Scarti è una pubblicazione trasversale all’arte, alla moda, al design, alla comunicazione e altro ancora. Scarti parla di materiali dismessi, di residui, di scarti che fanno parte del vissuto quotidiano. E cerca di farlo con la volontà e la fantasia di chi li trasfigura, li riusa, li ricicla, li ricolloca per passione, per gioco, per poesia. Temporaneamente dimenticati o messi da parte, gli scarti ricompaiono occupando spazio e memoria. Sono feticci industriali, reliquie della civiltà dei consumi rinvenuti in vecchi solai, fabbriche abbandonate, mercatini dell’usato, centri per la raccolta differenziata dei rifiuti. Reinterpretandoli, reintegrandoli, trasformandoli, i devoti al culto dell’oggetto ne fanno oggetti da culto. Scarti nasce per documentarne i percorsi e nel farlo concentra la sua attenzione sullo scarto inteso questa volta come deviazione improvvisa da un tragitto apparentemente già segnato: l’eliminazione, lo smaltimento, l’oblio di quel che prima ancora di essere un rifiuto, semplicemente non serve più, ha esaurito la sua funzione sul mercato. In questo modo Scarti tenta di dare visibilità e spessore a un’attitudine artistica, etica, sociale che attraversa esperienze e percorsi individuali per altri versi difficilmente accostabili fra loro. Il minimo comun denominatore di questo volume è evidentemente la fascinazione dello scarto2 .
Copertina foto Paolo Gonzato Editoriale foto Corrado Dalcò
Scarti è una pubblicazione trasversale all’arte, alla moda, al design, alla comunicazione e altro ancora. Scarti parla di materiali dismessi, di residui, di scarti che fanno parte del vissuto quotidiano. E cerca di farlo con la volontà e la fantasia di chi li trasfigura, li riusa, li ricicla, li ricolloca per passione, per gioco, per poesia. Temporaneamente dimenticati o messi da parte, gli scarti ricompaiono occupando spazio e memoria. Sono feticci industriali, reliquie della civiltà dei consumi rinvenuti in vecchi solai, fabbriche abbandonate, mercatini dell’usato, centri per la raccolta differenziata dei rifiuti. Reinterpretandoli, reintegrandoli, trasformandoli, i devoti al culto dell’oggetto ne fanno oggetti da culto. Scarti nasce per documentarne i percorsi e nel farlo concentra la sua attenzione sullo scarto inteso questa volta come deviazione improvvisa da un tragitto apparentemente già segnato: l’eliminazione, lo smaltimento, l’oblio di quel che prima ancora di essere un rifiuto, semplicemente non serve più, ha esaurito la sua funzione sul mercato. In questo modo Scarti tenta di dare visibilità e spessore a un’attitudine artistica, etica, sociale che attraversa esperienze e percorsi individuali per altri versi difficilmente accostabili fra loro. Il minimo comun denominatore di questo volume è evidentemente la fascinazione dello scarto2 .
Copertina foto Paolo Gonzato Editoriale foto Corrado Dalcò
La m e m o r i a d e l l ’ a c q u a (...) Quando un corso d’acqua si forma dallo sciogliersi delle nevi di un ghiac-
Uno stesso corso d’acqua può dare vita al ferro, al calcio, al
ciaio in cima al monte, quell’acqua contiene in sé le informazioni di quel cielo
silicio in momenti successivi del suo fluire, mentre la provet-
e di quella terra che l’hanno generata. Sono informazioni racchiuse segreta-
ta d’acqua che ristagna poi in laboratorio evidenzierà il pon-
mente nei suoi elettroni, sotto forma di vibrazioni, di fotoni di luce, di
derale elmento metallico e metalloidico formatosi nel
frequenze quindi, di suoni e di colori che nello scendere a valle, nel
momento del prelievo. L’acqua che nasce a monte con una
cadere da una roccia all’altra, nello scorrere su un
vibrazione ferrica, per esempio, evidenzia nel suo corso
terreno e poi ancora su un altro, si arricchiranno di
vibrazioni di rame, di calcio, di azoto, per giun-
nuovi suoni, di altri colori, creando vortici di com-
gere a valle con l’informazione del silicio.
mistioni che formeranno la qualità dell’acqua. Ciò accade nella grande valle di Vesta così come nella L’acqua è, come sappiamo, una molecola composta da due atomi d’idro-
piccola dimensione di un organismo vivente, di un
geno e da uno di ossigeno: viene definita elettricamente neutra per i suoi
corpo umano: l’acqua scorre in noi cambiando conti-
quattro legami polari, uno per ogni atomo di idrogeno e due per l’atomo di
nuamente vibrazione e, a seconda dei tessuti che irro-
ossigeno che la rendono matrice ideale in ogni processo di regola-
ra, si tinge di rosso, di verde, di giallo. Questi colori
zione dell’organismo; è simbolo dell’equilibrio energetico universale,
sono le frequenze degli ioni di ferro, di rame, di calcio
poiché l’attività elettrica, Yang, maschile, propria dell’idroge-
che muovono i potenziali di membrana attivando l’o-
no, ben si sposa con l’attività magnetica, Yin, femminile, pro-
smosi, lo scambio, il passaggio di quella dinamis, di
pria dell’ossigeno. Un’unione antica che risale alla notte dei
quella forza vitale che si esprime infine nell’elettroma-
tempi, fra i capostipiti di due grandi famiglie, quella degli ele-
gnetismo.
menti metallici e quella degli elementi metalloidici. (...)
Questa unione generò, nello spazio e nel tempo, tutte
Ma dove origina quella informazione vibratoria primordiale che
le forme possibili di aggregazione e di trasmutazione
poi alimenterà e forgerà la materia? Acqua piove dal cielo,
sino a giungere alla densa materia che ci permea, ci
acqua trasuda dalla roccia. Nell’acqua il movimento di caduta
costituisce, ci circonda. L’acqua è dunque la madre e
e di ritorno, di discesa e di salita è più evidente. Il suo ciclo
il padre della condensazione della forma.
sulla terra e nel cielo è una continua ritmica oscillazione che determina il nutrimento plasmatico della nostra terra e l’infor-
L’acqua è vita: il suo liquido, intermedio tra solidi e gas, duttile e mobile,
mazione di equilibrio o disequilibrio per gli elementi del nostro cielo.
libero da rigidità di forme, le permette di ricordare, di avere memoria dei suoi pas-
(...) L’acqua è elemento di informazione: le particelle ele-
saggi di stato, delle sue essenze profonde,
mentari che la costituiscono, l’idrogeno e l’ossigeno, che
spirituali e da ciò ne deriva la facile riso-
hanno indotto nei millenni la formazione di tutti i metalli e
nanza con le vibrazioni cosmiche, il facile assorbimento
i metalloidi, le permettono di risuonare a qualsiasi vibrazione, a qualsiasi fre-
delle stesse. L’acqua s’impregna facilmente di informazio-
quenza e modificarsi e mutare secondo le esigenze e il servizio che viene
ni e muta il suo stato continuamente, cantando infinite
richiesto. Da qui nasce la sua sacralità: l’acqua è aiuto, aiuto elettromagnetico,
melodie. E questo suo mutare le permette di dare origine
è aiuto cosmico, può riportare in terra la luce celeste, eqilibrio ecologico, come
e plasmare le infinite forme di vita. Ma le nostre consuete analisi pronte
può trasmettere al cielo i nostri errori, i nostri disordini, i nostri inquinamenti.
a decifrare un messaggio biochimico, quale il contenuto di oligoelementi, lo stato di acidità e basicità, sono importanti ma limitati modi di deci -
Da Acqua d’amore di Enza Ciccolo, Edizioni Mediterranee, 1997,
frare le proprietà dell’acqua.
a cura di Emilio Bibini
La m e m o r i a d e l l ’ a c q u a (...) Quando un corso d’acqua si forma dallo sciogliersi delle nevi di un ghiac-
Uno stesso corso d’acqua può dare vita al ferro, al calcio, al
ciaio in cima al monte, quell’acqua contiene in sé le informazioni di quel cielo
silicio in momenti successivi del suo fluire, mentre la provet-
e di quella terra che l’hanno generata. Sono informazioni racchiuse segreta-
ta d’acqua che ristagna poi in laboratorio evidenzierà il pon-
mente nei suoi elettroni, sotto forma di vibrazioni, di fotoni di luce, di
derale elmento metallico e metalloidico formatosi nel
frequenze quindi, di suoni e di colori che nello scendere a valle, nel
momento del prelievo. L’acqua che nasce a monte con una
cadere da una roccia all’altra, nello scorrere su un
vibrazione ferrica, per esempio, evidenzia nel suo corso
terreno e poi ancora su un altro, si arricchiranno di
vibrazioni di rame, di calcio, di azoto, per giun-
nuovi suoni, di altri colori, creando vortici di com-
gere a valle con l’informazione del silicio.
mistioni che formeranno la qualità dell’acqua. Ciò accade nella grande valle di Vesta così come nella L’acqua è, come sappiamo, una molecola composta da due atomi d’idro-
piccola dimensione di un organismo vivente, di un
geno e da uno di ossigeno: viene definita elettricamente neutra per i suoi
corpo umano: l’acqua scorre in noi cambiando conti-
quattro legami polari, uno per ogni atomo di idrogeno e due per l’atomo di
nuamente vibrazione e, a seconda dei tessuti che irro-
ossigeno che la rendono matrice ideale in ogni processo di regola-
ra, si tinge di rosso, di verde, di giallo. Questi colori
zione dell’organismo; è simbolo dell’equilibrio energetico universale,
sono le frequenze degli ioni di ferro, di rame, di calcio
poiché l’attività elettrica, Yang, maschile, propria dell’idroge-
che muovono i potenziali di membrana attivando l’o-
no, ben si sposa con l’attività magnetica, Yin, femminile, pro-
smosi, lo scambio, il passaggio di quella dinamis, di
pria dell’ossigeno. Un’unione antica che risale alla notte dei
quella forza vitale che si esprime infine nell’elettroma-
tempi, fra i capostipiti di due grandi famiglie, quella degli ele-
gnetismo.
menti metallici e quella degli elementi metalloidici. (...)
Questa unione generò, nello spazio e nel tempo, tutte
Ma dove origina quella informazione vibratoria primordiale che
le forme possibili di aggregazione e di trasmutazione
poi alimenterà e forgerà la materia? Acqua piove dal cielo,
sino a giungere alla densa materia che ci permea, ci
acqua trasuda dalla roccia. Nell’acqua il movimento di caduta
costituisce, ci circonda. L’acqua è dunque la madre e
e di ritorno, di discesa e di salita è più evidente. Il suo ciclo
il padre della condensazione della forma.
sulla terra e nel cielo è una continua ritmica oscillazione che determina il nutrimento plasmatico della nostra terra e l’infor-
L’acqua è vita: il suo liquido, intermedio tra solidi e gas, duttile e mobile,
mazione di equilibrio o disequilibrio per gli elementi del nostro cielo.
libero da rigidità di forme, le permette di ricordare, di avere memoria dei suoi pas-
(...) L’acqua è elemento di informazione: le particelle ele-
saggi di stato, delle sue essenze profonde,
mentari che la costituiscono, l’idrogeno e l’ossigeno, che
spirituali e da ciò ne deriva la facile riso-
hanno indotto nei millenni la formazione di tutti i metalli e
nanza con le vibrazioni cosmiche, il facile assorbimento
i metalloidi, le permettono di risuonare a qualsiasi vibrazione, a qualsiasi fre-
delle stesse. L’acqua s’impregna facilmente di informazio-
quenza e modificarsi e mutare secondo le esigenze e il servizio che viene
ni e muta il suo stato continuamente, cantando infinite
richiesto. Da qui nasce la sua sacralità: l’acqua è aiuto, aiuto elettromagnetico,
melodie. E questo suo mutare le permette di dare origine
è aiuto cosmico, può riportare in terra la luce celeste, eqilibrio ecologico, come
e plasmare le infinite forme di vita. Ma le nostre consuete analisi pronte
può trasmettere al cielo i nostri errori, i nostri disordini, i nostri inquinamenti.
a decifrare un messaggio biochimico, quale il contenuto di oligoelementi, lo stato di acidità e basicità, sono importanti ma limitati modi di deci -
Da Acqua d’amore di Enza Ciccolo, Edizioni Mediterranee, 1997,
frare le proprietà dell’acqua.
a cura di Emilio Bibini
S u l l a
s p i a g g i a
L’acqua mi sfiora le estremità. S’è placato il mare. La spiaggia è deserta in questa non stagione.
Cammino nel vento guardando i miei piedi nudi tra i ciottoli, le alghe e le rare conchiglie. Lo sguardo si posa inquieto tra i resti rigettati sulla battigia. Una sequenza di istantanee si muove come un nastro nel mio spazio visivo. L’occhio è attratto dalla massa densa su cui cammino, dai frammenti traslucidi delle conchiglie riverse, dai legni plasmati dal lavoro dell’onda. Mi fermo. Un ramo in questo fotogramma mi tende le dita. Lo sguardo ha trovato quel che cercava, o forse è il legno ad aver trovato il mio sguardo affinché lo cogliessi, con la mano tesa verso la mia mente a chiedere di essere condotto in un altro luogo, domandando in silenzio di divenire qualcos’altro da sé. E nella fantasia è già opera, oggetto, perché già so che quel legno avrà un’altra vita. Lo raccolgo, lo libero dai granelli di sabbia e lo porto via. Christine Cagnes, foto Gino Menozzi
S u l l a
s p i a g g i a
L’acqua mi sfiora le estremità. S’è placato il mare. La spiaggia è deserta in questa non stagione.
Cammino nel vento guardando i miei piedi nudi tra i ciottoli, le alghe e le rare conchiglie. Lo sguardo si posa inquieto tra i resti rigettati sulla battigia. Una sequenza di istantanee si muove come un nastro nel mio spazio visivo. L’occhio è attratto dalla massa densa su cui cammino, dai frammenti traslucidi delle conchiglie riverse, dai legni plasmati dal lavoro dell’onda. Mi fermo. Un ramo in questo fotogramma mi tende le dita. Lo sguardo ha trovato quel che cercava, o forse è il legno ad aver trovato il mio sguardo affinché lo cogliessi, con la mano tesa verso la mia mente a chiedere di essere condotto in un altro luogo, domandando in silenzio di divenire qualcos’altro da sé. E nella fantasia è già opera, oggetto, perché già so che quel legno avrà un’altra vita. Lo raccolgo, lo libero dai granelli di sabbia e lo porto via. Christine Cagnes, foto Gino Menozzi
Sembra di guardare dall’oblò di una nave quando si guarda lo specchio rotondo fissato su legni consunti di relitti marini. Costanza Algranti. Legni arrotondati, conchiglie, reti, corde. Il mare ha lasciato sulla spiaggia tutto quello che serve per comporre questa cornice irripetibile. Carlo Enver Foglino.
Sembra di guardare dall’oblò di una nave quando si guarda lo specchio rotondo fissato su legni consunti di relitti marini. Costanza Algranti. Legni arrotondati, conchiglie, reti, corde. Il mare ha lasciato sulla spiaggia tutto quello che serve per comporre questa cornice irripetibile. Carlo Enver Foglino.
In questa pagina, le conchiglie trovate sulla spiaggia al Lido di Venezia decorano il lampadario di carta di riso suonando quando il vento le sfiora. Stefano Lucarini. Nella pagina accanto, la bobina avvolgicavo è un tavolino intarsiato a mosaico di mattonelle levigate dal mare e scarti di ceramiche. Costanza Algranti.
In questa pagina, le conchiglie trovate sulla spiaggia al Lido di Venezia decorano il lampadario di carta di riso suonando quando il vento le sfiora. Stefano Lucarini. Nella pagina accanto, la bobina avvolgicavo è un tavolino intarsiato a mosaico di mattonelle levigate dal mare e scarti di ceramiche. Costanza Algranti.
In questa pagina, il tavolino con il centro in pasta di vetro è circondato da una cornice di mattonelle consumate dal mare. Lascia intravedere i bagliori della candela. Costanza Algranti. Nella pagina accanto, le foto dei ricordi più belli hanno trovato le loro cornici. La prima è composta di sassi e corda, la seconda è di cartapesta sagomata come un’onda. Di Adriana Lohmann. Lo specchio con ricami in corda è un cavallone marino di cartapesta. Marina Protti.
In questa pagina, il tavolino con il centro in pasta di vetro è circondato da una cornice di mattonelle consumate dal mare. Lascia intravedere i bagliori della candela. Costanza Algranti. Nella pagina accanto, le foto dei ricordi più belli hanno trovato le loro cornici. La prima è composta di sassi e corda, la seconda è di cartapesta sagomata come un’onda. Di Adriana Lohmann. Lo specchio con ricami in corda è un cavallone marino di cartapesta. Marina Protti.
Come un cappello cangiante, la lampada fatta con i sassovetrini. Luisa Baracchini Montrucchio. Il grande polipo di cartapesta si accende per far luce sul suo mare arancione. Diego Furlan.
È una barca a vela la lampada in carta di riso e legno. Rodolfo Viganò. Il vecchio tavolo accoglie rettangoli di sabbia e conchiglie. Francesca Pardi e Linda Rusco Idà, Palareto.
Come un cappello cangiante, la lampada fatta con i sassovetrini. Luisa Baracchini Montrucchio. Il grande polipo di cartapesta si accende per far luce sul suo mare arancione. Diego Furlan.
È una barca a vela la lampada in carta di riso e legno. Rodolfo Viganò. Il vecchio tavolo accoglie rettangoli di sabbia e conchiglie. Francesca Pardi e Linda Rusco Idà, Palareto.
Rete metallica, legni, juta, intrecci di spago e intarsi di mattonelle di mare e vetrini compongono la trama di questo arazzo che svela trasparenze segrete. Valeria Vivani, Superdrim, foto Dario Lasagni.
S a l v a t a g g i
”Cnosso”,
Forze potenti in tasmanian traslucido armate di tutto il danaro del-
arazzo di tela
l’universo di tutte le formule di tutta la scienza strappano annien-
di canapa
tano bombardano squarciano avvelenano affamano assetano.
con decorazioni in fil di ferro
(Creano Progesso Producono Ricchezza Posti Di Lavoro Nuove lavorato
Opportunità Incrementano Gli Indici Favoriscono Velocizzano
all’uncinetto
Razionalizzano Convertono Indicizzano). Predoni di acque arie ori
e legni di mare.
sementi terre anime. Scuro è tutto il cielo di tasmanian traslucido
Antonella Tandi Superdrim,
coleotteri dalle zanne bianchissime dalle unghie rosee i peli profumati le pelli terse gli indumenti candeggiati.
foto Dario Lasagni.
Rete metallica, legni, juta, intrecci di spago e intarsi di mattonelle di mare e vetrini compongono la trama di questo arazzo che svela trasparenze segrete. Valeria Vivani, Superdrim, foto Dario Lasagni.
S a l v a t a g g i
”Cnosso”,
Forze potenti in tasmanian traslucido armate di tutto il danaro del-
arazzo di tela
l’universo di tutte le formule di tutta la scienza strappano annien-
di canapa
tano bombardano squarciano avvelenano affamano assetano.
con decorazioni in fil di ferro
(Creano Progesso Producono Ricchezza Posti Di Lavoro Nuove lavorato
Opportunità Incrementano Gli Indici Favoriscono Velocizzano
all’uncinetto
Razionalizzano Convertono Indicizzano). Predoni di acque arie ori
e legni di mare.
sementi terre anime. Scuro è tutto il cielo di tasmanian traslucido
Antonella Tandi Superdrim,
coleotteri dalle zanne bianchissime dalle unghie rosee i peli profumati le pelli terse gli indumenti candeggiati.
foto Dario Lasagni.
Inglobati in un foglio, di PVC avanzi della lavorazione delle stoffe e fili di raffia si trasformano in motivi ornamentali per le borse semitrasparenti di Luisa Cevese. Foto Gino Menozzi.
L’onirico fondale ricco di pesci e stelle marine decora il
E quando han finito il banchetto zac buttano via gettano scaricano: tutto, tutto. E ricominciano daccapo.
cuscino di Lia Marchini dove I colori
Si riservano angoletti puliti del mondo dove succhiare alluci
si fondono
ducali sotto le palme davanti al mareblu prendono in braccio dei
e si sfumano
quasi-cadaverini neri e massaggiano le loro anime morte con
grazie alla
l’olio essenziale buttandone la confezione nel villaggio della
sovrapposizione di ritagli di
madre del quasi-cadaverino. Nessuna tregua o memoria per i
tulle con tonalitĂ
tasmaniani squali in perenne insonne insaziabilitĂ ipercinetica.
differenti.
Cosa volete che contino le mani delle donne che arrotolano spa-
Foto Gino Menozzi.
Inglobati in un foglio, di PVC avanzi della lavorazione delle stoffe e fili di raffia si trasformano in motivi ornamentali per le borse semitrasparenti di Luisa Cevese. Foto Gino Menozzi.
L’onirico fondale ricco di pesci e stelle marine decora il
E quando han finito il banchetto zac buttano via gettano scaricano: tutto, tutto. E ricominciano daccapo.
cuscino di Lia Marchini dove I colori
Si riservano angoletti puliti del mondo dove succhiare alluci
si fondono
ducali sotto le palme davanti al mareblu prendono in braccio dei
e si sfumano
quasi-cadaverini neri e massaggiano le loro anime morte con
grazie alla
l’olio essenziale buttandone la confezione nel villaggio della
sovrapposizione di ritagli di
madre del quasi-cadaverino. Nessuna tregua o memoria per i
tulle con tonalitĂ
tasmaniani squali in perenne insonne insaziabilitĂ ipercinetica.
differenti.
Cosa volete che contino le mani delle donne che arrotolano spa-
Foto Gino Menozzi.
ghi piegano sacchetti salvano spighette e cer niere e bottoni
pennellate ampie e
accumulano vaschette di polistirolo vasetti di vetro e di plastica
decise
conservano i collants per agugliarli in tappetini da bagno.
trasformano
Cosa volete che contino gli artigiani indiani i bambini africani le
la superficie
casalinghe stravaganti le coppiette fantasiose il designer sicilia-
anonima di vecchi corredi
no qualche gruppo volontaristico microscopici bricoleurs delle
in acquari.
immense discariche. Quasi nulla contano: Non fanno soldi non
Adriana
producono in scala non fanno tendenza nĂŠ notizia. Non rappre-
Lohman, foto Eugenio Vazzano
sentano non sono rappresentati. Ma ci sono. L’infinitesimo micro come l’infinitesimo macro.
crea arazzi sempre diversi
Tamara Molinaric Landolina
con tessuti poveri accostati a stoffe importanti e stracci lasciati dal mare sovrapposti e sapientemente cuciti dalle mani di Mariagrazia, Flavia, Concetta, Ornella e Mary. Foto Gino Menozzi.
Gino Menozzi.
ghi piegano sacchetti salvano spighette e cer niere e bottoni
pennellate ampie e
accumulano vaschette di polistirolo vasetti di vetro e di plastica
decise
conservano i collants per agugliarli in tappetini da bagno.
trasformano
Cosa volete che contino gli artigiani indiani i bambini africani le
la superficie
casalinghe stravaganti le coppiette fantasiose il designer sicilia-
anonima di vecchi corredi
no qualche gruppo volontaristico microscopici bricoleurs delle
in acquari.
immense discariche. Quasi nulla contano: Non fanno soldi non
Adriana
producono in scala non fanno tendenza nĂŠ notizia. Non rappre-
Lohman, foto Eugenio Vazzano
sentano non sono rappresentati. Ma ci sono. L’infinitesimo micro come l’infinitesimo macro.
crea arazzi sempre diversi
Tamara Molinaric Landolina
con tessuti poveri accostati a stoffe importanti e stracci lasciati dal mare sovrapposti e sapientemente cuciti dalle mani di Mariagrazia, Flavia, Concetta, Ornella e Mary. Foto Gino Menozzi.
