La politica monetaria unica e le Banche locali

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Arcelli Centre for Monetary and Financial Studies Department of Economics and Business LUISS Guido Carli Viale Romania 32, 00197, Rome -- Italy http://casmef.luiss.edu

La trasmissione della politica monetaria unica e gli effetti sulle banche locali^ locali

Giorgio Di Giorgio* Giorgio e Guido Traficante** **

^ Versione preliminare, si prega di non citare senza consultare gli autori. La ricerca è stata elaborata nell’ambito di una collaborazione tra il CASMEF della LUISS Guido Carli e FEDERLUS, la Federazione delle banche di credito cooperativo di Lazio, Umbria e Sardegna *Università Università LUISS Guido Carli e CASMEF **Università Europea di Romaa e CASMEF 1


Indice Introduzione ....................................................................................................................................... 3 1. La politica monetaria nell’area dell’Euro. Cenni introduttivi su governance, obiettivi, strumenti e procedure operative ....................................................................................................... 4 2. Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria: dentro la “scatola nera” .................. 9 3. L’Evidenza empirica sulla trasmissione della politica monetaria unica ................................. 12 4. L’eterogeneità nella trasmissione degli effetti di politica monetaria attraverso il sistema bancario............................................................................................................................................. 15 4.1. La stima di un modello macroeconomico con la metodologia VAR .................................................. 16 4.2. Gli effetti della politica monetaria unica sul canale creditizio in Italia, Germania e Francia......... 18

5. Le principali dinamiche creditizie e finanziarie delle banche “locali” ................................... 25 6. La performance del credito cooperativo locale e il sostegno all’economia territoriale ......... 26 Conclusioni ....................................................................................................................................... 29 Appendice ......................................................................................................................................... 31 Riferimenti bibliografici .................................................................................................................. 34

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Introduzione

La banca centrale europea (BCE), dal 1 gennaio 1999, gestisce la politica monetaria unica dei paesi che hanno aderito alla terza fase del progetto di integrazione monetaria in Europa disegnato dal rapporto Delors del 1989. La BCE costituisce il perno di un sistema federale (l’Eurosistema) cui partecipano le banche centrali nazionali, oggi, di 17 paesi dell’Unione Europea. Seppure preparato con attenzione, il passaggio da politiche monetarie individuali a una politica unica ed accentrata, ha ovviamente determinato un’evoluzione rilevante nel funzionamento dei mercati interbancari, dei settori del credito e dell’intero sistema finanziario europeo, potenzialmente significativa anche ai fini di modificare il meccanismo di trasmissione degli impulsi di politica monetaria alle principali variabili economiche, finanziarie e reali. In questo lavoro, vogliamo appunto indagare gli effetti della politica monetaria unica sul settore bancario dell’area euro, con particolare attenzione alle dinamiche delle banche locali. Il cuore dell’analisi sarà quindi dedicato ad uno studio empirico sulle principali dinamiche macroeconomiche innescate da impulsi esogeni di politica monetaria, per verificare se l’introduzione dell’Euro e il passaggio di responsabilità ad una nuova banca centrale hanno avuto effetti rilevanti sui diversi canali di trasmissione attivi nei paesi membri, anche in relazione ai paventati possibili effetti eterogenei ed asimmetrici della politica monetaria stessa. L’organizzazione del lavoro è la seguente. Nel primo paragrafo, descriviamo in modo sintetico ma rigoroso i tratti istituzionali fondamentali del “regime” di politica monetaria in vigore nell’area dell’Euro, dove per “regime” si intende l’insieme di obiettivi, strumenti, procedure operative e meccanismi di trasmissione che spiegano le azioni della banca centrale e i loro collegamenti con le principali dinamiche economiche. Nel secondo paragrafo, analizziamo i diversi possibili canali di trasmissione attivi in un sistema economico moderno, così come identificati nella più recente letteratura economica, e tentiamo anche di ipotizzarne la maggiore o minore rilevanza teorica in corrispondenza di diversi assetti regolatori, finanziari e strutturali. Dopo una breve disamina, nel paragrafo 3, sull’evidenza empirica disponibile in merito ai meccanismi di trasmissione della politica monetaria nell’area dell’Euro, si propone nel paragrafo 4 un modello aggregato, basato sulla metodologia di stima dei modelli vettoriali autoregressivi strutturali, uno strumento ampiamente utilizzato nella letteratura accademica per evidenziare le risposte dinamiche di un numero limitato di variabili a shock esogeni di politica monetaria. Nello stesso paragrafo, vengono esaminate le dinamiche indotte sul credito bancario nei maggiori paesi europei da un medesimo impulso di policy, cercando di identificare distinti canali di trasmissione della politica monetaria. Nel paragrafo 5, vengono esaminate, stimando singole equazioni, altre relazioni di interesse sui mercati del credito, con particolare attenzione alle banche locali. Prima delle conclusioni, nel paragrafo 6 si analizza brevemente la performance di un campione di banche cooperative (appartenenti alla Federazione locale di Lazio, Umbria e Sardegna) durante la recente crisi finanziaria, confrontandola con i risultati del sistema bancario nazionale e provando a suggerire alcune possibili strategie per affrontare le prossime sfide competitive.

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1. La politica monetaria nell’area dell’Euro. Cenni introduttivi su governance, obiettivi, strumenti e procedure operative Le decisioni in merito agli interventi di politica monetaria sono in stretta relazione con le finalità che le autorità vogliono perseguire. Tradizionalmente, si usa distinguere tra obiettivi finali della politica monetaria ed obiettivi “intermedi”. Gli obiettivi finali sono relativi all’andamento di alcune variabili macroeconomiche fondamentali, da cui si assume dipendere il benessere di una collettività, come inflazione, reddito, occupazione, pareggio nei conti con l’estero. Gli obiettivi “intermedi” sono viceversa delle variabili relative al mercato monetario, come tassi di interesse, tasso di cambio o aggregati quantitativi monetari o creditizi, più facilmente controllabili dalle autorità di politica monetaria con gli strumenti a disposizione, e attraverso il cui controllo, indirettamente, si ritiene di poter influire sugli obiettivi finali. Spesso si parla anche di obiettivi “operativi”, con riferimento a delle variabili sotto il controllo “giornaliero” delle banche centrali, in quanto riferite tipicamente al mercato interbancario, in cui è condotta la politica monetaria nei moderni paesi industrializzati. Anche nel caso degli obiettivi operativi, questi possono essere espressi in termini di tasso di interesse (generalmente a breve termine, spesso “overnight”) o di aggregati quantitativi (stock di riserve bancarie, o determinate componenti di tale stock). L’obiettivo finale della stabilità dei prezzi è divenuto molto popolare nei paesi industrializzati a partire dagli anni 80, dopo gli shocks petroliferi. Questo obiettivo è stato esplicitamente inserito nello statuto della Banca Centrale Europea1. Solo subordinatamente a ciò, la BCE può contribuire a sostenere le politiche economiche comuni orientate allo sviluppo. Esiste quindi una netta gerarchia tra gli obiettivi finali nell’area dell’Euro. Nell’accezione della BCE la stabilità dei prezzi è definita come “un aumento sui 12 mesi dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IACP) per l’area dell’euro inferiore (ma vicino) al 2 per cento”. L’obiettivo della stabilità dei prezzi va inteso in un orizzonte di medio termine. La definizione di un contenuto numerico esplicito per questo obiettivo, ha indotto molti commentatori a ritenere il regime di politica monetaria della BCE assimilabile ad un regime di inflation targeting. Tuttavia, come vedremo meglio più avanti, alcuni elementi differenziano decisamente il regime della BCE dal paradigma canonico dell’inflation targeting. Qui vale solo la pena di sottolineare la anomalia di una istituzione “tecnica” che si dà autonomamente un obiettivo “politico”, senza alcun riferimento alla volontà degli elettori o dei loro rappresentanti, e senza un esplicito meccanismo di responsabilità previsto in caso di “fallimento” nel perseguire l’obiettivo stesso2. L’anomalia della BCE è riconducibile all’assenza di un vero organo politico di governo nell’area dell’Euro: la Commissione ed il Consiglio Europeo sono da un lato dotati di poteri ridotti, dall’altro includono rappresentanti di paesi che non aderiscono alla moneta unica. L’eccesso di potere “tecnocratico” assegnato alla BCE, sia pure in trattati sottoscritti a livello politico, ha determinato molte critiche alla nuova istituzione: queste critiche si sono intensificate quando, nel 2011 e nel 2012, la BCE, pur intervenendo a sostegno della stabilità del sistema bancario e finanziario nell’eurozona, è sembrata esitante nell’orientare con più decisione i propri interventi al sostegno di una economia stagnante e di tassi di disoccupazione elevati (con eccezione della Germania). Per quello che riguarda la governance, gli organi decisionali del SEBC sono il Consiglio Direttivo ed il Comitato Esecutivo. Il Consiglio Direttivo è attualmente composto dai membri (6) del Comitato Esecutivo, incluso il Presidente, e dai governatori delle banche centrali dei paesi che hanno adottato l’euro 1 L’obiettivo principale del Sistema Europeo di Banche è il mantenimento della stabilità dei prezzi” (art. 105 del Trattato sull’Unione

Europea). 2 Il tasso di inflazione rappresenta infatti una “tassa” sui possessori di moneta. Come tale, il suo livello dovrebbe in qualche misura essere democraticamente scelto dai taxpayers, e non da un organo puramente “tecnico”: nei regimi di inflation targeting, infatti, tipicamente è il governo che assegna un obiettivo di inflazione alla banca centrale, rendendola poi pienamente indipendente quanto al conseguimento dell’obiettivo attraverso la manovra di opportuni strumenti; inoltre, la banca centrale è responsabile dell’eventuale mancato conseguimento del target, nel qual caso sarà sottoposta a sanzioni.

