The Destructive Character

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il city carattere distruttivo demolition industry inc.

politecnico di milano toward a new modernity: taranto project of crisis antonio di campli taranto, 23 ottobre 2013


Modernità / Nuova modernità razionalità / trasparenza / utopia (avanguardia / sperimentazione / ricerca)

distruzione / rovina / demolizione

Charles Baudelaire Walter Benjamin Hannah Arendt Georg Simmel, Teoria della rovina

Joseph Schumpeter. La “distruzione creatrice”

Albert Speer Ruinenwerttheorie, Teoria del valore della rovina ruinophilia rovina > diversità all’inteno del progetto moderno (postmoderno)


Lebbeus Woods, Guerra e Architettura, dove si lavora sul linguaggio della cicatrice, della crosta, l’immaginario estetico della rovina elevato a linguaggio architettonico.


Sarajevo



1991, Franco Purini. Progetti di Distruzione come “scenario liberatorio” 9 tavole che lavorano sul tessuto consolidato di Roma, attraverso tagli e cesure > progetto come inchiesta letteraria. la distruzione consiste in un processo di simulazione di scenari liberatori dell’esisitente nei quali il vuoto risultato dall’eliminazione di tracciati e tessuti, sia luogo di configurazioni future. Edificazione come demolizione del contesto




1788, John Soane, Bank of England / Joseph Gandy


Robert Smithson, nel suo articolo A Tour of the Monuments of Passaic (Artforum, 1967), racconta che camminando per la periferia della sua città nel New England si incontrano “rovine al contrario”: “ l’opposto delle rovine romantiche perché gli edifici non si disfanno dopo che sono stati realizzati, ma piuttosto crescono, divengono rovina prima di essere costruiti.

Arata Isozaki, il quale ha sperimentato da adolescente le vicende della distruzione delle città giapponesi, ha riflettuto progettualmente attorno ad un’accezione dell’idea di rovina simile a quella descritta da Smithson, secondo la quale la decadenza di un edificio è qualcosa che è già presente nel processo di costruzione stesso. “The sky over the archipelago was a cloudless blue on August 15, 1945, the day Japan surrendered. At that time I was a boy in my midteens and although I sensed that an era was ending, I had no idea what was beginning. All I knew was that the roaring had stopped and, for an instant, there was unmitigated calm. Now, as I look at a photograph of a Vietnamese Buddhist priest committing self-immolation, I recall the flames of the countless foreign-made automobiles that had been overturned and set alight in front of Tokyo’s Imperial Palace in 1952 on what is now called Bloody May Day. Similar flames had set ablaze the skies over Japanese cities after B29s had scattered their incendiary bombs-known as Molotov bread baskets. These had little restraining influence on me, as, in spite of the war, I continued to play in childish innocence. Throughout my youth, until I began to study architecture, I was constantly confronted with the destruction and elimination of the physical objects that surrounded me. Japanese cities went up in fiames. Forms that had been there an instant earlier vanished in the next. The ruins that formed my childhood environment were produced by acts of sudden destruction, unlike those of Greece and Egypt, which had long been in a ruinous state. Wandering among them instilled in me an awareness of the phenomenon of obliteration, rather than a sense of the transience of things.” Arata Isozaki, Blue Sky of Surrender Day: Space of Darkness


Riflettendo sulle immagini delle città giapponesi bombardate nel 1945, credevo che avrei potuto essere in grado di costruire un punto di vista con cui affrontare la storia mondiale. Pensavo che solo usando come trampolino di lancio il ritorno a quel punto in cui tutte le costruzioni umane venivano annullate, la costruzione futura sarebbe stata nuovamente possibile. Per me le rovine erano una sorta di immaginazione e durante gli anni Sessanta si capì che l’immagine della città del futuro era rovine di per sé. Professare la propria fede nelle rovine equivaleva a progettare il futuro. La città come corpo; il Metabolismo come oblio


Incubated cities are destined to self-destruct Ruins are the style of our future cities Future cities are themselves ruins Our contemporary cities, for this reason, are destined to live only a fleeting moment Give up their energy and return to inert material All our proposals and efforts will be buried And once again the incubation mechanism is reconstituted That will be the future


Gomera


Godzilla


Il collage, che combina un disegno della sua prima città aerea, in parte crollata, con una foto di un rudere di un tempio greco, è realizzato in occasione di una mostra di progetti dei Metabolisti che comprendeva opere di Tange, (piano per Tokyo), una versione della città marina di Kiyonori Kikutake, e la Helix City di Kisho Kurokawa. 1962, Arata Isozaki, Incubation Process / Joint Core System


1939, Boris Kaloff, Frankenstein


City Demolition Industry, Inc.