Gino Menozzi.
A z z u r r a
P R E S E N Z E
F L U V I A L I
Vite parallele e storie incrociate, un paesaggio fluviale e persone della pianura padana.... Colori, rumori, suoni e un’aria un po’ surreale, fuori dal tempo; si percepisce una presenza che si fa improvvisamente assenza. Occhi e orecchie che da troppo tempo sono ormai abituati a una percezione che si è fatta passiva, non sono più in grado di stupirsi di fronte al silenzioso rumore che un breve corso d’acqua può creare, con una lentezza costante che da secoli è sempre uguale a se stessa. Sono attimi eterni quelli che uno sguardo invece attento e sensibile può catturare sostando, anche solo per brevi attimi, davanti a un paesaggio fluviale, dove possiamo inventarci, e quindi vedere, presenze strane, aliene rispetto alla banale realtà. E’ la magia dell’acqua che nei suoi lunghi corsi e ricorsi, è sempre uguale a se stessa, ma sempre diversa, a seconda degli
M o n i c a
occhi che la osservano e la interpretano. E’ un modo diverso di vivere una realtà che può apparire solo piatta e monotona ma che, a ben guardare, si ricicla e rinnova continuamente. Abiti, colori e materiali che provengono o si legano all’acqua, intesa come primo elemento vitale, si confondono e si immedesimano anch’essi con un paesaggio fluviale a molti conosciuto, ma da pochi veramente amato. E’ un desiderio di riscoprire una verità che non ci appartiene più perché troppo nascosta dal rumore degli eventi, dalle sensazionalistiche notizie di ogni giorno. E’ un po’ come quando, da bambina, andavo in soffitta per riscoprire oggetti da molti anni abbandonati, ma che ai miei occhi conservavano un fascino e una meraviglia ancora inesplorati.
r a n c ovecchi cappelli, manici di scopa, una scatolina dall’aspetto molto prezioso, e Da un vecchio baule uscivano Fimprovvisamente allora una storia di maghi e streghe era già magicamente creata... In quel luogo era nascosta una vita silenziosa che, parallelamente alla nostra, andava avanti incessantemente. E allora non serve più la logica e la coerenza, perché tutto assume un senso e una valenza nel momento esatto in cui io voglio ricomporre, ricostruire, ricreare attraverso una sensibilità che interpreta e rende ogni gesto un personale modo di vivere e sentire quello che ci sta intorno. Elisa Mezzetti foto Fabrizio Cicconi casting e location Francesca Davoli
S c h i l l a
A z z u r r a
P R E S E N Z E
F L U V I A L I
Vite parallele e storie incrociate, un paesaggio fluviale e persone della pianura padana.... Colori, rumori, suoni e un’aria un po’ surreale, fuori dal tempo; si percepisce una presenza che si fa improvvisamente assenza. Occhi e orecchie che da troppo tempo sono ormai abituati a una percezione che si è fatta passiva, non sono più in grado di stupirsi di fronte al silenzioso rumore che un breve corso d’acqua può creare, con una lentezza costante che da secoli è sempre uguale a se stessa. Sono attimi eterni quelli che uno sguardo invece attento e sensibile può catturare sostando, anche solo per brevi attimi, davanti a un paesaggio fluviale, dove possiamo inventarci, e quindi vedere, presenze strane, aliene rispetto alla banale realtà. E’ la magia dell’acqua che nei suoi lunghi corsi e ricorsi, è sempre uguale a se stessa, ma sempre diversa, a seconda degli
M o n i c a
occhi che la osservano e la interpretano. E’ un modo diverso di vivere una realtà che può apparire solo piatta e monotona ma che, a ben guardare, si ricicla e rinnova continuamente. Abiti, colori e materiali che provengono o si legano all’acqua, intesa come primo elemento vitale, si confondono e si immedesimano anch’essi con un paesaggio fluviale a molti conosciuto, ma da pochi veramente amato. E’ un desiderio di riscoprire una verità che non ci appartiene più perché troppo nascosta dal rumore degli eventi, dalle sensazionalistiche notizie di ogni giorno. E’ un po’ come quando, da bambina, andavo in soffitta per riscoprire oggetti da molti anni abbandonati, ma che ai miei occhi conservavano un fascino e una meraviglia ancora inesplorati.
r a n c ovecchi cappelli, manici di scopa, una scatolina dall’aspetto molto prezioso, e Da un vecchio baule uscivano Fimprovvisamente allora una storia di maghi e streghe era già magicamente creata... In quel luogo era nascosta una vita silenziosa che, parallelamente alla nostra, andava avanti incessantemente. E allora non serve più la logica e la coerenza, perché tutto assume un senso e una valenza nel momento esatto in cui io voglio ricomporre, ricostruire, ricreare attraverso una sensibilità che interpreta e rende ogni gesto un personale modo di vivere e sentire quello che ci sta intorno. Elisa Mezzetti foto Fabrizio Cicconi casting e location Francesca Davoli
S c h i l l a
Gilet in tappi di sughero usati assemblati con filo di nylon tenuto fermo da palline in legno. Mauro Carichini. Nella pagina accanto, abito turchese creato con fasce ricavate dai sacchetti di cellophan. Lo decorano fiori in plastica. Ugo Massari.
Gilet in tappi di sughero usati assemblati con filo di nylon tenuto fermo da palline in legno. Mauro Carichini. Nella pagina accanto, abito turchese creato con fasce ricavate dai sacchetti di cellophan. Lo decorano fiori in plastica. Ugo Massari.
Lievemente tinto di lilla e impreziosito da un girocollo di piume, diventa un top il materiale plastico da imballo pluriball. Francesco Roda, corso di design-moda, Istituto Marangoni di Milano.
Quasi una sposa in un lieve abito bianco ricavato da sacchetti di cellophan di consistenze diverse e arricchito da rouges sul top. Ugo Massari.
Lievemente tinto di lilla e impreziosito da un girocollo di piume, diventa un top il materiale plastico da imballo pluriball. Francesco Roda, corso di design-moda, Istituto Marangoni di Milano.
Quasi una sposa in un lieve abito bianco ricavato da sacchetti di cellophan di consistenze diverse e arricchito da rouges sul top. Ugo Massari.
In questa pagina, Scarpe da sera con tacchi ricavati da reggi-rubinetti in ottone, suola in cartone ricoperto di seta dipinta a mano e lacci in catenella. Ubaldo Lanzo, corso di design-moda, Istituto Marangoni di Milano. La borsetta reinterpreta una scatola di cioccolatini grazie a una serie di conchiglie. Melissandre Marzari, corso di design-moda, Istituto Marangoni di Milano. Nella pagina accanto, Fiori e foglie rosa per l’abito lungo con ricamo fitto di cellophan decorato con pennarello vetrografico nero. Ugo Massari.
Il servizio è stato realizzato nell’oasi del WWF a Villa Valle, frazione di Novara.
In questa pagina, Scarpe da sera con tacchi ricavati da reggi-rubinetti in ottone, suola in cartone ricoperto di seta dipinta a mano e lacci in catenella. Ubaldo Lanzo, corso di design-moda, Istituto Marangoni di Milano. La borsetta reinterpreta una scatola di cioccolatini grazie a una serie di conchiglie. Melissandre Marzari, corso di design-moda, Istituto Marangoni di Milano. Nella pagina accanto, Fiori e foglie rosa per l’abito lungo con ricamo fitto di cellophan decorato con pennarello vetrografico nero. Ugo Massari.
Il servizio è stato realizzato nell’oasi del WWF a Villa Valle, frazione di Novara.
Camminare, guardare,
immaginare e poi trovare.
Ma anche trovare
e poi immaginare,
oppure solo immaginare.
Quanti percorsi nel nostro cuore?
Linee sinuose,
dolcezza e seduzione.
Linee diritte, rigore ed equilibrio.
Trovare tubi dell’acqua
abbandonati sul terreno,
sporchi e senza vita.
Toccare e trasformare.
Scevri da ogni retorica,
lasciamo che l’intuito li tagli,
D’amore e luce I
R I F L E S S I
D E L L ’ A C Q U A
Gianluca Pacchioni foto Gino Menozzi
li pieghi, li illumini.
Amore e luce.
Tutto qui il senso della vita?
Camminare, guardare,
immaginare e poi trovare.
Ma anche trovare
e poi immaginare,
oppure solo immaginare.
Quanti percorsi nel nostro cuore?
Linee sinuose,
dolcezza e seduzione.
Linee diritte, rigore ed equilibrio.
Trovare tubi dell’acqua
abbandonati sul terreno,
sporchi e senza vita.
Toccare e trasformare.
Scevri da ogni retorica,
lasciamo che l’intuito li tagli,
D’amore e luce I
R I F L E S S I
D E L L ’ A C Q U A
Gianluca Pacchioni foto Gino Menozzi
li pieghi, li illumini.
Amore e luce.
Tutto qui il senso della vita?
La materia di queste
lampade è quella
dei tubi di ferro delle
condotte sotterranee
dell’acqua, fatta arruginire,
tagliata e forgiata
da Gianluca Pacchioni.
Lampade ”interattive”
che spostandosi nello spazio
disegnano giochi di luce
e ombra dando origine
a mandala, a esplosioni
a raggera, a figure che
ricordano organismi marini.
I
R I F L E S S I
D’amore
D E L L ’ A C Q U A
e luce
La materia di queste
lampade è quella
dei tubi di ferro delle
condotte sotterranee
dell’acqua, fatta arruginire,
tagliata e forgiata
da Gianluca Pacchioni.
Lampade ”interattive”
che spostandosi nello spazio
disegnano giochi di luce
e ombra dando origine
a mandala, a esplosioni
a raggera, a figure che
ricordano organismi marini.
I
R I F L E S S I
D’amore
D E L L ’ A C Q U A
e luce
M I T O In molte lingue africane la parola per ”le acque dell’inizio” è la stessa che viene usata per designare i gemelli. Duplice è la sua natura, profonda e bassa, vivificante e portatrice di morte, calma e agitata.
S I M B O L O G I A
&
In questa pagina, una cascata di rettangoli di plastica ricavati da bottiglie d’acqua si sfumano nella composizione di Stefania Dalla Torre. Foto Cristina Sferra. I portacandele ricavati da bottiglie di plastica sfruttano le diverse forme e colori per la loro nuova funzione.Carlo Guazzo, foto Gino Menozzi. Nella pagina a fianco, lampadario di bottiglie di plastica di Stefania Dalla Torre e Santo Denti per Opos. Foto gk dfgdkfgdfl.
M I T O In molte lingue africane la parola per ”le acque dell’inizio” è la stessa che viene usata per designare i gemelli. Duplice è la sua natura, profonda e bassa, vivificante e portatrice di morte, calma e agitata.
S I M B O L O G I A
&
In questa pagina, una cascata di rettangoli di plastica ricavati da bottiglie d’acqua si sfumano nella composizione di Stefania Dalla Torre. Foto Cristina Sferra. I portacandele ricavati da bottiglie di plastica sfruttano le diverse forme e colori per la loro nuova funzione.Carlo Guazzo, foto Gino Menozzi. Nella pagina a fianco, lampadario di bottiglie di plastica di Stefania Dalla Torre e Santo Denti per Opos. Foto gk dfgdkfgdfl.
Il paravento ”Accadueò” è composto da bottiglie di plastica sezionate e fissate, grazie al tappo, a una barra d’acciaio. Paolo Ulian, foto fhdgfbfv fhvjds. ”Accadueò” è anche una lampada dove il contenitore in plastica è impilato a formare la colonna che contiene la luce. Paolo e Giuseppe Ulian per ”Segno-Opposite Light”, foto gk dfgdkfgdfl.
I fondi delle bottiglie di acqua uniti da anellini creano la tenda trasparente. di Stefania Dalla Torre. Foto Cristina Sferra.
Il paravento ”Accadueò” è composto da bottiglie di plastica sezionate e fissate, grazie al tappo, a una barra d’acciaio. Paolo Ulian, foto fhdgfbfv fhvjds. ”Accadueò” è anche una lampada dove il contenitore in plastica è impilato a formare la colonna che contiene la luce. Paolo e Giuseppe Ulian per ”Segno-Opposite Light”, foto gk dfgdkfgdfl.
I fondi delle bottiglie di acqua uniti da anellini creano la tenda trasparente. di Stefania Dalla Torre. Foto Cristina Sferra.
”Re-Pet” è una bottiglia tradotta in bicchiere e bracciale. AD+Design, foto gk dfgdkfgdfl. Con pochi tagli la bottiglia si è trasformata in un distributore di bicchieri di plastica. Alessandro Miatto, foto Cristina Sferra. Nella pagina accanto, grande lampada-fiore ricavata da bottiglie con colori differenti. Alberto Artesani, foto Corrado Dalcò.
”Re-Pet” è una bottiglia tradotta in bicchiere e bracciale. AD+Design, foto gk dfgdkfgdfl. Con pochi tagli la bottiglia si è trasformata in un distributore di bicchieri di plastica. Alessandro Miatto, foto Cristina Sferra. Nella pagina accanto, grande lampada-fiore ricavata da bottiglie con colori differenti. Alberto Artesani, foto Corrado Dalcò.
”H2O Mandala” è un materassino, una piattaforma prendisole o una zattera post-moderna, composta da bottiglie di plastica di colori diversi. Sergio Macchioni, Smaclab, elaborazione al computer Daniela Moretto.
Composizioni artistiche con rettangoli di plastica da bottiglie d’acqua di tonalità diverse.Stefania Dalla Torre, foto Afhgfdh gjfdhgj. Al centro, ”Alveare” un’applique ricavata dalla parte alta delle bottiglie di acqua minerale. Diego Zanella per Hobos Design.
”H2O Mandala” è un materassino, una piattaforma prendisole o una zattera post-moderna, composta da bottiglie di plastica di colori diversi. Sergio Macchioni, Smaclab, elaborazione al computer Daniela Moretto.
Composizioni artistiche con rettangoli di plastica da bottiglie d’acqua di tonalità diverse.Stefania Dalla Torre, foto Afhgfdh gjfdhgj. Al centro, ”Alveare” un’applique ricavata dalla parte alta delle bottiglie di acqua minerale. Diego Zanella per Hobos Design.
un
mare
di
lattine
In Italia si producono ogni anno 365 chili di rifiuti domestici pro capite, 28 tonnellate nell’arco di una vita media. Nelle 28 tonnellate che cerchiamo di smaltire, gli imballaggi la fanno da padroni, colpevoli di avere una funzione estremamente breve, di apparire e scomparire con la stessa velocità con la quale decidiamo di acquistare un prodotto. Per non essere sommerso da questi oggetti inutilizzabili, l’uomo ha cercato di ovviare al problema rimettendo in circolo come materie prime ciò che viene buttato nel sacchetto della spazzatura. Attraverso processi di trasformazione, gli conferisce quindi un nuovo valore di risorsa. Ma se attualmente il riciclaggio di materie quali vetro, plastica, carta e lattine ha la principale funzione di contenere l’avanzare dei rifiuti, nella storia umana recente, la lattina, in particolare, diventa protagonista di vicende umane, di capovolgimenti e di creazioni spettacolari. La forma e il materiale infatti la rendono duttile ma allo stesso modo resistente. Dalla moda al design, sino alla casalinga che la utilizza come portapenne, la sua attitudine ai cambiamenti di ruolo la porta ai gradini più alti dell’olimpo dell’immondizia. Attraverso la pittura, la scultura, l’installazione e il design il rifiuto diventa linguaggio artistico poliedrico al cui verti ce la semplice lattina si trova. Artisti del nostro tempo, filosofi del vivere quotidiano, esaltano il dato temporale e ingannano il ciclo vitale di questo oggetto che più di altri si presta a essere sottratto alla sua morte definitiva. Monica Sampietro
un
mare
di
lattine
In Italia si producono ogni anno 365 chili di rifiuti domestici pro capite, 28 tonnellate nell’arco di una vita media. Nelle 28 tonnellate che cerchiamo di smaltire, gli imballaggi la fanno da padroni, colpevoli di avere una funzione estremamente breve, di apparire e scomparire con la stessa velocità con la quale decidiamo di acquistare un prodotto. Per non essere sommerso da questi oggetti inutilizzabili, l’uomo ha cercato di ovviare al problema rimettendo in circolo come materie prime ciò che viene buttato nel sacchetto della spazzatura. Attraverso processi di trasformazione, gli conferisce quindi un nuovo valore di risorsa. Ma se attualmente il riciclaggio di materie quali vetro, plastica, carta e lattine ha la principale funzione di contenere l’avanzare dei rifiuti, nella storia umana recente, la lattina, in particolare, diventa protagonista di vicende umane, di capovolgimenti e di creazioni spettacolari. La forma e il materiale infatti la rendono duttile ma allo stesso modo resistente. Dalla moda al design, sino alla casalinga che la utilizza come portapenne, la sua attitudine ai cambiamenti di ruolo la porta ai gradini più alti dell’olimpo dell’immondizia. Attraverso la pittura, la scultura, l’installazione e il design il rifiuto diventa linguaggio artistico poliedrico al cui verti ce la semplice lattina si trova. Artisti del nostro tempo, filosofi del vivere quotidiano, esaltano il dato temporale e ingannano il ciclo vitale di questo oggetto che più di altri si presta a essere sottratto alla sua morte definitiva. Monica Sampietro
In ordine di sequenza: le lattine di Coca-Cola aperte e applicate su un vecchio mobile di legno con l’ausilio di una quantità di chiodini. Nino Scravaglieri, foto Maria Cristina Sferra. “Can”, la sedia di Pedro Sottoymar selezionata da Legambiente per il concorso Ri-Oggetto ’98, ha la seduta e il poggiaschiena formati da una serie di lattine schiacciate e accostate con rigore geometrico. Foto Gino Menozzi. La lattina di birra Sapporo diventa una lampada a sospensione nella creazione di Gino Menozzi. Foto G. Menozzi Applique costruita su una trama composta da strisce di alluminio ritagliate dalle lattine. Massimo Varetto, foto fghvb bvhvb. Da una lattina di cibo per gatti prende vita il pesce-appendino. Superdrim, fotoDario Lasagni. Un pachwork di pezzi di lattine di bibite diverse applicate su un telaio di una vecchia lampada da tavolo. Superdrim, Foto fghvb bvhvb
In ordine di sequenza: le lattine di Coca-Cola aperte e applicate su un vecchio mobile di legno con l’ausilio di una quantità di chiodini. Nino Scravaglieri, foto Maria Cristina Sferra. “Can”, la sedia di Pedro Sottoymar selezionata da Legambiente per il concorso Ri-Oggetto ’98, ha la seduta e il poggiaschiena formati da una serie di lattine schiacciate e accostate con rigore geometrico. Foto Gino Menozzi. La lattina di birra Sapporo diventa una lampada a sospensione nella creazione di Gino Menozzi. Foto G. Menozzi Applique costruita su una trama composta da strisce di alluminio ritagliate dalle lattine. Massimo Varetto, foto fghvb bvhvb. Da una lattina di cibo per gatti prende vita il pesce-appendino. Superdrim, fotoDario Lasagni. Un pachwork di pezzi di lattine di bibite diverse applicate su un telaio di una vecchia lampada da tavolo. Superdrim, Foto fghvb bvhvb
I L
B A G N O
M A G I C O V I T A
P R I M A
D E L L A
V I T A
L’acqua è il farmaco più dolce che ci sia, non è tossico (...) Per trentotto settimane il bimbo si è accontentato di galleggiare, tirare calci e agitare mollemente gli arti dentro l’utero di sua madre, aspirando il nutrimento con la cannuccia ombelicale e spingendovi indietro il sangue per raccogliere altre provviste nella placenta. Ha inalato e esalato il liquido amniotico caldo e salato che lo circonda, e lo ha inghiottito, assaporandolo e odorandolo. (...) Naturalmente la dieta del feto è, per forza di necessità, liquida. Nell’ultimo trimestre trangugia la bellezza di 750 millilitri di liquido amniotico al giorno, quasi un terzo del suo peso corporeo a termine. È come se un adulto di 55 chili si bevesse quasi venti litri di integratore salino al giorno. Una parte del liquido ingoiato passa nel corpo della madre attraverso il cordone ombelicale. Un’altra porzione tor na nel sacco amniotico attraverso le vie urinarie. (...) Mulvihill e i suoi colleghi hanno anche scoperto che quest’attività del feto non è un mero esercizio. Il liquido amniotico contiene sostanze nutritive ricche, altamente caloriche, fra cui zuccheri e proteine. Benché la placenta e il cordone ombelicale sembrino in grado di fornire al bambino tutto il nutrimento necessario, Mulvihill calcola che il liquido amniotico for nisce all’incirca il 10 o il 14 per cento del fabbisogno nutrizionale di un feto normale.
e non scatena reazioni allergiche. In acqua a 37 gradi, infatti, la muscolatura si decontrae con ripercussioni benefiche su tutto l’organismo. Per questo motivo alle gestanti viene consigliata la pratica del bagno serale a questa temperatura, che è la stessa del liquido amniotico. Se poi si abbassa la luce, l’effetto che ne consegue sulla mamma è quello di un contatto più intimo con la creatura che porta in grembo quasi che, omologando le condizioni fisiche in cui entrambi si trovano, si creasse una sorta di comunicazione emozionale più diretta e intensa. L’idroteapia funziona sfruttando l’azione vasocostrittrice e tonificante dell’acqua fredda, decongestionante e antinfiammatoria dell’acqua calda. Gli stimoli in base ai quali agisce sono termici e meccanici. Nel primo caso maggiore è la differenza tra la temperatura dell’acqua e quella del corpo umano, compresa tra i 35 e i 38 gradi, più forte è la reazione. Nel secondo caso lo stimolo meccanico è dato dall’acqua che scorre lungo tutto il corpo creando un’alternanza di tensione e rilassamento, ma è dato anche dall’acqua in movimento o spruzzata con pressione. La cura dell’acqua funziona anche per riflesso: le docciature fredde sotto i piedi, per esempio, creano uno stimolo negli organi corrispondenti. L’idroterapia funziona infine anche per osmosi: i liquidi hanno la capacità di filtrare attraverso le pareti porose e di conseguenza anche attraverso la pelle. L’acqua riserva così all’essere umano immerso nel “bagno magico” infiniti vantaggi terapeutici. Christine Cagnes
Da Come comincia la vita di Christopher Vaugan, Salani Editore, 1998
Morbido, confortante tepore del latte, ma potrebbe anche essere vitale, rigenerante freschezza di una bottiglietta d’acqua gelata nella calura estiva. Mantenere la temperatura è la funzione fondamentale del thermos portatile “Phoenix”, completamente realizzato in materiale riciclato da Sergio Macchioni, Smaclab. Ritagli di tessuto avanzati dalla lavorazione delle vele sono la stoffa ultra resistente dell’involucro; al suo interno, il termoisolante è composto da materiale coibentante finemente sminuzzato, scartato nel ciclo di lavorazione. Questo thermos innovativo è economico, leggero, di dimensioni ridotte, pratico e allegro. Con tutte queste caratteristiche non poteva che essere selezionato nel concorso di Opos “Design Under 35” per l’anno 1999, vetrina privilegiata per i giovani designer italiani che si occupano di riutilizzo e riciclo. Still life Gino Menozzi.