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(11 nel 1999, 17 nel 2011). Il Consiglio definisce le strategie e le linee generali della politica monetaria comune formulando decisioni la cui attuazione è delegata al Comitato Esecutivo. Il Consiglio direttivo si riunisce due volte al mese, di regola il giovedì, e normalmente svolge l’esame degli orientamenti di politica monetaria nella prima riunione mensile. La strategia di politica monetaria adottata dalla BCE nel 1998 e modificata nel maggio 2003 consta di una definizione quantitativa dell’obiettivo primario, cioè la stabilità dei prezzi e di due pilastri: l’analisi economica, intesa come valutazione di ampio respiro delle pressioni inflazionistiche nell’intera area dell’euro; l’analisi monetaria, che si sostanzia in un valore di riferimento per la crescita di un aggregato monetario ampio (M3) e nella valutazione della crescita effettiva di questo aggregato. Ai fini della valutazione dei rischi di inflazione le informazioni elaborate attraverso l’analisi economica a breve-medio termine sono confrontate con quelle provenienti dall’analisi monetaria, incentrata principalmente sulle determinanti dell’inflazione di medio-lungo periodo. L’analisi economica si basa sull’esame degli andamenti economici e finanziari correnti e dei rischi per la stabilità dei prezzi nel breve e medio periodo impliciti in tali andamenti. Concretamente, si valutano gli andamenti delle componenti della domanda e dell’offerta sui mercati dei beni, dei servizi e dei fattori, le prospettive di crescita economica, i tassi di interesse e di cambio, i prezzi e i salari, le condizioni di finanza pubblica. L’analisi economica si avvale anche delle proiezioni basate su modelli macroeconomici dell’area dell’euro, effettuate congiuntamente dagli economisti della BCE e delle BCN. Ai fini dell’analisi monetaria è stato prescelto un aggregato monetario ampio (M3) per la cui crescita è stato fissato un valore di riferimento. Vale la pena di sottolineare che, dal 2003, M3 non rappresenta più un obiettivo intermedio, ma un indicatore anticipatore della dinamica dei prezzi. Pertanto il suo scostamento dal valore di riferimento non determina una modifica immediata dell’azione di politica monetaria. Piuttosto, lo scostamento tra M3 e il suo valore di riferimento viene analizzato: si esaminano le determinanti e le attività e passività finanziarie che costituiscono le componenti e le contropartite dell’aggregato monetario considerato, per cogliere i rischi alla stabilità dei prezzi impliciti nelle dinamiche monetarie. Vale la pena di ricordare che la definizione degli aggregati monetari nell’area dell’Euro si basa sulle passività monetarie delle Istituzioni Finanziarie Monetarie (IFM), di cui fanno parte le banche centrali, gli istituti di credito ed i fondi di investimento sul mercato monetario residenti. L’aggregato più ristretto è quello della base monetaria, costituita dalle passività del SEBC (circolante più riserve bancarie). In M1 vengono classificati il circolante e i depositi a vista, mentre M2 è pari ad M1 più depositi con scadenza fissa fino a 2 anni e depositi rimborsabili con preavviso fino a tre mesi. L’aggregato più ampio, M3 include M2 più i pronti/termine con la clientela, le obbligazioni con scadenza entro i 2 anni, altri titoli del mercato monetario e le quote di fondi di investimento sul mercato monetario. La seguente tabella riassume gli aggregati monetari nell’area dell’Euro.

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Tabella 1: Gli Aggregati Monetari nell’Eurosistema

Strumenti

M1

M2

M3

Circolante

X

X

X

Depositi in c/c

X

X

X

Depositi con scadenza < 2 anni

X

X

Depositi rimborsabili con preavviso inferiore a 3

X

X

mesi

Pronti-termine con la clientela

X

Obbligazioni con scadenza < 2 anni

X

Quote di Fondi di Investimento sul Mercato

X

Monetario

Per attuare la politica monetaria e perseguire la stabilità dei prezzi la BCE dispone di un assetto operativo che si sostanzia in un insieme di strumenti e procedure. Mentre con la strategia la BCE determina il livello dei tassi d’interesse di mercato coerente con la stabilità dei prezzi nel medio termine, con l’assetto operativo persegue il livello dei tassi individuato con gli strumenti disponibili. Occorre sottolineare che la BCE non adotta esplicitamente un obiettivo operativo. Fino alla revisione del 2003, la strategia di politica monetaria della BCE definiva, seppure non in modo assoluto, un obiettivo intermedio quantitativo (tasso di crescita di M3) come “primo pilastro”: ciò poteva indurre a ritenere più ovvio un attento monitoraggio della quantità di riserve; d’altra parte, l’aver utilizzato nei primi 18 mesi di attività operazioni di rifinanziamento del sistema bancario a tasso fisso poteva indicare il desiderio di coordinare le aspettative di mercato su determinati livelli dei tassi interbancari overnight o a breve scadenza. Gli strumenti a disposizione della BCE per l’attuazione della politica monetaria sono: le operazioni di mercato aperto, le operazioni su iniziativa delle controparti e la riserva obbligatoria. Conviene analizzarli uno alla volta. 1) Operazioni di mercato aperto. Le operazioni di mercato aperto si svolgono su iniziativa della BCE, che stabilisce modalità e condizioni per la loro effettuazione. Fondamentale è il contributo che queste operazioni danno alla politica monetaria per stabilizzare i tassi di interesse, determinare le condizioni di liquidità sul mercato e segnalare l’orientamento stesso della politica monetaria. Le operazioni di mercato aperto possono essere sia a tasso fisso che a tasso variabile, più in particolare:

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-

le operazioni di rifinanziamento principali sono pronti contro termine a brevissima scadenza (7 giorni), con frequenza settimanale, regolate con meccanismo ad asta; le operazioni di rifinanziamento a più lungo termine sono pronti contro termine a 3 mesi, con frequenza mensile, anche esse sotto forma di asta; le operazioni di mercato aperto dette di fine tuning possono essere sia definitive che temporanee, di immissione o assorbimento di liquidità; non sono previste con frequenza regolare, e sono conducibili oltre che con meccanismo ad asta anche in base a procedure bilaterali; possono includere swaps in valuta.

Nel caso di operazioni a tasso fisso, la banca centrale decide simultaneamente la quantità di finanziamento ed il prezzo a cui concederlo. L’aggiudicazione avviene con riparto proporzionale effettuato sulle singole domande presentate, in caso di eccesso di domanda. Quindi i tesorieri bancari devono prevedere il livello complessivo di domanda di finanziamento, e formulare una propria domanda di fondi tale che riescano sulla base del riparto ad ottenere i fondi “effettivamente” desiderati. Con questo meccanismo, se una banca desidera ottenere un finanziamento di un milione di Euro, ed il coefficiente di riparto previsto è del 5%, dovrà formulare una domanda di finanziamento pari a 20 volte l’ammontare desiderato. Nel caso di asta a tasso variabile, viceversa, la banca centrale decide solo l’ammontare del finanziamento: la concorrenza tra banche per aggiudicarsi il finanziamento non avviene sulla previsione corretta della domanda complessiva di fondi, ma sul prezzo (tasso di interesse) che le banche stesse offrono di pagare per il finanziamento desiderato. Ogni banca formulerà una domanda di fondi dichiarando il tasso che è disposta a pagare. Al termine dell’asta, la banca centrale ordina le domande di finanziamento in base ai tassi offerti, soddisfa prima quelle più convenienti e poi le altre. Il tasso marginale sarà definito da quel livello del tasso che rende la domanda cumulata di fondi uguale alla quantità di finanziamento offerto. Si può anche calcolare un tasso “medio” dell’asta, ponderando i vari tassi pagati con dei pesi che riflettono le singole quantità di finanziamento a cui sono relativi. A partire da giugno 2000, la BCE ha frequentemente utilizzato i pronti contro termine a tasso variabile come principale operazione di rifinanziamento al settore bancario. Tuttavia, la crisi finanziaria del 2007-2008 prima, e quella dei debiti sovrani dopo, ha indotto negli ultimi anni la BCE ad interventi eccezionali (e non convenzionali) di politica monetaria finalizzati a sostenere in modo massiccio la domanda di liquidità proveniente dal settore bancario. A tale scopo, sono state lanciate ripetute operazioni straordinarie di rifinanziamento a tasso fisso con scadenza oltre i 3 mesi (a 6 mesi e 12 mesi), caratterizzate dal totale soddisfacimento della domanda (full allotment). Allo stesso tempo, la banca centrale ha accettato come titoli a garanzia (collateral) del finanziamento concesso un insieme molto più ampio del normale di securities. Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, sono state lanciate nuove operazioni a tre anni, le Long Term Refinincing Operations (LTRO), che hanno fornito liquidità (all’1%) per oltre mille miliardi di euro al sistema bancario dell’area euro. Oltre alle operazioni di mercato aperto descritte prima, è possibile per la BCE intraprendere anche operazioni di tipo strutturale per modificare in modo permanente la posizione del SEBC nei confronti del sistema finanziario attraverso l’acquisto e la vendita di titoli o l’emissione di certificati di debito. Queste operazioni, ancora durante la recente crisi finanziaria, hanno visto la banca centrale intervenire anche con acquisti di titoli di stato di diversi paesi dell’area euro concentrando tali acquisti sui titoli di stato emessi da paesi che erano in gravi difficoltà di finanza pubblica (securities markets programme). Il solo annuncio della possibile attivazione di ingenti interventi (outright monetary transactions) sul mercato secondario dei titoli di paesi richiedenti l’assistenza del meccanismo europeo di stabilità ha contribuito non poco a ridurre i differenziali di rendimento rispetto ai bund e a scongiurare (per il momento) pericoli di disgregazione dell’area euro.

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2) Tassi ufficiali ed operazioni su iniziativa delle controparti. Nell’area dell’euro sono state adottate due “standing facilities”: una forma di anticipazione, o rifinanziamento marginale che consente alle banche di ottenere liquidità overnight, potenzialmente in ammontare illimitato, ad un prefissato tasso di interesse, di norma più elevato di quello di mercato, contro titoli a garanzia; ed una “deposit facility”, che consenta alle stesse banche di impiegare la liquidità giornaliera in eccesso ad un tasso garantito minimo. I due tassi ufficiali quotati su questi istituti costituirebbero il “corridoio” entro cui il tasso overnight può liberamente oscillare in risposta agli squilibri della domanda e dell’offerta di liquidità. L’amministrazione di questi istituti è decentrata alle singole banche centrali nazionali. A seguito dell’introduzione delle nuove standing facilities, il modello di controllo delle riserve bancarie utilizzato dalla BCE prevede la stabilizzazione (entro i limiti definiti dai tassi ufficiali) del tasso overnight come determinato dalla domanda di liquidità bancaria. La banca centrale europea può spingere verso l’alto o verso il basso tale tasso agendo sia sulla quantità di liquidità bancaria offerta con operazioni pronti contro termine che, nel caso di operazioni a tasso fisso, sul livello del tasso di intervento. Come vedremo, inoltre, un ulteriore strumento di azione della banca centrale è legato, almeno teoricamente, all’influenza sulla domanda di riserva esercitabile attraverso una variazione del coefficiente di riserva obbligatoria (vedi infra). Implicitamente, questo schema di controllo monetario è coerente con un obiettivo operativo definito in termini di riserve bancarie totali. Tuttavia, attraverso le operazioni di mercato aperto, in condizioni normali di liquidità, la banca centrale è ugualmente in grado di controllare il tasso di interesse sull’interbancario (adottando quindi un interest rate targeting simile a quello usato dalla FED). 3) Riserva Obbligatoria. Un altro strumento a disposizione della BCE è l’istituto della riserva obbligatoria. La presenza, nell’assetto operativo, dello strumento della riserva obbligatoria corrisponde all’esigenza di assolvere due funzioni fondamentali: -

la stabilizzazione dei tassi d’interesse di mercato monetario;