City Demolition Industry, Inc. “Non si deve ridere di questa strana impresa. La compagnia è una società autentica! Proprio al centro di Tokyo, sì, galleggiante nell’aria, sta cercando di penetrare, strisciando, nelle crepe della vita – la vita che trascorriamo nelle megalopoli. [...] Naturalmente fui molto curioso di sapere perché. Disse di essere stato assolutamente deluso dalla situazione relativamente insignificante in cui la sua professione era stata relegata; così, sentendo l’amarezza per l’orgoglio ferito, volle tagliare i ponti col vecchio lavoro e cominciarne uno nuovo. [...] Secondo la sua analisi, il principale distruttore era quel meccanismo chiamato città, l’inevitabile prodotto e sostenitore materiale della civiltà moderna. Quindi la città era l’assassina degli assassini e, ancor peggio, essendo anonima, si trattava di una curiosa forma di impresa alla quale non si potevano ascrivere responsabilità. E lui sentiva che, per creare un’età in cui la professione di killer fosse nuovamente un’arte, e in cui questo atto umano potesse essere esercitato con piacere, non c’era niente di più urgente che distruggere queste città disumane. Lo scopo della sua società, quindi, era quello di distruggere le città con ogni mezzo possibile. Tokyo, per lui, era particolarmente semplice da insidiare. Era come un palazzo con le fondamenta corrose, coi muri al collasso, le tubature sempre più fragili e le strutture portanti tenute a malapena in piedi da numerosi puntoni; supportato da una giungla di puntellature di sostegno; con rattoppi e macchie lasciate dalle infiltrazioni nel tetto. [...] La città fa gradualmente dimenticare alle persone che la morte è una cosa seria. Deluso o, piuttosto, infuriato dalla depressione del suo lavoro, il mio amico S., che aveva deciso di distruggere le città, può darsi fosse un umanista fuori moda. Ammiratore dell’omicidio artistico ed umanistico, S. aveva deciso di sfidare la megalopoli. [...]


Prospetto per la costituzione della City Demolition Industry, Inc. e fini della sua attività

La nostra società si prefigge lo scopo di distruggere completamente grandi città, ripetutamente impegnate in spietati assassini di massa, nonché la creazione di una civiltà in cui l’omicidio elegante, piacevole e umanistico possa essere compiuto facilmente. Ci impegneremo in ogni azione necessaria all’ottenimento di questi scopi. Perseguiamo i nostri fini secondo le seguenti modalità: 1. Distruzione fisica Distruggeremo palazzi, strade ed altre infrastrutture usando ogni possibile mezzo, inclusa la forza umana, la dinamite, la bomba atomica e all’idrogeno. 2. Distruzione funzionale Aggravamento della confusione causata dal traffico attraverso l’abolizione sistematica dei segnali stradali ecc.; incoraggiamento delle costruzioni abusive; contaminazione con veleno dei depositi d’acqua; disturbo delle reti di comunicazione; abolizione totale dei numeri civici; applicazione totale e immediata di tutte le disposizioni relative alla pianificazione urbana legale. 3. Distruzione di immagini Incoraggiamento di proposte per la progettazione nel futuro della città di Utopia; applicazione del miglioramento delle città e soluzione al problema della penuria di abitazioni mediante la costruzione di massa di residenze pubbliche sul modello corporativo; eliminazione nelle città di ogni calamità, inclusi gli incidenti automobilistici.



Un grande fotomontaggio fatto per la mostra “Labirinto elettrico� della Triennale di Milano del 1968, Foto: Shomei Tomatsu.

1968, Arata Isozaki, Re-Ruined Hiroshima


12 grandi pannelli curvi, sulla cui superficie in alluminio erano serigrafate diverse immagini. I pannelli appaiono come specchi deformanti, un luna park allucinato popolato da foto della tragedia di Hiroshima e Nagasaki, combinate con immagini di esseri soprannaturali e demoni della tradizione giapponese che rappresentavano gli spiriti vendicativi del disastro nucleare.




Questo fotomontaggio può essere considerato espressione di come le vicende belliche siano state interiorizzate dal movimento dei Metabolisti, per i quali la ridefinizione del rapporto tra tradizione e avvenire è risolto attraverso l’assunzione di un atteggiamento estremo, in cui il progetto della città futura è il risultato di un processo di cancellazione, di una forma di demolizione. L’invenzione della megastruttura metabolista ha corrisposto certamente al tentativo di definire strategie radicali per far fronte a fenomeni di crescita urbana mai sperimentati prima, ma contiene anche una ricerca di antidoti psicologici per curare i veleni prodotti dalle esperienze traumatiche del passato, in cui le strategie spaziali del progetto urbanistico moderno vengono straniate, distorte.


City Demolition Industry Inc. off - modern ipermoderno postmoderno


An Estranged Modernity of Darkness, Termination, Ashes




Rivoluzione culturale cinese 1966-1976


Il fallimento del Grande Balzo in Avanti ( 1958-1962 ) ha indebolito la posizione di Mao nel Partito comunista da qui il suo appello per una nuova rivoluzione proletaria , o Rivoluzione Culturale. Per Mao la rivoluzione doveva essere un processo permanente , costantemente tenuto in vita attraverso una lotta di classe senza fine il cui fine è attaccare i Quattro Mali - vecchie idee , la vecchia cultura , i vecchi costumi e le vecchie abitudini - al fine di portare i settori dell’istruzione , dell’arte e la letteratura, in linea con l’ideologia comunista . Tutto ciò che è stato sospettato di essere borghese doveva essere distrutto. Mito rurale Durante la Rivoluzione Culturale , milioni di giovani istruiti sono stati inviati alle zone rurali per lavorare in campagna e imparare dai contadini . Mao pensava che questo avrebbe in ultima analisi, creare una nuova società in cui non vi era alcuna differenza tra zone urbane e rurali ,operai e intellettuali .