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L’acqua è il farmaco più dolce che ci sia, non è tossico (...) Per trentotto settimane il bimbo si è accontentato di galleggiare, tirare calci e agitare mollemente gli arti dentro l’utero di sua madre, aspirando il nutrimento con la cannuccia ombelicale e spingendovi indietro il sangue per raccogliere altre provviste nella placenta. Ha inalato e esalato il liquido amniotico caldo e salato che lo circonda, e lo ha inghiottito, assaporandolo e odorandolo. (...) Naturalmente la dieta del feto è, per forza di necessità, liquida. Nell’ultimo trimestre trangugia la bellezza di 750 millilitri di liquido amniotico al giorno, quasi un terzo del suo peso corporeo a termine. È come se un adulto di 55 chili si bevesse quasi venti litri di integratore salino al giorno. Una parte del liquido ingoiato passa nel corpo della madre attraverso il cordone ombelicale. Un’altra porzione tor na nel sacco amniotico attraverso le vie urinarie. (...) Mulvihill e i suoi colleghi hanno anche scoperto che quest’attività del feto non è un mero esercizio. Il liquido amniotico contiene sostanze nutritive ricche, altamente caloriche, fra cui zuccheri e proteine. Benché la placenta e il cordone ombelicale sembrino in grado di fornire al bambino tutto il nutrimento necessario, Mulvihill calcola che il liquido amniotico for nisce all’incirca il 10 o il 14 per cento del fabbisogno nutrizionale di un feto normale.
e non scatena reazioni allergiche. In acqua a 37 gradi, infatti, la muscolatura si decontrae con ripercussioni benefiche su tutto l’organismo. Per questo motivo alle gestanti viene consigliata la pratica del bagno serale a questa temperatura, che è la stessa del liquido amniotico. Se poi si abbassa la luce, l’effetto che ne consegue sulla mamma è quello di un contatto più intimo con la creatura che porta in grembo quasi che, omologando le condizioni fisiche in cui entrambi si trovano, si creasse una sorta di comunicazione emozionale più diretta e intensa. L’idroteapia funziona sfruttando l’azione vasocostrittrice e tonificante dell’acqua fredda, decongestionante e antinfiammatoria dell’acqua calda. Gli stimoli in base ai quali agisce sono termici e meccanici. Nel primo caso maggiore è la differenza tra la temperatura dell’acqua e quella del corpo umano, compresa tra i 35 e i 38 gradi, più forte è la reazione. Nel secondo caso lo stimolo meccanico è dato dall’acqua che scorre lungo tutto il corpo creando un’alternanza di tensione e rilassamento, ma è dato anche dall’acqua in movimento o spruzzata con pressione. La cura dell’acqua funziona anche per riflesso: le docciature fredde sotto i piedi, per esempio, creano uno stimolo negli organi corrispondenti. L’idroterapia funziona infine anche per osmosi: i liquidi hanno la capacità di filtrare attraverso le pareti porose e di conseguenza anche attraverso la pelle. L’acqua riserva così all’essere umano immerso nel “bagno magico” infiniti vantaggi terapeutici. Christine Cagnes
Da Come comincia la vita di Christopher Vaugan, Salani Editore, 1998
Morbido, confortante tepore del latte, ma potrebbe anche essere vitale, rigenerante freschezza di una bottiglietta d’acqua gelata nella calura estiva. Mantenere la temperatura è la funzione fondamentale del thermos portatile “Phoenix”, completamente realizzato in materiale riciclato da Sergio Macchioni, Smaclab. Ritagli di tessuto avanzati dalla lavorazione delle vele sono la stoffa ultra resistente dell’involucro; al suo interno, il termoisolante è composto da materiale coibentante finemente sminuzzato, scartato nel ciclo di lavorazione. Questo thermos innovativo è economico, leggero, di dimensioni ridotte, pratico e allegro. Con tutte queste caratteristiche non poteva che essere selezionato nel concorso di Opos “Design Under 35” per l’anno 1999, vetrina privilegiata per i giovani designer italiani che si occupano di riutilizzo e riciclo. Still life Gino Menozzi.
UNA STORIA DI ACQUA E CARTA
Il piazzale è sommerso da montagne di carta e un camion ne sta scaricando ancora. Alcuni fogli si liberano dai legacci che li serrano in grossi cubi multicolori per depositarsi, complice il vento, sulle aiuole del giardino. La cartiera di Cologno Monzese, in provincia di Milano, produce solo carta riciclata. I carichi provengono dai centri di raccolta differenziata dell’hinterland milanese e dai commercianti della zona che hanno maggiore scarto di imballi cartacei. Tracce di materiali diversi, piccole foglie, fili sono inclusi in questa superficie mutevole.
Il 99 per cento del materiale raccolto viene recuperato attraverso il ciclo di raffinazione e epurazione che si svolge in quattro fasi successive. Il restante 1 per cento è composto da polistirolo, piccoli pezzi di plastica, graffette di ferro e altre minuterie e, separato dalla materia prima, viene pressato e destinato all’inceneritore. La fibra subisce una serie di “lavaggi”, viene scomposta in una pasta grigiastra, triturata finemente e centrifugata per poter finalmente essere nuovamente lavorata. Nell’ultima parte del processo si ha la fabbricazione vera e propria della carta riciclata. Il foglio si srotola come
UNA STORIA DI ACQUA E CARTA
Il piazzale è sommerso da montagne di carta e un camion ne sta scaricando ancora. Alcuni fogli si liberano dai legacci che li serrano in grossi cubi multicolori per depositarsi, complice il vento, sulle aiuole del giardino. La cartiera di Cologno Monzese, in provincia di Milano, produce solo carta riciclata. I carichi provengono dai centri di raccolta differenziata dell’hinterland milanese e dai commercianti della zona che hanno maggiore scarto di imballi cartacei. Tracce di materiali diversi, piccole foglie, fili sono inclusi in questa superficie mutevole.
Il 99 per cento del materiale raccolto viene recuperato attraverso il ciclo di raffinazione e epurazione che si svolge in quattro fasi successive. Il restante 1 per cento è composto da polistirolo, piccoli pezzi di plastica, graffette di ferro e altre minuterie e, separato dalla materia prima, viene pressato e destinato all’inceneritore. La fibra subisce una serie di “lavaggi”, viene scomposta in una pasta grigiastra, triturata finemente e centrifugata per poter finalmente essere nuovamente lavorata. Nell’ultima parte del processo si ha la fabbricazione vera e propria della carta riciclata. Il foglio si srotola come
un lenzuolo sul quale va a cadere l’acqua che permette alla cellulosa in pasta di essere “tirata” come una sfoglia. L’acqua si perde via via e il lungo nastro di carta prosegue il suo percorso all’interno dell’esiccatoio, per uscire alla fine del tunnel e arrotolarsi sulla bobina. 250 kg di carta rigenerata sono pronti per ripartire. Per fabbricare 1 kg di carta riciclata occorrono dai 25 ai 30 litri d’acqua; se la cellulosa non fosse mai stata lavorata, ovvero se si trattasse di carta non riciclata ricavata direttamente dalla materia prima, ne occorrerebbero dai 40 ai 45. L’80 per cento dell’acqua che serve per produrre la carta viene riciclata a sua volta tramite un processo di depu-
Con una scomposizione e ricomposizione della materia prima “vecchia”, la carta assume la sua identità nuova.
Riconoscibili esistenze precedenti sono la caratteristica di questo foglio.
Inchiostri, segni, frammenti di parole e persino coriandoli si trovano nei fogli di carta fatta a mano grazie a un’elaborazione artigianale della cellulosa.
razione interno alla cartiera e quindi riutilizzato in loco. Il restante 20 per cento viene trasferito tramite la fognatura al Consorzio per le acque di Peschiera Borromeo (Mi), dove avviene la depurazione e la successiva reimmisione in circolo per altri utilizzi. Ma in quanto tempo l’eterogenea varietà di carta e cartone depositata sul piazzale si trasforma in nuova carta
riciclata?
Il
signor
Bruno
Davoglio, quarant’anni di lavoro nel settore, garantisce che il processo dura in tutto dieci minuti. Christine Cagnes, reportage Cristina Sferra, still life Gino Menozzi
Nascono così decorazioni casuali che attraversano il foglio rendendolo unico. Tutte le carte sono state realizzate da Francesca Pardi, Palareto.
Inchiostri, segni, frammenti di parole e persino coriandoli si trovano nei fogli di carta fatta a mano grazie a un’elaborazione artigianale della cellulosa.
razione interno alla cartiera e quindi riutilizzato in loco. Il restante 20 per cento viene trasferito tramite la fognatura al Consorzio per le acque di Peschiera Borromeo (Mi), dove avviene la depurazione e la successiva reimmisione in circolo per altri utilizzi. Ma in quanto tempo l’eterogenea varietà di carta e cartone depositata sul piazzale si trasforma in nuova carta
riciclata?
Il
signor
Bruno
Davoglio, quarant’anni di lavoro nel settore, garantisce che il processo dura in tutto dieci minuti. Christine Cagnes, reportage Cristina Sferra, still life Gino Menozzi
Nascono così decorazioni casuali che attraversano il foglio rendendolo unico. Tutte le carte sono state realizzate da Francesca Pardi, Palareto.
Inchiostri, segni, frammenti di parole e persino coriandoli si trovano nei fogli di carta fatta a mano grazie a un’elaborazione artigianale della cellulosa.
razione interno alla cartiera e quindi riutilizzato in loco. Il restante 20 per cento viene trasferito tramite la fognatura al Consorzio per le acque di Peschiera Borromeo (Mi), dove avviene la depurazione e la successiva reimmisione in circolo per altri utilizzi. Ma in quanto tempo l’eterogenea varietà di carta e cartone depositata sul piazzale si trasforma in nuova carta
riciclata?
Il
signor
Bruno
Davoglio, quarant’anni di lavoro nel settore, garantisce che il processo dura in tutto dieci minuti. Christine Cagnes, reportage Cristina Sferra, still life Gino Menozzi
Nascono così decorazioni casuali che attraversano il foglio rendendolo unico. Tutte le carte sono state realizzate da Francesca Pardi, Palareto.
Sprechi acquei Da Storia dell’acqua di Hervé Maneglier, Sugarco Editore,1994, a cura di Emilio Bibini foto Renato Begnoni
(...) I tempi sono proprio cambiati da quando un Jean Baptiste de La Salle, autore di un Traité de bien-sé, poteva scrivere che ”la pulizia significa pulirsi tutte le mattine il viso con una pezzuola bianca per sgrassarlo”. Ormai ci si sgrassa con una bacinella, sapone e acqua. Molta acqua. E’ l’epoca della profusione, qualcuno dirà dello sperpero. La necessaria pulizia della città viene brutalmente confermata all’inizio del XIX secolo con la spaventosa comparsa del colera. Per lavare le città del loro materiale purulento e farle uscire dal loro stato di insalubrità occorre molta acqua. Poco importa la qualità: le si chiede solo di scorrere in abbondanza trascinando le lordure con sé. (...) E’ l’epoca delle adduzioni e della tanto desiderata rete di scolo. Dopo aver rifiutato le acque sorgive e la rete fognaria, si cambia idea davanti all’evidenza che le epidemie di colera e di tifo sono direttamente legate, nella loro diffusione, alla qualità dell’acqua da bere e alla debolezza della corrente di bonifica. In questa battaglia i grandi vinti sono i fiumi e i corsi d’acqua, nei quali vengono scaricate le sentine e le cloache della città, che intaccano la loro lenta discesa verso gli inferi dell’inquinamento. Inattesa metamorfosi del trionfo dell’igiene.
In questa pagina, a sinistra, sedia da lettura con lampada composta da tubi, giunti idraulici e legno di recupero. Gianluca Matteoni e Nicolò Bondi. A destra, tubi e fili di ferro intrecciati per la lampada da tavolo Rapunzel. LaRobatorio. Nella pagina accanto, il candelabro riutilizza tubature e giunti delle condutture dell’acqua. Palareto.
Sprechi acquei Da Storia dell’acqua di Hervé Maneglier, Sugarco Editore,1994, a cura di Emilio Bibini foto Renato Begnoni
(...) I tempi sono proprio cambiati da quando un Jean Baptiste de La Salle, autore di un Traité de bien-sé, poteva scrivere che ”la pulizia significa pulirsi tutte le mattine il viso con una pezzuola bianca per sgrassarlo”. Ormai ci si sgrassa con una bacinella, sapone e acqua. Molta acqua. E’ l’epoca della profusione, qualcuno dirà dello sperpero. La necessaria pulizia della città viene brutalmente confermata all’inizio del XIX secolo con la spaventosa comparsa del colera. Per lavare le città del loro materiale purulento e farle uscire dal loro stato di insalubrità occorre molta acqua. Poco importa la qualità: le si chiede solo di scorrere in abbondanza trascinando le lordure con sé. (...) E’ l’epoca delle adduzioni e della tanto desiderata rete di scolo. Dopo aver rifiutato le acque sorgive e la rete fognaria, si cambia idea davanti all’evidenza che le epidemie di colera e di tifo sono direttamente legate, nella loro diffusione, alla qualità dell’acqua da bere e alla debolezza della corrente di bonifica. In questa battaglia i grandi vinti sono i fiumi e i corsi d’acqua, nei quali vengono scaricate le sentine e le cloache della città, che intaccano la loro lenta discesa verso gli inferi dell’inquinamento. Inattesa metamorfosi del trionfo dell’igiene.
In questa pagina, a sinistra, sedia da lettura con lampada composta da tubi, giunti idraulici e legno di recupero. Gianluca Matteoni e Nicolò Bondi. A destra, tubi e fili di ferro intrecciati per la lampada da tavolo Rapunzel. LaRobatorio. Nella pagina accanto, il candelabro riutilizza tubature e giunti delle condutture dell’acqua. Palareto.
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A B L U Z I O N I e p r o f a n e SACRE
Gli antichi profumi hanno fatto parte di una ”toilette” quando la parola non aveva nessun legame con l’acqua. Il temine ”toilette” nel diciottesimo secolo si riferiva al pettinarsi, al rimettersi in ordine, mettersi cipria e cosmetici profumati, vestirsi e infine, come ultima fase della ”toilette”, ricevere visite nel ”boudoir”. La ”toilette” era idrofobica, non era in nessun modo legata all’acqua corrente. Con il consenso dei medici, l’acqua era considerata poco salutare per la pelle. Se entrava a far parte della ”toilette” era per inumidire un asciugamano. Quando i mori, gli ebrei o i finlandesi fecero conoscere all’Europa i bagni pubblici, questi erano innanzi tutto usati per promuovere la salute, non per migliorare l’aspetto. Il lavarsi frequentemente con l’acqua non divenne parte della toilette prima del diciannovesimo secolo. Intor no al terzo decennio del secolo, il termine prese il significato di lavare con una spugna il corpo nudo, che era sempre stato rappresentato come quello di una donna. Di decennio in decennio la
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A B L U Z I O N I e p r o f a n e SACRE
Gli antichi profumi hanno fatto parte di una ”toilette” quando la parola non aveva nessun legame con l’acqua. Il temine ”toilette” nel diciottesimo secolo si riferiva al pettinarsi, al rimettersi in ordine, mettersi cipria e cosmetici profumati, vestirsi e infine, come ultima fase della ”toilette”, ricevere visite nel ”boudoir”. La ”toilette” era idrofobica, non era in nessun modo legata all’acqua corrente. Con il consenso dei medici, l’acqua era considerata poco salutare per la pelle. Se entrava a far parte della ”toilette” era per inumidire un asciugamano. Quando i mori, gli ebrei o i finlandesi fecero conoscere all’Europa i bagni pubblici, questi erano innanzi tutto usati per promuovere la salute, non per migliorare l’aspetto. Il lavarsi frequentemente con l’acqua non divenne parte della toilette prima del diciannovesimo secolo. Intor no al terzo decennio del secolo, il termine prese il significato di lavare con una spugna il corpo nudo, che era sempre stato rappresentato come quello di una donna. Di decennio in decennio la
quantità di acqua usata per questo aumentò. La toilette arrivò a significare il bagno in una tinozza. Degli imprenditori locali cominciarono ad affittare bacini di rame per questo uso. Poi, intor no al 1880, la produzione industriale di vernici a smalto sostituì il costoso rame con recipienti di ferro o zinco e questo rese la tinozza accessibile alle famiglie modeste. Più tardi la doccia sostituì la tinozza. L’installazione di una stanza da ”bagno” nell’appartamento riunì tre attività precedentemente diverse: fare il bagno, pulire il corpo e vestirsi per il giorno e la notte. Divenne il posto dove c’è il gabinetto e dove gli uomini si fanno la barba anziché venir rasati dal barbiere. La ”toilette” si appartò dietro a porte chiuse a chiave. Ora implica il fluire dell’acqua del rubinetto che trasporta schiuma e escrementi nelle fognature. La vera e propria stanza da bagno non fu inventata da un momento all’altro.
(
L’attaccapanni è un legno di recupero con rubinetti, maniglie e tappi di lavandino. Franco Fiorio.
)
quantità di acqua usata per questo aumentò. La toilette arrivò a significare il bagno in una tinozza. Degli imprenditori locali cominciarono ad affittare bacini di rame per questo uso. Poi, intor no al 1880, la produzione industriale di vernici a smalto sostituì il costoso rame con recipienti di ferro o zinco e questo rese la tinozza accessibile alle famiglie modeste. Più tardi la doccia sostituì la tinozza. L’installazione di una stanza da ”bagno” nell’appartamento riunì tre attività precedentemente diverse: fare il bagno, pulire il corpo e vestirsi per il giorno e la notte. Divenne il posto dove c’è il gabinetto e dove gli uomini si fanno la barba anziché venir rasati dal barbiere. La ”toilette” si appartò dietro a porte chiuse a chiave. Ora implica il fluire dell’acqua del rubinetto che trasporta schiuma e escrementi nelle fognature. La vera e propria stanza da bagno non fu inventata da un momento all’altro.
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L’attaccapanni è un legno di recupero con rubinetti, maniglie e tappi di lavandino. Franco Fiorio.
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Il portafoto è una fila di rasoi usa e getta allineati e incollati. Luisa Malatesta.
)
Quando M.lle Dechamps, una cantante d’opera, ritor nando a Parigi da Londra intorno al 1750 si fece installare due spazi separati con le pareti ricoperte di specchi, uno per il gabinetto e uno per il lavandino, divenne la favola della città. Cento anni dopo la stanza da bagno era ancora una rarità e chi se lo poteva permettere sistemava il gabinetto, il rubinetto e il guardaroba in tre stanzini separati. Oggi una su ogni tre/cinque stanze urbane è un bagno. (...) Da H 2 O e le acque dell’oblio di Ivan Illich, Macro Edizioni, 1988, a cura di Emilio Bibini foto Fabrizio Cicconi casting e location Francesca Davoli
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La tenda della doccia è un foglio di plastica da imballo pluriball. Mauro Carichini.
)
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Il portafoto è una fila di rasoi usa e getta allineati e incollati. Luisa Malatesta.
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Quando M.lle Dechamps, una cantante d’opera, ritor nando a Parigi da Londra intorno al 1750 si fece installare due spazi separati con le pareti ricoperte di specchi, uno per il gabinetto e uno per il lavandino, divenne la favola della città. Cento anni dopo la stanza da bagno era ancora una rarità e chi se lo poteva permettere sistemava il gabinetto, il rubinetto e il guardaroba in tre stanzini separati. Oggi una su ogni tre/cinque stanze urbane è un bagno. (...) Da H 2 O e le acque dell’oblio di Ivan Illich, Macro Edizioni, 1988, a cura di Emilio Bibini foto Fabrizio Cicconi casting e location Francesca Davoli
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La tenda della doccia è un foglio di plastica da imballo pluriball. Mauro Carichini.
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UNA NUOVA FONTE BIOTECNOLOGICA
Attualmente il reddito dell’area dipende in gran parte dall’utilizzo del suolo ad opera degli agricoltori, soprattutto attraverso la produzione di tabacco o, più raramente, con la coltivazione tradizionale a oliveti e vigneti.
Il progetto, che ha valore di ”modello” applicabile ad altre realtà agricole, è stato scelto per il suo stretto legame con il riuso delle acque pluviali e delle acque nere. L’idea fa parte di un più vasto progetto di un parco biotecnologico e fluviale elaborato in un’area posta sul confine tra le province di Benevento e Avellino. La valle è attraversata dal fiume Calore ed è valorizzata dai resti di un antico ponte romano da cui il toponimo ”Ponterotto”.
Arcangelo Di Donato foto Gino Menozzi
Allo stagno fanno seguito vasche su diversi livelli dove l’acqua passa a successiva ulteriore decantazione e ossigenazione.
Il riferimento metodologico progettuale è quello ormai consolidato che interpreta il parco come sistema vivente (ecosistema) di cui vanno studiate e messe in evidenza le diverse componenti (paesaggistiche, idrogeologiche, faunistiche, floristiche, climatiche, ricreative, economiche, ecc.). Nella Masseria De Gregorio l’obiettivo del riutilizzo biologico delle acque per uso agricolo è stato perseguito attraverso lo sfruttamento delle coperture per la raccolta delle acque pluviali e attraverso la trasformazione delle acque nere in acqua concimata. La trasformazione è ottenuta per mezzo della creazione di uno stagno biologico in cui convergono le acque chiare di raccolta e le acque nere. L’ossigenazione e la deacidificazione avvengono attraverso la produzione di alghe, l’allevamento di carpe e pescegatto e con la sistemazione di vegetazione opportuna nella zona adiacente lo stagno stesso.
La morfologia delle colline si presenta alla vista continua e omogenea senza particolari emergenze.
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UNA NUOVA FONTE BIOTECNOLOGICA
Attualmente il reddito dell’area dipende in gran parte dall’utilizzo del suolo ad opera degli agricoltori, soprattutto attraverso la produzione di tabacco o, più raramente, con la coltivazione tradizionale a oliveti e vigneti.
Il progetto, che ha valore di ”modello” applicabile ad altre realtà agricole, è stato scelto per il suo stretto legame con il riuso delle acque pluviali e delle acque nere. L’idea fa parte di un più vasto progetto di un parco biotecnologico e fluviale elaborato in un’area posta sul confine tra le province di Benevento e Avellino. La valle è attraversata dal fiume Calore ed è valorizzata dai resti di un antico ponte romano da cui il toponimo ”Ponterotto”.
Arcangelo Di Donato foto Gino Menozzi
Allo stagno fanno seguito vasche su diversi livelli dove l’acqua passa a successiva ulteriore decantazione e ossigenazione.
Il riferimento metodologico progettuale è quello ormai consolidato che interpreta il parco come sistema vivente (ecosistema) di cui vanno studiate e messe in evidenza le diverse componenti (paesaggistiche, idrogeologiche, faunistiche, floristiche, climatiche, ricreative, economiche, ecc.). Nella Masseria De Gregorio l’obiettivo del riutilizzo biologico delle acque per uso agricolo è stato perseguito attraverso lo sfruttamento delle coperture per la raccolta delle acque pluviali e attraverso la trasformazione delle acque nere in acqua concimata. La trasformazione è ottenuta per mezzo della creazione di uno stagno biologico in cui convergono le acque chiare di raccolta e le acque nere. L’ossigenazione e la deacidificazione avvengono attraverso la produzione di alghe, l’allevamento di carpe e pescegatto e con la sistemazione di vegetazione opportuna nella zona adiacente lo stagno stesso.
La morfologia delle colline si presenta alla vista continua e omogenea senza particolari emergenze.
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di questa fioritura gigante. Corrado Bonomi.
