DICEMBRE
1 (1985) il pittore genovese Franco Andreoni realizza un ritratto di De Cardona, per il volume di Luigi Intrieri Don Carlo De Cardona e il movimento delle Casse Rurali in Calabria. L’immagine verrà utilizzata per tutte le illustrazioni su don Carlo.
2 (2018) a Morano Calabro, traslazione del corpo di don Carlo dal cimitero alla Chiesa della Maddalena.
5 (1912) mons. Tommaso Trussoni viene nominato nuovo arcivescovo di Cosenza. Tra la morte di Sorgente (2 ottobre 1911) e l’ingresso in diocesi di Trussoni (17 maggio 1913), passeranno quasi due anni.
12 (2009) a Lappano, con un incontro pubblico viene presentata la bandiera restaurata della Lega del lavoro; il vessillo era stato inaugurato nell’aprile 1908 con una manifestazione allietata dalla banda musicale Spina di San Pietro in Guarano.
15 (1930) a Cosenza, in piazza della Vittoria viene aperta al
pubblico, la nuova sede della Cassa rurale federativa. Il palazzo fatto costruire da De Cardona, nelle vicinanze della Banca d’Italia e del Banco di Napoli, era il simbolo della solidità economica del risparmio e degli investimenti della Lega del lavoro.
29 (1940) don Carlo De Cardona ritorna a Cosenza, dopo i 5 anni di “esilio” a Todi. È accolto nella nuova casa cosentina di suor Elena Aiello.
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DEMETRIO GUZZARDI
Cosenza - Piazza della Vittoria
PAROLA CHE NON MUORE: LA RERUM NOVARUM
di luiGi Nicoletti
Conferenza tenuta il 17 maggio 1931 a Cosenza nel salone arcivescovile
Prefazione di Antonio Cundari presidente della Giunta diocesana di Cosenza dell’Azione cattolica
La Giunta diocesana d’accordo con la Presidenza del Circolo della Cattedrale ha pregato le più spiccate personalità del clero e del laicato cattolico di Cosenza, perchè tenessero delle conferenze istruttive per quelli che militano, diciamo così, apertamente sotto la bandiera del Cristo, di propaganda per quelli che non conoscono le verità della nostra santa religione, e non ne ammirano, quindi, le sovrumane bellezze.
Conferenze tutte, che mirano a sfatare tanti pregiudizi a dimostrare, come diceva, Chateaubriand, che la Chiesa è la più umana, la più favorevole alla libertà, alle arti e alle lettere, che il mondo moderno le deve tutto, dall’agricoltura alle scienze astratte, dagli ospizi per gl’infelici ai templi costruiti da Michelangelo e decorati da Raffaello; che non vi è nulla di più divino della sua morale, nulla di più amabile dei suoi dommi, della sua dottrina e del suo culto.
Pregiudizi che spesso si appuntano contro la Chiesa, che da alcuni si ritiene alleata dei potenti, dei ricchi, a danno dei deboli e degli umili. A sfatare uno di questi pregiudizi il dotto e pio prof. don Luigi Nicoletti ha tenuto, nel
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L’ASSOCIAZIONISMO CONTADINO IN CALABRIA NEI PRIMI ANNI DEL
Don Luigi Nicoletti
STUDI E RICERCHE SUL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA
L’opuscolo
salone arcivescovile, un’applaudita conferenza sulla Rerum novarum, in occasione del 40.mo dalla pubblicazione dell’immortale enciclica.
L’oratore, riferendosi ai suoi anni giovanili di vita santamente combattiva, ricorda come nel 1891 imperversassero le teorie individualistiche e materialistiche, traducentisi in scioperi e in serrate, con danno della produzione, e specialmente della classe lavoratrice, mentre lo Stato se ne stava indifferente con le braccia conserte, senza neppure tentare una qualsiasi intesa tra lavoratori e datori di lavoro.
Ad affermare la funzione sociale della ricchezza e la dignità morale del lavoro sorse il grande pontefice Leone XIII, che stabilì quei principii, che poi furono adottati in tutte le legislazioni e vengono quotidianamente banditi dall’Ufficio internazionale del lavoro per portare a quella fraterna concordia, che è nell’interesse di tutti: imprenditori, operai, consumatori, produttori, classi sociali, nazioni.
A diffondere sempre meglio il pensiero dell’immortale Leone XIII, che sarà completato dall’enciclica di Pio XI Quadragesimo anno si è ritenuto opportuno pubblicare la splendida conferenza del nostro caro don Luigi.
La pubblicazione varrà anche come omaggio filiale dell’Azione cattolica di Cosenza alla Cattedra di Pietro, dalla quale emana sempre luce di bellezza, di verità, di giustizia, di pace.
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con il testo della conferenza di don Luigi Nicoletti è introvabile, l’unica copia è conservata nella Biblioteca Civica di Cosenza.
LUIGI NICOLETTI
L’ASSOCIAZIONISMO CONTADINO IN CALABRIA NEI PRIMI ANNI
Don Luigi Nicoletti
La Rerum novarum: un lieto annuncio di pace sociale
Si ripete spesso per la parola pontificia un po’ di quel che avvenne nel gran giorno del dramma divino sul Golgota. Solo dopo gli spasimi della crocifissione e la morte accompagnata da prodigi, Gesù ebbe la testimonianza del centurione proclamante: «Quest’uomo era davvero Figlio di Dio!». Così l’incomprensione, l’ostentato disprezzo, la voluta ignoranza, la svalutazione, l’oblìo del Sillabo, dell’encicliche leoniane, della Pascendi, degli accorati e sapienti moniti pacificatori di Benedetto XV – per limitarmi agli ultimi papi – presto o tardi furono seguiti dall’unanime riconoscimento che in quei documenti era la Parola di Dio, parola di saggezza e di bontà. Pare proprio necessario che la verità – come Gesù – non possa trionfare in mezzo agli uomini, se non sia prima crocifissa.
Per la Rerum novarum non mancarono le voci irriverenti e ostili. Erano tempi di ardenti passioni politiche e di fervida attività massonica: la parola papale non poteva riuscire gradita agli orecchi di chi cantava continuamente l’epicedio della moritura Chiesa e di chi speculava sul disagio delle classi lavoratrici per sovvertire la vita sociale; mentre nello stesso campo cattolico non pochi erano i refrattari allo spirito democratico e rinnovatore dell’enciclica e, non osando opporsi apertamente, si trinceravano nelle comode consuetudini del quieta non movere, irrigidendosi in una resistenza passiva, fatta d’inerzia, di diffidenza e di mormorazioni.
Ma quel pensiero sociale, così solido e così chiaro, finì presto con l’imporsi alla considerazione e al rispetto degli studiosi, dei governanti e dei popoli, divenendo ispiratore e sostanza di pubblicazioni scientifiche, di leggi, di provvedimenti e d’istituzioni molteplici, e per qualche tempo l’enciclica fu esaltata e benedetta. Poi a poco a poco fu dimenticata, passò in soffitta; non fu più ritenuta parola viva e conservante la sua intera efficienza, ma documento di archivio; non più oggetto di utile meditazione e nutrimento adatta allo spirito moderno, le cui caratteristiche sono superficialità e instabilità a cui si suol dare il nome di dinamismo, ma eco di un mondo e di un momento storico già sorpassati. E ricordo di aver letto, pochi anni fa, con doloroso sgomento, degli scritti di qualche antico democratico cristiano affermanti l’inutilità di ricordare un documento del 1891, oggi che altri documenti e una mirabile efflorescenza di leggi e d’istituti ispirantisi alla concezione di stato corporativo fanno sembrare quello un cimelio, sia pur venerando, e anacronistico ogni tentativo di esaltazione.
Lasciate esprimere a un umile superstite dell’antico esiguo gruppo democratico cristiano di Cosenza la gioia di veder rimesso sul meritato piedistallo, per volere di Pio XI, l’immortale documento. Oggi, commemorandolo, mi rivedo, nel fervore dei miei 18 anni, in mezzo a una folla di
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PAROLA CHE NON MUORE: LA RERUM NOVARUM
giovani plaudenti nella cappella delle beatificazioni in Vaticano, con le lacrime agli occhi, al pontefice della democrazia cristiana, sorridente e benedicente dall’alto della seggiola gestatoria. L’ombra sua torna ch’era dipartita. Sia lode al suo grande successore felicemente regnante, alla Giunta centrale dell’Azione cattolica e alla nostra Giunta diocesana se voi, o signori, potete riascoltare – sia pure per il tramite del più inadatto espositore –la parola del sublime Leone, che, a distanza di quarant’anni, ha ancora splendori di meriggio e vigore di persistente giovinezza. * * *
La Rerum novarum può definirsi con Max Turmann una conclusione e una prefazione. Essa fu infatti la conclusione degli studi e dell’azione di uomini benemeriti, i quali nel vecchio e nel nuovo continente si erano resi conto dei bisogni dei tempi nuovi e ai quali non era sfuggito il profondo mutamento verificatosi nell’anima dei popoli.
La società, nel cui seno operavano ancora i germi della riforma luterana, ch’era stata scossa dalla convulsione della rivoluzione francese, che aveva rivendicate – non sfuggendo a colpe e a deliramenti gravissimi – le libertà civili e politiche e in mezzo a cui le sette e i partiti avevano diffuso errori ed eccitato entusiasmi pericolosi, richiedeva da parte dei cattolici di ogni paese un’attenzione premurosa e una missione che non si esaurisse in inutili e noiosissime cerimonie, ma che si concretasse in una coraggiosa attività pratica, in un concorde e serio lavoro di conquista e di organizzazione.
La questione sociale si era andata sempre più aggravando nel secondo cinquantennio del secolo XIX, sotto la spinta di vari fattori religiosi, morali, economici e politici. La irreligione, l’oblìo dei doveri di giustizia e di carità, la separazione del capitale e del lavoro, l’agglomeramento dei lavoratori nelle città, il regime delle macchine e delle officine, la sovrabbondanza di produzione con le conseguenti crisi, la concorrenza tra capitalisti, la rinnegazione di ogni concetto organico e corporativistico col trionfo di un atomismo individuale, dannoso al più debole in pieno dominio della ferrea legge dell’offerta e della domanda, avevano esasperato il male, che richiedeva un rimedio pronto e radicale, perché la tanto decantata libertà nel campo economico aveva prodotto la più odiosa schiavitù delle classi lavoratrici, e la tempesta ingrossava rombando paurosamente.
Il proletariato, fatto sociale la cui genesi storica risaliva «ad un lavorio secolare di distruzione dell’ordine sociale di cristiana civiltà, dal secolo XVI fino al XIX, precipitata dalle trasformazioni tecnico-economiche della produzione moderna»1 e che compendiava e rivelava tutti gli altri sintomi
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LUIGI NICOLETTI
1 G. toNiolo, Provvedimenti sociali popolari, Roma, Società editrice cattolica di
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patologici della vita sociale, aveva favorito il sorgere e la rapida diffusione delle idee sovvertitrici e dell’azione del socialismo nei suoi due tipi principali, individualistico-anarchico e panteistico-autoritario (sociale politico o collettivista).
Contro il pericolo divenuto grave e pressante erano sorte le varie scuole sociali riformatrici, specialmente la individualista-liberale, quella socialepolitica e quella etico-religiosa. La prima, destinata, per i suoi stessi principi e per le contraddizioni in cui doveva fatalmente incorrere, a un’irreparabile decadenza, aveva propugnato istituzioni e leggi a favore delle classi lavoratrici, ma soltanto quelle che fossero consentanee coi principi di libertà e di uguaglianza da essa illimitatamente professati, permettendo cioè le coalizioni e gli scioperi e favorendo la previdenza e il cooperativismo.
La scuola sociale-politica, costituitasi in forma organica in Germania nel 1872, aveva dichiarato di volere «con provvidenze positive e immediate la riforma sociale, specialmente degli operai», l’organizzazione anche coattiva di essi in corporazioni di classe e una vasta legislazione protettiva dei medesimi; programma che aveva trovato appoggio e applicazione nei rescritti imperiali, ispirati da Bismarck, del 1881 in favore delle classi lavoratrici e del 1890 per la conferenza internazionale a tutela del lavoro, e nella legislazione germanica, imitata poi da quasi tutti gli stati più civili di Europa; ma quell’onnipotenza riformatrice dello Stato era stata come una giustificazione delle teorie panteistico-politiche del collettivismo e ne aveva favorita la diffusione.
La scuola etico-religiosa era la nostra cattolica, perché delle altre religioni cristiane non mette conto parlare. Basti ricordare quel che ne scrive Toniolo:
«Qui tosto si presenta lo spettacolo desolante, di popoli pur sempre cristiani, come la Russia, i Paesi Scandinavi, la Gran Bretagna, l’Unione americana, i quali videro nel secolo XIX effettuarsi le più profonde e do-lorose trasformazioni sociali, senza che le somme istituzioni religiose rappresentanti di quella ortodossia orientale nell’impero dei Czar o di quel multiforme protestantesimo occidentale libero o di Stato, dispiegassero in nome delle dottrine e delle virtù del cristianesimo un’azione generale, sistematica, duratura, a lenimento delle moltitudini, di mezzo a quelle immani innovazioni o sofferenze; mentre il socialismo in quelle nazioni stesse, penetrando fino nelle viscere del popolo, vi tiene la testa e il cuore»2.
E, quando alcuni pastori protestanti del partito riformatore cristiano avevano voluto iniziare un movimento democratico indipendente, avevacultura, 1902, p. 16. Questa è l’opera da cui ho preso gran parte delle notizie storiche che figurano nella conferenza.
2 Ibidem, pp. 31-32.
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no ricevuto un telegramma di Guglielmo II (1896) che imponeva ai pastori di ritirarsi nelle loro chiese perché «al solo imperatore spettava di essere il padre e il salvatore del suo popolo».
La scuola sociale-cattolica, preparata da uomini come Görres, O’Connel, Lacordaire, Balmes, Cortes, Montalembert, De Melun, De Falloux, ecc.; aveva avuto un periodo di elaborazione sistematica e universale dal 1870 al 1890.
Precursore di quest’elaborazione era stato poi il grande vescovo di Magonza, mons. Ketteler, col libro Il cristianesimo e la questione operaia del 1864 e col suo programma pratico del 1869. Dopo il 1870 – l’anno della sconfitta di Sedan, con cui era cominciata l’egemonia germanica, e dell’insediarsi del socialismo nella Comune di Parigi – i cattolici dei vari paesi si eran dati con fervore consapevole agli studi sociali, cercando nella dottrina del cristianesimo e nella storia della Chiesa ispirazione a un programma teorico e di lavoro, allo scopo di strappare al socialismo il dominio delle masse e riconquistare queste a Dio. La Francia, il Belgio, la Germania, l’Austria, la Svizzera, l’Italia avevano i loro rappresentanti in questa scuola sociale-cattolica, il cui centro di coordinazione era l’Unione di Friburgo, presieduta dal vescovo, poi cardinale Mermillod. Si era, allora, avuto dovunque un rifiorir d’istituzioni ispirate al pensiero cristiano-cattolico: i cercles d’ouvriers del Meignan, del De Mun e del La-Tour-du Pin, le associazioni operaie del Kolping e quelle per gli apprendisti dello Schoeffer, le unioni di padroni e contadini del barone di Schorlemer Alst, le prime iniziative per la difesa della piccola proprietà (Hofrecht, Homestead) in Germania e in America, le varie forme di società cooperative, da quelle di produzione del Ketteler a quelle di credito del Raiffeisen, trasferite in Italia per opera del Cerutti, in Francia del Durand e poi in tutti i paesi d’Europa.
Ma questo era ancora poco, di fronte al dilagare delle dottrine materialistiche e ai rapidi progressi del socialismo nelle sue varie gradazioni. Si dette perciò alla scuola e all’attività sociale un indirizzo più democratico e popolare, sostenendo la riforma giuridica dei contratti di lavoro sotto tutte le forme, una speciale legislazione operaia, le unioni professionali. E il centro parlamentare di Germania, il partito riformatore d’Austria, i cattolici del Belgio e di Francia promuovevano una legislazione sociale che riscuoteva il plauso anche degli avversari; dappertutto sorgevano unioni professionali dei lavoratori; si tenevano riunioni e congressi cattolici; si pigliavano da vescovi dalle larghe vedute nobili iniziative, – come quella dei due grandi cardinali Gibbons e Manning in difesa dei cavalieri del lavoro –; si proponevano pellegrinaggi operai a Roma, celebri tra tutti quelli voluti da Leone Harmel e dal conte De Mun e diretti dal cardinale Langènieux.
Venivano i lavoratori delle officine e dei campi a prostrarsi ai piedi del vicario di Cristo, a chiedere la parola che illuminasse e confortasse, la
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parola che, rifuggendo dagli eccessi, tracciasse i doveri e i diritti delle classi alte e delle umili, la parola di giustizia e di carità, che – pur non avendo il carattere di definizione ex cathedra – era sempre l’insegnamento della Chiesa, guida e maestra di individui e di popoli. E la parola venne il 15 maggio 1891, precisa, solenne, confortatrice e chiarificatrice; squillò come diana, a dissipare dubbi, a troncare dissensi, a suscitare entusiasmi e propositi di lavoro, plaudita, benedetta, compresa, ubbidita.
Di fronte al liberalismo che, se non negava più l’esistenza d’una questione sociale, non sapeva rinunziare al vecchio principio del laissez faire, laissez passer; di fronte al socialismo che si arrogava il monopolio della democrazia e negava alla Chiesa il diritto e la capacità d’interessarsi ai bisogni del proletariato; di fronte ai poteri pubblici che, specialmente in Italia, vedevano in ogni attività dei cattolici un attentato alla sicurezza dello Stato; di fronte alla mentalità cristallizzata di molti cattolici che credevano concetti antitetici democrazia e cristianesimo, l’ottantenne pontefice, il quale aveva seguito attentamente lo svolgimento delle lotte ideali nel campo cattolico e consultati di questo i pensatori più autorevoli, il quale aveva forte l’intelletto, lungimirante lo sguardo, ostinatamente giovane e ardente il cuore, tracciò l’indirizzo sicuro e disse la parola della verità e dell’amore. * * *
Ecco nelle sue linee principali il contenuto dell’importante enciclica, comincia col determinare le cause della questione operaia: «L’ardente brama di novità che da gran tempo ha incominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall’ordine politico passare nell’ordine simile dell’economia sociale. E difatti i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell’industria; le mutate relazioni tra padroni e operai; l’essersi in poche mani accumulata la ricchezza e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l’unione tra loro più intima; questo insieme di cose e i peggiorati costumi hanno fatto nascere il conflitto»3.
Riconosciute poi la gravità della questione, la difficoltà e l’urgenza della soluzione, e indicate le cause del disagio degli operai: nella soppressione delle corporazioni di arti e mestieri, senza nulla sostituire in loro vece; nello scristianizzamento della società; nell’usura; nel monopolio della produzione e del commercio e nell’avere «un piccolissimo numero di straricchi imposto all’infinita moltitudine di proletari un giogo poco meno che servile» passa ad assegnare i rimedi.
3 leoNe XIII, Rerum novarum, principio.
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Rifiutata la teoria socialista come dannosa agli operai, come ingiusta –perché violatrice del diritto naturale dell’individuo alla proprietà privata e del capo di famiglia a provvedere all’avvenire dei figli, sia in vita che dopo morte – e sovversiva, dichiara essere la questione di pertinenza della Chiesa. Questa insegna agli uomini a sopportare le inevitabili disuguaglianze sociali, che tornano di vantaggio comune, avendo la vita sociale bisogno di attitudini varie e di uffici diversi; a ritenere le fatiche e i patimenti come un retaggio dell’uomo caduto, perché «qualunque cosa si faccia o si tenti, levare via affatto le sofferenze dal mondo, non vi è forza né arte che il possa». Essa riconcilia i ricchi e i poveri, insegnando loro gli obblighi reciproci. Doveri di giustizia dell’operaio sono:
«Prestare interamente e fedelmente l’opera che liberamente e secondo equità fu pattuita; non recar danno alla roba né offesa alla persona dei padroni; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da atti violenti, né mai trasformarla in ammutinamento»;
dei capitalisti e dei padroni: «non tenere gli operai in luogo di schiavi: rispettare in essi la dignità dell’umana persona, nobilitata dal carattere cristiano»; permetter loro di compiere i doveri religiosi;
«non esporlo a seduzioni corrompitrici e a pericolo di scandalo, non alienarlo dallo spirito di famiglia e dall’amor del risparmio; non imporgli lavori sproporzionati alle forze o mal confacenti con l’età e col sesso»;
dare a ciascuno la giusta mercede e non danneggiare i piccoli risparmi dell’operaio né con violenza, né con frodi né con usure manifeste o palliate.
Né la Chiesa si ferma qui, ma cerca ancora di riavvicinare le due classi col dare un giusto concetto della vita, delle ricchezze e delle tribolazioni, con l’offrire gli esempi e la grazia di Gesù Cristo, col predicare ai ricchi i pericoli e i doveri inerenti all’uso delle ricchezze – distinguendo il possesso legittimo dall’uso legittimo e ricordando l’insegnamento di San Tommaso che «per questo rispetto l’uomo non deve avere i beni esterni come propri, bensì come comuni, in modo che facilmente li comunichi nell’altrui necessità» –, col ricordare ai poveri la dignità del lavoro e della povertà sull’esempio di Gesù Cristo e finalmente col predicare la fratellanza, fondata sulla comunità di origine, di fine, di redenzione e di eredità.
