Studi e Ricerche su don Carlo De Cardona 2

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Studi e Ricerche

su don Carlo De Cardona e il Movimento cattolico in Calabria

Carlo De Cardona

pioniere dell’apostolato sociale dei contadini e artigiani calabresi di Demetrio Guzzardi • Franco Rizzo • Tommaso d’Aquino uno studio del 1941 un autentico decardoniano sulla redenzione di Nicola Paldino di Carlo De Cardona editoriale progetto 2000

• De Cardona • Nicola De Seta anticipatore cento anni fa del Vaticano II ucciso a Paola di Francesco Savino per la libertà

Centro Studi Calabrese Cattolici Socialità Politica

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Il Centro studi calabrese Cattolici socialità politica per ricordare la figura di don Carlo De Cardona, che ha realizzato in Calabria gli ideali dell’enciclica sociale Rerum novarum, ha promosso la pubblicazione dei quaderni periodici Studi e ricerche su don Carlo De Cardona e il Movimento cattolico in Calabria. QUADERNI GIÀ PUBBLICATI Il primo nuovo quaderno decardoniano Carlo De Cardona e l’associazionismo contadino in Calabria (1898-1927), è stato pubblicato nell’agosto 2018, dall’Editoriale progetto 2000 di Cosenza (formato 17x24, pagine 80, 33 foto, euro 8); curato da Demetrio Guzzardi, con i contributi di Nicola Paldino, mons. Francesco Savino, Carmensita Furlano, Demetrio Guzzardi, Igino Iuliano, Valentino Siciliano, Romilio Iusi, Luigi Intrieri. L’intero quaderno è sfogliabile su internet all’indirizzo: issuu.com/deguzza/docs/studi-ricerche-don-carlo-de-cardona-1?fbclid=IwAR31fJD0Xly e0WhcEWtY1Qy8vb9_F5oeXjqKH9zH-8ysqgmVD84GGJJTNHc


Studi e ricerche su don Carlo De Cardona e il Movimento cattolico in Calabria a cura di Demetrio Guzzardi

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Carlo De Cardona pioniere dell’apostolato sociale dei contadini e artigiani calabresi

editoriale progetto 2000


DATI EDITORIALI

CARLO De Cardona pioniere dell’apostolato sociale dei contadini e artigiani calabresi / a cura di Demetrio Guzzardi. - Cosenza : Progetto 2000, 2020. 80 p. : ill. ; 24 cm. - (Studi e ricerche su don Carlo De Cardona e il Movimento cattolico in Calabria ; 2) ISBN 978-88-8276-557-6 1. De Cardona, Carlo. I. Guzzardi, Demetrio. 261.7 (Scheda catalografica a cura dell’Universitas Vivariensis)

In copertina: don Carlo De Cardona in una foto del 10 agosto 1921, per la costituzione della Cassa rurale e artigiana di Vaccarizzo Albanese. La foto è stata postata su facebook da Vincenzo Librandi, ripresa da Ferdinando Perri, che me l’ha segnalata; successivamente ripostata da papàs Elia Hagi, parroco di Vaccarizzo Albanese. È stata così commentata da Mariapaolina Chinigò: «Mio marito Ercole Scura ha riconosciuto suo nonno Ercole Lamirata che è stato il primo presidente della Cassa rurale di Vaccarizzo Albanese. Il sacerdote più giovane (di rito latino) è un nostro zio, don Luigi Granata, amico di don Carlo De Cardona; anche l’altro prete (di rito greco) è nostro parente, papàs Cesare Greco. In quegli anni a Vaccarizzo Albanese erano attive due parrocchie, una latina e l’altra greca. Le altre persone raffigurate nella foto dovrebbero essere: i fratelli Salvatore e Gennaro Tocci, e poi: Francesco Braiotta e Gennaro Belsito. Non vorrei sbagliare ma è presente anche un altro zio, Achille Altimari di Macchia Albanese, uno dei promotori del movimento decardoniano» (D.G.)

© editoriale progetto 2000 Prima edizione, Cosenza, maggio 2020 ISBN 978-88-8276-557-6 Direttore editoriale: dott. Demetrio Guzzardi Direttore artistico: arch. Albamaria Frontino Per informazioni sulle opere pubblicate ed in programma e per proposte di nuove pubblicazioni, ci si può rivolgere a:

editoriale progetto 2000 Via degli Stadi, 27 - 87100 Cosenza

telefono 0984.34700 - e-mail: deguzza@tin.it - www.editorialeprogetto2000.it

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PRESENTAZIONE

FRANCO RIZZO UN AUTENTICO DECARDONIANO di N icola P aldino Presidente Banca di Credito Cooperativo «Mediocrati»

È da qualche anno che tutte le iniziative su don Carlo De Cardona ci vedono in prima fila: è il segno dell’attenzione verso il fondatore della nostra banca e del movimento cooperativistico della Calabria. Abbiamo sempre avuto per don Carlo un sentimento di riconoscenza, perché fare credito in un territorio come quello calabrese ha bisogno di forti motivazioni etiche. La foto di copertina di questo secondo quaderno decardoniano ci riempie di orgoglio; sapevamo – è riportato anche nello scorso numero (riquadro di p. 28) – che De Cardona «non voleva farsi ritrarre. Non si fissano le anime diceva», e ci eravamo fatti una ragione nel vedere don Carlo nella solita fotografia o nei disegni che nel corso del tempo furono realizzati; anche il fumetto Don Carlo De Cardona un passato sempre presente, con i disegni di Vincenzo Raimondi, voluto nel 2013 dal Club giovani soci della nostra BCC Mediocrati, raffigurava don Carlo riprendendo quella immagine ormai storicizzata. Ora, come un dono inaspettato, ci viene presentata questa foto, che ha quasi 100 anni; don Carlo è sotto l’insegna della banca, per l’inaugurazione della Cassa rurale di Vaccarizzo Albanese. È lì, con il suo bel cappello da prete – ho cercato e ho trovato che il copricapo romano si chiama Saturno… –; vicino a don Carlo due sacerdoti e i suoi amici e collaboratori che, con entusiasmo, hanno risposto alla sua chiamata di 1997: una festa della grande famiglia del movimento fare una banca diversa, uno strumento finanziacooperativistico calabrese. rio per la realizzazione di opere sociali, per dare Nella foto, Nicola Paldino uno sviluppo cooperativistico anche nel credito. con Franco Rizzo. A questo stesso ideale aveva aderito l’amico ing. Franco Rizzo, che pochi giorni fa ci ha lasciato, e a cui dedichiamo questo quaderno. Rizzo aveva saputo in anteprima dell’iniziativa di pubblicare periodicamente degli agili volumi su don Carlo e mi chiamò, per sollecitarmi a dare il giusto rilievo all’iniziativa editoriale promossa dal Centro studi calabrese Cattolici socialità politica; qualche tempo dopo mi vidi recapitare un plico da dare all’editore Demetrio Guzzardi, con alcuni 5


NICOLA PALDINO

Rende, 21 settembre 2018. Sede BCC «Mediocrati», sala De Cardona, presentazione del primo quaderno decardoniano, al tavolo: Demetrio Guzzardi, mons. Francesco Nolè, Nicola Paldino, Maria Locanto, Romilio Iusi e Antonio Acri.

documenti redatti da Rizzo su De Cardona. La Cassa rurale che Franco aveva impiantato a Calopezzati e poi a Mirto, con oltre 300 soci, portava proprio il nome del prete di Morano e nel plico, oltre al suo discorso inaugurale, aveva inserito una copia della preghiera scritta per l’occasione da mons. Serafino Sprovieri, all’epoca arcivescovo di Rossano-Cariati e da sempre uno dei decardoniani più convinti: non poteva non essere così, visto che era nato a San Pietro in Guarano. Tutto questo prezioso materiale è pubblicato nelle pagine che chiudono il quaderno, ma non sono da trascurare gli altri contributi che formano questa pubblicazione: un testo introvabile di don Carlo De Cardona su San Tommaso d’Aquino, pubblicato a Todi nel 1941, durante gli anni dell’esilio. Leone XIII, il papa della Rerum novarum, durante il suo lungo pontificato fece tornare in auge la teologia di San Tommaso, sia per la profondità della dottrina, che per la sua sapienza redentrice. Ci viene inoltre presentato un altro pezzo della nostra storia: gli avvenimenti di quel tragico 1° maggio 1920 – sono già trascorsi cent’anni – quando a Paola fu assassinato durante una manifestazione il giovane Nicola De Seta, leader della Lega del lavoro del Tirreno cosentino. La parte più consistente del quaderno è occupata dai 30 pannelli della mostra storica su De Cardona, realizzati per la Settimana della cultura calabrese 2018, che abbiamo ospitato per oltre un mese nella Sala De Cardona. E ancora la cronaca, che è già storia, della traslazione del corpo di don Carlo De Cardona, avvenuta il 2 dicembre 2018, dal cimitero comunale di Morano Calabro alla Chiesa della Maddalena; come ha detto nella sua omelia mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano Jonio, don Carlo con la sua opera «ha saputo mettere insieme il cielo con la terra». 6


STUDI E RICERCHE SU DON CARLO DE CARDONA

THOMAS D’AQUINO LUCERNA «VIVA» DI SAPIENZA REDENTRICE di don Carlo De Cardona

Don Carlo De Cardona ha pubblicato a Todi, nel 1941, con i tipi della tipografia Tuderte, un saggio su San Tommaso d’Aquino. L’opuscolo di 18 pagine ha ricevuto l’imprimatur del vescovo di Todi, mons. Alfonso Maria De Sanctis.

San Paolo apostolo, nella Lettera ai Galati (1,11-12) dichiara: che il suo Evangelo – quello che egli ha evangelizzato – non è secondo l’uomo; egli non l’ha ricevuto, non l’ha imparato da alcun uomo; e ciò, perché esso gli è stato dato per rivelazione direttamente da Gesù Cristo. Ora l’Evangelo di Paolo – a chi ben lo medita nelle sue parti e nel suo insieme – è tutto imperniato, con pienezza di sintesi logica, in alcuni principii che ne sono i cardini e i caposaldi. Uno di questi principii – se non addirittura il principio unico formale - è costituito dal fatto: che egli avendo lasciato agli altri evangelisti, e a Luca specialmente – suo discepolo e compagno – il racconto di quello che Gesù Cristo ha fatto durante la sua permanenza visibile fra gli uomini nel mondo visibile; egli – Paolo – ha tratteggiato, con le espressioni potenti del suo stile, ciò che Gesù ha fatto e continua a fare, in ciascun uomo, e particolarmente in quelli che appartengono a lui e al suo Regno, e sono le membra viventi del suo Corpo mistico. Evidentemente, è di suprema importanza, 7


CARLO DE CARDONA

conoscere quello che Gesù fa in ognuno dei suoi eletti: osiamo affermare in tutti noi suoi eletti; poiché – al dire di Paolo agli Efesini, (2,10): di Cristo – di Lui stesso – siamo il poema (Αὐτοῦ γάρ ἐσμεν ποίημα). Nello stesso verso, seguono altre frasi, nelle quali ben due verbi (κτισθέντες - προητοίμασεν) confermano e approfondiscono l’operare di Cristo nello spirito dei suoi eletti, affinchè in essi risplenda, nei secoli, l’opera sua redentrice. Uno di questi eletti – Tommaso, figlio del conte Landulfo d’Aquino e di Teodora napoletana – fu da Gesù Cristo acceso nel secolo XIII, acceso non come sole abbagliante ed eclatante, nell’alto degli spazi celesti, a 146 milioni di chilometri dalla nostra aiuola; ma, piuttosto, come lucerna viva, posta in mezzo a noi uomini, precisamente su questa nostra aiuola, e su questa nostra Italia, per riflettere e irradiare nelle menti e nei cuori la luce del Verbo. Nell’aspetto fisico della sua persona, quale ci è stato rappresentato da frate Giovanni da Fiesole, detto l’angelico, anche lui domenicano, e genio dell’arte pittorica, Tommaso, il dottore angelico, ha i tratti bellissimi e impressionanti, di un fanciullo, di un fanciullo pieno di tranquilla e luminosa possanza; quei tratti fanno pensare alle parole dell’Evangelo: «advocans Jesus parvulum statuit eum in medio eorum et dixit: quicumque humiliaverit se sicut parvulus iste, hic est major in regno coelorum» (Mt 18,2-4). Tommaso, fanciullo divino, stabilito da Gesù in mezzo alla sua Chiesa, e, per essa, in mezzo al mondo e nel mezzo dei secoli, Tommaso (compiutasi la sua puerizia fisica) continuò a essere fanciullo divino mediante il suo rinascere nello Spirito Santo, rinascere rigurgitante di vita soprannaturale e di ricchezze spirituali, che durò in lui anche visibilmente, fino al 6 dicembre 1273. In questo giorno, mentre celebrava la Messa, a Napoli, nella cappella di San Nicola, avvenne in lui un mutamento improvviso: fu preso come da uno stupore invincibile, che era luce di contemplazione abbagliante della verità da lui cercata e conquistata con crescente ardore. In quell’attimo divino, Tommaso usciva anche dalla puerizia dello spirito; poiché era già maturo per la visione beatifica. Egli non scrisse più. E al compagno suo, Reginaldo, che gli faceva premurose esortazioni, perché terminasse la Somma Teologica, rispondeva: «Non posso più…». Insistendo Reginaldo, egli aggiunse: «… non posso più: tali cose mi sono state rivelate!… Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia: ora attendo la fine della vita, dopo quella dei miei lavori». Un mese dopo, in viaggio per ordine del papa Gregorio X, fu costretto a fermarsi a Fossanova, nel grande monastero dei cistercensi. Quivi, il 7 marzo 1274, fra la commozione dei figli di San Bernardo, che l’avevano ospitato come si ospita un santo, entrò nella visione beatifica: facie ad faciem, con la verità eterna che era stata l’ansia, l’anelito della sua vita terrena. Si narra, che quando gli fu portato, in viatico, Gesù nel Sacramento, si prostrò a terra piangendo, e lo salutò con le parole: 8


THOMAS D’AQUINO LUCERNA «VIVA» DI SAPIENZA REDENTRICE

San Tommaso d’Aquino in una incisione del XVIII secolo. «Ti ricevo premio della mia redenzione, viatico del mio pellegrinaggio, per l’amore del quale ho studiato, e vegliato, lavorato, predicato, insegnato. Non ho mai detto nulla contro di te. Ma se l’ho fatto è per ignoranza, e non mi ostino nel mio senso, e se qualche cosa l’ho fatta male, lascio tutto alla correzione della Chiesa Romana, nella cui obbedienza me ne vado da questa vita». 9


CARLO DE CARDONA

Infatti, egli, infermo, d’inverno, solo in obbedienza al papa, era partito da Napoli alla volta della Francia, per recarsi al Concilio di Lione, a sostenere, in quelle solenni adunanze, le direttive della Santa Sede. Un filosofo francese, assai intelligente, Ippolito Taine, ha osservato, a proposito di Emanuele Kant: che per conoscere esattamente la filosofia di costui, bisogna studiare prima di tutto il temperamento e le abitudini personali del professore di Koenisberg. Ed ha ragione. Così, in un certo senso, per conoscere, anzi per gustare la Somma Teologica – il capolavoro di San Tommaso d’Aquino – bisogna, in primo luogo, conoscere, per quanto si può, la persona dell’angelico dottore: la purezza verginale del corpo e del cuore di questo divino fanciullo; l’umiltà della sua mente altissima; l’amore che lo infiamma e lo fa assetato, avido di luce – di luce viva, che al dire di colui che gli fu discepolo fedelissimo – Dante Alighieri – è: luce intellettual piena d’amore, amor di vero ben pien di letizia, letizia che sorpassa ogni dolciore. E bisogna inoltre gustare, assaporare, lo stile della Somma Teologica, stile meraviglioso schiettamente italico, nel quale le idee risaltano, scintillando, così come – al dire del poeta –: … per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e tranquille, […] tornan dei nostri visi le postille. 10


THOMAS D’AQUINO LUCERNA «VIVA» DI SAPIENZA REDENTRICE

Ma, assai più che lo stile, nella Somma Teologica, bisogna non solo gustare, ma meditare e approfondire sempre più quello che forma come la sostanza e, insieme, la funzione storica di tutto il pensiero dell’angelico dottore. Sembra che tale funzione storica si possa compendiare nel senso di quella parola, che l’apostolo Paolo ha usato, non una volta, per esprimere la funzione assegnatagli dal Redentore medesimo, nella Chiesa nascente: la parola: evangelizzare: Paolo era stato chiamato a evangelizzare le genti. In simil guisa, Tommaso d’Aquino, nella pienezza dei secoli, quando i popoli, educati dalla Chiesa anche alla vita civile, e formati alla stabilità economica e sociale, accennavano a un potente risveglio del «pensiero letterario e scientifico», Tommaso (seguace di San Domenico, che fu l’«amoroso drudo della fede cristiana», «di cherubica luce uno splendore»), Tommaso ebbe dal Redentore la «missione storica di evangelizzare il pensiero umano; e, più che il pensiero, la scienza» … Non la scienza, come si continua a intenderla, oggi, dopo le prime fatali aberrazioni del filosofo inglese, Francesco Bacone. Ma la scienza che è tutta l’attività dell’umano intelligere, in esercizio, per la scoperta e la conquista della Verità, non solamente delle singole verità nell’ordine dei fenomeni corporei, ma, in modo più degno, delle verità che riguardano la natura dei corpi medesimi, e più oltre, la natura dell’uomo, e più oltre ancora, i modi dell’Essere… fino all’essere senza modi, all’Essere Causa Prima perfettissima. Ciò non basta: la scienza, nel pieno significato della parola, comprende anche la scienza della scienza…: ossia la conoscenza riflessa delle leggi che regolano l’umano intelligere, nell’acquisto della scienza di tutte le realtà esteriori, e, in più, della stessa realtà interiore costituita dal soggetto pensante. Poiché l’uomo è dotato del potere divino di conoscere, pensando, il grande cosmo, nel quale vive, e, inoltre, di conoscere sé, piccolo-vasto cosmo, e ancora, di riferirsi, meditando, alla Causa Prima dell’uno e dell’altro cosmo. Ora è evidente che questo potere divino, largito all’uomo da Dio creatore, non poteva rimanere estraneo all’opera del Redentore, di colui, il quale illumina ogni uomo che «viene in questo mondo». Il Redentore opera purificando, restaurando, elevando. Per tanto, la ragione umana e la scienza, che ne deriva, esposte all’azione illuminatrice del Redentore, sono purificate dall’errore e dalle aberrazioni, sono ricostruite ed elevate in un ordine nuovo, mediante un divino innesto delle verità rivelate dall’Uomo-Dio, sul vecchio tronco delle verità naturali. Con tale divino innesto, l’animale ragionevole è pienamente evangelizzato in quello che ha di più nobile – e, purtroppo, di più guasto: la ragione e la scienza. Di tale divino innesto e di tale mirabile evangelizzazione, la Somma Teologica è, insieme, una testimonianza e un esempio, operati da Gesù nella persona di Tommaso d’Aquino. Sono tremila articoli, nei quali vengono esposte dottrine che riguardano la Causa Prima, la natura corporea, l’uomo in sé e nei suoi rapporti 11


