TRIMESTRALE
DI
INFORMAZIONE
Tutti d’un sentimento
NON
CONVENZIONALE
sommario
4 - editoriale Sì, va bene… ma ne parliamo dopo Santa Rosa Manuel Gabrielli
6 - il sindaco Sarà una grande emozione Giovanni Maria Arena
8 - memoria Quaranta anni di Sodalizio, ecco la valigia che custodisce lo spirito di quei giorni Roberto Pomi Trimestrale di informazione non convenzionale Numero 31 – Settembre 2018 Distribuzione gratuita Direttore responsabile Roberto Pomi Direttore editoriale Manuel Gabrielli Photo editor Sabrina Manfredi Responsabile commerciale Dr. Enrico Lentini - 333 4820805 Contributi di Manuel Gabrielli, Enrico Lentini, Roberto Pomi, Cesare Rutili, Daniela Stampatori, Carlo Zucchetti Foto di Luigi Maria Buzzi, Manuel Gabrielli, Sergio Galeotti, Bruno Pagnanelli Immagine di copertina Bruno Pagnanelli Design Massimo Giacci Editore Onda srls Via Monti Cimini, 35 - 01100 VITERBO Tel. 340 7795232 Partita Iva 02282020565 ondacomunicazione@legalmail.it Iscrizione al ROC N. 31504 del 17/05/2018 Stampa Union Printing SpA I contributi, redazionali o fotografici, salvo diversi accordi scritti, devono intendersi a titolo gratuito. Chiuso in tipografia il 20/08/2018 Tiratura: 30.000 copie
10 - i facchini Tutti d’un sentimento 13 - pubblicità “Costruiamo case pensate per la salute e il comfort di chi ci abita” 14 - intervista Sul percorso della Macchina con Massimo Mecarini
A cura di Enrico Lentini
32 Spirale di Fede, la mini macchina del Pilastro 34 Miracolo di Fede, la mini macchina di Santa Barbara 36 Luce di Rosa, la mini macchina del Centro storico 38 - amarcord Maritozzi del tre settembre, la carezza dei Selvaggini ai Facchini di Rosa Roberto Pomi
40 - rete La rete delle grandi macchine a spalla e il riconoscimento UNESCO
Roberto Pomi
Manuel Gabrielli
16 - il 3 settembre Sale l’emozione, a voi il “Giro delle sette chiese”
42 - sport Lux Rosae giunge alla quarta edizione
18 - la macchina I numeri di Gloria
43 - pubblicità Teverina Buskers, festival internazionale degli artisti di strada
20 - curiosità Piccola storia della pesata della Macchina
44 - enologia Cenni storici e tecnici sul Roscetto
Cesare Rutili
22 - tradizione Santa Rosa, aneddoti e personaggi che hanno segnato la tradizione Enrico Lentini
24 - viterbo Mappa del centro storico 26 - intervista Io ciuffo, la voce di mio padre Nello e la nascita del Sodalizio
Enrico Lentini
Carlo Zucchetti
45 - pubblicità Il “Roscetto” di Vitorchiano 46 - sagre Feste della castagna della Tuscia Manuel Gabrielli
Con i patrocinio di
Roberto Pomi
28 - turismo Itinerario religioso della Tuscia Daniela Stampatori
DECARTA SETTEMBRE 2018
mini macchine
Città di Viterbo
Sodalizio Facchini di Santa Rosa
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santa rosa
editoriale
Sì, va bene… ma ne parliamo Manuel Gabrielli
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olitamente le persone contano il passare degli anni con l’arrivo del proprio compleanno e con lo scoccare della mezzanotte il 31 dicembre. Qua a Viterbo abbiamo una sorta di calendario diverso, la nostra vigilia è il 3 settembre e il capodanno lo festeggiamo il 4. Il periodo è molto congeniale, quasi tutti vanno in vacanza e anche per i meno fortunati di solito il ritmo del lavoro durante il mese di agosto si allenta un po’. Così è possibile pianificare, sognare, fare buoni propositi. Qualsiasi nuovo accordo che sia di amicizia o di lavoro è tassativo svolgerlo dopo Santa Rosa. Il 4 settembre di questo 2018 è più importante degli altri, in quanto abbiamo una giunta insediata da poche settimane che ha ancora tutto da dimostrare. Sarà un momento delicatissimo perché, oltre al trasporto in sé, tutto lo svolgimento della manifestazione è sacro al Viterbese, e di questi tempi, soprattutto se si parla di pubblica amministrazione, la polemica sembra essere diventata lo sport nazionale. D’altronde però un Sindaco di Viterbo del passato, Francesco Pio Marcoccia, dichiarò ai
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giornali in occasione del controverso trasporto dell’86: “Non esiste festa senza polemiche, cosa sarebbe il Palio di Siena senza le diatribe e le rivalità?”. Ecco, proprio per evitare polemiche, chiariamo fin da subito e perdonateci, cittadini e turisti, se su questa edizione di Decarta, quasi totalmente dedicata al trasporto della Macchina di Santa Rosa, parleremo poco proprio della Santa. Ne abbiamo scritto abbondantemente nei due anni passati e crediamo che tutto sommato, con una breve ricerca, potrete saperne tanto quanto noi sulla vita di Rosa e sui motivi per i quali ogni 3 settembre viene celebrata questa ricorrenza del trasporto. Se foste forestieri, ma indipendentemente dal fatto di essere cattolici praticanti o meno, vi invitiamo a percorrere il tour religioso che ha preparato Daniela Stampatori, la nostra guida turistica di fiducia, a partire da pagina 28. Con una sosta presso il santuario, e annesso convento, esaudirete sicuramente la vostra curiosità riguardo la vita della Santa. Abbiamo preferito dedicare spazio a
qualche aneddoto meno noto (come per esempio il motivo per il quale la Macchina viene ogni anno pesata con delle bilance da elicottero dell’Esercito Italiano – pagina 20) e soprattutto, visti i 40 anni di anniversario del loro Sodalizio, ai Facchini di Santa Rosa. Un fatto eclatante ci è venuto in soccorso: il ritrovamento di una valigia appartenuta proprio al padre di ciò che oggi è il Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa, Nello Celestini (e ve ne parlerà Roberto Pomi a pagina 8, spiegandovi pure, se non lo sapeste, cosa è il Sodalizio e come è nato).
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ualche anno fa i redattori di lafune.eu, quotidiano on-line che partecipa alla realizzazione di questa rivista, intervistarono lo storico presidente e capofacchino. Tanta deve essere stata la simpatia che suscitarono nell’ormai anziano signore che uscirono da casa sua con questa valigia piena di articoli di giornali, foto, fogli di discorsi scritti a mano, verbali delle riunioni del sodalizio e chi più ne ha più ne metta. La promessa era quella di farci un libro, ma le cose non vanno mai come previsto e da DECARTA SETTEMBRE 2018
dopo Santa Rosa lì a poco sopraggiunse anche la dipartita del proprietario. La valigia da quel momento in poi non solo rimase a prendere polvere ma venne proprio dimenticata. Qualche settimana fa proprio il già citato Roberto Pomi mi ha chiamato, entusiasta di questo ritrovamento, e mi ha incaricato di scansionare e archiviare quanto materiale mi fosse possibile prima di riconsegnare tutto al legittimo erede, Lorenzo Celestini, il figlio di Nello, intervistato a pagina 26. È stato un compito che ho svolto con immenso piacere e che mi ha permesso di ripercorrere non solo i ricordi di un uomo ma soprattutto il passato recente di una città. Purtroppo non ho mai avuto l’occasione di conoscere Nello Celestini, ma mi sono talmente tanto abituato a vederlo nelle foto che oramai mi sembra una persona che potrei incontrare per strada da un giorno all’altro, e devo ammettere che mentre scansionavo il tutto sono stato colto da qualche attimo di commozione. I ritagli partono dal lontano 1969 con un articolo che a due anni di distanza ancora parlava del fermo di Volo DECARTA SETTEMBRE 2018
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stesso discorso che poi portò alle sue dimissioni. Trovò insopportabile il fatto che qualcuno potesse “imbucare” i propri amici sotto la macchina, o la formazione di clan. Insomma, con 5 tonnellate sopra le spalle è tassativo andare d’accordo, sarebbe pericoloso il contrario, ma mettere d’accordo 180 anime è stato e rimarrà difficile e l’insofferenza verso il vertice da parte della base è una garanzia. Ma concediamoci un attimo di tregua, la storia della Macchina è centenaria ma il lavoro fatto negli ultimi decenni, e le eventuali polemiche, è servito a rendere il trasporto l’evento collaudato che è oggi.
Tante facce sono passate al suo cospetto, lui non è mai cambiato. Insomma a Viterbo già essere facchino è un vanto, essere presidente vuol dire essere al vertice di un’istituzione che conta. Forse proprio per questo la valigia di Nello Celestini è testimonianza anche di attriti e di polemiche con ben 3 bozze dello
Non viene promosso a sufficienza? Forse. Non potranno mai assistere più persone di quante ne accorrono ogni anno? Sicuramente. Ma indipendentemente da ciò gioiamo del fatto che già adesso sotto le Mini Macchine (pagine 32, 34 e 36) stanno crescendo i facchini del futuro e, polemiche o no, la sera del 3 settembre è nostra. Godiamocela, lasciamoci andare, prima che ce ne potremo accorgere i cavalletti sorreggeranno la Macchina davanti al santuario e potremo ricominciare con la nostra vita… ma solo “dopo Santa Rosa”.
D’Angeli sulla facciata di palazzo Gentili a via Cavour (ne parla Francesco Morelli, insieme a altri aneddoti, a pagina 22 e 23) fino ad arrivare ai primi anni ’90. Tra le pagine dei quotidiani di tutto: la visita di Giovanni Paolo II con il trasporto straordinario nell’84, il traballamento di Armonia Celeste nel 1986, ma soprattutto tante pagine di “colore” viterbese, con i soliti litigi in consiglio comunale. elestini, che iniziò la sua carriera da facchino negli anni ’40, è una figura che ci è sempre stata. Lo vediamo in foto con i politici Domenico Mancinelli, Rosato Rosati, Giuseppe Fioroni, Ugo Sposetti, Marcello Meroi. Ma anche con gli imprenditori Massimo Natili e Socrate Sensi. Con Fiorino Tagliaferri, vescovo di Viterbo.
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santa rosa
il sindaco
arà una grande emozione. Lo so già. Perché la Macchina di Santa Rosa è un’esplosione di emozioni. Un condensato di fede, commozione, euforia, pathos, gioia. Il cuore sembra esplodere da un momento all’altro, il battito inizia ad aumentare già dal primo pomeriggio del 3 settembre. Tutto questo accade ogni anno a tutti i viterbesi. Per un sindaco però è molto di più. È tutto amplificato. Perché sai che stai rappresentando una città meravigliosa, con una tradizione unica al mondo, riconosciuta patrimonio immateriale dell’umanità. Non ho ancora vissuto il mio primo 3 settembre da sindaco. In passato ho avuto modo di viverlo da vicino nel ruolo di assessore, ho vissuto tutti i vari momenti che precedono il Trasporto. Dalle minimacchine alla solenne processione con il cuore di Santa Rosa il 2 settembre. Dal primo appuntamento dei facchini con le autorità per iniziare il giro delle sette chiese, al ritiro dai frati Cappuccini. Dal percorso a ritroso prima di dirigersi a San Sisto per la benedizione in articulo mortis fino al primo “Sollevate e fermi” che dà il via ufficiale al Trasporto. Quest’anno sarà tutto diverso. Nell’intensità di ogni singolo sentimento. Sarà un onore accompagnare la nostra Rosa per le vie della sua città insieme ai suoi facchini. Ogni 3 settembre Viterbo mostra la sua parte migliore, quella più autentica, quella che unisce in un unico sentimento un’intera comunità. Un sentimento che custodiamo gelosamente nel nostro cuore per farlo uscire, libero, nel momento in cui sentiamo quei comandi impartiti dal capofacchino, o quella musica, ormai tanto familiare, che accompagna il viaggio di Rosa in cima alla sua Macchina, mentre sospesa tra cielo e terra, sfiora balconi e palazzi. Quel sentimento che lasciamo esplodere davanti alla basilica, al comando di “Santa Rosa fuori”, quando la Macchina viene posata sui cavalletti e i facchini stanchi, provati dalla fatica, lanciano uno sguardo al cielo, sotto gli occhi di chi li ha protetti per l’intero percorso. Il 3 settembre è tutto questo e molto altro. Bisogna viverlo. La Macchina di Santa Rosa va vissuta. In ogni suo momento. In ogni suo movimento. Nello sguardo dei viterbesi che per ore e ore aspettano di vederla passare anche solo per un attimo. Il Trasporto è emozione, è fede, è un atto d’amore verso la nostra Patrona e la nostra città. Buona Santa Rosa a tutti.
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Giovanni Maria Arena Sindaco di Viterbo
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memoria ERA IL LONTANO 1978 QUANDO L’INTUIZIONE DI NELLO CELESTINI PRENDEVA CORPO
Quaranta anni di Sodalizio, ecco la valigia che custodisce lo spirito di quei giorni I Facchini vogliono festeggiare al meglio l’importante ricorrenza. Roberto Pomi
na valigia! È venuta fuori in questi giorni d’estate, durante la sistemazione delle carte e del materiale di Funamboli. Qualche premio giornalistico, appunti di progetti, trascrizioni di interviste e una valigia. Bella polverosa a dire la verità. L’avevamo dimenticata, travolti dalla quotidianità della vita, in un mobiletto della redazione de La Fune. “È quella di Nello Celestini”.
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Era un tardo pomeriggio di fine inverno del 2014. Pilastro, casa Celestini. Tavolo della sala. Alla nostra sinistra i modelli delle Macchine di Santa Rosa con davanti la miniatura del capofacchino. Un uomo anziano che parla. L’ammirazione nei nostri occhi. Evoca mondi lontani, tra storia e mito. Intesa, rispetto. Quel signore vuole affidarci un compito: scrivere un libro su di lui. Meglio: gli chiediamo noi di raccontarci di lui per scrivere un libro. Sappiamo che ci tiene, che già ci hanno provato altri prima. Nessuno è mai arrivato al risultato. A oggi nemmeno noi ma c’è quella valigia.
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Il Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa Ce l’ha data senza la minima esitazione. Nel febbraio 2015 la sua morte, quell’insieme di tesori rimasto in redazione. In un angolo lontano dagli occhi, chiamati a inseguire ogni giorno altro. A quaranta anni dalla nascita del Sodalizio è tornata a bussare alle nostre vite. Difficile pensare si tratti di un caso. Nello vuole torni al suo posto, pensiamo. La decisione è di restituirla al figlio Lorenzo. Dentro la storia del Sodalizio. Ci riuniamo per tornare ad aprirla. Acquisiamo digitalmente foto e articoli di giornale. Forse riusciremo a scriverlo quel libro, caro Nello. Fioroni sindaco, Sposetti presidente della Provincia. Una Viterbo ancora in bianco e nero. Correva l’anno 1978. Tiriamo fuori una lettera scritta a mano dove Nello Celestini dice: “Vorrei ricordare al signor sindaco e agli assessori che vogliamo al più presto l’approvazione del nostro statuto per regolamentare il nostro Sodalizio. Diciamo pure che per svolgere la nostra attività ci occorre una sede più idonea, considerato che la nostra attuale sede è divisa al 50% con la circoscrizione di porta del Carmine. Non mi stancherò mai di ripetere che sia esaudito un nostro desiderio, cioè di intestare una via o piazza ai Facchini di Santa Rosa”. Chiude con un “Evviva Santa Rosa”. corriamo le foto. Apriamo tanti mondi, tutti legati a una visione: il Sodalizio come casa delle tradizione del Trasporto. Visione di Nello e dei suoi compagni di viaggio. Uomini che hanno difeso centimetro dopo centimetro l’idea di costruirla questa casa comune. Hanno pensato e agito. Così è iniziato un cammino alimentato dalla convinzione dell’importanza di una divisa per i Facchini alla centralità della disciplina, passando sempre per la certezza che dovessero essere i Cavalieri di Rosa ad avere il manico del Trasporto. Una realtà che ha preso forma passando anche attraverso scontri, lettere decise, contrapposizioni e richieste accorate. Così a mano a mano è nato il Sodalizio.
