Obey e Shepard Fairey - Lorenzo Mariotto

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I.S.I.S.S. Carlo Anti - Grafico Pubblicitario - Candidato Lorenzo Mariotto Classe: V BTG a.s. 2009-2010



2 OBEY 4 6 HOPE 8

INTRODUZIONE

SHEPARD FAIREY

10 RocK STAR 12 PROPAGANDA




Shepard fairey, americano classe 1970 proveniente dal mondo della grafica e del design, sul finire degli anni 80 crea per gioco una produzione artistica sotto forma di stancil che prendera il nome di “obey giant” (obbedisci al gigante) l’idea e’ quella di sovvertire la legge del manifesto pubblicitario, ossia la trasmissione immediata del messaggio per sconcertare chi guarda a indurlo a farsi la domanda, che cosa sto guardando? Cosa mi stanno chiedendo di comprare? Cosa sto capendo? Ogni tanto nelle sue serigrafie intervengono temi come la pace o la guerra in iraq ma quelli sono piu’ che altro slogan, quello che interessa veramente a obey alias shepard fairey e’ la fenomenologia stessa del messaggio, e cioe’ verificare la reazione della gente. La ripetitivita e la banalita sono un virus che fairey vi immette tramite i suoi stancil che usa come forma estrema di protesta creativa. Al contrario di duchamp fairey ha il compito di spiazzare con la normalita’ contro le continue trovate delle avanguardie, fairey torna all’accademismo scolastico dello stancil, questo perche’ le avanguardie non sono piu’ un segno di ribellione come lo erano nella seconda meta’ del secolo scorso, oggi al contrario sono uno strumento di inserimento nella societa’ e nella cultura.

Obey Giant di per se non vuol dire nulla: “L’adesivo non signfica nulla ma esiste perché le persone reagiscano, e vi cerchino un significato.”

Shepard Fairey


Ricordate il film They live (in italiano era tradotto “Essi vivono”) di John Carpenter? Un giovane vagabondo, grazie a particolari occhiali neri, scopriva che molti uomini erano in realta’ degli extraterrestri mascherati che condizionavano l’umanita’ attraverso messaggi pubblicitari subliminali. Con l’aiuto di un operaio nero il protagonista riusciva alla fine a smascherare lo yuppismo reaganiano trasmesso mediante i comandamenti “consuma, dormi, guarda la televisione”. Da li’ venne l’idea di Obey (obbedisci), diventato anche pseudonimo di Fairey, con il quale l’artista firma manifesti con una grafica molto semplificata, ma allo stesso tempo di oscura interpretazione perche’ priva di un vero prodotto da promuovere.

Malgrado il suo logo e la sua estetica rappresentino anche una serie di capi d’abbigliamento, Obey non si puo’ liquidare solo come un prodotto di moda. Shepard Fairey ci propone delle immagini dallo stile urbano che si contraddistinguono dalla massa per le numerose referenze alle icone piu’ famose e per le tecniche svariate che utilizza: dallo stencil alla pittura, dagli sticker al collage. Ma e’ soprattutto l’esercizio visivo e intellettuale estremamente raffinato e pieno di humour alla base della sua ricerca che ha intrigato e provocato piu’ di un passante e che oggi suscita non pochi interessi nell’ambito della critica e del collezionismo piu’ attento.



La strana storia di Shepard Fairey, street artist e designer tra i piu’ quotati degli Stati Uniti usa l’adesivo come forma d’espressione. Negli spazi urbani e non solo Fairey nasce a Charleston, South Carolina il 15 febbraio 1970, Il suo primo incontro con l’arte e’ verso i 14 anni, da quel momento la sua passione diventa sempre piu’ grande, realizza disegni sul suo skateboard e tshirt. La sua produzione artistica in serie inizia per gioco, nel 1989, sui muri di Rhode Island, tra l’artista e un suo compagno universitario per poi diventare un vero e proprio fenomeno globale. La sua prima operazione di adesivi e poster ha visto come protagonista l’immagine di un famoso wrestrel con la dicitura “Andre’ the giant has a posse” L’illustrazione, all’inizio diffusa tra gli skater e graffitari, riempi’ le strade della citta’ del est coast, e in breve tempo l’intera nazione americana, tanto da attirare l’attenzione della Titan Sports (la federazione internazionale di wrestling) che minaccio’ Fairey di intraprendere un’azione legale se non avesse smesso di sfruttare l’immagine di Andre’. Farey, allora, decise di stilizzare quanto piu’ possibile il volto di Andre’ fino a renderlo irriconoscibile, associandogli lo slogan “OBEY”. La campagna “OBEY”

