IL SEGNO DEL TERREMOTO Vuoti urbani del Cratere MEMORIE SILENTI Castelsantangelo sul Nera (MC)

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Questo Quaderno è stato stampato in occasione del Convegno “SISMA UN ANNO DOPO Analisi, valutazioni e prospettive” Promosso dal Comune di Castelsantangelo sul Nera Presso la struttura polivalente sede provvisoria del Comune di Castelsantangelo sul Nera (MC) 11.11.2017 Con il contributo di Nerea S.p.A. e Norcineria Alto Nera s.n.c. Segreteria organizzativa Comune di Castelsantangelo sul Nera

Si ringrazia per la collaborazione e per il contributo documentario: Mauro Falcucci, Sindaco di CasCas telsantangelo sul Nera; Anna Marzoli; Fabio Facciaroni; Gianfranco Mancini;Enzo Capasso; Maurizio Pittana; Valerio Peroni; Renato Taschini; Andrea Di Franco; Angelo Cristiani; gli abi tanti di Castelsantangelo sul Nera per la loro disponibilità e gentilezza;

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RAFFAELLA MATOCCI

IL VIAGGIO PERCORSO DI IMPRESSIONI

Ci sono tanti modi per approcciarsi ad un viaggio, viaggio che non è solo sinonimo di partenza, spostamento ed arrivo. Il viaggio è anche un percorso fatto di passi, suoni, profumi, sensazioni, impressioni. Impressioni di una giornata estiva, iniziata all’alba. Si parte in macchina da Roma verso alcune delle zone terremotate delle Marche, nello specifico Castelsantangelo sul Nera. Il tempo è variabile, perfettamente in linea con la mutevolezza delle sensazioni che si hanno nell’ascoltare la voce narrante della memoria, Anna Marzoli, architetta di professione ed appartenente, da sempre, alla

comunità che stiamo per incontrare. “La nostra è un’Architettura molto povera”, ci racconta, “la cosa più importante, ora, non è la ricostruzione ma la ripopolazione. Vi sono persone disperse. Siamo cresciuti con i terremoti, ma nessuno di noi ne rammenta uno così forte” Disorientamento. Forse è questo il sentimento più forte che si respira sentendo parlare Anna; ed è lo stesso che si prova entrando nella Zona Rossa di Visso, presidiata dall’esercito, lo stesso che trasuda dalle parole delle persone che incontriamo lungo il nostro cammino; persone che hanno deciso di rimanere e di rinunciare alla possibilità di es-


sere trasferite lungo la costa Adriatica. Questi sono piccoli Borghi, piccole realtà sovrastate dalla presenza, tanto protettiva quanto imponente, dei Monti Sibillini che li circondano. “Queste sono persone di montagna”, dice Anna, “e chi nasce e vive nella montagna, non la abbandona” Eppure questi luoghi sono abbandonati, quasi totalmente. E’ un deserto di macerie, di crolli, di oggetti rimasti bloccati in un contesto che non esiste più, che non ha più forma. La natura sembra essere l’unica compagna: il rumore dell’acqua, il canto degli uccelli, il vento, i chiaroscuri delle nuvole che si infrangono sui tagli dei muri crollati. Allora ti fermi. Ti fermi a pensare che se la natura non cessa di vivere e di essere presente è perché sta parlando e sta dicendo che la vita di questi centri deve tornare al suo splendore. Deve per tante ragioni. In primo luogo per chi è rimasto a difesa del territorio e per lottare. “E’ troppo facile andare via”, dice un ragazzo del luogo, “che ci si mette! Basterebbe così poco. Ma posso farlo? Posso abbandonare le persone che ancora vivono qui? Che hanno deciso di non andare via? No. Io non me la sento.” Mi chiedo da cosa nasca la spinta così forte che anima queste parole. Mi chiedo che nome abbia questo sentimento così assoluto che non lascia spazio a niente altro. E’ senza dubbio la dignità di persone che vivono da un anno dentro una roulotte, che condividono tutto: il cibo, la quotidianità e la loro vita da quel 24 agosto 2016, giorno della prima scossa. Paradossalmente giorno oggetto di ringraziamento perché ha permesso una prima evacuazione dai centri urbani e ha fatto sì che il 30 ottobre, alle ore 7.30 del mattino, le mura che sono definitivamente crollate, non abbiano travolto persone al loro interno. “Qui non ci sono stati morti”, dice Andrea, un volontario che da un anno fa avanti e indietro da 4

