Il tema di tutto il mio lavoro riguarda il modo in cui l’ideologia negli anni ’70 è stata sempre legata al modo di vestire e ne ha caratterizzato ogni espressione. Da qui la definizione del titolo Abito in una ideologia: abito come abitare, quindi far parte, prendere posizione ma anche vestito, indumento che diventa concretizzazione di una ideologia che identifica politicamente e socialmente il soggetto che ne fa parte.
Nella società in cui viviamo oggi si possono elencare una serie di classificazioni sociali in base alla musica, i cui sostenitori si vestono in modo diverso a seconda del genere, ma anche in base all’appartenenza politica, secondo la quale un naziskin si presenta in un modo diverso da un comunista, e poi via via per professione lavorativa, cultura, etnia, reti sociali e alla religione. Di base, quindi, il mio percorso ha una radice antropologica, ma quello che ho voluto proporre è la diversità del valore che l’abito assume ora e del valore ideologico che ha assunto negli ’70, un abito che ha creato una rivoluzione culturale e per cui si era disposti a sacrificare la vita. Quello che ha causato le agitazioni e quello che ha fatto del ’68 soprattutto e degli anni ’70 un momento storico importante, è stato il
nuovo fenomeno della nascita della società di massa. Per questo il mio percorso non si sofferma solo sugli appartenenti alle manifestazioni e sul loro modo di vestirsi, ma va oltre: ho analizzato e confrontato altri importanti personaggi che, grazie alle loro opere, v hanno caratterizzato quegli anni.
È in questi anni che la pop art già nata alla fine degli anni ’50 ha un forte sviluppo estendendo la sua influenza in tutto il mondo occidentale, e sempre in questi anni c’è il ritorno del dadaismo, l’avanguardia storica che più si è staccata dal passato promuovendo idee nuove nell’arte e che provocatoria e radicale, riappare come New Dada. Nella letteratura italiana appare un grande scrittore e poeta che ha suscitato polemiche e dibattiti, Pier Paolo Pasolini che, insieme a personaggi come Andy Warhol e Piero Manzoni , agli Hippy e ai manifestanti italiani e di tutto il mondo, ha fatto degli anni ‘60/’70 un momento storico importante, che influenza ancora oggi la società in cui stiamo vivendo.
Gli anni ’70 del Novecento, vedono nascere dei movimenti culturali importanti a causa dei mutamenti sociali caratterizzati dalla nascita della nuova società dei consumi basata sul denaro e sul mercato, con l’affermazione del capitalismo nella vita sociale. Già nel 1967, in diversi paesi europei, si diffusero agitazioni studentesche concentrate perlopiù nelle università, che vennero occupate e dove il movimento tentò di dar vita alla controcultura, legandosi alla battaglia per i diritti civili e alle filosofie che esprimevano un rifiuto radicale ai principi della società del capitale.
L’Italia è caratterizzata da manifestazioni formate da giovani studenti che reclamavano i pregiudizi dei professori e il sistema classista e antico delle scuola, erano militanti simpatizzanti della sinistra. Alle manifestazioni si univano gli operai delle fabbriche che rifiutavano l’organizzazione del lavoro e i principi capitalisti della nuova società che opprimeva il valore umano con il profitto economico.
Rivendicavano il rinnovo di molti contratti di lavoro, aumenti salariali, la diminuzione dell’orario di lavoro, le pensioni, la casa, la salute, i servizi. Per la prima volta il mondo dei lavoratori si trova a combattere unito al mondo studentesco sulle molte questioni lavorative, provocando nel Paese tensioni sempre più radicali e di carattere rivoluzionario, sfiorando in alcuni casi l’insurrezione, visti i proclami, i giornali e i fatti che accadevano in Italia. Gli obiettivi comuni ai diversi movimenti erano la riorganizzazione della società sulla base del principio di uguaglianza, il rinnovamento della politica in nome della partecipazione di tutti alle decisioni, l’eliminazione di ogni forma di oppressione sociale e di discriminazione razziale e l’estirpazione della guerra come forma di relazione tra gli stati.
Contemporaneamente nascono movimenti negli Stati Uniti contro la Guerra del Vietnam che, con la morte del rivoluzionario Ernesto “Che” Guevara in Bolivia nel 1967, si intensificarono proclamando a tutti i rivoluzionari del mondo di schierarsi contro la superpotenza americana e l’imperialismo. Nasce il grande movimento Hippie, composto per la maggior parte da adolescenti e giovani adulti bianchi, di età compresa tra i 15 e i 25 anni che cercarono di liberarsi dalle restrizioni della società, scegliendo la propria strada e trovando un nuovo senso nella vita.
