Il Neorealismo - Alessia Pozzerle

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Il Neorealismo: DA

LA CIOCIARA A LA CROCIFISSIONE

ESAME DI STATO

A.S. 2009/2010

Alessia Pozzerle



ISISS CARLO ANTI

Villafranca di Verona

candidata:

Alessia Pozzerle Classe:

5Atg

Il Neorealismo: DA

LA CIOCIARA A LA CROCIFISSIONE

ESAME DI STATO A.S. 2009/2010

Alessia Pozzerle



Indice

Introduzione

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Il cinema neorealista

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La Ciociara: il romanzo e il film

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The poster

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Un po’ di storia

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Analisi dell’opera La Crocifissione di R. Guttuso

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Bibliografia-Sitografia

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INTRODUZIONE

Nel corso dell’anno scolastico ci è stata proposta la lettura di due romanzi della corrente neorealista, La ciociara e La ragazza di Bube. Il progetto, pluridisciplinare, ci ha visti analizzare anche i film tratti dai due romanzi, la psicologia dei personaggi, le relative locandine nell’aspetto pubblicitario e, infine, per contestualizzare le storie delle due protagoniste femminili, Cesira e Mara, il contesto storico e artistico del periodo. Personalmente, mi ha emozionato e coinvolto di più, nella lettura, La ciociara di A. Moravia; lo stretto rapporto che unisce questa madre alla figlia Rosetta, e la violenza che entrambe subiscono, è struggente, e la visione del film, nel quale Cesira è interpretata magistralmente da Sofia Loren, ha contribuito a rendere questa storia

indimenticabile. Da qui l’idea di approfondire questo momento storico dell’Italia, gli alleati bloccati sulla linea Gustav, i marocchini lasciati liberi di “agire” in cambio di qualche km guadagnato. La storia di Cesira quindi, che rimarrà un anno (autunno ’43 – primavera ’44) sulle montagne della Ciociaria in attesa che gli americani raggiungano Roma, come del resto aveva fatto lo stesso Moravia che nel romanzo narra un’esperienza personale, è la storia di molte donne italiane, soprattutto ciociare, vittime della violenza degli uomini e della guerra. L’analisi dell’opera La crocifissione di Renato Guttuso (1941), come suprema espressione del dolore e del sacrificio dell’innocenza, concluderà il mio approfondimento.

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IL CINEMA NEOREALISTA

Con la caduta del Fascismo e la fine della Seconda Guerra Mondiale, iniziò la stagione del cosiddetto Neorealismo Italiano: figlio del Verismo letterario di Giovanni Verga, divenne attuale per il bisogno di raccontare le condizioni di vita effettive, dopo anni in cui una fotografia e un cinema edulcorati favorivano l’evasione. La sua ispirazione principale venne proprio dal fotogiornalismo e dalla straight photography, attenta alla vita delle strade e lontana da ogni deformazione o abbellimento della realtà. Tra il 1946 e il 1950 il Neorealismo cinematografico italiano ritrasse il quadro dei problemi italiani del periodo postbellico: il tema della guerra e della lotta partigiana, il sottosviluppo del Mezzogiorno, la disoccupazione urbana. I protagonisti del movimento, furono: Luchino Visconti, Roberto Rossellini, e Vittorio De Sica. Il cinema neorealista, che è la testimonianza culturale italiana, del Secondo Novecento più nota e riconosciuta, contribuì a diffondere nel mondo una

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nuova identità italiana: la miseria e il lutto vi si contrapponevano alla volontà di reagire, ritratta soprattutto nella storia della gente comune. Non a caso, benché numerosi attori di fama internazionale abbiano prestato a questi film il loro volto, molte parti vennero affidate ad attori non professionisti e a personaggi presi dalla strada. Le riprese venivano effettuate in interni vissuti o in esterni naturali, dando luogo a immagini spoglie quando non crude, a dialoghi spontanei quando non decisamente dialettali. In questo flusso di sincerità senza veli emersero figure di antieroi e una concezione della vita centrata sulle necessità di sopravvivere, in contrapposizione al “Credere, obbedire, combattere” che era stato il moto fascista. Il fenomeno neorealista, ha influenzato tutto il cinema mondiale e sta alla radice, in Italia, della Commedia all’Italiana che trionfò dagli anni cinquanta e che ebbe come protagonisti attori come Totò, Vittorio Gassman, Nino Manfredi e Alberto Sordi.