Roma per portare viveri e necessità di primo soccorso agli abitanti rimasti, “Nelle altre zone del cratere si piangono i morti, qui fanno paura i vivi” “Perché?”, chiedo io, “Perché i vivi hanno voce ed hanno delle richieste ben specifiche da fare”, risponde immediatamente lui. I vivi hanno voce. E’ vero. Indiscutibile. Di primo acchito non riesco a capire perché la voce dei vivi sia “scomoda” ma bastano poche altre parole e tutto diventa più chiaro, comincia ad avere un senso. Il disorientamento che, nel frattempo, non ha smesso di accompagnarci, alla base di tutti i discorsi che ascolto, non è altro che il frutto del disorientamento delle istituzioni. Non si sa ancora nulla in merito a cosa accadrà in futuro. “Qualsiasi progetto si deciderà di fare, dovrà rientrare in un Piano di Recupero, come è accaduto per il terremoto del 1997 ”, ci racconta Anna, “ tuttavia mancano ancora le perimetrazioni del cratere e forse ci vorranno almeno tre anni perché si possa parlare di un qualsiasi tipo di intervento”. Quindi, un Piano di Recupero, ma non è sicuro. Deciso e volto a cosa? Non si sa. Ci saranno demolizioni e successive ricostruzioni? Non è dato saperlo. Ma almeno si sa se verranno stanziati dei soldi? Probabile. Vengo a sapere che una parte del finanziamento è già arrivata. Per far fronte a cosa nello specifico? Per gli alloggi temporanei. Temporanei. Altro termine che suscita disorientamento ed, allo stesso tempo, paura che sia tutt’altro che temporaneo. L’unico appiglio che ho per non cadere anche io nel disorientamento più totale, sono le parole delle persone che intervisto. Parole che hanno la stessa forza della voce della Natura che tiene ancora vivi questi luoghi. Parole che anelano alla vita. Parole di dignità, di etica, di forte dolore ma anche di tanta speranza. Loro sono il loro stesso punto fermo, il cardine da cui si potrà muovere tutto. Le parole dei vivi.


Grazie a tutti voi vivi. Grazie ad Anna, Fabio, Gianfranco, Renato, Marino, Andrea, Angelo e a tutte le persone vive di cui non conosco il nome ma che sono parte attiva della comunitĂ .

Raffaella Matocci

Quaderno Diatomea Amate l’Architettura #1 5


DIALOGO CON MAURO FALCUCCI

L’IMPORTANZA DELLA CONSAPEVOLEZZA LE PAROLE DEL SINDACO

Incontriamo Mauro Falcucci, Sindaco di Castelsantangelo sul Nera (MC), nella sede provvisoria del Comune. Quando gli chiediamo di offrirci la sua opinione sullo stato dei fatti ci risponde: “Il problema più grande è come si fa a far capire alla gente che noi ci siamo. Ci dicono: non fate niente! Al di là delle macerie, che è un problema oggettivo, ma il resto? Il resto è: come fai ad intervenire in un contesto in cui ci sono continui piccoli crolli? Ogni volta che vado a fare un nuovo sopralluogo trovo nuove macerie. Il problema è che queste strutture ormai hanno perso il loro originario equilibrio. Ho chiesto a Paola De Micheli, il nuovo commissario straordinario alla ricostruzione delle aree colpite dal terremoto del Centro Italia, di accelerare al massimo per alcune realtà, fermare e bloccare le scadenze, che sono una cosa inutile. Dobbiamo fare la Perimetrazione. Assolutamente. E’ un dramma. Non sai dove mettere le mani. Da dove cominciamo? Tutti i sottoservizi non ci sono più e i tempi per ripristinarli sono biblici, è questo che non si riesce a spiegare alle persone. Io ho in mano i soldi degli sms che sono arrivati ma non so cosa ci devo fare, ho anche i soldi per la Casa di riposo, ma non so dove devo farla. Ho i soldi ma non so come devo usarli. Una risposta potrebbe essere formulata con una domanda: come si possono ricostruire i borghi dei centri storici? Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica come ricostru6

ire un centro storico. E’ vero che ci può essere la delocalizzazione, ma non si può delocalizzare tutto. Questo è un tema delicato ed importante. Questa è la risposta a noi. La mia opinione è che bisogna avere consapevolezza di quello che è successo. Solo in questo modo si riuscirà a mantenere la forza e la costanza e ci si renderà conto del tempo che serve per fare le cose. Se non si capisce questo, si fa confusione e la confusione porta a scappare. Se ami questa terra e hai la consapevolezza di quello che è accaduto, che questo non sia stato un terremoto normale, ne capisci il dramma. Questo terremoto ci ha massacrato. O prendiamo e facciamo nostri i tempi e trasmettiamo ai figli la tenacia di ritornare alla terra, o fra un po’, quando tutti noi, di una certa età, andremo a miglior vita, questo ombelico, che ci tiene uniti a questa terra, si perderà. Dobbiamo trasmettere ai giovani l’attaccamento alla terra e la pazienza di saper aspettare, perché il momento che abbiamo attraversato e che stiamo vivendo è del tutto nuovo anche per noi. Dimostrare l’amore per questa terra, questo è il mio intento. Noi siamo un paese di montagna che contava appena duecentosettantasette residenti e questa è una comunità che si sta disgregando perché purtroppo, ad un anno di distanza, il terremoto ci ha rovinato anche la cosa che è di più difficile recupero: l’aspetto psicologico. Il terremoto colpisce in maniera forte nell’immediato e poi, come le repliche, si sente più forte a distanza di qualche mese che subito, per-