La Chiesa poi non solo insegna tutto questo, ma l’ha praticato nel passato, riformando la società e creando istituzioni per sollevare ogni miseria, e lo pratica tuttora efficacemente. Perciò il vero rimedio ai mali denunziati, corporali e spirituali, è il ritorno ai costumi cristiani.
Nella seconda parte l’enciclica parla dell’indispensabile e doveroso concorso dello Stato a risolvere la questione operaia. Dopo aver fissato il principio che dovere generale dello Stato è quello di procurare il bene comu-
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ne con leggi e provvidenze le quali mirino a promuovere i buoni costumi, la prosperità delle famiglie, a distribuire equamente le pubbliche gravezze, a far progredire le industrie e il commercio, ecc…, passa a enumerare i doveri speciali: quello di rispettare le libertà individuali e familiari, cioè i diritti derivanti dalla legge naturale all’individuo e alla famiglia, quando questi non siano esercitati a danno della collettività; quello d’intervenire quando il bene comune l’esige.
«Ora interessa il privato come il pubblico bene, che sia mantenuto l’ordine e la tranquillità pubblica; che la famiglia sia ordinata, conforme alla legge di Dio e ai principi di natura; che sia rispettata e praticata la religione; che fioriscano i pubblici e privati costumi; che sia inviolabilmente osservata la giustizia; che una classe di cittadini non opprima l’altra; che crescano sani e robusti i cittadini, atti a vantaggiare e difendere, bisognando, la patria. Laonde se per ammutinamenti o per scioperi degli operai, si temano disordini pubblici; se la religione non sia rispettata nell’operaio, negandogli agio e tempo sufficiente a compierne i doveri; se per la promiscuità dei sessi e altri incentivi al male l’integrità dei costumi corra nelle officine pericolo; se dai padroni venga oppressa con ingiusti pesi, o avvilita con patti contrari alla personalità e dignità umana la classe lavoratrice; se con lavoro soverchio o non conveniente al sesso e all’età si rechi nocumento alla sanità dei lavoratori; in questi casi si deve adoperare, entro i debiti confini, la forza e l’autorità delle leggi».
Afferma quindi il principio che il salario, oltre che al lavoro fatto e al contratto, dev’essere proporzionato alla somma dei bisogni del lavoratore, essendo il lavoro «l’attività umana ordinata a provvedere ai bisogni della vita, e specialmente alla sua conservazione: tu mangerai il pane col sudore della tua fronte» e chiede che lo Stato favorisca e protegga il risparmio e la piccola proprietà operaia, derivando, da questi, tre vantaggi: una più equa ripartizione della ricchezza nazionale con la conseguente diminuzione di distanza tra una somma povertà e una somma ricchezza, un aumento della produzione e l’attaccamento al luogo nativo.
La terza parte dell’enciclica è dedicata al contributo che devono portare alla soluzione della questione operaia padroni e lavoratori con le corporazioni, con tutte le forme di associazione e di patronato, con le molteplici assicurazioni. Il pontefice afferma essere, quello di associarsi per un fine onesto, un diritto di natura, che lo Stato non può distruggere.
Il divieto è legittimo solo quando le associazioni si prefiggano un fine osvolgano un’opera contraria all’onestà, alla giustizia o alla sicurezza del civile consorzio. Aggiunge saggiamente:
«Però è necessario procedere in questo con somma cautela per non invadere i diritti dei cittadini, e non fare il male sotto pretesto del pubblico
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bene. Poiché le leggi non obbligano, se non in quanto sono conformi alla retta ragione, e perciò stesso alla legge eterna di Dio».
Gli operai cristiani devono organizzarsi e sono degni di encomio quanti prendono a cuore il loro miglioramento. Ma le organizzazioni, per progredire, devono essere autonome e perciò lo Stato «non deve intromettersi nell’intimo della loro organizzazione e disciplina: perché il movimento vitale nasce da intrinseco principio, e gli impulsi esterni lo soffocano». Finalmente, dopo aver accennato alla necessità che le organizzazioni si propongano il perfezionamento religioso e morale, dopo aver detto del loro ordinamento, delle loro funzioni economiche e dei loro vantaggi nel passato e anche nell’avvenire, l’enciclica conclude:
«Che ciascuno faccia la parte che gli conviene; e non si indugi, perchè il ritardo potrebbe rendere più malagevole la cura di un male già tanto grave. I governi vi si adoperino con buone leggi e savii provvedimenti; i capitalisti e i padroni abbiano sempre presenti i loro doveri; facciano, nei limiti del giusto, quanto possono i proletari che vi sono direttamente interessati, e poiché il vero e radicale rimedio non può venire che dalla religione, si persuadano tutti quanti della necessità di tornare alla vita cristiana, senza la quale gli stessi accorgimenti reputati più efficaci saranno scarsi al bisogno. Quanto alla Chiesa essa non lascerà mancare mai e in modo nessuno l’opera sua, la quale tornerà tanto più efficace quanto sarà più libera; e di questo devono massimamente persuadersi coloro che hanno per debito di provvedere al bene del popolo. Poiché la desiderata salvezza dev’essere principalmente frutto di una grande effusione di carità; intendiamo di quella carità cristiana che compendia in sé tutto il Vangelo, e che, pronta sempre a sacrificarsi pel prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo. Della qual virtù tratteggiò San Paolo i divini lineamenti con quelle parole: “La carità è longanime, è benigna, non cerca il fatto suo: tutto soffre, tutto sostiene”».
Si affermavano, dunque, nella Rerum novarum principi fecondi di sviluppi e di applicazioni inaspettate. Collaborazione delle classi, subordinazione dell’interesse privato al bene pubblico, dignità dell’individuo umano con tutte le conseguenze derivanti da essa, il diritto di proprietà rivendicato contro la negazione socialista, ma unito al concetto della funzione sociale della ricchezza – che ammette il ius utendi, ma condanna il ius abutendi, – il diritto di associazione, il concetto di stato corporativo, l’utilità della piccola proprietà, il rifiuto del concetto del lavoro-merce, l’affermazione del concetto del lavoro come estrinsecazione di attività umana e avente quindi una sua dignità inviolabile, l’operaio essere un uomo con tutti i suoi diritti e doveri individuali, familiari, sociali, morali, religiosi, l’economia dover essere regolata dalla morale, il salario proporzionato ai più
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elementari bisogni della famiglia, i doveri dello Stato che deve intervenire per prevenire ed eliminare i conflitti con una savia legislazione rispettando contemporaneamente i diritti dell’individuo, la difesa di tutte le debolezze e la condanna di tutti gli sfruttamenti, il concetto dell’imposta progressiva e dello Stato, non avaro ma non prodigo, onde evitare le sperequazioni e l’impoverimento dei contribuenti, e finalmente l’affermazione che la giustizia non basta a sanare tutte le piaghe e lenire tutti i dolori, senza l’equità e la carità, e che senza un sentimento profondo di religione non si scioglie la questione sociale: tutto questo è pensiero ricostruttore, è terapeutica sociale coraggiosa, è fermentazione di salvezza.
A chi guardi alla vita e alla legislazione sociale odierna può il pensiero leoniano sembrare non nuovo né originale, ma, quando si rifletta che l’enciclica è del 1891, si comprende subito la sua importanza e la sua portata. Del resto l’efficacia della parola pontificia è dimostrata dal fervore di studi e di azione ch’essa provocò dappertutto; perché la Rerum novarum, come si è detto, non fu soltanto una conclusione, ma ancora, e più, una prefazione. Per convincersene basta ricordare le opere poderose di un Cathrein, di un Pesch, di un Weiss, di un Mayer, di un Pascal, di un Antoine, di un Pottier, di un Toniolo, le lezioni universitarie di quest’ultimo, di un Hitze e di molti altri, l’introduzione dello studio della sociologia nei grandi seminari, le numerose riviste sociali cattoliche di celebrità universale, i frequenti congressi nazionali e internazionali, i programmi dei cattolici francesi, belgi, olandesi, tedeschi, svizzeri e italiani, i libri del Goyau, del Naudet, del Lemire, del Fonsegrive, l’organizzazione di tutte le categorie di lavoratori, le mille istituzioni a favore del popolo, l’attività dei partiti politici ispirantisi all’insegnamento del cattolicismo, la molteplice e talvolta audace legislazione operaia nelle varie nazioni.
La parola del vecchio e sapiente pontefice, se incontrò incomprensioni e ipocriti disdegni tra i nemici della Chiesa – ricordo tra tante manifestazioni ostili l’acido e volgare articolo di Critica sociale con la postilla del suo direttore Filippo Turati – e ostinate resistenze nel campo del conservatorismo cattolico, sono opportuna e incoratrice per le falangi giovanili e fu lodata da uomini d’altri campi, onesti e consapevoli, tra i quali va ricordato Ruggiero Bonghi che nella Nuova antologia definiva l’enciclica:
«Parola forse la più grave di quante il pontefice ha pronunciato finora, sì per la questione che tratta, la più ardente di quante oggi dilacerano le menti e i cuori delle varie classi, e sì per quello che egli ne dice col fine non meno di temperare l’ardore del contrasto, che di proporre, nella larghezza del suo intelletto, nella serenità del suo spirito, i mezzi di sciogliere il contrasto stesso»
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e vi vedeva «chiare le vestigia di una ponderazione lenta, calma, sicura»4. Non si esagera affermando che Leone XIII salvò l’Europa da un anticipato bolscevismo con lo stimolare i cattolici a entrare a schiere compatte e a vessilli spiegati nella grande battaglia, da cui doveva uscire il trionfo del diritto cristiano delle masse, prima mancipie del sovversivismo anarchico e socialista. Sono frasi di Leone XIII queste: «urgono rimedi pronti ed efficaci», «opponete sodalizi popolari cristiani a quelli socialistici», «da voi dipende che la democrazia sia cristiana o socialistica», «uscite (ai preti) di sacristia andate al popolo»: frasi che sono stimoli propulsori e germi fecondi. Il clero intese tale linguaggio e andò al popolo, il quale tornò in gran parte a Dio. Nel 1889, dopo aver composto lo sciopero di 100 mila operai dei dochs di Londra, era stato il cardinale Manning a essere proclamato «ambasciatore di Cristo» nel 1893, nel congresso operaio di Bienne, città svizzera calvinistica e ostile al papato, il Decurtins che spiegava ai lavoratori la recente enciclica Rerum novarum fu sollevato sulle braccia dei presenti, acclamanti al papa degli operai. Il quale nel 1898 ricevette un numeroso pellegrinaggio operaio francese, guidato da Leone Harmel, le Bon père des ouvriers, che così parlò:
«È il popolo dei lavoratori, santità, che vi sta dinanzi; quel popolo a cui voi avete dato più chiara ed esatta coscienza dei suoi doveri e diritti, e che non ebbe mai amici e sostegni veraci fuorché in questa Chiesa, il cui fondatore volle essere operaio; quella democrazia cristiana, forse ignorata e calunniata, ma che certamente ricondurrà al seno della Chiesa le moltitudini che il socialismo rivoluzionario avesse allontanato».
E il pontefice conchiuse la sua risposta all’indirizzo dei lavoratori con questa sentenza: «Se la democrazia saprà essere cristiana, essa darà alla vostra patria un avvenire di pace, di prosperità, di gloria».
E tre anni dopo con la Graves de communi dette l’ultimo suggello ai principi della Rerum novarum e alle loro applicazioni, accettando nel nome e nella sostanza la democrazia cristiana.
Sono scorsi ormai 40 anni da quel 15 maggio augurale; molta acqua è passata, da allora, sotto i ponti del Tevere, ma la parola di Leone XIII nulla ha perduto della sua antica freschezza ed efficacia, perché la parola della verità non può essere logorata dal tempo. La Chiesa, che in pieno mondo pagano aveva bandito la carità e l’uguaglianza dando un colpo mortale alla schiavitù, che nel Medioevo aveva bandito con San Francesco d’Assisi la pace, la tregua di Dio e ancora una volta la carità, nei tempi nuovi, inculcando sempre quest’ultima, bandì con Leone XIII la giustizia.
E i lavoratori vollero manifestare la loro gratitudine al grande pontefice con erigergli in un cortile del Laterano, nella cui basilica riposano le
4 F. meDa, Avvenire d’Italia, maggio 1931.
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LUIGI NICOLETTI
Don Luigi Nicoletti nella foto utilizzata per il numero speciale de “La Voce Cattolica” (9 giugno 1906) «per l’ascensione al sacerdozio»; a destra: Roma, San Giovanni in Laterano, cortile interno, il monumento operaio offerto dai lavoratori di tutto il mondo per il XXV anniversario di pontificato di Leone XIII, il papa della Rerum novarum.
ossa di Leone vicino a quelle del glorioso Innocenzo III, un monumento, il quale rappresenta un operaio che ha spezzate le catene e con la destra leva in alto la croce redentrice.
Ricordo di essermi recato, mi pare nel 1913, in una delle mie peregrinazioni per le vie dell’Urbe, a rivedere il monumento: mi parve un rudere abbandonato; l’iscrizione era quasi illeggibile e molta erba era cresciuta intorno al piedistallo, erba non coltivata dalla mano dell’uomo, ma venuta su spontaneamente. Ne provai una stretta al cuore. Ritornatovi dopo la guerra, la negligenza e l’abbandono non si notavano più. Inezie, certamente, ma rivelatrici di mentalità e di stati d’animo ben chiari.
Il Santo Padre, volendo, quest’anno, a Roma la commemorazione internazionale della Rerum novarum ha inteso richiamare i cattolici di tutto il mondo allo studio dei principi da essa banditi, a rivendicarne l’importanza
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PAROLA CHE NON MUORE: LA RERUM NOVARUM
e le benemerenze, a ricordare che molti corvi gracchianti contro l’enciclica menano vanto delle penne di cui l’hanno depredata, rivestendosene, e che quanto è stato fatto e si fa a benefizio morale ed economico dei lavoratori in tutti i paesi non è estraneo né indipendente dal pensiero sociale di Leone, il quale sulle folle sofferenti e avvelenate dalla propaganda sovversiva ripetè il misereor super turbam del Maestro divino.
Non galvanizzazione, quindi, di un pensiero superato e morto, non verniciatura d’un vecchio mobile tarlato, non riesumazione di un documento già da tempo passato in archivio e dimenticato, ma doverosa celebrazione, la nostra, di un’opera di sapienza e di carità, monito, sempre opportuno, ai cattolici militanti di non trascurare il popolo e di mostrare interessamento affettuoso a tutti i suoi bisogni, per conquistarne l’anima a Dio. Turati, dopo irriverenti e triviali espressioni all’indirizzo del gran pontefice, così chiudeva la sua postilla in Critica sociale, già ricordata: «Questi amplessi senili fra un’istituzione in agonia e una classe in decadenza morale sempre più pronunciata – sarebbero la Chiesa e la borghesia – ci sembrano eccellente presagio. Noi battiamo le mani alle lucubrazioni del signor Pecci come a un prezioso segno dei tempi».
Sono evidenti lo sforzo polemico, l’ostentazione di un disprezzo immeritato e l’astio rivelante il timore di perdere un monopolio prepotente e incontrastato. La storia di questi 40 anni ha mostrato che la Rerum novarum non era frutto di amori senili ed espressione di decadenza; la senilità decadente era piuttosto nel pensiero del superficiale critico, la cui prosa con intenzione di stroncatura niente altro era che… bava senile!
La Chiesa ha visto parecchi di questi necrofori e profetoidi di sciagure finire nei tanti silenziosi cimiteri della storia, dove le loro idee e i loro programmi dormono il sonno dei non giusti, in obliate sepolture, su cui crescono prosperosi il rovo e l’ortica, mentr’essa gode di una florida e perenne giovinezza, sebbene sempre dai tristi insidiata, combattuta, martoriata. In agonia? Sì, se per agonia s’intende lotta. È un’agonia infatti che dura da venti secoli, ma che appunto per questo non prelude affatto alla morte.
Si dice che dei chicchi di grano, dopo essere rimasti per diecine di secoli rinchiusi nelle tombe dei faraoni, seminati in terreno ferace, abbiano germinato la vita. Come potrebbe morire la Chiesa, figlia di Colui che, messo in un sepolcro, non vi rimase, perché era la Vita? Essa vive e dice sempre parole eterne. Leone XIII rivive oggi nel regnante pontefice, e la Rerum novarum è ancora sul suo labbro un lieto annunzio di pace sociale e nella sua mano ben salda un vessillo garrente al vento della vittoria, una fiaccola ardente e illuminante, perchè nella Chiesa santa di Gesù i suoi vicari tutti, da Pietro a Pio XI, l’uno all’altro quasi cursores vitae lampada tradunt.
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LUIGI NICOLETTI
STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA COSENZA (1896-1915)
di D ome N ico m a N tello * tesi di laurea - Università degli studi di Roma - Facoltà di Scienze politiche anno accademico 1978-79 - relatore prof. Gabriele De Rosa
caPitolo Primo ASPETTI SOCIALI E RELIGIOSI
Condizioni socio-economiche della Calabria postunitaria
Le condizioni economiche, sociali, politiche e religiose della Calabria tra la fine del XIX secolo e il primo Novecento, ci offrono elementi e caratteri di una trasformazione, anche se lieve, delle arcaiche strutture socio-economiche. Si tratta di mutamenti che venivano a coincidere con un diverso modo di intendere il rapporto tra intellettuale e vita sociale.
Da individualità studiose, chiuse e isolate politicamente, si passa a gruppi di intellettuali maggiormente interessati alla conoscenza e alla denuncia delle gravissime condizioni economiche e sociali locali1.
Testimonianza di questo cambiamento sono gli innumerevoli fogli, riviste, periodici e settimanali che nascono in questo periodo in Calabria e, in particolare a Cosenza dove si afferma un «nobile anche se modesto giornalismo provinciale»2. Per comprendere questo impegno giornalistico occorre tener presente che la Calabria «nel 1872 contava l’87,3% di analfabeti dai venti anni in su e ancora il 75,4% nel 1901»3.
* Scopo della ricerca è offrire una visione del Movimento cattolico cosentino nel periodo che va dal 1896 al 1915. Ho rivolto l’attenzione soprattutto alla stampa cattolica locale, fonte di notizie degli avvenimenti politici, culturali e sociali. L’impossibilità di consultare scritti inediti – gelosamente custoditi – non ha agevolato la ricerca. Ho ovviato tenendo presente le monografie già edite sul Movimento cattolico calabrese e don Carlo De Cardona, con gli studi di Pietro Borzomati, Maria Mariotti, Ferdinando Cassiani e Antonio Guarasci.
1 Pasquale Rossi, uno dei primi leaders del socialismo cosentino, in un discorso tenuto al Convitto “Telesio” a Cosenza nel 1899, traeva questa amara conclusione: «Un secolo è passato, sfiorandoci appena il volto, ma lasciandoci il vecchio rapporto economico. […] Siamo dopo un secolo nelle condizioni istesse di economia, di cultura e di sentimenti dei giacobini e dei sanfedisti» (P. rossi, I martiri cosentini del 1799, Cosenza, tip. Riccio, 1899, pp. III-IV).
2 F. cassiaNi, I contadini calabresi di Carlo De Cardona (1898-1936), Roma, Cinque Lune, 1975, p. 15.
3 G. isNarDi, Frontiera calabrese, Napoli, Esi, 1965, p. 288. L’autore, a proposito
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STUDI E RICERCHE SUL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA
Ogni sforzo editoriale riusciva difficile proprio per la debolezza del mercato e per il numero molto basso di chi era in grado di poter fruire di un giornale.
In condizioni socio-economiche di estrema arretratezza, alla mancanza, quasi assoluta, di strutture produttive 4, e all’egoismo sociale dei grandi latifondisti, amanti dello status quo politico ed economico, venne ad aggiungersi verso la fine del secolo la grave crisi cerealicola e vinicola, che fu avvertita più acutamente dai contadini «privati della proprietà della terra, soggetti all’usura […] e a patti agrari durissimi dai galantuomini del Sud»5. Molti lavoratori disoccupati trovarono nell’emigrazione la soluzione ai loro problemi, ma «rotto il ghiaccio […] l’esodo andò presto crescendo con moto rapido e ininterrotto, intensamente soprattutto nelle zone montuose. Le cause che si enumerano, poco variano: insufficiente guadagno, miseria e anche un sordo rancore contro i proprietari. Come vi trattano i proprietari? […] vedi come sono magro io? (risponde un contadino). E hai visto invece il padrone che trippa ha fatto?»6
Si trattava nella maggior parte dei casi di un’emigrazione permanente; tra il 1878 e il 1915 emigrarono 870 mila calabresi, tra il 1901 e il 1905, 33 mila, tra il 1906 e il 1910, 48 mila, tra il 1910 e il 1912, 38 mila, 55 mila nel 1913 7 . Sulle tristi condizioni dei lavoratori della provincia di Cosenza, stralciamo alcuni brani di un testimone oculare, Vincenzo Padula8 : «Quale scena pietosa! Il sale [descrive le condizioni dei lavoratori nelle saline di Lungro] è portato fuori sulle spalle di uomini e di ragazzi […]. Quella gente che arriva all’aria aperta con l’anima in bocca è commovente»9.
dell’analfabetismo, continuava: «[L’interesse verso l’istruzione] non fu per nulla incoraggiato dalla classe borghese detentrice della proprietà, alla quale faceva comodo tale stato di cose».