1968. Maggio francese


vietato vietare sous le pavĂŠ la page





Ant Farm / Inflatables



1971, Ibiza


Il postmoderno manipolazione dei segni storici appello per una “liberazione dalle idee“ riscoperta gioiosa di tutto il repertorio del passato contaminazioni espressive recupero dei concetti di luogo, sito, storia e continuità complessità

“Liberazione” è inteso come superamento dei tentativi d’avanguardia di “ricostruire l’universo”, e al fine di recuperare la felicità di “linguaggi ricchi” > una spinta edonistica e un gusto per la citazione emergere delle nuove richieste di identità domanda di identità periferiche , il culto delle radici “fine del proibizionismo”


Tra le strategie del movimento controculturale emersero questioni come:

ricerca di forme anti- gerarchiche di configurazioni spaziali il desiderio di libertà spaziale e sociale l’affermazione della singolarità del soggetto , nonché dei luoghi.


urbanistica del liberismo


Il progetto per la città e il territorio ridefinito in termini di progetto di paesaggio come nelle esperienze del Landscape Urbanism, la ricerca della sostenibilità ambientale come strumento per la promozione immobiliare di nuovi quartieri-enclaves, il progetto di infrastruttura urbana e ambientale come progetto di interior design, costituiscono un insieme di ricerche progettuali che, sotto diversi aspetti, può essere ricondotto entro una cornice di urbanesimo liberale, un importante ciclo di esperienze pianificatore e progettuali durato circa trent’anni il cui avvio può essere fatto concidere con il recupero dei Docklands di Londra nel 1979 e con i progetti per i giochi olimpici di Barcellona. In questo trentennio, che ha visto l’avvio con l’arrivo al potere di Margareth Thatcher in Gran Bretagna e negli Stati Uniti la sperimentazione delle reaganomics, un insieme di politiche economiche ispirate alle ideologie neoliberali di Milton Friedman, le principali trasformazioni urbane vedono un declino dell’azione pubblica e una crescente forza degli operatori privati

Anni ‘90 urbanesimo liberale > progetto urbano

la costruzione dello spazio trasparente


La relazione tra questo tipo di economie liberali e pratiche del progetto urbanistico ha messo in primo piano la dimensione del progetto urbano, ambito operativo attraverso il quale si sono avviati: processi di trasformazione urbana decisi attraverso processi di benchmarking favorito lo sviluppo dei servizi e accresciuto il peso della finanza entro le economie urbane promosso pratiche dell’abitare che vedono la città come spazio di consumo ed elevato il turismo a stile di vita.

In questo periodo le principali immagini di riferimento dell’azione pianificatoria e progettuale, attraverso le quali si consolida la figura del progetto urbano, sono almeno due:

la dispersione insediativa, che ha messo al centro del progetto urbanistico il tema del paesaggio come spazio pubblico

la crescita reticolare dell’infrastruttura per la mobilità privata, con il progetto della città-rete.


Il progetto urbano si trova preso dentro la doppia esigenza di essere flessibile ma calato localmente, capace di rafforzare un’identità locale e di adattarsi al modificarsi delle economie globali, entro uno stato di veglia costante per catturare risorse.

In una fase in cui gli amministratori guardano alla pianificazione come azione strategica, il progetto urbano diviene “riqualificazione dell’immagine” presso i designers e “progetto di città” presso pubblicitari e uomini politici.

Fondamentalmente non tecnico, a differenza del piano fatto di regole, il progetto urbano è mediatico, volto a produrre l’effetto città, si comunica solitamente attraverso uno slogan e attraverso il quale si rimanda a questioni politiche in maniera vaga al fine di non produrre tensioni, di non ostacolare l’azione dei promotori.

Le immagini progettuali più frequenti fanno riferimento alla città storica, al patrimonio cittadino e all’identità locale al fine di sottolineare lo scarto con logiche antistoriche o decontestualizzate, che hanno dominato le pratiche pianificatorie moderne.


Gli anni Ottanta e Novanta hanno visto i progetti di trasformazione urbana più vistosi concentrarsi prevalentemente nelle aree centrali delle città, nelle aree industriali e portuali dismesse come sui waterfront. I trasporti, gli eventi, in particolare quelli di portata internazionale, come Expo e giochi olimpici, divengono soggetti di primo piano per avviare politiche di rigenerazione urbana; la cultura e i suoi luoghi divengono centrali. La logica degli eventi ha favorito processi di concorrenza tra città , la costruzione di progetti iconici, la concezione di parti di città come scene di paesaggio e ha definito modelli di sviluppo locale individuando le vocazioni delle città e dei territori .

La città è un particolare luogo di decantazione e materializzazione di processi economici. Le economie liberiste degli ultimi decenni hanno considerato lo spazio urbano come ambito entro il quale cercare risposte al ridimensionamento delle vecchie economie industriali. La città viene vista come uno dei principali luoghi di produzione e consumo di ricchezza, allo stesso tempo unità di produzione di immagini e bene di consumo.


anni 90 / 00. principali declinazioni del progetto urbano

progetto della dispersione

progetto delle reti / infrastructural urbanism

landscape urbanism

(auto)sostenibilitĂ


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Per descrivere meglio alcuni dei caratteri che connotano le esperienze del progetto liberale è possibile fare ricorso a tre immagini principali: il progetto-rete o progetto leggero, locuzione che descrive come la pratica del progetto urbanistico si sia ridefinita come pratica reticolare, che mette assieme più attori e saperi, producendo un offuscamento della dimensione critica del progetto e più in generale delle riflessioni su questioni di diseguaglianza spaziale ; il trionfo dei concetti sfocati o delle parole-valigia mostra il carattere comunicativo che connota il progetto contemporaneo per la città e al contempo il declino della dimensione modelica e della ricerca spaziale; il mito dello spazio pubblico è un’immagine che descrive i modi in cui la città tende ad essere riletta come un grande spazio estetizzato e narrativo , che funziona da archivio ordinatore di valori.

