la conversione a pascolamento dei terreni, per esempio.
Dott. Alessandro Grilli Allevamento Rigenerativo - Az. Agricola La Argentina tel: 331 7219353 e-mail: alessandrogrilli@hotmail.com
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