4 Le industrie seriche, le poche che potevano assicurare lavoro, e dove in genere lavorava personale femminile, erano soggette a frequenti crisi.
5 A. Guarasci, Giolitti e la questione meridionale, in «Calabria contemporanea», a. I, n. 1, 1972, p. 82.
6 F. Coletti, Dell’emigrazione italiana, in Cinquanta anni di vita italiana, Roma, 1911, vol. III, pp. 138-147; R. Villari, Il Sud nella storia d’Italia. Antologia della questione meridionale, Roma-Bari, Laterza, 1975, vol. I, pp. 421-422.
7 Cfr. L. Gambi, Calabria, Torino, Utet, 1965.
8 Vincenzo Padula di Acri (1819-1893), sacerdote dal 1841, si distinse per un’intensa attività giornalistica. Fondò nel 1864 il periodico Il Bruzio, dove con attenta analisi sociologica, descrive le condizioni economiche e sociali delle popolazioni calabresi.
9 V. PaDula, Calabria prima e dopo l’Unità, a cura di A. mariNari, Bari, Laterza, 1977, p. 238.
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DOMENICO MANTELLO
STORIA DEL MOVIMENTO
CATTOLICO
IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
Sulle tristi condizioni delle donne: «È regola fissa che l’uomo, checché faccia, abbia due carlini, e la donna metà. Pure, finché è zitella, le basta; ma cade nella miseria appena si marita»10.
Anche la prostituzione, nell’analisi di Vincenzo Padula, diventa un fenomeno strettamente legato alle misere condizioni economiche:
«[A Nocara] le donne sono bellissime; […] si educano severamente, ma la miseria, tale che han pane senza cucina, e i figli dei galantuomini le fanno cadere. Con cinque piastre si ottiene una zitella. E gli infanticidi sono frequenti, e presso al paese è una carcara (pozzo) che si trova sempre piena di ragazzi uccisi»11
L’alimentazione era scarsa; il vitto era normalmente costituito da pane di granone, da minestre di legumi o di verdure, da patate. Nullo o quasi era il consumo della carne 12 .
Le abitazioni erano, nella maggior parte dei casi, umide e disagiate: «La casa che il contadino tiene quasi sempre in affitto è una catapecchia larga dai 4 ai 5 metri quadrati, nera dal fumo, umida e fetida coperta di sole tegole, senza pavimento e senza vetrate […]. E in questo unico vano convivono costantemente con la famiglia, quando è agiata, uno o due maiali, le galline e spesso la pecora e l’asino»13.
Nel complesso, verso la fine del XIX secolo, l’ambiente socio-economico calabrese presenta ancora residui feudali che si esprimono nei particolari rapporti di dipendenza che legavano i contadini ai proprietari e agli usurai. Gli stessi proprietari poi, non avevano nessun interesse a migliorare le condizioni morali e materiali dei loro contadini «non essendo spinti da alcuna altra molla che da quella del proprio interesse»14.
Il primo Congresso cattolico calabrese
In campo cattolico l’avvenimento più importante di questo periodo fu la convocazione del primo Congresso cattolico delle Calabrie, che si tenne a Reggio Calabria nei giorni 13-16 ottobre 1896. L’assise si svolgeva a 22 anni di distanza dal primo Congresso cattolico di Venzia del giugno 1874. Un ritardo che dice tutto sulla consistenza del Movimento cattolico calabrese.
10 Ibidem, p. 74.
11 Ibidem, pp. 88-89.
12 D. De marco, Proprietà e classi rurali (1860-1880), in Atti del II Congresso storico calabrese, Napoli, Fiorentino, 1961, p. 503.
13 A. murmura, I contadini calabresi, in «L’avvenire vibonese», 1° gennaio 1835; L. Izzo, Agricoltura e classi rurali in Calabria dall’Unità al fascismo, Genève, Droz, 1974, p. 32.
14 Ibidem.
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Dal 1874 al 1880, in Calabria l’Opera dei Congressi non ebbe alcun rappresentante diocesano; solo nel 1881 ne fu nominato uno a Reggio e nel 1883 uno a Crotone, Nicotera e Catanzaro. Nel 1887 sorsero i Comitati diocesani di Reggio, Santa Severina, Crotone, Catanzaro, Cosenza, San Marco e Mileto, ma di fatto non svolsero alcuna attività di rilievo15.
Le cause del mancato sviluppo del Movimento cattolico in Calabria e nel Mezzogiorno in genere sono molteplici; il ritardo era dovuto, in primo luogo, alle condizioni di arretratezza economico-sociale che si spiegano col perdurare «di fattori feudali nelle strutture sociali e mentali del Mezzogiorno anche dopo la fine del Regno borbonico»16.
Con la conseguenza che «lo spazio religioso in queste terre fu appena sfiorato dal Tridentino e dove il Concilio arrivò, se ne esaltarono più gli aspetti della pietà ascetica, fatta di macerazioni ed espiazioni, che di interiorità cristologica»17.
La crisi del Movimento cattolico risente, in Calabria più che altrove, di quei residui feudali ancora persistenti, e che non erano messi in discussione né dallo sviluppo capitalistico, né dal movimento operaio.
Anche le confraternite non fecero nulla, anzi ostacolarono l’organizzazione del Movimento cattolico, «timorose di perdere con l’attività dell’Azione cattolica alcuni loro ipotetici diritti»18.
15 Cfr. A. GambasiN, Il Movimento sociale nell’Opera dei Congressi (1874-1904). Contributo per la storia del cattolicesimo sociale in Italia, Roma, Università Gregoriana, 1958, tav. 43, pp. 728-729. Gambasin a proposito delle condizioni dell’Opera in Calabria così scrive: «Nel 1887 ci sono 7 Comitati diocesani su 16 diocesi. Dal 1887 al 1894 non ci sono notizie sull’operosità dei Comitati di questa regione; mons. Scotton affermò che “nella Calabria non c‘è nulla e non si può far nulla” […] Ma – continua Gambasin – il suo giudizio fu smentito in parte dai fatti. Nel 1896 ci sono 11 Comitati diocesani, con 52 Comitati parrocchiali, nel 1897, 9 Comitati diocesani e 49 Comitati parrocchiali. Non si convocò nessuna adunanza diocesana e appena una adunanza regionale».
16 G. De rosa, Introduzione ai lavori, in Il Movimento cattolico in cento anni di storia. Atti del Colloquio sul Movimento cattolico italiano (Venezia, 23-25 settembre 1974), Roma, Storia e Letteratura, 1975, p. 246.
17 Ibidem. De Rosa, così continua: «Diremo che la storia del Movimento cattolico nel Sud va spiegata più in relazione ai problemi peculiari di una realtà sociale depressa, che ha conservato indubbie attinenze con il mondo feudale e baronale, che in relazione ai problemi portanti anche all’interno del mondo cattolico dal capitalismo, come, invece, avviene per il Nord», p. 247.
18 P. Borzomati, Aspetti religiosi e storia del Movimento cattolico in Calabria (18601919), Roma, Cinque Lune, 1967, pp. 182-183. A proposito delle confraternite Borzomati scrive: «[…] Dopo l’Unità le confraternite erano di fatto controllate dalle stesse forze anticlericali e dai notabili del luogo e questo si era rivelato indubbiamente un mezzo efficace per rafforzare il clientelismo politico. Queste confraternite, inoltre allo scopo di assicurarsi il favore della maggioranza della popolazione superstiziosa e ignorante, organizzavano sagre pompose e interminabili processioni».
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STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
Per quanto riguarda il clero, è interessante il giudizio che ne dà don Luigi Sturzo: «Una delle difficoltà principali che incontra il Movimento cattolico specialmente nel meridione, le cui difficili condizioni meritano che per lo meno non si crei un’uniformità organica eccessiva che può riuscire dannosa, si è la confusione che s’ingenera nei più fra l’azione civile e sociale dei laici cattolici e l’azione ecclesiastica religiosa del clero […]. Ivi le condizioni religiose sono difficili principalmente perché il contatto delle autorità e dell’ambiente laico con quello ecclesiastico è troppo continuo e per i troppi interessi insiti, e si risolve per cumulo di tradizioni dolorose, in vera invadenza laica, anzi in sopraffazione»19.
Cause economiche, religiose e sociali che spiegano non solo il mancato sviluppo di organizzazioni cattoliche efficaci sul modello Veneto, ma che determinano il perdurare, ancora nel XIX secolo, di strutture economicosociali tradizionali che impediscono qualsiasi mutamento.
Il primo Congresso cattolico calabrese, convocato per esplicito desiderio di Leone XIII, si risolse, di fatto, in una manifestazione di sterile accademia, senza superare i «limiti della verbosità e della retorica»20.
Lo spettacolo indubbiamente ci fu; esso fu «reso mirabile dalla presenza di ben 15 arcivescovi e vescovi, che si videro riuniti nelle funzioni religiose e nell’aula delle adunanze»21 impressionò gli stessi intervenuti per l’occasione. I partecipanti al Congresso (1.400 delegati, in maggioranza ecclesiastici) furono divisi in uditori, aderenti e benefattori; questi ultimi si erano spontaneamente assunti l’obbligo di sottoscrivere una «ragguardevole somma per le spese organizzative del Congresso»22.
Tra i discorsi maggiormente applauditi ci furono quelli del barone Nicola Taccone-Gallucci23, ospite d’onore del Congresso, e del filosofo catanzarese Francesco Acri24. Taccone-Gallucci nel suo discorso, attaccò violen-
19 L. Sturzo, La battaglia meridionalista, a cura di G. De rosa, Bari, Laterza, 1979, pp. 88-89.
20 M. Mariotti, Movimento cattolico e mondo religioso calabrese, in «Civitas», a. VII (1956), n. 9-10, pp. 107-128.
21 Atti del primo Congresso cattolico della Regione Calabria (tenuto in Reggio Calabria dal 13 al 16 ottobre 1896), Reggio Calabria, tip. Morello, 1896, p. 9.
22 Ibidem, pp. 5-6.
23 Nicola Taccone-Gallucci; nato a Mileto nel 1847, morto a Messina nel 1905. Fu tra i fondatori della Gioventù cattolica (1868) con Fani e Acquaderni; si impegnò in un’intensa attività giornalistica, ma in Calabria svolse un ruolo modesto in seno al Movimento cattolico.
24 Francesco Acri (1835-1913), filosofo di tendenze platoniche, politicamente si schierò coi clerico-moderati. Nato a Catanzaro, si distinse come professore all’Università di Bologna, ma rimase sempre legato alla sua Calabria.
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temente il liberalismo «falsa moneta della libertà, perché esso si foggia per suo conto esclusivo di un sistema di monopolio, nel quale non è esercizio l’uso, ma l’abuso della libertà»25. E continuò:
«Il liberalismo teme la Chiesa e la combatte nel campo della scuola e della stampa […]. La scuola al momento attuale è un feudo del liberalismo, la stampa un’agenzia cointeressata alla scuola, e più di questa reca danno alla mente e al cuore propagando in modo popolare i falsi sofismi della scienza atea…»26
Sul comportamento dei moderati e di quanti si mostravano tiepidi nella difesa dei principi della Chiesa Cattolica, Taccone-Gallucci annotava:
«[I moderati] nella relazione fra Chiesta e Stato vagheggiano la separazione, con questo patto, però, che lo Stato abbia da parte sua tutta l’indipendenza e la libertà, e la Chiesa abbia solo questa limitata libertà, che le concede lo Stato, o non ne abbia affatto, se lo Stato crede di doverla sopprimere»27.
L’oratore, dopo aver ricordato e insistito sull’inderogabile impegno dei cattolici a far rientrare «la società nell’orbita del cristianesimo», così concludeva: «I ritrovati umani non risolvono il problena, ma l’arruffano: le utopie socialiste e comuniste, lungi dal togliere la lotta di classe, la rendono più acuta e feroce»28.
Dopo altri discorsi seguì l’importante e dotto intervento del filosofo Francesco Acri; la sua relazione, tenuta nel pomeriggio del 14 ottobre, si risolse in un’accusa aperta e particolareggiata nei confronti del positivismo colpevole di aver danneggiato la società nel
«voler separato lo Stato dalla Chiesa. I politici – sostenne Acri – dicono che: la Chiesa si fonda sulla fede, lo Stato sulla scienza; dunque l’uno vada per una via, e l’altra per un’altra; contraddizione è questa perché se l’uomo, sul quale devono operare lo Stato e la Chiesa, è uno e medesimo, quelli come mai andranno per vie diverse?»29.
Secondo il filosofo catanzarese, il male maggiore per la fede cattolica derivava dall’accettazione dei fondamenti della filosofia positivista e dunque: «Contro la filosofia positiva abbiano posto la filosofia di San Tommaso d’Aquino… e l’efficacia sua costretta presentemente dentro i seminari è sperabile che si spargerà poi di fuori»30.
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Atti del primo Congresso …, cit., p. 25.
Ibidem, p. 27.
Ibidem, p. 28.
Ibidem, p. 31.
Ibidem, p. 57.
Ibidem, p. 50.
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STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
Il riferimento a San Tommaso non era casuale; Acri, docente di filosofia e cattolico papale, aveva presente in questa citazione l’enciclica di Leone XIII Aeterni Patris 31, che serbava l’entrata ufficiale della neoscolastica nelle scuole cattoliche. La relazione di Acri fu accolta con ripetuti segni di approvazione; si trattò di belle parole, di fine oratoria che nulla dicevano sui reali problemi del mondo cattolico calabrese.
Non mancarono interventi rivolti a una più proficua e immediata soluzione di questi problemi; sull’organizzazione cattolica e sulle cause della crisi dell’Opera dei Congressi nel Mezzogiorno; di questi interrogativi e iniziative si rese portavoce mons. Vincenzo Di Giovanni promotore dei primi Comitati parrocchiali e diocesani in Sicilia e rappresentante dell’organizzazione siciliana dell’Opera. La causa della crisi religiosa e del Movimento cattolico nel Meridione – secondo Di Giovanni32 – era da addebitarsi soprattutto alle paure dei cattolici, mancanti di coraggio nel proporre autonome iniziative e che si «tirano indietro e... i nemici trionfano perchè i cattolici si inconigliano»33.
L’obiettivo di Di Giovanni era di rompere una volta per tutte, l’isolamento che gravava sulle organizzazioni cattoliche meridionali e di farla finita con il «tradizionale privatismo religioso, che rendeva i parroci e i chierici in generale legati alle forme del patronato signorile, restii pertanto ad accettare l’idea di un cattolicesimo sociale»34.
31 L’enciclica Aeterni Patris (4 agosto 1879), coincise con la nascita di un’Accademia tomistica a Roma nel 1879 e con la proclamazione di San Tommaso patrono di tutte le scuole teologiche. Dall’enciclica: «I Padri della Chiesa fecero tesoro di quanto era sano nella filosofia dei gentili e l’ingrandirono con la sapienza cristiana. Gli scolastici dimostrarono meglio l’accordo tra ragione e fede […]. San Tommaso emerge fra tutti per doti eccezionali di mente angelica […]. La Chiesa che ha sempre riconosciuto questo primato dell’Angelico rileva il danno derivato alla scienza e alla società dalla trascuratezza dei moderni di fronte a quella filosofia…». Il recupero del tomismo significava non solo un sicuro baluardo contro l’agnosticismo filosofico e l’evoluzionismo, imperanti verso la fine del secolo, ma uno «sforzo rivolto all’elaborazione positiva di una teologia che potesse realizzare vittoriosamente e salvaguardare l’armonia tra fede e scienza» (cfr. J. Lortz, Storia della Chiesa, vol. II, Alba, Paoline, 1973, p. 428). L’enciclica significò anche l’applicazione del tomismo come filosofia sociale della Chiesa.
32 «No, non è solo la preghiera l’arma dei cattolici, – disse Di Giovanni al primo Congresso cattolico siciliano nel 1895 – alla preghiera si congiunge l’azione. Colla stampa, colle elezioni, coll’aiutare le classi agricole e tutti gli operai, qualche cosa potremo ottenerla […]. La questione sociale è minacciosa, ci freme sotto i passi: è un vulcano che vorrebbe irrompere come fuoco. Ebbene ecco l’Opera dei Congressi che collo spirito della carità mira a ricondurre alla madre Chiesa i figli traviati. Fratelli miei, uscite di sacrestia». Il primo Congresso cattolico per la Regione siciliana. Discorso di mons. Di Giovanni, in «Letture domenicali», 14 luglio 1895; G. De rosa, Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Bari, Laterza, 1978, p. 161.
33 Atti del primo Congresso…, cit., p. 63.
34 G. De rosa, Chiesa e religione popolare…, cit., p. 164.
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A conclusione del Convegno furono approvate alcune mozioni; sulle adunanze regionali e diocesane, sulle scuole di religione, sulle elezioni amministrative 35, sulla preservazione delle giovani operaie nelle fabbriche36, sull’accompagnamento del SS. Viatico, sulle Casse rurali 37 e sul problema della stampa 38 .
Il Congresso non riuscì a esprimere e analizzare adeguatamente la reale dimensione della Chiesa e dei cattolici in Calabria. Questo primo Congresso cattolico calabrese rappresenta un momento importante per la Chiesa calabrese, dato che il suo episcopato, si trovò riunito per la prima volta, dopo anni di dividioni e campanilismi; «esso [il Congresso] assunse una posizione interessante, per certi aspetti clericale, cioè nello spirito dell’episcopato calabrese» 39
35 Sulla partecipazione dei cattolici alle competizioni elettorali, il Congresso: «Considerando che di elezioni politiche non convenga parlare stante l’espresso e ripetuto divieto del Santo Padre, e che non debba ritenersi degno del nome di cattolico chi disubbidisce al supremo duce e maestro […]. Fa voti:
1.Che si istituisca in seno d’ogni Comitato e sottocomitato diocesano un ufficio proprio per le elezioni amministrative.
2.Che per mezzo di apposite commissioni si indaghi in ogni parrocchia quanti godono del diritto elettorale e se ne procuri l’iscrizione nelle liste amministrative […].
3.Che al momento delle elezioni amministrative si prepari l’opinione pubblica con la stampa e con frequenti riunioni […].
6.Che i consiglieri cattolici tengano bene delineata e senza sottintesi la loro condotta, e in ogni urgente affare si abbocchino, se occorra, col Comitato diocesano o col Comitato delle elezioni».
Cfr. Atti del primo Congresso…, cit., sezione II, Azione cattolica, par. 7.
36 A questo proposito il Congresso faceva «voti caldissimi: che per i padroni vigilino strettamente sul personale dirirente perché negli opifici, né fuori abusino del loro posto a danno dell’onestà delle giovani lavoratrici; […] che i detti padroni non permettano mai canti licenziosi e immorali, e facciano continuare le nostre tradizionali abitudini della recita del rosario» (Atti del primo Congresso…, cit., sezione II, Azione cattolica, par. 8).
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«Considerando come l’agricoltura e la piccola industria languiscano per mancanza di credito; considerando come approfitti di ciò l’usura per mandare in rovina il piccolo industriale e per levare di bocca al contadino l’ultimo pezzo di pane, con interessi che fanno spavento; considerando che lo sviluppo delle Casse rurali, oltre che vantaggi economici, apporterebbe il risveglio morale nel contadino; il primo Congresso cattolico delle Calabrie fa voti: che nelle parrocchie di campagna sorgano ovunque le tanto benefiche Casse rurali cattoliche; che nelle città si impiantino le Casse di prestito contro l’usura a favore dei piccoli industriali e a protezione del piccolo commercio». (Atti del primo Congresso…, cit., sezione III, Beneficenza).
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«Considerando che il giornalismo svelatamente o velatamente anticattolico è un veleno terribile che si insinua dappertutto […]. Il primo Congresso cattolico delle Calabrie fa voti: che i Comitati diocesani e parrocchiali aggiungano ai loro regolamenti il dovere per tutti i membri di non comprare né leggere giornali cattivi…» (Atti del primo Congresso…, cit., sezione V, Stampa).
39 Cfr. P. Borzomati, Aspetti religiosi e storia…, cit., p. 229.
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STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
caPitolo secoNDo MOVIMENTO CATTOLICO COSENTINO
La Chiesa cosentina e l’arcivescovo Camillo Sorgente
A Reggio Calabria durante i lavori del primo Congresso cattolico calabrese del 1896, si distinse per la sua personalità morale e culturale mons. Camillo Sorgente 40, arcivescovo di Cosenza. Il suo discorso di chiusura del Congresso fu qualificato «animoso ed eccitante»41.