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Se l’urbanistica funzionalista, costruita secondo un modello scientifico, si è costituita come un corpo di saperi dove le esigenze tecniche sono la giustificazione delle scelte operative, l’urbanesimo liberale si caratterizza per un indebolimento di questi caratteri e per la moltiplicazione degli attori che partecipano alla decisione e all’azione, così come dei saperi. Il mercato, la legge della domanda e dell’offerta s’impongono, gli investitori e i promotori si fanno sentire ben al di là del loro impegno finanziario l’immagine del mercato trasparente acquisisce il ruolo di un referente forte, di un potere semplificatore. In questo universo segnato dall’avvento di una molteplicità di attori e poteri il progetto diviene cooperativo, strategico, richiede flessibilità e l’adozione di un linguaggio di base, comprensibile a tutti e capace di catturare e metabolizzare i malintesi, si impone in tal modo la figura delle rete. Con la locuzione progetto-rete non ci si riferisce solo al progetto della città-reticolare, attraverso le economie liberiste il progetto urbano si configura esso stesso come una rete, costruito attraverso una moltiplicazione di incontri e connessioni tra attori, saperi e tecniche volte a definire usi e configurazioni spaziali, il progetto è l’occasione, temporanea, per questa connessione. Contro il sistema rigido modernista la rete si presenta come un “piano d’immanenza”, direbbe Gilles Deleuze, dove l’azione è definita come prova di forza o come composizione dei rapporti, come incontro privo spazi di riflessione e di giudizio morale. Nel sistema-rete la scelta e legittimazione delle strategie operative è direttamente legata alla dimensione degli attori, alla loro grandezza. L’affievolimento della dimensione critica del progetto descrive il progetto-rete come progetto leggero, privo di conflitti ma aperto alle differenze, povero di una dimensione critica, capace di accettare aggiustamenti progressivi, di non ostacolare i movimenti, diversamente da quanto accade nel progetto modernista, pesante o assolutista, attento alla difesa dei valori universali. Nel progetto-rete le sole azioni critiche sono quelle del rigetto e l’esclusione dei soggetti e delle pratiche indesiderate.

Il progetto-rete o progetto leggero.


“Il rizoma connette un punto qualunque con un altro punto qualunque ed ognuno dei suoi tratti non

rinvia necessariamente a tratti della stessa natura; mette in gioco regimi di segni molto differenti ed anche stati di non-segni. Il rizoma non si lascia riportare né all’uno né al molteplice. Non è fatto di unità ma di dimensioni o piuttosto di direzioni in movimento, non ha inizio né fine ma sempre un mezzo, per cui cresce e straripa” (G.Deleuze e F.Guattari, Rizoma, Pratiche editrice, Parma-Lucca, 1977).

Con il termine rizoma (rizhome) i francesi Deleuze e Guattari (1977) intendevano un particolare modello semantico da opporre a tutti i modelli basati sulla concezione ad albero. Il modello ad albero prevede una gerarchia, un centro, e un ordine di significazione. Nell’albero i significati sono disposti in ordine lineare. A differenza degli alberi o delle loro radici, il rizoma collega un punto qualsiasi con un altro punto qualsiasi, e ciascuno dei suoi tratti non rimanda necessariamente a tratti dello stesso genere, mette in gioco regimi di segni molto differenti.


Il progetto di rete è un progetto di relazione e di comunicazione costruita attraverso l’uso di linguaggi e di concetti comprensibili e comunicabili a tutti. La necessità di relazionare e comunicare ha portato all’adozione, da parte delle pratiche progettuali, di un insieme di concetti fluidi, di parole-valigia che, nella sfocatezza, hanno il vantaggio di lasciare a ciascun soggetto della rete la possibilità di produrre la propria interpretazione e strategia d’azione, di facilitare una comunicazione fatta per aggiustamenti successivi. Queste parole-valigia non servono ad analizzare e comprendere meglio la città ed il territorio, per quanto spesso siano state impiegate con questo scopo, ma a strutturare la comunicazione, marginalizzando uno strumentario forse più preciso, ma meno facilmente condivisibile e ritenuto meno efficace. In particolare le parole-valigia permettono di comunicare riducendo le situazioni urbane ad un numero limitato di dimensioni, funzionano come dei simboli, generano semplificazioni. Mixité urbana e sociale , paesaggio, sostenibilità sono esempi di concetti sfocati attraverso i quali si sono definite altrettante forme del progetto per quei luoghi. L’insieme delle parole-valigia ha ridefinito il progetto urbano come strategia, come espressione di strategia. Se il progetto urbanistico moderno lavora per modelli (la Grosstadt di Hilberseimer, la città lineare di Soria Y Mata, le unità d’insediamento di Mies Van den Rohe, la città cubista di Le Corbusier), il progetto urbano rilegge, di volta in volta, un dato contesto urbano isolandone alcuni valori e definendo su di essi le strategie d’azione, la narrazione di uno spazio urbano. In tal senso il progetto urbano ha un carattere circolare, è giudicabile a seconda della coerenza tra azioni di trasformazione proposte e la strategia espressa attraverso un’immagine guida, che essa stessa ha costruito. In questo quadro i saperi che hanno acquistato rilevanza sono quelli della storia della città, delle tecniche di gestione economica, del paesaggio. La perdita dei modelli ha corrisposto ad una diminuzione della stessa trasmissibilità della ricerca sulle configurazioni spaziali , dal momento che lo sforzo è tutto nella scrittura della narrazione progettuale e nella sua comunicazione, meno nella definizione delle prestazioni del campo urbano.