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Dentro la valigia di Celestini c’è tutto: lo scambio di lettere con Socrate Sensi, gli appunti per la stesura del primo Statuto (con Celestini grato a Rosario Scipio dell’apporto dato) fino alle dimissioni da primo presidente del Sodalizio e capofacchino. Per quaranta anni il Sodalizio ha rappresentato il cuore e il custode dei festeggiamenti in onore di Santa Rosa, essendo centrale per il momento più forte e sentito dai viterbesi: il Trasporto della Macchina. Ha ricoperto un ruolo positivo anche con le raccolte fondi con cui ha sostenuto associazioni e realtà importanti per il tessuto sociale della città di Viterbo. Ha rappresentato un punto di riferimento e un punto d’onore per la città. Così come ha giocato un ruolo strategico nel percorso che ha portato la Macchina di Santa Rosa a essere riconosciuta come Patrimonio Immateriale dell’Umanità. Quest’estate i Facchini di Santa Rosa hanno pensato tanto ai quaranta anni dalla nascita del Sodalizio. Hanno lavorato per regalare a tutti qualcosa di speciale e tenuto le bocche cucite. Così il Trasporto 2018 sembra destinato a passare alla storia come segnato dal ricordo e dall’omaggio per quella intuizione importante di Nello Celestini e di chi era al suo fianco e per il tanto impegno e le energie spese da tutti i Facchini, quelli di ieri e quelli di oggi, nella bellezza di quattro decenni. Un Sodalizio che come esempio è anche faro degli importanti vivai nati intorno alle mini macchine: Centro Storico, Pilastro e Santa Barbara. Luoghi dove si costruisce il futuro della più importante festa viterbese.
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a sua nascita ha permesso di migliorare l’organizzazione dei compiti e delle responsabilità relativi al Trasporto e programmare organicamente l’attività annuale, finalizzata alla preparazione delle festività in onore della Santa Patrona e alla cura di tutti gli aspetti tecnici riguardanti il Trasporto vero e proprio, dato che nell’arco di pochi anni, con l’introduzione di moderni sistemi di costruzione, la Macchina ha raddoppiato peso e altezza, e aumentato notevolmente il numero dei Facchini, e soprattutto, dal 1987, il capitolato d’appalto della costruzione della macchine prevede che “il trasporto è affidato al Sodalizio facchini di Santa Rosa”.
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La selezione dei nuovi facchini attraverso la prova di portata è uno tra gli appuntamenti annuali più coinvolgenti per l’intera città. Un’apposita commissione, composta dal Presidente del Sodalizio, dal Capo Facchino e dal resto del Consiglio Direttivo, si riunisce per valutare le prestazioni dei veterani e dei giovani aspiranti e definire la formazione per il trasporto annuale. Il Sodalizio inoltre, nel corso dell’anno dà vita ad attività interne volte a cementare lo spirito di gruppo e si occupa della partecipazione alle manifestazioni pubbliche, promuovendo e collaborando a iniziative sociali e culturali di carattere cittadino. Il riconoscimento formale del Sodalizio come entità collettiva ha permesso di migliorare e regolamentare i rapporti tra Facchini, Comune e costruttore; è infatti divenuta indispensabile l’esigenza di lavorare alla realizzazione dell’evento attraverso principi di collaborazione reciproca e di comune interesse, sin dalla selezione dei bozzetti in concorso per i nuovi modelli di Macchina ed alla decisione circa le eventuali innovazioni e gli adattamenti da applicare. Degne di attenzione sono le attività di gemellaggio con altre città che presentano tradizioni religiose e di folklore di particolare interesse (Gubbio 1982, S. Marino 1987, Assisi 1988, Pisa 1989, Nola 1990) e soprattutto l’iniziativa, attuata dal 1994 in collaborazione con il Comune di Viterbo, di aprire costantemente al pubblico il Museo del Sodalizio Facchini di Santa Rosa presso la stessa sede in via San Pellegrino.
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Tutti d’un sentimento Foto di Bruno Pagnanelli
enza facchini di Santa Rosa non c’è Macchina, non c’è Trasporto, rimane ben poco di una tradizione e di un sentimento capace di attraversare i secoli e farsi nuovo ogni tre settembre. Rimane poca cosa, o forse anche nulla, di questa storia di carne tutta viterbese capace di incantare la gente, i papi e il mondo; portando a casa il 4 dicembre 2013 il titolo di Patrimonio dell’Umanità.
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I facchini sono il motore umano della Macchina. Un patrimonio di diversità capaci di farsi “tutti d’un sentimento”; di accollarsi cinquanta quintali di peso sul “groppone” del gruppo, di spingere verso un unico obiettivo. Il Sodalizio è sotto moltissimi aspetti, forse quelli centrali, il perno della festa e della devozione che si rinnova. Esempio per i viterbesi, stimolo per i giovani e persone rispettate da tutti per lo sforzo, il sacrificio e la devozione che permettono ogni anno il ripetersi del miracolo del Trasporto. Tanto che avere un facchino in casa è una sorta di benedizione, un orgoglio. Così come essere amico di un facchino o più semplicemente anche vicini di appartamento. Nei giorni intorno al tre settembre e soprattutto “quella sera del tre” chi indossa la tradizionale divisa non è più solo sé stesso. È simbolo, è spirito e sentimento di una città tutta. Diventa braccia, gambe, sudore e cuore dei viterbesi. Viterbesi che dalle vie, piazze, finestre hanno nella gola e nell’anima un semplice e totale incitamento: “Dateje”. Per i lettori viterbesi non c’è niente da spiegare, avranno già la pelle d’oca. Per chi non lo fosse questo strano trisillabo può essere dettagliato meglio così: “Mettetecela tutta, siamo una cosa sola con voi. Spingete sulle gambe, portate in alto la Macchina, fateci battere il cuore e bagnare gli occhi. Possiamo vincere questa sfida tra l’uomo e il peso, perché siamo uniti in Rosa e niente possiamo temere”. Non si diventa facchini in un giorno e non lo si è solo per un giorno. Abbiamo cercato di riassumere gli aspetti centrali di questa figura, di questo ruolo, di questi uomini.
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La selezione Si diventa facchino superando quella che viene detta “la prova di portata”. Consiste nel portare sulle spalle una cassetta del peso di 150 chilogrammi, lungo un percorso di 90 metri. Percorso tracciato all'interno della ex chiesa della Pace (vicino porta della Verità) e che segue il perimetro della navata (circa 30 metri), ripetuto per tre volte. Ogni anno, a giugno, la prova deve essere sostenuta sia dai veterani che dai nuovi aspiranti e la valutazione dell’idoneità è di esclusiva responsabilità del capofacchino. Sempre all’interno della ex chiesa della Pace si tiene, a poche settimane dal Trasporto, una riunione per definire la formazione e assegnare i compiti con la consegna delle tradizionali protezioni. La divisa Tutti i facchini indossano una precisa divisa. Si compone di una camicia bianca a maniche lunghe arrotolate sopra i gomiti, pantaloni bianchi fermati sotto le ginocchia (alla “zuava”), fascia rossa in vita, fazzoletto bianco annodato alla corsara, scarponcini neri alti e calze bianche lunghe fin sopra il ginocchio. Prima della seconda guerra mondiale l’attuale fascia rossa della divisa dei facchini era sempre rossa, ma arricchita con delle bande colorate. Alle estremità inoltre erano poste delle frange di fili rossi, rosa e blu, annodati a mano. DECARTA SETTEMBRE 2018
Il capofacchino e le guide si distinguono perché indossano pantaloni neri e la fascia trasversale con i colori di Viterbo: giallo e blu. Diversi sono i ruoli previsti all’interno della formazione ma tutti rivestono uguale importanza e responsabilità per la sicurezza e la buona riuscita del Trasporto: guide, ciuffi, spallette, stanghette, leve, cavalletti. LA GIORNATA DEL FACCHINO La “vestizione”, il raduno e il “giro delle sette chiese” In principio è il raduno. È la “porta d’ingresso” mentale al Trasporto. I facchini arrivano, nel primissimo pomeriggio, tutti con la divisa in perfetto ordine, i più tradizionalisti e residenti nel centro o nelle vicinanze uscendo di casa a piedi. Prima di questo momento d'incontro, nel privato delle case, si è consumato un altro importante rito: “la vestizione”. In genere è la madre a vestire il facchino-figlio o se sposato la moglie. Si tratta di un momento intimo, di grande raccoglimento e festa. Una commozione che nelle case dei cavalieri di Rosa si ripete ogni anno, dando il via al giorno più importante. Al raduno i facchini ricevono il saluto delle autorità civili e religiose. È il momento delle parole, dei discorsi, della prima carica. Poi la formazione si schiera e si avvia per le vie della città dove si svolge il “giro delle sette
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chiese”. Il giro si conclude al santuario di Santa Rosa dove i facchini sfilano lentamente davanti alla grata che protegge l’urna con il corpo della santa, soffermandosi in preghiera. Il ritiro Altro momento forte e centrale nella preparazione è il ritiro. Terminato il giro delle sette chiese i facchini si spostano nel boschetto del convento dei Cappuccini a San Crispino per riposare e intrattenersi con le proprie famiglie. Quando si avvicina l’ora del Trasporto i facchini si raccolgono in silenzio attorno al capofacchino, che li saluta e li incita a dare il meglio di sé con entusiasmo, per la santa e per la città. Concluso questo momento importante di raccoglimento la formazione si avvia verso la chiesa di Santa Rosa. Quando i facchini passano davanti al sagrato ripetono la bella tradizione del saluto ai propri familiari, lì raccolti, alzando ciuffi e spallette. Quindi, percorrendo il percorso al contrario, sfilano abbracciati verso la Macchina. Lungo il percorso ricevono gli applausi e l’incoraggiamento della folla presente in attesa del passaggio della Macchina. Verso la “mossa” Arrivati a piazza del Comune c’è l’incontro con il sindaco e le autorità presenti, che entrano nel corteo precedendoli nell’arrivo a San Sisto. Appena le prime file dei facchini arrivano a piazza Fontana Grande la Macchina, fino a quel momento oscurata dal buio, viene improvvisamente illuminata, come ad accoglierli. Giunta a San Sisto la formazione entra nella chiesa dove i facchini si raccolgono in preghiera. Un fiume di fazzoletti bianchi che riempie le navate, forse una delle immagini più dense e suggestive dell'intera festa. Il vescovo impartisce la benedizione “in articulo mortis”. La benedizione viene quindi ripetuta anche all’esterno, con tutti gli uomini in ginocchio ai piedi della Macchina. Quindi il costruttore consegna ufficialmente la Macchina nelle mani del primo cittadino, che affida il Trasporto al capofacchino. Il “sollevate e fermi” Ora è tutto pronto. Al centro è il capofacchino con la sua voce. È tutto un incontrarsi di occhi, un attivarsi di movimenti precisi. Il capofacchino compone la formazione sotto la Macchina. Parte dalle stanghette posteriori e va avanti. Tutte le luci vengono spente, silenzio. Poi una voce squarcia il buio, squarcia il silenzio: “Siamo tutti d’un sentimento?”. Il “sì” esplode da sotto la base della Macchina. Arriva una sequenza di comandi; “Sotto col ciuffo e fermi!”. “Fermi!”. “Facchini di Santa Rosa, sollevate e fermi!”. Questa è la “mossa”. L’impeto dei facchini è tale che la Macchina balza verso l’alto di colpo, come a prendere vita. Sembra ricadere verso il basso, assestarsi sulle schiene e le spalle. Tutto è pronto: “Per Santa Rosa, avanti!”. Quindi tutte le tappe fino alla salita del Santuario, la posa della Macchina e gli abbracci.
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INTERVISTA AL COSTRUTTORE SERGIO SAGGINI, CHE HA RIVOLUZIONATO L'EDILIZIA VITERBESE
“Costruiamo case pensate per la salute e il comfort di chi ci abita” Viaggio tra CasaClima e protocollo Itaca, con risparmi in bolletta incredibili.
l successo di un’azienda è nella sua mentalità. Conferma la regola la Saggini Costruzioni. “La casa è un investimento per la vita”, da questo punto fermo sono nate abitazioni che rappresentano un vero e proprio status symbol nel capoluogo della Tuscia. Realtà solida che è riuscita a triplicare la propria crescita in tempi di crisi, con numeri importanti anche in termini di posti di lavoro. Appartamenti di design dove i dati statistici raccolti su quelli già venduti e abitati da almeno un anno dicono che il costo medio annuale del riscaldamento è intorno ai 120 euro e quello per il raffrescamento si aggira sui 30. Parliamo di case realizzate utilizzando soltanto materiali innovativi e non nocivi per la salute, progettate al fine di garantire il risparmio energetico, l’isolamento acustico e con sistemi di gestione aria e acqua che garantiscono il massimo comfort. Tutto con certificazione CasaClima e costruito nel rispetto del nuovo protocollo regionale Itaca. Abbiamo incontrato Sergio Saggini.
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In cosa si distingue la Saggini Costruzione, perché le vostre case sono diverse da quello che c’è sul mercato del nuovo? “Le nostre sono le uniche certificate dall’agenzia CasaClima. Questo non significa naturalmente che siamo gli unici a mettere sul mercato appartamenti di classe energetica alta. Però una differenza importante rimane. Sta nel fatto che secondo la clas-
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sificazione nazionale è possibile raggiungere una classe energetica alta anche solo grazie all’inserimento di fonti energetiche rinnovabili. In pratica basta fare una casa con un isolamento medio e mettere fotovoltaico, pompa di calore e strumenti premianti dal punto di vista energetico come bilancio e arrivo ad avere una casa in classe A4. Nelle nostre invece il risultato si basa sull’isolamento, su come è costruita. Non consuma poco perché c’è il fotovoltaico, perché c’è la pompa di calore o altro. Consuma poco perché non disperde. Questa è un’evoluzione non da poco e un fattore competitivo forte. Una casa di Saggini Costruzioni consuma poco con qualsiasi tipo di riscaldamento o raffrescamento utilizzato. È diverso dal consumare un valore medio alto di una cosa che costa poco o è rinnovabile. La norma misura il bilancio, quindi l’impatto sull’ambiente. Non il consumo. Un’abitazione in classe energetica alta ma non ben isolata d’inverno spende per il riscaldamento, poi magari recupera in estate. In realtà non sono case che consumano poco ma la cui orma sull’ambiente è minore rispetto a quelle di prima. La nostra è invece proprio una casa a basso consumo. Se il fotovoltaico si rompe, non c’è problema, se aumenta il costo dell’energia impiegata il consumo è sempre basso. Il nostro è un cappotto pesante che ti sei messo, quindi non disperdi”.
Avete altri caratteri competitivi? “Sicuramente anche la questione acustica è un nostro tratto distintivo. Quando abbiamo realizzato gli appartamenti di via Polidori abbiamo introdotto novità importanti. Quelle case hanno un isolamento acustico venti volte sopra al minimo di legge. A Santa Barbara siamo andati anche oltre. Ed è un qualcosa di molto importante dal punto di vista del comfort. Nelle case comuni, che rispettano naturalmente il limite minimo di isolamento, se la vicina sente molto forte la televisione il suono ti arriva. Da noi non si sente nemmeno se uno sta suonando il pianoforte. È un discorso di qualità della vita”. Quanto costruite pensando anche alla salute di chi andrà ad abitare nelle vostre case? “Uno dei nostri obiettivi è tutelare al massimo la salute, utilizzando materiali all’avanguardia. La nostra casa, a differenza delle altre, è certifica dal protocollo Itaca regionale di sostenibilità. Garantiamo al cliente l’assenza di materiali nocivi, di formaldeide, di tutte quelle sostanze che siamo abituati a respirare perché prodotti da vernice, colle e da mobili e riconosciute come cancerogene con esposizione a grande quantità e per lungo tempo. Utilizziamo pannelli con tecnologia active air, che assorbono e neutralizzano fino all’80% della formaldeide. È prezioso perché anche se faccio una casa senza formaldeide questa è contenuta in tanti mobili”.