Vescovo dotato di una personalità robusta e fine, mirò, soprattutto, a eliminare le controversie tra il clero e a ridare nuovo impulso alla legge della carità. Nella sua prima lettera pastorale (1874), rivolgendosi al clero e ai fedeli della propria diocesi scrisse:
«Non siano in mezzo a voi né dissensioni, né scisme, né rancori, né odii […]. Abbiate pertanto a cuore la legge della carità sopra ogni altra cosa […]. Con questo divino vincolo collegati i due cleri secolare e regolare andran crescendo nella individual perfezione»42
I primi venti anni del suo lunghissimo episcopato sono caratterizzati da un intenso attivismo volto allo scopo di salvaguardare la devozione tradizionale. Particolare interesse ebbe per la ristrutturazione fisica e organizzativa del Seminario diocesano, che alla sua venuta aveva trovato chiuso e cadente per il terremoto del 1854. La seconda fase del suo magistero che va dal 1895 fino all’anno della morte (1911) contraddistinta, secondo lo spirito della Rerum novarum, da un notevole impegno non solo in campo reli-
40 Camillo Sorgente, era nato a Salerno il 15 dicembre 1823. Compiuti gli studi fu ordinato sacerdote nel 1848. Pio IX lo elesse arcivescovo di Cosenza nel maggio 1874. Per 37 anni, sarà vescovo di questa città, dove morì il 2 ottobre 1911. Per meglio inquadrare la figura di mons. Camillo Sorgente nella successione di arcivescovi e vescovi cosentini, cfr. F. Russo, Storia dell’Arcidiocesi di Cosenza, Napoli, Rinascita artistica, 1956, pp. 545-550. L’Arcidiocesi di Cosenza era divisa in cinque zone: la Marina che ha il suo centro storico a Paola (la città di San Francesco), l’Appenninica, che si spinge fino al grosso borgo di Montalto Uffugo, la Savutina, situata a Sud di Cosenza, la Casalpresilana a Est, e la zona Silana, costituita dal grosso centro silano di San Giovanni in Fiore. Per notizie più dettagliate sull’Arcidiocesi di Cosenza e in particolare sul numero e sulle condizioni del clero e dei fedeli, cfr. G. SProvieri, Un vescovo energico per un popolo addormentato, in «Quaderni decardoniani», n. 1 (1970), pp. 16 ss.
41 Atti del primo Congresso…, cit., p. 87.
42 Lettera pastorale al clero e al popolo di Cosenza, Salerno, tip. Nazionale, 1874. Altre lettere pastorali del vescovo Sorgente: Per la promulgazione del Giubileo massimo dell’anno 1875, Cosenza, tip. Migliaccio, 1875; Promuovere l’opera dei restauri del Duomo, Cosenza, tip. Migliaccio, 1885 e 1891; Giubileo di Leone XIII, Cosenza, tip. Riccio, 1887; Il matrimonio cristiano, Cosenza, tip. Riccio, 1902.
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gioso, ma anche in quello sociale ed economico43. Primo fra tutti i vescovi calabresi si interessò di azione sociale 44. La nomina del sacerdote Carlo De Cardona a suo segretario particolare si inserisce in questo nuovo indirizzo dato alla sua pastoralità.
Quando mons. Gottardo Scotton, incaricato dal presidente generale dell’Opera dei Congressi, Giambattista Paganuzzi, di visitare le diocesi dell’Italia Meridionale per conoscere lo stato effettivo dell’Opera, giunse a Cosenza, così scrisse al Paganuzzi:
«A Cosenza c’è un arcivescovo che io ho sempre considerato come il tipo del vescovo. Ha trovato una diocesi infame e se non ha ancora potuta guarirla del tutto ha però risanato molte piaghe. Ha trovato un clero disgraziato, ma ha un Seminario fiorente; molti buoni preti sono usciti. È l’unico vescovo del napoletano che abbia fatto il Comitato diocesano […]. Ogni suo sforzo per fondare qualche Comitato parrocchiale riuscì inutile. È dispostissimo di tentar di nuovo, ma chiede un po’ di tempo, perché queste cose non può farle che nella visita, dovendo egli stesso parlare al popolo, trovare i membri, ecc.» 45 .
Mons. Sorgente si proponeva di dare vita a un programma che, riflettendo le preoccupazioni di Leone XIII sulla questione operaia, si accostasse direttamente al popolo con un’assistenza non solo religiosa, ma anche sociale ed economica. Sulla sua tomba si legge la seguente iscrizione:
«Camillus Sorgente archiep. - Omnium pontificis munerum - quorum Paulus est auctor - fuit ille exemplar vivens - maiestatem episcopi gerens - clerum innumerum docilemque grecem cum patris suavitate mirabiliter coniungens - Doctrina clarificavit fide confirmavit Salerni A. MDCCCXXIII natus - obiit consentiae - Postr Kal. Oct. A. MCMXI Ab episcopatu XXXVII - vivit - in hoc templo quod abside refecta - ad pristinum artis decus restituere coepit - Adest in Brutiorum cordibus - singulari ac grata memoria»46.
43 Scrive padre Russo: «Fu di un’attività instancabile nel percorrere continuamente la vasta diocesi, a volte su un semplice calessino o su un mulo per raggiungere anche i borghi più lontani e impervi. Cercò di suscitare ovunque le energie assopite, di incoraggiare e di appoggiare le buone iniziative suscitando fervore ed entusiasmo. Nella visita a San Giovanni in Fiore, che non vedeva il pastore da memoria d’uomo, il delirio di gioia e le grida acclamanti furono tali da far imbizzarrire il cavallo che, ricalcitrando, sbalzò da sella l’arcivescovo. E questi, malgrado la contusione e il dolore, fece lo stesso le sacre funzioni, tra l’entusiastica soddisfazione del popolo» (F. Russo, Storia dell’Arcidiocesi di Cosenza…, cit.. p. 546).
44 P. Borzomati, Aspetti religiosi e storia…, cit., pp. 170 e ss.
45 S. TramoNtiN, Società, religiosità e Movimento cattolico in Italia meridionale, Roma, La Goliardica, 1977, p. 85.
46 Alla morte di Sorgente, Pio X nomina arcivescovo di Cosenza mons. Tommaso Trussoni che sarà vescovo di Cosenza per più di venti anni (1912-1934).
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DOMENICO MANTELLO
STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
Carlo De Cardona: ambiente familiare e preparazione culturale
Carlo De Cardona è senza dubbio l’esponente di maggior rilievo del cattolicesimo cosentino del primo Novecento. Nato a Morano Calabro, grosso centro della zona del Pollino il 4 maggio 1871, apparteneva a una famiglia della piccola aristocrazia terriera. Un suo zio, don Cesare, era parroco a Morano. Questo relativo benessere economico della famiglia, permise, ai tre fratelli De Cardona: Nicola47, Ulisse48 e Carlo, il proseguimento degli studi. Dopo la licenza ginnasiale a Castrovillari, si trasferì a Cosenza dove conseguì la maturità classica al Liceo “Telesio”. Sulla sua scelta sacerdotale, esercitò un’influenza non irrilevante la madre, donna di spirito profondamente cristiano. Nel luglio 1890, si trasferì a Roma, dove conseguì la laurea in Filosofia e Teologia alla Pontificia Università Gregoriana. Sono questi gli anni in cui la Gregoriana è un fermento di discussioni, progetti e valutazoni da tutta una schiera di giovani aperti alla nuova problematica sociale e preparati alla difesa dei valori cristiani nella società. La sua attenzione si rivolge oltre che agli studi di natura teologica, anche a quelli che attenevano alla problematica sociale ed economica. Particolare interesse dedicò agli scritti e al pensiero di Manning 49 arcivescovo di Westminster; Ketteler 50 e Mermillod51 dai quali trasse quell’insegnamento che avrebbe informato in seguito tutta la sua attività.
47 Nicola (1869-1958), laureatosi a Napoli in giurisprudenza, ritorna a Morano dove fonda un Circolo socialista. Pioniere del socialismo calabrese, nel 1919 abbandonato il PSI, fonda insieme a Fausto Gullo, a Cosenza, la federazione del Partito Comunista. 48 Ulisse, medico a Todi in Umbria; non prese parte attiva alla vita politica. 49 Enrico Edoardo Manning (1808-1892) ex arcidiacono anglicano fu ordinato sacerdote nel 1851. Nel 1865 fu nominato cardinale e arcivescovo di Westminster. Il suo impegno sociale, ispirato ai precetti evangelici, si estrinsecò nella difesa dei diritti degli operai e lavoratori. Nel 1889 compose una drammatica vertenza sindacale (Pace del cardinale) che minacciava di paralizzare l’intero paese.
50 Guglielmo Emanuele von Ketteler (1811-1877), ordinato sacerdote a 30 anni, fu nominato nel 1849 a soli 37 anni vescovo di Magonza. Di tendenze aristocratiche e con un «senso talora un po’ dispotico della gerarchia» pensava a un ritorno alla società organizzata corporativamente. Contro l’individualismo liberale e la concezione assolutistica dello Stato, sostenne che la soluzione del problema operaio (La questione operaia e il cristianesimo, 1864) era da ricercarsi in una nuova organizzazione della società «animata dall’unità della fede e fortemente gerarchizzata»; su Ketteler cfr. R. Aubert, Le pontificat de Pio IX, Paris, 1952, edizione italiana, curata da G. martiNa, Alba, Paoline, 1954, pp. 227-230, 733-735). Il giornale cosentino La Voce Cattolica, nel numero del 10 marzo 1900 riporta una biografia di mons. Ketteler.
51 Gaspare Mermillod, nato a Carouge il 22 settembre 1824, morto a Roma il 23 febbraio 1892, fu una delle personalità più attive del cattolicesimo svizzero. Vescovo di Ginevra, per divieto governativo gli fu proibita ogni attività pastorale in diocesi e costretto dal 1873 al 1884 al bando dalla Svizzera. Si distinse nel denunciare l’ingiustizia della situazione sociale che non poteva risolversi senza «l’ausilio della religione».
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Morano Calabro, la città ai piedi del Pollino che ha dato i natali a Carlo De Cardona.
Terminati gli studi universitari, Carlo rientrò nella nativa Morano e fu ordinato sacerdote il 7 luglio 1895. Così annotò nel suo Diario: «Consacrazione a sacerdote nella cappella dell’episcopio di Cassano Jonio: consacrazione fatta dal vescovo del tempo, mons. Di Milia» 52 . Nello stesso anno rinunciando a un suo primitivo progetto di entrare nella Compagnia di Gesù, accettò l’invito di mons. Camillo Sorgente di divenire suo segretario. Per quindici anni i due pionieri del Movimento cattolico calabrese impegnarono tutte le loro energie alla redenzione sociale dei lavoratori e alla problematica dei poveri. Nominato canonico del Capitolo della Cattedrale, fu anche professore di filosofia nel Seminario arcivescovile. Ecco come lo ricorderà don Francesco Cozza, suo alunno: «Professore di filosofia, con le sue profonde lezioni ci infuse l’amore agli studi severi, fece penetrare nel vecchio Seminario di Cosenza un soffio di vita nuova […]. Correvano per le mani dei suoi discepoli, le migliori riviste filosofiche, le opere di Giuseppe Toniolo […] con che avidità leggevamo la Cultura sociale di don Romolo Murri e il Domani d’Italia»53.
52 Carte De Cardona (presso Maria Coscia De Cardona - Morano Calabro). Si tratta di 40 quaderni scritti a penna che cronologicamente coprono il periodo 1935-1949. F. CassiaNi, I contadini calabresi di Carlo De Cardona…, cit., p. 25. Tra gli scritti di De Cardona ricordiamo: C. De carDoNa, Thomas d’Aquino, lucerna viva di sapienza redentrice, Todi, tip. Tuderte, 1941; la pubblicazione dell’opuscolo traeva origine da una conferenza tenuta da De Cardona a Todi il 15 marzo 1941. Nel suo Diario, il settantenne De Cardona così scrive: «Nello sforzo di parlare il meglio che potevo, avvertivo il difetto della voce e mi sembrava che forse nemmeno mi capissero […]. Il discorso, però scritto brano a brano, strappati con la preghiera, scritto in tre fogli grandi, è formato di concetti e parole, che sono miei, solo perché io li ho ricevuti» (F. CassiaNi, I contadini calabresi di Carlo De Cardona…, cit., p. 33).
53 F. Cozza, Maestro e lottatore, in «Democrazia Cristiana», 22 marzo 1958, citato in S. aNtoNioli cameroNi, G. CameroNi, Movimento cattolico e contadino. Indagine su Carlo De Cardona, Milano, Jaca book, 1978, p. 42.
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DOMENICO MANTELLO
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Rapporto De Cardona-Nicoletti
I due esponenti del murrismo cosentino, De Cardona e Nicoletti54, avevano una diversa impostazione ai problemi politici ed economici. Ciò che li accomuna è un rapporto con le masse lavoratrici, con i contadini, con gli oppressi, fuori da ogni verbalismo retorico o ideologico. Mentre De Cardona sosteneva che il popolo dovesse riscattarsi da sé, secondo Nicoletti, invece, la classe operaia e contadina non poteva fare a meno della guida della borghesia illuminata e cattolica. In questo Nicoletti si avvicinava a Padula, nel quale la carica morale e sociale era rappresentata sì, dalla sua concezione cristiana della vita, ma subiva la stessa tradizione dell’illuminismo tradizionale.
All’eclettismo di Nicoletti De Cardona rispondeva:
«Se oggi siano costretti ad assumere un atteggiamento di lotta contro la borghesia, questo non è per odio, ma per necessaria difesa: per difendere gli interessi e i diritti delle classi lavoratrici contro le ingiuste preoccupazioni e il fiero odio dei borghesi, di taluni borghesi specialmente. […] Tu non vedi, amico N. [Nicoletti], come si allarmano i nostri borghesi a ogni più lieve stormir di foglia… democratica? Tu dici: che appunto bisogna educarli i borghesi, al pensiero, alla vita democratica. Ma è una parola… Educare i nostri borghesi allo spirito nuovo dei tempi e al senso della giustizia sociale. E in tutti i nodi, noi siamo persuasi che attualmente, il mezzo migliore per educare la borghesia alla vita sociale, e a una migliore mentalità […] sia precisamente questo: organizzare le masse dei lavoratori e spingerle grado a grado, nei limiti della legge, alla difesa dei loro interessi»55.
54 Luigi Nicoletti, nato a San Giovanni in Fiore (1883), morì a Cosenza il 3 settembre 1958 (nel marzo dello stesso anno era morto Carlo De Cardona). In occasione dell’ordinazione sacerdotale di don Luigi (9 giugno 1906), La Voce Cattolica, uscì con un numero unico dedicato al neo sacerdote, tra gli altri articoli ve ne era uno di Romolo Murri: «Al sacerdote novello io dico specialmente questo: che sempre, nella società in mezzo alla quale vivrà, egli deve essere come una protesta vivente, un segno che contraddica e a cui si contraddica, un principio di riforma e di rinnovamento». Nel 1905 si era laureato in teologia alla Pontifica Università Gregoriana di Roma; a soli 27 anni, nel 1910 è eletto consigliere provinciale. Segretario provinciale del PPI nel 1920. Durante il Ventennio si distinse per il suo intransigente antifascismo. Alla caduta del fascismo divenne uno dei personaggi di primo piano della Democrazia Cristiana cosentina. 55 «Il Lavoro», 26 maggio 1906, si tratta di una polemica giornalistica – come la definisce Cassiani – tra il giovane Nicoletti e il già maturo e preparato De Cardona. Più avanti, nello stesso articolo si legge: «Questa forza che si sveglia dal basso […] questa grande forza di bene, con l’opera sua attiva e invadente, sarà, credimi, la migliore propedeutica ai nostri borghesi».
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Il sacerdote Romolo Murri (1870-1944), fondatore del cattolicesimo sociale in Italia.
Il dissenso in questi anni fra l’interclassismo di Luigi Nicoletti56 e il classismo di Carlo De Cardona chiarisce e sviluppa uno dei temi fondamentali delle polemiche all’interno del Movimento cattolico cosentino e non solo cosentino. Possiamo individuare la vocazione popolare, democratica e classista di De Cardona anche in un suo articolo del 1904, nel momento in cui la crisi dell’Opera dei Congressi determina la chiarificazione politicoreligiosa di Romolo Murri:
«Le classi lavoratrici non possono aspettarsi nulla dal capitalismo imperante se esse non sentono e non vogliono acquistare la forza morale, necessaria a scuotere e a spezzare, con la virtù sacra delle leggi, il gioco odioso e servile che le tiene costrette sotto il dominio borghese […]. Vi è in Italia tutta una generazione di borghesi che si oppone con tutta malizia di ostinati dominatori al movimento di riforme sociali… Sì, – concludeva l’articolista – sono nemici del cristianesimo i socialisti, perché ne vogliono sradicare la fede, ma sono ugualmente e forse peggiori nemici dell’Evangelo i conservatori borghesi che parlano di religione cristiana avendo il cuore scettico e freddo come la moneta di cui sono servi»57.
56 Nicoletti su Carlo De Cardona che considerava suo maestro scrisse: «Lo conobbi nel 1900; ero studente liceale […] dalle labbra di don Carlo appresi la Dottrina sociale della Chiesa, sentii per la prima volta le parole e capii il concetto di libertà e di democrazia. Per opera sua si svegliò in me la vocazione del sacerdozio», L. Nicoletti, in «Democrazia cristiana», 22 marzo 1958.
57 «La Voce Cattolica», 12 marzo 1904.
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DOMENICO MANTELLO
STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
Più complessa appare a questo riguardo la posizione che Nicoletti propone per la soluzione della questione sociale, mentre per De Cardona le leghe, le Casse rurali, le cooperative e la stessa attività politica restavano circoscritte a un campo ben definito e subordinate al risveglio religioso e il partito politico in questa concezione assumeva una funzione strumentale rispetto a quel risveglio per Nicoletti al contrario l’attività politica assume una propria autonomia. Nicoletti, laico per formazione culturale e per chiarezza interiore è portato a difendere «l’autonomia dell’azione politica dei cattolici. Ma questa autonomia non coincide affatto col classismo decardoniano»58.
Nel suo libro Ferdinando Cassiani scrive:
«[Nicoletti] è il politico che non guarda a un settore o a una classe, ma alla società e crede nell’interclassismo cristiano per la soluzione della questione sociale. Forse però manca in Luigi Nicoletti un approfondimento dei problemi economico-sociali della regione e della città per cui, sotto questo aspetto, rimane legato alle abitudini dell’intellettualità meridionale incline alle forme del discorso umanistico e letterario, storicistico e logico-dialettico»59.
Al contario di Nicoletti, De Cardona, per il suo atteggiamento ostile verso i borghesi, ha avuto, per tutta la vita, la fama di bolscevico bianco. Ma rifiutando decisamente tali schematizzazioni, ribadiva: «Radicali onesti e non socialisti, noi siamo e vogliamo essere»60.
58 Per meglio comprendere l’interclassismo di Nicoletti riporto alcuni brani di una sua lettera A favore dei borghesi, in «Il Lavoro» il 26 maggio 1906. Luigi Nicoletti scrive: «Fin dal suo nascere ho seguito con amore questo giornaletto di propaganda e sono rimasto sempre ammirato della parola alta e serena di giustizia che in esso risuona. Il crescere poi delle varie leghe, cooperative e Casse rurali dimostra chiaramente che le parole non cadono nel vuoto […]. Questo lavoro però a me sembra unilaterale, e qui lo sbaglio. Il borghese, nelle nostre parti, se ha ceduto a quanto delle classi operaie si è chiesto per il proprio miglioramento, è stato solo, perché spinto da necessità estrema e dal timore di vedere del tutto deserti i campi per l’emigrazione sempre crescente dei contadini […]. Siamo tuttavia giusti: se questi sono i sentimenti morali della nostra borghesia, è vero anche che la condizione economica di essa a molto misera […]. Ora se i democratici cristiani ammettono, contrariamente, ai socialisti, la distinzione di classe, sì che la loro benefica operosità deve essere spesa a vantaggio di tutti, non le sembra, signor direttore [si riferisce a De Cardona] che le loro cure devono essere rivolte anche a beneficio dei giusti interessi dei borghesi? Il miglioramento degli operai a me sembra, che dipenda direttamente da quello dei proprietari, dei quali inoltre bisogna rifare completamente l’animo […]».