-

la creazione o l’ampliamento di uno strutturale deficit di liquidità del sistema

bancario. Quanto alla prima funzione, essa è garantita dal fatto che l’adempimento dell’obbligo di riserva avviene in termini di media dei saldi giornalieri nel periodo di mantenimento. Ciò consente alle istituzioni creditizie di attenuare fluttuazioni giornaliere di liquidità utilizzando se necessario parte della riserva dovuta e, successivamente, controbilanciando questo utilizzo nello stesso periodo di mantenimento. In particolare, le istituzioni creditizie sono incentivate a impiegare i fondi di riserva sul mercato se i tassi a breve termine correnti sono superiori a quelli attesi per la rimanente parte del periodo di mantenimento. In uno scenario opposto le banche vorranno prendere a prestito fondi sul mercato e mantenere una posizione di surplus (rispetto alla media) di riserva. Questo arbitraggio intertemporale stabilizza il tasso overnight durante il periodo di mantenimento e non rende necessari frequenti interventi della banca centrale sul mercato monetario. Solo alla fine del periodo di mantenimento, quando l’obbligo di riserva diventa stringente ed è di fatto impossibile ricorrere alla mobilizzazione, le variazioni di liquidità dovute ai cd. fattori autonomi possono determinare rilevanti oscillazioni nell’andamento del tasso EONIA

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La riserva obbligatoria contribuisce anche a creare o ampliare il fabbisogno strutturale di liquidità del sistema bancario, consentendo all’Eurosistema di operare efficientemente dal lato dell’offerta di liquidità. Di fatto, l’esigenza per le banche di adempiere all’obbligo di riserva accresce la domanda di rifinanziamento della banca centrale, rendendo più semplice il controllo dei tassi di mercato monetario attraverso le regolari operazioni di immissione di liquidità. Le istituzioni soggette sono gli istituti di credito insediati negli stati membri, incluse le filiali europee di istituti non residenti nell’area dell’euro. Il coefficiente di riserva sulle passività soggette è stato inizialmente fissato al 2%. Le passività soggette sono costituite dai depositi a vista e rimborsabili con preavviso o con scadenza fino a due anni, dai titoli di debito e del mercato monetario con scadenza fino a 2 anni. Sono escluse le passività nei confronti del SEBC e di altre istituzioni soggetta alla riserva obbligatoria del SEBC. Attualmente si applica una aliquota nulla ai depositi e titoli con scadenza superiore a due anni ed ai pronti contro termine con la clientela. È prevista la facoltà di mobilizzare interamente la riserva. Le banche devono quindi soddisfare solo in media nel periodo di mantenimento gli obblighi di riserva, con la media che viene calcolata sui saldi contabili di fine giornata del conto di riserva. La riserva obbligatoria è poi remunerata ad un tasso ottenuto come media ponderata dei tassi delle operazioni di rifinanziamento principale effettuate nel periodo di mantenimento e sono previste penalità relative all’inadempimento. Il coefficiente del 2% è stato dimezzato, nel 2011, per alleggerire ulteriormente gli oneri posti a carico del sistema bancario nell’area dell’euro, in un contesto caratterizzato da alta volatilità e aumento della rischiosità nei mercati finanziari.

2. Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria: dentro la “scatola nera” Analizzare l’insieme di meccanismi attraverso i quali gli impulsi di politica monetaria seguenti la manovra di uno degli strumenti a disposizione della banca centrale si trasmettono all’economia reale, inducendo reazioni nei comportamenti dei singoli agenti, nei mercati finanziari fino e nella dinamica delle principali variabili macroeconomiche aggregate costituisce uno dei capitoli più affascinanti della disciplina dell’economia monetaria. Ovviamente, la trasmissione richiederà un determinato intervallo temporale per produrre degli effetti; sia questo intervallo di tempo che l’intensità degli effetti stessi dipendono criticamente da un insieme di fattori rilevanti, quali il funzionamento e la struttura del sistema produttivo e del mercato del lavoro, il grado di apertura agli scambi con l’estero e la struttura finanziaria del paese, in particolare l’importanza relativa dei mercati rispetto agli intermediari finanziari. A sua volta, la struttura finanziaria di un paese è il risultato di un insieme di fattori storico-istituzionali, poiché riflette in buona parte la struttura giuridica adottata, la forma di governo ed i meccanismi procedurali di decisione politica, le tradizioni culturali. Esistono diverse teorie o “approcci” per spiegare il meccanismo di propagazione degli impulsi di politica monetaria all’economia reale. In origine, tali teorie riflettevano anche il ruolo considerato prevalente svolto dalla moneta nell’economia, quello di essere mezzo di pagamento e/o riserva di valore. Ognuno dei vari approcci enfatizza infatti in misura maggiore l’operare di uno o più dei diversi “canali” di trasmissione della politica monetaria che sono stati individuati. Ad esempio i primi keynesiani enfatizzano il canale dei tassi di interesse e, in economia aperta, del tasso di cambio; i monetaristi il canale associato alla variazione dei prezzi delle attività finanziarie ed ai possibili effetti ricchezza; i fautori delle asimmetrie informative, il canale creditizio. Nuovi canali di trasmissione sono stati individuati recentemente considerando gli effetti dell’innovazione finanziaria, della crisi e della risposta regolamentare. In questo paragrafo, forniamo una breve ed intuitiva panoramica dei principali “canali” evidenziati dalla letteratura e in grado di razionalizzare i “fatti stilizzati”, in termini di risposte macroeconomiche dinamiche, che è possibile associare a impulsi “esogeni” di politica monetaria, almeno fino allo scoppio della crisi finanziaria, in numerosi paesi 9


industrializzati. Tali fatti possono così sintetizzarsi: a seguito di un aumento improvviso esogeno del tasso a breve, lo stesso tende gradualmente a ridursi e tornare al livello precedente in media nell’arco di 9-12 mesi; l’output reagisce prima dei prezzi; tuttavia, l’effetto sull’output è anche esso transitorio, mentre quello sui prezzi più duraturo; inizialmente è la domanda aggregata a diminuire, prima dell’output, il che implica un aumento delle scorte nel breve periodo a seguito della restrizione monetaria; tra le componenti della domanda, le più reattive sia da un punto di vista temporale che quantitativo sono gli investimenti in abitazioni e i consumi di beni durevoli mentre la componente che reagisce di meno e con maggiore ritardo è quella degli investimenti fissi aziendali. Questa evidenza, infatti, richiede necessariamente di superare i semplici schemi interpretativi keynesiani basati esclusivamente sugli effetti indotti dalla variazione dei tassi di interesse, pur mantenendo un ruolo importante a questo meccanismo. Vediamo in dettaglio come funzionano, o possono funzionare, i diversi canali di trasmissione. a)

Il Canale del Tasso di Interesse e la relazione tra tassi a breve e tassi a lunga

Il canale tradizionale di trasmissione della politica monetaria si basa sulla variazione del tasso di interesse indotta da una manovra delle autorità. La politica monetaria può influenzare i tassi di interesse di mercato direttamente, manovrando i tassi ufficiali e segnalando con decisione le proprie inclinazioni restrittive o espansive, o intervenendo sui mercati attraverso l’acquisto o la vendita di titoli (operazioni di mercato aperto). Tipicamente, entrambi gli interventi hanno un effetto di impatto sui tassi a breve del mercato monetario. Ma gli effetti “reali” dipendono dalla reazione di variabili macroeconomiche come i consumi o gli investimenti, che dovrebbero reagire a variazioni dei tassi “reali” e non nominali di interesse, e, nel caso dei consumi in beni durevoli e degli investimenti, a variazioni dei tassi a lungo termine e non a breve. Comprendere il funzionamento reale del meccanismo di trasmissione via tassi di interesse necessita quindi di spiegare come variazioni nei tassi nominali a breve inducano variazioni nei tassi reali a lungo termine. Una possibile razionalizzazione di questi effetti si fonda sulla sostituibilità di diversi titoli nei portafogli di operatori interessati a massimizzare le opportunità di guadagno sui mercati finanziari. Una restrizione monetaria aumenta infatti subito i tassi a breve ma anche, sia pure spesso in misura meno che proporzionale, i tassi a lunga (perché la politica restrittiva orienta le aspettative degli agenti sull’inflazione futura verso valori minori), attraverso una serie di riaggiustamenti di portafoglio che dipendono dal mood prevalente e dalle preferenze degli agenti sui mercati. La curva dei rendimenti in genere si appiattisce. L’aumento dei tassi sulle attività finanziarie, in particolare su quelle a lunga scadenza, può indurre gli operatori a sostituire la detenzione di attività reali nei portafogli con la detenzione di attività finanziarie, che sono divenute più remunerative: il costo del capitale fisico allora aumenta, dato che aumenta il rendimento richiesto per la detenzione di attività reali, scoraggiando gli investimenti aggregati. Anche i consumi di beni durevoli sono colpiti. b)

Il canale del tasso di cambio

L’aumento dei tassi di interesse indotto da una politica monetaria restrittiva in un paese genera un differenziale di rendimento sul mercato internazionale dei capitali, che richiede un apprezzamento del cambio nominale per bilanciare le aspettative di deprezzamento del cambio richieste dalla condizione di parità scoperta tra tassi di interessi. In presenza di rigidità nominali, l’apprezzamento del cambio nominale induce un apprezzamento reale del cambio, una perdita di competitività che ha effetti restrittivi addizionali (rispetto al caso di economia chiusa) sulle esportazioni nette e per questa via sulla domanda aggregata e sul reddito. c)

Il canale dei prezzi delle attività finanziarie

L’aumento dei tassi di interesse indotto dalla restrizione monetaria può indurre una modifica delle preferenze dei risparmiatori e incentivarne la migrazione dal mercato azionario a quello obbligazionario.