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intervista
TAPPA DOPO TAPPA TUTTE LE EMOZIONI CHE IL TRASPORTO È IN GRADO DI REGALARE
Sul percorso della Macchina con Massimo Mecarini Il tragitto da San Sisto alla basilica della patrona raccontato dal presidente del Sodalizio. Roberto Pomi
Piazza San Sisto / Porta Romana – La partenza “Qui è possibile assistere alla trasformazione dei volti. Prima sorridenti e gioiosi poi, quando si entra nella chiesa di San Sisto, c’è il cambio totale. Tutti i Facchini sanno quello che vanno ad affrontare da questo momento. Sono minuti pieni di pathos, si taglia l’emozione con il coltello in questo luogo. C’è una prima benedizione in articulo mortis tra le mura in peperino della chiesa. Viene ripetuta all’uscita, con i cavalieri di Rosa in ginocchio davanti alla Macchina. Quindi si rispetta un preciso protocollo. Il costruttore affida la Macchina al sindaco, che a sua volta la consegna al Sodalizio. Ora il Trasporto è nelle mani del capofacchino, non si gioca più. Il capofacchino chiama in base all’ordine di posizionamento sotto la Macchina. Quindi esorta all’unità con la domanda: “Siamo tutti d’un sentimento?”. La risposta è un boato di sì. “Sotto col ciuffo e fermi”, “Sollevate e fermi”, “Santa Rosa avanti”. Questi i comandi. Quando sono qui mi vengono alla mente 32 anni passati sotto come Facchino. Come presidente del Sodalizio sono tante le cose a cui pensare: quello che è stato fatto e quello che c’è da fare. Alla “mossa” però ci si concentra solo sul Trasporto e ogni volta l’emozione è fortissima. Ci si affida a Santa Rosa e ai Facchini affinché tutto vada bene”.
Piazza Fontana Grande – Prima fermata “Ci troviamo a una sosta importantissima, la prima. Qui è importante raccogliere i primi riscontri di come risponde la Macchina. Il capofacchino chiama
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a sé i capitesta e lo spaccallarme, l’uomo al centro della base, e vuole avere informazioni su come procede sotto. In sostanza chiama gli uomini più esperti del Trasporto e ne raccoglie gli umori e informazioni. Si verifica anche se tutte le stanghette sono messe bene. Se qualcuna è bassa si procede ad alzarla di qualche centimetro. In questo punto c’è un pezzo complicato, con la curva e il passaggio radente ai barbacane della fontana. È importantissima questa manovra, che è necessario eseguire al millimetro. Quando arrivo qui provo quello che prova il capofacchino. Se lo vedo tranquillo, se i facchini sono tranquilli anche io lo sono. In questa piazza l’impatto con la gente è forte. Veniamo dal bagno di folla ricevuto durante il percorso a ritroso da Santa Rosa a San Sisto ma gli arrivi con la Macchina vengono accolti tradizionalmente con grande entusiasmo. Quel giorno siamo tutti Facchini ed è vero. Noi sentiamo molto la partecipazione della gente, come se ci fosse un uomo in più. L’aiuto della gente, la partecipazione di gioia ed entusiasmo è importantissima per la buona riuscita del tutto”.
Piazza del Comune – Seconda fermata “Qui succede una cosa molto bella: la girata. Si tratta di una manovra importante e faticosa per i Facchini, che si vedono spostare il peso da una parte all’altra. Una volta posata la Macchina si sale in Prefettura per l’incontro con le autorità. Quella di piazza del Comune è una sosta lunga, qualcuno dice anche troppo. Abbiamo il brindisi con il prefetto e le personalità presenti e la consegna
dei confetti. Molte autorità visitano la Macchina da vicino, poi si parte. Quando arrivo qui mi capita spesso che la mente torni al 27 maggio del 1984. Affacciato da palazzo dei Priori un ospite davvero speciale: Giovanni Paolo II. Era l’anno della visita pastorale e del Trasporto speciale in onore del papa. Fece uno strappo al protocollo e scese per salutarci tutti, uno per uno. Bellissimo trovarsi il pontefice davanti e ognuno di noi conserva gelosamente la foto mentre stringe la mano al papa, oggi santo. Siamo quasi a metà percorso. C’è davanti un tratto impegnativo, con strade strette: il Corso. Lì la formazione passa da 113 a 91 elementi, poi il “dentro le teste” delle spallette e ancora più peso che cade su ciuffi e stanghette. L’imperativo è non mollare ed essere sempre attenti”.
Piazza delle Erbe – Terza fermata “Ricordo quando si andava dritti fino al Suffragio, senza questa tappa. La fermata di piazza delle Erbe, forse in molti non lo sanno, è stata istituita nella seconda metà degli anni Ottanta. Prima non c’era. Ed era una bella fatica attraversare praticamente tutta via Roma e metà corso Italia senza prendere fiato. Non finiva mai. Siamo in una piazza calda, tanti vengono dal pomeriggio o addirittura dalla mattina per prendere posto e si respira davvero un bel clima di festa. Quando arriviamo a superare via Roma la gente si fa sentire, ci regalano forti emozioni. Da questo momento in poi entriamo in una fase
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delicata del percorso. Ci affidiamo tutti al capofacchino e all'esperienza delle guide. Solo la fiducia in loro dà a tutti il coraggio”.
Suffragio – Quarta fermata “È successo diverse volte di strusciare nel passaggio stretto del Corso ma non si verifica più da diversi anni. Il Suffragio, dal nome della chiesa, è un bel punto. C’è una tradizione importante: acqua e vermut offerta dal negozio Bizzarri. Un appuntamento importante della tradizione e un bel corroborante. Anche qui, sempre lo storico negozio, ci offre i confetti. A questo punto i Facchini sono consapevoli di quanto è stato fatto e di cosa c’è da fare ancora. Sul Corso la voce del capofacchino è la guida. Da ciuffo vedi solo la schiena davanti a te. Dopo qualche anno inizi ad avere qualche punto di riferimento. La voce del capofacchino sono i tuoi occhi. Sentirsi comandati da voce ferma e sicura è fondamentale”.
Piazza del Teatro – Quinta fermata “Siamo in un punto dove succedono tante cose. Si tratta dell’ultima fermata prima dell’arrivo oppure se si va in via Marconi abbiamo una doppia fermata. Qui la Macchina arriva, fa un quarto di giro e si posiziona per essere portata alla basilica. Vengono predisposte le corde, con i loro Facchini. Ragazzi fino a quel momento impegnati nel prezioso cordone ma ora è il loro turno. La Macchina sulla salita la portano corde e leve e i ciuffi sotto fanno le ruote. Il capofacchino chiama a raccolta le leve e le corde, chiede il massimo e potete scommetere che tutti daranno il meglio. La sosta del Teatro è lunga. Una volta che tutto è pronto i Facchini alle corde vanno al loro posto, le leve sono dietro pronte. Viene invertita la formazione. I più bassi vanno per primi e i ciuffi di prima fila per ultimi. Chi parte per primo arriva per ultimo. Il capofacchino ripete l’incoraggiamento: “Siete tutti d’un sentimento?”. Incassa il sì deciso e dà i comandi. Le corde non tirano da subito, lo stesso le leve. A un quarto della salita, 11% di pendenza, si attivano. Quando vanno la Macchina sale velocissima, fino a quando corde non mollano e allora si inchioda. Pronta per la girata. Quaranta ragazzi sono alle corde, venti spingono con le leve. Il passo è veloce e ci consente di prendere la salita senza incertezze e nella maniera giusta”.
Sagrato di Santa Rosa - Arrivo “Gioia, tripudio, incontro con i familiari, malinconia per la fine della festa. Dovrai aspettare un anno per avere le stesse emozioni. Quando le corde mollano la Macchina quasi si ferma. E si predispone con Santa Rosa che guarda la sua casa. Il capofacchino fatte le necessarie verifiche dà il comando: “Lasciate adagio”. Dice ai facchini di respirare e godersi quel momento poi “Santa rosa fuori!” ed è festa. Una grande gioia. Trascorsi quei dieci minuti di saluti e abbracci che seguono piano piano ci si avvia verso la chiesa della Pace per il tradizionale rinfresco. Come diceva il grande Nello “La Macchina non è un giocarello”. Alta trenta metri, sei tonnellate di peso, va maneggiata con molta attenzione e cautela e sempre le sorprese possono essere dietro l’angolo. Arrivati al sagrato abbiamo il sollievo del capofacchino, del presidente, del consiglio del Sodalizio e naturalmente dell’amministrazione comunale. La Macchina è arrivata a casa, Santa Rosa è a casa e siamo contenti di aver realizzato, ancora una volta, un’impresa inverosimile. Una volta che la Macchina è stata posata cerco gli occhi dei miei compagni: prima il capofacchino e poi gli altri. Quindi i miei familiari e andiamo a piazza del Teatro dove attende il resto della parentela per andare insieme verso la chiesa della Pace”.
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il 3 settembre
Sale l’emozione, a voi il “Giro delle sette chiese” Così i Facchini prendono la carica per affrontare al meglio la sera.
LEGENDA
raccoglimento, scandito dalle note del Silenzio, suonato dal solista della Banda di Vejano.
IL GIRO DEI FACCHINI
7) Piazza Maria SS. Liberatrice (o della Trinità) Dopo aver ascoltato le preghiere del Priore agostiniano, tutti gli uomini del Sodalizio intonano “mira il tuo popolo…”, in onore della Madonna Liberatrice, che ha assunto a Viterbo, fin dal Medioevo, una funzione di protettrice civica della comunità.
Le tappe 1) Piazza S. Lorenzo e Palazzo Papale La giornata “inizia” per i Facchini di Santa Rosa alle ore 14. Dopo la rituale foto di gruppo e una breve visita al Duomo, al ritmo delle note della banda musicale di Vejano inizia, per i protagonisti del 3 settembre, il tradizionale “Giro delle sette chiese”. 2) Piazza della Morte Percorrendo via S. Lorenzo i Facchini giungono in questa piazza, dove rendono omaggio a Santa Giacinta Marescotti, il cui corpo mummificato è custodito dalle monache di clausura presso il monastero di S. Bernardino. Dalle suore, ogni Facchino riceve una foglia, a ricordo di quelle di pungitopo, pianta con la quale la Santa terziaria si flagellava. 3) Piazza S. Maria Nuova Visita alla chiesa omonima, tra le più antiche di Viterbo, eretta intorno al 1100 in un sobrio stile romanico. 4) Piazza del Plebiscito Visita alla chiesa di S. Angelo in Spatha. La chiesa chiude uno dei lati di piazza del Plebiscito su cui, dal XIII secolo si affacciano le principali sedi amministrative: i rintocchi della campana della chiesa richiamavano al raduno i membri del Consiglio comunale. 5) Piazza della Repubblica Breve sosta al monumento al Facchino, opera scultorea del maestro Alessio Paternesi. 6) Piazza del Sacrario Omaggio al sacello dei Caduti delle guerre mondiali. Deposizione di una corona d’alloro e momento di
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8) Piazza S. Francesco All’interno della chiesa dedicata al poverello d’Assisi, i Facchini rinnovano il patto d’amore verso Santa Rosa, che proprio da San Francesco trasse l’ispirazione cristiana e la propria regola di vita. 9) Largo Facchini di S. Rosa Nel Santuario dedicato a Rosa, tutto il Sodalizio rende omaggio al corpo incorrotto della Santa ricevendo, ciascun Facchino, dalle suore Alcantarine, una piccola immagine benedetta, poi ascolta le esortazioni religiose del Vescovo. 10) Convento dei Padri Cappuccini Dalle 17,30 e fino alle 19 i Facchini, insieme ai familiari si recano presso il giardino del convento, per un breve periodo di relax. In un clima di serena amicizia viene poi consumata una piccola merendacena. Intorno alle 19, salutati i parenti, i Facchini ascoltano le ultime raccomandazioni tecniche e gli incoraggiamenti del Presidente del Sodalizio e del Capo Facchino e le sue ultime indicazioni per il trasporto. Poi i Facchini si inquadrano in formazione, per raggiungere la vicina porta della Verità. 11) Via Mazzini Entrando da porta della Verità, intorno alle 20, tutti gli uomini del Sodalizio rendono un doveroso e sentito omaggio alla chiesa di S. Maria in Poggio, luogo della prima sepoltura, nella nuda terra, di Santa Rosa.
mazione “svolta” su via S. Rosa dove si vive un momento di grande emozione, quando i Facchini salutano parenti ed amici, seduti sugli scalini del Santuario, sollevando in alto i “ciuffi” e le “spallette”. Dalle ore 20,15 viene percorso a ritroso tutto l’itinerario dell’imminente Trasporto, tra gli applausi di una folla commossa ed ammirata. 13) Piazza S. Sisto (ore 20,30) All’interno dell’omonima chiesa, il Vescovo di Viterbo impartisce la benedizione “in articulo mortis” ai Facchini. La medesima cerimonia sarà ripetuta poco dopo all’aperto e ai piedi della Macchina di Santa Rosa, con tutti gli uomini del Sodalizio in ginocchio e la folla stipata nella piazza in religioso silenzio. (ore 21,00) Indirizzo di saluto della autorità. Il costruttore “consegna” ufficialmente la Macchina di Santa Rosa nelle mani del Sindaco, il quale affida il trasporto al Sodalizio, tramite il Capofacchino.
IL TRASPORTO
Percorso della Macchina Le soste P) Piazza S. Sisto 1) Piazza Fontana Grande 2) Piazza del Plebiscito 3) Piazza delle Erbe 4) Chiesa del Suffragio 5) Piazza Verdi A) Largo Facchini di S. Rosa
12) Largo Facchini di S. Rosa Sempre al ritmo di “Quella sera del 3” tutta la for-
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I numeri di Gloria
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metri d’altezza dalle spalle dei facchini e 50 quintali di peso, queste le dimensioni di Gloria. Il progetto è dell’architetto Raffaele Ascenzi, mentre la Edilnolo ne ha curato la costruzione e ora l’assemblaggio.
La base A sorreggere il fusto della Macchina delle grandi statue molto particolari. Raffigurano un facchino ancestrale, mitico e senza tempo. Questo l’omaggio di Raffaele Ascenzi ai portatori del “campanile che cammina”. Una figura suggestiva e un simbolo denso di significati. L’omaggio del disegnatore, che già ha regalato alla città di Viterbo una Macchina importante come Ali di luce, a chi ha segnato sulle proprie spalle la storia di Viterbo. Il fusto Le linee sono ispirate al reliquario che contiene il cuore di Santa Rosa. Ne riprende la pianta triangolare e le forme. Lo donò papa Pio XI alle suore clarisse ed è un pezzo importante della tradizione, che i facchini portano per le vie della città durante la processione del 2 settembre La statua della Santa In cima alla mole è posta la statua della patrona. Da sottolineare i tratti del viso da bambina.
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Macchine nella storia recente Le preghiere dei viterbesi dentro le vasche Le vasche di fontana sotto alle guglie gotiche sono state pensate come a dei contenitori. All’interno le lettere e i bigliettini che i viterbesi scrivono durante l’anno alle suore di Santa Rosa. Si tratta di richieste, di preghiere, di voti. Sono i pensieri d’amore e d’aiuto che i viterbesi rivolgono alla patrona. Un elemento pensato dall’ideatore Raffaele Ascenzi per rendere il trasporto più vivo e avvicinare sempre più la Macchina alle persone, che è la cosa più importante. Pesante all’occhio Ascenzi, oltre a essere l’ideatore di una precedente Macchina, è stato anche facchino di Santa Rosa. Conosce dunque bene che tipo di Macchina vuole portare un facchino. Una struttura imponente, che deve sembrare importabile. Deve apparire di un peso incalcolabile. Il perché del nome Gloria come “Gloria in Excelsis Deo”, una musica bellissima scritta da Vivaldi e che ha ispirato il lavoro di progettazione dell’architetto e del suo team di lavoro. Lo stesso Ascenzi nel giorno della vittoria del suo bozzetto ha dichiarato: “L’abbiamo chiamata Gloria perché celebra i tanti trasporti gloriosi che si sono succeduti nei secoli. Tutti per portare in trionfo la patrona tra le vie della città”. DECARTA SETTEMBRE 2018
VOLO D’ANGELI (1967-1978) di Giuseppe Zucchi Trenta metri di altezza e capace di unire in una mirabile sintesi costruttiva tutte le caratteristiche architettoniche della città. È una delle Macchine più care ai viterbesi.
SPIRALE DI FEDE (1979-1985) di Maria Antonietta Palazzetti Valeri Prima Macchina di Santa Rosa progettata da una donna: Maria Antonietta Palazzetti Valeri. Ebbe l’onore di due trasporti eccezionali: nel 1983 per i 750 anni dalla nascita di Rosa e nel 1984 per la visita di Giovanni Paolo II.
ARMONIA CELESTE (1986-1990) di Roberto Joppolo Una summa dei principali monumenti viterbesi, sormontati da una allegoria di angeli ascendenti al cielo. Durante il suo primo trasporto rischiò di cadere sulla folla a Santa Rosa, i pericoli vennero scongiurati grazie allo sforzo dei facchini.