ché subito c’è la paura, c’è il terrore, la disperazione. Poi, piano piano, il maturare della consapevolezza del dramma lascia segni indelebili dentro la mente. Ed è questo che sta colpendo. Là dove poi la popolazione è per lo più anziana, il problema subisce ulteriori complicazioni, perché segna l’impossibilità di rispondere all’appello del tuo cittadino anziano che gradirebbe vivere nello stesso posto in cui è nato, ed è drammatico quando ti trovi nell’impossibilità di dare una risposta, dettata, sicuramente, dal dramma oggettivo. Le immagini hanno un senso ma la realtà ha un altro significato. Un significato che fa capire di quanto ognuno di noi dovrebbe essere contento di quello che ha e sapere che quando la natura colpisce con questo tipo di dissesti, colpisce duro, perché spesso la natura si riprende quello che noi le abbiamo tolto, là dove, per cento anni, non è successo nulla. Quello che penso è che nel terremoto mediatico noi siamo stati, purtroppo, dimenticati, in primo luogo perché siamo piccoli, poi perché non abbiamo avuto vittime. Non le abbiamo avute perché nel lontano 1997 fummo colpiti da un altro sisma ed in occasione di quell’evento, di certo non di questa entità e di questa intensità, facemmo questa ricostruzione attraverso il miglioramento sismico che ha consentito alle case di non crollare. Già il 24 agosto 2016, nel terremoto con epicentro ad Amatrice, abbiamo registrato danni fisici e materiali e le persone fortunatamente non hanno subìto alcun danno anche se in quel momento qui si contavano circa 4000 persone. Pur essendo piccoli, abbiamo un enorme patrimonio abitativo, perché abbiamo più di 1.400 abitazioni che sono delle seconde case. Questo territorio è dimenticato. Si parla molto di Norcia, di San Benedetto e noi non abbiamo avuto quella eco che hanno avuto gli altri. Siamo dimenticati ogni qual volta veniamo chiamati non con il nostro nome ma con “il comune vicino a 8

Norcia o il comune della provincia di Macerata”; questo, a livello di dignità di presenza, fa male. Oltre a tutto questo i tempi si sono allungati per una serie innumerevoli di ragioni. Questo è un terremoto che è stato inizialmente omologato con le stesse tecniche di intervento e di accentramento decisionale che ha avuto l’Aquila. E’ un territorio di circa 70kmq, è enorme, inserito nelle montagne e con una densità abitativa estremamente bassa, perché siamo nel cuore del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, quindi abbiamo anche un’altra peculiarità, sopportiamo e soffriamo dei vincoli che ci hanno limitati nello sviluppo ma che speriamo di poter superare in casi di emergenza come questi. Abbiamo necessità di occupazione perché siamo fermamente convinti che senza occupazione non ci sia rinascita che tenga. Se non c’è lavoro, non c’è un ritorno economico. La sostenibilità in montagna ha un valore aggiunto di sofferenza, perché i diritti non sono uguali da tutte le parti, chi va a scuola si deve alzare prima e spesso le attività ricreative non ci sono. E’ molto dura ma dobbiamo far acquisire la consapevolezza di quello che è accaduto ai nostri cittadini con la speranza di riportarli qui quanto prima, perché una comunità rinasce quando si torna a vivere insieme. Speriamo di superare il dramma, non solo della perdita materiale, ma anche di quella psicologica che ci sta segnando profondamente.



DIALOGO CON ANNA MARZOLI

CASTELSANTANGELO SUL NERA MEMORIE

Intervistiamo l’arch. Anna Marzoli, appartenente, da sempre, alla comunità di Castelsantangelo sul Nera. “Ci troviamo sulle pendici del Monte Cardosa”, ci racconta visibilmente commossa, “che collega la parte di Norcia, Visso e Castelsantangelo. La faglia si trova sul Monte Vettore, il rilievo montuoso più alto del massiccio dei Monti Sibillini, situato al confine tra Umbria e Marche. Castelsantangelo sul Nera è il Comune nell’epicentro del sisma più danneggiato del Cratere, insieme a Ussita ed a Visso. Secondo i rilievi eseguiti, il 95% delle case è inagibile e vi è un’altissima percentuale di crolli totali e danni sostanziali. Le case si sono polverizzate e dalle demolizioni non si può recuperare assolutamente nulla. L’amministrazione comunale sta avviando le messe in sicurezza delle strade per eliminare le situazioni di pericolo imminente, che sono dovute sia ai crolli per le continue scosse sia alle piogge. L’unico rumore che si sente da mesi è il rumore dei cingoli”. I primi containers si incontrano nella Piazza del Mercato, Piazzale Piccinini. Sono stati sede del Comune, chi vi lavorava ha operato, da Ottobre fino a Luglio 2017 in condizioni di disagio totale, freddo, gelo, caldo, pioggia. Ed è qui che Anna ci racconta dei moduli doccia per i residenti accanto alla scrivania del Sindaco e a pochi altri funzionari del Comune. Ci informa, inoltre, che, attualmente, sono aumentate le coppie di anziani tornate ai loro paesi di origine terminata la disponibilità di accoglienza degli alberghi sulla costa, sopraggiunta la stagione turi10