CARLO DE CARDONA

con gli altri esseri, l’Uomo-Dio e l’opera sua redentrice. In ogni articolo, la dottrina, dichiarata in forma semplice e trasparente, è vagliata e discussa in confronto a dottrine e opinioni contrarie o anche solamente diverse. Assommano a ben diecimila le obiezioni, per ogni tesi, con le risposte precise ed esaurienti. Il che forma un esempio di analisi critica e di potenza dialettica, unico nella storia del pensiero umano. Con piena verità è stato detto: «quot quot articulos scripsit, tot miracula edidit»: miracoli di sapienza celeste, che il divino fanciullo, assetato di luce, tante volte ha strappato, a furia di preghiere e di pianti, dalle mani del suo Redentore. *** È impossibile tracciare con poche frasi il disegno generale del pensiero tomistico. È però facile, e sommamente utile, delineare i principii e i caratteri che formano lo spirito della dottrina dell’angelico dottore. Esso è, senz’altro, spirito di unità. Si osservi, intanto, che unità non è uniformità; la quale, anzi, esclude l’unità, la vera, piena, profonda unità. Questa, anche nelle cose del mondo visibile, splende nei corpi che vivono; ove il fatto del vivere è opera di un principio costruttore e incessantemente ricostruttore di una determinata unità organica, per una determinata unità di molteplici funzioni, convergenti, a loro volta, nell’unità dei risultati da conseguire. L’unità, dunque, è vita; tanto più vera e profonda, quanto più alto e più complesso, è il grado del vivere che ne risulta. Ora è evidente, che a questa legge suprema, dell’unità costruttiva, è soggetta anche la vita dell’umano intelligere, del pensiero scientifico. A siffatta legge suprema obbedisce la mente dell’angelico dottore con docilità, e insieme agilità, che fa pensare all’assistenza, in lei, immediata e continua, di una forza sovrumana, dominatrice di tutti gl’istinti, vivi e operanti nella natura di qualsiasi uomo, anche, anzi spesso più, dell’uomo filosofo. Costui – chi non lo sa? – quando si mette a sedere nel cesto socratico, pensa prima di tutto a costruire il suo sistema, nel quale si affermi la sua personalità, in contrasto e in superamento di qualsiasi altro sistema e personalità più o meno filosofica. Purtroppo, la storia della filosofia, perché sia veritiera e utile al miglioramento – se ci si riesce – dei filosofi futuri, deve tener conto della personalità del filosofo di cui si occupa, del suo temperamento, dei suoi interessi politici, del tempo, in cui è vissuto, dei suoi avversarii… e di tanti altri elementi che hanno influito sul sistema di lui, coartandolo in una determinata struttura d’idee e di preconcetti, che vanno ad aumentare la confusione dalla quale, in ogni secolo e in ogni zona, è afflitto il genere umano. Dal pensiero dell’angelico dottore è escluso, nettamente, il sistema, nel senso indicato. Egli studia tutta la realtà alla quale può pervenire la mente dell’uomo, sia con le proprie forze naturali, sia con quelle largite mediante 12


THOMAS D’AQUINO LUCERNA «VIVA» DI SAPIENZA REDENTRICE

Tommaso d’Aquino nacque (molto probalmente) nel 1225, nella contea di Aquino, l’odierna Roccasecca; secondo lo storico calabrese del XVII secolo, fra’ Giovanni Fiore da Cropani, nella sua opera Della Calabria illustrata, sarebbe nato in Calabria a Belcastro.

la rivelazione divina. La studia analiticamente nelle sue parti, anche minime; penetra nei rapporti interni fra i principii costitutivi di essa, per risalire alla contemplazione dei principii universali, e, da questi, alla Causa Prima. In tali procedimenti, alla mente di lui si presentano, a una a una, tutte le così dette antinomie, che sono, in verità, i punti cruciali nella storia del pensiero filosofico, e che han dato luogo, quasi sempre, alle più strane e anche più fatali aberrazioni dello spirito umano. La materia e la forma – il corpo e l’anima – il senso e la ragione – l’istinto e la libertà – la potenza e l’atto – il contingente e l’eterno – l’essere e il non essere…; e oltre queste antinomie di ordine metafisico, l’antinomia che più preme e dilacera, dilaniando, l’essere interiore di ogni individuo umano, e che nell’Evangelo di Paolo è designata con la parola inimicizia (τὴν ἔχθραν): or sono queste antinomie, il campo nel quale splende il genio dell’Aquinate e lo spirito della sua dottrina. Ispirandosi all’atteggiamento di Paolo e seguendo la linea maestra da lui tracciata, egli riunisce (ὰποκαταλλάσσω: parola di Paolo) le due parti di ogni antinomia: di quella dell’ordine metafisico, e dell’altra, assai più importante e urgente, dell’ordine storico. Seguendo, anzi gustando (è questa la parola che abbiamo avuto l’onore di ascoltare, in proposito, dalla voce di padre Vostè, esimio teologo dell’Angelicum di Roma) gli articoli della Somma Teologica, e particolarmente quelli della seconda parte, che è la più ricca dei tesori della sapienza tomistica, si ha l’impressione: che l’angelico dottore, nello studio delle antinomie, quasi simpatizza per la parte che sembra di ordine inferiore; non solo non la disprezza (come gli stoici e i neoplatonici), ma la studia in tutti i suoi aspetti, e ne cura le sorti… filosofiche, come si 13


CARLO DE CARDONA

fa con i diseredati. Così, ad esempio, nel mirabile trattato sulla dilettazione (che comprende 24 articoli nella seconda parte della Somma Teologica), dopo averne esaminato gli elementi costitutivi, superate le opinioni degli stoici e degli epicurei, esclusa ancora una volta, la dottrina di Platone, che, come si sa, costruiva tutto il suo sistema sull’idea pura, universale, eterna; egli eleva la dilettazione – ed il suo opposto, la tristezza – alla dignità di ciò che forma l’essenza del vivere umano: conoscere e amare. Ogni atto conoscitivo e amativo è, per se stesso, piacevole o doloroso. E ciò in una scala di valori, che dall’umile atto istintivo della natura corporea, ascende ai gradi degl’istinti divini dell’uomo rigenerato nella grazia dello Spirito Santo. Qui, il piacere – risultato dell’azione – è a sua volta rinforzo dell’azione medesima; in un crescendo misterioso che culmina nella giustizia interiore conseguita, e da questa, nella quiete soavissima della mente, già preparata e pronta alla visione beatifica. *** Ma lo spirito costruttivo dell’angelico dottore si rivela in modo, oggi, purtroppo ignorato da molti, nel campo della scienza sociologica. Dall’inglese Tommaso Hobbes, col suo postulato: homo homini lupus; all’olandese Spinoza, che riduceva l’essenza dell’uomo alla cupidigia (cupiditas est essentia homini); a Carlo Marx, eversore delle costruzioni sociali e politiche fondate sui principii dell’uno e dell’altro; a cominciare dal secolo XVIII, le dottrine sociologiche, dopo quelle metafisiche e morali, hanno avvelenato la civiltà europea, nelle sue più profonde radici. La crisi bellica, che ne è conseguita, è in pieno grandioso sviluppo. E sembra imminente un domani, in cui una civiltà nuova dovrà essere ricostruita, non soltanto per le nazioni della vecchia Europa. Or – chi non lo sa? – sono le idee che preparano le crisi negli spiriti, prima, e di qui, negli istituti sociali, economici, e negli ordinamenti politici; e sono, parimenti, le idee, che preparano le necessarie ricostruzioni di nuovi indirizzi nel pensiero, quindi di nuove energie in nuovi ordinamenti sociali e politici. La Chiesa di Dio, nel suo capo visibile e nei suoi organi periferici, è pronta anche ora, come nel secolo V, al compito immane. E intanto il servo suo fedelissimo, Thomas d’Aquino, ritorna col suo libro, aperto – anzi spalancato – sul mondo… a far brillare, nella loro semplicità evangelica, le idee sociali che egli ha posto come verità di evidenza immediata. La semplicità è sorella della brevità. *** Nella seconda parte della Somma Teologica (Secunda Secundae) alla quistione CIX, art. III, egli propone la quistione: se la verità è parte della giustizia; e, fra l’altro, risponde alla prima obiezione così: 14


THOMAS D’AQUINO LUCERNA «VIVA» DI SAPIENZA REDENTRICE

«…quia homo est animal sociale, naturaliter unus homo debet alteri id sine quo societas humana servari non posset: non autem possent homines ad invicem convivere, nisi sibi invicem crederent, tamquam sibi invicem veritatem manifestantibus…».

Non occorre tradurre queste frasi latine dalle quali traspare nettissimo il pensiero; perché il latino di Tommaso – come nota il Tommaseo – è già, nello stil novo, schiettamente italico. Homo animal sociale… Sarebbe impossibile l’umana società, senza un principio costitutivo della compagine sociale, ossia senza il «rapporto di giustizia» fra uomo e uomo. Di questo rapporto fondamentale, Tommaso nota, nel passo citato, solo un aspetto: quello della veracità; ma vi sono altri aspetti, che, in generale, egli indica con la frase di bonum commune; affermando (q. XXXI, a. III): «bonum multorum commune divinius est, quam bonum unius…». Trattando poi della giustizia che è fondamento del bene comune, l’angelico dottore, dopo averla indicata con la frase: – iustitia legalis - (equivalente a giustizia sociale…) – dice nettamente: «…ipsa est praeclarior inter omnes virtutes morales…» (Secunda Secundae: q. LVIII, a. XII). E nell’esporre le ragioni della sua precisa affermazione, «osserva: che la giustizia, in sé, nella sua essenza, costituita da un «rapporto di proporzione» fra un essere e un altro… non può avere la sua sede primaria se non nella parte più alta e più degna dell’uomo, ossia nella ragione – la sola facoltà capace di intendere ed esprimere il rapporto di proporzione fra essere ed essere – e dalla ragione nella volontà operante. La giustizia, dunque, e particolarmente la giustizia legale (o sociale…) supera, in perfezione, tutte le attività e le potenze dell’ordine puramente organico, e, in generale, tutte le cose – anche le più attraenti – dell’ordine cosmico. Egli, allora, esclama con Aristotile: «né la stella vespertina, né la stella mattutina sono così ammirabili, come la giustizia, preclarissima fra le virtù!». Ma dalle ricchezze della sapienza tomistica, nel campo delle scienze sociali, bisogna fare emergere, ormai decisamente, il caposaldo, logico e morale, di tutta la dottrina sociale che si riferisce all’ordine (si direbbe, al settore…) economico. Fra l’egoismo hobbesiano e il comunismo marxista… l’angelico dottore, anche qui, riconcilia, nella verità e nella giustizia, quello che altri separa, nell’errore e nell’ingiustizia: separazione divenuta, oggi, fonte di odii e di lotte inestinguibili. La persona umana e la collettività alla quale essa appartiene, sono l’una e l’altra riconciliate in quella giustizia preclarissima che sgorga dalle più profonde esigenze della stessa natura umana; e ciò anche nella produzione e nell’uso dei beni materiali, ossia della ricchezza. Infatti, nella quistione LXVI, a. II, con semplicità e brevità, il dritto di una singola persona umana; e in confronto di questa il dritto di ogni altra singola persona… della collettività; sono, entrambi, contemplati 15


CARLO DE CARDONA

come due aspetti del diritto dell’uomo sulle cose esteriori: «Circa res exteriores duo competunt homini; primo: potestas procurandi et dispensando…; secundo: usus ipsarum…». Quanto al primo, è lecito, è anzi necessario che l’uomo possieda le cose esteriori come proprie; quanto al secondo, all’uso di esse, l’uomo non deve avere le cose esteriori come proprie, ma come comuni: e ciò nel senso che facilmente le conceda a chi ne abbia stretto bisogno. Si noti la frase con la quale è formulato il diritto di proprietà privata (personale): potestas procurandi et dispensandi…, e la si confronti con la frase del diritto pagano e anticristiano: jus utendi et abutendi; e si vedrà, che in queste due semplici espressioni, sono delineati due opposti indirizzi di civiltà economica. Infatti, nel pensiero tomistico, la persona umana è, per natura, dotata di libertà; la quale, nella sua purissima essenza, è anche potere (potestas) di procurare, operando, i beni materiali e di curarne la distribuzione (procurandi et dispensandi), secondo i dettami della giustizia, più esattamente, secondo le regole della virtù, dal filosofo greco definita: potentia benefactiva. Impedire comunque all’individuo umano, l’esercizio di questo benefico potere, è violarne la libertà nella sua manifestazione più utile allo stesso consorzio sociale. È chiaro, che da siffatto deleterio impedimento deriva l’affermarsi e il prevalere del jus utendi et abutendi, o in semplici individui, o in individui associati (società commerciali) o, addirittura, nel pubblico potere. Ed è ancora più chiaro: che, contraddetti o anche solo abbandonati i principii sociali del pensiero tomistico, che già erano stati i principii ispiratori dell’economia realizzata, per tutto il Medio Evo, dai grandi monasteri benedettini, è avviarsi all’impazzata verso le estreme realizzazioni dell’hobbesiano: homo homini lupus; e dell’altro, anch’esso hobbesiano: bellum omnium contra omnes… Qui, l’argomento si dilata sull’orizzonte, assai fosco, della storia e della cultura del mondo moderno… A noi, intanto, arride il pensiero: che, nella Patria nostra, una lucerna viva di sapienza redentrice – Thomas d’Aquino – è stata accesa da Dio, a onore della sua Chiesa; a onore e beneficio del genere umano. Todi, 15 marzo 1941

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STUDI E RICERCHE SU DON CARLO DE CARDONA

CENT’ANNI FA LA TRAGICA VICENDA DI NICOLA DE SETA A PAOLA UN PRIMO MAGGIO MACCHIATO DI SANGUE

Nicola De Seta era nato a Paola il 20 febbraio 1884 da Francesco e da Rosina Maselli, si sposò con Carmela Montano ed ebbero tre figli, abitava in contrada Sant’Angelo. Al ritorno dal fronte aderì alle leghe bianche; morì tragicamente il 1° maggio 1920. Nel 2004 il Comune di Paola ha apposto una targa commemorativa sul luogo dell’uccisione. 17


ATTILIO ROMANO

NICOLA DE SETA, MARTIRE DELLE LOTTE PER IL LAVORO E LA DEMOCRAZIA di Attilio Romano TuttoPaola, aprile 1989 - a. III, n. 3

Non ha un curriculum risonante. Era marito e padre di tre figli. Contadino umile e sergente dell’Esercito italiano nella guerra 1915-1918. Non cadde in trincea, ma sul campo politico per l’affermazione di un’idea che avrebbe segnato nel tempo il futuro dei suoi figli e della sua gente: la democrazia liberale e popolare. E tanto basta! Il marchio della vigliaccheria e della vergogna di chi gli sparò nel corso di una manifestazione civile mentr’egli, inerme, reggeva il vessillo delle conquiste per celebrare la festa del lavoro, non sarà mai disperso dalla furia del vento che dissolve la terra nei cieli della storia. Per questo egli resta, senza volerlo, una vittima sacra e un simbolo ideale dei più alti valori sociali. Nicola De Seta nacque a Paola il 20 ottobre 1884 e vi morì, tragicamente, il 1° maggio 1920. Agricoltore e figlio di contadini, era presidente della Lega bianca di Paola; l’organizzazione era arrivata pure nella sua città grazie, a quel fenomeno di associazionismo mutualistico che dopo l’Unità d’Italia si era diffuso anche nel Sud della penisola, ma che, al principio del secolo ventesimo, andava mano mano scemando. Ciò nonostante, tuttavia, allorché sorsero le Leghe rosse e le Camere del lavoro di Catanzaro e di Reggio Calabria d’ispirazione socialista, nella provincia di Cosenza il 18

sacerdote Carlo De Cardona definito bolscevico bianco dalla destra reazionaria, cominciò a tessere, in alternativa tutta una ragnatela di Leghe del lavoro, dette anche Leghe bianche e di Casse rurali d’orientamento cattolico, che nel 1919 avrebbero sostenuto il nascente Partito popolare italiano, fondato da don Luigi Sturzo. Anche a Paola, furono costituite le leghe e il 1° agosto 1909 la Cassa rurale, fondata da 8 soci contadini, del cui funzionamento non si hanno notizie; mentre un’altra Cassa rurale, sempre a Paola, fu costituita il 21 aprile 1912 da 43 soci che fu messa, poi, in liquidazione nel 1937 con decreto del capo del Governo. La lotta politica tra Leghe bianche e Leghe rosse nel Cosentino, si andava sempre più acuendo e se le prime si ispiravano al fervore cristiano e incalzante del prete Carlo De Cardona, le seconde, si rifacevano al massimalismo marxista di Pietro Mancini. Sicché, spesso, il tutto, si riduceva a uno scontro fra radicalsocialisti e cattolici che, pur avendo nelle classi popolari (contadini e artigiani) un comune interesse, si facevano abbagliare e dividere da rivalità locali e tensioni più grandi di loro che, invece, avrebbero dovuto unirli. Scrive il comunista Francesco Spezzano nel suo libro Fascismo e antifascismo in Calabria:


CENT’ANNI FA LA TRAGICA VICENDA DI NICOLA DE SETA

«Partito popolare e Partito socialista erano i soli partiti organizzati, e data la situazione in cui operavano, si consideravano diretti avversari. Viene da dire pure che, nonostante la presenza di uomini come Pietro Mancini e Fausto Gullo, l’anticlericalismo nel Partito socialista era abbastanza marcato e, tante volte, sembrava che il partito volesse ricalcare gli atteggiamenti massonici. Così in alcuni comuni e in alcune circostanze, Partito popolare e Partito socialista, travisando quello che avrebbero dovuto essere il loro obiettivo primario, cioè la lotta contro il vecchio ambiente conservatore e le sue clientele, cadevano in inutili polemiche tra loro, tanto che a Paola scoppiò un conflitto nel quale perse la vita il presidente della Lega di quei contadini, Nicola De Seta».