(obbedisci) si ispira al film di John Carpenter “Essi vivono”, in cui l’attore Roddy Piper ripete una serie di slogan tra cui “Obey”, appunto. Il messaggio e’ chiaro, come afferma lo stesso Fairey: “fare in modo che le persone mettano in discussione la loro obbedienza”. Dopo un paio d’anni scrivera’ un manifesto per dare una dignita’ artistica all’invasione dei suoi sticker e ne parlera’ come “un esperimento sul concetto di fenomenologia proposto da Heiddegar”, sempre citando le sue parole (tradotte): “La fenomenologia cerca di mettere le persone in grado di vedere chiaramente quelle cose nascoste sempre sotto i propri occhi, quelle cose date per scontato che sono praticamente invisibili all’osservazione distratta. Il primo obiettivo [...] e’ di risvegliare lo stupore per l’esplorazione dei propri spazi. [...] Obey infatti non ha un significato in se’ stesso, ma e’ solo un modo per avviare delle reazioni nelle persone e nella loro relazione con lo spazio in cui vivono.” Cosi’ oggi le sue ‘opere’ sono esposte nelle collezioni del New Museum of Design di New York e in molti altri musei nazionali e internazionali.


Mi è piaciuta molto l’idea che sia necessario fare degli sforzi per decifrare i messaggi. Il mio passaggio preferito del film è quando il protagonista decodifica su una banconota il messaggio “Questo è il tuo Dio”!

Shepard Fairey


Esistono immagini in grado di conquistare l’immaginario collettivo e di divenire dei “classici” sin dalla loro prima comparsa. La celebre foto di Ernesto Che Guevara, ad esempio, che ancora oggi possiamo ritrovare appesa in milioni di muri o stampata sulle t-shirt, oppure la Marilyn di Andy Warhol, o la linguaccia dei Rolling Stones, e gli esempi sono numerosi. Una di queste immagini, la piu’ recente in ordine di tempo, e’ sicuramente il celebre poster realizzato nel 2008 per la campagna elettorale del presidente degli Stati Uniti Barack Obama realizzata con i colori della bandiera americana. Tale rappresentazione, oltre ad essere diventata il vero simbolo di tutta la campagna del presidente Obama, e’ stata imitata e parodiata innumerevoli volte, segno indiscutibile del grande impatto che ha avuto sul pubblico. Shepard Fairey aveva realizzato

tale immagine di sua iniziativa personale, essendo egli un estimatore e sostenitore del candidato democratico, e in seguito i responsabili della campagna elettorale del futuro presidente decisero di utilizzare la sua idea su vasta scala. I primi 700 poster uscirono a gennaio di quest’anno, e in pochi minuti andarono sold out. Pochi giorni dopo, tramite il guru del marketing, Yosi Sergant, Fairey fu contattato dallo staff di Obama per realizzare immagini simili, ma la scritta, che all’inizio era “PROGRESS”, doveva essere cambiata in “Hope”, “Progresso forse suonava troppo Marxista”, ironizza Fairey (del resto l’immagine trae ispirazione dalla celebre foto di Che Guevara, scattata il 5 marzo del 1960 da Alberto Korda). Nei mesi successivi, andarono in stampa 700.000 copie e l’intero progetto di merchandising (poster, stikers, spille e gadget di

ogni tipo) costo’ piu’ di 400.000 dollari, di cui l’autore dice di non aver visto nemmeno un centesimo. il suo lavoro ha avuto impatto un enorme, soprattutto sui giovani, del resto, il messaggio di Obama e’ molto vicino alla concezione artistica del giovane illustratore, gia’ sostenitore dell’ex senatore dell’Illinois dal 2004. Quest’immagine e’ diventata la piu’ rappresentativa di tutta la campagna presidenziale sebbene, in origine, non fosse stata creata per questo scopo. Obama stesso, con una lettera personale, ha ringraziato Shepard per l’impegno profuso.in seguito alla nascita del poster pero il giovane illustratore e’ stato accusato di violazione di copyright per uso della foto base del manifesto “Hope”L’agenzia di stampa ha accusato Fairey di aver copiato il ritratto del presidente da una fotoscattata da un suo fotografo e dunque di sua proprieta’.


Sono successe talmente tante vicende equivoche in questi ultimi giorni che è diventato decisamente difficile per me continuare a difendere il mio cliente in questa situazione.

Anthony Falzone (avvocato di fairey)



“

Caro Shepard, io voglio ringraziarti per aver usato il tuo talento nel supportare la mia campagna elettorale, il messaggio politico emerso dal tuo lavoro ha incoraggiato gli americani a credere nel cambiamento e cambiare cosi questo status-quo.