59 F. cassiaNi, I contadini calabresi…, cit., p. 30.
60 «La Voce Cattolica», 2 giugno 1901
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GIORNALI DECARDONIANI ALLA CIVICA DI COSENZA (1898-1915)
La Voce Cattolica
primo numero: 17 maggio 1898 ultimo numero: 17 novembre 1906 (anno IX n. 27)
Nella Civica di Cosenza ci sono i seguenti numeri: Anno I (1898) nn. 1-20, 26, 28, 29 (mancano: 21-25, 27) Anno II (1899) nn. 1, 4-9, 11-13, 16-32, 34-42, 44-50 (mancano: 2-3, 10, 14-15, 33, 43)
Il Lavoro
primo numero: 1905 ultimo numero: 1913
Nella Civica di Cosenza ci sono i seguenti numeri: Anno I (1905) nn. 5, 8-14, 16-17, 19, 21 (mancano: 1-4, 6-7, 15, 16, 18, 20)
Anno II (1906) nn. 1-45
L’Unione
Anno III (1900) nn. 1-20, 22-26, 28-41, 4446 (mancano: 21, 27, 42-43)
Anno IV (1901) nn. 1-27, 29-49 (manca 28)
Anno V (1902) nn. 1, 2, 5-42 (mancano 3-4)
Anno VI (1905) nn. 1-9, 11-16, 18-36 (mancano 10, 17)
Anno VII (1904) nn. 1-20, 22-29, 31-44 (mancano 21, 30)
Anno VIII (1905) nn. 1-5, 7-31, 34-44 (mancano 6, 32-33)
Anno IX (1906) nn. 2-12, 14-21, 24-27 (mancano 1, 13, 22-23)
Anno III (1907) nn. 1, 2, 4, 29, 32-40 (mancano: 3, 5-28, 30-31)
Anno IV (1908) nn. 1, 3, 15, 18-34 (mancano: 2, 4-14, 16-17)
primo numero: 3 gennaio 1910 ultimo numero: 25 ottobre 1913. Nella Civica di Cosenza ci sono i seguenti numeri: Anno I (1910) nn. 1-19, 22-27, 29-34 (mancano: 20-21, 28)
Anno II (1911) nn. 1-2, 11, 22-34 (mancano: 3-10, 12-21) Anno III (1912) nn. 1-31, 33-40 (manca: 32) Anno IV (1913) nn. 1-5, 7-32 (manca: 6)
Anno V (1909) nn. 1-2, 4-6 (mancano: 3, 7-...) Anno VI (1912) nn. 1-37 Anno VIII (1913) nn. 1-25
«Unione-Lavoro»
primo numero: 1914 ultimo numero: 1915
Nella Civica di Cosenza ci sono i seguenti numeri: Anno I (1914) nn. 1-34, 36-46 (manca 35) Anno II (1915) nn. 1-17
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DOMENICO MANTELLO
STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915
caPitolo terzo STAMPA CATTOLICA A COSENZA
La Voce Cattolica
Gli inizi dell’attività politica, sociale e religiosa di De Cardona, coincidono con la nascita a Cosenza del settimanale diocesano: La Voce Cattolica . In un clima di particolare tensione politica e sociale, la fondazione del periodico, il primo stampato da cattolici della Calabria Citeriore, diviene il «simbolo della nuova realtà religiosa, sociale e politica»1. Il giornale esce con un compito preciso:
«Da anni si desiderava nella nostra diocesi un giornale che rispecchiasse i puri sentimenti cristiani, curasse l’educazione religiosa delle famiglie, specialmente nella classe operaia, secondasse le idee del Santo Padre, incoraggiando e promuovendo il Movimento cattolico […]. Inflessibili nella difesa dei principi e delle idee, saremo sempre rispettosi delle persone che professano principi contrari ai nostri, non perdendo mai di vista essere obbligo di un giornale persuadere e attirare l’animo degli avversari […]. Non provocheremo, quindi, sterili polemiche. Che, se alle polemiche fossimo noi provocati e trascinati, speriamo non dimenticar di essere cristiani e galantuomini»2
Si tratta di un giornalismo con tendenze ideologiche e di battaglia che sovrastavano di gran lunga i fini puramente informativi. Nel primo numero, di domenica 17 maggio 1898, celebrandosi la data del 15 maggio, anniversario della Rerum novarum, si affermava: «È tempo ormai che ogni cattolico sincero e vero italiano non si tenga in disparte dal nuovo movimento popolare dalla Chiesa iniziato e caldeggiato»3.
I problemi sociali ed economici, nei primi numeri, sono appena adombrati; la polemica è di natura religiosa e morale, le indicazioni di significato sociale sono ancora paternalistiche. Numerosi gli inviti rivolti alla partecipazione e all’impegno sociale e che miravano a scuotere l’apatia e l’assenteismo gravanti sulle popolazioni e sul clero cosentino. Redatti in forma puramente polemica, gli articoli si risolvevano, il più delle volte, in decisi o duri attacchi al liberalismo in difesa dei valori cristiani e religiosi.
«Finché i cattolici non si persuaderanno del dovere sacro della lotta aperta senza quartiere, il liberalismo continuerà nel brutto gioco e in nome
1 F. cassiaNi, I contadini calabresi…, cit., p. 36.
2 Il nostro programma, in «La Voce Cattolica», 17 maggio 1898.
3 «La Voce Cattolica», 17 maggio 1898.
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della politica distruggerà ogni avanzo di fede che resta nelle nostre contrade»4.
Contro il liberalismo, si legge nel primo numero: «Il liberalismo facendo guerra spietata alla Chiesa, è venuto man mano corrompendo le istituzioni che sono i capisaldi della Chiesa Cattolica [… con le] esagerazioni declamatorie della libertà individuale»5.
Anche il socialismo, trova – per i redattori de La Voce – la sua ragion d’essere, il suo fondamento nel liberalismo: «Oh questa è bella! I liberali vogliono combattere i socialisti rimanendo liberali. Essa è la più spiattellata delle contraddizioni, perché i liberali sono coloro che con i loro falsi principi hanno creato i socialisti e che continuamente li fomentano con il loro perverso agire […]. Che il socialismo derivi dal liberalismo, riesce ancora più chiaro, qualora si riflette alla teoria del lavoro. Infatti chi accetta la teoria socialista del valore, secondo la quale ogni valore commerciale è solo prodotto dal lavoro, non può in verun modo approvare l’attuale sistema di guadagni e di rendita, in cui il lavoratore esce a mani vuote, e dovrà, per conseguenza, gettarsi in braccio del socialismo»6.
La polemica degli intransigenti di Cosenza contro il Governo si identifica in un attacco al laicismo anticlericale e antireligioso: «Non regna più nella scuola, dalla quale si è esclusa ogni traccia di religione»7.
Sempre sull’educazione e istruzione dei giovani, leggiamo in un numero de La Voce : «L’educazione laica è senza Dio e fomentatrice di delitti. L’on. Cremona (ministro della Pubblica istruzione) […] guardi dalle statistiche i delitti commessi dai giovanetti in tenera età». Il capitalismo era paragonato a una «formidabile piovra, senza visceri di pietà, avido di solo sangue dei poveri»8.
Non si risparmiamo critiche a quei cattolici (ed erano molti) indifferenti, che utilizzavano la religione per fini puramente utilitaristici.
«Costoro, diciamolo francamente, professano la religione non perché imposta dal dovere, si bene perché soddisfa alle innate esigenze del cuore umano e talvolta perché serve di coperchio alle scelleraggini o di passaporto presso gli ingenui. Or di questa gente non bisogna curarsi né punto né poco»9
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«La Voce Cattolica», 5 settembre 1898.
5 «La Voce Cattolica», 17 maggio 1898.
6 Socialismo figlio del liberalismo, in «La Voce Cattolica», 12 giugno 1898. Sull’argomento, cfr. G. De rosa, Giuseppe Sacchetti e la pietà veneta, Roma, Studium, 1968, p. 120.
7
«La Voce Cattolica», 19 giugno 1898.
8
«La Voce Cattolica», 13 agosto 1899.
9 «La Voce Cattolica», 12 settembre 1898.
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DOMENICO MANTELLO
STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
A Cosenza, in questo periodo, opera un circolo culturale studentesco “A. Manzoni”, che aderisce all’Opera dei Congressi; si trattava di un circolo la cui preoccupazione principale era «moralistica e religiosa».
Nel luglio 1898, si costituisce il Circolo catechistico di giovani operai sotto il patronato di San Giuseppe 10. Sono associazioni assai fragili e quando arrivano le circolari contro i Comitati cattolici che «sotto i nobilissimi propositi della redenzione morale delle plebi, mirano a conquistare i pubblici poteri»11, si sciolgono come neve al sole, preferendo rinchiudersi in una quasi totale inattività, per timore della giustizia. La caduta, poi, del Governo di Rudinì il 26 giugno 1898, è motivo di ironiche battute:
«I circoli sovversivi cioè i Comitati parrocchiali e diocesani sono stati sciolti; le associazioni a delinquere, cioè le società cattoliche di mutuo soccorso, sono state distrutte […]. Il primo a guadagnarvi avrebbe dovuto essere il marchese Di Rudinì, il salvatore della patria e delle istituzioni. Ma cosa strana, mentre forse si aspettava per queste sue prodezze il plauso dei contemporanei […] ecco che egli, il quale era rimasto in piedi pure in mezzo a mille contrasti, cade ora definitivamente»12.
La lieta notizia è anche motivo di speranza per le giovani e sparute organizzazioni cattoliche cosentine:
«Coraggio, dunque, o fratelli, e avanti! La bufera è passata: ricomponiamo le nostre fila, meno numerose sì, ma più forti; e continuiamo nella lotta legale, fatta esclusivamente con mezzi consentiti dalle leggi, ma costante, assidua e tenace»13.
I primi sei mesi di vita del settimanale, fino a quando, nel dicembre 1898, De Cardona non ne assumerà direttamente la direzione, sono impregnati di polemica ideologica priva di «un sia pure abbozzato ideale di vita sociale e politico»14. Da questo momento il giornale assume un’intonazione più popolare, direttamente rivolta all’analisi e alla soluzione dei pressanti problemi economici locali. Con un linguaggio anche meno ricercato e retorico, abbandonando l’atteggiamento moralistico e paternalistico, dedica ampio spazio al mondo del lavoro.
In un articolo, dei primi numeri del 1899, è affrontato, senza reticenze, il problema sulle condizioni dei lavoratori minorenni:
10
F. cassiaNi, I contadini calabresi…, cit., p. 39.
11 «La Voce Cattolica», 3 luglio 1898.
12 Tiriamo le somme, in «La Voce Cattolica», 9 luglio 1898.
13 Ibidem.
14 A. Guarasci, Carlo De Cardona e il Movimento cattolico a Cosenza (1898-1906), in Scritti storici, Cosenza, Amministrazione provinciale, 1960.
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«La tratta dei piccoli italiani; alcuni genitori vendono la vita dei propri figli agli impresari francesi per poche lire. Questi fanciulli restano in balia di ingordi speculatori che ne sfruttano spietatamente il lavoro e la vita stessa»15.
Nello stesso numero appare, per la prima volta, una nuova rubrica intitolata La domenica del popolo, in cui Demofilo (pseudonimo di De Cardona) lanciava il grido: «Operai, unitevi! È questo il grido che mezzo secolo dietro, il patriarca del socialismo […] Carlo Marx, lanciava nel mondo. È questo il grido o meglio la parola d’ordine che parte dal campo cattolico […]. Contro i mali presenti tra cui grandeggia la miseria e la corruzione, voi, operai, non avete altre difese, altro scampo, che unirvi in forte compagine, affratellarvi nell’intento di sostenere i comuni interessi»16.
Il testo mostra pur nei suoi accenti manifestamente retorici, quali potevano essere gli intenti di De Cardona; indispensabile ricerca dell’unione degli operai e degli indifesi, lontana da ogni compromesso paternalistico. In questo modo De Cardona si distaccava da quella linea intransigente e conservatrice operante all’interno dell’Opera dei Congressi e che aveva nel presidente Paganuzzi il suo più autorevole rappresentante.
Come Paganuzzi, De Cardona non si sottrae al divieto imposto dalla Chiesa ai cattolici di partecipare alle elezioni politiche (non expedit ); c’è in entrambi l’avversione agli abusi del liberalismo anticlericale e antireligioso, quando però, dopo il XVI Congresso dell’Opera (Ferrara, 18 aprile 1899) i contrasti tra i vecchi intransigenti alla Paganuzzi e i giovani seguaci di Romolo Murri incominciarono a farsi più aspri e duri, De Cardona non ha più dubbi. Con l’invito rivolto agli operai, ai contadini a organizzarsi, a fare da sé mostra chiaramente di non accettare quella «diffidenza del Paganuzzi perfino verso il nome di democrazia cristiana »17
La posizione di De Cardona, in questo periodo, si avvicina a quella di Murri e, non a quella di «coloro che sentivano la questione contadina
15 La tratta dei piccoli italiani, in «La Voce Cattolica», 22 gennaio 1899.
16 Operai, unitevi!, in ibidem.
17 Sulla posizione di Giovanni Battista Paganuzzi in merito alla questione sociale scrive Gabriele De Rosa: «I rapporti fra le classi sociali erano fondati, per Paganuzzi e in genere per gli intransigenti, sulle virtù del cristiano, che aveva nel magistero ecclesiastico ogni sicurezza obiettiva. La rassegnazione raccomandata all’operaio, la concordia invocata nei conflitti del lavoro, obbligo della carità nel padrone il dovere della beneficienza […]. Ammettere il criterio sindacalistico sarebbe stato un errore perché avrebbe significato introdurre il principio che l’operaio, il povero, il diseredato potessero fare da sé, primo passo verso la negazione della religione come fondamento di tutta la vita civile» (cfr. G. De rosa, Il Movimento cattolico in Italia. Dalla restaurazione all’età giolittiana, Bari, Laterza, 1966, p. 182).
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in termini beneficiali, assistenziali, paternalistici, come Sacchetti e Sassoli Tomba…»18
Un gruppo di giornalisti cattolici, come Bernardino Lupi, Roberto Cardamone, Giovanni Sensi, si viene formando attraverso l’esperienza de La Voce Cattolica. Il problema dei rapporti con i socialisti19, che costituivano nella provincia di Cosenza un «movimento superficiale ed effimero ristretto a pochi centri e a pochi giovani della borghesia»20, parte senz’altro dalla polemica ideologica, ma se ne ricercano i motivi di contatto. Socialisti e democratici cristiani cosentini, nascono e conquistano le masse apolitiche per la loro posizione critica nei confronti dello Stato liberale:
«Non neghiamo che democratici cristiani e socialisti, almeno nell’attuale momento storico, si trovino d’accordo in qualche cosa, d’accordo in questo: nel riconoscere le tristi condizioni del proletariato industriale […]. E per ora tutto il nostro radicalismo bianco è qui: educare e organizzare il popolo»21
Ciò che i redattori de La Voce Cattolica combattevano aspramente, attraverso le pagine del loro giornale, era il fondamento ateo delle dottrine marxiste, ma questo rifiuto non mirava al rigetto totale della prospettiva socialista. Molto più intransingente era la posizione dei cattolici cosentini nei confronti della massoneria.
Nessun compromesso o dialogo fu possibile fra i due schieramenti: «È innegabile che lo Stato laico, la legislazione atea, le scuole senza religione, il matrimonio civile, le persecuzioni contro il clero, quanto altro è elemento della cosidetta terza civiltà, sono emanazioni di quelle fucine del diavolo che si chiamano logge, anzi, se ci permettete, la franchezza lo spirito massonico è penetrato nelle chiese, nelle pratiche religiose, nelle cose più sante. Il nostro programma si compendia in questo dilemma: o Cristo o la frammassoneria »22
Non mancano appelli a un più fattivo impegno dei cattolici nel campo del lavoro e a organizzarsi secondo le direttive dell’Opera dei Congressi: «In Italia il partito clericale è ancora in fasce, l’Azione cattolica è lenta,
18 G. De rosa, Il Movimento cattolico in cento anni…, cit., p. 48.
19 Il primo congresso dei socialisti calabresi si tenne a Palmi, nel marzo 1896; in quello del 1897, svoltosi a Catanzaro, intervenne Andrea Costa. Tra gli esponenti di maggior spicco del socialismo cosentino figurano: Pasquale Rossi, di tendenza riformista e Pietro Mancini.
20 G. masi, Il movimento socialista a Cosenza, in «Historica», a. XXIII (1970), n. 1, pp. 5-6.
21 Radicali onesti, in «La Voce Cattolica», 2 giugno 1901.
22 O Cristo o la frammassoneria, in «La Voce Cattolica», 12 novembre 1899.
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mentre nella nostra regione è pressappoco lettera morta»23. L’impegno di De Cardona giornalista e direttore de La Voce è rivolto, soprattutto, a infrangere il muro di silenzio che gravava sull’enciclica leoniana Rerum novarum 24. E a buon ragione poteva affermare: «Qui, dalle nostre parti, queste idee, si ha ogni cura di tenerle sotto il moggio del silenzio»25.
La stessa lamentela la troviamo in don Sturzo, che scriveva: «Al 1891, quando uscì l’enciclica Rerum novarum, la Sicilia, a parlar di noi, non si mosse, non se ne accorse, per cui anche oggi, per somma vergogna, molti cattolici non conoscono quel prezioso documento»26
Palesi erano le responsabilità del clero e di alcuni vescovi a «impedire il tanto auspicato rinnovamento sociale»27. A nulla serviva in queste condizioni rivolgersi al prete. Scriveva De Cardona:
«Il prete meridionale adesso sarà piuttosto colto in teologia e in letteratura, esatto nell’adempimento delle funzioni ecclesiastiche e nell’adempimento degli ecclesiastici precetti, capace di destare entusiasmo e ammirazione ai suoi brillanti discorsi; ma è troppo legato agli interessi domestici e a quelli di campanile, troppo amante della quiete, troppo sprovvisto di studi e di esperienza di materia sociale per poter essere l’arringo del popolo»28.
Espressioni che riecheggiano quelle di uno dei più attivi vescovi meridionali, mons. Nicola Monterisi29. Né tanto meno ci si poteva rivolgere al laicato, troppo occupato e legato al clientelismo politico e restìo a occuparsi di organizzazione sociale:
23
24
«La Voce Cattolica», 14 marzo 1899.
A Roma, Carlo De Cardona, studente alla Gregoriana, aveva seguito le lezioni di Sociologia cristiana tenute da Matteo Liberatore, l’estensore del primo schema della Rerum novarum; sul gesuita padre Liberatore, cfr. G. De rosa, Il Movimento cattolico in Italia…, cit., pp. 151-154.
25
26
«La Voce Cattolica», 20 maggio 1900.
L. Sturzo, Che pauraccia, in «La Croce di Costantino», 20 gennaio 1901, citato in G. De rosa, Il Movimento cattolico in Italia…, cit., p. 242.
27
28
F. cassiaNi, I contadini calabresi…, cit., p. 39.
L’Azione cattolica nel Mezzogiorno, in «La Voce Cattolica», 28 ottobre 1900.
29 Nicola Monterisi (1867-1944) ordinato sacerdote nel 1893 si laureò all’Università Pontificia Gregoriana nel 1895; vescovo di Monopoli (1913), nel 1920 fu nominato arcivescovo di Chieti e nel 1929 arcivescovo di Salerno. Scriveva Monterisi: «Qui la parte sana del clero che dovrebbe essere l’anima di certe opere non è all’altezza di tale missione, in generale dico, e senza parlare della parte poco sana (minima in verità), che si opporrebbe. C’è ancora troppo vecchiume! Troppa bonarietà! Troppa ignoranza! Dall’altra parte il popolo non si presta per esempio ad associazioni politiche, perché ignorante e rozzo; a Casse rurali e cose simili, perché ormai sospettoso e poca fiducia ha nel prete (purtroppo!)» (N. moNterisi, Pensieri ed appunti, citato in G. De rosa, Vescovi, popolo a magia nel Sud, Napoli, Guida, 1971, p. 224).
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«Ma chi prepara il terreno e chi vi getterà il seme nel Mezzogiorno d’Italia, i laici cattolici? Io non so se esistano veramente cattolici di un pezzo: tra noi chi confonde il cattolicesimo col legittimismo, chi lo vuole legato alla Monarchia, chi alla Repubblica, chi non lo brama disgiunto dai suoi materiali interessi, chi lo considera degno solo della sua coscienza privata […]. Il vero laico cattolico apostolico papale, o meglio cattolico senza epiteti, credo sia un caso molto peculiare nel Mezzogiorno. Dunque dal laico non si può sperare questa opera di rinnovamento»30
Come Monterisi e Sturzo31, De Cardona sosteneva che la crisi dell’Azione cattolica nel Mezzogiorno era da addebitarsi in primo luogo, alla mancanza di un clero preparato non solo teologicamente, ma anche socialmente. Senza rinnovamento religioso ogni attività economica e sociale era destinata al fallimento. Ma tale stato di cose non doveva, secondo De Cardona spingere alla rassegnazione anche se appariva, qua e là, nei suoi articoli il tradizionale fatalismo dell’anima meridionale:
«È un pezzo che stiamo parlando di Democrazia cristiana, ma i frutti della nostra parola dove sono, dove le opere che incarnano e giustificano le idee? Che abbiamo noi fatto per l’organizzazione delle forze latenti nelle coscienze del popolo?»32
Mancanza di coscienza politica, sociale e religiosa che si rifletteva in modo palese sulle tristi condizioni economiche dei lavoratori.
Il Lavoro
Si tratta del primo periodico dei lavoratori della provincia di Cosenza; un giornale, come sostiene Cassiani «non cattolico, ma dei soli lavoratori»33. Le quattro paginette a due colonne erano completamente dedicate ai problemi del lavoro ed esprimevano la voce viva della Calabria, quella dei contadini, degli operai, degli artigiani.