Il sergente dell’Esercito italiano, Nicola De Seta, in un disegno di Roberta Fortino.

La mattina del 1° maggio 1920, i socialisti e i radicalmassoni avevano celebrato la festa del lavoro con un comizio di Pietro Mancini, che aveva sferrato un attacco contro la locale giunta clericale e i cattolici che esprimevano pure il consigliere provinciale e un deputato nazionale, l’avv. Francesco Miceli-Picardi (PPI). Risentiti i popolari, anticipando la loro manifestazione prevista per il giorno seguente, organizzarono la risposta per il pomeriggio dello stesso 1° maggio, senza l’autorizzazione delle forze dell’ordine che, cercavano di scoraggiare l’iniziativa. I socialisti minacciarono eventuali reazioni. Una parte di popolari, scendendo dalla Rocchetta e forzando il blocco dei carabinieri, si unì a un altro gruppo guidato dall’on. Miceli-Picardi, convinto dall’onda dei suoi sostenitori,

nei pressi della Fontana dei sette canali per muovere in corteo, al suono della banda musicale di Fuscaldo, verso il luogo dove il parlamentare popolare avrebbe dovuto tenere il contro comizio. Ma, all’improvviso, a una fitta sassaiola contro i manifestanti, si univano spari d’arma da fuoco e De Seta, che portava la bandiera, fu ferito gravemente. Cercò invano scampo risalendo per corso Garibaldi, ma crollò dopo pochi passi in prossimità della Chiesa di San Giacomo, dove fu aggredito e colpito al collo, con un colpo di rasoio. Nel panico e nel fuggi fuggi generale, l’on. Miceli-Picardi (probabile bersaglio mancato) fu portato in salvo e protetto dal carrozziere cocchiere Luigi Barone, che lo nascose nella sua abitazione dietro la Fontana vecchia. Furono feriti, nella confusione, il 19


ATTILIO ROMANO

ragazzo Ernesto Bruno e il falegname Rodolfo Gravina. Non si trattò di una sparatoria a scopo di intimidazione. Nella notte vi furono 15 arrestati fra i socialisti, fra cui il dr. Eugenio Tarsitano, il dr. Natale Lo Gatto, Raffaele De Luca, Francesco Itria, Luigi Russo e altri. Ma furono tutti scagionati e liberati subito, mentre fu incriminato il popolare Luigi Cinelli, che più tardi fu ritenuto innocente. Giocò molto sulla liberazione dei fermati, l’autopsia al cadavere di De Seta, effettuata dai dottori Francesco Ferrari, Nicola Cinelli e Magnavita. Il processo si svolse a Cosenza tra il 1921 e il 1922, ma fu avvolto sempre da un velo scuro, da cui non apparve mai la verità. In quella circostanza don Luigi Sturzo, segretario nazionale del Partito popolare italiano, manifestò con un telegramma il suo obrobrio contro l’assassinio; parlarono dell’accaduto in Parlamento l’on. Argentieri, l’on. Miceli-Picardi e il sottosegretario agli Interni, on. Corradini. I socialisti, dal canto loro, una volta distinta la loro posizione dai massoni e dai radicali, attribuivano il fatto al livore settario dei popolari per il sangue proletario versato a Paola e il 6 maggio, nella sezione socialista cittadina, alla presenza dell’on. Rondani che rappresentava il partito, fu votato un ordine del giorno di solidarietà con gli arrestati. La Camera del lavoro di Cosenza, proclamò uno sciopero di 24 ore e i ferrovieri del Paolano per tre giorni si astennero dal lavoro. Ma Pietro Mancini, nei suoi scritti ignora l’episodio di Paola. Quella fu una tragedia rapida e imprevista che sorprese e ammutolì la città. Essa si consumò più all’insegna 20

Bibliografia su Nicola De Seta ANTONIOLI S., CAMERONI G., Movimento cattolico e contadino. Indagine su Carlo De Cardona, Milano Jaca book, 1976. CASSIANI F., I contadini calabresi di Carlo De Cardona (1895-1936), Roma, Cinque Lune, 1976. CASSIANI F., Nicola De Seta, in Dizionario storico del Movimento cattolico in Italia, Casale Monferrato, Marietti, 1982. FERRARI F., Storia folkloristica drammatizzata di Paola e memorie di Cosenza e della Calabria, Paola, 1962. INTRIERI L., Don Carlo De Cardona, Torino, Sei, 1996. MAZZA F., La città bianca, in Paola. Storia, cultura, economia, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1999. PERROTTA A., L’umano divenire. Cronache paolane del Novecento e la bandiera rossa dell’avvocato De Luca, Roma, Pubme, 2016. PAGLIARO A., Guazzabuglio di paese, Paola, tip. Gnisci, 2011. PERROTTA A., Giuè, Corigliano-Rossano, Ferrari, 2019. SAVAGLIO A., Francesco Miceli-Picardi: tra Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi, Cosenza, tip. Filice, 1994. SPEZZANO F., Fascismo e antifascismo in Calabria, Manduria, Lacaita, 1968. STANCATI E., Cosenza e la sua provincia. Dall’Unità al Fascismo, Cosenza, Pellegrini, 1988.

dalla facinorosità politica che al senso di una battaglia civile e si concluse fra uomini ignari, forse, di essere strumentalizzati, i quali, in sostanza, lottavano per il medesimo bene: il lavoro e la libertà. E Nicola De Seta non era altri che uno di loro! Ma nella sua caduta cadde, inconsapevolmente, anche una parte dei sogni di quella massa confusa, che fu protagonista di quel fatto di cronaca e di quel sangue versato.


CENTO ANNI FA LA TRAGICA VICENDA DI NICOLA DE SETA

SUI FATTI DI PAOLA E LA MORTE DI NICOLA DE SETA di F rancesco Miceli-P icardi intervento alla Camera dei deputati - 16 luglio 1920

«Prego i colleghi socialisti e la Camera di ascoltarmi per pochissimi minuti. Il 1° maggio arrivai a Paola col treno della notte, deciso a recarmi a Cosenza, ma i ferrovieri, che dovevano smettere il lavoro alle 6, credettero di smetterlo alle quattro del mattino e non potetti proseguire per Cosenza, rimasi quindi a Paola. Verso le 11 alcuni miei amici lavoratori vennero a invitarmi per un comizio. Io accettai ma poiché sapevo, perché me lo avevano riferito gli stessi amici, che i socialisti dovevano tenerne un altro al mattino, io stabilii che il comizio nostro dovesse essere tenuto nel pomeriggio alle ore 18. La mattina il comizio socialista fu tenuto nella massima tranquillità e libertà. Io non porto alla Camera pettegolezzi per dire se erano cento o mille e se noi eravamo diecimila o cinquemila; i conti li faremo a breve scadenza (commenti). Dico alla Camera questo – e i socialisti che mi conoscono possono deporre se sono uso o non a dire la verità – che nel pomeriggio alle 16 venne da me persona ad avvertirmi che alcune persone di Paola, che non sono socialiste (e questo è stato pubblicato da La Parola socialista, che domani comunicherò al collega Argentieri, perché oggi non l’ho qui) erano decise a tirar contro la dimostrazione popolare. Risposi alla persona, che questo mi riferiva, che si fosse pure recato

Francesco Miceli-Picardi (Paola 21 aprile 1882 - 18 dicembre 1954), deputato Ppi nel 1919 e nel 1921 e senatore Dc nel 1948.

dall’autorità di pubblica sicurezza ad avvertirla del fatto, ma che a me la minaccia non faceva né caldo né freddo e che avrei tenuto il comizio. Difatti nel pomeriggio la folla era tutta pronta, e attendeva soltanto che io uscissi. Uscii. Percorremmo le vie della città nella massima quiete. Arrivammo all’imboccatura della piazza, e trovammo su di una linea in agguato queste tali persone (dirò più tardi chi sono), persone che non hanno nulla di comune né col socialismo, né coi socialisti. Erano in agguato, e al mio invito tranquillo e sereno 21


FRANCESCO MICELI-PICARDI

NEL PROCESSO DE SETA: NESSUN COLPEVOLE DI OMICIDIO Il giornale decardoniano L’Unione, nel numero del 3 e in quello del 7 maggio 1920, diede notizie sull’episodio di Paola. La ricostruzione della vicenda si può leggere nella sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza l’11 marzo 1922 (Archivio di Stato di Cosenza, Sentenze penali, 1921. Comizio elettorale di Miceli-Picardi. busta 7, 11 marzo 1922, cc. 1-8). Processualmente, dopo due anni dall’uccisione di De Seta, ci fu il proscioglimento per legittima difesa di tutti gli imputati, che però vennero condannati a pochi mesi di reclusione per rissa, alcuni anche per porto d’armi abusivo. Politicamente la vicenda avvantaggiò i popolari che nelle elezioni del 9 ottobre 1920 candidarono al Consiglio comunale Albino Paolo De Seta, fratello di Nicola, che risultò il più votato e venne eletto sindaco. Anche per le elezioni della Camera dei deputati (maggio 1921) l’elettorato paolano premiò i popolari e Francesco Miceli-Picardi venne riconfermato parlamentare con grande suffragio. di dare spettacolo di civiltà e di non compiere atti vigliacchi, ci risposero con una prima rivolverata, seguita da altre e da colpi di fucile! Poi finalmente le due folle si dispersero e io potetti trovare riparo alla mia vita, accostandomi a un muro che percorsi lentamente. Più tardi si seppe che vi era un morto di parte popolare, Nicola De Seta, un giovane di 36 anni, ex-combattente, contadino e lavoratore onestissimo e puro; e che vi erano due feriti da parte mia. Si disse che anche dall’altra parte c’erano altri feriti. Questo il fatto nella sua sintesi, debbo dire rapida»… A questo punto segue un battibecco fra socialisti e popolari, ma si odono queste parole pronunziate dall’illustre oratore di Paola, in prosieguo del suo intervento: «Voi, onorevoli colleghi socialisti della Calabria, siete vittime di una 22

truffa, come sono vittime di una truffa quelli del mio paese, perché dietro di essi si annidano alcune canaglie della vita amministrativa locale, che hanno assassinato il mio comune di origine, la mia diletta Paola. Andarono al potere 12 anni fa, caro Argentieri, quando il Comune aveva 80 mila lire di attività e si dovettero dimettere nello scherno e nella vergogna come dice La Parola socialista, lasciando 800 mila lire di deficit: eppure durante la guerra non fecero accendere un fanale, né mutarono il vetro di un fanale, non ripararono le strade, non assisterono le vedove e gli orfani, affamarono tutti. Ora questa stessa gente si annida dietro l’ingenua e pura fede socialista di quei 50 giovani allo scopo di poter girare le vie del mio paese, che senza lo scudo di quei ragazzi non potrebbe girare».


STUDI E RICERCHE SU DON CARLO DE CARDONA

LA FIGURA DI DON CARLO DE CARDONA PROTAGONISTA INSIEME A DON LUIGI NICOLETTI DELLA SETTIMANA DELLA CULTURA CALABRESE 2018 di Lorenzo Coscarella Confluenze (rivista culturale quadrimestrale), sett.-dic. 2018 - a. VI, n. 3

Mostre, convegni, presentazioni di libri, passeggiate e tanti altri eventi sono stati dedicati alla riscoperta delle due figure di don Carlo De Cardona e don Luigi Nicoletti a 60 anni dalla loro morte. Nel 2018 ricorre il sessantesimo anniversario della morte di due sacerdoti calabresi che hanno lasciato un’importante traccia nella storia regionale del Novecento per il loro impegno nel sociale: don Carlo De Cardona (18711958) e don Luigi Nicoletti (1883-1958). Il primo, originario di Morano Calabro, è stato promotore delle Leghe dei contadini e delle Casse rurali, oltre che pioniere del giornalismo cattolico in provincia. Il secondo, nato a San Giovanni in Fiore, insegnante, giornalista e politico, dalle pagine del settimanale diocesano Parola di vita condusse nel 1938 una coraggiosa battaglia contro le politiche razziali. L’edizione 2018 della Settimana della cultura calabrese ha lasciato la Sila per svolgersi in maniera itinerante nei luoghi simbolo dei due sacerdoti cosentini, noti per il loro impegno culturale, politico e soprattutto sociale. Sono state numerose le manifestazioni messe in campo dall’Universitas Cosenza, 22 settembre 2018, l’arcivescovo mons. Francesco Nolè saluta i partecipanti alla passeggiata decardoniana, in occasione della Settimana della cultura calabrese.

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LORENZO COSCARELLA

Il quotidiano di ispirazione cattolica Avvenire ha dedicato due articoli, a firma del giornalista Raffaele Iaria, alla nona edizione della Settimana della cultura calabrese (agosto-settembre 2018): il primo (in alto), pubblicato il 1° agosto 2018 nella pagina Catholica e, il giorno dopo, nell’inserto culturale Agorà, con il titolo: Calabria. Cattolici e politica, rassegna su De Cardona e Nicoletti. Tre vescovi calabresi hanno preso parte alle giornate indette dall’Universitas Vivariensis: mons. Francesco Savino a Morano Calabro e per ritirare il Premio Cassiodoro a San Pietro in Guarano, mons. Francesco Nolè per l’inaugurazione della mostra storica su don Carlo e la passeggiata decardoniana, e mons. Leonardo Bonanno a San Giovanni in Fiore per l’omaggio alla tomba di don Luigi Nicoletti.

Vivariensis e dall’editore Demetrio Guzzardi, ideatore dell’iniziativa, dalle presentazioni di libri alle mostre, dai convegni alle visite sul territorio, dai giochi alle celebrazioni pubbliche. Alla figura di don Carlo, in particolare, sono stati dedicati più eventi tesi a sottolinearne alcuni aspetti specifici, come la mostra sull’opera sociale di don Carlo De Cardona, organizzata presso la sede della BCC “Mediocrati” di Rende e inaugurata il 21 settembre 2018. La mostra storica ripercorre i tratti principali della vita del sacerdote che, tra le varie attività, fu uno dei principali promotori delle Casse rurali, all’epoca strumenti capaci di avvicinare l’economia e i prestiti finanziari al mondo dei contadini. Nel pomeriggio di sabato 22 settembre si è tenuta la passeggiata decardoniana nel centro storico di Cosenza; punto di partenza piazza Parrasio, sede dell’Arcivescovado, dove mons. Francesco Nolè ha salutato i partecipanti. La passeggiata si è snodata nei luoghi cari al sacerdote e nei quali ha lasciato un forte segno. Sono state attraversate via del Liceo (al civico n. 14 vi abitava don Luigi Nicoletti), piazza Prefettura, luogo di comizi e manifestazioni, e il quartiere dello Spirito Santo, dove don Carlo viveva di24


SETTIMANA DELLA CULTURA CALABRESE 2018

A sinistra: l’editore Guzzardi davanti il medaglione di Leone XIII, a Cosenza in piazza Parrasio legge un brano della Rerum novarum. A destra: il presidente della BCC Mediocrati, Nicola Paldino, durante il suo intervento di saluto all’inaugurazione della mostra decardoniana.

rettamente a contatto con il mondo contadino. La passeggiata è proseguita a Casali, per vedere la casa della Lega costruita nel 1908, e l’istituto delle Suore Minime fondate dalla beata Elena Aiello, dove don Carlo fu ospite dal 1940 al 1948. Durante il percorso, sono stati letti alcuni brani della Rerum novarum e scritti di De Cardona per presentarne il pensiero, sotto molti punti di vista ancora attuale. Nella mattinata di lunedì 24 settembre 2018 i giornalisti cosentini sono stati invitati a sfogliare le testate giornalistiche decardoniane, custodite nella Biblioteca civica di Cosenza, che si rivela sempre una miniera di notizie. Demetrio Guzzardi ha mostrato, tra l’altro, due rare vignette che rappresentano De Cardona; una lo mostra insieme ad autorità e popolo durante l’inaugurazione della prima rete elettrica a San Pietro in Guarano, resa possibile nel 1907 grazie alla centrale voluta dal sacerdote moranese e dalla sua Lega; l’altra illustra un articolo sull’attività di don Carlo. I disegni pubblicati nel periodico Cronaca dei dibattimenti del 1908 sono particolarmente interessanti perché ci mostrano l’aspetto di De Cardona, del quale a oggi circola una sola immagine fotografica. 25


SETTIMANA DELLA CULTURA CALABRESE 2018

Riconoscimenti dell’Universitas Vivariensis a personalità che operano e risiedono in Calabria, che si sono distinte nella ricerca e nell’elaborazione culturale economica e sociale XVI EDIZIONE - SAN PIETRO IN GUARANO - 1° SETTEMBRE 2018 a mons. Francesco Savino per l’evangelizzazione e la promozione umana

Motivazione del premio: Mons. Francesco Savino è originario di Bitonto, cittadina in provincia di Bari; quest’anno festeggia i 40 anni di ordinazione sacerdotale. Papa Francesco nel 2015 lo ha voluto alla guida della Diocesi di Cassano Jonio, che pochi mesi prima aveva visitato. L’episcopato di mons. Savino si è subito caratterizzato per una vicinanza ai problemi sociali, al mondo giovanile e al servizio della carità e della salute. Ha ripreso e rilanciato il processo di beatificazione di don Carlo De Cardona, il sacerdote moranese che agli inizi del secolo XX ha operato a favore della redenzione di operai e contadini. Ha recentemente pubblicato un saggio sulla spiritualità di tre grandi personalità del cattolicesimo democratico italiano: Moro, La Pira e Dossetti. 26


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disegno di ROBERTA FORTINO

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

DON CARLO DE CARDONA

pioniere dell’apostolato sociale dei contadini e artigiani calabresi Mostra storica a cura di DEMETRIO GUZZARDI • grafica ALBAMARIA FRONTINO

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DEMETRIO GUZZARDI

LA FAMIGLIA DE CARDONA

Panorama di Morano Calabro

Carlo (Giulio Ferdinando) De Cardona è nato a Morano Calabro il 4 maggio 1871, da una famiglia della piccola aristocrazia terriera. Il papà Rocco e la mamma Giovannina Ferrari ebbero 6 figli (Nicola, Carlo, Ulisse, Teresina, Carolina e Amalia); uno zio, don Cesare, era parroco di San Pietro a Morano. Carlo conseguì con esito brillante la maturità al Liceo Classico «Bernardino Telesio» di Cosenza La casa e scelse la via del sadella famiglia De Cardona cerdozio. Nel 1890 si trasferì a Roma per gli studi di teologia all’Università Gregoriana. Fu ordinato sacerdote il 7 luglio 1895 a Cassano Jonio dal vescovo mons. Carlo seminarista Evangelista Di Milia.