Nella pagina precedente: in alto una scena di Roma città aperta di Rossellini; in basso, Alberto Sordi, icona indiscussa della commedia all’italiana;

Il Neorealismo è stata un movimento culturale, nato e sviluppatosi in Italia durante il secondo conflitto mondiale e nell’ immediato dopoguerra, che ha avuto dei riflessi molto importanti sul cinema contemporaneo soprattutto negli anni compresi tra il 1943 e il 1955. Il cinema neorealista è caratterizzato da trame ambientate in massima parte fra le classi disagiate e lavoratrici, con lunghe riprese all’aperto, e utilizza spesso attori non professionisti per le parti secondarie e a volte anche per quelle primarie.

I film trattano soprattutto la situazione economica e morale del dopoguerra italiano, e riflettono i cambiamenti nei sentimenti e le condizioni di vita: frustrazione, povertà, disperazione. Poiché Cinecittà, il complesso degli studi cinematografici che dall’aprile del 1937 era stato il centro della produzione cinematografica italiana, fu occupata dagli sfollati sul finire del secondo conflitto mondiale e nell’immediato dopoguerra, i film vennero spesso girati in esterno, sullo sfondo delle devastazioni belliche, nei primi anni di sviluppo e di diffusione del neorealismo. Il neorealismo ebbe risonanza mondiale per la prima volta solo nel 1945, con Roma, città aperta, primo importante film uscito in Italia nel’immediato dopoguerra. Il lungometraggio narra, con accenti fortemente drammatici, la lotta morale degli Italiani contro l’occupazione tedesca di Roma, facendo coscientemente il possibile per resistervi. Il neorealismo propriamente detto si esaurì attorno alla metà degli anni cinquanta, tuttavia influenzò sensibilmente alcuni registi successivi, fra cui Pier Paolo Pisolini, che nei primi anni sessanta diresse alcuni film apparentemente ascrivibili al genere, anche se l’attenzione al picaresco in quel momento era evidente e apertamente dichiarata.

Sopra, una foto di scena tratta dal celebre Ladri di biciclette di De Sica; a destra Totò e Ninetto Davoli in Uccellacci uccellini di Pierpaolo Pasolini.

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LA CIOCIARA: IL ROMANZO E IL FILM

La Ciociara, è un romanzo drammatico scritto da Alberto Moravia, ma anche un film del 1960 diretto da Vittorio De Sica. Entrambi, raccontano di Cesira una giovane contadina della Ciociaria, vedova, forte e risoluta, che vive a Roma insieme alla figlia di 13 anni Rosetta che aveva allevato in modo del tutto riservato e timido, con sincera confidenza e affettuosità durante la seconda guerra mondiale. Per sfuggire ai bombardamenti, e alle mille insidie di una città allo sbando, affida il proprio negozio a Giovanni, un vecchio amico del marito, e intraprende un viaggio non semplice per rifugiarsi insieme alla figlia, a Vallecorsa in Ciociaria, paese d’origine della famiglia. Arrivate con difficoltà a destinazione, Cesira, conosce Michele, un giovane intellettuale comunista, che aveva un grande disprezzo per la borghesia e per il padre, il quale, si vantava di non essere fesso perché i fessi, erano quelli che credevano a quello che c’era scritto sui giornali, che pagavano le tasse, che andavano in guerra e che ci rimettevano la pelle. Dopo alcuni attriti iniziali, Cesira, si innamora di Michele, al quale anche Rosetta si affeziona come se avesse trovato quel padre che non ha mai avuto. Michele però viene preso da cinque soldati nazisti proprio pochi giorni prima della liberazione e si incammina con loro sui monti senza

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lasciare più sue tracce. Quando il peggio sembra passato, Cesira, decide di fare ritorno a Roma, ma proprio questo viaggio verso la serenità, risulta fatale. Sulla via verso la città, le due donne, fermatesi in una chiesa diroccata per riposarsi, vengono aggredite e violentate da un gruppo di soldati marocchini. La madre, è costretta ad osservare, nello strazio della figlia innocente, le conseguenze della guerra. Rosetta, che era solo una bambina, ne esce profondamente traumatizzata, e nella sua impotenza dinanzi a tanto delitto, Cesira osserva la figlia cambiare giorno per giorno sotto i suoi occhi, accorgendosi che essa ormai, si dava a tutti gli uomini che incontrava e che la soccorrevano, camionisti e borsari neri. Cesira colpita da un dolore profondo, turbata più per la figlia che per sé, non sa come poterla aiutare a sciogliere un rancore che sembra dominarla e prevalere su tutto. Alla notizia della tragica morte di Michele, fucilato in montagna dai nazisti come si sospettava, le due donne si abbandonano, insieme, a versare lacrime cariche di dolore, di disperazione, in un pianto liberatorio, mostrandoci una madre e sua figlia nonostante tutto attaccate l’una all’altra.