Cercano un’espressione dell’indipendenza dalle norme sociali con il loro insolito modo di vestire e di autogoverno, spesso furono pacifisti e presero parte a cortei politici non-violenti. Gli Hippy respingevano con forza le istituzioni, criticavano i valori della classe media, erano contrari alle armi nucleari e alla Guerra del Vietnam, abbracciavano aspetti della filosofia orientale, promuovevano la libertà sessuale, erano spesso vegetariani e ambientalisti, promuovevano l’uso di droghe psichedeliche per espandere la propria coscienza, e creavano comunità intenzionali e comuni. Essi utilizzavano arti alternative, il teatro di strada, la musica popolare, e le sonorità psichedeliche come parte del loro stile di vita e come modo di esprimere i propri sentimenti. La parola Hippy deriva dal temine “hipster”, ed era
stato inizialmente utilizzato per descrivere i beatnik cioè i membri della Beat generation come gioco di parole con il satellite sovietico Sputnik, per sottolineare sia la distanza dei beat dalla società corrente sia il fatto che erano vicini alle idee comuniste che si erano trasferiti nel distretto di Haight-Ashbury di San Francisco. Gli hippy, insieme alla New Left (Nuova Sinistra) e alla American Civil Rights Movement (Movimento Americano per i diritti civili), sono considerati i tre gruppi di dissenso della cultura alternativa degli anni sessanta. Molti hippie mossero critiche alle istituzioni e ai valori del tempo (Governo, industria, morale tradizionale, guerre). Le istituzioni che loro rinnegarono vennero denominate “Establishment”. Il movimento hippy ebbe il suo apice nei tardi anni Sessanta e all’inizio degli anni Settanta. Il Festival di Woodstock (1969) radunò centinaia di migliaia di hippies ùprovenienti da tutti gli Stati Uniti e da altre nazioni. Il termine non è da confondersi con Yippie che indica i membri dello Youth International Party (Partito Internazionale della Gioventù), ovvero l’ala politicizzata del movimento hippy di orientamento anarco-comunista.
Fu il sanguinoso conflitto che vide impegnati gli USA, dal 1962 al 1975, nel Vietnam,il territorio indocinese che venne diviso nel 17° parallelo tra Vietnam del Nord e Vietnam del Sud sotto decisione della conferenza di Ginevra (1954). Al nord vi era un governo comunista, mentre al sud vi era un governo filo-americano. Il timore degli USA era l’unificazione del Vietnam sotto un regime comunista, che si sarebbe potuto diffondere anche ad altri stati asiatici.
Nel sud filo-americano vi era un nutrito gruppo di comunisti (i Vietcong) che si battevano per l’unificazione del Vietnam che con l’appoggio del governo del Vietnam del Nord e della Cina, diedero vita ad atti di guerriglia. Nel 1965 le forze americane irruppero con pesanti bombardamenti aerei contro le strutture del Nord e rafforzarono notevolmente le loro truppe che, oltre agli americani, contavano anche coreani, tailandesi e australiani. Furono inoltre inviati 3.500 elicotteri e il pronto intervento operativo. Tra il 1969 e il 1973, il Presidente americano Nixon volle ridurre la presenza delle truppe terrestri americane e ad aumentare quelle aeree e navali. Tale politica, detta “vietnamizzazione del conflitto”, fallì e i massicci bombardamenti effettuati sui due paesi furono aspramente contestati
dall’opinione pubblica americana. Al rientro dei primi reduci, giovani oramai devastati dalla guerra, si moltiplicarono le proteste delle famiglie, e dei sempre più forti moti studenteschi, disgustati dall’impegno ingiustificato degli Stati Uniti in una guerra non americana. La pace fu firmata grazie ad una parziale uscita degli Stati uniti dal conflitto, dovuta all’avvicinamento di Nixon all’Unione Sovietica e alla Cina, un trattato fu firmato il 27 gennaio 1973. Ma i combattimenti continuarono causando ancora gravi perdite tra civili e militari.
Nel 1974 il Sud iniziò ad abbandonare i presidi degli avamposti più lontani che non poteva difendere, e le forze del Nord diedero inizio (gennaio 1974) all’attacco per la completa conquista del Sud. Il 30 aprile le truppe vietcong occuparono Saigon e i governanti di Hanoi che, privi ormai di ogni opposizione, fecero della regione un unico Stato. La guerra, tuttavia, terminò solo nell’ aprile del 1975.