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

PAPA LEONE XIII E LA RERUM NOVARUM L’enciclica sociale fu promulgata il 15 maggio 1891; Carlo De Cardona studiava alla Gregoriana e uno dei suoi professori, il gesuita Matteo Liberatore, docente di Sociologia cristiana, fu tra gli estensori del testo leonino.

«Se la Democrazia vuole essere Cristiana essa darà alla vostra Patria un avvenire di pace, di prosperità, di felicità» Leone XIII.

La Rerum novarum è un’opera organizzativa ed educativa per eliminare dal consorzio umano lo sconcio (parole di Leone XIII nell’enciclica) della lotta di classe, aperta o latente. Secondo il papa occorre: • Difendere le ragioni e gli interessi dei proletari, e in generale degli umili, di fronte ai detentori della ricchezza, facendo prevalere, nella vita pubblica, non la violenza, ma le regole dell’Evangelo, e le esperienze sociali della Chiesa. • Trasfondere nel corpo sociale, uno spirito nuovo di giustizia e di fraterna benevolenza, svegliando ed educando il senso di solidarietà e di unità morale e civile, in tutti i campi del vivere umano.

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DEMETRIO GUZZARDI

CAMILLO SORGENTE

Camillo Sorgente

Nacque a Salerno il 13 dicembre 1823. A 51 anni eletto arcivescovo di Cosenza. Il 17 luglio 1874 entrò in città. Resse l’arcidiocesi cosentina per ben 37 anni, fino al 2 ottobre 1911, giorno della sua morte, all’età di 88 anni.

Mons. Sorgente volle don Carlo come suo primo segretario pur non essendo della sua diocesi; durante un’udienza con Leone XIII, presentò il suo giovane collaboratore come l’apostolo sociale del Cosentino; il pontefice gli mise la mano sul capo benedicendolo e gli comandò di operare per «la plebe di Dio e il trionfo della fede». Sorgente appoggiò tutte le iniziative sociali proposte da De Cardona e lo difese dalle accuse di modernismo davanti a Pio X, che con lettera del 12 settembre 1908 tributò pubblica lode all’opera sociale decardoniana. Il suo pensiero sociale è racchiuso in questa frase: «Saldare Chiesa e popolo, costruire la comunità ecclesiale cosentina con la partecipazione dei lavoratori».

I VESCOVI DI ROSSANO E CASSANO L’arcivescovo di Rossano, Orazio Mazzella guardava con grande interesse le idee promulgate dalla Rerum novarum. Il suo programma pastorale era: «Procurare la gloria di Dio nei cieli per mezzo della salvezza delle anime sulla terra». A Cassano mons. Giuseppe Rovetta, ogni sera in una sala dell’episcopio, faceva raccogliere dal suo segretario don Vincenzo Graziadio – santamente appassionato alle opere sociali – i figli dei contadini insegnando loro a leggere e a scrivere.

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Orazio Mazzella

Giuseppe Rovetta

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

LA VOCE CATTOLICA «Da anni si desiderava un giornale che rispecchiasse i puri sentimenti cristiani, curasse l’educazione religiosa delle famiglie, specialmente nella classe operaia, secondasse le idee del Santo Padre, incoraggiando e promovendo il Movimento cattolico, dal quale la Patria nostra deve aspettarsi la sua rigenerazione morale, sociale e materiale. Confortati dall’autorità ecclesiastica, ci mettiamo all’opera, col fermo proposito di non venir mai meno. Esso La Voce cattolica è uno scopo santo, è la nostra (1898 - 1906) missione, è una missione di Il Lavoro (1905 - 1911) pace. Lungi da noi ogni ombra sfida e di provocazione. InL’Unione (1911 - 1913) diflessibili nella difesa dei principi e delle idee, saremo sempre Unione-Lavoro rispettosi delle persone che (1914 - 1915) professano principi contrari ai nostri, non perdendo mai di vista essere obbligo di un giornale cattolico persuadere e attirare l’animo degli avversari con la bontà delle ragioni che sostengono la sua santa causa, non già esacerbarli con le villane invettive e le contumelie. Non provocheremo sterili polemiche. Che, se alle polemiche fossimo noi provocati o trascinati, speriamo non dimenticar mai di essere cristiani e galantuomini» (17 maggio 1898).

Giornali decardoniani

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DEMETRIO GUZZARDI

LA LEGA DEL LAVORO «Operai! Una parola nuova risuona oggi nel mondo, fra le turbinose agitazioni sociali, una parola che vibra più rapida e più forte delle voci incomposte e assordanti del vecchio egoismo mascherato di scienza e di civiltà. È una parola di redenzione per gli oppressi, di vita per le coscienze, di pace per quanti sono devoti alla causa della verità e della giustizia. È la parola sempre antica e sempre nuova sprigionatasi dal petto di Cristo e rimasta in mezzo agli uomini, lievito di perenne giovinezza, semente di salutari speranze. È la parola dell’amore… In nome e in virtù di questa santa parola, che altra volta spezzò le catene degli schiavi e che oggi infiamma il cuore di tanti compagni nostri che hanno aperto gli occhi alla luce dei nuovi ideali in nome e in virtù dell’amore evangelico, noi operai del Fascio Democratico Cristiano di Cosenza, invitiamo tutti i nostri fratelli lavoranti e sofferenti a volere adoperarsi insieme con noi perché nella nostra provincia, come in tante parti d’Italia, sorga «Sono ammessi a far parte delvigorosa e robusta le Leghe del lavoro, lavoratori di la Lega del lavoro. buona condotta e di sentimenti Lega di operai che, amandosi in Cristo, democratici cristiani. uniscono le loro forIn caso di dubbio nell’applicaze per una generosa zione di questo articolo, decie legale difesa degli derà la Commissione esecutiva interessi morali ed nominata dal Congresso». economici del loro ceto».

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

Il programma decardoniano

“CLASSISMO PEDAGOGICO”

Il classismo decardoniano si diversificava da quello marxista perché spingeva i lavoratori non a lottare contro le altre classi, ma a unirsi per affermare i loro diritti e promuovere da soli la loro elevazione.

«Amandoci, soccorreremo i più bisognosi, presteremo le cure agli infermi, metteremo insieme parte dei nostri risparmi e colle nostre piccole banche a responsabilità limitata, potremo avere a disposizione un capitale da impiegare a tutto vantaggio della nostra classe, a impiantare scuole pei nostri giovani, a diffondere le nostre idee per mezzo di una vigorosa propaganda, a difenderci contro l’usura, a rialzare e sostenere la piccola industria. Crescendo il numero delle nostre associazioni, ci federeremo intorno ai nostri vescovi che sono i centri viventi del cristianesimo. Se la nostra azione si allargherà penetrerà dentro la vita pubblica, e darà alle amministrazioni un’impronta popolare e cristiana. Gli operai d’Italia organizzati nell’amore evangelico, si daranno la mano, e affretteranno il giorno in cui per la Patria comincerà una vita nuova».

De Cardona in una vignetta del 1907.

«Il mondo è diviso fra quelli che vivono rassegnati e quelli che vivono sperando».

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DEMETRIO GUZZARDI

NASCONO LE CASSE RURALI La Cooperativa cattolica di credito nacque a Cosenza nel 1901, ma da subito non convinse De Cardona, perché costituita da possidenti, professionisti e commercianti. L’anno dopo, con 20 artigiani e contadini, costituì la Cassa rurale di depositi e prestiti cattolica di Cosenza.

L’iniziativa delle Casse rurali fu l’unica alternativa offerta ai contadini per procurarsi il denaro necessario all’acquisto delle sementi e dei mezzi di lavoro. Fu il primo tentativo per superare gli inconvenienti creatisi con l’inattività dei Monti frumentari. Fu una fonte di credito per la classe contadina e artigiana, tramite i risparmi dei propri soci.

J. François Millet, L’Angelus (1859), Parigi, Museo d’Orsay

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«Voi contadini dovete prendere nelle vostre mani, la causa del Risorgimento civile della Calabria. Ricordate che il cristianesimo non solo salva l’anima dell’uomo, ma gli fa riacquistare il dominio sulle cose, sulle forze della natura, sugli animali, su tutto».

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

IL CREDITO AGLI OPERAI

«La funzione del credito per le nostre cooperative, deve essere una funzione cristiana, da procurare il sollievo economico degli umili, lo sviluppo ordinato delle industrie, specialmente agricole, l’educazione dello spirito di solidarietà civile e delle virtù religiose. Ogni nostra banca vuole essere una cellula del futuro organismo sociale cristiano» (La Voce cattolica, 29 marzo 1904).

Bisignano: la sede della Cassa rurale

«Denaro ce n’è nella provincia. Le Casse postali e la Cassa di risparmio sono piene di denaro che arriva dall’America, denaro sudato, chi sa con quanti sacrifici. Ora tutto questo denaro, e si tratta di milioni, è nelle mani dei ricchi, dei capitalisti… Ed ecco il popolo asino. Non solo il tuo lavoro, ma il tuo denaro porti nelle banche dove regnano i tuoi padroni». (Il Lavoro, 24 febbraio 1906)

Al primo congresso nazionale delle Casse rurali, svoltosi a Roma nel settembre 1918, dopo Verona con 98 casse e Bologna con 91; c’erano Catanzaro con 82 e Cosenza con 81.

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DEMETRIO GUZZARDI

IL VALORE DEI SOLDI «Il risparmio del popolo deve rimanere in Calabria, nei nostri istituti, per essere forza e sangue del popolo calabrese, per essere il lievito di una vita economica degna di uomini laboriosi e liberi, che sono decisi a utilizzare per sé, per il proprio avvenire, le proprie forze in un sano e sacro egoismo. Noi lavoriamo con le nostre Casse fiduciosi di iniziare la redenzione economica del nostro popolo. Renderemo un servizio alla Calabria, ma faremo, anche un servizio all’Italia, perché non ci può essere una grande Italia, finché c’è una Calabria misera e negletta». (La Voce cattolica, 23 marzo 1903)

«È meglio avere poco, per ora, ma fatto dagli operai: con quel poco, soltanto, è possibile l’educazione democratica del popolo». 36

Sottoscrizione «nichilista»

Per una strana vertenza agraria, nel novembre 1920, un padrone sequestrò e pignorò alcune mucche a un contadino di Cosenza. Don Carlo aprì subito una sottoscrizione; nessuno poteva donare più di un nichel (20 centesimi). In due giorni si raccolse molto più del necessario. La sera vi fu un comizio e una pacifica manifestazione dalla Prefettura a piazza Valdesi. Il corteo era capeggiato da don Carlo e da Sante Filice, seguivano le mucche riscattate e migliaia e migliaia di contadini. Fu un vero trionfo.

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE

De Cardona fu eletto consigliere comunale a Cosenza dal 1904 al 1909. Nel 1905 vinse le elezioni provinciali nel collegio di Rose-San Pietro in Guarano e per 18 anni, fino al 1923, venne sempre rieletto.

Dall’educazione promossa nelle Leghe e nelle Casse rurali si passò all’impegno diretto dei cattolici nella vita pubblica, nella sola forma allora consentita, presentarsi alle elezioni comunali e provinciali. Il non expedit, ancora in vigore, negava la partecipazione dei cattolici alle elezioni politiche, ma non comportava divieti per le amministrative. Il primo tentativo di inserimento nella vita pubblica avvenne nel 1903, con l’inclusione di un operaio cattolico, Eugenio Ciaccio, nella lista della quale facevano parte anche liberali e massoni, ma non risultò eletto.

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LA LEGA A SAN PIETRO IN GUARANO «Operai! Noi siamo divisi l’uno dall’altro e perciò non contiamo niente nella società presente, siamo ignoranti e perciò incapaci di far valere i nostri diritti di uomini liberi e di cittadini onesti, di fronte alle classi che hanno in mano i capitali e le pubbliche amministrazioni. Operai! Il lavoro delle nostre braccia è, da una parte, il consumo lento dei nostri muscoli, e dall’altra, la fonte precipua della pubblica ricchezza. Nei campi dove biondeggia la messe, nei palazzi signorili, nelle sfarzose eleganze del mondo borghese, nelle gigantesche costruzioni, nelle potenti macchine, nelle grandiose industrie, nello splendore materiale della civiltà, vi sono i nostri sudori, vi è parte del sangue nostro: è il nostro lavoro che dà vita alla multiforme e non lussureggiante produzione moderna».

Unire le deboli forze per un vantaggio collettivo «Sapete voi che cos’è l’ottone? Credete forse che esso si estragga dalla terra come il ferro, l’argento e tanti altri metalli semplici? Niente affatto: l’ottone si forma così: dentro a dei crogiuoli si mette tanto zinco e tanto rame, si fondono insieme Bacchette di ottone questi due metalli (semplici) e formano l’ottone, il quale è una lega. È pure una lega il bronzo, formato da zinco, rame e stagno. Le leghe sono sempre più forti dei metalli semplici che le formano; e così sarebbe delle nostre leghe operaie, se si fondessero bene; sarebbero più forti del bronzo...» (Il Lavoro, 17 marzo 1906).

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

LE CASE DEL POPOLO

A Cosenza in Via Casali, nel 1907 venne costruita una palazzina di 24 appartamenti, più altri a pianterreno, da fittare o vendere ai lavoratori; fu il primo esempio di casa popolare in Calabria. Il progetto fu redatto dall’ing. Silvio Castrucci, docente all’Istituto di Belle arti di Napoli; il fabbricato fu edificato dalla Cooperativa di muratori della Lega di Cosenza e inaugurato da don Carlo il 6 dicembre 1908.

Il rione dello Spirito Santo “cuore” della Lega Nella Chiesa dello Spirito Santo, De Cardona celebrava la Messa festiva per i leghisti, seguita in forma comunitaria con l’uso di un libretto, appositamente stampato dalla Lega. Nei locali di Palazzo Gallo e Palazzo Ercole Vetere funzionavano le scuole serali e il Circolo ricreativo con attività filodrammatiche. Venivano organizzate gite e manifestazioni sociali, specialmente il 15 maggio di ogni anno, anniversario della Rerum noCosenza, Chiesa dello Spirito Santo varum. Don Carlo usò la parola detta e scritta, ma si impegnò soprattutto per la scuola serale, dove insegnava a leggere e a scrivere per eliminare l’analfabetismo, come farà negli anni Cinquanta a Barbiana don Lorenzo Milani. Così lo ricorda un sacerdote cosentino: «Dal Seminario, lo vedevamo rincasare a notte inoltrata, e sapevamo che, trascorreva la sera in mezzo ai braccianti, ai contadini, ai quali diede generosamente, con impeto, tutto se stesso».

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UN MOVIMENTO AL FEMMINILE A San Pietro in Guarano un gruppo di donne furono licenziate dalle filande del barone Adolfo Collice, perché i fratelli o i mariti non avevano votato il signorotto locale, facendo risultare eletto alla Provincia don Carlo De Cardona. Una di esse, sfidando Pietro in Guarano, l’edificio con la ciminiera ospitava le ire padronali, mani- San la filanda del barone Adolfo Collice. festò per le vie del centro con la bandiera bianca leghista, e invitò le altre a costituire la sezione femminile della Lega del lavoro a cui aderirono 150 operaie. Fu una delle prime forme associative femminili nel Sud, che si dichiarò anche favorevole al voto per le donne.