Il trionfo dei concetti sfocati


Il progetto urbano lavora ad una scala intermedia, tende a controllare edificato e spazi aperti con la stessa precisione, ma la narratività che il progetto intende definire è affidata in buona parte a questi ultimi, caricandoli di particolare enfasi e attenzione. In particolare sono i processi di rigenerazione, sperimentati negli ultimi anni nelle città europee, soprattutto nelle loro parti più antiche, ad aver prodotto spazi di qualità, ma il desiderio di controllo su di esse a volte ha portato a ridefinire questi spazi come dispositivi di esclusione verso abitanti o soggetti considerati indesiderati. Le ramblas e i lungomare di Barcellona, i nuovi parchi e le piazze di Rotterdam e Parigi, i waterfront delle città della costa orientale degli Stati Uniti sono divenuti clichés per generazioni di designer, architetti e urbanisti. Il successo di questi modelli è legato ad una mancanza di riflessioni attorno ai caratteri e alle prestazioni del progetto di spazio pubblico, in particolare al fatto che l’immaginario di attori importanti, come amministratori, progettisti e impresari, quando si tratta della progettazione dello spazio aperto urbano, tende ad uniformarsi attorno a pochi riferimenti. Attraverso il progetto urbano, il processo di rigenerazione diventa un meccanismo che tende a rimuovere i conflitti sociali e le pratiche d’uso dello spazio ritenute illecite. In particolare Barcellona, secondo il sociologo Manuel Delgado , è stata esempio di un processo di semplificazione spaziale ottenuto attraverso la ricerca di rappresentazioni collettive standardizzate, e pertanto false, dove lo spazio urbano è pensato in maniera simile ad un prodotto commerciale. Attraverso l’esperienza di Barcellona, diverse città europee hanno agito sullo spazio aperto riconfigurandolo come spazioimmagine, estetizzato, di seduzione, e hanno favorito la sua colonizzazione da parte di una serie di popolazioni di consumatori che ha prodotto indirettamente l’espulsione di un insieme di soggetti indesiderati ed un aumento dei livelli di conflittualità e insicurezza degli spazi urbani circostanti le aree rigenerate. Guardare alla città come spazio di consumo porta a mettere in primo piano le diversità ,ma nei fatti queste vengono ridefinite come un insieme di situazioni, luoghi a tema, dove fare sempre la stessa scelta, prendere la stessa decisione, fare sempre la stessa cosa.

Il mito dello spazio pubblico


Lo spazio urbano estetizzato, protetto , è un particolare spazio teatrale dove gli abitanti sono al contempo osservatori e figuranti ma, sostengono Michael Sorkin e Charles Moore , è anche un luogo produttivo. Se la città del progetto moderno è una città-fabbrica dove tempi e luoghi del lavoro e del tempo libero sono distinti, qui si perde questa scansione temporale, la produzione è dentro la città che riproduce l’immagine di se stessa . Strade e piazze si riconfigurano come luogo che ospita particolari attività, un archivio di valori, di diversità culturali e sociali, ordinato, privo di conflitto al suo interno, trasparente e bonificato attraverso il discorso culturale. I problemi legati all’opacità dello spazio urbano vengono risolti attraverso la rimozione di elementi e soggetti che ne ostacolano l’appropriazione da parte di popolazioni ansiose di un bagno nella narratività storica, nel sapore locale, nel multiculturalismo.

Nel progetto liberale la selezione dei valori, degli elementi identificanti come immagini strutturanti , è la principale strategia che rende chiaro e omogeneo l’ambiente urbano, sul piano cognitivo così come su quello percettivo. Incarnare valori e semplificare la visione riduce la ridondanza di informazioni e le possibilità d’uso di uno spazio diafano fatto di alcune informazioni che legano valori socioculturali, pratiche e comportamenti ritenuti pertinenti. La ricerca della trasparenza non significa pertanto apertura o accessibilità ma controllo, sorveglianza, separazione.



controcultura rivoluzione culturale movimenti postcoloniali


Distruzione / Rovina / Demolizione > Concetti Zombie

Il Novecento è alle nostre spalle, ha iniziato ad esserlo probabilmente dal 1989, ma in ogni caso nel giro di circa un ventennio una quantità di strumenti concettuali hanno subito un precipitoso invecchiamento. Questo è ovviamente valido anche per quegli strumenti che utilizziamo nella riflessione sull’architettura, tuttavia non credo che sia possibile “confrontarsi” con la pura alterità. Noi ci troviamo piuttosto in una terra di mezzo, in una zona non ben definita, all’interno della quale fantasmi di oggetti conosciuti si confondono con sagome di oggetti del tutto nuovi. E malgrado i fantasmi siano tali, ossia nature fluttuanti e quasi inconsistenti, sono anche gli unici elementi orientativi di cui disponiamo. Questi fantasmi assomigliano a ciò che alcuni sociologi definiscono “categorie zombie”, ossia concetti che continuano ad essere utilizzati, pur avendo perso il loro potenziale euristico. Eppure le categorie zombie sono in qualche modo indispensabili per andare avanti tra fenomeni inediti e solo parzialmente riconoscibili. L’importante, in tali circostanze, è rendersi conto che si sta operando a partire da fantasmi, e non da solide e indiscutibili armature concettuali. Nel fantasma qualcosa di ancora vivo, e che vuole essere raccolto dai vivi, si presenta con le sembianze di una persona morta. Occore carpire che cosa ancora ci parla, nel paesaggio del XXI secolo, di certe esperienze cruciali del XX.” Delle “categorie zombie” non ci si libera facilmente. Alcune sepolture finora non ci sono riuscite, siamo costretti ad un eterno ricominciamento.