Qui sopra: la copertina del romanzo; nell’altra pagina, la locandina della pellicola nella versione francese e alcune scene del film


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THE POSTER

This poster create san impact and rappresents two women embracing. This eyes are wide open, they are obviously scared and in pain after having been raped. The background is black and wee see a patch of red representing fire and blood. At the top there is the name of these director. Bottom left there is the name of the main character Sophia Loren capitalized in intense yellow. Below we can the great title of the film LA CIOCIARA printeding a red bold font and below the list of all actorring highlited in blue.

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UN PO’ DI STORIA

Con il termine “marocchinate” vengono indicate quelle donne, ma anche bambini di entrambi i sessi, uomini, religiosi, vittime delle violenze dei soldati marocchini del Corps expeditionnaire francais (Cef ), comandati dal generale Juin. Furono migliaia. E’ dimostrato che non fu solo la popolazione ciociara a subire le violenze durante le famose cinquanta ore di «premio» promesse da Juin alle truppe se avessero sfondato la linea di Cassino, ma che il fenomeno partì dal luglio '43 in Sicilia, attraversò il Lazio e la Toscana e terminò solo con il trasferimento del Cef in Provenza, nell'ottobre del '44. Un'altra fondamentale novità che la denuncia e gli studi apportano a questi fatti è che non furono solo i marocchini a macchiarsi di tali nefandezze, ma anche algerini, tunisini e senegalesi. Nonché «bianchi» francesi: ufficiali, sottufficiali e di truppa. E qualche italiano aggregato ai «liberatori». Quando gli eserciti anglo americani giunsero nel gennaio del 1944 di fronte alla linea Gustav, i loro comandanti certamente non pensarono che la celere avanzata verso Roma, si sarebbe trasformata in una logorante e sanguinosa guerra di posizione. Nei seguenti mesi invernali, infatti, il generale Harold Alexander, comandante in capo delle forze alleate in Italia, si ostinò ad attaccare frontalmente le

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difese tedesche nel settore di Cassino riuscendo a perdere nell’arco di tre distinte battaglie, che comportarono anche la distruzione della storica abbazia, oltre 60.000 uomini. A fronte di questi evidenti insuccessi, nello studio tattico di quella che doveva essere la quarta ed ultima Battaglia per Cassino che portò all’occupazione angloamericana di Roma, il generale Alexander decise di tentare una manovra di aggiramento delle difese tedesche. Si sarebbe ottenuto così l’Aggiramento dei difensori di Montecassino. A svolgere questo difficile e delicato compito furono chiamate le truppe del Corps expeditionnaire Français (C.E.F.) agli ordini del generale Alphonse Juin. Le forze del C.E.F. comprendevano 99.000 uomini per la maggior parte marocchini e algerini provenienti dalle colonie francesi. Completava l’organico una piccola aliquota di senegalesi. La caratteristica di queste truppe coloniali era l’eccellente addestramento nei combattimenti montani. «Vivere e battersi in montagna era qualcosa di naturale per questi soldati, e un terreno che altri avrebbero considerato un ostacolo era per i nordafricani un alleato». Questi uomini «selvaggi avvolti in luridi barracani, che per mesi, per impedire che compissero violenze sessuali ai danni delle popolazioni civili,

Lettera di testimonianza di tre donne ciociare (si noti l’età) violentate dai marocchini


La linea Gustav

erano stati sottoposti al coprifuoco, ed impediti ad uscire dai loro accampamenti recintati con filo spinato», erano denominati goumiers, in quanto non erano inquadrati in formazioni regolari, ma organizzati in goums, ossia gruppi composti da una settantina di uomini, molto spesso legati tra loro da vincoli di parentela. All’alba del giorno scelto per l’attacco, il 14 maggio 1944, il generale Juin inoltrò il seguente proclama: «Soldati! Questa volta non è solo la libertà delle vostre terre che vi offro se vincerete questa battaglia. Alle spalle del nemico vi sono donne, case, c’è un vino tra i migliori del mondo, c’è dell’oro. Tutto ciò sarà vostro se

vincerete. Dovrete uccidere i tedeschi fino all’ultimo uomo e passare ad ogni costo. Quello che vi ho detto e promesso mantengo. Per cinquanta ore sarete i padroni assoluti di ciò che troverete al di là del nemico. Nessuno vi punirà per ciò che farete, nessuno vi chiederà conto di ciò che prenderete». Tale allucinante promessa venne purtroppo rispettata alla lettera. Gli alleati sfondarono la linea Gustav solo nel maggio 1944. Bombardarono e distrussero l’antica abbazia di Montecassino e arrivarono a Roma il 4 giugno.