In questa pagina, sculture realizzate con tubi di plastica per innaffiare che nelle varie colorazioni diventano le foglie, gli steli e i petali
guanto domestico un annaffiatoio a flusso lento. Alessandra Pasetti.
chiusa da un vetro. Massimo Duroni. A destra, oggetto ready-made da un comune
industiale di cartone e alluminio
Nella pagina successiva a sinistra, ionizzatore che purifica l’aria sfruttando le proprietà depurative dei cactus e del carbone attivoricavato da una scatola
Stefania Dalla Torre.
In apertura a destra, bottiglie di plastica tagliate, capovolte e fissate a cavetti d’acciaio, formano un vaso che riassume il concetto del palazzo verde.
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di questa fioritura gigante. Corrado Bonomi.
In questa pagina, sculture realizzate con tubi di plastica per innaffiare che nelle varie colorazioni diventano le foglie, gli steli e i petali
guanto domestico un annaffiatoio a flusso lento. Alessandra Pasetti.
chiusa da un vetro. Massimo Duroni. A destra, oggetto ready-made da un comune
industiale di cartone e alluminio
Nella pagina successiva a sinistra, ionizzatore che purifica l’aria sfruttando le proprietà depurative dei cactus e del carbone attivoricavato da una scatola
Stefania Dalla Torre.
In apertura a destra, bottiglie di plastica tagliate, capovolte e fissate a cavetti d’acciaio, formano un vaso che riassume il concetto del palazzo verde.
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In questa pagina, il piccolo portafiori è uno sfrido di lavorazione delle strutture in legno dei divani; sul retro una bottiglietta funge da contenitore e piedistallo, completa l’oggetto un anellino in ottone che sorregge il fiore e offre anche la possibilità di sospenderlo. Massimo Duroni. Nella pagina accanto, vecchi vasi di terracotta rivivono con nuovi contorni disegnati da intrecci di corda e pezzi di juta fissati con gesso bianco. Umberto Migno.
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In questa pagina, il piccolo portafiori è uno sfrido di lavorazione delle strutture in legno dei divani; sul retro una bottiglietta funge da contenitore e piedistallo, completa l’oggetto un anellino in ottone che sorregge il fiore e offre anche la possibilità di sospenderlo. Massimo Duroni. Nella pagina accanto, vecchi vasi di terracotta rivivono con nuovi contorni disegnati da intrecci di corda e pezzi di juta fissati con gesso bianco. Umberto Migno.
In questa pagina, un vecchio tavolino é stato trasformato in ”Tavovaso”. Marzia Mosconi.
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Nella pagina accanto, allineati ma morbidi, infilati nel sostegno in plexiglass, i contenitori trasparenti di plastica portafiori sono segmenti di tubo per innaffiare il giardino. Massimo Duroni.
In questa pagina, un vecchio tavolino é stato trasformato in ”Tavovaso”. Marzia Mosconi.
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Nella pagina accanto, allineati ma morbidi, infilati nel sostegno in plexiglass, i contenitori trasparenti di plastica portafiori sono segmenti di tubo per innaffiare il giardino. Massimo Duroni.
Creazioni nel vento Molti mi chiedono che cosa siano questi eccentrici oggetti. Orologi a vento, barometri, totem, oggetti sacri o scaramantici, opere d’arte, giocattoli, Le volte,
misuratori di direzione o dell’intensità del vento, sono le ipotesi più diffuse.
poche per la verità, in cui ho davvero voglia di parlarne, mi piace ricordare che sono un po’ tutto questo, forse qualcos’altro, ma soprattutto rappresentano un omaggio al paradiso che è la natura che li circonda. Molto di ciò che ho imparato giocando con i pesi e il vento è alla base del lavoro di ricerca sulle lampade e, infatti, molti dei materiali che scelgo provengono dalle spiagge tropicali dove ho costruito i miei mobiles. Un aspetto che ricorre in
Tutte le foto sono state scattate sulle
spiagge
affacciate all’Oceano Pacifico, Oceano Atlantico, Oceano Indiano, al Mar Cinese meridionale e al Mar delle Antille.
tutti è l’equilibrio dinamico.
tornano alla natura
invece esattamente dove
Le forme e i pesi nelle varie
che li ha partoriti.
sono, tutte quante, in
parti sono pensati per
Sono sorprendentemente
cambio dell’emozione che
interagire fra loro. Quando
resistenti anche ai monsoni
ho provato nel costruirle
le mie creature sono
improvvisi. Una misteriosa
e nel vederle muoversi con
libere di esprimersi nel loro
magia (quasi sempre)
tanta grazia. In viaggio,
ambiente, assumono
li difende dagli attacchi dei
porto pochissimi oggetti
le forme più varie nel
bambini. Le scimmie
che mi servono per
continuo gioco di
apprezzano. Mentre nulla
realizzarle. Un coltellino
spostamenti anche minimi,
si può con i cani.
svizzero, un Opinel,
che dipendono dal
Sarà un fatto personale.
qualche chiodo, del filo
vento e dagli elementi. Per
Alcuni mi offrono
di nylon (a treccia
questo i loro movimenti
ospitalità oppure denaro
e da pesca), delle rondelle
sono così armoniosi:
chiedendomi in cambio
di alluminio per le parti
perché, anche se con un
di averne una in giardino.
che ruotano.
altro aspetto, tutte
E si sorprendono nello
Non serve molto di più.
le parti che li compongono
scoprire che le lascerò
Il resto lo trovo sul posto.
Testi e foto Pierluigi Bruno
Creazioni nel vento Molti mi chiedono che cosa siano questi eccentrici oggetti. Orologi a vento, barometri, totem, oggetti sacri o scaramantici, opere d’arte, giocattoli, Le volte,
misuratori di direzione o dell’intensità del vento, sono le ipotesi più diffuse.
poche per la verità, in cui ho davvero voglia di parlarne, mi piace ricordare che sono un po’ tutto questo, forse qualcos’altro, ma soprattutto rappresentano un omaggio al paradiso che è la natura che li circonda. Molto di ciò che ho imparato giocando con i pesi e il vento è alla base del lavoro di ricerca sulle lampade e, infatti, molti dei materiali che scelgo provengono dalle spiagge tropicali dove ho costruito i miei mobiles. Un aspetto che ricorre in
Tutte le foto sono state scattate sulle
spiagge
affacciate all’Oceano Pacifico, Oceano Atlantico, Oceano Indiano, al Mar Cinese meridionale e al Mar delle Antille.
tutti è l’equilibrio dinamico.
tornano alla natura
invece esattamente dove
Le forme e i pesi nelle varie
che li ha partoriti.
sono, tutte quante, in
parti sono pensati per
Sono sorprendentemente
cambio dell’emozione che
interagire fra loro. Quando
resistenti anche ai monsoni
ho provato nel costruirle
le mie creature sono
improvvisi. Una misteriosa
e nel vederle muoversi con
libere di esprimersi nel loro
magia (quasi sempre)
tanta grazia. In viaggio,
ambiente, assumono
li difende dagli attacchi dei
porto pochissimi oggetti
le forme più varie nel
bambini. Le scimmie
che mi servono per
continuo gioco di
apprezzano. Mentre nulla
realizzarle. Un coltellino
spostamenti anche minimi,
si può con i cani.
svizzero, un Opinel,
che dipendono dal
Sarà un fatto personale.
qualche chiodo, del filo
vento e dagli elementi. Per
Alcuni mi offrono
di nylon (a treccia
questo i loro movimenti
ospitalità oppure denaro
e da pesca), delle rondelle
sono così armoniosi:
chiedendomi in cambio
di alluminio per le parti
perché, anche se con un
di averne una in giardino.
che ruotano.
altro aspetto, tutte
E si sorprendono nello
Non serve molto di più.
le parti che li compongono
scoprire che le lascerò
Il resto lo trovo sul posto.
Testi e foto Pierluigi Bruno
I S R
. . .
Dopo aver disceso un pendio molto ripido, i nostri piedi premettero il fondo di una specie di pozzo circolare; il capitano si fermò e ci indicò con la mano un oggetto che io non avevo ancora visto.
E
Era un’ostrica di dimensioni straordinarie, una tridacna gigantesca, una pila che avrebbe contenuto
M
un lago d’acqua santa, una vasca che superava in larghezza i due metri,
La composizione poetica dove si intrecciano storie di paste di vetro egizie, seta, canapa, piccole ametiste e conchiglie dei nostri mari è la collana
e conseguentemante
creata da Arcangelo Bungaro. Foto Agfhdgjhf hfgj.
più grande di quella che ornava il
M
salone del Nautilus. (...) Le due valve del mollusco erano semiaperte. Il capitano si accostò, introdusse il pugnale fra le conchiglie, per
O
impedire che si chiudessero, poi sollevò con la mano la tunica membranosa e frangiata
S
agli orli che formava il mantello dell’animale; fra le pieghe fogliacee, vidi una perla libera, grossa quanto una noce di cocco. La forma sferica, la perfetta limpidezza,
I
di un valore inestimabile! (...)
R
il magnifico luccichio, ne facevano un gioello
Così Verne descrive l’incontro tra il protagonista di ”Ventimila leghe sotto i mari”
O
e il tesoro sommerso. E anche questo tesoro si trova nel fondo
S
di una caverna, di un pozzo simboli dell’inconscio e dei suoi pericoli, spesso
E
imprevisti. Tutto questo rappresenta la difficoltà e lo sforzo umano per la sua ricerca, perché qualsiasi tesoro
T
lo si scopre solo attraverso il superamento di lunghe prove materiali e spirituali. Così il combattimento con i suoi custodi, draghi e mostri, rappresentanti le nostre limitazioni psichiche, e l’impervio cammino per il raggiungimento del luogo dove è custodito sono necessari per l’ottenimento della vera ricchezza, quella della conoscenza e dell’immortalità. Emilio Bibini
I S R
. . .
Dopo aver disceso un pendio molto ripido, i nostri piedi premettero il fondo di una specie di pozzo circolare; il capitano si fermò e ci indicò con la mano un oggetto che io non avevo ancora visto.
E
Era un’ostrica di dimensioni straordinarie, una tridacna gigantesca, una pila che avrebbe contenuto
M
un lago d’acqua santa, una vasca che superava in larghezza i due metri,
La composizione poetica dove si intrecciano storie di paste di vetro egizie, seta, canapa, piccole ametiste e conchiglie dei nostri mari è la collana
e conseguentemante
creata da Arcangelo Bungaro. Foto Agfhdgjhf hfgj.
più grande di quella che ornava il
M
salone del Nautilus. (...) Le due valve del mollusco erano semiaperte. Il capitano si accostò, introdusse il pugnale fra le conchiglie, per
O
impedire che si chiudessero, poi sollevò con la mano la tunica membranosa e frangiata
S
agli orli che formava il mantello dell’animale; fra le pieghe fogliacee, vidi una perla libera, grossa quanto una noce di cocco. La forma sferica, la perfetta limpidezza,
I
di un valore inestimabile! (...)
R
il magnifico luccichio, ne facevano un gioello
Così Verne descrive l’incontro tra il protagonista di ”Ventimila leghe sotto i mari”
O
e il tesoro sommerso. E anche questo tesoro si trova nel fondo
S
di una caverna, di un pozzo simboli dell’inconscio e dei suoi pericoli, spesso
E
imprevisti. Tutto questo rappresenta la difficoltà e lo sforzo umano per la sua ricerca, perché qualsiasi tesoro
T
lo si scopre solo attraverso il superamento di lunghe prove materiali e spirituali. Così il combattimento con i suoi custodi, draghi e mostri, rappresentanti le nostre limitazioni psichiche, e l’impervio cammino per il raggiungimento del luogo dove è custodito sono necessari per l’ottenimento della vera ricchezza, quella della conoscenza e dell’immortalità. Emilio Bibini
in questo anello due conchiglie di madreperla sono legate da fili d’argento sui quali brillano piccoli cristalli colorati. Arcangelo Bungaro, foto Agfhdgjhf hfgj.
Come antichi ritrovamenti il bracciale e la collana di Alessandra Ceriani e Marina Protti sono gioielli interamente realizzati in cartapesta. Foto Gino Menozzi.
in questo anello due conchiglie di madreperla sono legate da fili d’argento sui quali brillano piccoli cristalli colorati. Arcangelo Bungaro, foto Agfhdgjhf hfgj.
Come antichi ritrovamenti il bracciale e la collana di Alessandra Ceriani e Marina Protti sono gioielli interamente realizzati in cartapesta. Foto Gino Menozzi.
”Tonno”, una scatoletta per alimenti arricchita da pietre di pasta di vetro e ”Lampedusa”, una di cibo per gatti sono i due bracciali di Veronica Guiduzzi-Superdrim. Foto Gino Menozzi.
la spilla polipo di Arcangelo Bungaro ha il corpo di agata e i sottili tentacoli di ottone dorato su cui si protendono piccoli granati. Foto Asdfdss fbhb.
”Tonno”, una scatoletta per alimenti arricchita da pietre di pasta di vetro e ”Lampedusa”, una di cibo per gatti sono i due bracciali di Veronica Guiduzzi-Superdrim. Foto Gino Menozzi.
la spilla polipo di Arcangelo Bungaro ha il corpo di agata e i sottili tentacoli di ottone dorato su cui si protendono piccoli granati. Foto Asdfdss fbhb.
Abissi luminosi
Abissi luminosi
Un polipo e una medusa che nascono dai fanalini imperfetti delle auto Fiat sono le lampade di Bruno Petronzi. Foto B. Petronzi.
Anemoni di mare, lampade dalla struttura in rete di ferro avvolta da cordoni di materiale sintetico delle tende da negozio. Marzia Mosconi, foto Mario Tedeschi.
Lampade-medusa con struttura in filo di ferro rivestita di vetri colorati avanzati da altre lavorazioni. Donatella Zaccaria, foto fhgdfg fhdfhg.
Dei quattro elementi primitivi che appartengono alla storia dell’uomo e che di pari passo lo hanno accompagnato nella sua storia evolutiva, ne abbiamo scelti due come oggetto della nostra ricerca: la pietra e l’acqua. La prima è l’espressione artistica e creativa del materiale inerte reso vivo e carico di simbolismi che ancora oggi l’uomo è capace di imprimervi, mentre l’acqua è il mezzo attraverso il quale nei secoli essa è stata trasportata a popoli e culture lontane dal suo luogo di origine.
Le valve della cozza gigante si stringono attorno alla luce nella lampada da tavolo di Gherardo Frassa. Foto Mario Tedeschi.
Tale ricerca, denominata ‘Saxa Ligustica’ (ovvero i marmi lunensi trasportati per le antiche vie romane) e promossa da Marenostrum di Archeoclub d’Italia, vuole essere un omaggio a un territorio ricco di storia nell’ambito dlla cultura del marmo e del mare quale quello delle provice di Massa-Carrara e La Spezia. Nel marmo e nel mare l’uomo ha lasciato e lascia tuttora le sue tracce: nel marmo durante le fasi di coltivazione e lavorazione; nel mar e attraverso gli approdi, le strutture costiere, i reperti sommersi. Il progetto trova la sua attuazione attraverso la costituzione delle ‘vie del marmo’ e dei ‘sentieri del mare’: itinerari culturali e turistici che forniscono lo strumento indispensabile per avvicinarsi all’identità di questo territorio da pochi conosciuto sotto il pr ofilo storico e artistico. Le vie del marmo sono percorsi ideali, prima che reali, attraverso i quali è possibile ritrovare la memoria storica dei luoghi dove venivano e vengono coltivati i materiali lapidei, che da secoli caratterizzano quello che è a tutt’oggi il centro mondiale della cultura del marmo lavorato. I sentieri del mare sono analoghi percorsi attraverso i quali è possibile recuperare la memoria storica delle acque percorse dal commercio dei materiali lapiei, non solo in Italia ma in tutto il mondo e nelle diverse epoche storiche. Il viaggio parte dalle antiche cave di marmo di Carrara per poi, dal suo porto, imbar carsi e risalire fino a Levanto, soffermandosi per immergersi nella profondità del mare per ammirare gli antichi relitti di navi che si trovano ancora lungo questi fondali. Con il progetto Saxa Ligustica il territorio viene osservato e descritto dal mare, rivalutando quello che nelle epoche più antiche è stato uno strumento di veicolazione culturale e commerciale e che oggi ha perduto gran parte delle sue specifiche valenze. E’ un omaggio alla memoria storica del mare che è stata spesso disillusa o tradita, con il conseguente depauperamento di una ricchezza collettiva sedi mentata in millenni di storia dell’uomo ligure-apuano. Maria Rosa Lanzi
Un polipo e una medusa che nascono dai fanalini imperfetti delle auto Fiat sono le lampade di Bruno Petronzi. Foto B. Petronzi.
Anemoni di mare, lampade dalla struttura in rete di ferro avvolta da cordoni di materiale sintetico delle tende da negozio. Marzia Mosconi, foto Mario Tedeschi.
Lampade-medusa con struttura in filo di ferro rivestita di vetri colorati avanzati da altre lavorazioni. Donatella Zaccaria, foto fhgdfg fhdfhg.
Dei quattro elementi primitivi che appartengono alla storia dell’uomo e che di pari passo lo hanno accompagnato nella sua storia evolutiva, ne abbiamo scelti due come oggetto della nostra ricerca: la pietra e l’acqua. La prima è l’espressione artistica e creativa del materiale inerte reso vivo e carico di simbolismi che ancora oggi l’uomo è capace di imprimervi, mentre l’acqua è il mezzo attraverso il quale nei secoli essa è stata trasportata a popoli e culture lontane dal suo luogo di origine.
Le valve della cozza gigante si stringono attorno alla luce nella lampada da tavolo di Gherardo Frassa. Foto Mario Tedeschi.
Tale ricerca, denominata ‘Saxa Ligustica’ (ovvero i marmi lunensi trasportati per le antiche vie romane) e promossa da Marenostrum di Archeoclub d’Italia, vuole essere un omaggio a un territorio ricco di storia nell’ambito dlla cultura del marmo e del mare quale quello delle provice di Massa-Carrara e La Spezia. Nel marmo e nel mare l’uomo ha lasciato e lascia tuttora le sue tracce: nel marmo durante le fasi di coltivazione e lavorazione; nel mar e attraverso gli approdi, le strutture costiere, i reperti sommersi. Il progetto trova la sua attuazione attraverso la costituzione delle ‘vie del marmo’ e dei ‘sentieri del mare’: itinerari culturali e turistici che forniscono lo strumento indispensabile per avvicinarsi all’identità di questo territorio da pochi conosciuto sotto il pr ofilo storico e artistico. Le vie del marmo sono percorsi ideali, prima che reali, attraverso i quali è possibile ritrovare la memoria storica dei luoghi dove venivano e vengono coltivati i materiali lapidei, che da secoli caratterizzano quello che è a tutt’oggi il centro mondiale della cultura del marmo lavorato. I sentieri del mare sono analoghi percorsi attraverso i quali è possibile recuperare la memoria storica delle acque percorse dal commercio dei materiali lapiei, non solo in Italia ma in tutto il mondo e nelle diverse epoche storiche. Il viaggio parte dalle antiche cave di marmo di Carrara per poi, dal suo porto, imbar carsi e risalire fino a Levanto, soffermandosi per immergersi nella profondità del mare per ammirare gli antichi relitti di navi che si trovano ancora lungo questi fondali. Con il progetto Saxa Ligustica il territorio viene osservato e descritto dal mare, rivalutando quello che nelle epoche più antiche è stato uno strumento di veicolazione culturale e commerciale e che oggi ha perduto gran parte delle sue specifiche valenze. E’ un omaggio alla memoria storica del mare che è stata spesso disillusa o tradita, con il conseguente depauperamento di una ricchezza collettiva sedi mentata in millenni di storia dell’uomo ligure-apuano. Maria Rosa Lanzi
Si muove con le mani... con il ditino giriamo nell’acqua e facciamo le bollicine, le bolle... schizza come le onde del mare...
L’acqua è un po’ calda e un po’ fredda... è bella... è bianca... azzurra e a volte gialla
sembrano le bolle di sapone...
quando il sole la fa diventare gialla...
T
o
c
c
a
n
d
o
l
’
a
c
q
u
a
I commenti dei bambini sono stati raccolti durante un’attività di ‘frame’ sull’acqua nella scuola materna di via Mantegna a Milano. Foto Corrado Dalcò
Giochiamo a nuotare con le mani... con le mani nell’acqua faccio la sirenetta... la balena...
L’acqua è buona, si può bere... sembra l’acqua del mare ma questa non è salata...
su e giù con le mani, ciac-ciac.
Si muove con le mani... con il ditino giriamo nell’acqua e facciamo le bollicine, le bolle... schizza come le onde del mare...
L’acqua è un po’ calda e un po’ fredda... è bella... è bianca... azzurra e a volte gialla
sembrano le bolle di sapone...
quando il sole la fa diventare gialla...
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I commenti dei bambini sono stati raccolti durante un’attività di ‘frame’ sull’acqua nella scuola materna di via Mantegna a Milano. Foto Corrado Dalcò
Giochiamo a nuotare con le mani... con le mani nell’acqua faccio la sirenetta... la balena...
L’acqua è buona, si può bere... sembra l’acqua del mare ma questa non è salata...
su e giù con le mani, ciac-ciac.
La gallina dalle uova d’oro ha una ricercata decorazione di piccoli bottoni di madreperla.
per questa sirena da Lunapark. Alessandra Ceriani.
Struttura in maglina di ferro e legnetti di potatura
Chiara Bordoni e Francesca Crovara.
La gallina dalle uova d’oro ha una ricercata decorazione di piccoli bottoni di madreperla.
per questa sirena da Lunapark. Alessandra Ceriani.
Struttura in maglina di ferro e legnetti di potatura
Chiara Bordoni e Francesca Crovara.
Il polipo è al tempo stesso decorazione e coperchio di questa scatola dove la cartapesta è stata lavorata
in pasta anzichĂŠ a strati. Marina Protti.
di oggetti scovati in fondo al cassetto. Chiara Bordoni e Francesca Crovara.
Questa sirena mostra la sua coda intarsiata di tappi di bottiglia e una capigliatura
Il polipo è al tempo stesso decorazione e coperchio di questa scatola dove la cartapesta è stata lavorata
in pasta anzichĂŠ a strati. Marina Protti.
di oggetti scovati in fondo al cassetto. Chiara Bordoni e Francesca Crovara.
Questa sirena mostra la sua coda intarsiata di tappi di bottiglia e una capigliatura
GALLEGGIARE SUL MARE
Serie di lampade ”Ombelico” ricavate da galleggianti per reti da pesca di Smaclab. Foto Renato Begnoni.
GALLEGGIARE SUL MARE
Serie di lampade ”Ombelico” ricavate da galleggianti per reti da pesca di Smaclab. Foto Renato Begnoni.
Sembra che una nave differente passerà sul mare, a una certa ora.
SEMBRA CHE UNA NAVE...
Non è di ferro né son arancione le sue bandiere: nessuno sa da dove né l’ora: tutto è preparato e non v’è miglior sala, tutto preparato per l’avvenimento passeggero. La schiuma è disposta come un fine tappeto, tessuto di stelle, più lontano l’azzurro, il verde, il movimento ultramarino, tutto attende. E aperte le scogliere, lavate, limpide, eterne, si dispone sulla sabbia come un cordone di castelli, come un cordone di torri. Tutto è preparato, è invitato il silenzio, e anche gli uomini, sempre distratti, sperano di non perdere questa presenza: si son vestiti come di Domenica, si son lustrate le scarpe, si sono pettinati. Si stan facendo vecchi e la nave non passa. Il dagherrotipo di una nave montato sul porta-candele
I pezzi di legno e metallo trovati sul greto del fiume diventano imbarcazioni. Di Rodolfo Viganò. Foto Mario Tedeschi.
Da Il mare e le campane di Pablo Neruda, Opere postume vol.2, Edizioni Accademia, 1976.
da chiesa è di Paolo Bazzani e Stefania Beltrame. Foto Gino Menozzi.