In una regione particolargente depressa, la battaglia giornalistica de Il Lavoro , mirava soprattutto alla soluzione dei problemi socio-economici:
30 «La Voce Cattolica», 28 ottobre 1900.
31 Luigi Sturzo così descriveva il clero meridionale: «Da noi il prete, nella concezione generale umana della famiglia, è considerato come colui che ha il compito di sostenere il parentado in tutti i suoi bisogni materiali […]. Questa posizione morale del prete in famiglia determina la sua attività cittadina, la sua adesione a partiti locali amministrativi e politici […]. L’attività sacerdotale viene circoscritta da termini insuperabili e le considerazioni di prudenza umana tolgono l’energia del bene, impediscono la difesa degli umili e dei deboli», L. Sturzo, Per mons. Lualdi. Riforma, in «L’Unione», 15 gennaio 1906.
32 «La Voce Cattolica», 28 ottobre 1900.
33 F. cassiaNi, I contadini calabresi…, cit., p. 72.
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«Sicurezza del pane quotidiano, per sé e per la famiglia, alloggio conveniente per sé e per la famiglia, possibilità di premunirsi contro la vecchiaia e gli infortuni, tempo e mezzi sufficienti all’educazione morale e civile e la possibilità di vivere i problemi familiari»34.
In un editoriale contro il padronato agrario e urbano si affermava:
«I contadini sparsi nelle vallate malariche, gli operai agglomerati nelle grandi e piccole officine, i fanciulli, le donne del popolo, lavorano, lavorano il giorno e gran parte della notte, lavorano sfidando la malaria che avvelena il sangue, sostenendo le intemperie, la solitudine, lo sfiorire precoce, il dispendio della giovinezza, – tutta questa gente lavora – ma perché essa nel lavoro assiduo, non deve trovare la forza del canto, l’onesta gioia della vita? Perché? Perché nel mondo umano, vicino all’uomo che lavora c’è l’uomo che non lavora e che vuol vivere, lautamente, codardamente sul lavoro altrui»35.
Gli stessi temi e le stesse denunce saranno ripresi nell’editoriale dedicato al 1° maggio 1906: «I lavoratori, e specialmente i piccoli lavoratori, i lavoratori meno abili e più ignoranti, le donne lavoratrici, sono lasciati in abbandono, con una vita piena di miseria, senza difesa contro l’ingordigia, la malafede, le frodi degli appaltatori, dei capi bottega, di tutti quelli, e sono tanti ancora, che credono di poter campare sul lavoro altrui»36
Per De Cardona, le cause della degenerazione sociale ed economica del Mezzogiorno non potevano addebitarsi esclusivamente, alla diversa crescita industriale del paese, ma vanno ricercate, soprattutto, nelle sperequazioni economiche e sociali locali37 Sgradito all’alto clero per le sue scelte di fondo, il giornale non ebbe vita facile; subì brevi sospensioni nel 1908 e nel 1909 e una più lunga nel 1911. Se non vi fu un’opposizione aperta, c’era però un lavoro sotterraneo, fatto di mezze parole, di illazioni, di sussurri, tendenti a frenare l’azione e l’attivismo del prete «troppo rivoluzionario per i tempi».
34
La bilancia, in «Il Lavoro», 6 marzo 1905.
35 Primo Maggio, in «Il Lavoro», 1° maggio 1905.
36 La festa del lavoro, in «Il Lavoro», 28 aprile 1906.
37 Nell’articolo Democrazia e cristianesimo, in «Il Lavoro», 10 marzo 1906, si legge: «I borghesi e i padroni – conservatori o socialisti – non ci perdonano mai un solo peccato: il peccato di aver parlato con linguaggio franco le parole della giustizia e della libertà civile, e di avere quasi costretto il popolo – questo inesperto e ruvido fanciullo – a organizzarsi seriamente per un ideale di giustizia sociale e di fraternità cristiana […]. No, non piace un popolo che si muove, che si agita che vive civilmente e cristianamente, nei limiti di quelle leggi, che dicono uguali per tutta la democrazia, che è vita possente di popolo […] non piace ai signori che vogliono il popolo asino – sia pure asino ben pasciuto e indorato – ma asino».
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De Cardona, presagendo le future controversie, scriveva:
«Una pallida nebbia di maldicenze, di calunniette, di dicerie si va diffondendo intorno alle idee e alle opere della Democrazia cristiana. Naturalmente la nebbia ci dà fastidio, ci fa anche male perché nebbia che sale dai pantani. Però essa non uccide né le idee, né le opere nostre […]. Chi difende i poveri contro le oppressioni, chi lotta per la giustizia, non può essere perditore»38.
Il Lavoro ebbe la sua vita ricca di insegnamenti e di iniziative dal 1905 al 1912. Nel 1914, il blocco borghese, in seno al Movimento cattolico cosentino riuscì a ottenere la fusione de Il Lavoro con L’Unione (altro giornale cattolico cosentino) e così nasce Unione-Lavoro, che ha vita per soli due anni: 1914 e 1915. Lo scopo di questa fusione era evidente; controllare il foglio sindacalista cristiano, legandolo allo stesso destino del foglio curiale. Non era più il tempo del pastore generoso e aperto alle nuove idee, Camillo Sorgente; il nuovo arcivescovo Tommaso Trussoni aveva fatto proprie le timidezze, le paure e le gelosie che barattate con la solita prudenza non servivano certamente a risollevare economicamente e socialmente i deboli e gli indifesi. Ecco come De Cardona chiarisce la sua posizione e quella del giornale:
«L’Unione che era seguito a La Voce, è il giornale curiale, Il Lavoro è il giornale dei lavoratori […]. Un gruppo di persone che sta sempre in mezzo alla povera gente che lavora e suda nelle campagne e nelle officine, sente il dovere e il bisogno di dire a questa povera gente, ogni settimana, una parola semplice, chiara, facile, una parola nell’orecchio e nell’anima dei contadini, degli artieri e dei poveri»39
38 Noi passeremo, in «Il Lavoro», 26 agosto 1906.
39 Il lavoro. La verità. Gli operai, in «Il Lavoro», 3 marzo 1912.
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L’Unione
Il giornale nasce per reagire al blocco anticlericale locale, sostenuto a Cosenza da due periodici, Fra’ Nicola e Parola repubblicana 40, ma soprattutto per difendere e portare avanti l’impegno politico-amministrativo dei gruppi cattolici cosentini. Dai numeri conservati presso la Biblioteca Civica di Cosenza appare evidente che L’Unione non ha il carattere protestatario dei primi numeri de La Voce Cattolica, dalla quale ha ereditato la vasta e aperta discussione sui temi sociali ed economici; più risonanza è data alle informazioni di carattere politico.
Unione - Lavoro
Il settimanale continua, idealmente, per i problemi trattati e per le sue finalità, la battaglia giornalistica de La Voce Cattolica e de L’Unione. L’ispiratore del settimanale è Carlo De Cardona anche se il suo nome campare solo nel numero del 17 ottobre 1914. A parte le polemiche ideologiche, l’analisi della redazione dell’Unione-Lavoro , è rivolta, soprattutto, alla piaga del clientelismo elettoralistico.
Troviamo un articolo di particolare interesse dedicato allo stato delle Casse rurali, che a differenza dei grandi istituti di credito: «Non hanno risentito degli effetti commerciali della guerra […] e hanno continuato ad essere sorrette dalla fiducia essendo state fondate nello spirito di associazione più che sul meccanismo e sulla tecnica degli affari»41.
Altrettanto interessante è un articolo di fondo nel quale viene stigmatizzato l’atteggiamento equivoco dei repubblicani, socialisti, radicali e massoni, i quali chiamano la guerra «scellerata, borbonica, detestabile, ma intanto vogliono a forza che l’Italia faccia guerra»42.
L’eco della dichiarazione di guerra la si coglie in un fondo del settimanale in cui la direzione dichiara di non essere né tra i felici, né tra i soddisfatti, perché tali non si può essere «al pensiero che il miglior fiore della gioventù italiana sta per entrare nel vortice immenso della distruzione»43; il settimanale più della stessa Voce, risente l’influenza della gerarchia ecclesiastica locale.
40 Sui giornali cosentini dei primi del Novecento, cfr. M. FrazziNGaro, La stampa a Cosenza nell’età giolittiana [s.l.], Martinelli, 1975.
41 «Unione-Lavoro», 19 settembre 1914.
42 Ricordatevene, in «Unione-Lavoro», 7 novembre 1914
43
«Unione-Lavoro», 10 maggio 1915.
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STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
caPitolo Quarto IMPEGNO POLITICO
L’esperienza democratico-cristiana a Cosenza
L’adesione di De Cardona e del Movimento cattolico cosentino alle tesi di Romolo Murri e della Democrazia cristiana, presenta lineamenti originali. In mezzo all’inerzia generale del Movimento cattolico calabrese: «Conservatore per volontà dell’episcopato e non certo per convinzione […] estraneo al dibattito e alle polemiche tra cattolici intransingenti e democratici cristiani in seno all’Opera dei congressi»1, solo le organizzazioni cattoliche cosentine rappresentano una sorprendente novità, inserendosi attivamente nel dibattito allora in corso a livello nazionale.
L’adesione non nasce da una recezione passiva di un programma ben determinato, ma da una meditata analisi critica sullo stesso concetto di democrazia. Sosteneva De Cardona:
«Per noi (la democrazia) non vuole essere un semplice moto di idee e di fatti nel campo economico, ma tutto un radicale rinnovamento nelle coscienze, nell’economia, nella civiltà, secondo lo spirito del cristianesimo»2
E in uno scritto di pochi mesi prima, scriveva: «Essa (la democrazia) deve importare un vero e integrale rinnovamento di tutto nello spirito del cristianesimo»3. Ma cosa fare e come dovevano comportarsi i democratici cristiani, la risposta dacardoniana al quesito è chiara e decisa: «I democratici cristiani devono essere degli studiosi dalle vedute larghe, degli osservatori sagaci, degli intellettuali ben orientati in mezzo alle correnti del pensiero moderno». E fare della Democrazia cristiana «un’accademia senza vita equivale a snaturarla del suo più alto contenuto morale e sociale»4. L’impegno dei democratici cristiani, non si risolve, secondo De Cardona, nella semplice acquisizione di certe conoscenze o nel puro addestramento propagandistico, ma nel contatto immediato coi bisognosi, con i sofferenti, col mondo del lavoro, attraverso la circolazione delle idee e della cultura.
E a proposito del concetto di democrazia: «Caro don Romolo, quale fuoco e quale sincerità in quei democratici cristiani, e per disgrazia non sono pochi, che ancora non hanno impa-
1 P. Borzomati, Aspetti religiosi e storia…, cit., p. 271.
2 Pagine religiose, in «La Voce Cattolica», 22 aprile 1902.
3 «La Voce Cattolica», 16 ottobre 1901.
4 Ibidem.
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rato dai nostri santi l’umiltà di scendere in mezzo ai piccoli, di vivere nell’ambiente caldo delle anime popolari, di farsi, tra gli operai uno di loro. Non basta stringere la mano incallita del lavoratore e recitargli un predicozzo che non capisce: questo lo facevano i liberali del 1860 e lo fanno tutti i candidati al Parlamento […]. Chi non ha cuore e anima popolare, esca dalle nostre file: egli è già invecchiato nelle vanità aristocratiche e nel pettegolezzo mondano. E purtroppo, non pochi di questi vecchi, giovani per il belletto moderno dovrebbero uscire dal nostro campo…»5.
Sono dure annotazioni che si ripetono più volte nei suoi scritti; le scelte di De Cardona sono motivate dalla profonda ricerca di un immediato contatto con le masse lavoratrici, nella speranza di vedere sostituita alla tirannia e al servaggio una maggiore giustizia sociale.
Non a caso l’arresto di don Davide Albertario, il 24 maggio 1898 6, ampiamente riportato nelle pagine de La Voce Cattolica (ogni numero del 1898, tiene informati i cattolici cosentini sulle condizioni del sacerdote prigioniero, dà notizia di sue lettere, ecc.), determina un’adesione sincera e aperta alle tesi democratiche cristiane contro il «laicismo che fa arrestare chi è amico dei lavoratori».
Il XVIII Congresso cattolico, tenutosi a Taranto nel 1901, rappresentò per De Cardona l’occasione tanto attesa per inserire il suo movimento nel dibattito nazionale e la speranza di rompere l’isolamento della sua posizione avanzata in Calabria 7 . Scriveva:
«Ai pochissimi democratici cristiani poi, di questa regione, l’umile e fervida preghiera di non mancare al Congresso, a qualunque costo. A
5 Ai nostri amici. Buoni, studiosi, popolari, in «La Voce Cattolica», 16 ottobre 1901.
6 Davide Albertario, nato a Filighera (Pavia) il 16 febbraio 1846, morì a Carenno (Bergamo) il 12 settembre 1902. Sacerdote di ardente fede e polemista impetuoso si distinse per la sua posizione intransigente contro il liberalismo cattolico. Il suo nome e la sua attività sono legati a L’Osservatore Cattolico, quotidiano milanese del quale fu direttore. Dopo i fatti del 1898, Albertario fu arrestato a condannato dalla Corte marziale a tre anni di reclusione; con l’amnistia, dopo un anno di carcere, tornò all’usato lavoro.
7 Tra i vescovi calabresi, solo mons. Orazio Mazzella, arcivescovo di Rossano si schierò con l’ala democratica cristiana murriana (cfr. M. Mariotti, Vescovi e laici in Calabria, Padova, Antenore, 1969, pp. 294-295). La Voce Cattolica, a proposito di un suo intervento al Congresso di Taranto riferiva: «Mons. Mazzella nota, con tutta franchezza, che nel Mezzogiorno d’Italia non mancano slanci, opere, iniziative di individui isolati: le masse sono indifferenti od ostili al nuovo ordine di idee, all’apostolato del nuovo Vangelo, e perciò da noi manca una vera e propria iniziativa di Azione cattolica […]. Giunge a constatare, che la causa precipua dello stato di cose da lui tratteggiato, è nel difetto di una cultura religiosa e sociale proporzionata ai nuovi tempi», Il Congresso di Taranto (Impressioni e notizie), in «La Voce Cattolica», 12 settembre 1901.
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STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
Taranto, ci daremo a voce la prima intesa per un convegno democratico cristiano da tenersi nella nostra provincia, possibilmente nel prossimo inverno»8
Non tutti i cattolici calabresi si schierarono a favore del movimento democratico cristiano:
«In una delle adunanze intervenne e volle interloquire Romolo Murri, che trovavasi nella tribuna stampa, ma un chiasso con forti urla da parte di noi calabresi, tutti riuniti nel vestibolo della chiesa [lo] fece scappare»9.
Lo storico Pietro Borzomati riconosce:
«Solo a Cosenza gli organizzatori dei circoli giovanili e delle opere a carattere economico sociale dimostrarono una preparazione sociale; sostenevano ad esempio sul loro organo la tesi di Romolo Murri»10.
De Cardona era legato da cordiale e rispettosa amicizia a don Romolo11, del quale condivideva interamente il pensiero, adeguandolo però, alla situazione ambientale calabrese, e particolarmente a quella cosentina, dove in seno al clero e fra i cattolici non pochi erano coloro che restavano ancora su posizioni estremamente moderate, pavidi e rinunciatari per natura e, che egli, riecheggiando il linguaggio di don Albertario chiamava refrattari, annacquati e schifiltosi.
8 «La Voce Cattolica», 13 agosto 1901.
9 R. VilarDi, I miei ottanta anni. Ricordi personali. Autobiografia dialogata, Polistena, Pascale, 1949.
10 P. Borzomati, Aspetti religiosi e storia…, cit., p. 281.
11 In occasione di un comizio che Romolo Murri tenne a Cosenza su invito dei socialisti, De Cardona scriveva su L’Unione del 1° gennaio 1910: «La presenza di don Romolo, qui, nella nostra città, dove da anni combattiamo, non ci lascia indifferenti; ci desta anzi nell’animo ricordi e dolori vivissimi e soprattutto ci muove, ci costringe quasi, per il nostro pensiero […]. È storia che ai tempi di Leone XIII, quando la Democrazia cristiana era alle prime armi […] il sacerdote Murri aggrediva i vecchi, come allora si chiamavano, scrollava i campanili… di Venezia, metteva in subbuglio il campo cattolico […]. E i giovani, bisognosi di un ideale per vivere, e chi scrive queste note, amavano il prete ardito, il polemista pronto e forte, l’alfiere di un programma di rinnovamento religioso e civile, in nome del Vangelo e nei limiti precisi segnati dall’autorità della Chiesa […]. Questo prete, oggi, non è più con Roma, cosa dolorosa se lo fosse semplicemente nella forma comune, di prete rinnegato che butta la veste talare alle ortiche e si abbandona alla corrente delle sue passioni; don Romolo invece pretende di essere contro di Roma, rimanendo prete, almeno nell’abito esterno, che si ostina a portare in giro […]. Forse per dire al pubblico… vedete, sono una povera vittima del Vaticano! e risvegliare così negli animi i più riposti istinti anticlericali? Oppure, quella veste ti fa comodo ancora per quella… originalità di forme che è stata il tuo comportamento. E qui facciamo punto poiché l’argomento è troppo doloroso, e troppo abbiamo amato l’ideale per rimanere sereni, innanzi allo spettacolo di chi quell’ideale santo di bene, traduce malamente in farsa da Pulcinella napoletano».
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Quando nel febbraio 1902 apparvero le Istruzioni pontificie, che privavano di ogni autonomia il movimento, inquadrandolo d’autorità nell’organizzazione del secondo gruppo dell’Opera, quello economico-sociale 12, la polemica con De Cardona, sostenitore a Cosenza delle tesi murriane, si fa più acuta. Ma egli, mostrandosi solidale con Murri, scrive: «Appunto, l’altro ieri, un eminente personaggio, un insegne cultore di discipline filosofiche, ignorando la nostra forte simpatia per il grande amico don Romolo Murri, ci ammoniva paternamente di tenerci bene in guardia contro il naturalismo di certi giovani della cosiddetta Democrazia cristiana»13.
Esperienze elettorali e amministrative
Nell’aprile 1904, Carlo De Cardona riuscì a mandare, per la prima volta, un gruppo di cattolici nel Consiglio comunale di Cosenza. Le motivazioni di questa scelta erano abbastanza chiare: inserite direttamente i cattolici nel dibattito politico locale. De Cardona, a proposito della partecipazione dei cattolici alla vita politica, aveva sottolineato:
«Il ripetere sempre, che la religione nulla ha a che vedere con la politica e che i cattolici non debbono badare alle faccende dello Stato in riguardo alla Chiesa è un metodo che nasconde male la paura e anche quel po’ di liberalismo che si è infiltrato segretamente nelle ossa. È un metodo eccezionalmente propizio ai nostri avversari, i quali nulla meglio desiderano che mantenere i cattolici con la testa nel sacco, per avere l’agio di bastonarli allegramente»14
La scelta di De Cardona non corrispondeva a un atteggiamento di pura e sterile contrappozione ideologica a forze anticlericali, ma era determinata dalle particolari condizioni di crisi in cui versava l’Amministrazione comunale di Cosenza.
«È tempo che i cattolici cosentini si preoccupino dell’azienda comunale; con vedute assai differenti dalle antiche; non più facendo da bordone or all’una or all’altra clientela, or a questo or a quel faccendiere, ma pigliando come suol dirsi il cavallo per la briglia. Essi debbono ormai sentire fortissimo il dovere […] di pigliare parte alle future lotte elettorali con un programma frutto proprio che esprima una non equivoca affermazione dei principi, che contenga l’esposizione chiara delle nostre vedute in materia municipale»15.
12
Cfr. G. De rosa, Il Movimento cattolico in Italia…, cit., p. 201.
13 Pagine religiose, in «La Voce Cattolica», 22 aprile 1902.
14
15
«La Voce Cattolica», 11 dicembre 1899.
«La Voce Cattolica», 12 marzo 1904.
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DOMENICO MANTELLO
STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
In poco più di tre anni (1901 - 1902 - 1904) i cosentini erano stati chiamati per ben tre volte alle urne per eleggere il nuovo Consiglio comunale. Le elezioni del 17 aprile 1904 furono preparate dalla parte cattolica con particolare meticolosità; per esplicito desiderio di De Cardona fu nominato un Comitato con l’incarico di compilare la lista dei candidati del partito cattolico e di dirigere la campagna elettorale16.
Contro ogni aspettativa, le elezioni si risolsero in un sorprendente successo dei candidati cattolici, su 1.417 votanti (si trattava di una percentuale altissima per i tempi), Carlo De Cardona ottiene 786 preferenze. La lista dei dieci candidati cattolici17 viene interamente eletta e solo per estrema consapevolezza della propria inesperienza amministrativa, come sostiene Cassiani, i cattolici, non presentarono una lista maggioritaria di 20 nomi18 Formeranno un gruppo di opposizione (talvolta non troppo omogeneo per la presenza di elementi conservatori) che imporrà per la prima volta al gruppo liberal-massone il rispetto della democrazia.