stica. Nel momento in cui dovevano riprendere una nuova abitazione hanno preferito farsi questi mesi estivi in roulotte perché ancora in attesa delle casette provvisorie. La messa in opera dell’area Sae di Castelsantangelo sul Nera ha avuto numerosi problemi. All’inizio non era situata in questo luogo ma in un altro, successivamente ha subìto vari spostamenti ed ad oggi non è stata ancora completata. La consegna è prevista a fine anno. Tra i residenti ci sono due architetti, proprietari del B&B Fonte dell’Angelo, che era un’antica dimora di fine ‘700 in parte crollata perché la struttura è implosa. Da dentro si vede la parete interna con le macerie che arrivano fino alle finestre. Loro hanno scelto di rimanere, costruendosi da soli moduli abitativi per la loro vita privata, per lo studio, per l’operaio che li aiuta, rinunciando così alla SAE. Qui, ancora più che a Visso, la situazione di pietre non squadrate, arrotondate senza nessun legante, era ancora più diffusa. Questo Comune aveva circa trecento abitanti anche se il fatto della presenza degli stabilimenti, quale ad esempio quello di Nerea, faceva sì che ci fosse una buona percentuale di giovani. Durante la scossa del 30 Ottobre 2016 non vi era quasi nessuno, a differenza del 26 ottobre in cui c’erano tutti, radunati nel piazzale sottostante, ex sede del Comune. Castelsantangelo sul Nera conta varie frazioni sui Monti, tra cui Gualdo, Vallinfante, Nocelleto, Rapegna, Nocria , Macchie, Spina di Gualdo. Tutti paesini minuscoli, piccoli borghi quasi disabitati; a Macchie viveva


solo una coppia di anziani;a Gualdo una trentina di persone. La maggior parte abitava a Castelsantangelo. La norcineria Alto Nera, altra attività economica di Castelsantangelo, con negozio verso la strada e le abitazioni ai piani superiori e dietro i laboratori, si è trasferita a Osimo e sta attendendo di ritornare in paese, perché la lavorazione della carne al mare non dà lo stesso standard qualitativo. Le attività commerciali ,che torneranno nel piazzale a valle del Comune, saranno l’albergo Dal Navigante, situato nella frazione di Nocelleto, i due Bar che erano all’entrata del centro e la Norcineria Alto Nera. La deloca-

lizzazione delle attività commerciali fa sì che questo sia un caso in cui il tessuto insediativo debba essere ripensato e ridisegnato, nonostante il tessuto urbanistico, composto da strade e volumi, sia ancora visibile. Attualmente le proposte di delocalizzazione sono al vaglio attraverso l’accettazione del Piano Attuativo. La speranza resta quella di non ripetere gli errori del 1997. in cui le case ristrutturate, dove sono ancora visibili le piastre, si sono completamente sbriciolate nonostante si presumesse fossero state state messe in opera in maniera antisismica.


DIALOGO CON ANDREA DI FRANCO

ESSERE UN VOLONTARIO RICOMINCIAMO DA QUI

Andrea Di Franco, pur vivendo a Roma, dal 30 ottobre 2016 lavora come volontario nelle zone terremotate delle Marche assieme al gruppo “Ricominciamo da qui”. “Venendo più volte” ci racconta “mi sono affezionato a tanti posti belli qui nei dintorni. Ho portato mangimi quando gli allevatori erano veramente in difficoltà. Ho portato sempre un po’ di tutto. A distanza di un anno non mi è mai passata la voglia di aiutare. Continuo sempre a farlo, anche se in alcune persone, ho trovato anche diffidenza relativa al fatto che sembra strano che io faccia tutto questo solo per solidarietà. A differenza di Amatrice, qui ci sono tante frazioni e, sembra brutto dirlo, ma non ci sono stati i morti. Mentre ad Amatrice il problema sono stati i morti, qui il problema sono stati i vivi ed i vivi danno più problemi. A livello psicologico è disarmante vivere in un luogo in cui, per un anno, non sono mai cessate le scosse; le persone o sono rimaste o sono andate a vivere nella Costa e dopo tre mesi sono state spostate perché all’albergatore servivano i posti per i turisti; ad esempio ci sono degli alberghi sulla Costa dove sono presenti persone sia della Regione Lazio sia della Regione Marche ed hanno avuto due trattamenti diversi perché ci sono evidenti problemi tra Ente Regionale ed Ente locale. La deportazione verso la Costa ha fatto sì che le Istituzioni si siano prese tempo per tante cose, ad esempio per definire le aree e creare le zone Sae, solo che questo ha anche fatto sì che, ad oggi, i tempi si 12