L’eskimo è un giubbotto con cappuccio bordato di pelo, di fattura semplice, che porta il nome degli abitanti del circolo polare artico e divenne il simbolo politico della battaglia ideologica e del proletariato, poiché di prezzo accessibile alle fasce meno abbienti. In vendita in negozi di articoli ex militari e simili, diventò un segno di riconoscimento della controcultura, in cui si riconoscevano i militanti e i simpatizzanti di sinistra. L’eskimo era un
giaccone impermeabile, lungo fino alle ginocchia o mezza coscia, dotato di cappuccio e larghe tasche e chiusura a lampo, ai polsi una maglia elastica ne garantiva la tenuta termica; la sua colorazione più comune era verde militare, ma era presente anche nella variante blu scuro. Tale indumento è diventato un’icona caratteristica e simbolica di una classe sociale e dell’ideologia politica degli anni ‘70.
La moda Hippy si presentava con capelli lunghi e abiti essenziali nelle caratteristiche, in risposta al modo di vestirsi borghese. Jeans, semplici tuniche in cotone naturale, piedi nudi, visi femminili struccati, sandali, gonne e pantaloni a vita bassa dalla vestibilità morbida. Un non-vestire che porterà alla diffusione a 360 gradi dei jeans.
Tutti questi elementi ritornarono anche nella moda degli anni ‘70, con un trionfo del patchwork, e hanno avuto un nuovo momento di gloria anche nelle collezioni di fine millennio realizzate dagli stilisti più famosi a livello internazionale, che ne hanno data una lettura estremamente decontestualizzata a livello politico intesa come estrema libertà nel porsi, nel vestirsi e nel mettersi in mostra. La moda Hippy ricerca il gusto folk e tutto
ciò che è legato ideologicamente alla necessità di recuperare le forme più semplici e naturali. I giovani per la strada indossano magliette corte, gilet a fiori, camicie annodate sopra l’ombelico, pantaloni a zampa d’elefante, gonnellone zingaresche ispirate a diverse etnie: non a caso gli ’70 sono gli anni d’oro dei mercatini dell’usato, dei sabot di legno, degli scialli e dei maglioni fatti amano, delle tinture vegetali, della macrobiotica e dell’erboristeria.
La Pop Art esordisce in Gran Bretagna alla fine degli anni ‘50 ma si sviluppa soprattutto negli Stati uniti a partire dagli anni ‘60: estendendo la sua influenza in tutto il mondo occidentale. É una delle più importanti correnti artistiche del dopoguerra che discende direttamente dal graffiante cinismo della “Nuova oggettività” del Neoplasticismo e del dadaismo. Questa nuova forma d’arte popolare (pop: l’abbreviazione inglese di popular) rivolge l’attenzione agli oggetti, ai miti e ai linguaggi della società dei consumi quindi l’appellativo “popolare” deve essere inteso in modo corretto, non come arte del popolo o per il popolo ma, più puntualmente, come arte di massa cioè prodotta in serie. In un mondo dominato dal consumo, la Pop Art respinge l’espressione dell’interiorità e dell’istintività e guarda, invece, al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi che circondano l’uomo contemporaneo. È infatti un’arte aperta alle forme più popolari di comunicazione: i fumetti, la pubblicità, i quadri riprodotti in serie.
Il fatto che la Pop art vuole mettere sulla tela o in scultura oggetti quotidiani elevandoli a manifestazione artistica, lo si può idealmente collegare al Dadaismo(movimento svizzero nato negli anni ‘20 del ‘900), ma completamente spogliato da quella carica anarchica e provocatoria.
La critica alla società dei consumi, degli hamburger, delle auto, dei fumetti si trasforma presto in merce, in oggetto che si pone sul mercato anche artistico completamente calato nella logica mercantile. Ciò nonostante gli artisti che hanno fatto parte di questo movimento hanno avuto un ruolo rivoluzionario introducendo nella loro produzione l’uso di strumenti e mezzi non tradizionali della pittura, come il collage, la fotografia, la stampa serigrafica, il cinema, il video. La sfrontata mercificazione dell’uomo moderno, l’ossessivo martellamento pubblicitario, il consumismo eletto a sistema di vita, il fumetto quale unico, residuo veicolo di comunicazione scritta, sono i fenomeni dai quali gli artisti pop attingono le loro motivazioni. La Pop Art usa il medesimo linguaggio della pubblicità e risulta dunque perfettamente omogenea alla società dei consumi che l’ha prodotta. L’artista, di conseguenza, non trova più spazio per alcuna esperienza soggettiva e ciò lo configura quale puro manipolatore di immagini, oggetti e simboli già fabbricati a scopo industriale, pubblicitario o economico. Questi oggetti, riprodotti attraverso la scultura e la pittura, sono completamente spersonalizzati.