Dopo anni di commissariati e di Giunte difficili, il nuovo esecutivo fu quasi costretto a interessarsi ai problemi vivi della città: la scuola, la casa, l’acquedotto, la luce. Pochi giorni dopo le elezioni, De Cardona fugando ogni ombra di trionfalismo, annotava:
«Senza fiori retorici, ma conversando alla buona con il popolo, come è mio costume, io dirò al popolo tutto ciò che mi riuscirà di capire e di fare lì dentro, nel Palazzo municipale […]. Non posso né dissimulare, né tantomeno trascurare il dovere che ha un immediato rappresentante del popolo (corsivo nel testo) di tenersi cioè sempre a vista degli elettori, per agevolare ad essi l’opera di vigilanza e di controllo»19.
Domenica 1° maggio 1904 il nuovo Consiglio comunale si riunì per la cerimonia dell’insediamento, La Voce Cattolica riferisce:
«Pubblico numeroso e nervoso, come in tutte le grandi circostanze. Apre la seduta il cav. Liggieri […]. Fra l’attenzione del Consiglio e del pubblico che alla fine della lettura – durata per ben due ore – applaudì vivamente. Dopo la parola del Liggieri sale al banco presidenziale il prof. De Cardona (come il consigliere che aveva riportato il maggior numero di voti fra tutti, 786). Il momento è commovente, solennissimo, un silenzio religioso subentra nell’ambiente […].
Cosenza è stanca di governi eccezionali e vuole ardentamente – sostenne
16
«La Voce Cattolica», 13 e 21 marzo 1904, 16 aprile 1904.
17 Oltre a don Carlo De Cardona, risultarono eletti: Federico Andreotti, Francesco Buoncristiano, Michele Cosentini, Antonio Cundari, Ernesto d’Ippolito, Nicola M. Greco, Francesco Magliari, Francesco Palumbo e Giovanni Quintieri.
18 F. cassiaNi, I contadini calabresi…, cit., p. 115.
19 Un ringraziamento e una dichiarazione, in «La Voce Cattolica», 30 aprile 1904.
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De Cardona nel suo intervento – che le sue sorti siano affidate alle cure amorose dei suoi figli. È tempo […] che il Comune libero di ogni servile, indecorosa ingerenza politica, da tutti gli oscuri e loschi interessi di volgari camarille, sia il palladio di pubblica libertà, la rocca granitica in difesa degli umili, che in special modo, hanno bisogno di tutela di soccorso»20
I cosentini, anche i non cattolici, rimasero impressionati dagli atteggiamenti amministrativi del nuovo partito, alieno da ogni personalismo, arrivismo o clientelismo.
Stralciamo qualche testimonianza dalla Cronaca di Calabria 21
«Da l’ultima lotta amministrativa (aprile 1904) venne fuori la rappresentanza di un partito che portò al trionfo una lista di 10 uomini che raccolse quasi una votazione plebiscitaria […].
Fu un primo passo verso quell’educazione politica da noi desiderata, e che fu appresso bene da tutta la cittadinanza la quale fino allora pareva immersa in un’apatia morbosa e in un indifferentismo che dettero a Cosenza l’oneroso e infecondo periodo dei regi commissari»22
«Il partito cattolico a Cosenza, dove han sempre vissuto clientele parassitarie e focolai di affarismo, ha dato prova, nell’amministrare la cosa pubblica di alto senno e di onestà di intenti»23
«C’è nei partiti cattolici di oggi tanta modernità di pensiero e di azione e i cattolici di Cosenza ne hanno dato mirabile esempio al Municipio, quanta non se ne trova in tutti i vecchi partiti»24.
«Questo giovane partito […] ha portato nel campo amministrativo una serietà di vedute, una modernità di tendenze, un’onestà di principi, e una leale, franca, generosa, nobilissima guerra all’affarismo, al protezionismo, al nepotismo, al fratellismo, che erano stati finora gli esponenti della vita pubblica amministrativa di Cosenza […]. Nel Consiglio comunale, ogni qualvolta si è dovuto sventare una camarilla, si è dovuto combattere per l’equità e la giustizia, o rilevare un’irregolarità o scoprire un dietroscena, noi abbiamo visto combattere, in prima linea, il partito cattolico»25.
Dall’esigenza di una presenza democratica cristiana nella vita pubblica nasce la candidatura De Cardona a consigliere provinciale per il mandamento di Rose, Luzzi, San Pietro in Guarano e Castiglione Cosentino. La Voce Cattolica, anche in questa occasione non manca di sottolineare l’importanza dell’avvenimento:
20
«La Voce Cattolica», 26 aprile 1904.
21
«Cronaca di Calabria», giornale fondato e diretto da Luigi Caputo, di tendenza liberale e «senza fede», come egli stesso si definiva.
22
23
24
25
«Cronaca di Calabria», 11 giugno 1905.
«Cronaca di Calabria», 6 luglio 1905.
«Cronaca di Calabria», 16 luglio 1905.
«Cronaca di Calabria», 23 luglio 1905.
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DOMENICO MANTELLO
STORIA DEL MOVIMENTO
CATTOLICO
IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
«Se non è la prima volta che i nostri cattolici scendono in lizza come partito, avente fisionomia e direttive proprie, è di certo la prima volta che essi sono costretti a sostenere il più aspro e decisivo cimento con tutte le clientele massoniche locali che vogliono il dominio assoluto e incontrastato in tutte le pubbliche amministrazioni […]. Noi ci congratuliamo vivamente con tutti i nostri amici che con lealtà politica e con fede intensa han voluto […] un candidato tutto nostro, come simbolo di battaglia, battaglia non imposta dall’alto, ma voluta, imposta a ogni costo dal basso»26.
Le elezioni per il rinnovo del Consiglio provinciale del luglio 1905, mentre nel Collegio di Cosenza segnarono la vittoria del candidato massonico, Alessandro Corigliano, nel mandamento di Rose si conclusero con il successo del candidato cattolico Carlo De Cardona. Si trattò di una vittoria contadina, perché a niente valsero le continue minacce di licenziamento e di intimidazione del padronato agrario a frenare il voto dei cattolici a favore del loro candidato.
«Parecchi, molti contadini furono minacciati di licenziamento se persistevano nella loro volontà di dare il voto al candidato della loro Lega. E il giorno dell’elezione, i gran signori si presentarono ai paesi, per fare personalmente le ultime pressioni e schiacciare gli operai. Contro tanto furore, di uomini potenti, contro tutta la borghesia di Cosenza e provincia, a noi non restava che la parola libera e la coscienza cristiana del popolo»27
Le elezioni del 24 maggio 1908 che si tennero a Cosenza per il rinnovo del Consiglio comunale, segnarono, dopo le polemiche e le inchieste seguite alla Pieni l’animo 28 di Pio X del 28 luglio 1905, il ritorno di De Cardona nello schieramento cattolico. I risultati della competizione elettorale, favorevoli al gruppo cattolico – 27 cattolici eletti contro 3 radicali 29 – consentirono la formazione di una giunta di soli cattolici con Antonio Cundari sindaco e Carlo De Cardona prosindaco e assessore alle Finanze30.
26
27
«La Voce Cattolica», 3 luglio 1905.
«Il Lavoro», 19 luglio 1906.
28
L’enciclica proibiva ai chierici e ai sacerdoti di iscriversi alla Lega democratica nazionale fondata da Romolo Murri sotto pena di sospensione a divinis da incorrere ipso facto
29
«Il Lavoro», 19 luglio 1909.
30
In occasione del terremoto di Reggio Calabria, del 1908 Pietro Mancini, annotava: «Allorquando arrivò a Cosenza la tragica notizia […] il giovane sindaco di Cosenza, avv. Antonio Cundari – attivissimo dirigente del partito clericale – costituì una squadra di soccorso, i socialisti cosentini furono tra i primi a iscriversi e a partire al seguito del sindaco, abile avversario, che li accolse con particolare simpatia e benevolenza», cfr. P. MaNciNi, Il Partito Socialista Italiano nella Provincia di Cosenza (1904-1924), Cosenza, Pellegrini, 1974, p. 83.
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Dopo due anni, nel 1910, sotto la pressione di attacchi ingiusti e polemici, la Giunta Cundari rassegnò le proprie dimissioni e si concludeva così «senza mai più riaprirsi una pagina di rinnovamento sociale e politico»31.
Le elezioni politiche del 1913
Le elezioni politiche del 1913, le prime a suffragio elettorale allargato 32, coincisero con l’accordo clerico-moderato tra candidati liberali e elettorali cattolici e che va sotto il nome di Patto Gentiloni 33. Scrive lo storico De Rosa: «Apparentemente il Patto Gentiloni si presenta come una richiesta di sottomissione degli elementi moderati e liberali, che accettavano il sostegno cattolico impegnandosi però a difendere i punti del programma confessionale dell’Azione cattolica […] il Patto ha questo carattere di fuga in avanti dei cattolici militanti per cancellare, con un precipitoso gesto di realismo politico, il proprio passato di oppositori dello Stato liberale»34.
La posizione dei cattolici nei confronti del Patto non fu unanime, ma varia e complessa: Filippo Meda35 per esempio, fallito il tentativo di «ridurre i cattolici a unità d’azione», cioè alla creazione di un vero e proprio partito politico, diede il proprio contributo alla stesura del Patto. I risultati delle elezioni rafforzarono in Meda il convincimento dell’attualità del partito non solo quale «necessità per la difesa religiosa, ma anche per la normale e progressiva evoluzione della vita nazionale»36.
31 F. cassiaNi, I contadini calabresi…, cit., p. 122.
32 La nuova legge elettorale, promulgata il 30 giugno 1914, concedeva il diritto di voto a tutti i cittadini maschi di 21 anni, capaci di leggere e scrivere e agli analfabeti che avessero compiuto il servizio militare e che avessero superato i 30 anni. Grazie alla nuova legge il numero degli elettori passò da tre milioni a circa otto milioni (cfr. C. Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia (1843-1948), Bari, Laterza, 1978, vol. III, pp. 303-304).
33 Sul Patto Gentiloni, cfr. G. De rosa, Il Movimento cattolico…, cit., p. 337 e ss. Vincenzo Ottorino Gentiloni, nato a Filottrano (Ancona) il 13 ottobre 1865, morì a Roma il 2 agosto 1916, presidente dell’Unione cattolica romana e del Comitato regionale marchigiano gli fu affidata, da Pio X, nel luglio 1909, la direzione dell’Unione elettorale cattolica italiana.
34 G. De rosa, I cattolici, in aavv, Il trauma dell’intervento (1914-1919), Firenze, Vallecchi, 1968, p. 169.
35 Filippo Meda, nato a Milano il 1° gennaio 1869, dove morì il 31 dicembre 1939, si distinse per un’intensa attività giornalistica. Fece parte del gruppo dei deputati cattolici entrati in Parlamento nel 1909; rieletto nel 1913 fu ministro delle Finanze nei Governi Boselli (1916-1919) e Orlando (giugno 1919); fu anche rieletto come deputato del PPI
36 F. MeDa, I cattolici italiani e le ultime elezioni politiche, in «Nuova Antologia», 16 gennaio 1914, p. 309, citato in G. De rosa, Il Movimento cattolico in Italia…, cit., p. 357.
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I CANDIDATI LIBERALI DI GIOLITTI E IL PATTO GENTILONI
I candidati che volevano l’appoggio elettorale dei cattolici dovevano seguire le seguenti norme:
«1. Difesa delle istituzioni statutarie e delle garanzie date dagli ordinamenti costituzionali alla libertà di coscienza e di associazione, e quindi opposizione anche a ogni proposta di legge in odio alle congregazioni religiose e che, comunque tendessero a turbare la pace religiosa della nazione.
2. Svolgimento della legislazione scolastica, secondo il criterio che, con maggiore incremento della scuola pubblica non siano fatte condizioni che intralcino o screditino l’opera dell’insegnamento privato […].
3. Sottrarre a ogni incertezza e arbitrio e munire di forme giuridiche e di garanzie pratiche ed efficaci il diritto dei padri, di famiglia di avere per i propri figli una seria istruzione religiosa nelle scuole pubbliche.
4. Resistere a ogni tentativo di indebolire l’unità della famiglia e quindi assoluta opposizione al divorzio.
5. Riconoscere agli effetti della rappresentanza nei Consigli dello Stato, il diritto di parità alle organizzazioni economiche e sociali, indipendentemente dai principi sociali e religiosi ai quali esse si ispirano.
6. Riforma graduale e continua degli ordinamenti tributari e degli istituti giuridici nel senso di una semplice migliore applicazione dei principi di giustizia nei rapporti sociali.
7. Appoggiare una politica che tenda a conservare e rinvigorire le forze economiche e morali del paese, volgendole a un progressivo incremento dell’influenza italiana nello sviluppo della civiltà internazionale.
Avvertenza: Queste sono le condizioni da porre per noi a ogni candidato per ottenere i nostri voti, condizioni che debbono venire accettate dal candidato in una sua dichiarazione da rilasciare ai nostri Comitati elettorali con facoltà di eventualmente pubblicarla, oppure poste esplicitamente nel programma pubblico del candidato stesso».
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La posizione di don Luigi Sturzo37, al contrario, fu di netta opposizione, in quanto il Patto Gentiloni impediva ai cattolici di «acquistare una personalità propria nella vita pubblica», e la formazione di un «partito autonomo, libero e forte, che si avventuri nelle lotte della vita nazionale»38.
Il Patto Gentiloni si traduceva secondo Sturzo in un adattamento-adeguamento da parte cattolica al «sistema politico imperante e ai metodi del trasformismo»39
In Calabria le elezioni politiche furono precedute dal Congresso cattolico che si tenne a Reggio Calabria dal 19 al 22 gennaio 191340. Vi partecipa-
37 Don Sturzo, già in occasione delle elezioni politiche del novembre 1904, le prime in cui si ebbe l’infrazione del non expedit, scrisse: «Parecchi avean discusso anche fra cattolici, una notizia tendenziosa, che cioè in Vaticano si mantiene il non expedit come formula di protesta religiosa? però, si tollera, anzi si incoraggia che i cattolici alla spicciola sostengono gli elementi moderati e religiosamente i più affini. Abbiamo detto notizia tendenziosa, perché non v’ha chi abbia un po’ il cervello a posto che non comprenda l’assurdo di simile tattica, con cui quello che verrebbe tollerato distruggerebbe la ragione del divieto». Poco più avanti sosteneva: «La necessità di acquistare una personalità propria nella vita pubblica, di rompere vecchi e dannosi legami degli ecclesiastici e dei cattolici con i partiti liberali e massoni, di costituire un partito nazionale su basi solide, ci costringe a guardare il non expedit non solo come un obbligo personale di astensione in omaggio a un divieto dato dal papa, ma come un mezzo di affermazione collettiva, che abbia un valore di vita pubblica» (La Croce di Costantino, 16 ottobre 1904, citato in L. Sturzo, La battaglia meridionalista…, cit., pp. 74-75).
38 Sturzo scrive: «Il Patto Gentiloni, da me avversato nella qualità di consigliere dell’Unione elettorale cattolica, fu una lancia di Achille della quale dice Dante […]. Da un lato, quel Patto legò di più i cattolici alle consorterie clerico-moderate; dall’altro sviluppò due razioni: l’anticlericale e socialista e quella dei cattolici sociali (organizzatori di leghe operaie e di cooperative contadine) e dell’ala democratica cristiana, ancora diffusa come tendenza pur non avendo una propria organizzazione» (L. Sturzo, Il Partito Popolare Italiano, Bologna, Zanichelli, 1956, vol. I, p. 5, citato in G. De rosa, Il Movimento cattolico in Italia…, cit., p. 356.
39 G. De rosa, I cattolici…, cit., p. 169.
40 Per differenziarlo dal Congresso del 1896 e dal Convegno di Gerace del 1908, questo venne ufficialmente annunciato come Primo Convegno cattolico calabrese. A proposito del comportamento elettorale dei cattolici calabresi, la Sezione elettorale nel suo ordine del giorno precisava: «Il Convegno regionale cattolico calabrese, considerato che l’azione elettorale è della massima importanza per i cattolici, culminando in essa le varie forme di attività religiosa, e sociale […] aderisce allo Statuto dell’Unione elettorale cattolica italiana. Riaffermando i postulati del programma cristiano sociale che rispondono agli interessi veri del popolo, e proponendosi di adoperarsi perché penetrino nelle nuove masse elettorali e di pretenderli dai candidati, in guisa che questi dopo averli accettati li propugnino e li difendano […] persuaso della necessità di una forte organizzazione elettorale; delibera:
La costituzione in ogni Comune della Calabria di Comitati elettorali per la statistica, formazione e disciplina degli elettori cattolici secondo le norme approvate nel Congresso di Modena; […]. Di far convergere nell’organizzazione e azione elettorale le forze vive di tutti gli altri organismi cattolici, i quali però nella loro costituzione
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STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
rono il conte Giuseppe Dalla Torre, Paolo Pericoli, Medolago Albani, Ottorino Gentiloni e altre personalità di primo piano del Movimato cattolico nazionale. «Il Convegno di Reggio – scriverà De Cardona su L’Unione – è stato una solenne affermazione delle nostre forze. Ognuno dei presenti era convinto di operare con serietà, ardore e fede. Occorre però essere combatti come i nemici»41.
Di lì a poco si tennero le elezioni politiche42; a Cosenza i candidati in lotta erano l’avvocato Nicola Serra esponente radicale che vantava l’appoggiato dal Governo Giolitti e il penalista Bernardino Alimena43, appoggiato dal gruppo che faceva capo a De Cardona. Nel Collegio di Cosenza le elezioni si svolsero in un clima di violenza e corruzione senza precedenti: «Ci fu in embrione qualcosa come l’organizzazione delle squadre di azione. Una di queste vigilava su tutti i movimenti di don Carlo De Cardona. Fummo pedinati nelle campagne, fin nelle case dei contadini […]. Nelle osterie e altrove si distribuiva a profusione, vino, tabacco, e… buona merce (leggasi prostitute)»44.
Vinse il candidato radicale e «la vittoria fu celebrata con una parodia funebre, portando in spalla una cassa da morto, che doveva raffigurare il funerale del candidato e dei cattolici sconfitti. Si andava, nel trionfo, alla caccia dei cattolici con randelli, dovetti rifugiarmi a San Vincenzo La Costa tra i parenti»45.
devono rimanere estranei all’organizzazione elettorale. Raccomanda a tutti i cattolici nell’imminenza delle elezioni generali la massima concordia e disciplina secondo le direttive dell’Unione elettorale cattolica italiana. Ricorda a tutti i cattolici che nell’azione elettorale, tengano presente che l’andare alle urne non è solo l’esercizio di un diritto, ma ancora e soprattutto l’adempimento d’un sacro dovere» (P. Borzomati, Aspetti religiosi e storia…, cit., p. 495).
41 «L’Unione», 31 gennaio 1913.
42 Già nel 1912, la redazione de L’Unione, in seguito all’allargamento della base elettorale e in vista delle elezioni politiche precisava: «È necessario perciò mandare (alla futura Camera) uomini che diano al riguardo grande affidamento per la loro serietà, per la loro correttezza, per la preparazione alla vita politica per l’indipendenza (corsivo nel testo) […]. I cattolici debbono col loro contegno e con la loro disciplina mostrare di non essere più un esercito di imbelli, un armento pronto a schierarsi dietro il primo venuto, di non voler più far da puntello alle mezze coscienze, ai barattieri agli ignoranti ambiziosi, a tutti i rifiuti sociali […]. A proposito di un manifesto, in «L’Unione», 26 settembre 1912.
43 Sulla sua candidatura, L’Unione del 28 agosto 1913 riferiva: «Nessuna dichiarazione egli (Alimena) ha fatto per opportunismo elettorale, soprattutto nessuna carta ha firmato per ottenere il voto dei cattolici».
44 F. Sorbaro, Tra cronache e storia, anelito di libertà, dattiloscritto, citato in S. aNtoNioli cameroNi, G. CameroNi, Movimento cattolico e contadino…, cit., p. 143.
45 Ibidem.
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70 DOMENICO MANTELLO
STORIA DEL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA - COSENZA (1896-1915 )
caPitolo QuiNto ATTIVITÀ ECONOMICO-SOCIALI
Lega del lavoro
Sulla scia delle esperienze dell’Italia Settentrionale 1, Carlo De Cardona annunziava con un Manifesto, apparso su La Voce Cattolica la fondazione della prima Lega del lavoro dei cattolici cosentini. L’articolo nella sua chiarezza e semplicità è una disamina delle tristi condizioni economiche dei lavoratori, ma anche un invito alla partecipazione e all’unione di classe:
«Operai! Una parola nuova risuona oggi nel mondo […]. È una parola di redenzione per gli oppressi, di vita per le coscienze, di pace per quanti sono dediti alla causa della verità, e della giustizia […].
Operai! noi siamo divisi l’uno dall’altro e perciò non contiamo niente nella presente società, siamo ignoranti e perciò incapaci di far valere i nostri diritti di uomini liberi e di cittadini onesti, di fronte alle classi che hanno in mano i capitali e le pubbliche amministrazioni […].