SINFONIA D’ARCHI (1991-1997) di Angelo Russo Il suo modello sarà ricordato come uno dei più originali, avendo avuto il merito di distaccarsi dai consueti canoni di costruzione e coniugando in una mirabile sintesi artistica archi, scale e profferli viterbesi.
UNA ROSA PER IL DUEMILA Tertio Millennio Adveniente (1998-2002) di Marco Andreoli, Giovanni Cesarini, Lucio Cappabianca Una slanciata ed elegante struttura che ripercorre architettonicamente la storia del territorio, oltre i trenta metri di altezza.
ALI DI LUCE (2003-2008) di Raffaele Ascenzi Introduce, con grande originalità, un movimento meccanico di alcune parti della struttura che – durante le soste – si aprono a guisa di luminosi petali di fiori.
FIORE DEL CIELO (2009 – 2014) di Arturo Vittori È la Macchina con cui si arriva al riconoscimento del titolo dell’Unesco nel 2014 e che ha avuto in sorte la trasferta milanese a Expo 2015. Introduce ulteriori elementi tecnologici.
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curiosità
Piccola storia della pesata della Macchina Cesare Rutili
li anni dal 1986 al 1990 sono gli anni della macchina denominata Armonia Celeste, progettata dall’artista Roberto Joppolo e appaltata dall’imprenditore viterbese Socrate Sensi. Il primo trasporto di questa macchina fu un disastro e si rischiò addirittura la tragedia. Fino ad allora si utilizzava una struttura portante in acciaio molto pesante e la parte esterna della macchina, comprese le figure, veniva realizzata in cartapesta. Di conseguenza il peso totale della macchina era molto elevato (successivamente, pesando le varie parti, risultò addirittura di oltre 70 quintali). Inoltre la macchina era molto più alta del solito (34 metri) e, quel che era più grave, risultò molto sbilanciata sul piano orizzontale, dove veniva sollevata dai facchini. A tutto questo va aggiunto che l’appaltatore, Socrate Sensi, volle personalmente condurre il trasporto dando lui stesso i comandi. L’inesperienza e l’incompetenza contribuirono non poco a peggiorare la già drammatica situazione. Infatti la macchina raggiunse a fatica piazza Verdi e molti facchini non volevano percorrere l’ultimo tratto, quello che porta al Santuario di S. Rosa, che, come noto, è in salita e si fa di corsa. Il cuore e la passione dei più ebbero la meglio e si affrontò l’ultimo tratto come una sfida. Nei racconti di chi c’era, si narra che la macchina durante la salita era pericolosamente inclinata all’indietro e, all’arrivo, ondeggiò più volte scatenando il panico tra le autorità e i parenti dei facchini, tradizionalmente in attesa sul sagrato della basilica, che si rifugiarono terrorizzati dentro la chiesa. Solo il coraggio dei facchini e l’iniziativa del capofacchino, Nello Celestini, che assunse il comando delle operazioni strappandolo di mano ad un Sensi rimasto atterrito ed ammutolito, riuscì abilmente a stabilizzare la macchina ed a farla posare sui cavalletti senza provocare una tragedia.
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Molti dei “ciuffi” (i facchini che si trovano proprio sotto la macchina) furono portati immediatamente al pronto soccorso dell’Ospedale di Viterbo con ecchimosi sulle spalle ed alcuni addirittura con qualche osso rotto. Ovviamente, trattandosi dell’evento più importante della città, si scatenarono polemiche velenosissime sul reale peso della macchina e della relativa distribuzione. Polemiche che si protrassero per l’intero anno successivo. Nel 1987, non volendo ripetere la stessa bruttissima esperienza, qualcuno fece presente agli organi responsabili che a Viterbo esisteva un’attrezzatura elettronica per la pesatura degli elicotteri CH47C “Chinook”, che si sarebbe potuta adattare alla pesatura della macchina. Durante il periodo estivo il Comune di Viterbo inviò una richiesta al Centro Aviazione dell’Esercito che immediatamente la girò al Comando del 4° RRALE, detentore ed utilizzatore dell’attrezzatura. Il capitano Rodolfo Mazzolini fu designato per lo studio di fattibilità. L’ufficiale disegnò e fece allestire presso le officine dei Fratelli Rocchetti di Viterbo le piastre ed i supporti necessari per posizionare i martinetti idraulici sotto la macchina ed effettuarne la pesata. a prima pesata della Macchina di Santa Rosa fu effettuata il 2 settembre 1987 da una squadra di sottufficiali specialisti del 4° RRALE agli ordini del capitano Mazzolini. La macchina risultò decisamente più leggera dell’anno prima per alcune modifiche apportate dal costruttore, anche se restava ancora molto sbilanciata sul piano di sollevamento. Nel 1988 il capitano Mazzolini fu trasferito a Rabat, in Marocco, con la delegazione addestrativa dell’Aviazione dell’Esercito e quindi subentrai al suo posto, con grado di Maggiore, nel compito della pe-
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satura. Nel 1990 assunsi l’incarico di Comandante del Reparto Servizi Generali e, non facendo più parte dello staff tecnico del reparto, fui sostituito dal tenente colonnello Ugo Pizzotti, allora comandante del 1° Gruppo Squadroni Riparazioni. el 1991 fu la volta di una nuova macchina: Sinfonia d’Archi. Questa fu una macchina totalmente diversa ed innovativa rispetto a tutte le precedenti, non solo sotto il profilo estetico, ma soprattutto sotto quello tecnologico. Infatti si abbandonò la vecchia e pesante struttura portante in acciaio, sostituendola con una struttura realizzata in lega leggera. Anche per la parte estetica, per la prima volta, si utilizzò la fibra di vetro al posto della cartapesta. Poiché la macchina era nuova e molto particolare nei materiali utilizzati, il costruttore, Battaglioni, chiese di effettuare una pesata preventiva per verificarne le condizioni. Organizzai e coordinai la pesata, insieme ad esperti sottufficiali del 4° RRALE, presso l’Officina Battaglioni, al Poggino, nella mattina del 29 giugno 1991 con esiti molto incoraggianti. Il successivo 2 settembre, come ormai era diventata tradizione, fu effettuata la pesata ufficiale, sempre sotto il mio comando e responsabilità. Da sottolineare che in quel giorno tirava un forte vento (raffiche fino a 27 nodi sul campo di volo) che faceva ballare la macchina ed anche i display della bilancia elettronica. Fu quindi effettuata una foto con una Polaroid in una momento di calma di vento e vennero assunti per ufficiali i dati rilevati dalla foto. Alla fine del 1991 fui trasferito in Libano presso Unifil e il capitano Mazzolini, ritornato dal Marocco, riprese ad effettuare, dall’anno successivo, la pesata della macchina di Santa Rosa, ormai diventata una tradizione nella tradizione del trasporto stesso.
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tradizione
Santa Rosa, aneddoti e personaggi che hanno segnato una tradizione Con Francesco Morelli alla scoperta di alcune curiosità sulla storia dei trasporti. Enrico Lentini
bbiamo voluto farci raccontare alcuni episodi curiosi riguardanti il trasporto della macchina di Santa Rosa, abbracciando un periodo che va dalla fine del XVII secolo a pochi decenni fa, come sempre ci siamo affidati alla memoria, agli studi e all’archivio di Francesco Morelli.
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«Si hanno notizie certe del trasporto di un baldacchino, con sopra l’immagine di S. Rosa, nel 1690. Per alcuni storici, però, il primo trasporto sarebbe da far risalire intorno alla fine del 1200, quando ci fu la traslazione del corpo della santa, effettuata a spalla da quattro cardinali, dalla chiesa di Santa Maria in Poggio, detta della Crocetta, al monastero delle clarisse, dove ancora oggi si trova.» Da allora la macchina si è innalzata sempre di più, fino ai 29 metri attuali. Tra i molti progettisti e costruttori che nel corso del tempo si sono misurati con la difficile impresa, Francesco ci sottolinea come meriti una menzione particolare la “dinastia dei Papini.” Infatti «a partire dal 1820 con Angelo, fino al 1951 con Virgilio, per un totale di 45 progetti consecutivi, tutte le macchine furono disegnate da membri della famiglia Papini.» Virgilio viene ricordato per la grande autorità con cui dirigeva il trasporto, in periodi in cui non esistevano microfoni. Iniziando al momento della partenza a Porta Romana, nonostante la piccola statura, con voce ferma e possente richiedeva al pubblico il massimo silenzio, che puntualmente si verificava, poi richiamava i facchini alle posizioni. Infine il suo solenne “sollevate e fermi” dava il via al percorso, che già all’epoca contava le soste di: piazza Fontana Grande, piazza del Plebiscito, piazza delle Erbe, chiesa del Suffragio e piazza Verdi. Sempre dell’ultimo dei Papini è la macchina più duratura, trasportata dal 1924 al 1939. «Purtroppo anche episodi tristi hanno segnato la storia dei trasporti, come nel 1926 quando la macchina si fermò in piazza Fontana Grande, un facchino di nome Nazareno Bentivoglio accusò un malore e, nonostante fosse stato prontamente trasferito all’ospedale, non si poté fare nulla per il malcapitato. Nel 1938, dal Caffè Schenardi era stato teso un robusto filo elettrico fino alle costruzioni di fronte e contro di esso urtò il cupolino, posto sulla cima della
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Nella pagina accanto, Volo d’Angeli bloccata a via Cavour; qui sopra, un’immagine storica dei facchini sul sagrato di Santa Rosa; di lato, il calendario realizzato per il Sodalizio da Massimo Giacci e Tiziana Pagnanelli con le immagini del trasporto del 1992; Nello Celestini e Maria Antonietta Palazzetti presentano i bozzetti di Spirale di Fede; il 45 giri del brano “Quella sera del tre”; papa Giovanni Paolo II saluta i facchini durante la sosta in piazza del Comune.
macchina. Fortunatamente Fabio Purchiaroni, che si trovava all’interno della macchina stessa, essendo addetto all’accensione dei lumini, riuscì a contenere l’oscillazione del cupolino, evitando che questo cadesse sulle molte persone presenti.» a ricordare che dal 1940 al 1945 il trasporto non ha avuto luogo a causa del secondo conflitto mondiale. Nel 1946, anno del primo trasporto post bellico, la machina viene montata a piazza Fontana Grande (adiacente al muro dell’ex tribunale), in quanto porta Romana e la zona di San Sisto erano state duramente bombardate, nel 1944, e non ancora ricostruite.
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«Nel 1967 la macchina progettata da Giuseppe Zucchi, nota come Volo d’Angeli, per cause ancora sconosciute (per alcuni il peso eccessivo, per altri l’altezza di 30 metri considerata troppo elevata o la sostituzione di alcuni facchini con molti giovani, ancora inesperti) si addossò sulla facciata del palazzo della Provincia in via Cavour.» Dall’anno successivo e fino al 1978 il trasporto di Volo d’Angeli riprese senza problemi, anche grazie al peso e all’altezza leggermente diminuiti, nonché al reinserimento delle “spallette”. «Degno di nota il trasporto straordinario del 27 maggio 1984, della macchina realizzata da Maria Antonietta Palazzetti, conosciuta come Spirale di Fede. In questa occasione ad ammirare lo spettacolo viterbese ci fu addirittura papa Giovanni Paolo II, affacciato ad una finestra del Comune. Nonostante fossero stati sconsigliati a causa di una fortissima pioggia, i facchini vollero comunque partire e quando arrivarono a piazza del Plebiscito, davanti al Papa, cessò di piovere! Il sommo pontefice rimase sbalordito di fronte alla macchina ed esclamò “valeva la pena di venire a Viterbo per vedere la macchina! È qualcosa di cui dovete essere fieri e vi prego di non lasciare morire questa eccezionale testimonianza di fede!” ma nel pieno dell’emozione disse “evviva S. Rita” per poi correggersi subito.» Infine Giovanni Paolo II scese nella piazza e strinse la mano a tutti i facchini, complimentandosi.
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centro storico
FONTANE Piazza della Rocca Piazza San Faustino Piazza dei Caduti Piazza delle Erbe Cortile di Palazzo dei Priori Piazza del Gesù Piazza della Morte Fontana del Piano Fontana Grande Piazza Dante Piazza della Crocetta
MUSEI Museo Nazionale Etrusco Museo Civico Colle del Duomo Museo della Ceramica Sodalizio Facchini di S. Rosa Casa di S. Rosa
PORTE Porta Fiorentina Porta Faul Porta del Carmine Porta San Pietro Porta Romana Porta della Verità Porta San Marco Porta Murata
TEATRI Teatro Unione Teatro Caffeina (S. Leonardo)
CHIESE San Francesco Santa Rosa San Marco Santa Maria della Verità Santa Maria del Suffragio San Giovanni in Zoccoli Sant’Angelo in Spatha San Silvestro Santa Maria Nuova San Lorenzo (Duomo) Sant’Andrea San Sisto Santissima Trinità
PALAZZI STORICI Palazzo dei Priori Palazzo Chigi Palazzo Farnese Palazzo Papale Palazzo Gatti Palazzo degli Alessandri Palazzo Mazzatosta Palazzo Poscia Palazzo Santoro Palazzo Pamphili
La lista che segue è parziale, intesa a segnalare i principali luoghi storici e culturali di prevalente interesse turistico.
LEGENDA
viterbo DECARTA SETTEMBRE 2018
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intervista
LORENZO CELESTINI RACCONTA LA NASCITA DELLA CASA COMUNE DEI FACCHINI DI ROSA
Io ciuffo, la voce di mio padre Nello e la nascita del Sodalizio Dalla riunione alla discoteca Snoopy del Pilastro alla difficile notte del 3 settembre 1986: “Lui era nato per fare quello che ha fatto”. Roberto Pomi
orenzo Celestini, Facchino di Santa Rosa. Figlio del grande Nello e grande a sua volta. Sarà riconsegnata a lui la valigia piena di foto, articoli di giornale, lettere autografe che il padre del Sodalizio ci aveva affidato. Lo abbiamo contattato e, tra un ricordo all’altro, abbiamo tirato fuori questa intervista.
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Cosa ha rappresentato la fondazione del Sodalizio? Semplicemente la nascita di una famiglia. Prima di quel momento i Facchini erano, compreso me all’epoca giovanissimo, “una sparuta” di persone che si vedevano solo il tre settembre. Il terreno che portò alla nascita del Sodalizio fu molto composito. Forse però l’elemento di innesco di tutta una serie di azioni che ebbero come culmine la nascita di questa realtà andrebbe individuato nei contrasti, molti e frequenti, con il costruttore. Tutte brave persone ma c’erano sempre elementi caratteriali di sopraffazione in qualche modo. Una volta Zucchi, autore di una Macchina indimenticabile come Volo d’Angeli, ebbe da ridire quando seppe che mio padre e i Facchini avevano fatto una corona per la morte della madre di un loro compagno, senza prima averlo avvisato. Poi arrivò l’intuizione, che in realtà era lì a portata di mano. Quasi servita su un vassoio d’argento. Infatti nel capitolato d’appalto per la costruzione
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della Macchina di Santa Rosa era stata messa, nero su bianco, una frase quasi profetica: “il reclutamento dei Facchini va realizzato attraverso il Sodalizio, se costituito”. Fu così che il sindaco di quegli anni Rosato Rosati e mio padre iniziarono a incamminarsi sulla strada che avrebbe portato alla fondazione della casa comune dei cavalieri di Rosa. Per la verità con l’assenso dello stesso Zucchi. Può raccontarci qualcosa di quei giorni? Ricordo che la prima riunione per parlare del progetto ci riunì nei locali della discoteca Snoopy al Pilastro. C’era Rosario Scipio, che fece un grande lavoro nella stesura degli articoli. Tutti pensati per tutelare l’immagine dei Facchini. Al fianco di mio padre c’erano Giorgio Rossetti e Antonio Febbraro, per me un secondo padre. Chi è stato Nello Celestini nella storia della Macchina di Santa Rosa? Penso possa essere definito l’artefice principale della nascita del Sodalizio. L’ha fatto venire al mondo, insieme ai suoi compagni, e l’ha fatto camminare. Il Sodalizio è entrato davvero in tutte le case, nelle famiglie ed ha fatto sentire la sua presenza oltre Viterbo. Abbiamo infatti giocato un ruolo importante nel riconoscimento del titolo di Patrimonio Unesco per la tradizione della Macchina di Santa
Rosa ma anche in molti gemellaggi. Nello Celestini è l’uomo che ha pensato sempre a salvaguardare i suoi Facchini e guai a chi glieli toccava. Il Sodalizio è lo strumento con cui ha centrato il suo obiettivo principale. Penso che mio padre Nello fosse nato per fare quello che ha fatto. I suoi ordini, la voce, la cadenza, i discorsi semplici ma con i quali ti entrava dentro. È unico. Il suo modo di fare, quello che trasmetteva, è servito a me ma anche a tanti altri. Il momento più bello che ha vissuto nel Trasporto con suo padre? Il tre settembre del 1986. La Macchina non la guidava il capofacchino ma il costruttore. Credo che il ruolo di capofacchino come lo conosciamo oggi sia nato quella difficile notte, dove Santa Rosa una mano ce l’ha messa per evitare il peggio. Arrivati al sagrato davanti alla basilica, con una Macchina pensatissima sulle spalle, qualcosa andò storto. Socrate Sensi, il costruttore che guidava, andò nel pallone. Anche io ero sotto, come ciuffo. Fu terribile, eravamo tutti in sofferenza. Poi abbiamo sentito una voce. Improvvisa, inaspettata. Una voce forte, sicura. Con ordini precisi e quella grinta capace di ridarti la forza. Rialzammo la Macchina con dentro quella voce, poi la girata e la sistemazione al suo posto. Chi c’era non dimenticherà mai. Nello è stato questo. Nel Sodalizio c’è il suo spirito.