Il movimento New Dada in America e il gruppo dei Nouveaux Realistes in Europa riprendono l’atteggiamento mentale del Dada che può essere riassunto con il rifiuto del concetto e della volontà di produzione dell’opera d’arte tradizionale. Il Dadaismo punta all’elevazione a valore estetico e artistico di oggetti trovati tramite il “ready-made” dando così una sorta di “battesimo artistico” ad oggetti d’uso comune, predilezione dell’uso di elementi derivati dalla comunicazione di massa, fotografie, ritagli, manifesti, ecc., rielaborate con montaggi o ricomposizioni. In linea con tali principi il New Dada recupera l’uso dell’oggetto e dell’esperienza quotidiani rispetto alla prevalenza dell’uso della pittura e della scultura (persistente anche nell’informale europeo e nell’action painting americano). La versione italiana del New Dada si esprime con Piero Manzoni e il Nouveau Realisme molto vicino a Duchamp e al Dada ponendo l’accento sul progetto mentale, sull’evento e sull’azione dell’artista, più che sull’opera, in un processo di appropriazione della realtà nelle sue coordinate spaziali e temporali che
supera anche la sorta di feticismo insito nel ready made duchampiano. In questo senso non è l’oggetto singolo per i Nouveau Realistes ad essere il reale in cui si concentra l’operazione artistica: è il mondo intero che diventa un teatro dell’arte. Il gruppo nasce alla fine degli anni Cinquanta ad opera del critico Pierre, gli artisti più conosciuti sono: Klein, Tinguely, Raysse, César, Spoerri, Christo, Rotella.
Il New Dada propone un intervento sulla realtà e sugli oggetti della civiltà contemporanea, dei quali muta il valore e il senso precostituiti, avendo come obiettivo di arrivare con un’azione evidente e mirata alla coscienza del fruitore cui è destinato l’effetto di quel mutamento. L’oggetto assunto dagli artisti New Dada non è infatti inteso in senso duchampiano, decontestualizzato e elevato a dignità estetica, ma nella sua qualità oggettiva di elemento o rifiuto della civiltà contemporanea, oggetto che accompagna la vita quotidiana prima, durante e dopo l’uso, indistruttibile e inquinante.
Campbell’s Soup Cans, is a art work produced in 1962 by Andy Warhol. It consists of thirty-two canvases, each measuring 510 mm X 410 mm in width and each consisting of a painting of a Campbell’s Soup can, one of each of the canned soup varieties the company offered at the time.
The individual paintings were produced with a semi-mechanized silkscreen process, using a non-painterly style. Campbell’s Soup Cans’ is based on themes from popular culture and helped pop art to become the major art movement in the USA.Warhol was a commercial illustrator who became a successful author, publisher, painter, and film director. He showed the work on July 9, 1962 in his first
one-man gallery exhibition, in the Ferus Gallery of Los Angeles, California. The combination of the semi-mechanized process, the nonpainterly style, and the commercial subject initially caused a deep impact. Today, the Campbell’s Soup cans theme is generally used in reference to the original set of paintings as well as the later Warhol drawings and paintings depicting Campbell’s Soup cans. Warhol was the most-renowned and the highest-priced American pop art artist.
«lui che girava i film in giacca e cravatta, andava in televisione sportivamente, provocatoriamente in borghese, lontano dalle cravatte perbeniste ed omologanti della Rai in bianco e nero»
Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma 1975) è stata una delle presenze più intense e versatili della vita intellettuale italiana dopo il 1950. È stato uno scrittore, poeta e regista italiano, uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo. Dotato di un’ eccezionale versatilità culturale, attento osservatore della trasformazione della società dal dopoguerra sino alla metà degli anni settanta, ha suscitato spesso forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi notevolmente critici nei riguardi delle abitudini borghesi e della nascente società dei consumi italiana, ma anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti. La società stava cambiando sotto la spinta del capitalismo avanzato, cambiava la posizione dell’artista in essa, il senso del suo impegno; di questi temi l’opera di Pasolini fu testimonianza sofferta e denuncia, fino ai toni provocatori che ca-
ratterizzarono, negli ultimi anni, i suoi interventi pubblici. Quella di Pasolini fu una lotta lucida ed insieme disperata contro il consumismo dilagante e contro l’appiattimento dei valori culturali e sociali. Una vita violenta, 1955.