the off-modern discourse crescita > modificazione


figure della distruzione 1 tecnica dell’assemblaggio 2 approccio modellistico al progetto


1983, Arata Isozaki, Tsukuba Center Building



L’architettura come corpo: Frankenstein


Egizio è il predicato di tutte le costruzioni che possono essere sottoposte alla decostruzione, eccezion fatta per la più egizia delle costruzioni, la piramide, una costruzione edificata in base all’aspetto che assumerebbe dopo il suo crollo. Per Isozaki è come se fossimo condannati ad abitare sempre in antichi edifici, in luoghi sempre infestati dai fantasmi. Isozaki egizio


1480-1495, Sandro Botticelli, illustrazioni della Divina Commedia


Le Malebolge: punizione dei ruffiani, dei seduttori, degli adulatori, delle meretrici


danteum

katsura

tsukuba


Atteggiamento distruttivo si traduce in gioco combinatorio di frammenti. Michelangelo, Ledoux, Giulio Romano, Otto Wagner, Michael Graves, Richard Meier, Charles Moore, Aldo Rossi, Hans Hollein, Peter Cook,, Adalberto Libera, Philip Johnsosn, Leon Krier ,Lawrence Halprin, Ettore Sottsass Tsukuba secondo Isozaki: “a real monster suffering from “schizophrenic eclecticism”. Dove “the absence of life calls for the impossible ambition to infuse life into the inanimate body of modernist town planning”.

Mary Shelley, Frankenstein: la vita dalla materia morta

“To examine the causes of life, we must first have recourse to death. I became acquaninted with the science of anatomy: but this was not sufficient; I must also observe the natural decay and corruption of the human body. [...] Now I was led to examine the cause and progress of this decay, and forced to spend days and nights in vaults and charnel-houses. My attention was fixed upon every object the most insupportable to the delicacy of human feelings. I saw the fine form of man degraded and wasted; I beheld the corruption of death succeeded to the blooming cheek of life; I saw how the worm inherited the wonders of the eye and brain. I paused. examining and analyzing all the minutiae of causation, as exemplified in the change from life to death, and death to life [...]. I became myself capable of bestowing animation upon lifeless matter.” Mary Shelley, Frankenstein


distruzione / metabolisti

ridefinizione dei caratteri dell’abitare alla scala di prossimità > comunità come blocco isolato approccio modellistico al progetto eredità sperimentazioni infrastrutturali ruolo dell’architetto resistenza


unicore / joint core


Così come la terra e il mare, i Metabolisti tentarono la colonizzazione dell’aria attraverso la reinvenzione della torre intesa come nucle strutturale su cui si collegano le unità abitative, il modello “joint core”: tronchi che sostengono i rami di un nuovo sistema urbano posto ad di sopra della città esistente. Isozaki questo concetto nel Piano per la baia di Tokyo come una “rete tridimensionale” i joint-core sono “strade verticali” e “gli spazi orizzontali che li collegano sono come gli edifici lungo le strade di una città”. Kikutake scrive in Metabolismo 1960: “Non è corretto, dire che il mezzo più sicuro di vivere è stare aggrappati alla terra” 1960, Tange / Isozaki, Office Buildings, Plan for Tokyo Bay unicore / joint core


La città multistrato aleggia su quella tradizionale, la scala di cui si possono vedere sulla destra. Infrastrutture per la mobilità si infilano tra i piloni che sostengono i blocchi di uffici e appartamenti. Isozaki: “[The] City in the air grows with bridges spanning from column to column, which is the only element fixed to the ground”. The scheme is a counterproposal to the redevelopment plan already underway in Shinjuku in the space liberated by the relocation of the Yodobashi Water Purificatin Plant.

1960, Arata Isozaki, City in the Air, Shinjuku, Tokyo unicore / joint core



Kiyonori Kikutake, Tower-Shaped Community unicore / joint core


La Tower Shaped Community è un oggetto capace di contenere 1.250 abitazioni, per un totale di 5.000 abitanti. La struttura portante verticale raccoglie tutte le funzioni urbane e, allo stesso tempo, le sue proporzioni monumentali sono concepite allo scopo di enfatizzare il senso di comunità dei suoi abitanti. La torre è pensata per essere visibile da qualsiasi punto del territorio circostante. La struttura principale funziona come spazio semicollettivo in cui sono inseriti i nuclei di servizi e in cui si innestano unità abitative prefabbricate e sostituibili. Kiyonori Kikutake, Tower-Shaped Community unicore / joint core


L’unità immobiliare è concepita come semplice rifugio per la famiglia e, in particolare, come spazio di vita dei genitori, i bambini dovrebbero esserne membri temporanei. L’unità abitativa è in acciaio e ha anch’essa la forma di un cilindro, sostenuta da unità orizzontali a sbalzo, ed è pensata per durare 50 anni. Tutti i pavimenti, pareti, soffitti e mobili all’interno dell’unità, non sono stabili, ma hanno una durata breve in modo che possano essere facilmente adattati in base alle esigenze della famiglia e che sia possibile definire rapporti di interazione differente tra lo spazio privato della casa e l’infrastruttura verticale portante. unicore / joint core