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turismo
spiritualità
Itinerario religioso della Tuscia Daniela Stampatori - Foto di Sergio Galeotti
settembre. Una delle date più importanti per la Tuscia: è il giorno del trasporto della Macchina di Santa Rosa. È stata definita “il campanile che cammina”, descritta come una torre illuminata, un baldacchino processionale dalle dimensioni da guinness dei primati. Eppure è il simbolo religioso più caro ai viterbesi, quello che segna la fine e l’inizio di un nuovo anno. Per celebrare quest’atmosfera di folklore e spiritualità, in questo numero di Decarta vi propongo un itinerario religioso per i santuari e luoghi di culto più (o meno) famosi del nostro territorio.
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Partiamo proprio da Viterbo e dal Santuario di Santa Rosa . La chiesa, che nei secoli ha visto numerosi rifacimenti, fu edificata agli inizi del XIII secolo insieme all’annesso monastero dedicato a San Damiano che ospitò una delle prime comunità ispirate all’esempio di Santa Chiara d’Assisi. A sette anni dalla morte di Rosa, l’edificio diventò prezioso custode del suo corpo incorrotto. Infatti giacciono ancora oggi all’interno, in un’urna di cristallo, le spoglie mortali della santa bambina. Da qualche anno le Clarisse sono state sostituite dalle suore Alcantarine che si adoperano quotidianamente per la fruizione e la manutenzione del Santuario, promuovendo restauri ed eventi. A pochi passi da qui, merita una visita anche il piccolo edificio considerato la Casa di Santa Rosa, un ambiente domestico semplice e austero, che nei secoli ha cercato di mantenere intatto il suo aspetto medievale. È gestita da volontari, sempre accoglienti e disponibili a raccontare gli episodi prodigiosi della vita della santa. Per saperne qualcosa di più sul trasporto della Macchina, invece, vi consiglio una tappa al Museo del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa nel quartiere medievale di San Pellegrino: vi son contenuti i modellini delle Macchine degli ultimi due secoli, disegni e oggetti che riguardano questa tradizione. Un video vi catapulterà nell’emozionante atmosfera del 3 settembre e il qualificato personale interno è disponibile a soddisfare tutte le vostre curiosità a riguardo. Ingresso gratuito. Spostandoci di qualche chilometro, arriviamo al Santuario della Madonna della Quercia , a cui è tutt’oggi rivolta una profonda devozione. Il complesso monumentale comprende la meravigliosa basilica rinascimentale e gli ambienti appartenuti in origine al convento dei Domenicani.
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Nata nelle Marche ma residente a Viterbo dal 1999, dove si è laureata in archeologia, Daniela Stampatori è dal 2009 guida turistica della Tuscia. Puoi continuare a leggere gli articoli di Daniela su guidatuscia.com e facebook.com/guidatuscia oppure la puoi contattare al 339 89000009.
La storia di questo luogo di culto è davvero avvincente e affonda le sue radici nella prima metà del Quattrocento, quando un abitante del posto commissionò ad un artigiano la realizzazione di un’effigie della Madonna con Bambino da mettere a protezione della sua vigna. Fu eseguita su una tegola così da poterla appendere ad una quercia. Dopo poco tempo, in presenza della tegola, iniziarono a verificarsi numerosi eventi inspiegabili che furono interpretati come miracoli della Madonna. Fino al 1467, quando le cronache dell’epoca narrano di una violenta pestilenza, circa 30 mila persone accorsero presso la “Sacra Tegola” per pregare la Madonna e miracolosamente, una settimana dopo, il morbo scomparve. Ebbe luogo, dunque, una grandissima processione di ringraziamento a cui partecipò tutta la popolazione della Tuscia e per la quale si raccolsero così tante offerte che si decise di innalzare un tempio degno di custodire la quercia con la tegola. I lavori di edificazione durarono circa un secolo e videro avvicendarsi artisti del calibro di Giuliano da Sangallo e Andrea della Robbia. L’imponente facciata appare al termine di un rettifilo che unisce Viterbo alla frazione di La Quercia, l’occhio cade immediatamente sulle scintillanti lunette robbiane e si viene rapiti dall’irresistibile urgenza di entrare in basilica per scoprirne l’interno:
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lo sguardo punta subito in alto e abbraccia il magnifico soffitto in legno fatto ricoprire d’oro da papa Paolo III Farnese, che ovviamente pensò bene di farci apporre il suo stemma, insieme all’immagine della Madonna della Quercia e al simbolo di Viterbo, il leone con la palma. Davanti a noi si erge il candido tabernacolo marmoreo che custodisce la Sacra Tegola, realizzato da Andrea Bregno. Adiacente alla chiesa, si può ammirare il chiostro cinquecentesco in cui trovano memoria, raffigurati nelle lunette, i più celebri miracoli della Madonna della Quercia. Se siete fortunati potreste trovare aperto anche il chiostro seicentesco , più grande del primo e di forte impatto scenografico. roseguendo un po’ più a nord, sulla via Francigena, ci dirigiamo verso Bolsena dove il Santuario di Santa Cristina è il cuore religioso della cittadina sull’omonimo lago. Il complesso monumentale è costituito da quattro nuclei: l’ambiente ipogeo della “basilichetta”, ricavata in un settore delle antiche catacombe di epoca romana; la Cappella Nuova del Miracolo Eucaristico, edificata tra il XVII e il XVIII secolo; la basilica medievale, che secondo la tradizione fu voluta da Matilde di Canossa; e la cappella di San Leonardo, che chiude il complesso sulla destra.
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Sono due i principali motivi di devozione che rendono Bolsena un’importante meta di pellegrinaggio: la tomba di Santa Cristina, vergine e martire dei primi secoli del cristianesimo a cui furono inflitte numerose torture per farle rinnegare la nuova fede che aveva tenacemente abbracciato, e il Miracolo Eucaristico che si consumò sotto gli occhi di Pietro da Praga, prete boemo che vide l’ostia sanguinare durante la celebrazione dell’Eucarestia. Fu dopo questo prodigioso evento avvenuto nel 1263 che papa Urbano IV, l’anno successivo, istituì la festa del Corpus Domini. Una piccola curiosità: il Duomo di Orvieto venne fatto edificare proprio per custodire l’ostia, i purificatoi e il corporale che, secondo la tradizione religiosa, porta le macchie del sangue sgorgato dall’ostia consacrata, mentre le pietre del pavimento e dell’altare del Miracolo, anch’esse macchiate, sono conservate nel Santuario bolsenese. Continuando sulla via Francigena, quasi ai confini con la Toscana, arriviamo ad Acquapendente per visitare la Basilica del Santo Sepolcro , così chiamata perché nella sua splendida cripta romanica sono conservate le reliquie provenienti, secondo la tradizione, dal luogo della sepoltura di Gesù: le pietre bagnate dal sangue di Cristo custo-
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9 dite in un sacello che riproduce, in scala ridotta, il Santo Sepolcro di Gerusalemme. All’interno della chiesa, si possono ammirare anche i Pugnaloni, pannelli decorati come mosaici di fiori e foglie che vengono realizzati la terza domenica di maggio in onore della Madonna del Fiore: secondo un’antica leggenda, nel 1166, durante il dominio di Federico Barbarossa, due contadini assistettero alla miracolosa fioritura di un ciliegio secco e, interpretando l’accaduto come un segno divino, la popolazione ebbe l’impulso a ribellarsi contro l’oppressore, cacciandolo dalla città. Le armi della rivolta furono i “pungoli”, attrezzi agricoli dotati di una punta utili a diversi scopi, da cui il termine “Pugnalone”. Questi quadri floreali sono oggi oggetto di una sentitissima competizione in cui sono impegnati tutti i ragazzi del paese. I soggetti rappresentati sono tradizionalmente legati ai temi della libertà e della pace. na meravigliosa perla poco conosciuta ma che vale la pena di scoprire è il Santuario di Maria Santissima ad Rupes 9 a Castel Sant’Elia, a circa 40 chilometri da Viterbo. Un borgo incastonato nel paesaggio a tratti selvaggio e incontaminato della Valle Suppentonia, dominato dai colori del tufo rosso e della lussureggiante vegetazione che cresce tra le profonde forre. E non è un caso se il santuario, dedicato alla Madonna, lega il suo nome proprio al luogo in cui sorge, perché qui spiritualità e natura sono fusi indissolubilmente in un connubio che da secoli attira anime in cerca di pace e solitudine. Già nei primi secoli del Cristianesimo questa località fu interessata dallo stanziamento di comunità di monaci eremiti che successivamente diedero vita ad un cenobio benedettino sul quale sorse, tra l’VIII e il IX secolo, la Basilica di Sant’Elia , uno dei monumenti romanici più belli d’Italia. È sulla continuità della tradizione religiosa e su un inesauribile senso del sacro che nel XVIII secolo fra Giuseppe Andrea Rodio scavò nella roccia una scalinata di 144 gradini per permettere ai pellegrini di raggiungere la grotta dove da secoli si venerava un’antica immagine rupestre della madre di Cristo, sostituita nel Cinquecento da una tela raffigurante la Madonna con Bambino. Nel 1912 il santuario passò in possesso alla Santa Sede e fu elevato a titolo di Pontificio e di Basilica Minore. Oggi l’intero complesso è sotto la custodia e la gestione della Congregazione di San Michele Arcangelo, i padri Micaeliti.
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Per il resto, la Tuscia è costellata da una miriade di splendide chiese, piccoli e grandi capolavori dell’arte medievale, rinascimentale e barocca. Andare alla loro scoperta significa intraprendere un viaggio dalle origini del cristianesimo fino all’epoca moderna, guidati da una ricerca di spiritualità che va oltre la fede e la religione. È un itinerario alla ricerca della parte più profonda di noi stessi, fino a trovare quella scintilla divina che ci appartiene dalla notte dei tempi.
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Spirale di Fede, la mini macchina del Pilastro Ne abbiamo parlato con Angelo Loddo, presidente del comitato festeggiamenti Pilastro. Enrico Lentini - Foto di Luigi Maria Buzzi
Ciao Angelo, raccontaci l’evoluzione storica del comitato e della festa del Pilastro. Il comitato Pilastro è nato del 1971 da un’idea del parroco don Enzo e di alcuni abitanti del quartiere. Inizialmente la mini macchina rappresentava una riproduzione del campanile del Duomo. A partire dal 1973, il comitato divenne sempre più strutturato, grazie a quelli che possiamo definire come i padri fondatori: Ulisse Topini e Vincenzo Pace. Nel corso degli anni, alla mini macchina, si sono aggiunti i festeggiamenti nei giorni antecedenti al trasporto. Dal 1973 mio padre, Pino Loddo, è sempre stato capo facchino, ad eccezione di pochissimi anni in cui la mini macchina è stata guidata da Filippo Aquilani e da altri capo facchini. Oggi a comporre il comitato siamo in 15, di cui cinque membri del direttivo e dieci ragazzi ex mini facchini. Vorrei, inoltre, ricordare l’accordo stretto dal nostro comitato con il Sodalizio dei facchini, rappresentato all’epoca da Nello Celestini e con il Comune, nella persona dell’allora assessore Rosato Rosati. In conseguenza dell’intesa si è stabilito che la mini macchina del Pilastro dovrà essere sempre una fedele riproduzione, in scala ridotta, di macchine di S. Rosa già trasportate o che almeno abbiano effettuato un “sollevate e fermi”. Per questo motivo, nel corso degli anni, abbiamo realizzato macchine sulla base di quelle di Salcini, Papini, fino alla riproposizione di Volo d’Angeli. L’attuale mini macchina rappresenta, invece, Spirale di Fede, in onore dei progettisti Valeri e Palazzetti, il primo è, infatti, un pilastrino. La realizzazione è opera di tre componenti del comitato: Marco Fulvi, Sandro Sordini e Mauro Taschini. La costruzione è stata portata a termine dalla ditta Mastro dei fratelli Mancinelli. Ciò che vorrei sottolineare è l’attività di solidarietà che riusciamo a portare avanti tutto l’anno, grazie alla collaborazione del comitato con la parrocchia, con il gruppo musici e sbandieratori, con le persone del quartiere ed al grande aiuto fornito da don Flavio. Infine vorrei ricordare che, come ogni anno, abbiamo rinnovato la nostra collaborazione con l’Avis
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comunale e abbiamo iniziato una partnership con un’associazione, nata nel quartiere, che combatte la fibrosi cistica. Informazioni utili per i viterbesi e non che vorranno partecipare ai festeggiamenti. La nostra festa si svolge in quattro giorni. Si comincia giovedì 23 agosto con la Pilastrissima, una gara podistica che prevede un percorso di 8 chilometri pianeggianti, quindi molto veloce, che è stata riportata nel quartiere quattro anni fa da mio fratello Massimo. Lo scorso anno abbiamo avuto 98 iscritti, un buon successo, destinato ad incrementarsi considerando lo scenario notturno che la rende molto suggestiva. Venerdì 24 effettuiamo la consegna dei ciuffi e delle spallette ai mini facchini, a seguire una serata musicale. Sabato 25 a partire dalle 15:30 ci sarà la sfilata dei ragazzi, con partenza dal bar Le Iene, diretti al santuario di Santa Rosa per rendere omaggio alla Santa e al monumento dei caduti. Successivamente si rientra al Pilastro, i mini facchini vanno in ritiro ed infine alle 21 ci si dirige verso la “mossa”. Il percorso, come di consueto, vedrà la partenza dal piazzale Ok per poi percorrere viale Bruno Buozzi e concludersi al bar Le Iene. Un cenno sui veri protagonisti del trasporto. I nostri mini facchini si attestano tra 100 e 120 unità
Informazioni utili: date e orari 23 agosto ore 20:30: gara podistica di otto chilometri in notturna “Pilastrissima”. 24 agosto: consegna ciuffi e spallette ai Mini Facchini con a seguire serata musicale. 25 agosto dalle 15:30 sfilata Mini Facchini dal bar Le Iene verso il Santuario di Santa Rosa con omaggio al monumento dei caduti. Ore 21:00 verso la mossa.
e hanno un’età compresa tra i 5 e i 17 anni. L’innalzamento dell’età massima da 14 a 17 anni, frutto di un accordo con Massimo Mecarini, offre la possibilità, ai ragazzi all’ultimo trasporto, di potersi cimentare con la prova per la macchina grande, direttamente dall’anno successivo. Inoltre i mini facchini indossano la stessa divisa dei facchini della macchina grande, grazie ad una collaborazione con il Sodalizio. Quest’anno due ragazzi che provengono dalla nostra mini macchina, Simone Oriolesi e Fabio Fasanari, sono diventati facchini e ciò conferma la bontà del lavoro svolto fin ora. In generale siamo orgogliosi dei circa 60 facchini che abbiamo formato e che hanno, in questi ultimi decenni, contribuito a numerosissimi trasporti.