Sembra che una nave differente passerà sul mare, a una certa ora.
SEMBRA CHE UNA NAVE...
Non è di ferro né son arancione le sue bandiere: nessuno sa da dove né l’ora: tutto è preparato e non v’è miglior sala, tutto preparato per l’avvenimento passeggero. La schiuma è disposta come un fine tappeto, tessuto di stelle, più lontano l’azzurro, il verde, il movimento ultramarino, tutto attende. E aperte le scogliere, lavate, limpide, eterne, si dispone sulla sabbia come un cordone di castelli, come un cordone di torri. Tutto è preparato, è invitato il silenzio, e anche gli uomini, sempre distratti, sperano di non perdere questa presenza: si son vestiti come di Domenica, si son lustrate le scarpe, si sono pettinati. Si stan facendo vecchi e la nave non passa. Il dagherrotipo di una nave montato sul porta-candele
I pezzi di legno e metallo trovati sul greto del fiume diventano imbarcazioni. Di Rodolfo Viganò. Foto Mario Tedeschi.
Da Il mare e le campane di Pablo Neruda, Opere postume vol.2, Edizioni Accademia, 1976.
da chiesa è di Paolo Bazzani e Stefania Beltrame. Foto Gino Menozzi.
Re-do
”Progetto per un consumo ecosostenibile”
”Re-do” abbrevia l’espressione Reincosazione dell’oggetto, ma significa anche, in inglese, ”rifare” ed è il nome scelto da Luigi Brenna nel suo progetto, presentato come tesi di laurea in Architettura al Politecnico di Milano, per una catena di negozi per ora solo immaginari) destinati a promuovere una cultura dell’oggetto ecologicamente consapevole e svincolata dal consumismo dominante. Se quest’ultimo impone un rapporto con le cose all’insegna dell’usa e getta, la filosofia Re-do si fonda, al contrario, sul riscatto dell’oggetto usato. Concretamente, nei centri Re-do (da collocarsi lungo le vie di maggior traffico delle città) sarebbe possibile: affidare a designer e artigiani specializzati il proprio oggetto ”inutile” e riacquistarlo rimesso a nuovo dopo accordi presi in precedenza sulle modifiche da apportare all’oggetto stesso; cedere i propri oggetti usati in cambio di denaro contante, o di altro usato, o semplicemente lasciandoli in conto vendita; riciclare materiali solidi (carta, vetro, ecc.), stimolati anche dall’incentivo di facilitazioni su acquisti ulteriori; informarsi su iniziative di tutela e salvaguardia dell’ambiente, vedendo segnalati i nomi delle aziende più attente al problema. Inoltre, nei centri sarebbe possibile acquistare anche prodotti ”Re-do made”, ovvero prodotti in serie limitata realizzati mediante scarti uguali e presenti in un certo numero tale da rendere possibile una lavorazione che ammortizzi gli alti costi tipici della realizzazione artigianale.
Il Re-do vuole essere una nuova maniera di concepire il consumo, nella quale il consumatore riacquista la sua dignità di persona dotata di una forte e particolare soggettività, mentre l’oggetto, il prodotto, si spoglia della sua banalità per mostrare tutta la sua ”s-oggettività” piena di significati simbolici, culturali, storici e pratici. Ciò che distingue questo progetto da altri simili è, da un lato, la solidità della sua base teorica e, dall’altro, la minuziosa articolazione della sua proposta concreta. Alla prima appartengono, ad esempio, alcune interessanti considerazioni sull’impossibilità di un rapporto affettivo individuale con gli oggetti di rapido consumo e la sua affermazione, invece, nei confronti di tutto ciò di cui ci si debba prender cura.
Re-do
”Progetto per un consumo ecosostenibile”
”Re-do” abbrevia l’espressione Reincosazione dell’oggetto, ma significa anche, in inglese, ”rifare” ed è il nome scelto da Luigi Brenna nel suo progetto, presentato come tesi di laurea in Architettura al Politecnico di Milano, per una catena di negozi per ora solo immaginari) destinati a promuovere una cultura dell’oggetto ecologicamente consapevole e svincolata dal consumismo dominante. Se quest’ultimo impone un rapporto con le cose all’insegna dell’usa e getta, la filosofia Re-do si fonda, al contrario, sul riscatto dell’oggetto usato. Concretamente, nei centri Re-do (da collocarsi lungo le vie di maggior traffico delle città) sarebbe possibile: affidare a designer e artigiani specializzati il proprio oggetto ”inutile” e riacquistarlo rimesso a nuovo dopo accordi presi in precedenza sulle modifiche da apportare all’oggetto stesso; cedere i propri oggetti usati in cambio di denaro contante, o di altro usato, o semplicemente lasciandoli in conto vendita; riciclare materiali solidi (carta, vetro, ecc.), stimolati anche dall’incentivo di facilitazioni su acquisti ulteriori; informarsi su iniziative di tutela e salvaguardia dell’ambiente, vedendo segnalati i nomi delle aziende più attente al problema. Inoltre, nei centri sarebbe possibile acquistare anche prodotti ”Re-do made”, ovvero prodotti in serie limitata realizzati mediante scarti uguali e presenti in un certo numero tale da rendere possibile una lavorazione che ammortizzi gli alti costi tipici della realizzazione artigianale.
Il Re-do vuole essere una nuova maniera di concepire il consumo, nella quale il consumatore riacquista la sua dignità di persona dotata di una forte e particolare soggettività, mentre l’oggetto, il prodotto, si spoglia della sua banalità per mostrare tutta la sua ”s-oggettività” piena di significati simbolici, culturali, storici e pratici. Ciò che distingue questo progetto da altri simili è, da un lato, la solidità della sua base teorica e, dall’altro, la minuziosa articolazione della sua proposta concreta. Alla prima appartengono, ad esempio, alcune interessanti considerazioni sull’impossibilità di un rapporto affettivo individuale con gli oggetti di rapido consumo e la sua affermazione, invece, nei confronti di tutto ciò di cui ci si debba prender cura.
Sul piano pratico, ciò corrisponde a una forte distinzione tra il semplice ”riciclo” (far regredire un oggetto allo stadio di materia prima – es. il vetro – da riutilizzare) e il vero e proprio ”riuso”, che valorizza l’oggetto in sé e lo propone a nuova vita, eventualmente attraverso una manipolazione creativa (es., ricavare una lampada da parete da un cerchione d’automobile). Coerentemente, nei centri Re-do il riuso verrebbe privilegiato rispetto al riciclo, e incentivato in tutti i modi, non solo ponendo in vendita manufatti di riuso (”Re-do made”), ma anche insegnando ai consumatori a crearli da sé. Inoltre, la massima cura è stata posta dall’autore nello studiare una presentazione degli oggetti in vendita che li sottragga tanto all’anonimato tipico dei prodotti di serie, quanto ai concetti di ”sporco” e di ”rotto” che spesso si associano all’usato. Essi, perfettamente puliti e riparati, sarebbero posti infatti su banconi di legno di recupero, corredati di una sorta di certificato che ne riporti la data di fabbricazione e quella di ”rinascita”, abbastanza spaziati fra loro da poter essere osservati per intero ed eventualmente toccati dal cliente. Ogni dettaglio del centro Re-do è stato pensato per comunicare un atteggiamento al tempo stesso scrupolosamente professionale e ”friendly”, dall’arredamento (in materiali naturali riciclati) all’uniforme del personale (in canapa, proveniente da piantagioni rispettose dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori). Infine, il logo del negozio, una mano azzurra le cui dita sono inscritte in un anello verde, dovrebbe suggerire ”una certa energia la quale è capace di far girare il mondo in maniera dinamica e naturale”. Si tratta quindi di un progetto eticamente molto motivato, ma anche abbastanza realistico.
La fattibilità economica stessa è stata attentamente soppesata da Luigi Brenna, che ha preso in considerazione il successo, imprevisto e travolgente, della catena di negozi dell’usato Cash Converters, fondata in Australia nel 1984 ed oggi dif fusa in tutto il mondo. Nato per rispondere all’insoddisfazione crescente nei confronti di una cultura dello spreco e dell’incoscienza ecologica e per proporre un modello di consumo sostenibile e più umano, il progetto Re-do ha sicuramente le carte in regola per divenire al tempo stesso un nuovo modello filosofico e commerciale. Non possiamo che augurarglielo. Simone Menegoi elaborazioni al computer Carol Yen
Re-do
Sul piano pratico, ciò corrisponde a una forte distinzione tra il semplice ”riciclo” (far regredire un oggetto allo stadio di materia prima – es. il vetro – da riutilizzare) e il vero e proprio ”riuso”, che valorizza l’oggetto in sé e lo propone a nuova vita, eventualmente attraverso una manipolazione creativa (es., ricavare una lampada da parete da un cerchione d’automobile). Coerentemente, nei centri Re-do il riuso verrebbe privilegiato rispetto al riciclo, e incentivato in tutti i modi, non solo ponendo in vendita manufatti di riuso (”Re-do made”), ma anche insegnando ai consumatori a crearli da sé. Inoltre, la massima cura è stata posta dall’autore nello studiare una presentazione degli oggetti in vendita che li sottragga tanto all’anonimato tipico dei prodotti di serie, quanto ai concetti di ”sporco” e di ”rotto” che spesso si associano all’usato. Essi, perfettamente puliti e riparati, sarebbero posti infatti su banconi di legno di recupero, corredati di una sorta di certificato che ne riporti la data di fabbricazione e quella di ”rinascita”, abbastanza spaziati fra loro da poter essere osservati per intero ed eventualmente toccati dal cliente. Ogni dettaglio del centro Re-do è stato pensato per comunicare un atteggiamento al tempo stesso scrupolosamente professionale e ”friendly”, dall’arredamento (in materiali naturali riciclati) all’uniforme del personale (in canapa, proveniente da piantagioni rispettose dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori). Infine, il logo del negozio, una mano azzurra le cui dita sono inscritte in un anello verde, dovrebbe suggerire ”una certa energia la quale è capace di far girare il mondo in maniera dinamica e naturale”. Si tratta quindi di un progetto eticamente molto motivato, ma anche abbastanza realistico.
La fattibilità economica stessa è stata attentamente soppesata da Luigi Brenna, che ha preso in considerazione il successo, imprevisto e travolgente, della catena di negozi dell’usato Cash Converters, fondata in Australia nel 1984 ed oggi dif fusa in tutto il mondo. Nato per rispondere all’insoddisfazione crescente nei confronti di una cultura dello spreco e dell’incoscienza ecologica e per proporre un modello di consumo sostenibile e più umano, il progetto Re-do ha sicuramente le carte in regola per divenire al tempo stesso un nuovo modello filosofico e commerciale. Non possiamo che augurarglielo. Simone Menegoi elaborazioni al computer Carol Yen
Re-do
I l
d e s i d e r i o
d e l l ’ a c q u a
Di lei non possiamo fare a meno, poiché costituisce circa il 75 per cento del nostro peso corporeo. L’acqua circola in noi irrorando tessuti e organi. Questo elemento primordiale nato dalla fusione di due molecole di idrogeno e una di ossigeno scorre come un grande fiume trasportando le sostanze nutritive, facilitando gli scambi con i tessuti, lavando via le scorie. Apporta gli ioni di idrogeno e ossigeno necessari alle reazioni chimiche dell’organismo, contemporaneamente partecipa alla regolazione termica e alla traspirazione, gioca un ruolo di lubrificante per i muscoli e le articolazioni, infine regola il pH acido basico della pelle. Bere è quindi indispensabile. L’uomo, per vivere, consuma quotidianamente il quantitativo di 10 bicchieri d’acqua: 2 li perde sudando, 2 respirando, 6 per eliminare le tossine. Con il cibo ne rimpiazza 2, gli altri vanno reintegrati bevendo. Gli italiani consumano 127 litri di acqua imbottigliata all’anno a testa. Le acque minerali imbottigliate come sgorgano alla fonte non possono essere trattate né potabilizzate, si può aggiungere solo anidride carbonica, battericida, perderebbero altrimenti le loro proprietà rimineralizzanti e curative dovute al contenuto di sali minerali, il residuo fisso, ovvero ciò che rimane dopo aver fatto evaporare l’acqua a 180 gradi. Le acque oligominerali sono quelle con residuo secco compreso tra 50 e 500 mg/l; le mediominerali quelle con residuo secco compreso tra 500 e 1500 mg/l e infine le minerali forti quelle con una percentuale di sali superiore al grammo e mezzo per litro. Un bicchiere Christine Cagnes
è un bicchiere, è un bicchiere, è un bicchiere... Ma se ognuno potesse scattare una foto al medesimo bicchiere ne risulterebbero infinite interpretazioni differenti. Foto Roberto Angelotti.
I l
d e s i d e r i o
d e l l ’ a c q u a
Di lei non possiamo fare a meno, poiché costituisce circa il 75 per cento del nostro peso corporeo. L’acqua circola in noi irrorando tessuti e organi. Questo elemento primordiale nato dalla fusione di due molecole di idrogeno e una di ossigeno scorre come un grande fiume trasportando le sostanze nutritive, facilitando gli scambi con i tessuti, lavando via le scorie. Apporta gli ioni di idrogeno e ossigeno necessari alle reazioni chimiche dell’organismo, contemporaneamente partecipa alla regolazione termica e alla traspirazione, gioca un ruolo di lubrificante per i muscoli e le articolazioni, infine regola il pH acido basico della pelle. Bere è quindi indispensabile. L’uomo, per vivere, consuma quotidianamente il quantitativo di 10 bicchieri d’acqua: 2 li perde sudando, 2 respirando, 6 per eliminare le tossine. Con il cibo ne rimpiazza 2, gli altri vanno reintegrati bevendo. Gli italiani consumano 127 litri di acqua imbottigliata all’anno a testa. Le acque minerali imbottigliate come sgorgano alla fonte non possono essere trattate né potabilizzate, si può aggiungere solo anidride carbonica, battericida, perderebbero altrimenti le loro proprietà rimineralizzanti e curative dovute al contenuto di sali minerali, il residuo fisso, ovvero ciò che rimane dopo aver fatto evaporare l’acqua a 180 gradi. Le acque oligominerali sono quelle con residuo secco compreso tra 50 e 500 mg/l; le mediominerali quelle con residuo secco compreso tra 500 e 1500 mg/l e infine le minerali forti quelle con una percentuale di sali superiore al grammo e mezzo per litro. Un bicchiere Christine Cagnes
è un bicchiere, è un bicchiere, è un bicchiere... Ma se ognuno potesse scattare una foto al medesimo bicchiere ne risulterebbero infinite interpretazioni differenti. Foto Roberto Angelotti.
Campana a vento. Ottenuta con bicchieri e vecchie bottiglie fusi e deformati nel forno per la lavorazione del vetro; sospesi con fili di nylon a legni di mare creano una composizione decorativa e musicale. Donatella Zaccaria foto Gino Menozzi.
U’ è un segno, un simbolo, un accento posto sulla parola bicchiere per cambiarne la funzione. Questo piccolo accessorio d’acciaio ricavato dalla liguetta di chiusura delle lattine è stato ideato da Alberto Artesani. Venduto in kit insieme a un sacchetto colmo di sabbia, serve a trasformare un bicchiere in un posacenere. Foto Corrado Dalcò.
Campana a vento. Ottenuta con bicchieri e vecchie bottiglie fusi e deformati nel forno per la lavorazione del vetro; sospesi con fili di nylon a legni di mare creano una composizione decorativa e musicale. Donatella Zaccaria foto Gino Menozzi.
U’ è un segno, un simbolo, un accento posto sulla parola bicchiere per cambiarne la funzione. Questo piccolo accessorio d’acciaio ricavato dalla liguetta di chiusura delle lattine è stato ideato da Alberto Artesani. Venduto in kit insieme a un sacchetto colmo di sabbia, serve a trasformare un bicchiere in un posacenere. Foto Corrado Dalcò.
Con un semplice gesto dei biccheri da Whisky diventano dei portafotografie. Mauro Carichini foto Gino Menozzi.
Con un semplice gesto dei biccheri da Whisky diventano dei portafotografie. Mauro Carichini foto Gino Menozzi.
E’ una lampada singolare quella che Massimo Varetto ha composto con quarantuno coppe da champagne. In ciascuna coppa vi è dell’olio da ardere che genera una fiammella mediante uno stoppino fissato a una semplice struttura di alluminio. ”Roccapendice” è il nome di questo magico incrocio tra un lampadario e un candelabro. Foto Gino Menozzi.
”Jemanjà”, tavolo formato da bottiglie di vetro e lastre di cristallo. La struttura ideata da Branco Design ha un’aria eterea ma nasconde una insospettabile resistenza e capacità di carico. Foto Gino Menozzi.
E’ una lampada singolare quella che Massimo Varetto ha composto con quarantuno coppe da champagne. In ciascuna coppa vi è dell’olio da ardere che genera una fiammella mediante uno stoppino fissato a una semplice struttura di alluminio. ”Roccapendice” è il nome di questo magico incrocio tra un lampadario e un candelabro. Foto Gino Menozzi.
”Jemanjà”, tavolo formato da bottiglie di vetro e lastre di cristallo. La struttura ideata da Branco Design ha un’aria eterea ma nasconde una insospettabile resistenza e capacità di carico. Foto Gino Menozzi.
...non esiste una casa in cui si riescano a calcolare le razioni alimentari con precisione, in modo da non avere rimanenze. Si può però imparare a non trattare come rifiuti quel che resta del pasto e preparare con gli avanzi piatti gustosi, piacevoli, presentati bene. Si avrà così un bel risparmio e nuovi sapori rallegreranno
a
in modo inedito la nostra tavola. (...) La più complessa è l’arte di utilizzare gli avanzi di pesce. Ecco una serie di piccole astuzie sull’argomento.
vanzi di cucina
Il pesce lessato si può ripresentare tagliato a rettangoli con una insalata di verdure cotte: piselli, fagiolini, carote, sedanicosparsi di minuzzoli d’acciuga. Il pesce, già servito in umido, va tolto dall’intingolo e ricoperto di maionese; quello fritto si può condire con aceto e cipolline fresche.
In alto, applique ricavata da una paletta per scolare montata su una pinza. Paolo Bazzani e Stefania Beltrame. Al centro, ”Schiumogio”, una piccola scultura-orologio che nasconde le sue origini tra gli attrezzi di cucina. Bruno Petronzi A sinistra, schiumarola trasformata in una lampada da parete. Superdrim.
...non esiste una casa in cui si riescano a calcolare le razioni alimentari con precisione, in modo da non avere rimanenze. Si può però imparare a non trattare come rifiuti quel che resta del pasto e preparare con gli avanzi piatti gustosi, piacevoli, presentati bene. Si avrà così un bel risparmio e nuovi sapori rallegreranno
a
in modo inedito la nostra tavola. (...) La più complessa è l’arte di utilizzare gli avanzi di pesce. Ecco una serie di piccole astuzie sull’argomento.
vanzi di cucina
Il pesce lessato si può ripresentare tagliato a rettangoli con una insalata di verdure cotte: piselli, fagiolini, carote, sedanicosparsi di minuzzoli d’acciuga. Il pesce, già servito in umido, va tolto dall’intingolo e ricoperto di maionese; quello fritto si può condire con aceto e cipolline fresche.
In alto, applique ricavata da una paletta per scolare montata su una pinza. Paolo Bazzani e Stefania Beltrame. Al centro, ”Schiumogio”, una piccola scultura-orologio che nasconde le sue origini tra gli attrezzi di cucina. Bruno Petronzi A sinistra, schiumarola trasformata in una lampada da parete. Superdrim.
Anche i resti di baccalà sono di difficile ricomposizione: si possono servire con olive, funghi, alici, contorni di capperi che servono ad eccitare l’appetito. Il tonno avanzato può essere fritto nel burro con cipolla e un bicchierino di marsala o può essere servito freddo con salsa verde. (...)
Da Piccoli avanzi... Grandi piatti di Lisa Biondi, AMZ Editore, 1967, foto Gino Menozzi
In questa pagina in alto, sospeso a mezz’aria tramite una spirale formata da un tubo di rame, lo scolapasta della nonna diventa una lampada da tavolo regolabile. Marzia Mosconi. Al centro, lampada da parete da uno scolapasta
e un piccolo imbuto come
applicato su un supporto metallico
porta lampada alogena
recuperato. Franco Fiorio.
e diffusore collegati da un tubo
In basso, ”Bimbuto”, un grosso
flessibile. Miyuki Ikeda,
imbuto come base
Bau Bau’s Factory. Nella pagina accanto, ”Scolaluce”, scolapasta in plastica trasformato in un’applique. Massimo Duroni.
Anche i resti di baccalà sono di difficile ricomposizione: si possono servire con olive, funghi, alici, contorni di capperi che servono ad eccitare l’appetito. Il tonno avanzato può essere fritto nel burro con cipolla e un bicchierino di marsala o può essere servito freddo con salsa verde. (...)
Da Piccoli avanzi... Grandi piatti di Lisa Biondi, AMZ Editore, 1967, foto Gino Menozzi
In questa pagina in alto, sospeso a mezz’aria tramite una spirale formata da un tubo di rame, lo scolapasta della nonna diventa una lampada da tavolo regolabile. Marzia Mosconi. Al centro, lampada da parete da uno scolapasta
e un piccolo imbuto come
applicato su un supporto metallico
porta lampada alogena
recuperato. Franco Fiorio.
e diffusore collegati da un tubo
In basso, ”Bimbuto”, un grosso
flessibile. Miyuki Ikeda,
imbuto come base
Bau Bau’s Factory. Nella pagina accanto, ”Scolaluce”, scolapasta in plastica trasformato in un’applique. Massimo Duroni.
b
iscotti marini
In questa semplice ricetta le formine per la sabbia diventano gli stampi per i nostri biscotti.
Ingredienti per 4-6 persone. 200 g di farina; 100 g di zucchero; 100 g di burro; 2 tuorli; scorza di un limone grattugiata; sale; 1/2 busta di colorante alimentare blu patent E 131.
Preparazione. Versate la farina a fontana sulla spianatoia, spolverizzatela con lo zucchero, aggiungete i tuorli, un pizzico di sale, il burro a pezzetti ammorbidito a temperatura ambiente, la scorza di limone grattugiata e il colorante blu. Cominciate a intridere con la punta delle dita gli ingredienti che si trovano al centro della fontana, poi incorporate poca per volta la farina. Lavorate quindi l’impasto velocemente, formate un panetto, avvolgetelo in un panno e mettetelo in frigo per un’ora. Dopo di che sul ripiano infarinato stendete la pasta con il matterello. Con l’ausilio di formine dalle fogge diverse ricavate i biscotti marini e sistemateli su una teglia dove avrete preventivamente steso un foglio di carta da forno. Spennellate i biscotti con il latte e fateli cuocere in forno caldo a 200° per circa 25 minuti.
Foto e ricetta Cristina Sferra
b
iscotti marini
In questa semplice ricetta le formine per la sabbia diventano gli stampi per i nostri biscotti.
Ingredienti per 4-6 persone. 200 g di farina; 100 g di zucchero; 100 g di burro; 2 tuorli; scorza di un limone grattugiata; sale; 1/2 busta di colorante alimentare blu patent E 131.