«Fare in modo che le donne operaie, più buone e più intelligenti, promuovano, per quanto si può, da sé, e diriggano il Movimento, assumendone esse stesse la piena e intera responsabilità al fine di preparare un sincero e profondo rinnovamento sociale a favore della donna». (Il Lavoro, 17 febbraio 1906)

«Il nostro primo dovere è quello di essere uniti; il secondo dovere: essere uniti per la giustizia». 40

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

A MARSIGLIA PER I FICHI SECCHI «Oggi il lavoro, significa ignoranza, miseria, servitù; domani, il lavoro significherà intelligenza, agiatezza, libertà civile e politica. A questo domani noi vogliamo arrivare, pacificamente. Il vento spira verso il nostro domani».

Cosenza, Cooperativa «La vittoria», donne impegnate nel confezionamento dei fichi secchi da esportare.

Don Carlo, dal 1907 al 1912, per valorizzare i fichi e i bozzoli per la seta, prodotti tipici dell’economia contadina cosentina, si recò personalmente in Francia, a Marsiglia, per sostenere la loro commercializzazione e avere un prezzo all’ingrosso favorevole ai produttori associati nelle cooperative. Cartoline pubblicitarie in francese dei fichi secchi laDe Cardona riuscì a creare vorati e commercializzati da aziende cosentine. una forza di «coesione che legava tra di loro operai e contadini, suggellando quel patto di classe che avrebbe dovuto essere la premessa naturale al più grande e concreto moto di riscossa…».

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LA CENTRALE IDROELETTRICA TRICA nei pressi del fiume Arente tra i Comuni di Rose e San Pietro in Guarano Inaugurazione mulino elettrico

«Il parroco di San Pietro in Guarano, don Francesco Pizzuti, impartisce la benedizione di rito. A un cenno comunicato attraverso il telefono, la corrente elettrica, invisibile come un soffio di vita nel mistero dei fili, pervade, anima i poderosi ingranaggi, erompe fragorosa, gloriosa in movimento di cinghie, di ruote di cilindri; e dal vibrante macchinario pare trapassi nei cuori degli astanti, nell’animo di quella folla, davvero elettrizzata dall’entusiasmo, innanzi al fatto di una conquista, di un trionfo verace del lavoro, della tenacia, dell’ingegno, della forza organizzata. E non c’era bisogno di musica, quantunque essa suonasse sotto la direzione del maestro Spina; e non c’era neppure bisogno di discorsi. Si volle che almeno si facesse vedere Luigi Codagnoni, l’intelligente e paziente direttore dei lavori dell’impianto». (Il Lavoro, 23 novembre 1907) 42

22 giugno 1913, mons. Tommaso Trussoni, arcivescovo di Cosenza, da appena un mese, benedice la nuova centrale idroelettrica sul fiume Arente.

I macchinari furono costruiti dalla Casa Ganz di Budapest in Ungheria.

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

ARRIVA IL FUTURO «L’acqua, questa benedetta e umile creatura che è come la madre della vita, che scorreva quasi oziosa per i torrenti e per i fiumi, oggi, raccolta, ordinata, disciplinata diviene la tremenda forza creativa di questa grande novità che è l’elettrico, divenuto la sostanziale forza motrice e illuminatrice nella vita industriale e civile del mondo moderno» (Il Lavoro, 11 agosto 1906). Anche Cosenza avrà il suo mulino elettrico, gestito dalla Lega del lavoro e dedicato a Sant’Antonio. Successivamente l’acquistò Biagio Lecce per il suo pastificio.

Vignette pubblicate sul periodico illustrato cosentino, Cronaca dei dibattimenti (1907-1908).

COSENZA SENZA LUCE

Nel gennaio 1908, il nuovo sindaco di Cosenza, il decardoniano Antonio Cundari, nel suo discorso di insediamento parlò delle opere realizzate dalla Lega del lavoro a San Pietro in Guarano, come esempi da seguire; ma l’elettrificazione della città dei Bruzi arriverà solo nel 1914.

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L’AMICIZIA CON MONTINI

Giovan Battista Montini

Giorgio Montini

Tra gennaio e febbraio 1912 esponenti del Movimento cattolico bresciano, per una serie di imprevisti si fermarono una settimana a Cosenza; tra gli altri c’era Giorgio Montini (il padre di Paolo VI) che in una lettera alla moglie scrisse del soggiorno cosentino: «La città è bella e pulita, il luogo ridente. Sono contentissimo della relazione intrapresa con il prof. De Cardona, un santo simpaticissimo, col quale ci intendiamo perfettamente. È lui l’anima e la mente di un complesso Movimento cattolico come il nostro». Un anno dopo don Carlo, che era andato a Como per la consacrazione del nuovo presule di Cosenza, mons. Tommaso Trussoni, restituì la visita e conobbe tutta la famiglia Montini, compreso il piccolo Giovan Battista. Negli anni Sessanta, Paolo VI, in un’udienza concessa a mons. Domenico Picchinenna, arcivescovo di Cosenza, chiese se in città ci fosse ancora un vivo ricordo di don Carlo De Cardona. 44

DE CARDONA RICEVUTO DA BENEDETTO XV Il 24 ottobre 1914 De Cardona presentò in un’udienza privata il Movimento sociale calabrese a Benedetto XV. Il papa invitò don Carlo e i suoi collaboratori a essere «audaci, combattivi, pazienti». Don Carlo sul suo giornale scrisse: «Qui, dove tutto langue e muore nell’inerzia e nella diffidenza, daremo esempio di energia, di ardore, di vita».

Benedetto XV

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

NO ALLA GUERRA Don Carlo fu contrario all’entrata dell’Italia nella prima guerra mondiale; così scriveva in un articolo: «È una seria minaccia per gli interessi della classe proletaria. La guerra è strage di vite umane, è la negazione più terribile della fratellanza. Chi ama la guerra è figlio di Caino, perché la guerra elimina il lavoro e lo spirito del lavoro. I più colpiti sono i lavoratori dei campi e delle industrie. Gli italiani hanno qualcosa di più serio da fare per la vita e per la Patria. Hanno un infinito bisogno di pace». Durante gli anni della prima guerra mondiale le leghe e le Casse rurali svolsero un’intensa opera di soccorso materiale e spirituale: assistenza alle famiglie dei soldati, ricerca dei prigionieri e avviamento della corrispondenza nelle zone di guerra e nei campi di concentramento; assistenza alle vedove e agli orfani.

A PAOLA NEL 1920 CI SCAPPÒ IL MORTO Nicola De Seta era il presidente della Lega dei contadini di Paola e il leader naturale dei lavoratori dell’intero Tirreno. Fu ucciso il 1° maggio 1920 a Paola durante una manifestazione di risposta ai socialisti che avevano attaccato il Ppi. L’assassinio di De Seta divenne un monito contro il monopolio della rappresentanza operaia e l’uso gratuito della violenza.

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GLI AMICI

Federico Sorbaro

Sante Filice

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Nel corso della sua vita don Carlo è sempre stato circondato da amici che lo stimavano e che erano grati per quello che aveva loro insegnato. Innanzitutto Federico Sorbaro, ma anche il capo della Lega dei contadini, Sante Filice di Donnici e inoltre il capo mastro Vincenzo Prato, Luigi Bruno, Carmine Patitucci, Giovanni Canonaco, il tipografo Eugenio Ciaccio, Domenico Magarò, Antonio Cannataro, Paolina Ritacco e suo fratello Pilerio, Luigino Rende, Francesco Barca. Gli amici fedeli di San Pietro in Guarano Pasquale Zaccaro, detto giacchettone e Vincenzo Settino. Tra i sacerdoti: Luigi Nicoletti, Francesco Sarubbi, Bernardino Lupi, Francesco Pizzuti e Francesco Cozza.

Vincenzo Settino

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L’ANTIFASCISMO DI DON CARLO Don Carlo fu uno strenuo oppositore del fascismo. Nel 1926 con uno scatto d’ira scaraventò in strada il ritratto del duce, che una mano ignota aveva appeso nel suo ufficio alla direzione della Cassa rurale federativa. Nel 1927 però scrisse un articolo di apertura dopo l’approvazione da parte del Governo della Carta del lavoro. Per cercare di salvare le sue istituzioni bancarie, il 29 aprile 1935 da Todi scrisse a mons. Nogara: «I miei rapporti con i gerarchi del fascismo sono sempre stati di assoluto rispetto e di leale e fattiva collaborazione. Ho l’onore di possedere autografi del compianto ministro cosentino Michele Bianchi». L’arcivescovo di Cosenza, chiese più volte a Mussolini di incontrarlo per la vicenda delle Casse rurali cosentine, ma inutilmente; l’ultimo tentativo lo affidò a una polemica lettera inviata al duce per rimproverarlo di contraddizione tra la proclamazione dell’Italia rurale fascista e il rifiuto di aiutare i contadini calabresi.

«Si aspettava che la Carta del lavoro, promessa agli operai organizzati nei sindacati fascisti, fosse una giusta e definitiva rivendicazione dei diritti del lavoro di fronte al capitale. Ma essa oggi appare ben altro. Nelle sue linee c’è un ordinamento nuovo dei rapporti che formano la produzione, che è tanta parte nella vita economica, politica e morale della nazione. Nel codice voluto da Mussolini, sono presenti gli ideali di giustizia, felicemente avvicinati alle fonti della natura umana, alle tradizioni migliori e più profonde della Patria…» (Parola di vita, 4 maggio 1927).

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L’ESILIO A TODI

Don Carlo andò dal fratello Ulisse, medico, nella cittadina umbra dal 1935 al 1940 e poi nuovamente dall’ottobre 1948 fino al 1954, quando fece ritorno alla sua natìa Morano. Panorama di Todi

Mons. Carlo Taddei, sacerdote di Todi, in un suo volume parla di De Cardona come il prete dei fichi secchi. Così descrive i suoi lineamenti somatici: «Alto, magro, con lo sguardo fiero e le mani incredibilmente lunghe e nervose…»; mons. Taddei conclude: «il religioso cosentino è stato ingiustamente dimenticato, merita invece di essere annoverato tra quelle nobili anime che in principio di questo secolo presero a cuore i problemi della classe operaia alla luce del Magistero della Chiesa».

Disegno di Vincenzo Raimondi

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«Dopo la celebrazione della Messa, vedevo in me, con vivezza i paesaggi, i paesi, le persone, le strade, i monti... tutta la Calabria da me percorsa e vissuta intensamente in 40 anni di sacerdozio: io ero tutta quella gente, tutto quel mondo fisico, sociale, umano» (Diario, 16 agosto 1935).

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FALLIMENTO CASSE RURALI New York

De Cardona fece costruire a Cosenza in piazza della Vittoria, un intero palazzo, nelle vicinanze della Banca d’Italia e del Banco di Napoli, come sede della Cassa rurale federativa, simbolo della solidità economica finanziaria dell’opera. Il complesso costò più di un milione e mezzo di lire e fu inaugurato il 15 dicembre 1930. Attualmente è la sede della Camera del lavoro (CGIL) Cosenza

La fitta rete delle Casse rurali si ridusse drasticamente negli anni Trenta per l’effetto congiunto di due fenomeni: la crisi economica mondiale, iniziata a New York nel 1929 e la legge del 1926, che per frenare l’inflazione, congelò per 10 anni i buoni del tesoro; le istituzioni bancarie decardoniane vi avevano investito 26 dei 38 milioni di depositi. Inoltre due Casse, Mendicino e San Lucido, per imprevidenza nel concedere prestiti, fallirono. Nel settembre 1936 la Banca Nazionale del Lavoro aprì una sede a Cosenza e assorbì la Banca dell’Agricoltura (ex Cassa rurale federativa) che il 18 maggio 1936 aveva presentato il bilancio per la liquidazione.

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INSULTATO A COSENZA

Il periodico Democrazia Cristiana, diretto da Luigi Nicoletti, del 30 marzo 1946

Anche agli inizi della sua opera a Cosenza, negli anni 1895-1898, don Carlo e mons. Sorgente spesso venivano accolti dagli anticlericali con accanite sassaiole. A 74 anni fu nominato assessore all’Igiene e Sanità nel Comune di Cosenza, per decreto prefettizio, nella giunta presieduta dal socialista Francesco Vaccaro, dal 10 febbraio 1945 e fino alle elezioni del 31 marzo 1946. Don Carlo De Cardona

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

GLI ULTIMI ANNI

Un grande legame con madre Elena Aiello ’a monaca santa Suor Luisa Perna delle Minime raccontava: «Quando don Carlo nel 1940 venne ad abitare da noi a Casali, era già molto vecchio. Tutte le sere usciva con i contadini e gli operai che abitavano allo Spirito Santo o alla Massa… Qualche volta, quando alzavano il gomito, venivano anche a cantare sotto le finestre del nostro istituto…». Il bolscevico bianco, come veniva apostrofato De Cardona dagli avversari, fino alla fine della sua vita rimase fedele ai suoi amati operai e contadini. Erano passate due guerre, ma il suo modo di vivere l’appartenenza alla Chiesa era immutato.

Don Carlo aveva sempre avuto un buon rapporto con suor Elena Aiello (’a monaca santa). Nel febbraio 1932 mise gratuitamente a disposizione delle Suore Minime della Passione l’antica sede della Cassa rurale del rione Spirito Santo. De Cardona dal 1940 al 1948 abitò nella nuova casa delle suore in via dei Martiri a Cosenza Casali; la stessa suor Elena gli fece costruire appositamente un fabbricato con una «cameretta linda e ben areata». Nell’ottobre 1948 ritornò a Todi da suo fratello Ulisse e vi rimase fino al 1954. Poi, gli ultimi anni della sua vita, li passò a Morano Calabro ospite dell’altro fratello Nicola, dove il 10 marzo 1958, all’età di 87 anni, tornò alla Casa del Padre.

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10 MARZO 1958

Democrazia Cristiana, giornale fondato a Cosenza da don Luigi Nicoletti, il 22 marzo 1958 esce con un numero listato a lutto, per la morte di don Carlo De Cardona.

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

UN MEDAGLIONE PER DON CARLO In occasione del primo centenario della nascita (31 ottobre 1971) a Cosenza in piazza Parrasio è stato inaugurato un medaglione bronzeo dedicato a don Carlo De Cardona. Durante la celebrazione della Messa in Duomo, mons. Enea Selis, da poco nominato arcivescovo di Cosenza, disse: «Desidero affermare che il mio episcopato vuole assumere e continuare l’attività religioso-sociale che i cattolici cosentini, guidati da don Carlo De Cardona iniziarono e promossero agli albori del secolo, facendosi promotori, tra i primi in Italia, di una giustizia sociale ispirata al Vangelo. Don Carlo De Cardona amò Dio e il prossimo come pochi». La scultura è opera dell’artista Cesare Baccelli.

Lo scoprimento del medaglione fu affidato a Federico Sorbaro.

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DE CARDONA CITATO DA WOJTYLA Cosenza 6 ottobre 1984 omelia allo stadio San Vito

Anche nei tempi recenti la vivacità dei cattolici cosentini ha dimostrato che questa vigna del Signore sa produrre i suoi frutti: basti ricordare i sacerdoti Carlo De Cardona e Luigi Nicoletti, animatori intrepidi del Movimento cattolico calabrese, che sotto la spinta della Rerum novarum e della Quadragesimo anno, seppero promuovere iniziative sociali di grande rilievo per la promozione dei lavoratori.

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MOSTRA STORICA SU DON CARLO DE CARDONA

IL MONUMENTO A MORANO Tante le strutture pubbliche e private che portano il nome del prete di Morano: nella sua città natale, a Cosenza e in altri luoghi, gli sono state dedicate delle vie. A Roma negli anni Ottanta, il Centro culturale a cui partecipavano gli studenti di Comunione e liberazione di Morano e Castrovillari, portava il suo nome. Il Comune di Cosenza ha apposto, il 21 febbraio 2009, una lapide sul «Palazzo della Lega» a Casali. A San Pietro in Guarano l’ex mulino elettrico, che ora ospita la biblioteca comunale e le sale per attività culturali, dal 17 novembre 2007 è stato denominato «Palazzo don Carlo De Cardona». La BCC «Mediocrati», all’interno del suo Centro direzionale di Rende, gli ha dedicato la sala convegni.

Per solennizzare i 50 anni della morte di don Carlo De Cardona a Morano Calabro è stato innalzato un busto bronzeo; l’opera è dello scultore Pasquale Nava, del laboratorio artistico Domus Dei, della Congregazione delle Pie discepole del Divin Maestro. L’inaugurazione della scultura si è tenuta sabato 20 settembre 2008.

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PROCESSO DI BEATIFICAZIONE

Morano Calabro 22 ottobre 2017, insediamento del Tribunale ecclesiastico

Secondo mons. Demetrio Moscato (1888-1968): vescovo di San Marco e Bisignano e dal 1945 arcivescovo di Salerno: «Don Carlo De Cardona è un santo che l’episcopato calabrese del tempo, non ha capito e non ha difeso».

Il prof. Biagio Giuseppe Faillace, di Morano Calabro, la prima volta pubblicamente il 21 luglio 2003, ha rivolto un accorato appello per intraprendere un’indagine canonica per verificare la possibilità di allestire la causa di beatificazione di don Carlo De Cardona. Ha reiterato la sua proposta il 20 settembre 2008 e l’allora vescovo mons. Vincenzo Bertolone ha subito preso in considerazione l’istanza. Poco dopo sono giunti i pareri favorevoli da parte della Congregazione per le cause dei santi e dalla Conferenza episcopale calabra; don Carlo De Cardona è stato così dichiarato “servo di Dio”.

Il 2 dicembre 2018 è avvenuta la traslazione del corpo di don Carlo dal cimitero di Morano Calabro alla Chiesa della Maddalena. 56

Il 13 settembre 2017, mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano Jonio, ha costituito una nuova Commissione per ricercare e raccogliere scritti, documenti e testimonianze su don Carlo De Cardona.