siano allungati. Il tempo è passato. Quante zone Sae hanno consegnato per tutte queste frazioni? A distanza di un anno, pochissime! E’ normale, in un Paese civile, che non ci sia la possibilità di avere una casa in legno? Io ho portato circa sessanta roulottes avanti e indietro, ho fatto le raccolte alimentari. Questo per dire che chi è voluto rimanere ha avuto moltissimi problemi. Molti non torneranno più perché, per fortuna, hanno trovato lavoro sulla Costa, magari sono giovani e qui non hanno prospettive. Il problema grosso qui è ricominciare. Ad esempio, a Muccia, ci sono 4 bar, 100 persone, queste attività ad oggi fatturano circa 25 scontrini al giorno e non ce la fanno a sopravvivere. Questo significa che anche chi ha ricominciato è in grave difficoltà perché non c’è più nessuno a tenere attivi gli esercizi che sono rimasti in piedi. C’era una scuola a Pievebovigliana (adesso si chiama Valfornace dopo che i Comuni di Pievebovigliana e Fiordimonte si sono uniti a gennaio del 2017) che è crollata. I primi tempi, i ragazzi della scuola sono stati costretti a stare in una tenda, poi, con l’arrivo dell’inverno, questa tenda non ha più retto per la neve e sono stati mandati dentro al Palazzetto dove c’erano gli aiuti umanitari. E’ una parte di palestra dove hanno fatto un recinto attrezzato con banchi e sedie. Sai come era delimitata la zona? Con della carta e delle bottigliette d’acqua. La maestra, Paola Gerini, ha fatto un gran lavoro psicologico anche perché, oltre ad aver dovuto spiegare ai bambini il terre-


moto, ha dovuto spiegare loro perché la loro nuova scuola era lì, in quel posto delimitato da carta e bottigliette di acqua. Fortunatamente ora stanno ricostruendo la scuola grazie agli aiuti della Salini di Roma. Io lì ho cercato di far arrivare aiuti da tutta Italia perché non avevano più neanche una penna, non essendo potuti rientrare nella vecchia struttura inagibile. Abbiamo la scuola di Fiastra che addirittura sta in un agriturismo. Sono solo 8 i bambini rimasti e durante questi mesi passati facevano lezione dal lunedì al venerdì. Il venerdì, prima di andare via, dovevano riporre tutto il materiale dentro ad una cantina perché durante il fine settimana l’agriturismo doveva lavorare. Si parla troppo spesso di donazioni private ed il nostro merito è che, da un anno, non ci siamo mai fermati per

far conoscere le esigenze di queste persone a chiunque. Possibile che un’emergenza del genere si tenga sulle donazioni da parte dei privati? Si, perché loro ti dicono: su una classe di 30 persone ne sono rimasti solo 5 sul luogo. Loro hanno garantito le lezioni solo a coloro che si sono trasferiti sulla Costa, come se i sovversivi fossero i 5 rimasti e non coloro che se ne sono andati. Considera che per l’80% queste frazioni da un anno si reggono solo per il volontariato, dai campi di calcetto che hanno rifatto, dalle raccolte umanitarie, vestiario, roulottes, è tutto presente grazie al volontariato ed alle donazioni da parte dei privati. In tutto questo è bene che sia specificato che i Sindaci non c’entrano nulla. Loro sono impotenti, non possono toccare nessun soldo.


DIALOGO CON RENATO TASCHINI

LA STORIA SIAMO NOI LE RADICI CHE RESISTONO

Renato è stato il cuoco della Casa di Riposo per Anziani per 37 anni. Questa struttura ha subìto i danni già dal 24 agosto 2016 con le spaccature visibili sulla parte sinistra, poi con la scossa del 30 ottobre 2016 ci sono stati ulteriori crolli di notevole entità. “In questo luogo lavoravano 18 inservienti” , ci racconta Renato, “tra cuochi, operatrici ed infermieri, che in una situazione di 300 abitanti di tutto il Comune di Castalsantangelo è un numero considerevole. Durante la notte del 24 agosto, quando la struttura è stata evacuata, c’erano 28 anziani, quelli autosufficienti occupavano il primo piano e quelli non-autosufficienti erano tutti al piano sottostante. Questa struttura era stata ricostruita interamente dopo il terremoto del 1997 ed il Comune aveva affrontato una bella spesa per ristrutturarla. Per fare tutti questi lavori era rimasta chiusa per molto tempo ed era stata resa di nuovo agibile ad ottobre 2015. Ad agosto 2016 è stata distrutta un’altra volta! La notte della scossa del 24 agosto, abbiamo evacuato la struttura alle 4,30 di notte ed, in meno di un’ora, tutti gli anziani sono stati portati fuori nel piazzale; le persone non-autosufficienti le abbiamo tirate fuori con le carrozzine e le barelle. Per fortuna quando si è verificata la scossa del 30 ottobre, che l’ha distrutta tutta quanta, la struttura era vuota, altrimenti sarebbe accaduta una catastrofe”. “Dove sono state portate queste persone?”, gli chiediamo. “Nell’immediato sono state portate a Pieve Torina”, ci risponde, “ma non avendo più posto per 14