Preparazione. Versate la farina a fontana sulla spianatoia, spolverizzatela con lo zucchero, aggiungete i tuorli, un pizzico di sale, il burro a pezzetti ammorbidito a temperatura ambiente, la scorza di limone grattugiata e il colorante blu. Cominciate a intridere con la punta delle dita gli ingredienti che si trovano al centro della fontana, poi incorporate poca per volta la farina. Lavorate quindi l’impasto velocemente, formate un panetto, avvolgetelo in un panno e mettetelo in frigo per un’ora. Dopo di che sul ripiano infarinato stendete la pasta con il matterello. Con l’ausilio di formine dalle fogge diverse ricavate i biscotti marini e sistemateli su una teglia dove avrete preventivamente steso un foglio di carta da forno. Spennellate i biscotti con il latte e fateli cuocere in forno caldo a 200° per circa 25 minuti.
Foto e ricetta Cristina Sferra
C’era un tempo in cui i problemi della pulizia di casa e del bucato si riducevano a una forsennata In questa pagina, la lavatrice più ironica è di Chiara Bordoni e
ricerca di bianco e di scintille. Questa “recherche” sembrava per definizione compatibile con il
Francesca Crovara. Su una struttura in cartapesta sono incastonati
corpo umano. Nessun problema a usare Candeggiante, Ammoniasol o Perborato di Sodio,
infiniti oggetti attinti a piene mani dai rimasugli di ogni genere.
nessuna resistenza alle schiume che anzi, più erano ricche, più garantivano pulizia.
Foto Gino Menozzi. Nella pagina accanto, il quadro coloratissimo è
Nessun bruciore agli occhi, nessuna allergia, nessuna screpolatura alla pelle.
stato realizzato da Josè Pomar sfruttando le cromie brillanti delle spugnette da cucina.
Il fatto è che, stando alle pubblicità, le donne degli anni Cinquanta e Sessanta non sono umane. Bloccate nei loro sorrisi, ingessate in vestiti-grembiulini proteggimacchia ma anche sempreinordine, semplicemente queste donne sembrano non conoscere un fuori rispetto ai loro appartamenti. Non vivono in casa, piuttosto sono la casa. Donne di casa, appunto, nel senso che appartengono alla
MANI
casa:
FATA
il corpo di queste signore è infatti sempre la protesi animata di spugnette, lenzuola, panni, piatti. Mai con le mani libere perché le mani sono sempre manidipentola o manidistrofinaccio, manidicamicia o mani discopa. Edward Manidiforbice è, non a caso, una di loro nel film di Tim
DI
Burton. Donne del genere, ovviamente, ignorano che cosa sia l’aria o da dove provenga l’acqua: per loro la parola ”ambiente” è puro flatus vocis. La pubblicità allora non poteva esprimere rispetto ambientale perché, più rapidamente, toglieva di mezzo l’ambiente, lasciando solo uno spazio domestico perfettamente asettico e quindi non-vivo. Case vuote, linde, perfette, dove tutto quello che resta della vita - unico scarto di vita - è la donna stessa, ridotta a sacerdotessa del pulito, ovvero addetta a un rituale di morte quotidiano. Giovanni Scibilia
C’era un tempo in cui i problemi della pulizia di casa e del bucato si riducevano a una forsennata In questa pagina, la lavatrice più ironica è di Chiara Bordoni e
ricerca di bianco e di scintille. Questa “recherche” sembrava per definizione compatibile con il
Francesca Crovara. Su una struttura in cartapesta sono incastonati
corpo umano. Nessun problema a usare Candeggiante, Ammoniasol o Perborato di Sodio,
infiniti oggetti attinti a piene mani dai rimasugli di ogni genere.
nessuna resistenza alle schiume che anzi, più erano ricche, più garantivano pulizia.
Foto Gino Menozzi. Nella pagina accanto, il quadro coloratissimo è
Nessun bruciore agli occhi, nessuna allergia, nessuna screpolatura alla pelle.
stato realizzato da Josè Pomar sfruttando le cromie brillanti delle spugnette da cucina.
Il fatto è che, stando alle pubblicità, le donne degli anni Cinquanta e Sessanta non sono umane. Bloccate nei loro sorrisi, ingessate in vestiti-grembiulini proteggimacchia ma anche sempreinordine, semplicemente queste donne sembrano non conoscere un fuori rispetto ai loro appartamenti. Non vivono in casa, piuttosto sono la casa. Donne di casa, appunto, nel senso che appartengono alla
MANI
casa:
FATA
il corpo di queste signore è infatti sempre la protesi animata di spugnette, lenzuola, panni, piatti. Mai con le mani libere perché le mani sono sempre manidipentola o manidistrofinaccio, manidicamicia o mani discopa. Edward Manidiforbice è, non a caso, una di loro nel film di Tim
DI
Burton. Donne del genere, ovviamente, ignorano che cosa sia l’aria o da dove provenga l’acqua: per loro la parola ”ambiente” è puro flatus vocis. La pubblicità allora non poteva esprimere rispetto ambientale perché, più rapidamente, toglieva di mezzo l’ambiente, lasciando solo uno spazio domestico perfettamente asettico e quindi non-vivo. Case vuote, linde, perfette, dove tutto quello che resta della vita - unico scarto di vita - è la donna stessa, ridotta a sacerdotessa del pulito, ovvero addetta a un rituale di morte quotidiano. Giovanni Scibilia
In questa pagina, foto Corrado Dalcò. Nella pagina accanto, sembra un’illusione ottica la lampada ”Washington”, composta da nove catini in plastica con colori differenti. Massimo Varetto, foto fgdfgds dcvbchsc.
In questa pagina, foto Corrado Dalcò. Nella pagina accanto, sembra un’illusione ottica la lampada ”Washington”, composta da nove catini in plastica con colori differenti. Massimo Varetto, foto fgdfgds dcvbchsc.
Nella pagina accanto, le sfere distribuite da Lorenzo Franceschi sono una rivoluzionaria idea ecologica che sostituisce il tradizionale detersivo per lavatrice. Durante il ciclo, le palline producono ossigeno ionizzato e il risciacquo è piÚ breve e permette una riduzione nei consumi di acqua e elettricità . Foto Gino Menozzi
Nella pagina accanto, le sfere distribuite da Lorenzo Franceschi sono una rivoluzionaria idea ecologica che sostituisce il tradizionale detersivo per lavatrice. Durante il ciclo, le palline producono ossigeno ionizzato e il risciacquo è piÚ breve e permette una riduzione nei consumi di acqua e elettricità . Foto Gino Menozzi
In questa pagina, foto Corrado Dalcò. Nella pagina accanto, su piccole ruote applicate alla base il tavolino di Veronica Guiduzzi-Superdrim non è altro che un cestello della lavatrice recuperato sul quale è sistemato un vetro rotondo. Foto Dario Lasagni. La tenera lampada ”Coccolina” è ricavata da un flacone di ammorbidente sul quale è sistemato un paralume di carta. Marinella Montanari-Superdrim. Foto Dario Lasagni.
In questa pagina, foto Corrado Dalcò. Nella pagina accanto, su piccole ruote applicate alla base il tavolino di Veronica Guiduzzi-Superdrim non è altro che un cestello della lavatrice recuperato sul quale è sistemato un vetro rotondo. Foto Dario Lasagni. La tenera lampada ”Coccolina” è ricavata da un flacone di ammorbidente sul quale è sistemato un paralume di carta. Marinella Montanari-Superdrim. Foto Dario Lasagni.
Le
BOCCE di VETRO
È
inverno per sempre nell’acqua delle bocce di vetro. Ne prendiamo in mano una. La neve fiocca al rallentatore, in un turbinio che parte dal suolo, prima opaco, evenescente, poi i fiocchi si diradano, il cielo turchese riacquista la sua fissità malinconica. Gli ultimi uccelli
di
carta
rimangono sospesi qualche secondo prima di cadere. Una pigrizia ovattata li invita
a
raggiungere
il
suolo.
Riappoggiamo la boccia. E’ cambiato qualcosa. Nell’apparente immobilità dello scenario, ormai si sente come un richiamo. Tutte le bocce sono simili. Un fondale marino popolato di pesci e di alghe, la torre Eiffel, Manhattan, un pappagallo, un paesaggio montano o un ricordo di Saint-Michel, la neve danza e poi pian pianino smette di danzare, si dirada, si spegne. Prima del ballo invernale non c’era niente. Dopo... sull’Empire State Building è rimasto un fiocco, ricordo impalpabile che l’acqua dei giorni non cancella. Qui il suolo rimane cosparso dei petali leggeri della memoria. Le bocce di vetro ricordano. Sognano in silenzio la tormenta, il vento glaciale che forse tornerà o forse no. Spesso resteranno sullo scaffale; e noi dimenticheremo tutta la gioia che possiamo far nevicare tra le mani chiuse, lo strano potere di risvegliare il lungo sonno di vetro. Dentro,
l’aria
è
acqua. All’inizio non ci pensiamo. Ma a guardar bene, sulla sommità c’è sempre una bollicina. Lo sguardo cambia. Non si vede più la torre Eiffel in un cielo di aprile, la fregata veleggiante sul mare calmo. Tutto diventa di una pesante chiarez-
Le
BOCCE di VETRO
È
inverno per sempre nell’acqua delle bocce di vetro. Ne prendiamo in mano una. La neve fiocca al rallentatore, in un turbinio che parte dal suolo, prima opaco, evenescente, poi i fiocchi si diradano, il cielo turchese riacquista la sua fissità malinconica. Gli ultimi uccelli
di
carta
rimangono sospesi qualche secondo prima di cadere. Una pigrizia ovattata li invita
a
raggiungere
il
suolo.
Riappoggiamo la boccia. E’ cambiato qualcosa. Nell’apparente immobilità dello scenario, ormai si sente come un richiamo. Tutte le bocce sono simili. Un fondale marino popolato di pesci e di alghe, la torre Eiffel, Manhattan, un pappagallo, un paesaggio montano o un ricordo di Saint-Michel, la neve danza e poi pian pianino smette di danzare, si dirada, si spegne. Prima del ballo invernale non c’era niente. Dopo... sull’Empire State Building è rimasto un fiocco, ricordo impalpabile che l’acqua dei giorni non cancella. Qui il suolo rimane cosparso dei petali leggeri della memoria. Le bocce di vetro ricordano. Sognano in silenzio la tormenta, il vento glaciale che forse tornerà o forse no. Spesso resteranno sullo scaffale; e noi dimenticheremo tutta la gioia che possiamo far nevicare tra le mani chiuse, lo strano potere di risvegliare il lungo sonno di vetro. Dentro,
l’aria
è
acqua. All’inizio non ci pensiamo. Ma a guardar bene, sulla sommità c’è sempre una bollicina. Lo sguardo cambia. Non si vede più la torre Eiffel in un cielo di aprile, la fregata veleggiante sul mare calmo. Tutto diventa di una pesante chiarez-
za; dietro il vetro, galleggiano correnti in cima alle
torri.
Regni
di
grandi solitudini, meandri lenti, impercettibili movimenti nel silenzio fluido. Il fondo è dipinto di azzurro latte fino al soffitto, al cielo, alla superficie. Azzurro di una dolcezza fittizia che non esiste e la cui beatitudine alla fine rende inquieti come il presentimento di un trabocchetto del destino in un primo pomeriggio oppresso di siesta e di assenza. Prendiamo il mondo tra le mani, la boccia presto è quasi calda. Un turbinio di fiocchi cancella di colpo l’angoscia latente delle correnti. Nevica dentro di noi, in un inverno inaccessibile dove la leggerezza vince la pesantezza. E’ dolce la neve in fondo all’acqua.
Da La prima sorsata di birra di Philippe Delerm, Frassinelli Editore, 1998, foto Gino Menozzi
za; dietro il vetro, galleggiano correnti in cima alle
torri.
Regni
di
grandi solitudini, meandri lenti, impercettibili movimenti nel silenzio fluido. Il fondo è dipinto di azzurro latte fino al soffitto, al cielo, alla superficie. Azzurro di una dolcezza fittizia che non esiste e la cui beatitudine alla fine rende inquieti come il presentimento di un trabocchetto del destino in un primo pomeriggio oppresso di siesta e di assenza. Prendiamo il mondo tra le mani, la boccia presto è quasi calda. Un turbinio di fiocchi cancella di colpo l’angoscia latente delle correnti. Nevica dentro di noi, in un inverno inaccessibile dove la leggerezza vince la pesantezza. E’ dolce la neve in fondo all’acqua.
Da La prima sorsata di birra di Philippe Delerm, Frassinelli Editore, 1998, foto Gino Menozzi
Le cose
Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da giuoco e gli scacchi,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d’una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno più in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati.
da Elogio dell’ombra di Jorge Luis Borges, I meridiani, tutte le opere, vol. 2, Arnoldo Mondadori Editore, 1996. Il reportage è stato realizzato al mercatino che si tiene ogni domenica mattina al posteggio del capolinea della Linea 3 della Metropolitana Milanese a San Donato Milanese (Mi). Foto Cristina Sferra.
Le cose
Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da giuoco e gli scacchi,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d’una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno più in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati.
da Elogio dell’ombra di Jorge Luis Borges, I meridiani, tutte le opere, vol. 2, Arnoldo Mondadori Editore, 1996. Il reportage è stato realizzato al mercatino che si tiene ogni domenica mattina al posteggio del capolinea della Linea 3 della Metropolitana Milanese a San Donato Milanese (Mi). Foto Cristina Sferra.
M
E il museo del futuro R
La concezione dei rifiuti come risorsa è un’acquisizione recente che sta generando un forte cambiamento culturale e di costume, una sorta di rivoluzione etica. O, semplicemente, uno spostamento del punto di vista, uno “straniamento”: lo scarto visto come materia prima, oppure come oggetto per cui reinventare una funzione. In fondo, è la vecchia questione della forma e della sostanza, del significato e del significante. Basta interpretare. Il riciclaggio, che sarà un tema culturale di grande attualità nel prossimo futuro, ha già una storia e meno breve di quanto si pensi. La conosce bene, anche perché ne è stato protagonista, l’architetto bolognese Armando Casalini che, in coincidenza con l’evento Bologna 2000, ha presentato il progetto di un museo sperimentale con una funzione attiva di centro di rielaborazione culturale, sulla nuova mentalità ecologica del riciclo: il Museo Ecologico del Riciclaggio Creativo e Industriale del terzo Millennio (MERCI).
C
LA STRUTTURA
L’ E C O L O G I A
Dal punto di vista strutturale MERCI si propone come uno spazio espositivo polivalente e permanente sulle tematiche ambientali e socio-economiche connesse al riciclaggio/riuso dei rifiuti solidi urbani (RSU), sui protagonisti e sui materiali di riciclo, sulle società ambientaliste che appoggiano questa tendenza. Idealmente, MERCI si identifica come il luogo della memoria storica della società dei consumi nella seconda metà del XX secolo: individua i rifiuti statussymbol che raccontano la storia della città e documenta l’evoluzione del significato della parola rifiuto (da spazzatura a risorsa). In questo senso gli scarti del mercato sono trattati come reperti di un passato recente (anni Cinquanta-Settanta). Il museo sarà non solo una raccolta da guardare, ma soprattutto uno spazio da vivere, da esplorare, da consultare, in cui intervenire.
Scopo fondamentale di MERCI è la diffusione della cultura ecologista nel prossimo millennio, insieme all’analisi delle tematiche ambientali connesse al riciclaggio. La struttura polifunzionale che ospiterà il museo sarà anche un centro di aggregazione sociale sui temi dell’ambiente e un punto informativo sui nuovi modelli di sviluppo: le nuove tecnologie di smaltimento dei RSU, i servizi delle varie aziende municipali e le future modalità di comportamento ecocompatibili. Una videoteca e una biblioteca for niranno le notizie aggiornate sull’argomento.
IL RICICLAGGIO Il recupero/riuso/riciclo dei rifiuti solidi urbani è il tema, l’elemento unificante, il fine di MERCI. Nei RSU sono compresi i materiali da imballaggio provenienti dalla raccolta
I
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E il museo del futuro R
La concezione dei rifiuti come risorsa è un’acquisizione recente che sta generando un forte cambiamento culturale e di costume, una sorta di rivoluzione etica. O, semplicemente, uno spostamento del punto di vista, uno “straniamento”: lo scarto visto come materia prima, oppure come oggetto per cui reinventare una funzione. In fondo, è la vecchia questione della forma e della sostanza, del significato e del significante. Basta interpretare. Il riciclaggio, che sarà un tema culturale di grande attualità nel prossimo futuro, ha già una storia e meno breve di quanto si pensi. La conosce bene, anche perché ne è stato protagonista, l’architetto bolognese Armando Casalini che, in coincidenza con l’evento Bologna 2000, ha presentato il progetto di un museo sperimentale con una funzione attiva di centro di rielaborazione culturale, sulla nuova mentalità ecologica del riciclo: il Museo Ecologico del Riciclaggio Creativo e Industriale del terzo Millennio (MERCI).
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LA STRUTTURA
L’ E C O L O G I A
Dal punto di vista strutturale MERCI si propone come uno spazio espositivo polivalente e permanente sulle tematiche ambientali e socio-economiche connesse al riciclaggio/riuso dei rifiuti solidi urbani (RSU), sui protagonisti e sui materiali di riciclo, sulle società ambientaliste che appoggiano questa tendenza. Idealmente, MERCI si identifica come il luogo della memoria storica della società dei consumi nella seconda metà del XX secolo: individua i rifiuti statussymbol che raccontano la storia della città e documenta l’evoluzione del significato della parola rifiuto (da spazzatura a risorsa). In questo senso gli scarti del mercato sono trattati come reperti di un passato recente (anni Cinquanta-Settanta). Il museo sarà non solo una raccolta da guardare, ma soprattutto uno spazio da vivere, da esplorare, da consultare, in cui intervenire.
Scopo fondamentale di MERCI è la diffusione della cultura ecologista nel prossimo millennio, insieme all’analisi delle tematiche ambientali connesse al riciclaggio. La struttura polifunzionale che ospiterà il museo sarà anche un centro di aggregazione sociale sui temi dell’ambiente e un punto informativo sui nuovi modelli di sviluppo: le nuove tecnologie di smaltimento dei RSU, i servizi delle varie aziende municipali e le future modalità di comportamento ecocompatibili. Una videoteca e una biblioteca for niranno le notizie aggiornate sull’argomento.
IL RICICLAGGIO Il recupero/riuso/riciclo dei rifiuti solidi urbani è il tema, l’elemento unificante, il fine di MERCI. Nei RSU sono compresi i materiali da imballaggio provenienti dalla raccolta
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differenziata, pezzi di elettrodomestici e automobili, oggetti di uso quotididano e industriale, fino a interi edifici dismessi. Coerentemente all’idea del recupero funzionale di strutture architettoniche dismesse, il museo sarà allestito in un ex complesso militare nella periferia della città (anch’esso appartenente al passato recente: 1870-90) e fornirà un nuovo modello di organizzazione spaziale delle attività museali, in continua interazione con altre strutture che sorgeranno nella stessa area (scuole, giardini). Lo spazio è l’ex caserma Staveco, 8000 mq di capannoni e fabbricati in mattoni, vetro, legno, ferro e ghisa.
LA CREATIVITA’ Protagonisti dell’esposizione saranno i prodotti artistici e artigianali ricavati dal riuso dei più svariati oggetti e materiali. A questo proposito MERCI si propone anche come luogo di legittimazione di un’iconografia artistica connessa al riciclaggio dei RSU, come centro di ricerca e documentazione sulle
contaminazioni stilistiche “da rifiuto” nelle avanguardie e nell’arte contemporanea in genere. Sullo stesso tema si confronteranno arte, moda, design, sperimentando percorsi multimediali.
IL LATO INDUSTRIALE MERCI documenterà piani tecnologici e aziendali incentrati sulla raccolta e il riciclo programmato degli scarti delle utenze domestiche e commerciali; promuoverà inoltre ricerche sui circuiti commerciali alternativi che diffondono oggetti provenienti dal recupero.
LE ATTIVITA’ E GLI EVENTI L E M O S T R E : Il riciclaggio di fine millenio. Il museo ospiterà una serie di mostre intitolata “Riciclaggio di fine millenio” suddivise in tre sezioni espositive: • il riciclaggio industriale dei RSU (il riciclaggio degli imballaggi primari in plastica, vetro, alluminio, cartone; i prodotti di mercato provenienti dal riciclo: abiti, arredi, oggetti); • le manipolazioni creative dei RSU in opere d’arte, oggetti di design e prodotti di moda; • il “riciclariato urbano” delle aree industriali e militari dismesse, come il Lingotto a Torino, i magazzini del cotone a Genova, Bagnoli a Napoli, eccetera.
Segno zodiacale dell’acquario realizzato assemblando vecchi oggetti e immagini. Deborah di Leo, foto Gino Menozzi.
differenziata, pezzi di elettrodomestici e automobili, oggetti di uso quotididano e industriale, fino a interi edifici dismessi. Coerentemente all’idea del recupero funzionale di strutture architettoniche dismesse, il museo sarà allestito in un ex complesso militare nella periferia della città (anch’esso appartenente al passato recente: 1870-90) e fornirà un nuovo modello di organizzazione spaziale delle attività museali, in continua interazione con altre strutture che sorgeranno nella stessa area (scuole, giardini). Lo spazio è l’ex caserma Staveco, 8000 mq di capannoni e fabbricati in mattoni, vetro, legno, ferro e ghisa.
LA CREATIVITA’ Protagonisti dell’esposizione saranno i prodotti artistici e artigianali ricavati dal riuso dei più svariati oggetti e materiali. A questo proposito MERCI si propone anche come luogo di legittimazione di un’iconografia artistica connessa al riciclaggio dei RSU, come centro di ricerca e documentazione sulle
contaminazioni stilistiche “da rifiuto” nelle avanguardie e nell’arte contemporanea in genere. Sullo stesso tema si confronteranno arte, moda, design, sperimentando percorsi multimediali.
IL LATO INDUSTRIALE MERCI documenterà piani tecnologici e aziendali incentrati sulla raccolta e il riciclo programmato degli scarti delle utenze domestiche e commerciali; promuoverà inoltre ricerche sui circuiti commerciali alternativi che diffondono oggetti provenienti dal recupero.
LE ATTIVITA’ E GLI EVENTI L E M O S T R E : Il riciclaggio di fine millenio. Il museo ospiterà una serie di mostre intitolata “Riciclaggio di fine millenio” suddivise in tre sezioni espositive: • il riciclaggio industriale dei RSU (il riciclaggio degli imballaggi primari in plastica, vetro, alluminio, cartone; i prodotti di mercato provenienti dal riciclo: abiti, arredi, oggetti); • le manipolazioni creative dei RSU in opere d’arte, oggetti di design e prodotti di moda; • il “riciclariato urbano” delle aree industriali e militari dismesse, come il Lingotto a Torino, i magazzini del cotone a Genova, Bagnoli a Napoli, eccetera.
Segno zodiacale dell’acquario realizzato assemblando vecchi oggetti e immagini. Deborah di Leo, foto Gino Menozzi.
Cravatta realizzata con tappi di bottiglia usati. Antonio Fago progetto Pier Paolo Pitacco, foto Gino Menozzi.
Scultura concettuale realizzata da Gigliola Pirovano con una grondaia arrugginita. Foto Gino Menozzi.
L O S P E T T A C O L O : La Belle Epoque. Rappresentazioni teatrali con musica, installazioni e performance metteranno in scena l’Italia del consumismo sfrenato, indifferente all’impatto ambientale dei rifiuti accumulati nelle discariche a cielo aperto.
I L C O N C O R S O : Recuperando crea. Ogni anno sarà bandito un concorso rivolto a studenti universitari e di istituti professionali per il miglior progetto sul tema della salvaguardia ambientale e per il miglior oggetto sul tema del riuso dei materiali industriali dismessi.
I L C O N V E G N O : Ecotrend. Sotto i riflettori di Bologna Capitale Europea della Cultura si organizzerà un convegno su ecorifiuti, ecodesign, ecomoda, ecolavoro.