1961, Kisho Kurokawa, Floating City on Lake Kasumigaura cluster with fragment of roof-top transport system (note the model cars)


unicore / joint core


unicore / joint core


Un progetto residenziale da costruire sulla superficie di un lago. Separazione verticale del traffico veicolare e pedonale. Sui tetti della struttura le autostrade e le passeggiate da un sistema di trasporti che collega le strutture del porto city. Ogni unità è dotata di un approdo. Un sistema di connessione spiraliforme tra tetto e acqua è il principale spazio collettivo. Ogni proprietario di casa è libero di usare qualsiasi materiale da costruzione, nell’edificazione della propria residenza

unicore / joint core


unicore / joint core


suolo artificiale


Kisho Kurokawa, La cittĂ agricola


Questo progetto, redatto per la ricostruzione del centro agricolo di Aichi, distrutto da un tifone nel 1959, corrisponde ad un insediamento urbano sollevato da terra in maniera tale da evitare future inondazioni e al contempo salvaguardare i suoli agricoli produttivi. L’unità rurale base è un quadrato di mezzo chilometro di lato, composto da 25 blocchi di cento metri di lato, ognuno capace di ospitare 200 persone. Strade, acquedotti, elettricità, monorotaie per il lavoro e le altre strutture sono installati a quattro metri dal suolo. Questa infrastruttura è lo spazio in cui hanno luogo le pratiche di vita collettiva e quelle legate alla gestione dei lavori agricoli. Nel telaio sono contenuti spazi di culto, scuole e istituzioni amministrative. Ogni unità rurale contiene un tempio, una scuola ed un santuario. L’unità residenziale base che si attacca a questo telaio è a forma di fungo, una struttura che può essere alta da uno a tre piani, con un tetto in alluminio poggiato su una struttura in legno

suolo artificiale


Soviet Disurbanists, Magnitogorsk

F. L. Wright, Broadacre City


suolo artificiale


1958, Kiyonori Kikutake, Sky House suolo artificiale


suolo artificiale


L’edificio è sollevato di 7 metri con il crescere della famiglia tre moduli lignei sono stati appesi al ventre dell’edificio.

suolo artificiale


Kisho Kurokawa, the Urban Connector due megastrutture: bamboo type community e la wall city


Kurokawa definisce il concetto di Urban Connector (infrastruttura come spazio di condivisione) a partire dall’idea di Condensatore Sociale di Sabsovich and Ginzburg. Esempi sono l’edificio residenziale del Narkomfin, realizzato a Mosca tra la fine degli anni ’20 e i primi anni ’30 su progetto di Moisej Ginzburg o i vari progetti di club sociali di Ivan Leonidov. In modi diversi questi progetti hanno ragionato attorno al progetto della “supercomune” in un’ottica più generale di ridefinizione dei caratteri della domesticità borghese, attraverso un processo di riduzione al minimo degli spazi personali, e l’invenzione di nuove forme di spazio collettivo. “The urban connector referred to a superscale structure which served as the medium between urban scale and human scale, and between the collective and the individual. It would gather individual forces into collective power integrating the environment as a whole- Kawazoe argued: “The Gigantic City will be an apparatus designed to connect, on the one hand, machinery, energy, and the speed an a vast scale with, on the other hand, human beings who have been reduced to individuals... To express it more accurately, there will be a huge engineering structure to control nature and the city - that is, what is called the major structure, the structural unit, ot hte urban connector. This will be constructed as a “perch” or “nest” of the individual human beings who move about and grow and develop. Within this structure all necessary city utilities will be provided, ad each individual will be able to attach thereon his own dwelling”. Noboru Kawazoe, “City of the Future” in Zodiac 9 (1961): 110.

1960, Kisho Kurokawa, Bamboo Type Community


La Bamboo Type Community combina spazi residenziali con infrastrutture come treni e ascensori, in edifici a forma di bamboo che Kurokawa ha concepito come unitĂ capaci di crescere e rigenerarsi ed in cui il movimento delle persone era visto in analogia a quello della linfa nelle piante. La Plant Type Community ripropone temi simili, ma qui gli edifici sono concepiti come alberi con radici (spazi di produzione) e foglie (spazi residenziali).


Nella Wall City Kurokawa ha affrontato il tema del rapporto tra spazi del lavoro e spazi dell’abitare. Qui la megastruttura è definita da un doppio muro, che costituisce lo scheletro portante, contenente le infrastrutture di trasporto e i servizi. Il doppio muro funziona come un grande elemento di interfaccia tra spazi residenziali e spazi del lavori, una gigantesca soglia o membrana su cui, da un lato, si appendono gli spazi residenziali, dall’altro quelli del lavoro. 1959, Kisho Kurokawa, Wall City


Kurokawa: “ Family life is disintegrating. Gone are the days when a living unit was a space only for one family unit. A living unit is now based on one generation and will eventually change into a person per unit... the entire city will turn itself into a gigantic compact architectural construction, where the fixed living space of a city will be inseparable from the working space”. Queste imamgini richiamano il progetto Cloud Prop di El Lissitszky, una serie di grattacieli orizzonatali sospesi sopra i principali nodi urbani di Mosca. ìEl Lissistszky ha scritto nel suo libro Russia. An Architecture for World Revolution (1929): “Up to now, in these buildings one cannot notice anything of the new conception of the open street; of the conception of the city as an aggregate of new relationships; a notion even in the case of the old city, allows new mass and space relationships to come into being. The new social attitude to the building task has thrown up some radical propositions; buildings tyoe have arisen which attack the old city in such a way as to have a changing impact in its entity”.

1923, El Lissitzky, Cloud Prop


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Le comunità sono organizzate in unità di cinque piani terrazzati che si affacciano su un atrio con un parco interno. Il sistema è ispirato da un rapporto di Keiko Watanabe del Building Research Institute presso il Ministero della Costruzione. Il suo studio rileva che i bambini di sopra del quinto piano in grattacieli non socializzano con altri bambini che giocano nel parco sottostante, così Kikutake crea un grattacielo dove, apparentemente, non ci sono piani sopra il quinto. Inoltre: “Diverse decine di torri insieme appariranno come boschi e foreste e il loro aspetto saranno in armonia con la natura “.