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ANALISI DELL’OPERA LA CROCIFISSIONE DI RENATO GUTTUSO

La crocifissione di Renato Guttuso, realizzata nel 1941, fu presentata al pubblico in occasione del Premio Bergamo istituito da Giuseppe Bottai fra il 1939 e il 1942, Ministro dell’Educazione nell’Italia fascista. Quest’ultimo, benché coerente con i dettami dello stato che auspicavano un’arte fedele al regime, evidenziò un’apertura culturale nei suoi confronti. Infatti, l’arte nel ventennio fascista seguì in genere un’involuzione, definita “ritorno all’ordine”, che riproponeva i valori della tradizione accademica: buon disegno, volumi chiaroscurati con maestria, soggetti popolari (la famiglia, le donne allieve o madri, il soldato, il bambino, il paesaggio e così via). All’inizio “ritornare all’ordine” significava, dopo il primo conflitto mondiale”, “ritornare” al silenzio, alla tranquillità, allontanando la sperimentazione delle avanguardie precedenti (cubismo e futurismo, soprattutto); poi, invece, in progressione con il gruppo Novecento italiano l’arte diventò uno strumento di potere, che vide un esempio importante in Mario Sironi, Italia corporativa

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(1936). Nel 1938, però, si oppose a Novecento italiano il Gruppo di Corrente, nato a Milano, grazie a Ernesto Treccani. Vi aderirono veri autori, fra cui ricordo Renato Guttuso. Corrente privilegiava modelli, quali: l’Espressionismo, la Nuova Oggettività tedesca, il Cubismo. Si dissociava dai valori fascisti per abbracciare la resistenza, che sembrava esprimersi con forme astratte o quasi, espressionistiche e cubiste, un po’ realiste nel senso che si interpretavano fatti veramente accaduti. La crocifissione di Renato Guttuso rileva tali elementi. Infatti, può essere compresa come un’opera religiosa: mostra Gesù in croce fra i due ladroni. Ma, Gesù è poco visibile, non è il protagonista della scena. Colpisce, invece, Maddalena nuda che asciuga i piedi del Cristo. Ci sono anche la Madonna e dei soldati nudi a cavallo. La nudità indica l’onestà e la povertà umana, come se tutti fossimo carne da macello: c’è molto rosso, il colore della Passione di Cristo e anche del sangue versato. Guttuso cita


Picasso, inserendo il cavallo che ha la postura ripresa da Guernica (1937), opera simbolo del dolore e della sofferenza provocati dalla guerra. Picasso evita il colore e utilizza i grigi, il bianco e il nero, per nascondere emozioni, secondo il cubismo analiticosintetico; Guttuso mantiene, invece, un colore espressionistico, forte, potente, caratterizzato soprattutto dal rosso. Nell’insieme l’opera di Guttuso è definibile nella dimensione di cubismoespressionismo. La natura morta in basso, la ciotola e le forbici, attualizzarono la crocifissione, come se fosse il sacrificio di tutti gli

italiani di fronte a una guerra che per l’umanità intera non ha mai senso di verificarsi. La guerra uccide anime innocenti ovunque! Interessante è ricordare che a sostenere Corrente era Antonio Banfi, filosofo, il quale affermava: L’arte vuol vivere la vita e la vita è una sola cosa con la libertà. Libertà intima di sviluppo, possibilità di dare a se stessa le proprie norme, problemi, contenuti. Da questa libertà assoluta dell’arte, dipende di consacrare in lei la poeticità della vita.

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BIBLIOGRAFIA-SITOGRAFIA

I. Danelli, Il ritorno all’ordine. Realismo e astrazione, slide per il percorso pluridisciplinare, appunti dalle lezioni, I.S.I.S.S. “Carlo Anti” di Villafranca, Verona, A.S. 2009-10 G. Dorfles-A. Vattese, Il ritorno all’ordine, in Arti visive. Il Novecento. Protagonisti e movimenti, Bergamo 2006, pp. 248-277 G. Felici, Il neorealismo, slide per il percorso pluridisciplinare, appunti dalle lezioni, I.S.I.S.S. “Carlo Anti” di Villafranca, Verona, A.S. 2009-10

http://www.italia-rsi.org/alleatidichi/juinciociare.htm http://www.italianidizara.eu/2008/laciociara.jpg http://it.wikipedia.org/wiki/Neorealismo_(cinema)

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