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Miracolo di Fede, la mini macchina di Santa Barbara Ne abbiamo parlato con il capofacchino, i progettisti e il designer. Enrico Lentini
Diego (Terzoli), raccontaci come è iniziata l’avventura della mini macchina. Quattro anni fa don Claudio, il parroco di Santa Barbara, ha deciso di provare a realizzare per la prima volta la mini macchina con la finalità di unire i ragazzi del quartiere. La gestione è stata affidata per il primo anno ad un comitato, poi siamo subentrati noi, cambiando mini macchina. Quella in costruzione è, quindi, la terza mini macchina in 5 anni. Per tre anni sono state utilizzate delle parti della prima macchina, anche se ogni anno veniva apportata qualche modifica per renderla migliore in alcuni aspetti. Poi nel 2017, già prima che iniziasse il trasporto, si era iniziato a pensare di farne una nuova per i successivi 5 anni. Sono stati presi in considerazione più progetti che avevano partecipato al concorso della macchina grande. Il consiglio, dopo aver visionato i vari disegni, ha scelto quello di Gianluca Di Prospero, che aveva partecipato con Fiore del Cielo, arrivando terzo. Successivamente il progetto iniziale è stato seguito dal figlio, Luca di Prospero, che lo ha modificato con Emanuele Derosas, rielaborandolo in scala e passando da un’altezza di 30 metri a quella attuale di 11. Come si è evoluto il Comitato? Negli anni alcune figure sono state cambiate, le ultime votazioni risalgono ad ottobre 2017. Il nucleo del consiglio, in parte rieletto, ha visto anche molti nuovi innesti, praticamente tutti tranne il presidente e due consiglieri. Negli ultimi 2-3 anni ci siamo presi carico di cercare di migliorare più possibile sia l’aspetto estetico della macchina che l’assetto organizzativo della festa. Soprattutto per far sì che i ragazzi, ma anche i genitori, potessero fruire meglio della manifestazione e capire come non si trattasse di un gioco, come tanti invece sostenevano. Crediamo di aver dimostrato che le capacità non mancano, anche se negli anni ci saranno tante altre migliorie da apportare che arrecheranno molte soddisfazioni. Ci auguriamo che con l’apporto della nuova mini macchina ci possa essere un notevole incremento dei mini facchini i quali ad oggi contano su circa 80 ragazzi. Fin ora abbiamo avuto un ottimo riscontro da parte dei genitori, ed è la cosa più importante dal punto di vista gestionale, ma anche
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per l’organizzazione delle cene e soprattutto per stare vicini ai ragazzi. Organizziamo vari momenti di aggregazione e il nostro intento è quello di creare un ambiente sano, che possa essere in futuro portato avanti dagli attuali ragazzini. Il comitato è composto da trenta membri, tra i quali una decina di facchini, tra attuali e passati, della macchina grande. Il presidente è don Claudio Sperapani, io sono il presidente pro tempore, vice presidente è Daniele Paiolo, sempre io sono il capo facchino e i consiglieri sono: Paolo Filipponi, Giorgio Frisoni, Roberto Cassetta, Gianni Bertoccini, Angelo Achille. Nella mia esperienza ho cercato di circondarmi, oltre che di amici, di persone che hanno toccato con mano la macchina grande, in quanto partecipi di quell’esperienza di fede unica e capaci di tramandarla ai ragazzi. Gianluca e Luca (Di Prospero), spiegateci come è stata realizzata la mini macchina. Iniziando dalla vetrata, ci siamo ispirati alla chiesa di San Francesco, considerando che Santa Rosa voleva entrare nelle clarisse, Santa Chiara e San Francesco sono contemporanei, abbiamo così scelto di mettere sia Santa Rosa sia San Francesco. Inoltre, abbiamo deciso di cambiare un particolare, sulla vetrata anteriore abbiamo, infatti, inserito Santa Barbara, che è la patrona del quartiere. Lo stile della vetrata è gotico, le finestre sono quelle dei palazzetti medievali di Viterbo, i chiostri laterali sono stati ripresi da quelli di Santa Maria della Verità e Santa Maria in Gradi, particolarmente significativo quest’ultimo in quanto fatto realizzare da papa Alessandro IV che diede il via al trasporto della macchina. Ci sono anche il campanile del Duomo e la fontana di piazza delle Erbe. Abbiamo, poi, inserito degli angeli che accompagnano l’ascesa fino ad una stella, dove sboccia Santa Rosa e la scritta signum fidei, miracolo di fede. Nel frontale si può vedere lo stemma del Comune di Viterbo, dal sodalizio stiamo attendendo lo stemma Unesco poiché anche le mini macchine fanno parte del gruppo macchine a spalla patrimonio Unesco. Tutta la realizzazione dell’allegorico è stata seguita dal designer Luca Occhialini, che ha effettuato una scansione dei monumenti cittadini e ha sviluppato i modelli in 3D per la fresatura. I lavori
Informazioni utili: date e orari 22 agosto ore 16:30: visita dei mini facchini e del comitato alla chiesa di Santa Rosa per salutare suor Francesca e Santa Rosa, con consegna scudetti da parte del Sodalizio alla presenza del presidente Massimo Mecarini, del capo facchino Sandro Rossi e di alcuni facchini. 24 agosto ore 20:00: benedizione della macchina, accensione e cena con le penne sotto alla macchina. 25 agosto ore 0:00: riunione comitato per segnare il percorso con le varie fermate. Organizzazione della banda e della sicurezza. 26 agosto ore 15:00: raduno nella parrocchia di Santa Barbara, poi alle 17:00 sfilata, dalle 18:30 alle 20:15 cena per i ragazzi e dalle 20:30 si va verso la macchina per iniziare il trasporto, che finirà alle 23:30. Al termine, intorno a mezzanotte fuochi d’artificio. sono stati svolti presso la ditta Mastro srl dei fratelli Mancinelli. Luca (Occhialini), parlaci dei ragazzi dell’Orioli e del loro contributo. Sono delle eccellenze curate nell’alternanza scuola lavoro che, insieme alla professoressa Cinzia Pace, abbiamo coinvolto nel progetto. La scuola ha favorito questa iniziativa tramite la preside Simonetta Pachella e il vicepreside Aldo Bellocchio, che hanno sposato appieno l’idea di darci una mano. I ragazzi che hanno partecipato sono: Antonella Luna Servi (che ha curato la pittura della vetrata), Iman Zahara Favretto, Lucilla Mariotti e Francesco Mancini.
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Luce di Rosa, la mini macchina del Centro storico Ne abbiamo parlato con Lucio Laureti, presidente del Comitato Centro Storico. Enrico Lentini
Con il 2018 si celebra il terzo trasporto di Luce di Rosa, sono previste delle novità? La mini macchina, che è stata trasportata per la prima volta in occasione del cinquantesimo anniversario del Comitato Centro Storico, non subirà cambiamenti dal punto di vista strutturale, se non per quanto riguarda l’illuminazione, che stiamo studiando proprio in questi giorni. Inoltre abbiamo deciso di prorogare il trasporto da tre a cinque anni, per la prima volta nella nostra storia, lunga ormai ben 52 anni. La decisone deriva dal successo che ha riscontrato questa mini macchina, ma anche dalla sua forte carica innovativa. Infatti è stata progettata da un team di 12 persone, tra cui: tre architetti, due ingegneri, due designer e quattro costruttori. È stata stampata e fresata in 3D, quindi è una macchina che rispetta la tradizione ma è allo stesso tempo proiettata nel futuro. Ci ricordiamo addirittura una parte mobile, giusto? Partendo da un’idea che ho sempre avuto è stato possibile realizzare quella che forse è la vera particolarità della macchina: grazie agli architetti Todini e Andreani abbiamo integrato nella struttura un pistone ad azoto. Al momento della partenza il fiore che sorregge la Santa è calato all’interno della struttura, così da rendere possibile il passaggio sotto l’arco di via Mazzini, dove i ragazzi devono addirittura passare inginocchiati, e negli altri punti scomodi come via Saffi, via Fontanella del Suffragio e via Casa di S. Rosa. Successivamente il pistone permette di innalzare la sommità della Macchina di 60cm, rendendola più snella. Nonostante ciò, per noi due concetti devono rimanere alla base della manifestazione: quello di mini macchina e quello di mini facchino. Di conseguenza non cambieremo mai queste parole, non aspiriamo ad innalzare eccessivamente la macchina, ma a rispettare la tradizione, rivolgendoci comunque a soluzioni tecnologiche avanzate. Come ogni anno a piazza Dante, prima del trasporto, ci sarà la festa dove premieremo i mini facchini, i vincitori della contesa (la manifestazione che facciamo a piazza del Comune) e le sbandieratrici. La presentazione della macchina avviene sempre nella stessa piazza, questa viene prima accesa
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e poi viene tolto il tendone, dopo aver spento le luci della città, l’impatto scenico è fortissimo e l’accensione della mini macchina verrà fatta, come ogni anno, da un personaggio di spicco. Puoi darci qualche informazione storica sulla mini macchina del centro? Le prime notizie che abbiamo fanno risalire la mini macchina al 1872, lungo le nostre vie, tra via Mazzini e piazza Dante. La nostra mini macchina nasce, però, ufficialmente nel 1966. Ciò che ci inorgoglisce è vedere come quelli che oggi sono personaggi di spicco nel trasporto della macchina, come facchini e costruttori, siano stati per anni mini facchini del centro storico. Ho una foto in cui accanto a me, che sono diventato presidente del Comitato Centro Storico, appaiono Mirko Fiorillo (attuale costruttore della macchina), Alessandro Lucarini (oggi nostro capo facchino) e Alessio Malè (vice presidente del Sodalizio dei facchini). D’altronde per quanto riguarda i minifacchini ogni anno abbiamo una risposta enorme, l’anno scorso erano ben 229. Raccontaci della tua presidenza e degli obbiettivi. La mia presidenza è iniziata ad aprile dell’anno scorso, la carica dura tre anni. Non nascondo che ci sia stato molto da fare, ma sono veramente contento di come stanno andando le cose. Secondo me bisognerà insistere sul fatto che noi, come le altre mini macchine, siamo patrimonio Unesco in quanto parte dell’associazione macchine a spalla. Come comitato, poi, abbiamo anche il gruppo di sbandieratrici e musici più importante di Viterbo e provincia. È un gruppo bellissimo e la dimostrazione della loro bravura è anche data dal fatto che 8 di questi ragazzi rappresentano Viterbo sotto la bandiera della Lega Italiana Sbandieratori e Musici. L’impegno prosegue anche al di fuori delle varie manifestazioni e quindi ogni anno raccogliamo delle somme da destinare a varie associazioni. Per il 2018, con la cifra raccolta dai genitori, abbiamo effettuato una donazione al reparto di pediatria dell’ospedale di Belcolle. Poi vorrei parlarvi di un’iniziativa che faremo quest’anno per la prima volta: la giornata del dona-
Informazioni utili: date e orari 25 agosto ore 16:30: giornata del donatore Avis del Comitato Centro Storico aperta a tutta la cittadinanza 31 agosto: incontro Mini Facchini al Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa. 1 settembre dalle 15:30: raduno dei Mini Facchini a piazza Dante. Ore 16:30 sfilata verso il Santuario di Santa Rosa. Ore 18:00 preceduti dalle Sbandieratrici e dai figuranti della rievocazione storica “La Contesta”, sfilata dei Mini Facchini lungo il percorso. Ore 19:15 piazza Dante, esibizione Banca Musicale. Ore 21:00 partenza e trasporto della Mini Macchina. 2 settembre: 16a edizione di “La Contesa – 10 novembre 1243”.
tore. In questa occasione ci sarà un’autoemoteca a piazza del Comune e tutti i viterbesi potranno donare il sangue, il 25 agosto a partire dalle 8. Il nostro comitato rimane saldamente legato al sociale, questo per noi è fondamentale. Qualcuno da ringraziare? Permettetemi dei ringraziamenti al Comitato Centro Storico, formato da 29 elementi e a chi ha reso possibile la progettazione e la realizzazione di questa mini macchina: gli architetti Mario Todini e Nastassia Andreani, il progettista 3D Luca Occhialini, i costruttori Fratelli Mancinelli della ditta Mastro, i nostri elettricisti Enrico Mandola e Stefano Piergentili.
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STORIA DI UNA BELLA TRADIZIONE DEGLI ANNI SESSANTA E SETTANTA
Maritozzi del tre settembre, la carezza dei Selvaggini ai Facchini di Rosa Oggi la famiglia viterbese di fornai esporta prodotti in Norvegia ma continua a produrre dolcezze per la festa della Santa. Roberto Pomi
iazza del Teatro, tutti dentro al Forno Selvaggini. Venti minuti, abbondanti, per fare festa con i mitici maritozzi. Freschi della mattina. È l’abbraccio di Serafino, il proprietario di questo mondo, ai Facchini di Rosa. Una carezza alla Santa e alla città di Viterbo.
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Ultima tappa di sosta prima del “sollevate e fermi!” di chiusura del Trasporto davanti alla basilica. «Era una bella tradizione. Noi abbiamo preso quel forno, al lato destro guardando la salita di Santa Rosa, negli anni Sessanta. All'inizio la nostra casa era proprio sopra al laboratorio con negozio. Io ero piccolo ma ricordo bene di quelle belle notti del tre settembre». La voce che riporta in vita tutto è di Giampiero Selvaggini, classe 1963 e figlio di Serafino.
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Lo incontriamo un paio di volte per farci raccontare un pezzo di storia del Trasporto della Macchina di Santa Rosa. Quel frammento che ricorda dei maritozzi donati come ristoro ai Facchini per tutti gli anni Sessanta e fino al 1976. Piccola storia, anche questa simbolo dell’attaccamento di una città alla sua emozione più grande. «Finì tutto quando trasferimmo l’attività – spiega Selvaggini. – Abbiamo provato a chiedere di farci continuare la tradizione, inserendo un punto ristoro all’altezza del vecchio forno o aprendo un corridoio che avrebbe permesso ai nostri graditi ospiti di raggiungere il negozio di alimentari che inaugurammo all’ombra del Teatro Unione. Non ci è stato possibile per ragioni di sicurezza. Peccato». Con lui c’è la moglie Rosita, siamo in un bar di Pianoscarano in un tardo pomeriggio di metà estate.
Giampiero è disponibile, racconta tutto in maniera precisa e un po’ si emoziona. Abbiamo la sensazione che mentre sta parlando con noi gli scorra in testa un film: spezzoni di vita reale, vecchie foto riviste decenni dopo, il volto del padre, il laboratorio del forno, il negozio, quella torre illuminata che i viterbesi portano davvero nel cuore e quegli uomini forti che vengono accolti da sorrisi e parole di entusiasmo dentro lo spazio magico che babbo Serafino aveva saputo immaginare. «Entravano i Facchini ed era una cosa bella – continua. – Con loro anche le autorità cittadine. Circa duecento persone, da accogliere tutte insieme». Il “protocollo” ideato dalla famiglia Selvaggini metteva a disposizione 600 maritozzi freschi di forno, un quintale di vino e acqua a volontà. Come
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tutto questo ben di Dio venisse accolto da uomini provati dalla fatica, dal caldo, dal peso è facile immaginarlo. Sorrisi larghi, qualche parola colorita e la voglia di stare bene insieme, essere tutti d’un sentimento. Poi di nuovo fuori, sotto la Macchina. Le corde e le stanghette in posizione. La salita, pronta anche lei. Per i facchini sotto, quella “pettata” lunga, è sempre stata roba di un secondo. Con gli occhi pronti, una volta fatta l’impresa, a cercare il punto più alto della basilica e poi il volto della madre, della moglie, della sorella o della figlia. ggi i prodotti del Forno Fratelli Selvaggini arrivano in Norvegia, tutti bene impacchettati e sotto al vessillo 'Freschi di Forno'. È mattina presto quando torniamo a trovare Giampiero. Ha lavorato tutta la notte. Ci accoglie col sorriso e dei grissini alla curcuma che ci rimettono al mondo. Nel forno una squadra al lavoro. Tutti a parlare di maritozzi e Facchini, si fermano per qualche foto e ci presentano il pezzo forte: Angelo Ubertini, classe 1931. «Sono diventato fornaio perché in tempo di guerra mi hanno regalato una pagnotta di pane. Lì capii l’importanza di questo lavoro e l’ho amato per tutta la vita. Ancora oggi mi piace venire qui al forno».