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STUDI E RICERCHE SU DON CARLO DE CARDONA

LE SPOGLIE DI DON CARLO DE CARDONA NELLA CHIESA DELLA MADDALENA A MORANO CALABRO di Biagio G iuseppe F aillace

Riesumazione e ricognizione del corpo Sabato 10 febbraio 2018, dalle ore 8.00 alle 14.00, nella cappella centrale del cimitero di Morano Calabro è avvenuta la riesumazione e ricognizione del corpo di don Carlo De Cardona, Servo di Dio, in forma strettamente riservata. Erano presenti 26 persone, tra cui 8 sacerdoti componenti il Tribunale ecclesiastico per il processo di canonizzazione, il vicario generale della diocesi di Cassano Jonio, 3 componenti della Commissione storica, il notaio del Tribunale, l’assessore regionale alla Sanità, il postulatore del processo di beatificazione, due pronipoti, le maestranze, l’addetto alle riprese televisive e fotografiche nominato dalla curia vescovile e 2 medici legali provenienti dall’Ospedale “Gemelli” di Roma. Delicato il lavoro dei medici legali, che con riverenza hanno compiuto il loro dovere, con una pulizia accorta dello scheletro di don Carlo, la cui ossatura era salda e perfetta, venendo fuori una figura alta, nobile e ieratica, come è stata descritta Morano Calabro, 2 dicembre 2018, dal cimitero comunale alla Chiesa della Maddalena.

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BIAGIO GIUSEPPE FAILLACE

in alcune testimonianze da persone che l’hanno conosciuto in vita. Le varie parti dello scheletro, formalmente catalogate, sono state deposte in una piccola bara. È seguito un momento fortemente significativo: i sacerdoti presenti, in silenzio e molto compunti, hanno preparato i paramenti sacerdotali, nuovi, candidi come la neve, e li hanno sistemati nella piccola bara, rendendo omaggio al sacerdote, Servo di Dio; è stato deposto anche un astuccio sigillato contenente una copia della relazione redatta dal notaio e firmata dai componenti il Tribunale ecclesiastico e la Commissione storica, nonché dal vicario generale della diocesi, letta ad alta voce dal notaio. Alle ore 14.00 la piccola bara è stata nuovamente collocata nel loculo con una lapide provvisoria, in attesa della traslazione nella Collegiata di Santa Maria Maddalena, la parrocchia del Servo di Dio. Sono state 6 ore in cui si è respirata, in religioso silenzio, un’atmosfera di santità, nonostante il freddo rigido: sulle cime del Pollino – tanto caro a don Carlo – nevicava! Dal cimitero alla Collegiata della Maddalena Domenica 2 dicembre 2018 è stata festa grande per la comunità di Morano e non solo, per la traslazione del Servo di Dio, sacerdote don Carlo De Cardona. È stata scritta una storica pagina sulla figura gloriosa di don Carlo, che, come ha detto il vescovo mons. Francesco Savino, ha «saputo mettere insieme il cielo con la terra». Le oltre tre ore del rito religioso, dal cimitero fino alla tumulazione nell’altare marmoreo di Santa Teresa d’Avila nella Collegiata di Santa Maria Maddalena di Morano Calabro, sono trascorse tra canti e preghiere; 58


TRASLAZIONE DELLE SPOGLIE DI DON CARLO DE CARDONA

emozionante il corteo che si è snodato dal cimitero alla Chiesa; si portava in gloria don Carlo, ritornava tra la gioia dei tanti moranesi e calabresi nella sua casa, in quella chiesa dov’era stato battezzato e cresimato, quella chiesa dove si era svolto il suo funerale l’11 marzo 1958. Gli oltre 20 sacerdoti, la presenza del vescovo di Lungro, che ha concelebrato con mons. Savino, la partecipazione dei frati cappuccini di Morano, ai quali don Carlo era molto legato, la presenza dei novizi francescani e del Terzo Ordine francescano, alcune Suore minime venute da Cosenza, unitamente ad autorità civili e militari, il sindaco e l’Amministrazione comunale di Morano, della zona del Pollino e dei paesi della Sila, dove don Carlo ha operato, i canti bellissimi della Schola cantorum interparrocchiale di Morano, il suono a festa delle campane delle chiese di Morano e quella del convento dei cappuccini, la presenza della Rai calabrese e di tante altre televisioni, fotografi e giornalisti, hanno reso il giusto e dovuto omaggio a chi tutti noi consideriamo un santo. Nella Chiesa della Maddalena, gremita fino all’inverosimile, sembrava di essere in Paradiso al cospetto di un santo che in vita ha dato tutto se stesso per i poveri e per gli ultimi, con intuizioni, che ancora oggi, come ha ribadito mons. Savino durante l’omelia, sono più che valide. Momento emozionante è stata la tumulazione, dopo la celebrazione eucaristica: tra preghiere, canti e lacrime di gioia, don Carlo è stato adagiato con delicatezza e venerazione nella tomba privilegiata, sulla quale già si recano i fedeli a pregare. Rendiamo grazie al Signore per averci fatto dono di questo santo sacerdote, don Carlo De Cardona, per il momento Servo di Dio; domani, come auspicato da molti, beato e santo. 59


FRANCESCO SAVINO

DE CARDONA ANTICIPATORE DEL CONCILIO VATICANO II di mons. F rancesco Savino omelia per la traslazione delle spoglie di don Carlo De Cardona - 2 dicembre 2018

La Chiesa, come una madre, ci prende per mano e ci accompagna ogni giorno alla comprensione dei grandi misteri di Dio. L’itinerario liturgico è, per il credente cattolico, orientamento indispensabile. Quest’anno, a partire dalla prima domenica di Avvento, leggeremo il Vangelo di Luca, il Vangelo della misericordia e della gioia. L’Avvento risveglia in noi la consapevolezza di essere in perenne attesa della Parusia, la definitiva venuta di Gesù nella Gloria. La comunità ecclesiale vive nel tempo, abita la storia e, nel frattempo, è chiamata a testimoniare la bellezza del Vangelo. La Chiesa, corpo di cui il capo è Cristo, fa esperienza del già e non ancora, per giungere al compimento della sua missione. In questo frattempo, operando nel mondo, siamo chiamati a superare molte prove, a vivere tante tentazioni. É Gesù stesso che ci dice di stare attenti a che i nostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni e ubriachezze. Egli ci invita a non sciupare il tempo che viviamo. Un pericolo che corriamo consiste nel cedere alla mondanizzazione, come ripete papa Francesco che richiama la Chiesa a non seguire le logiche mondane. Le sue parole sono più o meno: «Vegliate e pregate in ogni momento, vivete con 60


TRASLAZIONE DELLE SPOGLIE DI DON CARLO DE CARDONA

La celebrazione eucaristica è stata officiata dal vescovo di Cassano all’Jonio, mons. Francesco Savino, affiancato dal vicario generale, don Francesco Di Chiara, dal vescovo di Lungro, mons. Donato Oliverio, dal parroco della Maddalena don Claudio Bonavita, dal postulatore della causa di beatificazione e canonizzazione, don Massimo Romano. Presenti i componenti del Tribunale ecclesiastico impegnato ad accertare l’esercizio eroico delle virtù cristiane di don Carlo, i frati cappuccini del convento moranese e una rappresentanza del clero cosentino. Tra le autorità: il primo cittadino di Morano Calabro, Nicolò De Bartolo; il vicesindaco, Pasquale Maradei; il presidente del Parco del Pollino, Domenico Pappaterra; il sindaco di Malvito, Pietro Amatuzzo; autorità militari e i familiari di don Carlo. Molti i fedeli e i devoti intervenuti da diversi paesi della provincia.

responsabilità, custodite il tesoro che vi è stato dato, non siate pigri, non siate indolenti prigionieri dell’accidia, della noia, della svogliatezza». Non si può essere cristiani senza la preghiera. La preghiera è il respiro di Dio, l’intimità con Cristo. Che felice coincidenza! Quest’anno all’inizio dell’anno liturgico c’è stata la traslazione dei resti di don Carlo De Cardona in questa bellissima Chiesa di Santa Maria Maddalena. De Cardona è stato il sacerdote della gioia, il sacerdote dell’Avvento. Egli ha saputo mettere insieme il cielo e la terra, la preghiera e l’azione sociale. Don Carlo è stato un mistico, un innamorato di Gesù Crocifisso ed è vissuto per fare la volontà di Dio conformandosi al Cristo. L’amore verso gli ultimi è stato per lui causa di incomprensioni e tuttavia non si è mai arreso davanti a nessun ostacolo. Don Carlo fu visto dal fascismo come un dissidente e fu ostacolato pure da tanti esponenti del mondo cattolico. De Cardona ha ideato e realizzato le Casse rurali perché sapeva che, se un contadino o un artigiano chiedeva un prestito senza sufficienti garanzie, nessuna banca glielo avrebbe mai concesso. Egli volle che i poveri potessero accedere al credito, senza dover ricorrere all’usura. I tre principi cardini della Dottrina sociale della Chiesa furono codice culturale di vita per don Carlo: la destinazione universale dei beni, i beni comuni e la sussidiarietà. Si può sostenere, senza ombra di dubbio, che don Carlo ha avuto una concezione civile e di comunione dell’economia. A lui spetta il merito di aver anticipato, nella fedeltà alla Dottrina sociale della Chiesa, i contenuti del Concilio Vaticano II. Ringraziamo il Signore per il dono di don Carlo De Cardona alla Chiesa calabrese, nell’attesa del riconoscimento della sua beatificazione. 61


LEONARDO BONANNO

L’ESEMPIO DI DON CARLO DE CARDONA: DALLE SUE MANI PASSARONO MILIONI, MA MORÌ POVERO di Leonardo Bonanno vescovo di San Marco Argentano-Scalea Avvenire - pagina indiocesi (San Marco Argentano-Scalea), 13 dicembre 2018

Ispirato agli ideali dell’enciclica Rerum novarum (1891) di Leone XIII, agli inizi del Novecento si levò l’appello del giovanissimo sacerdote don Carlo De Cardona rivolto ai contadini e agli operai della provincia cosentina; appello che non rimase inascoltato. La parola del papa giunse a De Cardona mentre era intento agli studi filosofici e teologici a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana: essa incitava clero e laici all’apostolato sociale, per andare incontro alle classi lavoratrici. In quegli anni il giovane De Cardona approfondiva il pensiero e l’azione sociale di mons. Guglielmo Ketteler, vescovo di Magonza, antesignano dell’impegno della Chiesa per il mondo del lavoro; seguiva gli insegnamenti del prof. Giuseppe Toniolo, con il quale nacque una proficua amicizia, così come con don Romolo Murri. Don Carlo De Cardona, nato a Morano Calabro (diocesi di Cassano Jonio) il 4 maggio 1871 e ordinato sacerdote il 7 luglio 1895 dal vescovo mons. Evangelista Di Milia, venne chiamato dall’arcivescovo di Cosenza mons. Camillo Sorgente quale suo segretario, che lo destinò all’opera di elevazione della classe operaia. Fu nel giugno 1901 che don Carlo chiamò a raccolta gli operai di tutta la provincia cosentina per fondare la Lega del lavoro, alla quale fecero seguito leghe delle diverse categorie di lavoratori; così come promosse Casse di mutuo soccorso e Casse rurali. Un’organizzazione capillare che suscitò la reazione della borghesia conservatrice e persino dei socialisti, che si videro scavalcati da questo sacerdote pioniere del Movimento contadino e operaio a Cosenza. In pochi anni le organizzazioni economiche decadoniane erano già fiorenti, tanto che nel 1904 alle elezioni di Cosenza risultò primo eletto l’operaio tipografo Eugenio Ciaccio, lo stesso De Cardona divenne assessore alle finanze. Don Carlo aveva aperto l’anima dei proletari alla vita cristiana; essi si accostavano con rinnovato fervore ai sacramenti, mentre dal Vangelo ricavavano ispirazione per le loro attività; egli accompagnava le sue lezioni nei circoli serali con una condotta retta, tanto da poter dire, verso il tramonto della sua vita: «Sono passati milioni nelle mie mani, ma non mi sono mai lasciato contaminare», tanto che negli anni della sua vecchiaia, pur avendo un nuovo incarico nella giunta comunale di Cosenza, era assistito dalle suore della monaca santa, come uno degli indigenti della città. 62


TRASLAZIONE DELLE SPOGLIE DI DON CARLO DE CARDONA

Le spoglie del Servo di Dio, don Carlo De Cardona, nel transetto della Collegiata Santa Maria Maddalena, in cornu epistolae, ai piedi dell’altare dedicato a Santa Teresa d’Avila. L’economia di questa pagina non mi consente altre considerazioni sull’ultima parte della vita di don Carlo e soprattutto sulla vicenda fallimentare delle sue Casse rurali. All’inizio degli anni ’70 del Novecento, da giovane presbitero respirai nel Seminario cosentino il clima decardoniano, collaborando con il rettore del tempo, don Serafino Sprovieri (sarà arcivescovo di Rossano e successivamente di Benevento) già valente segretario dell’arcivescovo mons. Aniello Calcara. Nacque la Sezione studi “Carlo De Cardona” e si susseguirono convegni, dibattiti, premi, come il Premio nazionale Cosenza, che nella XIV edizione venne assegnato a Ferdinando Cassiani per il volume I contadini calabresi di Carlo De Cardona (1898-1936), Roma, Cinque Lune, 1976. Nel 1971 si tenne la commemorazione del centenario della nascita di don Carlo: a Cosenza, presenti l’arcivescovo mons. Enea Selis e Maria De Cardona Coscia, nipote di don Carlo, che assisterà lo zio fino alla morte, in quell’occasione venne scoperto un medaglione in bronzo sulla facciata del Collegio arcivescovile, accanto a quello di Leone XIII; a Morano, dove il vescovo mons. Domenico Vacchiano parlò della sua opera nella Chiesa di Santa Maria Maddalena, che dal 2 dicembre 2018, per volontà del vescovo mons. Francesco Savino e del Comitato per la causa di beatificazione del Servo di Dio, custodisce le spoglie mortali del sacerdote. 63


NOTIZIARIO DECARDONIANO

DUE NUOVE PUBBLICAZIONI “DECARDONIANE” Don Luigi Nicoletti, aveva pubblicato a puntate sulle pagine del giornale che dirigeva, Democrazia cristiana, alcune favole, che poi raccolse in un volume nel 1955. In occasione delle manifestazioni per i 60 anni della morte del prete di San Giovanni in Fiore, è stato riedito, con le illustrazioni di Roberta Fortino e in appendice un’antologia di scritti di e su don Luigi Nicoletti «lo Sturzo calabrese». Nei 23 racconti, don Luigi ci presenta, alla sua maniera, dialoghi immaginari fra uomini e animali. «Tutti abbiamo fatto l’esperienza di incontrare persone fedeli e leali, ma anche iene, sciacalli e vipere», queste favole hanno oggi una grande attualità. L. Nicoletti, Qui parlano le bestie, a cura di F. Capocasale, Cosenza, Progetto 2000, 2019, pp. 112, euro 10.00.

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Enzo Stancati (1948-2008), storico e autore teatrale, nel 1997 aveva scritto un testo per il teatro di due tempi e dieci quadri, in cui immagina un incontro tra il medico, filantropo, socialista Pasquale Rossi e don Carlo De Cardona. I due più volte ebbero a scontrarsi difendendo le proprie idee. Enzo Stancati, nel suo testo, racconta e valorizza le personalità dei due protagonisti della vita sociale e politica dei primi anni del Novecento a Cosenza. «Ci hanno separato come abissi le nostre storie, ma i posteri troveranno molto in comune fra i nostri alfabeti, il loro accordo di domani si radicherà sul nostro odio di oggi». E. Stancati, La Calabria sognata. Carlo De Cardona e Pasquale Rossi. Due tempi e dieci quadri, Cosenza, Pellegrini, 2019, 88 pagine, euro 10.00.