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In questo caso, il prezzo medio delle azioni scende. Gli aggiustamenti sul mercato azionario sono in grado di indurre due ulteriori effetti: da una parte, implicano una riduzione del valore totale della ricchezza (inizialmente non alterato da una semplice operazione pronti contro termine della banca centrale) che può influire negativamente sui consumi; dall’altra, riducono in media il valore della variabile “q” di Tobin, data dal rapporto tra capitalizzazione di mercato e costo di replacement del capitale, deprimendo gli investimenti. Attraverso l’operare di entrambi i meccanismi la domanda aggregata e il reddito si contraggono in misura superiore di quanto considerato riferendosi esclusivamente al canale tasso di interesse. d)

Il canale del credito bancario

La restrizione monetaria dovuta alla vendita di titoli sul mercato aperto contro moneta (riserve del settore bancario), attraverso l’incremento dei tassi di interesse riduce le passività delle banche (in particolare i depositi) e richiede necessariamente un aggiustamento anche dal lato delle attività, a meno che il settore bancario sia in grado di sterilizzare la restrizione espandendo la raccolta non soggetta ad obblighi di riserva. Se ciò non avviene, le banche devono contrarre i prestiti all’economia (a meno che non compensino la riduzione nelle passività esclusivamente vendendo titoli in portafoglio) e questo deprime gli investimenti, i consumi ed il reddito. Si noti che l’effetto è tanto più rilevante quanto più esistono nell’economia soggetti che sono “bank dependent” in relazione all’approvvigionamento dei finanziamenti necessari ad operare, ad esempio laddove il sistema produttivo è costituito in prevalenza da piccole e medie imprese cui è inibito il ricorso al mercato pubblico dei capitali. La disponibilità dei prestiti bancari, e non solo il loro costo, gioca dunque un ruolo indipendente ed importante nella trasmissione degli impulsi di policy. La considerazione di questo canale ha inoltre consentito di acquisire una più solida consapevolezza dell’importanza di valutare con attenzione non solo gli effetti aggregati, ma anche quelli possibilmente eterogenei a livello settoriale, regionale o di dimensione aziendale di una manovra di politica monetaria. Proprio la possibilità di una distribuzione “asimmetrica” a livello geografico degli impulsi della politica monetaria unica della BCE è stata considerata una possibile fonte di tensione all’interno dell’UEM, date le plausibili differenze riscontrabili nella struttura legale, finanziaria, del mercato dei prodotti e del lavoro dei paesi membri, e le implicazioni di tali differenze sulla velocità e l’intensità del meccanismo di trasmissione. Vale la pena di sottolineare il ruolo svolto dall’innovazione finanziaria, in particolare dal processo di cartolarizzazione, sul canale creditizio bancario. La possibilità di emettere titoli a reddito fisso a fronte di un insieme di prestiti bancari, e di usare tale fonte per espandere la raccolta, ha sicuramente ridotto l’incidenza dei depositi stessi come vincolo all’erogazione di prestiti. A ciò si aggiunga l’opportunità di trasferire il rischio attraverso derivati creditizi come i credit default swap, che aiutano a alleggerire i vincoli di patrimonio, e risulta evidente che l’innovazione finanziaria tende, in condizioni normali, a rendere meno efficace il canale del credito bancario. Il discorso vale ovviamente in maniera inversa nelle fasi di “financial repression”.

e)

Canale creditizio finanziario

L’aumento dei tassi indotto da una politica restrittiva può indurre due effetti rilevanti per il finanziamento delle imprese. Da una parte, riduce il valore delle azioni per le aziende quotate; si riduce quindi la garanzia per i finanziatori esterni associata alla partecipazione dei proprietari, con capitale di rischio, ai progetti imprenditoriali. Il costo del finanziamento esterno incorpora quindi un premio per il rischio maggiore, che richiede un ulteriore aumento del costo del finanziamento. D’altra parte, oneri finanziari maggiori peggiorano i cash flows aziendali per tutte le imprese, riducendo la disponibilità di finanza interna a più buon mercato e facendo aumentare la rischiosità degli investimenti per i finanziatori esterni: questi richiedono tassi ancora più elevati. I problemi di asimmetria informativa ed i relativi costi di agenzia inducono quindi effetti depressivi addizionali sugli investimenti aziendali, e per questa via sulla domanda aggregata e il reddito. 11


f)

Canale dei prezzi delle case

La restrizione monetaria comporta un aumento del tasso di policy che si riflette anche in un aumento del tasso applicato ai mutui immobiliari, immediato e contestuale in tutte le operazioni se ci si trova in un sistema con ampia diffusione della tipologia di mutui a tasso variabile, come era ad esempio quello americano nel periodo pre-crisi. Tale aumento del costo del finanziamento si traduce in un aumento del costo complessivo dell’investimento e comporta una riduzione della domanda di housing. Un calo della domanda si riflette in una riduzione dei prezzi delle case che si propaga in un duplice modo nell’economia: a) per l’effetto ricchezza e della “q” di Tobin, tali riduzioni inducono un calo dei consumi e degli investimenti da parte del settore privato e si riflettono in una riduzione dell’output; b) per l’effetto collegato all’acceleratore finanziario, esaminato precedentemente, esso implica una riduzione del valore dell’immobile come garanzia collaterale e quindi tende a ridurre l’offerta di credito e la domanda di investimenti residenziali (e non solo). Questo deprime ulteriormente il reddito.

g)

Altri canali

Ulteriori considerazioni sono riconducibili alle implicazioni, in tema di trasmissione della politica monetaria, derivanti dalla normativa sulla vigilanza bancaria e da due nuovi potenziali canali che sono stati identificati nella letteratura più recente. In primo luogo, è stato sottolineato come le risorse patrimoniali delle banche possano, soprattutto in fasi congiunturali sfavorevoli, influenzare in modo rilevante l’offerta di prestiti all’economia reale. L’argomento si basa sul fatto che banche con una dotazione maggiore di patrimonio hanno più facile accesso al mercato finanziario e possono quindi concedere credito alle imprese in misura maggiore. Viceversa, banche sottocapitalizzate devono finanziarsi a costi più elevati e questo può limitare la loro azione sul mercato del credito. Poiché i requisiti patrimoniali sono direttamente influenzati dalle scelte in tema di regolamentazione e vigilanza bancaria, questo implica un collegamento con la trasmissione della politica monetaria. In secondo luogo, il canale creditizio di trasmissione, è integrato anche dal riconoscimento che la politica monetaria può influenzare gli incentivi delle banche ad assumere rischi nella concessione dei prestiti. Il cosiddetto risk taking channel evidenzia che bassi tassi di interesse aumentano il valore delle garanzie fornite alla banca a fronte del prestito erogato. Se si ritiene probabile un aumento nel tempo dei valori delle attività sottostanti, questo induce un aumento della propensione delle banche all’assunzione di rischi di credito. Inoltre, le banche saranno incentivate a spostarsi verso attività più rischiose in presenza di tassi di interesse bassi. Il combinato disposto potrebbe riflettersi in un allentamento dei criteri per l’erogazione dei prestiti e in una offerta anche eccessiva degli stessi. La valutazione complessiva dell’operare di tutti questi effetti non è banale. Alcune evidenze per l’area dell’euro suggeriscono tuttavia che nella prima decade del nuovo millennio, il possibile indebolirsi del canale creditizio di trasmissione degli impulsi di politica monetaria dovuto all’innovazione finanziaria e alla cartolarizzazione sia in realtà stato compensato da un suo rafforzamento indotto dall’inasprirsi progressivo dei requisiti di capitalizzazione bancaria connessi alla disciplina di Basilea 2.

3. L’Evidenza empirica sulla trasmissione della politica monetaria unica Una delle principali preoccupazioni, prima dell’avvio dell’UEM, riguardava il possibile diverso operare dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria nei diversi paesi dell’Unione Europea, e se ciò potesse generare effetti asimmetrici sulle economie reali a seguito dello stesso impulso monetario. I risultati di alcune indagini effettuate prima dell’introduzione dell’euro sembravano tuttavia evidenziare meccanismi di trasmissione simili, seppure non completamente omogenei, nei diversi paesi interessati 12


all’adesione alla valuta unica. Per ciò che atteneva al funzionamento dei sistemi finanziari, si sottolineava il carattere banco-centrico della maggior parte dei sistemi europei. La distinzione tra sistemi finanziari in cui prevalgono gli intermediari, in particolar modo le banche, e sistemi in cui la concessione di credito avviene prevalentemente sui mercati finanziari (come nei paesi anglosassoni) è molto rilevante per lo studio dei meccanismi di trasmissione della politica monetaria, se si ammette l’ipotesi che per i prenditori di fondi non sia del tutto indifferente la fonte di finanziamento. Nei sistemi “banco-centrici” sembra infatti operante una maggiore ripartizione intertemporale dei rischi tra banche ed imprese, rispetto ai sistemi orientati al mercato. In sostanza, data l’esistenza di relazioni di lungo periodo tra banca ed impresa, soprattutto nei mercati “locali” del credito, gli intermediari sarebbero più inclini ad assorbire inizialmente, piuttosto che trasferire sulla clientela, parte dei costi di una manovra restrittiva di politica monetaria, perseguendo obiettivi di massimizzazione intertemporale del profitto. Ciò implica l’utilizzo di politiche di tassi sui crediti maggiori di quelli di equilibrio nei periodi in cui la politica monetaria è espansiva, ma minori nelle fasi restrittive. La volatilità degli oneri finanziari per le imprese che operano in sistemi economici la cui struttura finanziaria è orientata agli intermediari risulterebbe di conseguenza minore. Ciò risultava anche da studi che calcolavano l’intensità della trasmissione sui tassi attivi bancari di variazioni nei tassi di policy, più contenuta e lenta in Francia, Germania e Italia, rispetto ai paesi anglosassoni. A prescindere da questa distinzione “sistemica”, la trasmissione della politica monetaria dipende da numerosi altri fattori. Ad esempio, nei paesi in cui le famiglie detengono attività finanziarie i cui rendimenti reagiscono velocemente alla variazione dei tassi di policy, come in Italia, in Olanda ed in Belgio, una politica monetaria espansiva (restrittiva) produce effetti attenuati data la presenza di un effetto reddito negativo (positivo) sulle famiglie dovuto al minor reddito da interessi. Analogamente, anche la dimensione e la scadenza temporale dell’indebitamento delle imprese sono rilevanti. In paesi dove l’incidenza dell’indebitamento a breve termine od a tasso variabile è notevole, una restrizione monetaria si trasmette più rapidamente sul consumo e sugli investimenti. Una restrizione monetaria, se ritenuta credibile dagli operatori, potrebbe anche indurre, a fronte di un aumento del tasso a breve, una riduzione dei tassi a lunga per l’effetto positivo sulle aspettative di inflazione futura. In questo caso, la struttura delle passività finanziarie delle imprese è fondamentale: i paesi le cui imprese sono fortemente indebitate a breve sono i soli ad essere penalizzati dalla manovra restrittiva. Infine, occorre rilevare che i contratti di debito possono o meno includere garanzie a favore del creditore. Nei paesi in cui la quota di crediti accordati con garanzie accessorie è maggiore, una restrizione monetaria, riducendo il valore di mercato delle garanzie stesse (soprattutto nel caso di beni immobili), potrebbe indurre una maggiore contrazione della domanda aggregata. Anche sotto questo aspetto, era possibile evidenziare una composizione omogenea dei paesi dell’area dell’euro, rispetto ai paesi nordici ed al Regno Unito. Differenze rilevanti sul meccanismo di trasmissione possono dipendere anche dalla struttura produttiva e dal funzionamento del mercato del lavoro. La grandezza media delle imprese, ad esempio, consente di trarre un'indicazione sul potere contrattuale e sulla visibilità di cui le imprese stesse godono sul mercato, e di intuirne la dimensione del volume d'affari, il grado di diversificazione delle attività operative in essere e l’autonomia finanziaria interna. Le piccole imprese sono considerate più rischiose delle grandi, a seguito di ciò devono sopportare tassi passivi più elevati e talvolta situazioni di vero e proprio contingentamento delle linee di fido; la concessione dei finanziamenti è inoltre sempre strettamente legata alla disponibilità di garanzie reali. Secondo i dati della Commissione Europea, in Italia ed in Spagna appare prevalente un modello di piccole e medie imprese, mentre la Germania ha una presenza più rilevante di entità produttive di dimensioni maggiori, ed in Francia (e in Olanda) spicca una relativa concentrazione a favore della dimensione media. La rapidità degli aggiustamenti indotti dipende anche dalla tutela giuridica presente sul mercato del lavoro. Le norme che regolano le assunzioni ed i licenziamenti, così come i processi che stabiliscono i livelli retributivi, forniscono un indicatore della possibile diversità nella reattività dei prezzi (e dei salari) ad 13