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Si ricorda bene delle notti del tre settembre e ci racconta di un’antica magia: “la fiocca”. In sostanza l’antenata dello zucchero a velo sui maritozzi. «Perché prima era già tanto se avevi lo zucchero», tiene a precisare. Quindi ci dà la ricetta: un battuto di chiare d’uovo, limone e zucchero. Il tutto si spennella sui maritozzi appena sfornati e raffreddandosi questi lei, la signora “fiocca”, va a formare una crosticina croccante. «Per noi il tre settembre di quegli anni era una bella attesa. Tutti della famiglia erano impegnati a servire i maritozzi e a dare da bere – prosegue Giampiero. – Mi ricordo che i Facchini arrivavano stremati ed entravano tutti insieme là dentro. Una mezz’ora di caos festoso, forse un po’ meno. Venti minuti comodi prima di affrontare la salita. Qualcuno si faceva mettere via qualche maritozzo per i figli e lo passava a prendere dopo il Trasporto. C’era chi preferiva portare con sé qualche riserva di zuccheri, mettendoli al riparo nella camicia”. Quella di piazza del Teatro è sempre stata storicamente la sosta della Macchina più lunga. Il momento in cui i Facchini si ricaricano e preparano per l’ultimo sforzo, che inizia a sapere già un po’ di nostalgia per la festa finita. «Non so esattamente se sia stato mio padre a immaginare per primo il dono dei maritozzi. So che prima di noi quel forno era di un panettiere milanese. Tale Papis, che portò a Viterbo le veneziane. Dubito, anche se non escludo, che sfornasse anche maritozzi. Perché si tratta di un dolce tipico del Lazio e dell’Abbruzzo». l maritozzo viterbese nasce come dolce quaresimale. E le storie antiche, come ci ha insegnato Giampiero, lo raccontano come dono che i ragazzi innamorati erano soliti fare alle proprie prescelte. Con la speranza di poterle così addolcire. Si tratta di una pasta lievitata, aromatizzata con arancio grattato o limone grattato. Poi c’è l’uvetta passa, lo zucchero e le uova. L’impasto viene lievitato come quello del pane e arricchito di queste cose. Inizialmente veniva preparato solo nei giorni di quaresima ma poi è diventato dolce tipico e oggi si può trovare praticamente sempre. Un dolce semplice, come semplice l’idea di donarlo per allietare con zuccheri e carboidrati i portatori della Macchina sotto sforzo.
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Oggi i Selvaggini continuano a realizzare dolcezze in onore della Santa sfornando, in occasione della festa del tre settembre, il pane di Santa Rosa.
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la rete
La rete delle grandi macchine a spalla e il riconoscimento UNESCO Manuel Gabrielli
n Italia esistono storicamente varie processioni di origine religiosa dove vengono trasportate reliquie, baldacchini e sculture di varie tipo. Tra queste, le maggiori e più note sono la Macchina di Santa Rosa a Viterbo, la Varia a Palmi (Calabria), la Festa dei Gigli a Nola (Campania), la Faradda de li Candareri a Sassari (Sardegna) e la Festa dei Ceri a Gubbio (Umbria). Già in passato si ebbero scambi tra le varie manifestazioni e nel 2004 la città di Gubbio si rese promotrice di una rete per presentare all’UNESCO una candidatura di gruppo come Patrimonio immateriale dell’umanità. Nel 2005, sotto la guida di Patrizia Nardi, ex assessore di Reggio Calabria e responsabile tecnico scientifico del progetto, venne avviato il progetto che venne recepito nel 2006 dalle rispettive istituzioni comuni con il “Protocollo di Nola”.
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Parteciparono alla presentazione del progetto il Ministero dei beni culturali, il Ministero degli esteri, la Commissione nazionale italiana per l’UNESCO, le Soprintendenze ai beni storici, artistici ed etnoantropologici regionali, l’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione e la Unione nazionale Pro Loco d’Italia. All’ultimo momento, nell’anno 2010, Gubbio uscì fuori dalla candidatura di gruppo per concorrere singolarmente e tentare di ottenere un riconoscimento esclusivo per i Ceri di Gubbio. L’ufficializzazione della candidatura avvenne venerdì 17 maggio 2013 presso il padiglione dedicato alla Regione Calabria del Salone del libro di Torino, in occasione del decennale della convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. Il 4 dicembre 2013, in presenza delle delegazioni delle varie macchine a spalla, la rete è stata riconosciuta, nelle sue rispettive manifestazioni, come Patrimonio immateriale dell’umanità. A presenziare per Viterbo l’allora sindaco Leonardo Michelini, l’assessore Giacomo Barelli, il presidente dei Facchini di Santa Rosa Massimo Mecarini, il vice presidente Luigi Aspromonte e il consigliere Paolo Moneti. Non venne premiata, invece, la proposta singola di Gubbio, un destino beffardo per la città che in un primo momento fu proprio capofila nella costituzione di una rete. Nel 2017 un’ulteriore “premio”, questa volta da parte del mondo politico, con l’approvazione di una legge (n. 44/2017) che modifica la precedente n. 77 del 2006, “Misure speciali di tutela e fruizione dei siti Italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella «lista del patrimonio mondiale», posti sotto la tutela dell’UNESCO”, andando ad equiparare i beni materiali dell’UNESCO con quelli immateriali. Un risultato importante che contribuisce alla salvaguardia dei patrimoni i quali, nel caso di eventuali mancanze da parte dei portatori di interesse, potrebbero vedersi revocato il titolo dalla stessa UNESCO.
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Varia - Palmi
Faradda de li Candareri - Sassari
Istituita nel 1582 la Varia di Palmi è una festa in onore di Maria Santissima della Sacra Lettera, patrona e protettrice della città di Palmi. La Varia è un carro, alto 16 metri e pesante 200 quintali, e trasportato da 200 persone detti Mbuttaturi (portatori), che rappresenta l’ascenzione in cielo della Vergine Maria. Il trasporto avviene l’ultima domenica di agosto ma senza regolare cadenza annuale. Nel 1872 a seguito di alcuni incidenti la festa venne soppressa e si dovette aspettare il 1900 quando Giuseppe Militano inventò un sistema che permise di non dover più trasportare la Varia a spalla bensì tramite lo scivolamento di quattro pattini di ferro sulle lastre di granito del corso Giuseppe Garibaldi. La particolarità è che sopra al carro tutti i figuranti sono umani e rappresentano gli Apostoli, gli Angeli, la Madonna (animella) e il Padreterno.
Questa festa, nonostante venga celebrata a Sassari, sembra derivi da una tradizione pisana per la quale, come offerta alla Vergine Maria, venivano trasportate ogni 14 agosto delle macchine di legno ricoperte di cera e raffiguranti scene bibliche e santi. Essendo Sassari una città alleata della Repubblica di Pisa, la tradizione venne poi adottata anche in Sardegna per festeggiare la vigilia di Ferragosto. Le associazione di arti e mestieri cittadini - detti Gremi maggiori finanziatori della manifestazione, decisero in seguito di sostituire la grande quantità di cera con dei candelieri uguali per tutti. Il nome significa infatti “Discesa dei Candelieri”. Secondo tradizione per intercessione della Madonna e di San Sebastiano si ebbe la fine di una terribile epidemia di peste il 14 agosto 1528. In seguito a questo e ad altri avvenimenti i Gremi, formularono il voto solenne di portare otto candelieri (che nel tempo sono diventati dieci) dalla Piana di Castello alla chiesa di Santa Maria di Betlem.
Festa dei Gigli - Nola
Festa dei Ceri - Gubbio
Le radici di questa festa sono profondissime a arrivano addirittura al V secolo dopo Cristo quando il vescovo Paolino donò sé stesso e i suoi avere ai Visigoti invasori in cambio della libertà dei Nolani. Sembra che quando fece ritorno a Nola gli abitanti del posto lo accolsero con dei Gigli e lo scortarono fino alla sede vescovile alla testa dei vessilli delle corporazioni delle arti e dei mestieri. La devozione a San Paolino venne dimostrata ogni anno con il trasporto di alcuni ceri addobbati che negli ultimi anni sono diventati 8 torri piramidali di legno a rappresentare le antiche corporazioni: ortolano, salumiere, bettoliere, panettiere, barca, beccaio, calzolaio, fabbro, sarto. Queste strutture sono alte 25 metri e hanno un peso complessivo di 25 quintali. Vengono trasportate ogni 22 giugno a spalla lungo le vie del centro dagli addetti al trasporto chiamati localmente Cullatori, forse a causa dell’ondeggiamento delle torri durante il percorso.
I ceri sono delle strutture di legno di forma fusiforme e riccamente decorati coronate dalle statue di sant’Ubaldo (patrono di Gubbio), San Giorgio e Sant’Antonio Abate, che vengono trasportate a spalla ogni 15 maggio da degli adetti chiamati Ceraioli. L’ipotesi più accreditata fa risalire i ceri a delle offerte di cera ai patroni da parte delle corporazioni medievali di muratori, scalpellini, merciai e asinari che con il tempo sono state poi trasformate in manufatti di legno. Altre ipotesi vengono riassunte in due gruppi, un’ipotesi pagana e una eroica. L’ipotesi pagana rimanda al culto della dea Cerere, e da questo ceri, legata al risveglio primaverile della natura. Mentre quella eroica, alle vittorie su undici città alleate riportate dagli Eugubini nel 1151 per intercessione di Sant’Ubaldo e per la quale i ceri sarebbero la rappresentazione di carri di guerra. Il peso di ogni cero, dotato di maniglie per il trasporto orizzontale e di perni per l’innesto nella barella necessaria al trasporto a spalla, è di quasi 300 chili.
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sport
Lux Rosae, appuntamento ormai essenziale nel settembre viterbese, giunge alla quarta edizione Ne abbiamo parlato con Rodolfo Valentino, presidente del comitato organizzatore. Enrico Lentini
Ciao Rodolfo, come nasce Lux Rosae? L’idea della fiaccola mi venne mentre correvo nel tratto viterbese della via Francigena, mi allenavo ed incontravo pellegrini italiani e stranieri che camminavano verso Roma, così pensai di organizzare una sorta di pellegrinaggio inverso (da Roma a Viterbo) in occasione dei festeggiamenti di Santa Rosa. Poi grazie al disegno di Raffaele Ascenzi e alla realizzazione di Luca Occhialini è stato possibile dare concretezza alla mia idea, una fiaccola di circa un chilo di peso. Lux Rosae, giunge a Viterbo la sera del tre settembre, viene utilizzata per accendere gli ultimi lumini della macchina ed infine viene posizionata all’interno della stessa, per la precisione in uno spazio appositamente creato sulla parte posteriore della base.
moniare simbolicamente la vicinanza della nostra città a questi ragazzi, alla partenza della fiaccola, ci saranno degli esponenti della giunta comunale, rappresentanze dei mini facchini e degli sbandieratori del corteo storico. Come ogni anno partiremo la mattina del 3 settembre, effettuando un percorso di circa 160 chilometri, per arrivare in serata a piazza S. Sisto, in tempo per la partenza della macchina. I messaggeri saranno ancora una volta 18 (numero non casuale che richiama l’età di Santa Rosa alla morte), selezionati tra sportivi e rappresentanti delle associazioni di volontariato della nostra zona. Ci saranno, ad esempio, rappresentanti dei Vigili del Fuoco, dei clown di corsia, della Croce Rossa Italiana, dell’associazione Beatrice ONLUS e molti altri, che ringraziamo della partecipazione.
Come riuscite ad organizzare tutto questo?
Come si è evoluta nel corso degli anni?
Lux Rosae sarà affiancata da “Centesimiamo”, spiegaci di che si tratta.
Partendo dalla benedizione della fiaccola da parte di papa Francesco il 2 settembre del 2015 siamo giunti, come Gloria di cui abbiamo preceduto ogni trasporto, alla quarta edizione. Il primo trasporto si è svolto da Roma a Viterbo, come nella mia idea originaria, il secondo nel 2016 è partito da Assisi, l’anno successivo da Amatrice. Per il 2018 abbiamo scelto un altro luogo simbolo da cui iniziare il percorso, l’istituto Agazzi, situato nella località omonima della provincia di Arezzo. Nell’istituto, che si occupa della riabilitazione di ragazzi autistici, sono ospitati 23 giovani viterbesi che soffrono di questo disturbo. A testi-
Centesimiamo è una raccolta fondi che avrà inizio il 22 agosto, giorno del montaggio della macchina di Santa Rosa e del posizionamento della statua della santa, per rimanere attiva fino a qualche giorno prima di Natale, quando ci sarà la donazione del ricavato. L’intera devoluzione della somma raccolta sarà a favore della ONLUS Campo delle Rose, un’associazione di famiglie che sta completando una struttura socio sanitaria (il “Campo delle Rose” appunto), vicino Marta, dove speriamo possano trovare ospitalità i 23 ragazzi autistici viterbesi che si trovano, in questo momento, all’istituto Agazzi di Arezzo.
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Ufficialmente Centesimiamo sarà inaugurata dal sindaco, con l’immissione di un centesimo d’oro nella brocca, che poi conterrà tutte le donazioni. La brocca, anch’essa con un significato particolare in quanto rimanda al miracolo della brocca di Santa Rosa, è stata disegnata da Raffaele Ascenzi e realizzata dal laboratorio di ceramiche Artistica di San Pellegrino. Tutti i viterbesi e non che vorranno donare “dei centesimi” troveranno la brocca nella Basilica di Santa Rosa, mentre in occasione delle cene dei facchini sarà posizionata a piazza S. Lorenzo insieme ad uno stand dell’associazione Campo delle Rose. La scorsa edizione abbiamo raccolto 3.071 euro, donati alla casa famiglia del Carmine, ovviamente ci poniamo l’obiettivo di superare quella cifra!
Riusciamo a portare avanti queste iniziative grazie ad un gruppo di amici validissimi, il direttivo di Lux Rosae, che vorrei citare e ringraziare. Oltre a me ne fanno parte: Pino Tenti, Bruno Maria Buzzi, Enrico Alfonsini, Leonardo Mastronicola e Luigi Mechelli. Inoltre vorrei porgere dei ringraziamenti speciali ad altri attori fondamentali nello svolgimento delle nostre iniziative, realtà molto vicine al mondo dell’associazionismo: il Sodalizio dei facchini e il presidente Mecarini, l’ AVIS e il presidente Mechelli, il Comune e il sindaco Arena, la Diocesi ed il vescovo Fumagalli, don Emanuele parroco di Villanova, Confartigianato e il direttore De Simone, la Banca di Viterbo e la Consulta Comunale del Volontariato.
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Teverina Buskers, festival internazionale degli artisti di strada Tre giorni di spettacoli, arte di strada, circo contemporaneo, workshop, mercatini artigianali, spazio bimbi, street food e molto altro.
14-15-16 settembre, Borgo Fantasma, CELLENO (VT) orna l'attesissimo appuntamento con l'unico Festival della Tuscia interamente dedicato all'Arte di Strada e il Circo contemporaneo. Il 14, 15 e 16 settembre il comune di Celleno (VT) ospiterà la III edizione del Teverina Buskers un grande festival internazionale degli artisti di strada organizzato dall’Associazione Il Circo Verde con la direzione artistica di Simone Romanò e il patrocinio dell’Amministrazione comunale. Un evento culturale totalmente gratuito che trasformerà ancora una volta, il piccolo centro della Teverina, in un raduno internazionale di artisti di strada.
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Grandi artisti arriveranno dal Brasile, dall’Argentina, dall’Inghilterra, dal Belgio, dalla Germania e dal Cile per dare vita alla magia e all’allegria che, anche quest’anno invaderà pacificamente le strade di Celleno. Grazie al successo delle precedenti edizioni e alle sinergie tra le diverse realtà private e istituzionali presenti sul territorio, quest’anno il Teverina Buskers, sarà in grado di offrire al pubblico, una esperienza ancora più indimenticabile. La grande novità di questa terza edizione infatti è rappresentata dal fatto che l’intero evento si svolgerà nel “Borgo Fantasma” ovvero Celleno antica. La Big-Up- Scuola di Circo e la Scuola Romana di Circo, con i loro laboratori per bambini e per adulti; Daniele Antonini con il suo “Lunapark” e la sua animazione pedagogica; giocolieri, clown, trapeziste, acrobati, street band, truccabimbi offriranno
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al pubblico una grande finestra sul ricco panorama del circo contemporaneo e dell'arte di strada. Si inizia la sera di venerdì 14 con un grande C.A.B.A.R.E' a cura della Compagnia La Settimana Dopo e il suo “calderone artistico” che dal Teatro Furio Camillo di Roma si trasferisce, per una notte, nella piazza del Castello di Celleno. Sabato 15 e domenica 16 invece le attività partiranno nel primo pomeriggio e proseguiranno fino a notte fonda. Le oltre 30 repliche, tra spettacoli e performance, gli espositori di artigianato locale, con giochi e produzioni naturali insieme all’immancabile offerta di street food e la magica location del Borgo Fantasma di Celleno, rendono la terza edizione del Teverina Buskers un imperdibile evento di fine estate. È possibile sostenere l’evento contribuendo alla raccolta fondi attivata sul sito di Produzioni dal Basso, piattaforma di crowdfunding. Per rimanere costantemente aggiornati sulle novità e il programma si possono visitare la pagina FB e il sito internet del Festival.