gestirli, li hanno dislocati; un po’ sono rimasti a Pieve Torina, un po’ sono stati mandati in diverse altre strutture di Case di Riposo” Quando gli domandiamo se dopo il terremoto sia rimasto senza lavoro, ci risponde che, per fortuna, è andato in pensione il 1 maggio del 2016. Continua il suo racconto: “Si è già deciso di ricostruire questa struttura, anche se non qui. Dovrebbero spostarla verso Nocria, anche se ancora è tutto da valutare. Si prevede che la nuova struttura sarà anche più grande, si parla di un’attesa di lavoro di circa 40 posti, contro i 18 che erano e di una capienza di circa 60 letti. Lo stanziamento dei soldi già c’è ed è da parte della Comunità Europea; subito dopo il terremoto è stato istituito un conto corrente per la ricostruzione della Casa di Riposo; poiché questo è stato il danno più grande del terremoto del 24 agosto, è stato richiesto che le donazioni fatte al Comune fossero destinate a questa ricostruzione. Nessuno certo si aspettava che da lì ad un paio di mesi sarebbe stato distrutto anche tutto il resto delle frazioni. A quel punto sono stati istituiti due conti correnti, uno per la casa di riposo Paparelli ed uno per il Comune, ma considera che siamo arrivati, con la raccolta fondi , a circa 400.000 euro di offerte, importo ancora ben lontano da quanto servirebbe per la ricostruzione. Questa struttura, invece, verrà demolita e ricostruita a spese del Comune, così come scritto nel Testamento di lascito della Paparelli. Probabilmente non sarà più una Casa di Riposo ma forse ci sarà un archivio



o un Museo, tra l’altro ad oggi questo sito è vincolato paesaggisticamente, pertanto sarà molto difficile ricostruirlo come Casa di Riposo. Dal terremoto nessuno è potuto entrare se non i Vigili del Fuoco e quindi tutto quello che era dentro è rimasto lì da allora, sia nella Casa di Riposo sia nella Chiesa. Guardando dentro è rimasta ancora tutta la sala apparecchiata dalla notte del 24 agosto 2016 ed l’unica cosa che si riesce a vedere da questo lato, perché dall’altro è interamente crollata. Sono rimasti appesi ancora gli indumenti dietro alla porta, ci sono calcinacci sopra i letti a terra. Il tempo sembra si sia fermato” “Accanto alla Casa di Riposo” ci racconta ancora Renato, “c’era anche uno splendido campanile con una bellissima Chiesa, che risale al 1362”. La chiesa di Santa Maria Castellare che fu costruita nel 1362 nel luogo ove nel sec. IX i Benedettini dell’Abbazia di Sant’Eutizio avevano edificato una piccola cella monastica, i cui resti sono tuttora visibili nel seminterrato sotto il coro. Il nome Castellare deriva dalla fortificazione munita di torre, poi inglobata nel campanile, che gli abitanti di Castelsantangelo sul Nera fecero costruire accanto al complesso benedettino, a presidio della via che conduceva a Norcia, attraverso la Forca di Gualdo e Castelluccio. Il polittico e il crocifisso sono stati realizzati da Paolo da Visso nel periodo 1435-1482. “Qui c’erano i Monaci dell’Abbazia di Sant’Eutizio, che è qui vicino Norcia, crollata, anche quella, a causa del terremoto”, continua Renato, “Avevano costruito una prima cellula per far pregare gli agricoltori che coltivavano queste terre e si occupavano delle terre dei Monaci Benedettini. Poi, piano piano, questa cellula è diventata un Monastero; nel frattempo è stata edificata la torre campanaria, eretta insieme alle mura di recinzione, finché poi non è passata in eredità alla Paparelli, che, alla sua morte, ha donato tutta la struttura al Comune di Castel16

santangelo sul Nera affinché servisse alla comunità come Casa di Riposo per anziani. La mattina del 30 ottobre 2016 la prima cosa che è caduta è stata la Torre del Campanile, che si è riversata interamente sulla Chiesa; dentro, infatti, ci sono ancora delle campane antichissime. Io mi sono battuto tanto anche per poter proteggere questa facciata e questo bellissimo portale che sono rimasti in piedi. Probabilmente se il Campanile non vi fosse crollato sopra, la Chiesa avrebbe retto. Questa Chiesa era bellissima, a servizio della comunità. Gli abitanti erano molto attaccati a questa Chiesa perché qui, durante il periodo della guerra, ci sono stati molti morti tra i partigiani e si sono verificati anche diversi assalti da parte dei tedeschi; vi erano delle lapidi che ricordavano tutti i defunti di guerra. Era grande come Chiesa ed è stata mira di tanti saccheggi, però qualcosa di importante, come dipinti, era rimasto. Questo è il portale bellissimo della Chiesa, all’interno aveva tre altari, un’urna di Santa Rita da una parte, dall’altro quelle di Sant’Antonio. E’ in uno stato di pericolo costante poiché non è stato possibile né fare il recupero di quello che è rimasto dentro, né metterlo in sicurezza. La Chiesa dentro aveva anche delle sculture molto belle. Ho dei ricordi bellissimi legati a questo luogo, ad esempio il giorno di Ferragosto si festeggiava la Madonna dell’Assunta e questo era un luogo di una grande festa con la Madonna con Bambino del Domo che scendeva e veniva lasciata una settimana qui, e tutti i cittadini la venivano a visitare. C’era un forte attaccamento a questo luogo, pieno di significati per noi. Era un punto di riferimento per tutta la comunità. Bruttissima esperienza della vita. Sono cose tremende veramente. Anche se la struttura era chiusa, io il 30 ottobre ero qui fuori, proprio all’entrata. Ho visto tutto il crollo, ho visto l’inizio del terremoto fino a quando non è passata tutta la scossa e ricordo tanti par-