“

Barack Obama


Fairey (che si firma Obey) sin dagli anni 90 ha portato avanti un progetto molto interessante: dopo aver studiato a lungo i manifesti della propaganda delle dittature e dei regimi del XX secolo, ha deciso di riprenderne i temi e l’iconografia mutandone pero’ il significante. Nei suoi manifesti troviamo ancora, ad esempio, il classico agente preposto all’ordine pubblico che ci sorride, ma invece di rassicurarci sul fatto che ci “protegge”, il poliziotto di Farey ci rende noto che “ci rompera’ il culo”. In un altro manifesto, lo Zio Sam, sempre sorridente, tiene in mano una serie di teschi, su cui appaiono i nomi di Democrazia, Diritti Umani, Pace, Giustizia, Privacy, Liberta’ Civili. Le creazioni di Farey, in altre parole, riprendono le fondamenta della propaganda e le scardinano palesandone gli inganni; per mezzo della contrapposizione

immagine/messaggio l’osservatore e’ costretto a riflettere su cio’che gli viene comunicato, e si raggiunge cosi’ un risultato esattamente opposto rispetto alla funzione dei manifesti propagandistici “reali”. Ma nel momento in cui Shepard decide di realizzare un manifesto atto a sostenere una causa in cui crede, ecco che riutilizza tutte le sue nozioni sulla propaganda, e le mette in atto in maniera impeccabile; tutto questo dopo aver creato diverse opere che smascheravano quelle stesse tecniche. E l’immagine del futuro presidente che prende cosi’ vita si dimostra davvero perfetta per il suo scopo, un esempio destinato a divenire punto di riferimento per tutti gli spin doktors delle prossime campagne. Sembra quasi un capitolo tratto da 1984 di George Orwell - libro per il quale, tra l’altro, Shepard

ha disegnato una copertina e precisamente il momento in cui Winston Smith si ritrova tra le mani il libro proibito scritto dal dissidente Goldstein, che spiega per filo e per segno le tecniche usate dal regime per soggiogare i cittadini. Per poi scoprire, in seguito, che Goldstein non esisteva, e che quel libro era stato scritto dagli stessi uomini del regime. Ultimamente nei suoi ultimi lavori si nota una sensibilita’ veramente notevole infatti attualmente sta vendendo anche una stampa del ritratto di una donna sopravvissuta al cancro,inutile dire che tutto il ricavato andra’ alla ricerca contro i tumori insomma fairey con uno stile unico e ogni volta sempre piu’ impressionante affronta quotidianamente tematiche difficili da rappresentare come l’antimilitarismo, sostenibilita’ ambientale,e l’ecologia della mente.




Providence aveva una scena artistica pazzesca rispetto a quello cui ero abituato, c’erano migliaia di adesivi politici e musicali. Poi, cosa che mi interessava molto, trovai anche alcuni sticker artistici con la targhetta ‘hello my name is…’. Da quel momento iniziai a pensare all’adesivo come mezzo di espressione personale anziché come modo di rappresentare una band, un’azienda o un movimento.

Shepard Fairey


Dicembre 2009 esce in edicola l’ultimo numero dell’anno della rivista Rolling Stone che dedica la sua copertina al premier silvio berlusconi nominandolo ironicamente rock star dell’anno, la copertina e’ un’opera dell’artista shepard fairey. dopo tante chiacchiere in giro, ecco cosa dice lo street artist statunitense a proposito dell’illustrazione realizzata in esclusiva per Rolling Stone Italia. “In my work, I sometimes try to call authority figures into question, especially when they seem to have dubiousmotivesunderlyingtheiractions.EverythingI’veheardandreadaboutBerlusconileadsmeto believe he fits that description. My Italian friends have often told me that Berlusconi is to Italy what George W. Bush was to the U.S. – a leader who is not a uniter, but a divider and tears at the social fabric of the country for the financial benefit of its wealthiest citizens, including himself. I think people also draw the comparison because Berlusconi and Bush have a similar brand of arrogance. In my Berlusconiimage,Itriedtocapturethearrogancethroughhisfacialexpression,andshowthedamage of his arrogance as he tears apart the Italian flag.”



-www.repubblica.it -www.rollingstonemagazine.it -www.obeygiant.com -UnDo.Net - Guida all’ Arte Contemporanea in Italia

-XL Repubblica - Dettaglio articolo 14/01/10 -20 Year Edition Supply and Demand -Pluribus Venom -The Philosophy of Obey




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