interventi monetari. Un confronto basato su una variabile sintetica di protezione dell’occupazione costruita dall’OECD mostrava (alla fine dello scorso millennio) una tutela dei lavoratori decisamente più incisiva nell'area continentale rispetto al Regno Unito, dove il mercato del lavoro ha una flessibilità più accentuata. I maggiori paesi aderenti all'Unione Monetaria sembravano invece tutti condividere un unico modello occupazionale, con una (parziale) eccezione rappresentata dall'Olanda. Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria è stato oggetto di studi empirici, relativi all’esperienza storica di diversi paesi, effettuati con metodologie sostanzialmente riconducibili a due classi di modelli econometrici: modelli quasi puramente statistici centrati sullo studio delle relazioni tra serie storiche di un numero limitato di variabili (modelli VAR) e modelli strutturali delle singole economie (tipicamente elaborati dalle banche centrali dei diversi paesi). L’evidenza empirica ricavabile da semplici modelli VAR è caratterizzata da una risposta, abbastanza omogenea, di tipo “hump shaped” dell’output ad una contrazione di politica monetaria, che si manifesta a partire dai 2-4 trimestri successivi, ha un picco dopo 6-8 trimestri ed infine si smorza gradualmente. D’altra parte questi modelli, con poche eccezioni, non consentono di osservare l’andamento di una numerosa serie di variabili rilevanti per il meccanismo di trasmissione della politica monetaria (quali i consumi privati, gli investimenti, diverse variabili sia di prezzo che di quantità relative al funzionamento del settore bancario). Il motivo è che lo studio delle relazioni contemporanee e ritardate tra un numero elevato di variabili è fortemente vincolato dai dati a disposizione e dalla “stabilità strutturale” del periodo di tempo analizzato. Tali lacune sono colmate dall’analisi dei risultati ottenuti stimando modelli strutturali relativi a singoli paesi, dove è possibile studiare la reazione di un gran numero di variabili ad uno shock di politica monetaria, pur mancando ovviamente una omogeneità modellistica tale da far emergere nitidamente che le diverse risposte siano il frutto di un diverso meccanismo di trasmissione piuttosto che di una differente struttura analitico-modellistica. Tanto per fare un esempio, in alcuni paesi il tasso di cambio veniva inserito come variabile esogena, mentre in altri era ritenuto endogeno e la sua variazione poteva innescare canali aggiuntivi di trasmissione degli impulsi monetari. Con questi caveat, l’evidenza empirica disponibile relativa al periodo pre-UME sembrava sottolineare il ruolo principale svolto dal tasso di interesse e dal cambio nella trasmissione degli impulsi monetari nei paesi dell’area dell’euro3. Seppure alcune differenze nella trasmissione della politica monetaria a livello dei singoli paesi emergevano dalla stima dei modelli strutturali delle banche centrali, il messaggio generale che se ne poteva derivare era abbastanza rassicurante, non venendo evidenziate eccessive eterogeneità tra i paesi candidati ad entrare nell’UME. Un recente studio della BCE, riportato sul Bollettino mensile di maggio 2010, esamina come l’introduzione dell’Euro, a distanza di dieci anni dalla partenza del progetto dell’UME, abbia modificato la trasmissione della politica monetaria nell’area euro4. Lo studio sottolinea, in primo luogo, come si sia ridotta la vischiosità dei salari reali nell’area, probabilmente a seguito di riforme del mercato del lavoro e del processo di globalizzazione, e come gli stessi mostrino ora una variazione positiva a seguito di politiche monetarie espansive (mentre rimangono relativamente rigidi verso il basso). Un minor grado di rigidità salariale rende la politica monetaria più efficace, in quanto una maggiore rapidità di trasmissione ai prezzi implica oscillazioni ridotte nell’attività economica. Si osserva, in secondo luogo, che l’introduzione dell’Euro ha trasformato strutturalmente l’area. Da un lato, l’eliminazione del rischio di cambio ha aumentato scambi commerciali e transazioni finanziarie 3 Si vedano i contributi di De Arcangelis e Di Giorgio (2001 e 2006). 4 Un altro contributo relativo alla trasmissione della politica monetaria unica nell’area euro è quelli di Bonci (2010).

14


cross-border, rendendo al contempo più omogeneo tra i diversi paesi il peso del canale del cambio nella trasmissione della politica monetaria (in relazione al commercio verso paesi esterni all’area). Dall’altro, la credibilità dell’impegno alla stabilizzazione dei prezzi da parte della Banca centrale europea ha reso più piatta la curva di Phillips, indebolendo la relazione tra inflazione e output gap. Un ruolo determinante è stato svolto dall’ancoraggio delle aspettative di inflazione. In aggregato, la risposta di output e inflazione ad uno shock restrittivo di politica monetaria, non sembra aver osservato, rispetto a prima dell’introduzione dell’euro, modifiche significative quando viene simulata per mezzo di modelli VAR. L’impatto continua ad essere di tipo hump – shaped sull’output, la cui riduzione dopo 4-5 trimestri sembra solo di poco inferiore rispetto alle simulazioni degli anni 90. La risposta dell’inflazione sembrerebbe più rapida, ma i risultati dei test statistici rilevano che queste differenze non sono particolarmente robuste. L’evidenza fornita dai modelli strutturali suggerisce differenze più rilevanti, ma è ottenuta con modelli diversi, e quindi difficili da confrontare. In conclusione, è probabilmente corretto riconoscere una evidenza ancora ambigua circa le variazioni indotte dall’introduzione dell’euro in merito alla trasmissione della politica monetaria. Nel paragrafo seguente, utilizzeremo la metodologia VAR per valutare, in particolare, segnali di un diverso funzionamento del canale creditizio di trasmissione della politica monetaria nei maggiori paesi dell’area dell’euro, e, all’interno dello stesso, eventuali risposte eterogenee di diverse categorie di banche agli impulsi di policy.

4. L’eterogeneità nella trasmissione degli effetti di politica monetaria attraverso il sistema bancario Per analizzare gli effetti della politica monetaria, la metodologia più utilizzata è quella dei modelli VAR (vector autoregressive) strutturali, che consente di simulare la risposta dinamica di un numero limitato di variabili ad uno shock di politica monetaria sulla base dei parametri stimati di un modello il più possibile ateorico, seppure esplicitamente limitato all’analisi di poche variabili macroeconomiche5. Per shock si intende un disturbo puramente statistico, indipendente dal set informativo sulla cui base vengono prese le decisioni di politica monetaria. Si può pensare ad un errore nella procedura di controllo monetario o ad una imprevedibile “azione a sorpresa” del banchiere centrale. Si può obiettare che sarebbe più corretto focalizzare l’attenzione sulle scelte di politica monetaria, piuttosto che sugli “shocks”. In realtà, le azioni di politica monetaria sono il risultato dell’interpretazione da parte dei policy makers degli eventi macroeconomici, che dipendono non solo dalle scelte di agenti e policy makers, ma anche dalla realizzazione di shocks reali e finanziari. Nei modelli VAR si intende isolare gli effetti che derivano da uno shock “esogeno” di politica monetaria, ossia depurato dagli altri shocks presenti nell’economia. L’interpretazione degli shocks di politica monetaria segue la metodologia di Christiano, Eichenbaum e Evans (1998) e partono dalla funzione di reazione della banca centrale. Tale funzione è costruita sull’ipotesi che una parte significativa delle azioni della banca centrale riflette risposte sistematiche dei policy makers a variazioni nello stato dell’economia. Le scelte di politica monetaria che non possono essere interpretate in tal senso, costituiscono la nozione di “shock esogeno” di politica monetaria. In termini formali, possiamo riassumere quanto detto, con la seguente funzione:

5 Per una esposizione completa della metodologia VAR, si veda Di Giorgio (2013).

15


St = f ( Ωt ) + σ tεts

1)

dove St è lo strumento di politica monetaria (un tasso di interesse sul mercato monetario, la base monetaria o qualche sua componente, a seconda dei casi); f è una funzione (lineare) che rappresenta la funzione di reazione della banca centrale, e Ωt è il set informativo delle autorità monetarie; il termine di disturbo, ossia la variabile aleatoria σ tεts è uno shock di politica monetaria6. Lo shock εtspotrebbe riflette shocks esogeni sulle preferenze delle autorità monetarie riguardo ai pesi relativi dati ad inflazione e output nella loro funzione di reazione, shocks nelle aspettative degli agenti (che determinano variazioni esogene di politica monetaria) ed, infine, errori di misurazione nei dati preliminari disponibili al comitato decisionale nel momento in cui deve fare le sue scelte (interpretazione di Bernanke e Mihov (1998)). Tornando al VAR, una sua rappresentazione per un vettore di variabili, Zt , di dimensione k, è data dalla seguente 2) Z t = B1Z t −1 + K + Bq Z t −q + ut

con Eut ut′ = V

dove q è un numero intero non negativo e ut è incorrelato con i propri valori passati. Anche stimando le Bi , le ui e V , non potremmo calcolare la funzione di risposta dinamica di zi agli shocks fondamentali nell’economia poiché ogni elemento di ui riflette gli effetti di tutti gli shocks fondamentali nell’economia7. Non ci sarebbe alcuna ragione per presumere che un determinato elemento di ui corrisponda ad un particolare shock economico. Al fine di poter ricavare disturbi economicamente interpretabili come shocks esogeni “puri” (in letteratura questi vengono chiamati “innovazioni strutturali”) si assuma che esista una certa relazione tra i disturbi originali (le innovazioni fondamentali) del VAR e i diversi shocks esogeni, che indicheremo con ui , ad esempio

A0ut = εt con Eεtεt′ = D dove A0 è una matrice quadrata, invertibile, e D una matrice definita positiva. Seguendo questa trasformazione, per costruzione otteniamo la funzione di risposta all'impulso di εt sugli elementi di Zt . Per fare ciò si impongono delle restrizioni, sulla base della teoria economica sulla matrice A0 .