Tutto il programma su teverinabuskers.it Pagina Facebook: facebook.com/teverinabuskers Email: info@teverinabuskers.it Info: Segreteria 328 8775691 Direzione artistica 328 4674637
Il borgo fantasma
A pochi chilometri dalla più famosa Civita di Bagnoregio, esiste un piccolo borgo che ne condivide la triste sorte, infatti lo sperone di tufo dove è stata eretta Celleno antica si sta progressivamente erodendo. Verso la fine dell’800 a causa di un’epidemia di febbre e in seguito a dei violenti terremoti, la popolazione si spostò di circa un chilometro per costruire la Nuova Celleno in un terreno più stabile. L’ingresso al Borgo è dominato dall’imponente Castello Orsini e all’interno sono ancora visibili i caratteristici edifici in tufo rosso non intonacato.
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enologia
foto tratta dal sito poderegrecchi.com
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Cenni storici e tecnici sul Roscetto La riscoperta di un antico vitigno. Carlo Zucchetti
oscetto. Vitigno storico. Presente in Tuscia da tempi remoti. Documenti storici ne attestano la presenza nel periodo in cui Viterbo era sede papale. In epoca della genesi del Conclave per intenderci. Quando i viterbesi stanchi dell’interminabile Sacro Collegio segregarono i cardinali all’interno del Palazzo dei Papi (clausi cum clave). Scoperchiando il tetto. Lasciandoli senza cibo. Dopo un anno di impasse, velocemente, elessero Gregorio X. Il 3 marzo 1966 furono istituite le prime quattro Denominazioni di Origine Controllata (DOC) in Italia: Vernaccia di San Gimignano, Est! Est!! Est!!! di Montefiascone, Ischia e Frascati. Ahinoi, purtroppo, la DOC della Tuscia fu pubblicata per seconda, il giorno dopo quella della Vernaccia di San Gimignano. Era il 7 maggio 1966. Nei tre vitigni del disciplinare dell’Est! Est!! Est!!! di Montefiascone oltre il Trebbiano e la Malvasia c’era appunto il Roscetto. Nome locale del Trebbiano Giallo. L’allevamento di questi tre vitigni è sempre stato, e lo è ancora oggi, complanare. Ovvero presenti nella stessa vigna. Il più delle volte addirittura sullo stesso filare. Tre cultivar molto differenti per ampelografia e maturazione. È acclarato che nei vecchi vigneti di oltre 30/40 anni le diverse specie tendono ad avere un comportamento molto simile. Tutt’oggi in gran parte, infatti, l’Est! Est!! Est!!!
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di Montefiascone è un uvaggio. Le uve, cioè, vengono fatte fermentare tutte insieme. A differenza della maggior parte dei vini italiani dove si pratica il vinaggio, ovvero, la vinificazione separata delle uve diverse, con un taglio successivo per definire il vino che andrà in bottiglia. Stefano Stefanoni della Cantina Stefanoni di Montefiascone a fine anni novanta è stato il primo a provare a vinificarlo in purezza. I primi risultati furono più che soddisfacenti. I terreni vulcanici dell’area falisca contribuirono con sapidità e mineralità, e soprattutto vulcanicità, a dare eleganza e longevità ad un vitigno poco aromatico e quasi “neutrale”. Da allora altre aziende montefiasconesi lo hanno prodotto: l’Antica Cantina Leonardi e la Falesco. Per la sua estrema versatilità il Roscetto ne sono uscite versioni Metodo Classico, oltre la Cantina Stefanoni lo ha prodotto la Falesco. Con quest’azienda dei fratelli Cotarella, Riccardo, presidente mondiale degli enologi, e Renzo amministratore delegato della Marchesi Antinori l’azienda più grande e fra le più prestigiose italiane, si è avuta la sua diffusione in tutto il mondo. Ferentano IGT Lazio bianco Falesco, una versione del Roscetto in barrique, ha vinto numerosi premi nelle riviste del settore. Non poteva mancare una versione da seduzione: Passirò IGT Lazio passito Falesco.
Negli anni si è implementata la coltivazione. Complice, anche, l’aumento della percentuale nell’uvaggio Est! Est!! Est!!! di Montefiascone fino al 40%. Si è esteso l’allevamento anche nelle zone limitrofe. Una versione del Tuscia DOC Rossetto è stata proposta sempre in zona vulcanica, anche se in maggior parte basaltica, a Vitorchiano da Podere Grecchi. Vino che ha ottenuto anche i Tre Est!!! dalla Tuscia del Vino la guida editata da www.carlozucchetti.it. Curiosa la ipercorrezione burocratica del termine Roscetto. Il nome di questa uva deriva dal colore che assume in epoca di maturazione. Roscio non Rosso. Studi recenti dell’Università di Viterbo sul DNA ne attestano la “parentela” con la famiglia dei Greco. Ne hanno asseverati sette cloni differenti. Viene coltivato oltre che nella nostra regione in Lombardia, Puglia, Umbria e Veneto. Ad oggi non ci sono altri vini vinificati in purezza al di fuori della Tuscia. Personalmente ho avuto modo di assaggiare un Colle de Poggeri Roscetto IGT Lazio bianco 2004 Cantina Stefanoni insieme ad altri colleghi e produttori, alla cieca e ad insaputa dello stesso produttore, per i cinquant’anni della DOC Est! Est!! Est!!! di Montefiascone. “Ne son venute fuori delle belle”. La vulcanicità, la longevità ci ha spinto a paragoni inimmaginabili. Scriverli potrebbe risultare presuntuoso.
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Il “Roscetto” di Vitorchiano Ce lo racconta Sergio Buzzi, uno dei titolari dell’azienda vitivinicola Podere Grecchi. Sergio, qual è la storia dell’azienda? La nostra azienda è stata acquistata nel 1973 da mio padre, Carlo. Il nome deriva dalla presenza di un antico insediamento di Greci; successivamente la trascrizione delle carte topografiche ha trasformato il nome grechi in grecchi. Inizialmente l’azienda produceva cereali e nocciole. Nel 1999 mio fratello Massimo, perito agrario, ed io, che ho studiato Agraria ed Enologia, abbiamo intrapreso uno studio dettagliato del terreno e dell’esposizione e, grazie anche al supporto di alcuni docenti dell’Università della Tuscia, abbiamo impiantato i primi due ettari di vigneto. Negli anni successivi la superficie è aumentata fino ad arrivare a circa 11 ettari. Nella scelta dei vitigni abbiamo seguito due strade: la prima incentrata sulle varietà legate al territorio (autoctone); la seconda sui vitigni internazionali. Raccontaci come avete recuperato il “Roscetto”. È un’idea nata per caso nel 2007, in seguito all’incontro con un anziano il quale ci parlò di una vigna di “Roscetto”. Ci raccontò che di tale varietà, tipica di Vitorchiano, lo zio centenario ne custodiva, gelosamente, alcuni filari. Colti dalla curiosità, nel mese di settembre 2007, abbiamo effettuato un sopralluogo su questo antico vigneto e, in effetti, c’erano diverse viti di “Roscetto”, differenti da quello tipico di Montefiascone. Decidemmo così di intraprendere questa nuova avventura: nell’inverno successivo piantammo delle viti selvatiche e l’estate seguente le innestammo con le vecchie viti. Nel 2015 abbiamo imbottigliato per la prima volta questa varietà in purezza, Il Fedele, e abbiamo avuto delle buone risposte sia da parte dei consumatori locali ma, soprattutto, dalle guide nazionali del settore. Dunque, ritengo che sia una varietà molto interessante e che possa essere uno spunto per il futuro del nostro territorio. Quali sono le caratteristiche del Rossetto? Innanzitutto, il nome deriva dal fatto che si tratta di una varietà a bacca bianca, la quale si matura circa quindici giorni prima rispetto alle altre uve utilizzate in passato, come la malvasia e i vari trebbiani. Perciò, quando si andava a raccogliere l’uva, quella per il “Roscetto” si differenziava dalle altre varietà a bacca bianca poiché si presentava molto matura e ossidata, risultando rossiccia. Oggi, invece, si raccoglie nei tempi giusti e può essere considerata una varietà a bacca bianca a
tutti gli effetti, nonostante abbia mantenuto il nome storico. Come mai era andata persa? Il motivo è da ricercare nella tendenza, ormai passata, a produrre una elevata quantità di prodotto senza puntare ad un’alta qualità. Il Rossetto in confronto alle altre varietà, come il trebbiano toscano e la malvasia, ha un grappolo più piccolo, più serrato, che in definitiva rende meno. Quindi, nonostante a
Fedele Lazio Rossetto DOP UVAGGIO: Rossetto o Roscetto 100% (Varietà autoctona selezionata in antiche vigne) ALTITUDINE DEI VIGNETI: 300-400 metri s.l.m. TIPOLOGIA DEI TERRENO: Calcareo argilloso SISTEMA DI ALLEVAMENTO: Guyot PRODUZIONE PER ETTARO: 80-90 q.li CEPPI PER ETTARO: 4.000 VENDEMMIA: Il Rossetto viene raccolto a metà settembre MATURAZIONE E AFFINAMENTO: In acciaio COLORE: Giallo con riflessi dorati GUSTO: Deciso, pieno dall’ottima morbidezza PROFUMO: Esprime numerosi sentori di frutta bianca, spezie e piacevoli note floreali PRODUZIONE MEDIA ANNUA: 3.300 bottiglie ALCOOL SVOLTO: 13% Vol.
tutti fosse noto l’apporto di grado zuccherino di qualità, chi nelle vecchie vigne aveva piante di “Roscetto” lo conservava comunque in piccola quantità. Si poteva trovare in tutto il territorio ma la vinificazione in purezza praticamente non veniva effettuata. Anche per il più noto Grechetto si mischiavano le uve e la differenziazione è avvenuta solo dopo gli anni ’90. Comunque, questa tipologia è stata negli ultimi anni valorizzata ed è presente nel disciplinare del marchio DOP Colli Etruschi Viterbesi. Quali obiettivi vi siete posti e quali sviluppi futuri ti auguri? La Podere Grecchi, si prefigge di portare a termine una vinificazione che cerchi di andare a ritrovare i profumi tipici di questa varietà, non utilizzando botti in legno o la miscelazione con altre varietà che potrebbero andare a camuffare gli aromi autentici di questo vino. Oltretutto la nostra è una varietà di suo particolare: parte delle differenze tra i vari “Roscetti” della provincia è anche dovuta alle diversità di terreno, per esempio è argilloso-calcareo quello su cui sorge la nostra vigna a Vitorchiano, vulcanico invece quello di Montefiascone. La speranza è che altre aziende della provincia proseguano nel solco tracciato dal nostro lavoro e che, insieme, si possa migliorare questa interessante varietà. C’è da ripetere e provare diverse vinificazioni, sperimentare la forma di allevamento migliore, la resa ottimale. Si può produrre vino in iperossidazione, in riduzione, in botti d’acciaio, di cemento, di legno, insomma in mille modi! Non a caso sono stato per due stagioni in Piemonte e lì mi si è aperto un mondo, perché stando a Viterbo con le sole conoscenze del territorio, nonostante l’Università, non sarei riuscito a produrre vino come riesco a fare oggi. È fondamentale svolgere una o più esperienze fuori provincia, andare dove sono più bravi e poi importare le conoscenze acquisite. Con il territorio che abbiamo avremmo degli eccellenti risultati, ogni zona della provincia di Viterbo ha ottime potenzialità in ambito vitivinicolo. La debolezza risiede nel fatto che siamo aziende troppo piccole e frammentate, manca un’organizzazione dei produttori. Quando abbiamo iniziato a vinificare e a vendere a Viterbo ci prendevano per matti, ora che nella zona ci sono diverse aziende che offrono un prodotto di qualità, finalmente buona parte della popolazione comincia a credere nelle potenzialità della nostra terra.
Società Semplice Agricola Podere Grecchi Strada Sammartinese, 8 - 01100 Viterbo - Tel. e fax: 0761 333785 www.poderegrecchi.com
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Feste della castagna della Tuscia Manuel Gabrielli
l Viterbese, soprattutto nella zona dei Monti Cimini, è un’area storicamente votata alla coltivazione delle castagne. Da citare soprattutto Vallerano che dal 2009 ha visto riconosciuta la sua come Castagna di Vallerano DOP. Il legame dei castagni con i territori dei vari paesi ha quindi portato nei decenni all’istituzione di numerose feste e sagre. Per questo motivo la Camera di commercio di Viterbo propone ogni anno, e questo corrente sarebbe il quattordicesimo, la costituzione di un unico calendario organizzato per tutte le feste. Queste ultime si svolgono in coincidenza del raccolto delle castagne che avviene tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre e a partecipare sono storicamente i paesi della montagna: Vallerano, Soriano nel Cimino, Canepina, Caprarola con l’aggiunta di San Martino al Cimino e della più lontana Latera.
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Sebbene la maggior parte delle feste siano delle sagre tradizionali dove la castagna è protagonista e viene affiancata da spettacoli musicali, mercatini e ristorazione, quelle di Caprarola e Soriano nel Cimino hanno affiancato la festa con degli eventi che sono diventati addirittura più noti della festa in sé. Si tratta di Cioccotuscia per Caprarola, un evento che si tiene presso le ex Scuderie del Palazzo Farnese, ormai diventato un affermato festival di promozione di tutti i prodotti tipici, e della Manifestazione Storico Rievocativa per Soriano che
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si tiene in concomitanza della Sagra delle Castagne. Quest’ultima, che si svolgerà durante il primo e il secondo weekend di ottobre, è giunta alla Cinquantunesima edizione ma la rievocazione fu in realtà istituita alla fine del XV secolo per ricordare i fatti del 1489. In quell’anno il castellano di Soriano era Didaco de Carvajal. Questi venne ucciso con l’inganno da Pietro Paolo Nardini feudatario di Vignanello, il quale poi chiamò a sé con un segnale dal castello, grazie a dei traditori, i suoi soldati. La popolazione di Soriano accortasi del fatto reagì sconfiggendo l’invasore in quella che poi prese il nome di Battaglia del Fosso del Buon’incontro. La rievocazione, dopo anni di interruzione, venne ripresa nel 1968 e dura da allora. Sebbene abbia avuto degli inizi modesti, grazie al lavoro dell’Ente Sagra delle Castagne e quindi all’impegno di circa 800 persone, ogni anno il paese viene trasformato per la rievocazione: vengono costruiti ponti levatoi, portoni, cancelli in ferro, torrette, le insegne dei negozi vengono nascoste e gli stemmi degli antichi signori di Soriano campeggiano sulle bandiere sparse per tutto il paese. La festa si compone di ben 5 parti: - il Convivium Secretum, durante il quale è possibile visitare le taverne delle quattro contrade dove vengono rievocati periodi storici diversi, e di conseguenza anche pietanze diverse, per un arco
temporale che va dal 1200 al 1550; - l’esibizione di sbandieratori, spadaccini, focolieri e tamburini; - la rievocazione storica che, oltre alla già citata battaglia, va a riprendere anche altri fatti importanti avvenuti dal 1200 in poi; - il corteo storico, con la sfilata di più di 800 figuranti, il quale si svolge la seconda domenica di ottobre; - il Palio, una gara tra i quattro rioni composto dalla giostra degli anelli, con la quale ogni fantino con il proprio cavallo effettua tre giri della pista centrando con la lancia uno dei tre anelli di differente diametro posti su ciascuno dei 9 paletti lungo il percorso, e dal tiro con l’arco su tre distanze. iù tradizionale invece la Sagra del Marrone di Latera, giunta alla trentaquattresima edizione, che si terrà il 20, 21, 27 e 28 ottobre e prevede un mercatino per tutte le vie del paese e le postazioni con le caldarroste nelle due piazze principali, IV Novembre e piazza della Rocca. Sarà sempre presente musica dal vivo e da domenica 21 sarà possibile assistere anche all’esibizione di street band itineranti per le vie del paese. Per chi volesse gustare i marroni anche in altre “salse” il Centro Polivalente di Latera ospiterà delle cene con menù autunnale. La materia prima utilizzata è garantita del posto.
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