L’istruzione e l’educazione degli operai; lo studio e la discussione privata e pubblica delle condizioni morali, igieniche ed economiche del lavoro; di stabilire possibilmente d’accordo con i padroni un minimum per le ore di lavoro e per la mercede […]; di abituare i figli del lavoro all’esercito dei diritti di ogni cittadino, sostenerli anche nelle legali pacifiche agitazioni per l’appagamento dei loro legittimi desideri […]; di agevolare agli operai l’assunzione cooperativa di lavori, l’acquisto collettivo di mezzi per il miglioramento della produzione, contro la vecchiaia e contro gli infortuni; di porgere indirizzi e raccomandazioni agli operai emigranti»2.
Per comprendere il pensiero di De Cardona sulle attività economiche, ecco cosa scriveva il sacerdote di Morano:
«Noi diremo col deputato Hitz del Centro tedesco, facciamo capo alla politica sociale-cattolica, inaugurata dall’illustre vescovo di Magonza, mons. Ketteler, come colui a cui dobbiamo il nostro programma sociale ed edificheremo sulle fondamenta da lui innalzate»3
1 G. De rosa, Il Movimento cattolico in Italia…, cit., p. 104 e ss.
2 «La Voce Cattolica», 23 giugno 1901. Sul Manifesto, poco più avanti del brano citato, leggiamo: «È un fatto doloroso che la miseria, l’incessante fatica, l’ignoranza sono giunte ad attutire nelle nostre coscienze, financo il senso dell’onore e della dignità umana. Non è forse impunemente insidiata e spesso a vil prezzo comprata l’onestà delle donne lavoratrici…?».
3 Ketteler, in «La Voce Cattolica», 10 marzo 1900.
71
La parte economica del programma sociale dei cattolici riguardava innanzitutto le legittime richieste degli operai:
«Un opportuno ordinamento del ceto operaio; un equo appoggio dello Stato alle unioni operaie; una protezione legale del lavoro e del ceto operaio di fronte agli abusi comunque essi siano»4.
Queste precisazioni sfuggivano a quanti, specialmente fra l’alto clero, vedevano nelle organizzazioni delle Leghe del lavoro associazioni sovversive dell’ordine o strumento rivoluzionio e pericoloso nella mani dei lavoratori. Le solite preoccupazioni di quanti timorosi di perdere il proprio potere disdegnavano qualsiasi attività innovativa nel campo sociale ed economico. Dalle pagine de La Voce, De Cardona non si stancò mai di precisare la propria posizione e le proprie finalità:
«La si finisca una buona volta di insinuare che noi, promuovendo le Leghe del lavoro facciamo cosa pericolosa alla sicurezza dell’ordine, la si finisca di gettarci alle spalle il nomignolo di socialisti, che del resto ci fa onore perché esso fu affibbiato al Manning, al De Mun5 […].
Noi facciamo con ardore, sebbene con pochissimo frutto, il nostro dovere di cattolici ubbidienti al papa […]. Ci si lasci in pace!»6
L’iniziativa, fortemente ostacolata, ebbe un rapido e clamoroso successo. La Lega di Cosenza, un mese dopo la sua fondazione, raccoglieva già 400 iscritti; altre leghe si diffusero in breve tempo in tutta la provincia e specialmente nella diocesi di Cosenza. Le Leghe non erano chiamate solamente alla sterile protesta, ma contribuivano al riscatto sociale, economico e politico dei lavoratori. Quattro anni dopo la fondazione della prima Lega del lavoro, De Cardona così sintetizzava in un articolo le attività e l’impegno delle sue organizzazioni:
«Oramai bisogna dirlo apertamente a tutti: la Lega del lavoro è una grande cosa. È la prima organizzazione operaia della Provincia e forse della Calabria […]. I borghesi e i padroni ne ebbero subito paura terribile, e per mezzo dei loro giornali si scagliarono addosso a colui che della Lega
4 Ibidem.
5
Albert De Mun (1841-1914), uomo politico e scrittore francese. Durante la sua prigionia, in Germania, dopo la guerra franco-prussiana (1870-1871) venne a contatto con le opere di mons. Ketteler. Tornato in Francia abbandonò l’esercito e si dedicò all’azione politica e sociale. Fondò, nel 1871, i Circoli cattolici operai di ispirazione paternalistica. Sull’Association catholique (rivista da lui fondata nel 1876) espresse la sua evoluzione politica dal corporativismo cristiano verso l’unificazione sindacale dei padroni e degli operai. Oratore molto ascoltato, lottò contro la politica anticlericale della terza Repubblica.
6 «La Voce Cattolica», 6 agosto 1901.
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era stato l’iniziatore. Gli altri cominciarono a discreditarla, accusandola in tutti i modi, persuadendo gli operai ad abbandonarla»7.
Nello spirito decardoniano, queste associazioni imponevano l’assoluto rifiuto a qualsiasi infiltrazione padronale o borghese. Le Leghe non limitavano la loro azione ad attività esclusivamente economiche; nel loro interno sorsero scuole serali e circoli culturali, per combattere l’analfabetismo e De Cardona stesso teneva corsi di insegnamento 8 .
Casse rurali
Dopo il successo ottenuto con la costituzione delle Leghe, il 19 gennaio 1902, diciannove contadini, due coltivatori diretti, un operaio e un artigiano fondano la prima Cassa rurale di Cosenza9 .
Le finalità popolari della società sono evidenti se si leggono gli articoli 3 e 5 dell’Atto di modifica dello Statuto del 1906:
«Articolo 3. Scopo della società è il miglioramento religioso, sociale ed economico dei propri soci, mediante atti commerciali, e soprattutto con l’estendere i benefici del credito ai lavoratori di campagna, alle società e alle istituzioni intese all’elevazione delle classi operaie […].
Articolo 5. Possono far parte della società: i lavoratori giuridicamente capaci e di buona condotta morale e civile; società cooperative composte di lavoratori, giuridicamente costituite»10.
Siccome sorsero in Provincia altre Casse rurali, che facevano capo a quella di Cosenza, nel marzo 1906, la Cassa rurale di Cosenza cambiò denominazione e divenne Cassa rurale federativa di Cosenza. Lo Statuto fu modificato nel 1908 e nel 1909. Con l’Atto di modifica (1906), la quota delle azioni fu portata da L. 25 a L. 200. Sulle Casse decardoniane Taruffi annotava: «La fondazione delle Casse rurali fa parte di un più vasto programma che De Cardona stesso sta mettendo in pratica per l’organizzazione del proletariato agricolo cosentino. Così si sono uniti in cooperativa di produzione e di vendita i contadini per togliere il commercio dei fichi secchi che è molto importante nel cosentino, dalle mani degli imprenditori […]. Si sono formate a Cosenza una cooperativa di consumo, una cooperativa di lavoro, una cooperativa di fabbrica»11.
7 La Lega del lavoro, in «Il Lavoro», 3 luglio 1905.
8 Cfr. F. sorbaro, La mia piccioletta barca, Cosenza, Ecm, 1971, p. 34 e s.
9 archivio tribuNale cs, Atti Associazioni, Cooperative, 1906, in A. Guarasci, I cattolici italiani dopo l’Unità. Note storiche e rassegna storiografica, Cosenza, Luce, 1972, p. 667.
10 Ibidem, p. 669.
11 D. taruFFi, l. De Nobili, c lori, La questione agraria e l’emigrazione in Calabria. Note statistiche ed econimiche, Firenze, Barbera, 1908, p. 432.
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Per l’attività creditizia che le Casse svilupparono, si trattò di una vera vittoria, considerando il fatto che «le piccole istituzioni di credito del Sud andavano il più delle volte in rovina per incapacità degli amministratori»12.
I fini e gli scopi dell’istituto di credito, per il quale non si può parlare di un vero e proprio istituto bancario13, non erano quelli del lucro e del guadagno, ma miravano al miglioramento delle condizioni economiche dei contadini, degli operai e degli artigiani mediante agevolazioni in materia creditizia. Le Casse agirono per eliminare l’usura alla quale erano costretti quanti, specialmente tra i contadini, privi di disponibilità finanziarie, non potevano far ricorso ai già esistenti istituti di credito. La vita delle Casse non fu facile, alle polemiche e critiche giornalistiche14, vennero ad aggiungersi le solite lamentele di qualche vescovo conservatore incapace a cogliere la portata innovativa dell’istituto di credito cosentino15. Ciò che colpisce di De Cardona in questa sua nuova attività, non è tanto la preparazione che mostra in materia poco affine ai suoi studi, quanto il coraggioso rifiuto che oppose alla penetrazione in seno all’istituto di elementi borghesi: «Sono serpi in forma umana e si chiamano: marchesi, baroni, nobili, proprietari. Queste persone si pigliano il danaro delle Casse senza farsi vedere […]. I proprietari, i ricchi, hanno le loro banche, e se non si rivolgono a queste vuol dire che essi sono già così pieni di debiti, che non trovano più credito presso le altre banche»16.
L’analisi di De Cardona si concludeva mettendo il dito su una delle piaghe del Mezzogiorno: il latifondo. «Se i proprietari hanno bisogno di denaro vendano i loro fondi e i contadini se li compreranno»17; era il primo passo per una rivalutazione dell’iniziativa privata che avrebbe potuto contribuire in modo determinante allo sviluppo dell’agricoltura calabrese, modificandone la tradizionale struttura latifondistica.
12 Ibidem.
13 Interessante è la figura di Luigi Bruno, cassiere dell’istituto, un contadino che «continuava a zappare la terra e a potare le viti dopo aver assolto con decoro alla sua mansione» (cfr. F. Sorbaro, Ricordando, in «Democrazia cristiana», numero speciale per la morte di don Carlo De Cardona, 22 marzo 1958).
14 La redazione di Lotta civile, settimanale cosentino laico-democratico, influenzata da «velleitarismo politico anticattolico», in un articolo, così ironizzava sulla larga diffusione delle Casse rurali: «Da parecchi anni il buon popolo cosentino si mostra soverchiamente utilitario. Alla sacra bottega di don Camillo (l’arcivescovo Sorgente), preferisce le Casse rurali di don Carluccio» (cfr. «Lotta civile», 12 gennaio 1909).
15 Cfr. F. cassiaNi, I contadini calabresi…, cit.., p. 101, sulla polemica tra De Cardona e mons. Ricotta, vescovo di San Marco per illeciti alla Cassa rurale di Rose.
16 «Il Lavoro», 23 agosto 1912.
17 Ibidem.
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caPitolo sesto IL PACIFISMO DI DON CARLO DE CARDONA
Secondo Pietro Borzomati, la posizione dei cattolici calabresi, sull’intervento italiano nella prima guerra mondiale, non fu chiara e univoca1; in generale, ci fu una quasi totale adesione alla tesi interventista tanto che «l’entrata in guerra dell’Italia, trova i cattolici calabresi solidali all’azione governativa»2.
Alcuni vescovi, appena dichiarata la guerra, non esitarono a «esaltare i sentimenti di patriottismo e di nazionalismo»3. Nel 1915, mons. Orazio Mazzella, arcivescovo di Rossano, rivolgendosi alle giovani reclute che partivano per la guerra, così si esprimeva: «Giovani cattolici, chiamati sui campi di battaglia, a dare il vostro sangue, voi compite un dovere non solo verso la patria, ma altresì verso Dio»4.
La posizione di Mazzella non è bellicista, c’è in lui la «condanna di ogni guerra intrapresa per spirito di conquista o per motivi nazionali»5. La paura di passare per disfattisti e la speranza che la guerra e la vittoria avrebbero assicurato un avvenire alla regione, spinsero molti cattolici calabresi a dichiararsi, anche se moderatamente, per l’intervento6.
A livello nazionale, la posizione dei cattolici nei confronti della guerra si esprime in una diversità di valutazione e di tendenze che mettono bene in luce la carenza di un’unità direttiva all’interno del Movimento cattolico. I vecchi ma «ridotti gruppi intransigenti», fautori di un neutralismo apocalittico consideravano la guerra come un «flagello di Dio che si scatena sugli uomini, sull’Europa accusata di apostasia sociale per essersi allontanata dalla Chiesa e da Dio»7.
Al contrario, la valutazione di padre Agostino Gemelli sulla guerra non si sviluppano secondo lo schema moralistico, della guerra intesa
1 P. Borzomati, Aspetti religiosi e storia…, cit., p. 392.
2 P. Borzomati, I cattolici calabresi e la guerra 1915-1918, in G. rossiNi (a cura di), Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale. (Convegno di studi, Spoleto 1962), Roma, Cinque Lune, 1963, p. 475.
3 Ibidem, p. 31.
4 Cfr. «Vita nuova», 12 luglio 1915, citato in P. Borzomati, I cattolici calabresi…, cit., p. 479.
5 G. De rosa, Il Movimento cattolico in Italia…, cit., p. 367.
6 Sull’Unione-Lavoro del 13 novembre 1915 leggiamo: «I cattolici dovrebbero essere contro la guerra, comunque per la Calabria un eventuale conflitto potrebbe essere apportatore di benessere alle masse […] e per questi motivi la guerra veniva ostacolata dai ricchi che vedevano di malocchio il progresso dei contadini e degli operai».
7 G. De rosa, I cattolici…, cit., p. 172.
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come punizione divina, ma attengono soprattutto a considerazioni di ordine politico-fisolofico; la sua posizione si configura non solo come adattamento alle decisioni governative, ma anche quale «consapevole adesione all’intervento»8. La posizione di Meda (l’uomo più influente tra le fila del Movimento cattolico italiano) colpisce per la sua complessità; inizialmente neutralista e pacifista, Meda sarà per l’intervento quando le truppe tedesche invadono il Belgio9. Agirono su di lui preoccupazione di ordine politico e il timore che «il neutralismo dei cattolici potesse tornare a vantaggio di quello socialista»10.
De Cardona fu tra i pochi in Calabria che si distinse per un netto pacifismo e neutralismo; la sua posizione non era dettata da pregiudizi morali oopportunismi politici, ma dalla considerazione che la guerra si sarebbe trasformata in un’inutile strage a danno dei poveri e degli indifesi. Già nel 1912, poco dopo la vittoria italiana sulla Turchia, scrivendo degli effetti benefici della guerra, sottolineava che quel conflitto aveva favorito solo gli speculatori che «[…] come i corvi sulle paludi, andranno frettolosi e affamati, a speculare, a sfruttare le terre conquistate col sangue del popolo italiano»11
Sperare che la guerra poteva risollevare i contadini e gli operai delle tristi condizioni economiche era, per il prete di Morano, non solo illusorio, ma anche dannoso. La mobilitazione civile, scrisse nel 1915, era «[…] un volgare espediente ordinato dai guerrafondai a vincere le riluttanze del popolo, indurlo pian piano a rassegnarsi alle angustie e al danno della guerra […]. Gli interessi italiana non sono da confondersi con quelli di Benito Mussolini, cacciato dal Partito socialista»12.
A rafforzare la posizione pacifista di De Cardona, concorse, in modo particolare l’enciclica di Benedetto XV, Ad Beatissimi Apostolorum Principis cathedram del 1° novembre 191413.
8 Ibidem, p. 175.
9 G. De rosa, Il Movimento cattolico in Italia…, cit., p. 373. De Rosa scrive: «[…] Esiste un certo divario tra il Meda che sostenne la neutralità condizionata soltanto alle necessità della difesa nazionale, e il Meda, che entrando nel Ministero Boselli, dichiarò di avere irrefrattabilmente chiuso il periodo delle esitanze e dei dubbi».
10 Ibidem, p. 377.
11 La pace è fatta, in «Il Lavoro», 18 ottobre 1912.
12 «Unione-Lavoro», 7 marzo 1915.
13 Cfr. «La Civiltà Cattolica», a. LXV (1914), vol. 4, dicembre, «Sanctissini Domini Nostri Benedicti divina providenzia Papae XV litterae encyclicae»: «[…] Ma non è soltanto l’attuale sanguinosa guerra che funesti le nazioni e a noi amareggi e travagli lo spirito. Evvi un’altra furibonda guerra, che rode le viscere dell’odierna società: guerra che spaventa ogni persona di buon senso […] e deve ritenersi essa medesima la vera origine della presente luttuosissima lotta […]. I disordini che scorgiamo sono questi: la mancanza di mutuo amore fra gli uomini, il disprezzo dell’autorità, l’ingiustizia dei rapporti tra le varie classi sociali: il bene materiale fatto unico obiettivo dell’attività
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De Cardona, partendo da una posizione pacifista e antibellicista, aveva sostenuto poco tempo prima dell’uscita dell’enciclica che «tutto si poteva evitare e ottenere Trento e Trieste in via diplomatica»14.
La stessa posizione del periodico cattolico cosentino Unione-Lavoro fu molto instabile; in un articolo del gennaio 1915 si sosteneva, per esempio, la tesi dell’interventismo, ritenendosi non accettabile la tesi socialista che serviva «a disarmare gli animi e quindi a disarmare virtualmente l’Italia»15.
La posizione pacifista di De Cardona, non a caso molto vicina a quella di Miglioli16, non si traduceva in una retorica affermazione di principio, ma era legata alla più vasta e complessa tematica del mondo contadino e operaio. In De Cardona c’era la preoccupazione e il timore che la guerra avrebbe minato alla fondamenta l’unione delle classi lavoratrici a tutto vantaggio dei ricchi e dei potenti. dell’uomo». E poco più avanti: «Il tremendo fantasma della guerra domina dapertutto, e non vi è quasi altro pensiero che occupi ora le menti. Nazioni grandi e fiorentissime sono là, sui campi di battaglia […]. Nessun limite alle rovine, nessuno alle stragi: ogni giorno la terra ridonda di nuovo sangue e si ricopre di morti e feriti».
14
«Unione-Lavoro», 7 marzo 1915. Sulle stesse posizione era L’Azione migliolina: «Noi pensiamo e speriamo che il Trentino ci debba ugualmente toccare con una saggia azione diplomatica […]» (cfr. G. De rosa, Il Movimento cattolico in Italia…, cit., p. 363).
15
«Unione-Lavoro», 23 gennaio 1915. Sempre a proposito del neutralismo socialismo, si legge nello stesso articolo: «[…] È strano che essi (socialisti) propugnatori del materialismo storico, dimenticano, a danno del proprio paese, il motto: guai ai deboli».
16 Guido Miglioli, nato a Pozzaglio in provincia di Cremona il 18 maggio 1879, morì a Milano il 24 ottobre 1954. A proposito della guerra, scriveva in una lettera al Giornale d’Italia: «Per me esistevano due quasi pregiudiziali: quella della mia fede, idealmente avversa alla guerra, e quella dei miei convincimenti sociali, i quali mi impongono un alto rispetto al sentimento delle classi lavoratrici, che credo di non errare ritenendo in gran parte oggi alla guerra contraria», citato in G. De rosa, I cattolici…, cit., p. 178.
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A sinistra: titoli di giornali nazionali sulla prima grande guerra; a destra: cartolina postale con il 142.mo fanteria per il fronte, il vagone ferroviario era partito da Cosenza per Vienna.
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Il Movimento cattolico cosentino ha avuto in De Cardona la sua figura più rappresentativa, ma accanto a lui operarono e lottarono tanti contadini e operai che un continuo stato di oppressione aveva reso ostili a ogni forma di aggregazione sociale. L’ideale di De Cardona era quello di redimere questi oppressi; le accuse che egli muove alla classe padronale non sono motivate dall’odio. Le Leghe del lavoro, le cooperative, le Casse rurali diventano strumenti organizzativi per produrre il cambiamento sociale senza la violenza. Spiegare il successo del Movimento cattolico cosentino in termini economici, quale progresso materiale dei lavoratori, è un’affermazione troppo parziale. Le motivazioni da cui partono De Cardona e l’arcivescovo Sorgente sono soprattutto religiose; rifiutando di ridurre il cristianesimo alla sfera strettamente individuale fatta di processioni e di pompose liturgie, ne scoprono la validità sul più vasto piano sociale, economico e politico. In De Cardona, come in Sturzo e Monterisi, c’è un’analisi del sociale che ha un fondamento soprattutto spirituale.
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78 CONCLUSIONI
DOMENICO MANTELLO
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SOMMARIO
Cantocinquanta anni dalla nascita di don Carlo De Cardona presentazione di Nicola PalDiNo 5 Almanacco decardoniano cento date tra passato e presente di Demetrio GuzzarDi 7 Parola che non muore: la Rerum novarum conferenza del 17 maggio 1931 di luiGi Nicoletti 19
Storia del Movimento cattolico in Calabria. Cosenza (1986-1915) tesi di laurea di DomeNico maNtello
caPitolo Primo: Aspetti sociali e religiosi 33 caPitolo secoNDo: Movimento cattolico cosentino 41 caPitolo terzo: Stampa cattolica a Cosenza 49
caPitolo Quarto: Impegno politico 59 caPitolo QuiNto: Attività economico-sociali 71 caPitolo sesto: Il pacifismo di don Carlo De Cardona 75
Conclusioni - Bibliografia 78
Finito di stampare nel mese di maggio 2021 dallo Stabilimento tipografico De Rose - Montalto Uffugo (Cs)
80 STUDI E RICERCHE SUL MOVIMENTO CATTOLICO IN CALABRIA
ISBN 978-88-8276-570-5 euro 8.00 9 7 8 8 8 8 2 7 6 5 7 0 5