4.1. La stima di un modello macroeconomico con la metodologia VAR Prima di analizzare gli effetti di politica monetaria sui prestiti concessi in Italia, Francia e Germania, presentiamo una stima di un modello VAR con 4 variabili endogene con dati trimestrali riferiti all’area euro nel periodo primo trimestre 1999 – terzo trimestre 2011. Indichiamo con Yt = ( pt , yt , mt ,it ) il vettore delle variabili endogene dove, rispettivamente, pt è l’indice armonizzato dei prezzi al consumo, yt il prodotto 6Lo shock

εtsè normalizzato in modo da avere varianza unitaria, e deviazione standard st .

7Gli elementi di

ut vengono denominati appunto “innovazioni fondamentali”. 16


interno lordo, mt l’aggregato monetario M3, che è utilizzato nell’analisi monetaria dalla BCE, it il tasso d’interesse Euribor a 3 mesi, scelto come tasso d’interesse di breve periodo. Tutte le variabili, eccetto il tasso di interesse, sono espresse in logaritmi e sono aggiustate stagionalmente. Gli shocks di politica monetaria sono identificati attraverso una decomposizione di Cholesky, con le variabili messe in ordine dalla più esogena alla più endogena. Questo schema di identificazione implica che lo shock di politica monetaria può avere solo un impatto ritardato sulle altre variabili incluse nel modello. Per determinare l’ordine di ritardo del VAR abbiamo utilizzato test standard sul rapporto di verosimiglianza. La figura 1 mostra le funzioni di risposta ad impulso a seguito di uno shock di politica monetaria (linee azzurre intere, le linee rosse tratteggiate si riferiscono all’intervallo di confidenza del 95%) 8 . Osserviamo che uno shock di politica monetaria determina un effetto di tipo hump – shaped sull’output, che subisce una riduzione persistente e che continua ad essere statisticamente significativa anche dopo che lo shock di politica monetaria tende ad esaurirsi. Così come per l’output, l’effetto sui prezzi è quello atteso dalla teoria, con una diminuzione non immediata ma persistente. La figura mostra anche che la risposta di M3 non è statisticamente significativa: l’interpretazione che abbiamo di questo risultato è che M3 costituisce l’aggregato monetario scelto dalla BCE nell’analisi monetaria come indicatore anticipatore della dinamica dei prezzi.

Figura 1: Risultati del VAR relativo all'area euro

Re sponse o f PRICES to EURIBOR

Response of GDP to EURIBOR

.001

.004

.000

.000

-.001 -.004 -.002 -.008 -.003 -.012

-.004 -.005

-.016 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

2

Response of M3 to EURIBOR

4

6

8

10

12

14

16

18

20

18

20

Res ponse of EURIBOR to EURIBOR

.03

.006

.02

.004

.01

.002

.00

.000

-.01

-.002

-.02

-.004 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

2

4

6

8

10

12

14

8 Tutte le impulse response functions sono state derivate ipotizzando uno shock di entità pari alla deviazione standard.

17

16


4.2. Gli effetti della politica monetaria unica sul canale creditizio in Italia, Germania e Francia

Dopo aver presentato i risultati di un VAR a 4 variabili, consideriamo cosa succede ai prestiti concessi dalle istituzioni finanziarie monetarie in Italia, Germania e Francia. Intendiamo analizzare qual è l’effetto della politica monetaria unica nell’area dell’euro sul mercato del credito nei tre paesi. Per far ciò, considereremo nuovamente dei modelli VAR ed analizzeremo la funzione di risposta ad impulso a seguito di uno shock monetario. I dati si riferiscono allo stesso periodo analizzato in precedenza9. Il primo modello che analizziamo per l’Italia è un VAR composto dal PIL, i prestiti totali delle banche ed il tasso euribor, scelto nuovamente come tasso di policy. Quello che osserviamo nella Figura 2 a seguito di una stretta monetaria è che un aumento del tasso euribor porta ad una diminuzione del Pil (non immediata, ma dopo 4 trimestri), mentre i prestiti inizialmente aumentano in maniera statisticamente significativa per i primi 3 trimestri, per poi perdere di significatività anche quando, coerentemente con la teoria, i prestiti diminuiscono. Il Pil mostra l’andamento “a gobba” tipico di una contrazione della politica monetaria, mentre è più difficile interpretare l’andamento dei prestiti. L’aumento dei prestiti nei primi trimestri potrebbe essere spiegato da una dinamica economica positiva (in parte responsabile dell’aumento del tasso euribor, come effetto di una sorta di funzione di reazione della banca centrale). Ciò che è più interessante notare è la risposta non significativa dei prestiti concessi dopo il quarto trimestre, soprattutto se confrontiamo questo risultato con l’andamento dei prestiti in Germania e Francia (figura 3 e 4 rispettivamente). In questi paesi, a seguito di una restrizione monetaria, i prestiti inizialmente aumentano (ma in maniera non significativa dal punto di vista statistico), per poi diminuire (e con significatività statistica). Per quanto riguarda l’output, si registra anche qui una diminuzione significativa, come previsto dalla teoria, a seguito di una contrazione monetaria.

9 Brei et al. (2011) e Gambacorta e Marqués-Ibañez (2011) analizzano il canale creditizio bancario negli anni della crisi.

18


Figura 2: Funzione di risposta ad impulso in un VAR-3 per l’Italia con il PIL, i prestiti delle IFM italiane e il tasso euribor a tre mesi.

Response of GDP_IT to EURIBOR .004

.000

-.004

-.008

-.012 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

Response of LOGLOANS_IT_SA to EURIBOR .02 .01 .00 -.01 -.02 -.03 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

Response of EURIBOR to EURIBOR .006 .004 .002 .000 -.002 -.004 2

4

6

8

10

12

14

16

18

19

20


Figura 3: Funzione di risposta ad impulso in un VAR-3 per la Germania con il PIL, i prestiti delle IFM tedesche e il tasso euribor a tre mesi.

Response of GDP_GE to EURIBOR .002 .000 -.002 -.004 -.006 -.008 -.010 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

Response of LOGLOANS_GE_SA to EURIBOR .004

.000

-.004

-.008

-.012 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

Response of EURIBOR to EURIBOR .004

.002

.000

-.002

-.004 2

4

6

8

10

12

14

16

20

18

20


Figura 4: Funzione di risposta ad impulso in un VAR-3 per la Francia con il PIL, i prestiti delle IFM francesi e il tasso euribor a tre mesi.

Response of GDP_FR to EURIBOR .002 .000 -.002 -.004 -.006 -.008 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

Response of LOGLOANS_FR_SA to EURIBOR .005 .000 -.005 -.010 -.015 -.020 -.025 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

Response of EURIBOR to EURIBOR .006

.004

.002

.000

-.002 2

4

6

8

10

12

14

16

18

21

20


Anche con la metodologia VAR, tuttavia, non è immediato riconoscere nella variazione dei prestiti gli effetti indotti dalla domanda di credito piuttosto che dall’offerta, o se si preferisce, identificare il funzionamento di un canale del credito bancario addizionale rispetto al canale del tasso di interesse. Per tentare di determinare se effettivamente ci sia stata una restrizione dell’offerta di credito indotta da uno shock positivo del tasso euribor a tre mesi, utilizzeremo quindi, come proxy dell’offerta di prestiti, i dati della Bank Lending Survey, un’indagine condotta dalle banche centrali nazionali dei paesi che hanno adottato l’euro, effettuata in collaborazione con la Banca centrale Europea. L’indagine consente di evidenziare in maniera distinta, da un lato, i fattori che influenzano l’offerta di credito e, dall’altro, l’andamento della domanda di credito con le relative determinanti. Per quanto riguarda i fattori relativi all’offerta di credito, considereremo la domanda 1 del questionario inviato alle banche, che misura, in percentuale netta, se le banche hanno reso più stringenti le condizioni per la concessione di prestiti e l’apertura di credito a favore delle imprese negli ultimi tre mesi. Inseriamo tali dati nei VAR con tre variabili stimati in precedenza, facendo partire l’analisi dal 2003, anno in cui abbiamo la prima osservazione10. Le figure 5, 6 e 7 mostrano i risultati di uno shock sul tasso euribor a 3 mesi rispettivamente in Italia, Germania ed in Francia quando stimiamo un VAR a 4 variabili con Pil nazionale, prestiti totali concessi dalle banche, tasso euribor e i risultati della Bank Lending Survey. Le figure confermano l’evidenza precedente su una certa eterogeneità nella risposta delle variabili creditizie tra i 3 paesi considerati. In tutti e tre i paesi uno shock positivo del tasso euribor porta ad un irrigidimento nei credit standards, vale a dire le condizioni alle quali si approvano i prestiti, e quindi probabilmente ad una contrazione dell’offerta di credito. Tuttavia, mentre in Germania e Francia si osserva ancora una riduzione statisticamente significativa dei prestiti concessi, in Italia la variazione degli stessi è ancora statisticamente non diversa da zero. Questo suggerisce che, a fronte di un canale creditizio attivo in modo simile nei tre paesi, il canale tasso di interesse sia più forte in Germania e Francia e relativamente meno intenso nel nostro paese, forse a causa di una struttura produttiva più sbilanciata a favore delle piccole e medie imprese che non dispongono di fonti di finanziamento alternative al credito. Poiché l’analisi delle risposte ad impulso è simmetrica, i nostri risultati indicano anche che a seguito di shocks negativi al tasso euribor, le condizioni praticate dalle banche nella concessione di credito saranno meno rigide, quindi l’offerta di credito maggiore. Tuttavia, nel caso dell’Italia, le performances negative dell’economia reale nell’ultimo ventennio, dovute agli ingenti aggiustamenti fiscali e alla mancata attuazione di serie riforme strutturali, limiterebbero una dinamica virtuosa dei prestiti totali, che dipenderebbero quindi in modo più evidente da fattori legati alla domanda. Abbiamo ripetuto la stessa analisi VAR per le banche di credito cooperativo (Bcc)11. Così come evidenziato nell’analisi precedente, anche in questo caso troviamo una risposta eterogenea tra i tre paesi. Per l’Italia nuovamente uno shock positivo dell’euribor determina un inasprimento nella concessione dei prestiti alle imprese, ma nessun effetto significativo sui prestiti totali delle Bcc. Un’evidenza simile si osserva anche per la Germania, dove i prestiti delle Bcc non reagiscono in maniera significativa. A fronte di un canale creditizio attivo, abbiamo quindi una minore rilevanza del canale tasso di interesse, probabilmente dovuta ad un matching con la clientela più simile a quello delle banche italiane per le Bcc tedesche, vale a dire una clientela più rilevante di piccole e medie imprese. Per la Francia, invece, un aumento del tasso euribor è seguito da una riduzione significativa dei prestiti concessi dalle Bcc12. 10 De Bondt et al. (2010) e De Bonis et al. (2012) utilizzano i risultati della Bank Lending Survey per identificare gli shock di offerta