ticolari che a raccontarli fanno venire i brividi. C’erano anche due poliziotti che stavano facendo dei rilievi per fare delle verifiche, perché già erano entrati degli sciacalli qui dentro attraverso una finestra. Loro due stavano dietro la struttura a fare delle foto e quando mi hanno visto uno di loro si è avviato verso la mia macchina parcheggiata all’entrata per venirmi a chiedere i documenti perché non potevo stare lì. Considera che questa è tutta zona rossa. Dopo che si è avvicinato alla macchina, mentre stava controllando i primi documenti, abbiamo sentito un grande boato che veniva da questa vallata, un fortissimo vento come un vulcano. Il poliziotto mi ha chiesto “Che cos’è questo rumore e tutto questo vento?” ed io ho risposto “Sarà una tromba d’aria - questo ho pensato all’inizio - Non ho fatto in tempo a dirgli così che la terra ha cominciato a tremare, inizialmente non in maniera forte poi tutto insieme c’è stata la grande scossa. Le piante che vedete qui intorno si piegavano tutte, tanto da arrivare a toccare il terreno. Lui si è messo accanto alla recinzione, io, che stavo ancora dentro la macchina, ho cominciato a sentire che andava tutta indietro e mi sono ritrovato alla fine della discesa, sulla curva, fino a che non ha trovato il piano. Fortunatamente, al momento, non mi è successo nulla, ma queste sono cose che all’inizio non riesci neanche a capire bene però dopo sono ricordi così tremendi che ti rimangono dentro la pelle e se ci ripensi rimani tanto scioccato. Passata la paura, mi sono diretto subito verso casa per andare a vedere quello che era successo; la mia casa non c’era più, era tutta crollata. La terra ha continuato a tremare fino a mezzogiorno. Io sono rimasto qui, mentre la mia famiglia si è spostata prima sulla Costa, poi in un appartamento a Macerata e solo ora sta riprendendo un pochino la normalità. Quando ho deciso di rimanere qui, ero in dubbio se farlo o meno; anche

il Sindaco ci esortava ad andare via perché aveva capito la pericolosità del rimanere. C’erano dei ragazzi che lavoravano alla Nerea e qualche agricoltore che doveva per forza restare in zona e non potevano trasferirsi verso il mare. Solo Macerata dista da qui 70/80Km; la strade, all’inizio, in alcuni tratti, non erano neanche percorribili, poi, piano piano sono state riaperte. La cosa brutta è stata anche che andavamo incontro all’inverno e qui gli inverni sono rigidi, freddi, c’è stata la neve, il ghiaccio, tanti problemi. Qualche ragazzo che si è spostato c’è stato, ma mi raccontava che per venire a lavorare alle 6,00 doveva partire alle 3,30 di notte per arrivare puntuale. Quindi questi ragazzi hanno insistito per rimanere qui insieme agli agricoltori che non hanno potuto abbandonare il loro bestiame. A quel punto, io sono rimasto con loro. L’ho fatto per un’amicizia che dura da una vita e soprattutto anche per non abbandonare questi ragazzi che ho visto nascere e crescere e che per me sono tutti come dei figli” .

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DIALOGO CON ANGELO CRISTIANI

RESILIENZA LA FORZA DI UN’IDEA

Incontriamo un’altra persona significativa di Castelsantangelo sul Nera, il prof. Angelo Cristiani, proprietario del B&B Fonte dell’Angelo. Anche lui ci racconta la sua storia: “Agli inizi, quando io e mia moglie siamo arrivati qui, usavamo questa casa solo in estate. Le finestre erano fatte con il fil di ferro e con un legno di uno spessore piccolissimo, solo 3cm, i vetri erano aggiuntati con il nastro. Così ho demolito e ricostruito tutto, non solo questa struttura, ma anche le altre due vicine. Avevo rifatto anche le fondazioni, che erano il mio orgoglio. Purtroppo con l’innalzamento delle falde e dell’acqua le fondazioni hanno ceduto. L’acqua che vedete in questa pozza era salita di circa 70cm, allagando, così, tutto lo Studio, buttandomi giù un’esedra bellissima, sbalzandola addirittura per aria. E’ stata una cosa terrificante ma il problema è che continua, non si ferma. La struttura è fatta tutta di muri maestri e questa casa era stata costruita in quattro blocchi. Inizialmente era una torre e, anche se adesso non si vede più, perché è stata demolita, sono ancora visibili i giunti che, all’origine, non erano stati collegati; me ne sono occupato io, dopo, quando ho fatto la ristrutturazione”. Perlustriamo con lui la sua proprietà e continua a raccontarci: “Crepe di questo tipo non possono essere risanate. L’unica cosa che ha tenuto è la volta a crociera che sta sulla prima campata, insieme alle due grotte. Se vi affacciate dentro, il solaio, con tutto quel peso lì, ha collassato, le 18