Il romanzo è ambientato nelle borgate romane, miserabili e malfamate, con le catapecchie, le bande di ragazzi sbandati, le scorribande notturne su auto rubate, le gazzarre dei fascisti, le prostitute. In questo mondo precario cresce Tommasino Puzzilli, che all’inizio vediamo bambino e seguiamo poi nelle tappe avventurose della sua vita.
Intorno agli anni Sessanta l’Italia subiva notevoli mutamenti: il rapido sviluppo industriale cambiava il volto ancora fortemente agricolo del paese, provocando una crescita scoordinata delle città. Qui migliaia di immigranti cercavano una sistemazione nei condomini di recente costruzione; ai bordi di questa anonima e degradata periferia andavano a formarsi quartieri fantasma, costituiti di baracche dove si adattavano a vivere i più sfortunati o semplicemente gli ultimi arrivati. Queste persone, che avevano rifiutato le abitudini contadine e che allo stesso tempo non sapevano integrarsi nella vita sociale della città, campavano di espedienti e di delinquenza ed erano fuori da ogni cultura e da ogni storia. Pasolini era interessato alle vicende di questi nuovi strati sociali, raccontando i quali poteva denunciare i limiti del “miracolo economico”. Egli non fa dei baraccati soltanto il simbolo di una condizione di emarginazione: per Pasolini essi sono l’unica valida alternativa all’appiattimento morale e
culturale portato dal consumismo borghese. Proprio perché fuori dalla storia, infatti, essi sono rimasti incontaminati e possono esprimere energie non corrotte e una vitalità genuina. Pasolini crea così il “mito” del sottoproletariato, trasferito anche all’ambito cinematografico, in particolare con il film Accattone. Negli ultimi anni Sessanta questo mito cade: Pasolini vede con crescenti chiarezza e sgomento che all’odiato modello piccolo borghese si stanno conformando anche il proletariato e il sottoproletariato, ormai conquistati dal modello di vita imposto dal capitalismo.
Pasolini, oltre che un grande critico, è stato un grande provocatore: molti dei suoi film furono censurati e la pellicola che creò più scalpore fu “Salò e le 120 giornate di Sodoma”, in cui egli manifesta i suoi valori marxisti presentando la “mercificazione dei corpi da parte del potere”, rifacendosi allo stesso Marx. Importante nel film è la sua critica alla nuova società dei consumi; infatti, nel “girone della merda”, una scena mostra dei borghesi con i loro schiavi che mangiano feci. Ciò si riferisce a come i produttori producano il cibo inscatolato, in serie, e costringano gli italiani a mangiare degli alimenti così cattivi da essere paragonati da Pasolini agli escrementi. Da questo il pittore italiano
Piero Manzoni trae spunto. Sempre negli stessi anni,infatti, critica in modo provocatorio,proprio come faceva Pasolini, la degenerazione e la decadenza dell’arte moderna, proponendo l’opera “Merda d’artista”, che si presenta come 90 barattoli di conserva con all’interno le feci dell’artista, ai quali egli applica un’etichetta con la scritta “merda d’artista” in inglese, francese, tedesco e italiano. Sulla parte superiore dei barattoli vi è apposto un numero progressivo da 1 a 90 con la firma di Manzoni. I barattoli furono messi in vendita ad un prezzo in oro equivalente al peso (30 gr).
La stessa rivolta studentesca del 1968 viene ritenuta da Pasolini soltanto una “guerra civile” fra ragazzi borghesi e i loro genitori borghesi.
N.10 Marcella Angiani, Maria Vittoria Martini, Eliana Princi, a cura di, La Grande Storia del Novecento. Il Novecento Seconda Parte, in “Il Sole24ore”, Firenze, dicembre 2005 M. Palazzo – M. Borgese, a cura di, Sistema Storia. Il novecento ai giorni nostri, Brescia 2008 G. Dorfles – A. Vettese, Il Novecento. Arti Visive. Protagonisti e Movimenti, Bergamo 2008, Tomo 3A
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