di credito. 11 I grafici sono disponibili su richiesta.

12 Nell’interpretazione dei risultati, tuttavia, occorre tenere presente che la misura utilizzata come proxy dell’offerta di credito probabilmente si adatta meglio alle grandi banche piuttosto che alle banche cooperative, poiché la Bank Lending Survey è effettuata tra un numero ridotto di banche. Per esempio, all’indagine sul credito bancario della Banca d’Italia partecipano le capogruppo di otto gruppi creditizi.

22


Figura 5:VAR 4 (1 lag) per l’Italia con credit standards, pil, prestiti ed euribor

Response of CREDIT_IT to EURIBOR

Response of GDP_IT to EURIBOR

.12

.008

.08

.004

.04 .000 .00 -.004

-.04

-.08

-.008 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

2

Response of LOGLOANS_IT_SA to EURIBOR

4

6

8

10

12

14

16

18

20

18

20

Response of EURIBOR to EURIBOR

.01

.004

.002

.00

.000 -.01 -.002 -.02 -.004 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

2

23

4

6

8

10

12

14

16


Figura 6: VAR 4 (1 lag) Germania con credit standards, pil, prestiti ed euribor Response of CREDIT_GE to EURIBOR

Response of GDP_GE to EURIBOR

.06

.004

.04 .000 .02 -.004

.00

-.02 -.008 -.04 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

2

Response of LOGLOANS_GE_SA to EURIBOR

4

6

8

10

12

14

16

18

20

18

20

Res ponse of EURIBOR to EURIBOR

.004

.004 .003

.000 .002 -.004

.001 .000

-.008

-.001 -.012 -.002 -.016

-.003 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

2

4

6

8

10

12

14

16

Figura 7: VAR 4 (1 lag) Francia con credit standards, pil, prestiti ed euribor Response of CREDIT_FR to EURIBOR

Res pons e of GDP_FR to EURIBOR

.08

.004 .002

.04

.000 -.002

.00 -.004 -.006

-.04

-.008 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

2

Res ponse of LOGLOANS_FR_SA to EURIBOR

4

6

8

10

12

14

16

18

20

18

20

Res ponse of EURIBOR to EURIBOR

.005

.004

.000

.002

-.005 .000 -.010 -.002

-.015

-.020

-.004 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

2

24

4

6

8

10

12

14

16


Il risultato che otteniamo, quindi, mostra una diversa reazione dei prestiti bancari nel nostro paese rispetto alla Francia ed alla Germania a livello aggregato ma un comportamento più vicino dal punto di vista della concessione di prestiti delle Bcc italiane a quelle tedesche. In conclusione, l’evidenza ottenuta sin qui suggerisce l’esistenza di una trasmissione qualitativamente simile della politica monetaria attraverso il canale del credito nei tre paesi, ma l’operare di un canale tasso di interesse eterogeneo e dal punto di vista quantitativo dominante.

5. Le principali dinamiche creditizie e finanziarie delle banche “locali”

In questa sezione, analizziamo, stimando singole equazioni, le principali relazioni esistenti sul mercato del credito in Italia, Germania e Francia, con particolare attenzione alle banche di credito cooperativo. Valutiamo inizialmente la relazione tra i tassi d’interesse sui prestiti bancari (durata 1-5 anni) ed il tasso euribor, controllando anche per il PIL. Le stime riportate nelle tabelle 2-4 in appendice suggeriscono una reattività più elevata in Italia dei tassi sui prestiti rispetto a variazioni dei tassi interbancari. Successivamente, stimiamo la seguente relazione:

loanst = c + αyt + β it + ut Nelle tabelle 5-7, in appendice, si riportano i risultati delle stime. Sia il coefficiente associato al pil che quello associato all’euribor sono significativi ed hanno il segno previsto, per tutti i paesi. Ancora una volta si nota una maggiore reattività dei prestiti delle banche italiane, sia alle componenti cicliche che alle variazioni del tasso euribor. In base all’evidenza precedente mostrata nei modelli VAR, possiamo quindi interpretare questa relazione negativa tra l’euribor ed i prestiti concessi in Italia in termini di un forte effetto negativo sulla domanda di prestiti, determinato dalla veloce reazione dei tassi attivi bancari. Ripetendo lo stesso esercizio per le banche di credito cooperativo (tabelle 8-10 in appendice) si ottengono risultati simili: i prestiti delle Bcc italiane sono maggiormente reattivi a fronte di una variazione del tasso euribor. Inoltre, in ogni paese, la domanda di prestiti scende in modo relativamente più intenso per le Bcc rispetto alla totalità delle banche, un fenomeno probabilmente dovuto al carattere “locale” delle relazioni banca-impresa.

25


6. La performance del credito cooperativo locale e il sostegno all’economia territoriale

In questo paragrafo, analizziamo la recente performance delle Bcc aderenti a Federlus, confrontandola con quella del complesso delle Bcc a livello nazionale e con l’intero sistema bancario italiano, con l’obiettivo di individuare la capacità di tenuta del comparto dopo le crisi finanziarie dei subprime e del debito sovrano. Un primo confronto è relativo all’andamento dei prestiti. Come evidenziato nella figura 8, il tasso di crescita degli impieghi durante la crisi, pur a livelli contenuti, è rimasto sempre in territorio positivo (fino al 2011), mostrando una dinamica lievemente migliore rispetto al sistema del credito cooperativo, e decisamente superiore rispetto all’andamento dell’intero sistema bancario italiano (i cui dati peraltro includono anche il credito cooperativo, da cui segue una performance relativa ben inferiore delle altre banche). Figura 8: variazione percentuale dei prestiti concessi durante il periodo 2009 – 2011 da tutte lee banche (linea verde), da tutte le banche di credito cooperativo (linea rossa) e dalle banche Federlus (linea azzurra)

6% 5% 4% 3% 2% 1% 0% -1% -2% -3% -4% Federlus

Totale BCC

Totale banche

Nonostante la più sostenuta dinamica creditizia, inoltre, le sofferenze sono rimaste a livelli decisamente più bassi nel sistema Federlus, come evidenziato nella figura 9, da cui si evince anche una sostanziale omogeneità, al 2011, dell’intero sistema cooperativo rispetto al resto del sistema bancario italiano.

26


Figura 9: sofferenze di tutte le banche italiane (istogramma verde), di tutte le banche di credito cooperativo (istogramma rosso) e delle banche Federlus (istogramma (istogramma azzurro). Per Federlus: sofferenze/impieghi. Per totale BCC e totale banche italiane: sofferenze /impieghi sino al 2007 e dal 2008 al 2011 sofferenze/prestiti.

6%

5%

4%

3%

2%

1%

0% 2002

2003

2004

2005

Federlus

2006

2007

Totale BCC

2008

2009

2010

2011

Totale Banche

Dal punto di vista della redditività, purtroppo, le figure 10 e 11 mostrano il progressivo pr deterioramento dell’industria bancaria nel nostro paese, sia in termini di return on assets che di return on equity. In particolare, a fronte dii una redditività negativa del totale delle banche italiane nel 2011, il sistema del credito cooperativoo si mantiene leggermente positivo (figura 10). In termini di ritorno sul capitale, il sistema Federlus tiene relativamente meglio, se si considera che il dato del 2011 è viziato dalla disastrosa performance dei valori di mercato delle banche quotate, fortemente fortemente contagiate dagli effetti della crisi del debito sovrano e dall’incertezza causata dallo svolgimento dei primi stress test da parte della nuova autorità di regolamentazione bancaria in Europa (EBA).

27


Figura 10: ROA di tutte le banche italiane italiane (istogramma verde), di tutte le banche di credito cooperativo (istogramma rosso) e delle banche Federlus (istogramma azzurro).

2,5% 2,0% 1,5% 1,0% 0,5% 0,0% 2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

2010

2011

-0,5% -1,0% Federlus

Totale BCC

Totale Banche

Figura 11:: ROE di tutte le banche italiane (istogramma verde), di tutte le banche di credito cooperativo (istogramma rosso) e delle banche Federlus (istogramma azzurro).