L ’ E D I T O R I A : Merci Edizioni. Si prevede la pubblicazione di una collana editoriale multimediale sulle attività di MERCI e per la diffusione di iniziative ambientaliste: cataloghi, rivista, videocassette, CD Rom.
I L L A B O R A T O R I O : Riciclando s’impara. MERCI organizzerà visite guidate alle mostre per le scuole dell’obbligo e attività didattiche di laboratorio, come manipolazione e riparazione di materiali e oggetti provenienti dalla raccolta differenziata. Dal centro museale partiranno escursioni agli impianti di riciclaggio.
I S E R V I Z I : Ecomarket e Trash café. Si potranno acquistare creazioni artistiche e artigianali in una galleria
commerciale per la promozione e la vendita di prodotti creativi nuovi o già presenti sul mercato, a cui sarà annesso un locale diur no e serale con caffetteria, bar, sala lettura, sala Internet. I L F U T U R O P R O S S I M O V E N T U R O : Il Comune di Bologna sta valutando la concessione dell’area ex-Staveco per sperimentare uno spazio espositivo permanente sul tema del riciclaggio a partire dall’anno 2001. Se l’esperimento riuscirà, l’esposizione potrà diventare stabile. Nel frattempo, MERCI organizzerà mostre itineranti per far conoscere ad un pubblico sempre più vasto il suo progetto. Giorgia Conversi reportage Armando Casalini
Cravatta realizzata con tappi di bottiglia usati. Antonio Fago progetto Pier Paolo Pitacco, foto Gino Menozzi.
Scultura concettuale realizzata da Gigliola Pirovano con una grondaia arrugginita. Foto Gino Menozzi.
L O S P E T T A C O L O : La Belle Epoque. Rappresentazioni teatrali con musica, installazioni e performance metteranno in scena l’Italia del consumismo sfrenato, indifferente all’impatto ambientale dei rifiuti accumulati nelle discariche a cielo aperto.
I L C O N C O R S O : Recuperando crea. Ogni anno sarà bandito un concorso rivolto a studenti universitari e di istituti professionali per il miglior progetto sul tema della salvaguardia ambientale e per il miglior oggetto sul tema del riuso dei materiali industriali dismessi.
I L C O N V E G N O : Ecotrend. Sotto i riflettori di Bologna Capitale Europea della Cultura si organizzerà un convegno su ecorifiuti, ecodesign, ecomoda, ecolavoro.
L ’ E D I T O R I A : Merci Edizioni. Si prevede la pubblicazione di una collana editoriale multimediale sulle attività di MERCI e per la diffusione di iniziative ambientaliste: cataloghi, rivista, videocassette, CD Rom.
I L L A B O R A T O R I O : Riciclando s’impara. MERCI organizzerà visite guidate alle mostre per le scuole dell’obbligo e attività didattiche di laboratorio, come manipolazione e riparazione di materiali e oggetti provenienti dalla raccolta differenziata. Dal centro museale partiranno escursioni agli impianti di riciclaggio.
I S E R V I Z I : Ecomarket e Trash café. Si potranno acquistare creazioni artistiche e artigianali in una galleria
commerciale per la promozione e la vendita di prodotti creativi nuovi o già presenti sul mercato, a cui sarà annesso un locale diur no e serale con caffetteria, bar, sala lettura, sala Internet. I L F U T U R O P R O S S I M O V E N T U R O : Il Comune di Bologna sta valutando la concessione dell’area ex-Staveco per sperimentare uno spazio espositivo permanente sul tema del riciclaggio a partire dall’anno 2001. Se l’esperimento riuscirà, l’esposizione potrà diventare stabile. Nel frattempo, MERCI organizzerà mostre itineranti per far conoscere ad un pubblico sempre più vasto il suo progetto. Giorgia Conversi reportage Armando Casalini
M E T A M O R F O S I
Nella dimensione globale della società sempre più appiattita sul presente, forse è scontato non chiedere agli oggetti di avere una storia. La loro totale riproducibilità annulla ogni caratteristica unica e la loro nascita industriale può avvenire a migliaia di chilometri di distanza dalla loro origine culturale. Forse la storia di un oggetto può nascere solo dal suo recupero, dallo ”scarto” rispetto alla sua funzione (o alla sua mancanza di funzione), dalla frammentazione della sua compattezza e del suo significato
Lampadario eseguito assemblando un paralume degli anni ‘50, uno spargifiamma di una cucina dei primi del novecento e dei legni spiaggiati. Stefano Lucarini, foto Gino Menozzi.
(o della sua mancanza di significato). Si può immaginare allora un nuovo collezionismo che ricerchi frammenti di memoria sedimentata per creare un ”album di ricordi” a più dimensioni: un oggetto composto da emozioni, sensazioni, passioni, un oggetto che non appartiene a nessuna serie, per quanto rara, ma che invece possiede l’imprevedibilità della metamorfosi. Il limite spaziale finito si apre così ad un rimando infinito nello spessore temporale di un nuovo significato che si rivela come unità coplessa di ogni semplice accostamento. Giorgio Pedrioni
M E T A M O R F O S I
Nella dimensione globale della società sempre più appiattita sul presente, forse è scontato non chiedere agli oggetti di avere una storia. La loro totale riproducibilità annulla ogni caratteristica unica e la loro nascita industriale può avvenire a migliaia di chilometri di distanza dalla loro origine culturale. Forse la storia di un oggetto può nascere solo dal suo recupero, dallo ”scarto” rispetto alla sua funzione (o alla sua mancanza di funzione), dalla frammentazione della sua compattezza e del suo significato
Lampadario eseguito assemblando un paralume degli anni ‘50, uno spargifiamma di una cucina dei primi del novecento e dei legni spiaggiati. Stefano Lucarini, foto Gino Menozzi.
(o della sua mancanza di significato). Si può immaginare allora un nuovo collezionismo che ricerchi frammenti di memoria sedimentata per creare un ”album di ricordi” a più dimensioni: un oggetto composto da emozioni, sensazioni, passioni, un oggetto che non appartiene a nessuna serie, per quanto rara, ma che invece possiede l’imprevedibilità della metamorfosi. Il limite spaziale finito si apre così ad un rimando infinito nello spessore temporale di un nuovo significato che si rivela come unità coplessa di ogni semplice accostamento. Giorgio Pedrioni
Lampada da terra ”Goofy”, collezione ”The lightness secret”, ricavata assemblando un corno di alce, dei sassi di fiume e una vecchia travertina delle rotaie. Pierluigi Bruno, foto Agnese Micheluzzi e Francesco Betti.
Lampada da terra ”Goofy”, collezione ”The lightness secret”, ricavata assemblando un corno di alce, dei sassi di fiume e una vecchia travertina delle rotaie. Pierluigi Bruno, foto Agnese Micheluzzi e Francesco Betti.
• Quando ti capita un prosciutto troppo grasso, o una bistecca tutta innervata, o delle foglie d’insalata appassite e stanche che fai? Prendi il coltello e tagli o con le mani stesse strappi così da eliminare quello che non va o che è meglio che non vada giù, in pancia. Ecco, questo è scartare: un buttar via, nella pattumiera, uno scansare ai margini del piatto che toglie alla vista (o almeno al suo fuoco) o, come nell’esempio che ti facevo, alla bocca e al corpo. Lo scarto è quanto non serve, qualcosa d’avanzo e quindi inutile, vano, accessorio, pleonastico. A volte addirittura dannoso, nocivo, velenoso. Un resto, un rifiuto, una putrescenza.
• E quando apri una busta, ad esempio, una busta • Certo, certo che è così. Anche se a me, appena sento questa parola, ”scartare”, vedo un suono bianco e croccante come un foglio appallottolato. Perché per me sono i regali che si scartano, qualli di Natale e quelli del compleanno, quelli della fidanzata e quelli di nozze. Oppure quando sento ”scartare” vedo quel rosso trasparente della pellicola che ricopre le Rossana, te le ricordi le Rossana? Quelle caramelle con un ripieno antico tra la crema e lo zabaione industriale, avvolte in quel mantellino di carta trasparente rosso ciliegia. Scartare una caramella significa, in questo caso, farla prima vorticare sul suo asse come potresti far piroettare una ballerina sdraiata tirandole un doppio tutù, poi afferrarla tra indice e pollice e portar-
D e t t o
t r a
di carta, qualcosa che potrebbe anche arrivarti per posta, tu che dici? Che hai aperto la lettera o hai scartato la busta? Perché anche per arrivare alla lettera, alla carta piegata su cui stanno i messaggi d’amore o le ingiunzioni di pagamento, le notizie sulla salute di una zia di Filadelfia o quelle di un tuo amico che sta in Francia, anche per arrivare lì devi prima eliminare qualcosa, qualcosa però di altrettanto fondamentale perché ha permesso alla lettera di giungere fin lì, sul tuo tavolo, davanti al tuo computer. Tu che fai con le buste, le apri con
n o i
• E cosa c’era dentro? • L’ho davanti agli occhi adesso, e anche tu, del resto, lo vedi bene. Dentro ci sono, ad esempio, delle cartoline, quelle che usa Gianluigi per fare il filmino di ”Sipario Ducale”. Delle vecchie cartoline che lui ritocca a mano o al computer. E’ così che le cartoline tornano in vita. Strana vita quella delle cartoline, a pensarci un po’: dicono che uno è là, che so a Gabicce, quando invece magari si è già spostato da un’altra parte; dicono ”sono qui e ora, presente, ciao” e invece magari non è più lì, magari se ne è andato o addirittura è morto. Le vecchie cartoline, il loro sistema di presenza-assenza, in pratica la loro ”vita”, segue un altra logica rispetto alla nostra, nostra di comuni mortali: noi siamo qui o là, loro stanno prevalentemente in viaggio; noi possiamo parlare solo da vivi, loro, un po’ come le fotografie in genere, ma in modo più esagerato ancora, permettono di parlare anche da morti. • Ma non è solo che le cartoline riprendono vita, anche i luoghi che le cartoline rappresentano fanno un po’ lo stesso. Quelle visioni ”da cartolina”, quegli scarti della visione che sono le cartoline, la loro ovvietà che le rende banali, sempre già viste e quindi invisibili (ti ricordi forse cosa c’era sull’ultima vera cartolina che hai ricevuto? un paesaggio? un tramonto? un’alba? un golfo? una cima di montagna? un bosco? ”saluti da” o ”arrivederci da”?), tutta questa roba ingombrante e pacchiana è sicuramente anche lì, nelle cartoline di Gianluigi eppure anche da un’altra parte, scartata in favore di un’altra luce e un altro colore, innaturali come possono essere quelli della pittura (quando usa il computer Gianluigi utilizza un programma che si chiama non a caso ”Painter”) ma magari più ”veri”: un altro modo di guardare, o di non guardare più e quindi, magari, di vedere di nuovo. E di dirtelo anche, di comunicartelo. Non lo stai forse capendo anche tu, proprio in questo ”Ci facciamo strada istante? nel mondo per poi capitare
la alla bocca, nuda, bianca, porcellana, diafana e gravida di promesse: finalmente lei. Ecco allora che scartare mi dice anche altro, ad esempio che non c’è dono, almeno vero dono, senza scarto e che non sarebbe possibile mangiare certe cose, più o meno buone, senza prima scartarle, appunto, ma non eliminarle come il tuo grasso di prosciutto, piuttosto aprirle, portarle alla luce e alla vista, farle apparire come appare un pandoro quando lo scarti dal suo cartone, una montagna di zucchero al velo, altro che stella cometa: un vero Natale.
La sirenetta racconta di cose dimenticate e ritrovate, di ritagli di giornale, legni di mare e conchiglie. Deborah di Leo, foto Massimo Fiorito. La font ”WaterFlag” è stata ideata da Mauro Carichini riciclando l’Eurostile. Fotogrammi del video ”Sipario Ducale” realizzato e prodotto da Gianluigi Toccafondo e Massimo Salvucci per il Festival delle Terre di Pesaro e Urbino. L’invito per la sfilata di Antonio Marras è un foglio di colla di pesce e granelli di sale. Paolo Bazzani e Carmen Lomaglio per Studio Elica, Foto Mario Tedeschi.
cura usando magari un tagliacarte o le strappi e le forzi col dito, puntando solo al traguardo, solo al pezzo di carta dentro?
• Quando Deborah mi ha passato i materiali, intendo le foto e le fotocopie, i fotocolor e dei foglietti scritti a mano, su cui dovevo scrivere quello che è diventato ciò che stai leggendo, proprio lì me li ha messi, i materiali, in due grandi buste di carta. E io per vederli, per rivederli, perché Deborah me li aveva già mostrati una sera, a casa sua, ho dovuto riaprire le buste, starppare il nastro adesivo con cui le aveva richiuse per poter arrivare al contenuto di colori e forme, lì dentro. Povere buste, sono un po’ tutte stracciate, adesso.
• Sì, hai ragione. E’ solo che non ci pensiamo mai a come le cose parlino sempre, continuino a parlare anche quando le buttiamo in un cestino o le lasciamo lì dove sono. O qualcun’altro le lascia e sembra dimenticarle. Ad esempio il mare, quando fa le sue mareggiate. La spiaggia per me è proprio il vomito del mare, il residuo delle sue sbornie o delle sue notti d’amore, burrascosi giochi con le lingue dei lampi, tirando i capelli del vento, palpando le natiche delle nuvole più basse. Chi potrebbe dirlo che tra i resti sputati dal mare c’è una bellezza, una che ti gireresti a guardarla se la incontrassi per la strada? Anzi non è ”tra”, è proprio quei resti stessi, basta guardarli in un certo modo. Come li guarda Deborah: guarda la sirenetta, guarda i suoi capelli di conchiglia da vamp e la malinconia del suo fondale di cartone. Non è forse la tua spiaggia, quella delle tue passeggiate mano nella mano o quella dove saltavi in punta di piedi perché la sabbia bolliva o era troppo accidentata, troppo sporca la spiaggia oggi, certo che se andiamo avanti così al mare non potremo più andarci.
nel mezzo di una scena medieval-moderna,
• A proposito, mi veniva in mente quando parlavi di buste e lettere. Sai che dentro una delle buste che mi ha dato Deborah c’era un’altra busta? • Davvero? • Sì, guarda, è un invito, un invito di Paolo e Carmen per la sfilata di Antonio Marras fatto di colla di pesce e sale. Quando lo tiri fuori perdi letteralmente i pezzi, tanto che devi starci attento. E’ così che lo scarto torna a essere una piccola reliquia che ogni sguardo, anche non volendo, consuma, almeno un po’. Quello che normalmente succede alla busta, che produce il logoramento, qui succede a quello che sta dentro la busta: sale eri e sale ritornerai.
una città di grattacieli di spazzatura con una puzza infernale di ogni oggetto deperibile mai fabbricato, e accorgerci che assomiglia a qualcosa che ci portiamo dietro da tutta una vita”. Da Underworld di Don De Lillo, Enaudi Editore, 1999.
• No, non andartene ancora. Lascia che ti racconti un’altra cosa. • Che c’è ancora, sono un po’ stanco.
• C’era ancora un lavoro nella busta. • Cosa? • Dei fonts elaborati al computer a formare un WaterFlag Monotype. Qui siamo alla dimostrazione del fatto che oggi, dico proprio oggi, nell’anno 2000, il significante è diventato così puro e trasparente da poter tornare autonomamente a significare. Il significante non è arbitrario, frase che farebbe incazzare e non poco i linguisti: proprio come accadeva miticamente nelle onomatopee originarie, quelle che facevano echeggiare nel suono del nome il senso della cosa. Ma anche in questo caso, l’AcquaBandiera è un prodotto di un recupero, un font ”ufficiale” truccato e manipolato fino a diventare qualcosa di nuovo e inedito. Un vero riciclo dell’acqua/ segno, fatta filtrare attraverso il depuratore dell’immaginario e infine recuperata alla nostra bocca/senso. • Ma dici davvero? Non starai dando di matto? Non ti starai inventando tutto? • E se anche fosse? Giovanni Scibilia
• Quando ti capita un prosciutto troppo grasso, o una bistecca tutta innervata, o delle foglie d’insalata appassite e stanche che fai? Prendi il coltello e tagli o con le mani stesse strappi così da eliminare quello che non va o che è meglio che non vada giù, in pancia. Ecco, questo è scartare: un buttar via, nella pattumiera, uno scansare ai margini del piatto che toglie alla vista (o almeno al suo fuoco) o, come nell’esempio che ti facevo, alla bocca e al corpo. Lo scarto è quanto non serve, qualcosa d’avanzo e quindi inutile, vano, accessorio, pleonastico. A volte addirittura dannoso, nocivo, velenoso. Un resto, un rifiuto, una putrescenza.
• E quando apri una busta, ad esempio, una busta • Certo, certo che è così. Anche se a me, appena sento questa parola, ”scartare”, vedo un suono bianco e croccante come un foglio appallottolato. Perché per me sono i regali che si scartano, qualli di Natale e quelli del compleanno, quelli della fidanzata e quelli di nozze. Oppure quando sento ”scartare” vedo quel rosso trasparente della pellicola che ricopre le Rossana, te le ricordi le Rossana? Quelle caramelle con un ripieno antico tra la crema e lo zabaione industriale, avvolte in quel mantellino di carta trasparente rosso ciliegia. Scartare una caramella significa, in questo caso, farla prima vorticare sul suo asse come potresti far piroettare una ballerina sdraiata tirandole un doppio tutù, poi afferrarla tra indice e pollice e portar-
D e t t o
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di carta, qualcosa che potrebbe anche arrivarti per posta, tu che dici? Che hai aperto la lettera o hai scartato la busta? Perché anche per arrivare alla lettera, alla carta piegata su cui stanno i messaggi d’amore o le ingiunzioni di pagamento, le notizie sulla salute di una zia di Filadelfia o quelle di un tuo amico che sta in Francia, anche per arrivare lì devi prima eliminare qualcosa, qualcosa però di altrettanto fondamentale perché ha permesso alla lettera di giungere fin lì, sul tuo tavolo, davanti al tuo computer. Tu che fai con le buste, le apri con
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• E cosa c’era dentro? • L’ho davanti agli occhi adesso, e anche tu, del resto, lo vedi bene. Dentro ci sono, ad esempio, delle cartoline, quelle che usa Gianluigi per fare il filmino di ”Sipario Ducale”. Delle vecchie cartoline che lui ritocca a mano o al computer. E’ così che le cartoline tornano in vita. Strana vita quella delle cartoline, a pensarci un po’: dicono che uno è là, che so a Gabicce, quando invece magari si è già spostato da un’altra parte; dicono ”sono qui e ora, presente, ciao” e invece magari non è più lì, magari se ne è andato o addirittura è morto. Le vecchie cartoline, il loro sistema di presenza-assenza, in pratica la loro ”vita”, segue un altra logica rispetto alla nostra, nostra di comuni mortali: noi siamo qui o là, loro stanno prevalentemente in viaggio; noi possiamo parlare solo da vivi, loro, un po’ come le fotografie in genere, ma in modo più esagerato ancora, permettono di parlare anche da morti. • Ma non è solo che le cartoline riprendono vita, anche i luoghi che le cartoline rappresentano fanno un po’ lo stesso. Quelle visioni ”da cartolina”, quegli scarti della visione che sono le cartoline, la loro ovvietà che le rende banali, sempre già viste e quindi invisibili (ti ricordi forse cosa c’era sull’ultima vera cartolina che hai ricevuto? un paesaggio? un tramonto? un’alba? un golfo? una cima di montagna? un bosco? ”saluti da” o ”arrivederci da”?), tutta questa roba ingombrante e pacchiana è sicuramente anche lì, nelle cartoline di Gianluigi eppure anche da un’altra parte, scartata in favore di un’altra luce e un altro colore, innaturali come possono essere quelli della pittura (quando usa il computer Gianluigi utilizza un programma che si chiama non a caso ”Painter”) ma magari più ”veri”: un altro modo di guardare, o di non guardare più e quindi, magari, di vedere di nuovo. E di dirtelo anche, di comunicartelo. Non lo stai forse capendo anche tu, proprio in questo ”Ci facciamo strada istante? nel mondo per poi capitare
la alla bocca, nuda, bianca, porcellana, diafana e gravida di promesse: finalmente lei. Ecco allora che scartare mi dice anche altro, ad esempio che non c’è dono, almeno vero dono, senza scarto e che non sarebbe possibile mangiare certe cose, più o meno buone, senza prima scartarle, appunto, ma non eliminarle come il tuo grasso di prosciutto, piuttosto aprirle, portarle alla luce e alla vista, farle apparire come appare un pandoro quando lo scarti dal suo cartone, una montagna di zucchero al velo, altro che stella cometa: un vero Natale.
La sirenetta racconta di cose dimenticate e ritrovate, di ritagli di giornale, legni di mare e conchiglie. Deborah di Leo, foto Massimo Fiorito. La font ”WaterFlag” è stata ideata da Mauro Carichini riciclando l’Eurostile. Fotogrammi del video ”Sipario Ducale” realizzato e prodotto da Gianluigi Toccafondo e Massimo Salvucci per il Festival delle Terre di Pesaro e Urbino. L’invito per la sfilata di Antonio Marras è un foglio di colla di pesce e granelli di sale. Paolo Bazzani e Carmen Lomaglio per Studio Elica, Foto Mario Tedeschi.
cura usando magari un tagliacarte o le strappi e le forzi col dito, puntando solo al traguardo, solo al pezzo di carta dentro?
• Quando Deborah mi ha passato i materiali, intendo le foto e le fotocopie, i fotocolor e dei foglietti scritti a mano, su cui dovevo scrivere quello che è diventato ciò che stai leggendo, proprio lì me li ha messi, i materiali, in due grandi buste di carta. E io per vederli, per rivederli, perché Deborah me li aveva già mostrati una sera, a casa sua, ho dovuto riaprire le buste, starppare il nastro adesivo con cui le aveva richiuse per poter arrivare al contenuto di colori e forme, lì dentro. Povere buste, sono un po’ tutte stracciate, adesso.
• Sì, hai ragione. E’ solo che non ci pensiamo mai a come le cose parlino sempre, continuino a parlare anche quando le buttiamo in un cestino o le lasciamo lì dove sono. O qualcun’altro le lascia e sembra dimenticarle. Ad esempio il mare, quando fa le sue mareggiate. La spiaggia per me è proprio il vomito del mare, il residuo delle sue sbornie o delle sue notti d’amore, burrascosi giochi con le lingue dei lampi, tirando i capelli del vento, palpando le natiche delle nuvole più basse. Chi potrebbe dirlo che tra i resti sputati dal mare c’è una bellezza, una che ti gireresti a guardarla se la incontrassi per la strada? Anzi non è ”tra”, è proprio quei resti stessi, basta guardarli in un certo modo. Come li guarda Deborah: guarda la sirenetta, guarda i suoi capelli di conchiglia da vamp e la malinconia del suo fondale di cartone. Non è forse la tua spiaggia, quella delle tue passeggiate mano nella mano o quella dove saltavi in punta di piedi perché la sabbia bolliva o era troppo accidentata, troppo sporca la spiaggia oggi, certo che se andiamo avanti così al mare non potremo più andarci.
nel mezzo di una scena medieval-moderna,
• A proposito, mi veniva in mente quando parlavi di buste e lettere. Sai che dentro una delle buste che mi ha dato Deborah c’era un’altra busta? • Davvero? • Sì, guarda, è un invito, un invito di Paolo e Carmen per la sfilata di Antonio Marras fatto di colla di pesce e sale. Quando lo tiri fuori perdi letteralmente i pezzi, tanto che devi starci attento. E’ così che lo scarto torna a essere una piccola reliquia che ogni sguardo, anche non volendo, consuma, almeno un po’. Quello che normalmente succede alla busta, che produce il logoramento, qui succede a quello che sta dentro la busta: sale eri e sale ritornerai.
una città di grattacieli di spazzatura con una puzza infernale di ogni oggetto deperibile mai fabbricato, e accorgerci che assomiglia a qualcosa che ci portiamo dietro da tutta una vita”. Da Underworld di Don De Lillo, Enaudi Editore, 1999.