STUDI E RICERCHE SU DON CARLO DE CARDONA

FRANCO RIZZO UN TESTIMONE DEL CATTOLICESIMO DEMOCRATICO E SOCIALE di Francesco Capocasale Centro studi calabrese Cattolici socialità politica

All’alba di martedì 18 febbraio 2020, in una clinica romana, ha concluso la sua esistenza terrena l’ing. Franco Rizzo (nella foto). Nella sua persona era evidente la perfetta coincidenza tra vita privata e pubblica, tra valori ideali di riferimento e azione concreta; Franco da sempre ha manifestato piena adesione culturale e politica all’esperienza cattolico-democratica, della quale fu un convinto sostenitore e autentico testimone. Fu amministratore comunale di Longobucco, dove era nato il 6 settembre 1944; fu eletto sindaco di Crosia nel 1992, dove si era trasferito, per ragioni professionali e familiari. Forte era la sua volontà di impegno sociale, in direzione dello sviluppo della Sibaritide, dal Pollino alla Sila Greca, dalla quale Franco proveniva e dove aveva conservato non solo affetti familiari, ma anche forti e solide radici. È stato un grande animatore culturale, sempre all’insegna del pluralismo, attivo protagonista nell’attuazione di strumenti nuovi, come il Circolo culturale “Umberto Zanotti Bianco” da lui fondato e diretto, nel quale ha promosso mensilmente appuntamenti di grande interesse, garantendo importanti presenze di esperti a livello nazionale, finalizzati alla crescita socio-economica di un territorio che, lungo la Statale ionica, arriva alla Provincia di Crotone. Di quest’area conosceva: peculiarità, risorse e potenzialità da promuovere, così come era al corrente dei limiti e delle carenze soprattutto sul piano infrastrutturale, che ne avevano frenato – e ne frenano purtroppo ancora oggi – il pieno decollo. Rizzo aveva la consapevolezza che il territorio ionico cosentino, pur baciato dalla natura, per il mare incontaminato e la suggestiva montagna, oltre all’enorme patrimono storico, ha accumulato ritardi e lacune, che ne impediscono il collegamento alle dinamiche dello sviluppo. Insieme ad altri professionsiti e imprenditori nel 1991 ha dato vita alla Cassa rurale e artigiana intercomunale con sede a Calopezzati, intitolata a don Carlo De Cardona, successivamente inglobata, a seguito delle norme governative in materia di fusioni bancarie, alla BCC “Mediocrati”, che continua a 65


FRANCESCO CAPOCASALE

IN TANTI A MIRTO PER L’ULTIMO SALUTO ALL’ING. RIZZO «Con Franco Rizzo va via una delle figure più fulgide della comunità traentina – ha affermato il sindaco di Crosia Antonio Russo, in un messaggio trasmesso alla famiglia dell’ing. Rizzo – egli è stato uno dei fari della cultura nella nostra cittadina, un personaggio illustre che ha dato tanto alla sua gente in termini di idee e conoscenza. Siamo vicini alla moglie, ai figli, al cognato Emilio Cinelli, amministratore di Crosia, in un momento triste che coinvolge l’intera collettività». Tanti gli amici, i parenti, i rappresentanti istituzionali e privati cittadini che, in occasione delle esequie tenute nella Chiesa Divin Cuore di Mirto, hanno voluto dare l’ultimo saluto all’ing. Francesco Rizzo. Un’ora prima dei funerali, il feretro, giunto dalla capitale, è stato portato nella chiesa parrocchiale, che egli ha sempre frequentato. L’arcivescovo di Rossano-Cariati, mons. Giuseppe Satriano, ha animato un momento di preghiera in suffragio dell’anima di Franco Rizzo. I funerali sono stati presieduti da don Pietro Madeo e concelebrati da don Umberto Pirillo, don Giuseppe Ruffo, don Claudio Cipolla, don Pompeo Tedesco, don Giuseppe De Simone e don Mosè Cariati. Alle esequie ha preso parte anche il mondo della scuola, con la bandiera a lutto; erano presenti docenti e dirigenti in pensione, che con Rizzo hanno avuto rapporti di cordiale amicizia. Partecipazione attiva dei sindaci dei due comuni di origine e di adozione: Longobucco e Crosia (Giovanni Pirillo e Antonio Russo) con la fascia tricolore e i gonfaloni di rappresentanza.

operare positivamente. Proficuo impegno esplicitò per la formazione e la diffusione del Gal (Gruppo di azione locale) che, nelle sue molteplici articolazioni, da Gal della Sibaritide a Gal Sila Greca e poi a Gal dell’Arco ionico, assicurò una presenza costante per lo sviluppo, con progetti innovativi nel rispetto dell’ambiente e della sostenibilità, privilegiando, oltre il campanile, la logica sovracomunale, favorendo l’aggregazione tra più territori. Franco Rizzo proveniva da una scuola antica, ma ancora nuova, pure in questo nostro contesto odierno, profondamente cambiato, quella del cattolicesimo democratico, sociale e popolare che in Calabria, con don Carlo De Cardona e don Luigi Nicoletti, ha rappresentato una vera epopea, bloccata dal fascismo e poi rinata con don Luigi Nicoletti, nel periodo della ricostruzione democratica. L’ing. Rizzo prima della laurea in ingegneria a pieni voti, al Politecnico di Torino, aveva frequentato il Liceo classico a Soverato dai Salesiani, dove aveva conosciuto un sacerdote straordinario, don Mario Squillace, tra gli ispiratori della Sinistra di Base democristiana in Calabria, che con Riccardo Misasi, Tonino Guarasci, Franco Locanto, Rosarino Chiriano, Francesco Smurra, Mariano e Pierino Rende, e tanti altri, negli anni Sessanta contribuì al rinnovamento dello scudo crociato cala66


FRANCO RIZZO TESTIMONE DEL CATTOLICESIMO DEMOCRATICO

DE CARDONA E NICOLETTI DUE GRANDI CALABRESI Sono stati innumerevoli gli appuntamenti, organizzati da Franco Rizzo per il Circolo culturale-ricreativo di Mirto, poi intitolato a “Umberto Zanotti Bianco”; basta entrare nella sede di piazza Dante e vedere appesi alle parte le centinaia di locandine degli eventi realizzati. L’ing. Rizzo curava personalmente tutte le fasi organizzative delle manifestazioni, compresa la grafica e la conduzione dell’incontro. In un quaderno decardoniano, non si può non ricordare il convegno tenuto venerdì 16 marzo 2012, su Carlo de Cardona e Luigi Nicoletti due grandi calabresi testimoni del cattolicesimo sociale del Novecento. Dopo i saluti di Franco Rizzo presidente del Circolo, di Gerardo Aiello sindaco di Crosia, Giovanni Iaquinta assessore alla cultura di San Giovanni in Fiore (paese natale di don Luigi Nicoletti) e Francesco Di Leone, primo cittadino di Morano Calabro (paese natale di don Carlo De Cardona), i lavori sono stati coordinati da Franco Pistoia, già sindaco di Corigliano Calabro e senatore della Repubblica. Sono intervenuti: Biagio Faillace presidente del Comitato promotore della causa di canonizzazione di De Cardona, che ha parlato su Carlo De Cardona, l’apostolo della cooperazione; seguito dal vescovo di San Marco Arg.-Scalea mons. Leonardo Bonanno, che ha relazionato su Luigi Nicoletti, lo Sturzo di Calabria; una preziosa testimonianza è stata portata da Pierino Rende, già deputato al Parlamento. Come in tutti gli incontri, voluti da Franco Rizzo, non è mancato un momento musicale, in questa occasione affidato al Centro studi musicali “Giuseppe Verdi” di Rossano.

brese; Rizzo quale rappresentante della Base, fu più volte componente del Comitato provinciale della Dc cosentina. Benché non coetanei, la nostra amicizia si consolidò in quegli anni di forte impegno politico per entrambi; mi vengono alla mente i comizi che mi fece tenere: a Longobucco, presentato da Ciccio Madeo, cognato di Franco e valido dirigente organizzativo del Movimento giovanile Dc, di cui ero segretario provinciale, e a Mirto nella piazza adiacente la Statale ionica. Riassaporo il gusto del buon tempo antico, così come ricordo le Feste dell’amicizia itineranti ai tempi della segreteria di Benigno Zaccagnini, nei diversi comuni ionici: Calopezzati, Mirto, Cariati. Rizzo è stato un innamorato della politica, ma di quella buona, onesta e operosa, e forse, com’è capitato anche ad altri, la politica non gli ha concesso più gratificanti traguardi istituzionali. Fu un bravo operaio nella costruzione della città dell’uomo, una sentinella in attesa dell’aurora, nella prospettiva dell’emancipazione socio-economica del territorio dove ha vissuto e operato con encomiabile energia. «Non importa il numero dei passi compiuti – se lunghi o brevi – durante il cammino terreno, l’importante è lasciare tracce ed impronte» e Franco ne ha lasciato di positive, tutte per il bene comune. 67


SERAFINO SPROVIERI

Franco Rizzo conservò gelosamente il testo con la benedizione della Cassa rurale di Calopezzati, che l’arcivescovo di Rossano-Cariati, mons. Serafino Sprovieri gli fece recapitare. 68


STUDI E RICERCHE SU DON CARLO DE CARDONA

INAUGURAZIONE DELLA CASSA RURALE E ARTIGIANA “CARLO DE CARDONA” DI CALOPEZZATI intervento di saluto del presidente F ranco Rizzo Calopezzati, 29 giugno 1991

Esimie autorità, cari soci, gentili signore e signori intervenuti, a nome del Consiglio di amministrazione e mio personale un grazie sincero, per la cortesia e l’attenzione che ci avete voluto usare, intervenendo a questa cerimonia, che, pur nella sua semplicità, rappresenta per noi, che a questa iniziativa abbiamo lavorato, un’evenienza assai importante. Sento il dovere di esternare la mia gratitudine a mons. Serafino Sprovieri, arcivescovo di Rossano-Cariati, che, da sempre è vicino al movimento cooperativo, pur fra moltissimi impegni, che in questo momento l’hanno costretto ad allontanarsi da noi, ha voluto elargirci la sua personale benedizione; alla Banca d’Italia di Cosenza e al suo direttore dott. Guadalupi, che ci sono stati vicini per tutto il periodo intercorso fra la presentazione della prima istanza fino a oggi e ci hanno riconfermato la loro disponibilità per il futuro; al presidente avv. Lucio Caputo, al direttore dott. Aldo Donnici e a tutta la Federcasse calabrese per l’assistenza fornitaci fin dal momento in cui abbiamo partorito l’idea; al dott. Berion, della sede centrale della Banca d’Italia, che ha seguito le nostre vicende, sempre con occhio amichevole; ai sindaci di Calopezzati, Crosia, Caloveto, Cropalati, Pietrapaola e Rossano per la collaborazione che ci hanno offerto in fase di raccolta delle adesioni; Un momento dell’inaugurazione della Cassa rurale “Carlo De Cardona” a Calopezzati.

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FRANCO RIZZO

al notaio Pisano e all’avv. Maringolo per l’assistenza che ci hanno fornito in fase di formazione della cooperativa; al prof. Luigi Giannone che con noi ha cooperato in rappresentanza della Borea srl e che, con generosità, ci ha dato la possibilità di fruire dei locali per questa nostra manifestazione. A quanti con noi hanno collaborato: da Architettura d’interni all’impresa Falcone, dall’architetto Pino Graziano a tutti i tecnici e gli operai, per mettere su una sede che, come avete visto, non sarà bellissima, ma è degna dei nostri splendidi paesi. Al prof. Giudiceandrea, va un sentito ringraziamento per la disponibilità dimostrataci in ogni momento. Permettetemi di esternare con un simbolico abbraccio tutta la mia riconoscenza, insieme a quella del Comitato promotore e della dirigenza tutta della Cassa, all’avv. Lodovico Lavia. Ha voluto questa Cassa con la stessa passione con cui l’abbiamo voluta tutti noi fondatori; l’idea dell’intercomunale l’abbiamo messa a punto insieme, l’abbiamo verificata insieme, l’abbiamo portata a termine insieme. Senza il suo impegno, difficilmente oggi saremmo qui; un ultimo ringraziamento agli amici che hanno costituito il Comitato promotore; agli amici che si sono impegnati nella raccolta delle adesioni, soci che con la loro risposta entusiasta e il loro impegno economico, hanno reso possibile la formazione della cooperativa, agli amici che sono stati disponibili ad assumere delicate responsabilità nel Consiglio di amministrazione, nel Collegio dei sindaci e in quello dei probiviri. L’impegno di tutti ha consentito il successo che oggi raccogliamo e per il quale sento il dovere di ricordarlo, un merito particolare va all’amico Gennaro Bianco, con lui ho percorso tutte le tappe di questa avventura: non ha mai desistito dall’impegno per un solo istante e il suo entusiasmo è stato decisivo, soprattutto nei momenti – e, credetemi ce ne sono stati tanti – di maggiore difficoltà. Recita l’articolo 2 del nostro Statuto: «La società si ispira ai principi cooperativi della mutualità senza fini di speculazione privata. Essa ha lo scopo di favorire nelle operazioni di banca, perseguendo il miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche degli stessi». In questo abbiamo creduto e crediamo, e per questo siamo nati, l’impegno che la promozione morale, culturale ed economica, e quindi, la promozione umana che la nostra Cassa, in grande modestia e umiltà, ma con grande entusiasmo, si impegna a operare guardando, oltre i soci, all’intero territorio di competenza. Abbiamo coscienza di quanto, in questo momento, la nostra amata Calabria abbia bisogno di promozione morale, culturale ed economica, in una parola di promozione umana. Tutti abbiamo contezza di quanto drammatiche siano le vicissitudini che oggi segnano la storia della nostra Regione. Tutti ci chiediamo con preoccupazione e con più o meno grande fiducia, non tanto, di chi sono alcune colpe, ma come venirne fuori. Io sono 70


INAUGURAZIONE CASSA RURALE «CARLO DE CARDONA» A CALOPEZZATI

La piazza Carlo De Cardona a Mirto, dove è ubicata la sede della Banca di Credito Cooperativo.

fra quelli che, da sempre, hanno creduto e credono che tale promozione o sarà endogena o non sarà. Certo, per svilupparci dovremo avere precisi riferimenti nel complessivo sforzo di crescita dell’intera nazione italiana oggi e dell’intera Europa domani, ma è bene tenere i piedi per terra, con grande disincanto. Dicevano i latini: unusquisque faber fortunae suae est, ciascuno è artefice della propria fortuna; dobbiamo convincerci che il futuro di noi calabresi – senza disoccupazione e senza criminalità organizzata – ricchi di prospettive positive per noi stessi, per la nostra Regione, per i nostri figli, non si costruirà a Milano o ad Amburgo. Si costruirà qui in Calabria, certo con la collaborazione e la solidarietà del resto del Paese e del resto d’Europa, solo se metteremo da parte le nostre invidie, la nostra araba pigrizia, la nostra bizantina litigiosità, per impostare e porre sul tappeto un nostro autoctono progetto di sviluppo complessivo, sul quale richiamare la responsabilità del governo nazionale. Una Cassa rurale oggi, in Calabria, può e deve nascere come una riga di questo discorso; posso assicurare tutti voi, che ci onorate con la vostra presenza e ci seguirete nell’ambito delle vostre singole responsabilità, tutti i soci che ci guardano con fiducia, ma anche con trepidazione, tutti i cittadini e gli operatori economici dei sei comuni di competenza, che non trova albergo nella nostra mente altra finalità. Ci inseriremo nella grande famiglia della Federazione italiana delle Casse rurali e della Confcooperative con 71


FRANCO RIZZO

il dichiarato intendo di collaborare con i nostri operatori agricoli, artigiani, commerciali, turistici per far loro sfruttare tutte le potenzialità economiche che possono determinarsi, quando si superano i ristretti confini del proprio territorio, non andando allo sbando, ma muovendosi nell’ambito amico e solidale di un grande movimento cooperativistico. Faremo prima di tutto attenzione a quella che sarà la nostra quotidianità, che si estrinsecherà nella raccolta del risparmio, nel saggio impiego delle risorse non destinate agli accantonamenti previsti dalla vigente normativa in materia, nella fornitura dei più ampi servizi, che una banca, seppur di minime dimensioni, oggi può offrire ai suoi clienti. Su tale strada ci innoveremo con la massima attenzione, sempre garantendo l’autonomia del Consiglio di amministrazione nelle sue prerogative, ma sempre ricercando il massimo di sintonia preventiva con la Direzione e con il Collegio sindacale e il massimo di collaborazione con l’organo di vigilanza, che da noi sarà considerato come la via per il sicuro orientamento. Un augurio ai nostri due neo dipendenti, il dott. Giuseppe Arci e la rag. Elia Falco; hanno creduto nel concorso che hanno sostenuto e oggi escono dal lunghissimo elenco dei disoccupati calabresi. A loro diciamo buon lavoro, ma rivolgiamo anche un sommesso monito: la crescita e il consolidamento della Carlo De Cardona dipenderà da tante cose, anche dal loro impegno. Profondetelo nel massimo grado, perché presto possiamo essere in grado di tirar via altri giovani dalla tristezza della mancanza di lavoro. Questo accenno ai nostri ragazzi, mi porta a ricordare che hanno acquisito una prima, fondamentale professionalità grazie alla disponibilità dei presidenti e dei direttori delle Casse rurali di Terranova da Sibari, Melissa e Torretta di Crucoli; a tutti questi amici va il nostro più riconoscente ringraziamento. Nasciamo oggi con 332 soci e 664 milioni di capitale sociale; abbiamo cercato di chiudere con una certa fretta la fase della raccolta delle adesioni definitive perché sentivamo impellente l’urgenza di dotare il nostro territorio di nuovi servizi bancari. Questa fretta ci ha costretto a trascurare tanti amici che avrebbero voluto associarsi; ribadisco che non l’abbiamo fatto per particolari motivi e, a nome del Consiglio di amministrazione, prendo l’impegno di riaprire quanto prima le adesioni, soprattutto su Rossano, nel rispetto delle proporzioni volute dalle normative vigenti. Per quanto riguarda una nostra futura presenza a Mirto e Cropalati — anche se forse oggi è un po’ fuori luogo parlare di queste cose, in quanto il primo impegno, adesso, è quello di crescere e consolidarci – riaffermo che, non appena ve ne saranno le condizioni, che consistono nella formazione di un patrimonio di almeno 3 miliardi di lire, opereremo in modo da realizzare il nostro programma per come è stato immaginato fin dall’inizio. Faremo quanto sarà nelle nostre possibilità, per estenderci sul territorio, secondo le aspirazioni che prima richiamavo. 72


INAUGURAZIONE CASSA RURALE «CARLO DE CARDONA» A CALOPEZZATI

A sinistra: inaugurazione della Cassa rurale “Carlo De Cardona”, mons. Serafino Sprovieri, arcivescovo di Rossano-Cariati, in primo piano, gli è vicino il sindaco di Calopezzati, Giovanbattista Giudiceandrea, in fondo Franco Rizzo. A destra: immagine di don Carlo De Cardona nella sede della Cassa rurale; l’ing. Rizzo volle questo ritratto, ripreso dalla copertina del volume di Luigi Intrieri sul Movimento delle Casse rurali in Calabria; l’illustrazione è un’opera del pittore genovese Franco Andreoni.