travi di ferro sono travi da 22cm e si sono piegate, quello era un muro da 90cm. E’ pazzesco. In quei giorni, tra l’altro, avevo una mostra di sculture qui in giardino che avrei dovuto chiudere proprio il giorno 24 agosto 2016, lo stesso giorno della scossa. L’ha chiusa il terremoto per me. Anche l’altra struttura aveva subìto dei danni, quindi io il giorno dopo, il 25 agosto, sono andato immediatamente a comprare le catene e le ho messe subito. Ecco perché non è venuta giù, altrimenti sarebbe crollata anche quella”. Angelo ha in progetto di realizzare una Casa sull’Albero. La vuole costruire fra gli abeti che vi sono in giardino. Si è fatto fare una relazione dall’Agronomo e dall’Ingegnere per poter realizzare questa struttura. “Proprio ora”, continua a raccontarci, “ mi è stata consegnata la relazione per la casa e qui dentro c’è tutto. Si vede la posizione degli alberi, la prima scaletta per salire sul primo piano dove trovo un balcone, dal balcone accedo alla prima parte sospesa dove trovo il saloncino, il bagno e le due camere. Salgo la scala e trovo un nuovo saloncino panoramico. Ieri sera mi sono calcolato la trave che sarà da sostegno e visto che sarà un bell’architrave, ho deciso di mettere la lampadina per illuminare il pingpong! Un omaggio a mia moglie che è una grandissima giocatrice di PingPong. Ovviamente la sto pensando come una struttura antisismica, scegliendo di utilizzare solo legno”. Angelo ci fa vedere anche un modulo che è diventato abitativo. Lui lo ha completamente isolato con una schiu-


ma di poliuretano ad alta densità. Vi ha installato anche le zanzariere. Angelo ci illustra anche il suo progetto denominato “Vascello del Tempo”: “La ragione per cui voglio realizzarlo è perché questo terremoto è stato un evento epocale. Ricordiamolo. Ricordiamo la Battaglia del Pian Perduto avvenuta nel 1522 e fatta per antiche controversie territoriali tra il Comune di Visso e quello di Norcia, ricordiamo le zitelle che andavano a chiedere a San Martino di trovare marito e non ricordiamo un evento drammatico di questo tipo? Io vorrei realizzare questo Museo della Memoria non religioso, perché non religioso significa per tutte le religioni; è la spiritualità che mi interessa. Se si fermano delle persone qui è per chiedere “dove è Castelsantangelo?” Ci stai dentro a Castelsantangelo, ma la gente non lo sa, non conosce questi luoghi. Allora, visto quello che noi ab-

biamo avuto e che ora abbiamo perso, perché non valorizzare quello che è rimasto?” Il Vascello del Tempo è un progetto che va letto, prima di tutto. Simboleggia la comunicazione dell’Uomo con lo Spazio e con l’Eterno. Queste sono le cose che contano per me. Vorrei fosse un luogo pieno di spiritualità. L’idea progettuale nasce dal luogo dove ho pensato di inserirlo: il muro, che parte da sotto ed è inclinato in modo da reggere il solaio, gira intorno al volume principale, di misura 8m*8m, inclinato anche questo e che, a sua volta, buca un altro solaio. Le porte, mi piacerebbe realizzarle in pietra; al di fuori ci sarà un grande gradino per accompagnare l’andamento scosceso del terreno. Il “Vascello del Tempo, per gli abitanti del luogo potrebbe essere custodia e simbolo della memoria e per i turisti, un polo di attrazione culturale “.




Riabitare i paesi non è questione di soldi. I soldi servono a farli più brutti, a disanimarli. Per riabitare i paesi servono piccoli miracoli, miracoli talmente piccoli che li possono fare uomini qualunque, quelli che vediamo in piazza, quelli a cui non chiediamo niente, quelli che ci sembrano perduti. Per riabitare i paesi bisogna vedere quanto più è possibile le albe e i tramonti, bisogna credere ai ragazzi che sono rimasti e a quelli che potrebbero tornare: abbiamo mai chiesto a qualcuno veramente se vuole tornare? Per riabitare i paesi ci vuole una nuova religione, la religione dei luoghi. Ecco il punto, la questione non è economica, ma teologica. Una porta chiusa dice di un fallimento, ma una porta chiusa ha sempre una fessura, abitare la desolazione è possibile se si trova in essa un senso di provvisoria beatitudine. Bisogna spiegare a chi è rimasto e a chi è andato via che in un paese c’è una sacralità disoccupata, la stessa che c’è dentro di noi. Bisogna prendere la via dei paesi perché un posto quanto più è piccolo più è grande e quanto più è ai margini tanto è più centrale. Tratta da “L’entroterra degli occhi” di Franco Arminio (paesologo e poeta delle “aree interne”)


Durante la realizzazione del presente Quaderno ci si è premurati di chiedere l’autorizzazione ai diretti interessati per l’utilizzo delle interviste rilasciate. Nessuna parte di questo quaderno può essere riprodotta con alcun mezzo senza l’autorizzazione di Diatomea e dell’Associazione Amate l’Architettura



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