• No, non andartene ancora. Lascia che ti racconti un’altra cosa. • Che c’è ancora, sono un po’ stanco.
• C’era ancora un lavoro nella busta. • Cosa? • Dei fonts elaborati al computer a formare un WaterFlag Monotype. Qui siamo alla dimostrazione del fatto che oggi, dico proprio oggi, nell’anno 2000, il significante è diventato così puro e trasparente da poter tornare autonomamente a significare. Il significante non è arbitrario, frase che farebbe incazzare e non poco i linguisti: proprio come accadeva miticamente nelle onomatopee originarie, quelle che facevano echeggiare nel suono del nome il senso della cosa. Ma anche in questo caso, l’AcquaBandiera è un prodotto di un recupero, un font ”ufficiale” truccato e manipolato fino a diventare qualcosa di nuovo e inedito. Un vero riciclo dell’acqua/ segno, fatta filtrare attraverso il depuratore dell’immaginario e infine recuperata alla nostra bocca/senso. • Ma dici davvero? Non starai dando di matto? Non ti starai inventando tutto? • E se anche fosse? Giovanni Scibilia
“Gninto l’è da buter, tot as pôl druer” “Nulla è da buttare tutto si può riusare”
Erio Pini
”Si riconosce il valore delle cose del mondo, solo quando si trova la possibilità di indirizzare verso
rifiuti
U N A
un oggetto i nostri sentimenti”. Da Le affinità elettive di Wolfgang Goehte, Garzanti Editore, 1999.
Q U E S T I O N E
D I
P U N T I
D I
V I S T A
“Gninto l’è da buter, tot as pôl druer” “Nulla è da buttare tutto si può riusare”
Erio Pini
”Si riconosce il valore delle cose del mondo, solo quando si trova la possibilità di indirizzare verso
rifiuti
U N A
un oggetto i nostri sentimenti”. Da Le affinità elettive di Wolfgang Goehte, Garzanti Editore, 1999.
Q U E S T I O N E
D I
P U N T I
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V I S T A
Che cosa sono i rifiuti? Sembra facile rispondere a questa domanda, ancora di più lo è se ci si può aiutare con esempi: una confezione vuota, una buccia di banana, gli escrementi, un vecchio arnese, qualche cosa di rotto. In effetti gli esempi appena riportati rientrano nella definizione del D.P.R. 925/82: ”Chiamasi rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali abbandonato o destinato all’abbandono”. Si tratta di capire cosa fa di un oggetto un rifiuto; qual è la sottile soglia che un oggetto deve varcare per accedere al regno degli inferi come semplice carcassa senz’anima. Pensandoci bene, da un punto di vista materiale e oggettivo, ciò che si abbandona (rifiuto), non differisce da ciò che teniamo. Una vaschetta di plastica del supermercato che diventa rifiuto nel giro di poche ore dalla sua venuta al mondo, non differisce molto da un contenitore di plastica fatto appositamente per contenere penne e matite o buste da lettere. Una bottiglia di plastica è del tutto uguale a se stessa anche quando l’acqua che la riempiva termina. Eppure essa viene considerata rifiuto solo quando è vuota. Il prodotto dura poco non solo da un punto di vista fisiologico dovuto alla deperibilità dei materiali di cui è fatto e all’usura dei suoi meccanismi, ma soprattutto per quanto riguarda il suo valore affettivo e comunicazionale diventando rifiuto della mente prima ancora che rifiuto solido urbano. Questo è il motivo per cui nei cassonetti si trovano oggetti semi-nuovi.
La qualità degli oggetti contemporanei e la loro breve durata snaturano la qualità dei rapporti rendendoli superficiali, meno intensi e impegnativi rispetto a quelli di una volta. Questo ha portato a una mancanza di punti fissi nel veloce fluire della vita dell’uomo. Tutto ha meno senso. La cura e la manutenzione degli oggetti una volta richiedeva molto tempo. Essi davano un senso alla vita poiché l’uomo attribuiva loro importanza e significato. Adesso, paradossalmente, l’uomo non ha più bisogno di dedicare così tanto tempo alla cura degli oggetti che sono diventati facilmente sostituibili con altri uguali più nuovi e con prestazioni migliori. Ma se l’oggetto è facilmente sostituibile da un punto di vista materiale, fisico, più difficilmente si riescono a rimuovere con esso tutti i valori, i sentimenti e i significati che esso incarna. Si deve tenere comunque presente che il bisogno di separarci dai nostri rifiuti è fondamentale se si vuole continuare a produrre. Ovvero così come la vita e la morte si rincorrono dialetticamente per cui non esisterebbe l’una senza l’altra, allo stesso modo lo smaltimento (morte) è condizione necessaria per il consumo (vita). Smaltire è una ritualità fondamentale che si compie in diversi ambiti del nostro vivere quotidiano. Dalla defecazione alle pulizie di casa e persino in campo virtuale è necessario ricordarsi di ”svuotare il cestino” di Windows per non mandare in tilt il sistema operativo. Se smaltire è importante, altrettanto importante è scegliere la modalità giusta per farlo. A questo punto occorre analizzare due verbi che vengono usati come sinonimi ma che possiedono una differenza concettuale importante quando riferiti ai rifiuti: riusare e riciclare. Riciclare significa raggruppare gli oggetti fatti con il medesimo materiale, lavorarli in maniera da renderli un ammasso di materiale omogeneo e infine utilizzare questa materia che viene chiamata ’materia prima seconda’ per ottenere nuovi prodotti ‘riciclati’. Le campane di raccolta del vetro e della carta servono appunto per la raccolta destinata al riciclo, non al riuso. Per riuso s’intende, come suggerisce la parola stessa, usare un oggetto più volte dopo che ha terminato di svolgere la sua funzione.
Erio Pini è un rigattiere, ma non solo. Siamo andati a trovarlo a Magreta, in provincia di Modena, nella sua vecchia casa trasformata in uno spazio espositivo che include anche il giardino affacciato direttamente sulla strada. Ci ha guidato come un vero cicerone alla scoperta di oggetti i più svariati, accatastati alla rinfusa oppure, quasi per caso, disposti in file ordinate per genere. Quest’uomo va fiero della sua casa che ci ha fatto visitare con orgoglio e delle curiosità che si trovano sparse in ogni dove nel suo spazio. E’ il re incontrastato di un regno di vecchie cose che vende a prezzi davvero interessanti. Tre esempi per tutti: una fontanella di ceramica a L. 15.000; un grande tino in castagno di m 1,70 di diametro a L. 100.000 e una nassa in ottime condizioni a L. 5.000. Erio Pini è un rigattiere ma, se lo andrete a trovare, potrebbe finire che, invece di qualche vecchio oggetto, vi porterete via una delle sue leggendarie previsioni per l’estrazione dei numeri del lotto.
Che cosa sono i rifiuti? Sembra facile rispondere a questa domanda, ancora di più lo è se ci si può aiutare con esempi: una confezione vuota, una buccia di banana, gli escrementi, un vecchio arnese, qualche cosa di rotto. In effetti gli esempi appena riportati rientrano nella definizione del D.P.R. 925/82: ”Chiamasi rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali abbandonato o destinato all’abbandono”. Si tratta di capire cosa fa di un oggetto un rifiuto; qual è la sottile soglia che un oggetto deve varcare per accedere al regno degli inferi come semplice carcassa senz’anima. Pensandoci bene, da un punto di vista materiale e oggettivo, ciò che si abbandona (rifiuto), non differisce da ciò che teniamo. Una vaschetta di plastica del supermercato che diventa rifiuto nel giro di poche ore dalla sua venuta al mondo, non differisce molto da un contenitore di plastica fatto appositamente per contenere penne e matite o buste da lettere. Una bottiglia di plastica è del tutto uguale a se stessa anche quando l’acqua che la riempiva termina. Eppure essa viene considerata rifiuto solo quando è vuota. Il prodotto dura poco non solo da un punto di vista fisiologico dovuto alla deperibilità dei materiali di cui è fatto e all’usura dei suoi meccanismi, ma soprattutto per quanto riguarda il suo valore affettivo e comunicazionale diventando rifiuto della mente prima ancora che rifiuto solido urbano. Questo è il motivo per cui nei cassonetti si trovano oggetti semi-nuovi.
La qualità degli oggetti contemporanei e la loro breve durata snaturano la qualità dei rapporti rendendoli superficiali, meno intensi e impegnativi rispetto a quelli di una volta. Questo ha portato a una mancanza di punti fissi nel veloce fluire della vita dell’uomo. Tutto ha meno senso. La cura e la manutenzione degli oggetti una volta richiedeva molto tempo. Essi davano un senso alla vita poiché l’uomo attribuiva loro importanza e significato. Adesso, paradossalmente, l’uomo non ha più bisogno di dedicare così tanto tempo alla cura degli oggetti che sono diventati facilmente sostituibili con altri uguali più nuovi e con prestazioni migliori. Ma se l’oggetto è facilmente sostituibile da un punto di vista materiale, fisico, più difficilmente si riescono a rimuovere con esso tutti i valori, i sentimenti e i significati che esso incarna. Si deve tenere comunque presente che il bisogno di separarci dai nostri rifiuti è fondamentale se si vuole continuare a produrre. Ovvero così come la vita e la morte si rincorrono dialetticamente per cui non esisterebbe l’una senza l’altra, allo stesso modo lo smaltimento (morte) è condizione necessaria per il consumo (vita). Smaltire è una ritualità fondamentale che si compie in diversi ambiti del nostro vivere quotidiano. Dalla defecazione alle pulizie di casa e persino in campo virtuale è necessario ricordarsi di ”svuotare il cestino” di Windows per non mandare in tilt il sistema operativo. Se smaltire è importante, altrettanto importante è scegliere la modalità giusta per farlo. A questo punto occorre analizzare due verbi che vengono usati come sinonimi ma che possiedono una differenza concettuale importante quando riferiti ai rifiuti: riusare e riciclare. Riciclare significa raggruppare gli oggetti fatti con il medesimo materiale, lavorarli in maniera da renderli un ammasso di materiale omogeneo e infine utilizzare questa materia che viene chiamata ’materia prima seconda’ per ottenere nuovi prodotti ‘riciclati’. Le campane di raccolta del vetro e della carta servono appunto per la raccolta destinata al riciclo, non al riuso. Per riuso s’intende, come suggerisce la parola stessa, usare un oggetto più volte dopo che ha terminato di svolgere la sua funzione.
Erio Pini è un rigattiere, ma non solo. Siamo andati a trovarlo a Magreta, in provincia di Modena, nella sua vecchia casa trasformata in uno spazio espositivo che include anche il giardino affacciato direttamente sulla strada. Ci ha guidato come un vero cicerone alla scoperta di oggetti i più svariati, accatastati alla rinfusa oppure, quasi per caso, disposti in file ordinate per genere. Quest’uomo va fiero della sua casa che ci ha fatto visitare con orgoglio e delle curiosità che si trovano sparse in ogni dove nel suo spazio. E’ il re incontrastato di un regno di vecchie cose che vende a prezzi davvero interessanti. Tre esempi per tutti: una fontanella di ceramica a L. 15.000; un grande tino in castagno di m 1,70 di diametro a L. 100.000 e una nassa in ottime condizioni a L. 5.000. Erio Pini è un rigattiere ma, se lo andrete a trovare, potrebbe finire che, invece di qualche vecchio oggetto, vi porterete via una delle sue leggendarie previsioni per l’estrazione dei numeri del lotto.
La nassa scovata dal rigattiere è stata rivisitata dalla fantasia di Marzia Mosconi per trasformarsi in un lampadario. Sulla struttura è stata intrecciata della corda con appese delle bocce di cristallo recuperate dai vecchi lampadari a goccia.
Ad esempio utilizzare una bottiglia di plastica di acqua minerale esaurita per contenere altra acqua o qualsiasi altro tipo di liquido, è una forma di riuso. Il riuso diventa ”riuso creativo” quando l’oggetto viene adoperato per uno scopo diverso da quello originale. La durata di un oggetto dipende, oltre che dalle sue effettive condizioni, dalla struttura sociale, economica e culturale di una collettività e dalle caratteristiche soggettive del proprietario. In questo caso l’attenzione va spostata dalle proprietà fisiche dell’oggetto stesso a quelle mentali di chi lo possiede. Più che nelle cose in sé, nelle loro qualità oggettive e nelle loro caratteristiche tecniche è importante quello che gli utenti riescono a vedere negli oggetti stessi. La cultura, sia a livello individuale che a livello di comunità diverse, è lo strumento di decodifica che permette di attribuire ad uno stesso oggetto valori differenti, che possono variare dalla posizione di rifiuto a quella di opera d’arte passando per la via alternativa del riuso. Tratto dalla tesi I centri Re-do, progetto strategico per un consumo ecosostenibile di Luigi Brenna, A. A. 1996-1997, Politecnico di Milano facoltà di Architettura, Relatore Prof. Arch. Francesco Mauri Correlatore Arch. Francesco Bergonzi, a cura di Cristine Cagnes foto Gino Menozzi
La nassa scovata dal rigattiere è stata rivisitata dalla fantasia di Marzia Mosconi per trasformarsi in un lampadario. Sulla struttura è stata intrecciata della corda con appese delle bocce di cristallo recuperate dai vecchi lampadari a goccia.
Ad esempio utilizzare una bottiglia di plastica di acqua minerale esaurita per contenere altra acqua o qualsiasi altro tipo di liquido, è una forma di riuso. Il riuso diventa ”riuso creativo” quando l’oggetto viene adoperato per uno scopo diverso da quello originale. La durata di un oggetto dipende, oltre che dalle sue effettive condizioni, dalla struttura sociale, economica e culturale di una collettività e dalle caratteristiche soggettive del proprietario. In questo caso l’attenzione va spostata dalle proprietà fisiche dell’oggetto stesso a quelle mentali di chi lo possiede. Più che nelle cose in sé, nelle loro qualità oggettive e nelle loro caratteristiche tecniche è importante quello che gli utenti riescono a vedere negli oggetti stessi. La cultura, sia a livello individuale che a livello di comunità diverse, è lo strumento di decodifica che permette di attribuire ad uno stesso oggetto valori differenti, che possono variare dalla posizione di rifiuto a quella di opera d’arte passando per la via alternativa del riuso. Tratto dalla tesi I centri Re-do, progetto strategico per un consumo ecosostenibile di Luigi Brenna, A. A. 1996-1997, Politecnico di Milano facoltà di Architettura, Relatore Prof. Arch. Francesco Mauri Correlatore Arch. Francesco Bergonzi, a cura di Cristine Cagnes foto Gino Menozzi
Arte per l’acqua, nell’acqua, per la laguna di Venezia, la laguna, i canali, il canale dei petoli, il Petrolchimico, le maree, le correnti, i bassi fondali, i panorami lunghi, le nuvole all’orizzonte, le barene, le isole deserte, le isole degli uomini.
Ar te
in Laguna
Arte per l’acqua, nell’acqua, per la laguna di Venezia, la laguna, i canali, il canale dei petoli, il Petrolchimico, le maree, le correnti, i bassi fondali, i panorami lunghi, le nuvole all’orizzonte, le barene, le isole deserte, le isole degli uomini.
Ar te
in Laguna
Ratio-natura. Dilemma. Acqua, pescatori. Equilibrio. Ma sì: i
attacca le bandierine alle aste, incolla le bandierine ai galleg-
sua natura ma si flette e si immedesima con gioia al contesto. Un
pescatori. Punteggiano lo specchio file di galleggianti che alli-
gianti. E i contrappesi? Cinquecentosettantasei contenitori da
trionfo... di breve durata. La notte del dieci agosto, quando le
neano le reti sott’acqua. Con una bandiera di segnale sulle aste.
fiori riempiti di cemento e voilà. E la rete? Alfio e Angin, esperti
stelle disegnano la loro sfolgorante minaccia, sei ore di bora
Ecco, sottolineare il problema: una cornice di galleggianti vibran-
e pensionati, sulla spiaggia: tesano cordini neri a maglia cin-
hanno sfidato la condiscendenza del ”quadrato”, logorandone la
te di bandierine rosa shocking. A scala della laguna: una nave sul
quanta centimetri per cinquanta e legano. Fatto! Tutto pronto: a
capacità logica, per distruggerlo, liberando le piccole valenze
mare è piccola, in bacino S. Marco enorme. Progetto: ventiquat-
Venezia! scontro immediato con le strutture: le chiuse non apro-
rosa e verde, nella volontà recondita di un ritorno alla originaria
tro metri per ventiquattro, cinquecentosettantasei galleggianti
no, il ponte girevole non gira, il peschereccio-porcospino, con i
anarchica vita di papere...
legati ad una rete invisibile ancorata ai quattro angoli. E come si
suoi venticinque quintali di verde-rosa, attende la bassa marea.
Epilogo. 10 luglio 1996. Un anno dopo. Spiaggia dell’isola del
realizza? Dove? Chi? Venezia, Jesolo, S. Margherita, Caorle...
In laguna, finalmente. Tra S. Servolo e gli Armeni, Masorin,
Morto ad Eraclea. Camminiamo tra le curiosità che il mare aggro-
ping pong da Toni a Nane, chiedi, botteghe di pesca, fabbriche
Bocia, Buranel, Duce e Menossi, tesano la rete agli ancoraggi e
viglia e che qui lascia, perché qui l’uomo non pulisce. Cos’è
di reti, un mondo... Giovanni, detto Masorin: il più matto e otti-
a cento a cento scaricano sulle barche più piccole e attraccano
quell’oggetto verde? Consumato, sbrecciato ma riconoscibile, è
mista dell’alto Adriatico. Tutto per la pesca a Caorle. Si può
i galleggianti. Ah! I nodi dei pescatori: i galleggianti anarchici
uno dei cinquecentosettantasei galleggianti: liberatosi dell’asta e
fare? Sì! Problemi? No! Dove? Nel ”Cason” lungo il taglio del
come papere, si slacciano e se ne vanno... Che si fa? Fibbie da
della bandiera è uscito dalla bocca di Malamocco, ha attraversa-
Livenza, così poi si imbarca tutto sul mio peschereccio per
elettricista, non annodano, strozzano: tengono? Tengono.
to l’Adriatico fino all’Istria e seguendo la corrente è stato butta-
Venezia. E gli uomini? Ce li ho. Quanti ”schei”? Tot. Ok, vai...
Dunque? Finito due giorni prima dell’inaugurazione! Il risultato?
to dalla bufera dell’inverno sul lungomare del Morto, a raccon-
Cinquecentosettantasei galleggianti rotondi con foro: fabbrica di
Commovente. E’ vivo. Vibra a un alito di vento. Si muove al pas-
tarci che l’avventura, per chi tiene duro, può continuare.
poliuretano di Motta; cinquecentosettantasei aste in plastica
sare dell’onda. Pulsa rosa-verde a contrasto con i grigi e gli
nera da idraulico; cinquecentosettantasei bandierine rosa
azzurri dell’acqua e del cielo. In-cornice: il quadrato, costretto al
shocking dalla veleria di Muggia. Dipingi di verde i galleggianti,
rapporto, sta al gioco, si adatta alla situazione, non rinuncia alla
Marisa Bandiera Cerantola
Ratio-natura. Dilemma. Acqua, pescatori. Equilibrio. Ma sì: i
attacca le bandierine alle aste, incolla le bandierine ai galleg-
sua natura ma si flette e si immedesima con gioia al contesto. Un
pescatori. Punteggiano lo specchio file di galleggianti che alli-
gianti. E i contrappesi? Cinquecentosettantasei contenitori da
trionfo... di breve durata. La notte del dieci agosto, quando le
neano le reti sott’acqua. Con una bandiera di segnale sulle aste.
fiori riempiti di cemento e voilà. E la rete? Alfio e Angin, esperti
stelle disegnano la loro sfolgorante minaccia, sei ore di bora
Ecco, sottolineare il problema: una cornice di galleggianti vibran-
e pensionati, sulla spiaggia: tesano cordini neri a maglia cin-
hanno sfidato la condiscendenza del ”quadrato”, logorandone la
te di bandierine rosa shocking. A scala della laguna: una nave sul
quanta centimetri per cinquanta e legano. Fatto! Tutto pronto: a
capacità logica, per distruggerlo, liberando le piccole valenze
mare è piccola, in bacino S. Marco enorme. Progetto: ventiquat-
Venezia! scontro immediato con le strutture: le chiuse non apro-
rosa e verde, nella volontà recondita di un ritorno alla originaria
tro metri per ventiquattro, cinquecentosettantasei galleggianti
no, il ponte girevole non gira, il peschereccio-porcospino, con i
anarchica vita di papere...
legati ad una rete invisibile ancorata ai quattro angoli. E come si
suoi venticinque quintali di verde-rosa, attende la bassa marea.
Epilogo. 10 luglio 1996. Un anno dopo. Spiaggia dell’isola del
realizza? Dove? Chi? Venezia, Jesolo, S. Margherita, Caorle...
In laguna, finalmente. Tra S. Servolo e gli Armeni, Masorin,
Morto ad Eraclea. Camminiamo tra le curiosità che il mare aggro-
ping pong da Toni a Nane, chiedi, botteghe di pesca, fabbriche
Bocia, Buranel, Duce e Menossi, tesano la rete agli ancoraggi e
viglia e che qui lascia, perché qui l’uomo non pulisce. Cos’è
di reti, un mondo... Giovanni, detto Masorin: il più matto e otti-
a cento a cento scaricano sulle barche più piccole e attraccano
quell’oggetto verde? Consumato, sbrecciato ma riconoscibile, è
mista dell’alto Adriatico. Tutto per la pesca a Caorle. Si può
i galleggianti. Ah! I nodi dei pescatori: i galleggianti anarchici
uno dei cinquecentosettantasei galleggianti: liberatosi dell’asta e
fare? Sì! Problemi? No! Dove? Nel ”Cason” lungo il taglio del
come papere, si slacciano e se ne vanno... Che si fa? Fibbie da
della bandiera è uscito dalla bocca di Malamocco, ha attraversa-
Livenza, così poi si imbarca tutto sul mio peschereccio per
elettricista, non annodano, strozzano: tengono? Tengono.
to l’Adriatico fino all’Istria e seguendo la corrente è stato butta-
Venezia. E gli uomini? Ce li ho. Quanti ”schei”? Tot. Ok, vai...
Dunque? Finito due giorni prima dell’inaugurazione! Il risultato?
to dalla bufera dell’inverno sul lungomare del Morto, a raccon-
Cinquecentosettantasei galleggianti rotondi con foro: fabbrica di
Commovente. E’ vivo. Vibra a un alito di vento. Si muove al pas-
tarci che l’avventura, per chi tiene duro, può continuare.
poliuretano di Motta; cinquecentosettantasei aste in plastica
sare dell’onda. Pulsa rosa-verde a contrasto con i grigi e gli
nera da idraulico; cinquecentosettantasei bandierine rosa
azzurri dell’acqua e del cielo. In-cornice: il quadrato, costretto al
shocking dalla veleria di Muggia. Dipingi di verde i galleggianti,
rapporto, sta al gioco, si adatta alla situazione, non rinuncia alla
Marisa Bandiera Cerantola
Scarti è un progetto di Deborah Di Leo Marta Ligabò Daniela Moretto M. Cristina Sferra