Cari amici, abbiamo voluto intitolare la nostra Cassa a don Carlo De Cardona, perché il nome di questo profeta disarmato fosse conosciuto, in questa nostra zona, più di quanto non lo è stato finora. Don Carlo è stato una figura atipica di sacerdote, che ha speso la sua esistenza per stare vicino ai deboli e agli indifesi quando, agli inizi di questo secolo che va concludendosi, erano vessati dall’usura e dalla prepotenza dei potenti dell’epoca. Don Carlo ha dato una mano ai deboli e agli indifesi, non con quello che noi oggi chiameremmo inutile assistenzialismo, ma trasmettendo loro quel grande coraggio morale che sgorga abbondante dalla cooperazione e dal solidarismo. È attuale questo messaggio oggi in Calabria? Purtroppo è ancora di grandissima attualità; ecco perché a queste figure noi dobbiamo guardare per ritrovare fiducia nei momenti di sconforto e per tesaurizzarne l’insegnamento nei momenti dell’indecisione. Scorrendo i miei appunti del liceo, ho trovato questa riflessione del poeta romano Ovidio: «Sarai triste, se sarai solo». Ci siamo messi insieme per essere meno tristi e per guardare al futuro con più fiducia; ma anche perché siamo più che mai convinti che, secondo l’insegnamento sociale della Chiesa, ribadito con grande forza profetica da Giovanni Paolo II nella Centesimus annus, solo con la forza della cooperazione e della solidarietà la nostra Calabria può uscire dal tunnel in cui oggi si trova. Noi della Carlo De Cardona siamo impegnati a fare la nostra parte. 73


FRANCO RIZZO

A CENT’ANNI DALL’APPELLO DI DON STURZO «AI LIBERI E FORTI» di F ranco Rizzo Il Quotidiano del Sud, pagina dei commenti, domenica 13 gennaio 2019

Ricorrono quest’anno i 100 anni dell’Appello «ai liberi e forti», documento fondativo del Partito popolare italiano, lanciato a Roma dall’albergo Santa Chiara da don Luigi Sturzo il 18 gennaio 1919. Credo sia opportuno ricordare l’evento per vari motivi. Certamente per la sua valenza storica: da lì nacque il PPI, che tanta parte ebbe nelle vicende italiane dal 1919 al 1926, anno del suo forzato scioglimento, e dai valori da esso propugnati prese le mosse la Democrazia cristiana di Alcide De Gasperi, che mantenne lo stesso simbolo, lo scudo crociato, del PPI. Certamente per la sua valenza sociopolitica: con l’Appello Luigi Sturzo guidò i cattolici al superamento del non expedit e del Patto Gentiloni, portandoli nell’agone della vita politica attiva del paese. Certamente per l’attualità di molti dei suoi contenuti e per la problematicità d’attuazione di altri. All’epoca, la vita politica dei cattolici italiani era regolamentata dal Patto Gentiloni, voluto nel 1909 da Pio X per permettere ai cattolici italiani impegnati in politica di candidarsi nelle liste liberali, non potendosi candidare direttamente in una propria formazione partitica, per via dell’ancora in vigore non expedit, disposizione voluta da Pio IX, nel 1874, che non era però estesa alle elezioni amministrative. Questa situazione di apnea del cattolicesimo politico, fra inerzia forzata o subalternità alle politiche liberali di 74

Don Luigi Sturzo

Giolitti, era ormai arrivata a un livello di guardia soprattutto per l’attivismo profuso dal prete siciliano e da don Romolo Murri, dopo lo scioglimento, nel 1904 per decisione di Pio X, dell’Opera dei congressi, che, dal 1871, tutelava i diritti della Chiesa, ridotti ai minimi termini dopo l’unificazione italiana, e promuoveva le opere caritative cristiane. In particolare don Luigi, entusiasmato dalla Rerum novarum e dagli stimoli innovatori di Leone XIII e guidato dai consigli di Giuseppe Toniolo sui problemi dei contadini e sull’organizzazione mutualistica, nel rispetto del non expedit, nei primi anni del Novecento fu molto attivo, a partire dalla sua Caltagirone, nel pensare e mettere in pratica la presenza organizzata dei cattolici nei Consigli comunali e provinciali (nelle amministrative di Caltagirone del 1902 il


A CENT’ANNI DALL’APPELLO DI DON STURZO «AI LIBERI E FORTI»

Centro cattolico conquistò una solida minoranza e nel 1905 ottenne la maggioranza e Sturzo fu eletto prosindaco). Ma da Caltagirone, con il celebre discorso del 24 dicembre 1905, il suo pensiero e la sua opera si proiettarono in modo profondo su tutta la politica italiana. In quel discorso, dal significativo titolo: I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani, Sturzo sostenne che il futuro partito dei cattolici, immaginato già nel congresso di Bologna del 1903 dell’Opera dei congressi, sarebbe dovuto essere aconfessionale e quindi non avrebbe dovuto portare nemmeno l’etichetta di cattolico; che per i cattolici era arrivata l’ora di porre il problema nazionale come sintesi di tutti i problemi del vivere civile, ma

to avere adesioni preconcette, in quanto «né l’altare (partito aconfessionale) né il trono sono coefficienti organici del partito cattolico…, organismo di vita libera, costituzionale, popolare». Terminò il discorso con una lunga riflessione sul futuro programma. E qui sostenne che i cattolici non potevano sfuggire a un’essenziale scelta:

«per i cattolici non come congregazione religiosa o turba di fedeli, ma come ragione di vita civile informata ai principi cristiani nella morale pubblica nello sviluppo del pensiero fecondatore, nel concreto della vita politica»;

E che i cattolici avrebbero dovuto camminare:

che la forza del nuovo partito doveva risiedere solo nel consenso popolare a un vero programma di rinascita democratico-sociale ispirato ai valori cristiani lungo l’insegnamento della Rerum novarum. Sostenne anche che la nuova formazione politica non si sarebbe dovuta pronunciare sulla questione romana, la cui soluzione doveva essere affidata alla maturazione storica e alla sola decisione del papa, e spiegò poi che «fu un bene l’Unità della patria, che fu un bene per essa si fosse lottato». In quanto alla questione monarchia o repubblica, Sturzo argomentò che il partito nazionale cattolico non avrebbe dovu-

«o sinceramente conservatori o sinceramente democratici. […] A me, democratico autentico, convinto, […], è inutile chiedere quale delle due tendenze politiche io creda risponda meglio agli ideali di quella rigenerazione della società in Cristo, che è l’aspirazione prima e ultima di tutto il nostro percorrere, agire, lottare».

«Da soli, specificatamente diversi da liberali e socialisti, liberi nelle mosse, con un programma consono basato sopra elementi di vita democratica: così ci conviene entrare nella vita politica, sempre da democratici e cattolici».

Questo il discorso di Caltagirone del 1905 che sostanzia l’Appello del gennaio 1919 che, con la contemporanea, ufficiale abrogazione, da parte di Benedetto XV, del non expedit, portò alla nascita del Partito popolare italiano. L’Appello ad aderire al programma del nascente Partito popolare, vero capolavoro politico ma anche letterario, è rivolto «ai liberi e forti» e dunque non solo ai cattolici, ma a tutti gli italiani «moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti nell’amore alla pa75


FRANCO RIZZO

tria sanno congiungere il giusto senso dei diritti e degl’interessi nazionali con un sano internazionalismo, a quanti apprezzano e rispettano le virtù morali del nostro popolo».

A tutti gli uomini liberi e forti, che «vogliono contribuire a rafforzare tendenze e principi che varranno ad allontanare ogni pericolo di nuove guerre, a dare un assetto stabile alle nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia sociale e migliorare le condizioni generali e del lavoro, a sviluppare le energie spirituali e materiali di tutti i paesi uniti nel vincolo solenne della Società delle nazioni, ove trovare un reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali e le perenni ragioni del pacifico progresso della società».

In tale ottica di equilibrio fra interessi nazionali e internazionali, l’Appello rigetta gli imperialismi e chiede che la Società delle nazioni riconosca le giuste aspirazioni nazionali, affretti l’avvento del disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati, attui la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, l’uguaglianza del lavoro, le libertà religiose, abbia la forza della sanzione e i mezzi per la tutela dei diritti dei popoli deboli contro le tendenze sopraffattrici dei forti. L’Appello chiede poi di sostituire a uno Stato accentratore uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – la famiglia, le classi, i Comuni – che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private. Sollecita per il parlamento una legge proporzionale, il voto delle donne e il Senato 76

elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali; la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari, la semplificazione della legislazione, il riconoscimento giuridico delle classi, l’autonomia comunale, la riforma degli enti provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali. Reclama infine: «come anima della nuova società, il vero senso di libertà, rispondente alla maturità civile del nostro popolo e al più alto sviluppo delle sue energie: libertà religiosa, libertà di insegnamento, libertà alle organizzazioni di classe, libertà comunale e locale secondo le gloriose tradizioni italiche».

Riforme che, «nel campo della previdenza e dell’assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà, dovranno tutte tendere all’elevazione delle classi lavoratrici, mentre l’incremento delle forze economiche del Paese, l’aumento della produzione, la salda ed equa sistemazione dei regimi doganali, la riforma tributaria, lo sviluppo della Marina mercantile, la soluzione del problema del Mezzogiorno, la colonizzazione interna del latifondo, la riorganizzazione scolastica e la lotta contro l’analfabetismo varranno a far superare la crisi del dopoguerra e a tesoreggiare i frutti legittimi e auspicati della vittoria. Ci presentiamo – conclude l’Appello – nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, inspirandoci ai saldi principi del cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia».


A CENT’ANNI DALL’APPELLO DI DON STURZO «AI LIBERI E FORTI»

Sturzo disegna un partito aconfessionale alternativo – a suo dire – alle democrazie materializzatrici socialiste e ai vecchi liberalismi settari; un partito delle autonomie coordinate da uno Stato non accentratore, ma veramente popolare; un partito riformatore che guardi con attenzione all’elevazione dei lavoratori e dei contadini; un partito che sappia contemperare le giuste istanze nazionali in un quadro dei superiori interessi delle istituzioni sovrannazionali; un partito che guardi con particolare attenzione ai problemi del Mezzogiorno. Dove hanno portato le linee tracciate a Caltagirone e nell’Appello? Certamente hanno contribuito alla risoluzione della questione romana e poi nel dopoguerra, come un fiume carsico, al proporzionalismo e al voto alle donne, alla Riforma agraria, alla Cassa per il Mezzogiorno, all’istituzione delle Regioni, alla fondazione della CECA prima e dell’Unione Europea dopo. Restano di grande attualità la centralità del primato della persona e delle politiche sociali; le spinte verso l’autonomismo e la sussidiarietà; la lotta contro il clientelismo, la corruzione e la mafia; l’importanza della collaborazione in istituzioni sovrannazionali, la forte rivendicazione delle libertà civiche e di quella religiosa. A fronte di questi contributi essenziali per la costruzione della nuova Italia libera, democratica, popolare, resta – a mio modesto modo di vedere – un solo argomento di rimpianto che fa rivoltare Sturzo nella tomba: il cattivo utilizzo del regionalismo da parte dei meridionali. Il prete calatino aveva puntato in maniera essenziale sull’autonomia regionale per la risoluzione dei problemi

La Biblioteca diocesana di Rossano-Cariati, diretta da don Pino De Simone, in collaborazione con il Circolo “Zanotti Bianco”, ha tenuto il 22 febbraio 2019 un momento commemorativo per i cent’anni dell’Appello ai liberi e forti di don Sturzo.

del Mezzogiorno. Ma, come già ebbe modo di segnalare il sociologo americano Robert Putnam circa 20 anni fa, le regioni meridionali non hanno saputo valorizzare la nuova istituzione a favore dei loro territori e delle loro comunità, che ancora oggi vivono situazioni di drammaticità fra carenza endemica di servizi civici, negazione parziale o assoluta di alcuni diritti di cittadinanza, debolezza della struttura economica, emigrazione delle loro menti migliori, minaccia di un nuovo separatismo delle regioni del Nord. Con questo limite, le intuizioni di Sturzo restano tutte fresche e intere lungo la strada di una convivenza pacifica e democratica in Italia, in Europa, nel mondo. 77


NOTIZIARIO DECARDONIANO

SE IMPARASSIMO AD AMARE LA CALABRIA il 17 marzo 2019 si è tenuta a Morano la prima giornata decardoniana

Si è tenuta a Morano Calabro, il centro del Pollino che ha dato i natali al Servo di Dio, don Carlo De Cardona, il 17 marzo 2019, la prima giornata decardoniana nella festa liturgica di San Giuseppe 2019 dal titolo Se imparassimo ad amare la Calabria, «per la resurrezione morale ed economica dei poveri» come scriveva De Cardona. La giornata è stata organizzata dall’Ufficio per lo Sviluppo integrale della Diocesi di Cassano Jonio, diretto da Mimmo Graziano in collaborazione con altri uffici pastorali e con il patrocinio del Comune di Morano Calabro. Ai vari momenti sono intervenuti: oltre a Mimmo Graziano, Angela Marino, presidente diocesana dell’Azione Cattolica, il giornalista e saggista Domenico Nunnari, che ha dato una sua lettura analitica del territorio calabrese, indicando anche le tante «pietre da ribaltare». I partecipanti nella mattinata hanno visitato il Museo dell’agricoltura e della pastorizia, prima della Messa celebrata nella Chiesa Santa Maria Maddalena. Il pranzo consumato è stato tutto a base di prodotti tipici locali, per sottolineare la ricchezza della nostra gastronomia. Nel pomeriggio si è tenuta la tavola rotonda: Lo sguardo sulle speranze possibili; due gli ambiti approfonditi: quello politico con l’assessore regionale alle infrastrutture, il docente Unical Roberto Musmanno di Castrovillari e quello economico con Federico Bria (nella foto) segretario generale della Bcc “Mediocrati”. Le conclusioni della giornata sono state affidate al vicario dell’azione pastorale della Diocesi di Cassano Jonio, don Giovanni Maurello, che ha parlato della Chiesa e della questione meridionale. 78


NOTIZIARIO DECARDONIANO

CONVEGNO ALL’UNICAL: IL POPOLARISMO NEL MEZZOGIORNO A CENT’ANNI DALL’APPELLO AI LIBERI E FORTI DI DON STURZO Che peso ha avuto nel Mezzogiorno l’esperienza del Partito popolare italiano fondato da don Sturzo nel 1919? Quali caratteristiche ha avuto al Sud la vicenda di questo partito, che si proponeva di rappresentare le istanze dei cristiani in politica? Chi furono i protagonisti della storia di questo soggetto politico in Calabria? Sono solo alcune delle questioni oggetto di riflessione durante il convegno Alla scuola di don Sturzo: il Popolarismo nel Mezzogiorno a cent’anni dall’Appello ai liberi e forti, tenutosi mercoledì 13 novembre 2019 presso l’Università della Calabria, organizzato dall’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea (ICSAIC), in collaborazione con il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Unical (DISPeS), l’Istituto “Luigi Sturzo” di Roma e la Fondazione Carical. Il presidente dell’ICSAIC Paolo Palma, già deputato del Ppi, e Francesco Raniolo, direttore del DISPeS, hanno introdotto la giornata di studi. La prima sessione è stata presieduta da Raffaele Cananzi, già presidente nazionale dell’Azione Cattolica e deputato del Ppi, che ha portato anche il saluto di Nicola Antonetti, presidente dell’Istituto “Luigi Sturzo”. Si sono registrati gli interventi di: mons. Leonardo Bonanno, che ha parlato su Don Nicoletti e il clero cosentino nella stagione del Popolarismo; Roberto Pasquale Violi, Il Partito popolare italiano nel Mezzogiorno; Daria De Donno, Il Popolarismo in Puglia. Antonello Costabile del DISPeS, ha presieduto la seconda sessione con gli interventi di Giuseppe Palmisciano, che ha relazionato su Rapporti tra Chiesa e Popolarismo nel Mezzogiorno; Franco Altimari, Legami tra i popolari arbëreshë e Sturzo attraverso i documenti della famiglia Altimari, ed è stata letta la comunicazione di Vittorio De Marco su La figura di Vito Giuseppe Galati. La sessione pomeridiana, presieduta dal direttore dell’ICSAIC Vittorio Cappelli si è concentrata sul caso calabrese; lo stesso Cappelli si è soffermato su I fratelli De Cardona e il loro contesto familiare; Giuseppe Ferraro ha esaminato Il laboratorio politico della Grande guerra; Vincenzo Antonio Tucci ha parlato del Rapporto tra Chiesa, vescovi e politica nel cosentino nel 1919, mentre Lorenzo Coscarella si è soffermato su La nascita del Partito popolare a Cosenza. Gli atti, è stato annunciato al termine del convegno, saranno prossimamente pubblicati. 79


INDICE - COLOPHON

SOMMARIO

Franco Rizzo un autentico decardoniano presentazione di Nicola Paldino

5

Thomas d’Aquino lucerna «viva» di sapienza redentrice saggio di don Carlo De Cardona

7

Centro anni fa a Paola un Primo maggio macchiato di sangue

17

Nicola De Seta martire delle lotte per il lavoro e per la democrazia di Attilio Romano

Sui fatti di Paola e la morte di Nicola De Seta

intervento alla Camera di Francesco Miceli-Picardi

18

21

La figura di don Carlo De Cardona protagonista insieme a don Luigi Nicoletti della Settimana della cultura calabrese 2018 di Lorenzo Coscarella

23

Premio Cassiodoro 2018 a mons. Francesco Savino

26

Don Carlo De Cardona pioniere dell’apostolato sociale dei contadini e artigiani calabresi mostra storica a cura di Demetrio Guzzardi

27

Le spoglie di don Carlo De Cardona nella Chiesa della Maddalena di Biagio Giuseppe Faillace

57

De Cardona anticipatore del Concilio Vaticano II omelia di Francesco Savino

60

L’esempio di don Carlo De Cardona di Leonardo Bonanno

62

Franco Rizzo, un testimone del cattolicesimo democratico e sociale di Francesco Capocasale

65

Inaugurazione della Cassa rurale «Carlo De Cardona» a Calopezzati di Franco Rizzo

A cent’anni dall’Appello di don Sturzo ai liberi e ai forti di Franco Rizzo

Notiziario decardoniano Finito di stampare nel mese di maggio 2020 dalla tipografia Mele - Serra San Bruno (Vv) 80

69 74 78



L’ASSOCIAZIONISMO CONTADINO IN CALABRIA NEI PRIMI ANNI DEL ’900

ISBN 978-88-8276-557-6

euro 8.00 82

9 788882 765576


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