14% 12% 10% 8% 6% 4% 2% 0% 2002

2003

2004

2005

Federlus

2006

2007

Totale BCC

28

2008

2009

Totale Banche

2010

2011


Conclusioni

Questo studio ha analizzato la trasmissione della politica monetaria nei maggiori paesi dell’area dell’euro, focalizzando l’attenzione, in particolare, sul funzionamento dei mercati bancari e creditizi. L’evidenza empirica ottenuta dalla stima di semplici modelli autoregressivi vettoriali sembra sottolineare una risposta eterogenea del mercato del credito in Italia rispetto a quello tedesco e francese, a seguito di un medesimo impulso esogeno di politica monetaria. La considerazione di una variabile proxy dell’offerta di credito bancario, rilevata dalla Bank Lending Survey condotta dalla BCE insieme alle banche centrali nazionali, ha tuttavia evidenziato una risposta simile, in termini di offerta di prestiti, da parte delle banche dei tre paesi. Ne discende che la diversa performance in termini di volumi dei prestiti bancari riflette un diverso operare del canale di trasmissione via tasso di interesse, da un punto di vista quantitativo probabilmente più significativo. Questo canale risulterebbe più reattivo in Francia e Germania che nel nostro paese, forse anche in virtù di maggiori fonti di finanziamento alternative disponibili per le imprese. I risultati ottenuti per i sistemi bancari nazionali sono confermati anche per l’aggregato delle banche di credito cooperativo in Italia e Francia, ma non in Germania13. In questo caso, la risposta dei prestiti erogati dalle Bcc tedesche ad un impulso di politica monetaria è in linea con quella delle Bcc italiane, e mostra una scarsa significatività statistica. È plausibile che ciò dipenda da un matching simile in relazione alla clientela di queste banche (piccole e medie imprese locali), mentre l’appartenenza a gruppi di dimensione nazionale delle banche di credito cooperativo francesi potrebbe spiegarne la risposta diversa e più in linea con quanto osservato per l’intero sistema bancario. Anche stimando semplici equazioni lineari relative alla domanda di prestiti si ottiene evidenza di una certa eterogeneità nel funzionamento dei mercati del credito tra i 3 diversi paesi. A distanza di oltre 10 anni dall’introduzione della valuta unica, il livello di integrazione economica nell’area dell’euro non è ancora sufficientemente elevato. Permangono notevoli differenze strutturali relative al funzionamento dei mercati dei beni e dei fattori produttivi, regolamentazioni e legislazioni (anche fiscali) non perfettamente armonizzate, nonché prassi di comportamento diverse che rendono difficile una trasmissione omogena degli impulsi di politica monetaria. In questo contesto, non è improbabile che dovremo assistere di nuovo all’emergere di tensioni di intensità simile a quelle recentemente sperimentate durante la crisi dei debiti sovrani, e che hanno richiesto interventi straordinari di politica monetaria, quali le ingenti Long Term Refinancing Operations o l’annuncio delle Outright Monetary Transactions, i cui effetti è ancora presto per poter valutare compiutamente. Il proseguimento dell’esperienza della valuta unica richiede necessariamente nuovi sforzi di trasferimento di sovranità nazionale, dalla regolamentazione bancaria e finanziaria ad una maggiore integrazione fiscale, con spazi più ampi dedicati al bilancio comune (e riduzioni in quelli nazionali), fino a qualche forma, gradualmente accettabile, di unione politica. Dal punto di vista delle banche, e in particolare delle banche di credito cooperativo, la difficile fase congiunturale in corso si inquadra in un contesto di strutturale difficoltà dell’economia italiana, ormai da due decadi in ritardo sulle altre economie dell’area euro e sulla media delle economie dei paesi industrializzati. I successi relativi ottenuti rispetto al resto del sistema bancario nazionale, non devono far dimenticare l’importanza della sfida in corso. Una redditività in forte riduzione, in presenza di tassi di interesse che rimarranno bassi ancora per diversi trimestri, richiede sforzi continui di riorganizzazione nell’offerta di prodotti e servizi e di ricomposizione della prima linea del conto economico, con una espansione dei redditi da servizi. In questa direzione, alcune possibili indicazioni strategiche da suggerire vanno da una maggiore attenzione allo sfruttamento di economie di scala, attraverso logiche di “gruppo”, ad investimenti mirati su 13 Aquilani et al. (2012) effettuano un’analisi comparativa tra le Bcc italiane e quelle francesi. Ory e Lemzeri (2012) mostrano come

le Bcc francesi hanno adattato la loro struttura organizzativa dopo la crisi.

29


canali innovativi di relazione con la clientela (banca on line e mobile banking), alla consulenza professionale a tutto campo alla clientela business, attraverso centri dedicati per l’offerta di servizi di corporate finance agli imprenditori e alle piccole imprese locali, con l’obiettivo di aiutarle a sopravvivere e auspicabilmente a crescere con un patto esplicito di partnership a medio lungo termine. Sono sfide difficili, ma da cui dipende la capacità di ripresa dell’intero sistema Italia, un paese che ancora si basa sui territori e sulla loro capacità (o meno) di sfruttare nel modo migliore le reti di rapporti e di competenze che vi si trovano.

30


Appendice

Tabella 2: stima della relazione tra tassi d’interesse bancari, pil e tasso euribor in Italia Dependent Variable: TASSI_IT Sample (adjusted): 2003Q1 2012Q3 Variable

Coefficient

Std. Error

t-Statistic

Prob.

C GDP_IT EURIBOR

1.181545 -0.090628 0.800501

0.391439 0.030685 0.055031

3.018463 -2.953495 14.54639

0.0046 0.0055 0.0000

Adjusted R-squared

0.924158

Tabella 3: stima della relazione tra tassi d’interesse bancari, pil e tasso euribor in Germania Dependent Variable: TASSI_GE Sample (adjusted): 2003Q1 2012Q3 Variable

Coefficient

Std. Error

t-Statistic

Prob.

C GDP_GE EURIBOR

0.165103 -0.009956 0.437947

0.121116 0.009125 0.029487

1.363184 -1.091060 14.85241

0.1813 0.2825 0.0000

Adjusted R-squared

0.852721

Tabella 4: stima della relazione tra tassi d’interesse bancari, pil e tasso euribor in Francia Dependent Variable: TASSI_FR Sample (adjusted): 2003Q1 2012Q3 Variable

Coefficient

Std. Error

t-Statistic

Prob.

C GDP_FR EURIBOR

0.753753 -0.055603 0.508041

0.148907 0.011470 0.026612

5.061921 -4.847488 19.09041

0.0000 0.0000 0.0000

Adjusted R-squared

0.906192

Tabella 5: stima della relazione tra prestiti totali, pil e tasso euribor in Italia Dependent Variable: LOGLOANS_IT_SA Method: Least Squares Sample: 1999Q1 2012Q3 Variable

Coefficient

Std. Error

t-Statistic

Prob.

C GDP_IT EURIBOR

-78.61350 7.306208 -14.09315

9.882479 0.774136 1.842098

-7.954836 9.437887 -7.650598

0.0000 0.0000 0.0000

Adjusted R-squared

0.697973

31


Tabella 6: stima della relazione tra prestiti totali, pil e tasso euribor in Germania Dependent Variable: LOGLOANS_GE_SA Method: Least Squares Sample: 1999Q1 2012Q3 Variable

Coefficient

Std. Error

t-Statistic

Prob.

C GDP_GE EURIBOR

0.004573 1.154973 -1.309878

1.048249 0.078933 0.295851

0.004363 14.63227 -4.427487

0.9965 0.0000 0.0000

Adjusted R-squared

0.845191

Tabella 7: stima della relazione tra prestiti totali, pil e tasso euribor in Francia Dependent Variable: LOGLOANS_FR_SA Method: Least Squares Sample: 1999Q1 2012Q3 Variable

Coefficient

Std. Error

t-Statistic

Prob.

C GDP_FR EURIBOR

-39.15293 4.180757 -4.758075

3.289953 0.253196 0.994865

-11.90075 16.51194 -4.782632

0.0000 0.0000 0.0000

Adjusted R-squared

0.875307

Tabella 8: stima della relazione tra prestiti totali delle Bcc, pil e tasso euribor in Italia Dependent Variable: LOGLOANSBC_IT_SA Method: Least Squares Sample: 1999Q1 2012Q3 Variable

Coefficient

Std. Error

t-Statistic

Prob.

C GDP_IT EURIBOR

-121.5284 10.43894 -22.16898

11.64542 0.912235 2.170711

-10.43573 11.44326 -10.21277

0.0000 0.0000 0.0000

Adjusted R-squared

0.786943

Tabella 9: stima della relazione tra prestiti totali delle Bcc, pil e tasso euribor in Germania Dependent Variable: LOGLOANSBC_GE_SA Method: Least Squares Sample: 1999Q1 2012Q3 Variable

Coefficient

Std. Error

t-Statistic

Prob.

C GDP_GE EURIBOR

1.924591 0.764497 -2.496183

1.552286 0.116887 0.438107

1.239843 6.540464 -5.697651

0.2206 0.0000 0.0000

Adjusted R-squared

0.658294

32


Tabella 10: stima della relazione tra prestiti totali delle Bcc, pil e tasso euribor in Francia Dependent Variable: LOGLOANSBC_FR_SA Method: Least Squares Sample: 1999Q1 2012Q3 Variable

Coefficient

Std. Error

t-Statistic

Prob.

C GDP_FR EURIBOR

-53.62477 5.169522 -5.929911

2.744476 0.211216 0.829916

-19.53917 24.47507 -7.145197

0.0000 0.0000 0.0000

Adjusted R-squared

0.939398

33


Riferimenti bibliografici

Aquilani B., C. Gatti e P.G. Grignaschi (2012): “Struttura e governo della cooperazione di credito a supporto del territorio: i casi italiano e francese a confronto”, XXIV Convegno Annuale di Sinergie. Banca Centrale Europea, Bollettini mensili, vari anni. Bernanke B. e I. Mihov (1998): “Measuring Monetary Policy”, Quarterly Journal of Economics, n.113(3). Bonci R. (2011): “Monetary Policy and the Flow of Funds in the Euro Area”, ECB Working Paper n.1402. Brei M., L. Gambacorta e G. von Peter (2011): “Rescue Packages and Bank Lending”, BIS Working Paper n.357. De Arcangelis G. e G. Di Giorgio (2001): “Measuring Monetary Policy Shocks in a Small Open Economy”, Economic Notes, n.1. De Arcangelis G. e G. Di Giorgio (2006): “Monetary Policy Shocks and Transmission in Italy: a VAR analysis”, in “Monetary Policy and Institutions”, a cura di G. Di Giorgio e F. Neri, Luiss University Press, n.1. De Bondt G., A. Maddaloni, J.L. Peydró e S. Scopel (2010): “The Euro Area Bank Lending Survey Matters – Empirical Evidence for Credit and Output Growth”, ECB Working Paper n.1160. De Bonis R., L. Infante e F. Paternò (2012): “From bank capital to credit and effective demand: a tale of the US and Europe”, mimeo. Di Giorgio G. (2013): “Economia e Politica Monetaria”, CEDAM. Gambacorta L. e D. Marqués-Ibañez (2011): “The Bank Lending Channel: Lessons from the Crisis”, BIS Working Paper n.345. Ory J.N. e Y. Lemzeri (2012): “Efficiency and Hybridization in Cooperative Banking: the French Case”, Annals of Public and Cooperative Economics n.83(2).

34


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