1968, Kiyonori Kikutake, Tree-Shaped Community megaforests


In questo progetto, che prende il nome dal premio Nobel Camillo Golgi, che ha sviluppato le tecniche per la visualizzazione dei corpi delle cellule nervose, si alternano aree urbane dense con spazi aperti. Questi ultimi sono racchiusi da cellule luce-assorbenti che facilitano la comunicazione, distribuzione dell’energia e sistemi meccanici: si tratta di un gruppo di coni sovrapposti che ospitano capsule e spazi di condivisione. L’organismo di Golgi è ciò che nelle cellule vegetali e animali permette i processi e mezzi di trasporto delle proteine​​. Questo spazio interno/esterno fa passare la luce, facilita la “trasmissione di informazioni”, dispositivo spaziale di partecipazione.

1968, Fuhimiko Maki, Golgi’s Structures megaforests


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1961, Kisho Kurokawa, Helix City, Tokyo megaforests


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Questa idea del progetto come invenzione di nuovi territori abitabili, tuttavia, non può essere descritto come un semplice desiderio di lasciar andare in rovina la città giapponese esistente. L’industria di demolizione urbana prefigurata da Isozaki ha come obiettivo la definizione di nuovi ambiti e dimensioni dell’abitare, ma nella sua logica produttiva si riciclano alcuni elementi di ciò che in precedenza si è provveduto a rimuovere. Walter Benjamin sostiene che il carattere distruttivo si manifesta come portatore del nuovo, del cambiamento, del bisogno di emanciparsi dalla memoria e dai legami del passato, per generare la trasformazione. L’atteggiamento distruttivo è mosso dalla necessità di determinare, tramite una cesura, un nuovo inizio . Nella vicenda metabolista, il carattere distruttivo che connota le loro proposte radicali, in cui la città esistente è qualcosa di irrimediabilmente compromesso, non comporta la cancellazione totale di ciò che prima esisteva, ma è segnato da una particolare facoltà conservativa che, nel caso delle megastrutture metaboliste, corrisponde alla definizione di condizioni e forme dell’abitare di natura comunitaria, che ricalcano alcune forme e stili d’insediamento della tradizione nipponica.


La megastruttura metabolista è un oggetto residenziale modulare, concepito richiamando processi vitali biologici, la cui dimensione comunitaria è definita da alcuni luoghi di scambio sociale che individuano misure precise dell’abitare alla scala di prossimità. Si tratta di dispositivi concepiti attraverso una rilettura critica del funzionamento e delle logiche di condivisione di alcuni tipi di spazi comunitari della città storica giapponese, in particolare del machi, termine che descrive un breve filamento urbano in cui la strada, su cui si attestano particolari tipologie residenziali, funziona come dispositivo ibrido, spazio di condivisione che si presta ad essere abitato in maniera semiprivata. Il machi è una particolare unità di vicinato spesso identificata a partire dal tipo di attività artigianale praticata in esse. Nel machi la strada è una soglia, una membrana interposta tra case concepite spazialmente come sequenze di spazi disposti in maniera parallela alla strada, come successione spaziale definita da una serie di elementi piatti, dalla sovrapposizione di più superfici bidimensionali che danno luogo ad una diversità di spazi di transizione .


In un appunto presente nell’opera dei Passages, Walter Benjamin distingue il concetto di soglia da quello di confine (o involucro), individuando il primo come zona di passaggio, un luogo-snodo di attraversamento e di sosta. Le soglie presentano, secondo Walter Benjamin, un particolare carattere distruttivo che non è esito né di distruzione né di costruzione, né di movimento né di quiete, ma che è proprio della tensione che si produce dalla coesistenza di due poli dialettici, tra spazio interno ed esterno. Le considerazioni di Walter Benjamin attorno al concetto di soglia o membrana e a quello di distruzione, permette di riconoscere nella vicenda metabolista, e nell’idea di abitare comunitario in essa esplorata, un doppio atteggiamento distruttivo. Il primo corrisponde al tentativo di operare un’operazione di riscrittura e straniamento di modelli e logiche spaziali del progetto urbanistico modernista, esaltandone la dimensione modellistica, il ruolo progettuale della tabula rasa, l’esaltazione della tecnologia. Allo stesso tempo la visione dell’infrastruttura come spazio comunitario, come ambienti-soglia descrivibili, secondo Benjamin, come luoghi in cui si produce una costante tensione tra interno ed esterno e per questo dotati di un implicito “carattere distruttivo”, costituisce la seconda dimensione distruttiva contenuta dal progetto metabolista.


Il carattere distruttivo sta nel fronte dei tradizionalisti. Mentre alcuni tramandano le cose rendendole intangibili e conservandole, altri tramandano le situazioni rendendole maneggevoli e liquidandole. Questi vengono chiamati i «distruttivi». Il carattere distruttivo non vede niente di duraturo. Proprio per questo vede ovunque delle vie. Ma poiché vede ovunque una via, deve anche ovunque sgomberare una strada. Non sempre con cruda violenza, talvolta anche con raffinata violenza. Poiché vede ovunque delle vie, egli stesso è sempre ad un incrocio. Nessun attimo sa cosa reca con sé il successivo. L’esistente egli lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso. Walter Benjamin, Il carattere distruttivo


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