il villaggio olimpico
seminario didattico temi della trasformazione urbana. promesse ed esiti del progetto urbano a torino.
Antonio di Campli, Torino, 13 gennaio 2011
il progetto del villaggio olimpico forme dell’abitare il progetto urbano degli anni
‘0. (la costruzione dello spazio trasparente)
il progetto
Il Villaggio Olimpico
Il progetto dei Mercati ortofrutticoli è localizzato in un settore della città, la cui edificazione è datata ai primi decenni del XX secolo. Originariamente questi luoghi costituivano parte delle aree comprese tra l’antica strada per Nizza, principale collegamento extraurbano della città e la strada per Stupinigi. Qui si localizza il complesso dei Mercati Generali inaugurato a metà anni trenta su un’area di 44.500 mq.
Città di Torino: proprietà dell’area Agenzia Torino 2006: stazione appaltante Giugno 2002: concorso internazionale di progettazione Febbraio 2003: data affidamento Settembre 2005: data ultimazione lavori Costo di realizzazione: 137.519.602 euro (fondi di cui alla Legge 285/2000 e fondi della Città)
Il piano degli interventi per lo svolgimento dei Giochi Olimpici Invernali del 2006 individua nell’area dei Mercati ortofrutticoli il fulcro del Distretto Olimpico. Il mercato è dismesso nel 2001. Ma già nel 1985 l’area è compresa nello Studio avanzato di fattibilità del quale sono incaricati Renzo Piano, Giuseppe De Rita e Roberto Guiducci al fine di meglio capire i problemi legati alla trasformazione del Lingotto da fabbrica di automobili a centro polifunzionale. L’intervento prevede il restauro e il recupero funzionale dei fabbricati storici dei Mercati destinati a zona internazionale di servizio; la realizzazione di un Villaggio Olimpico per 2.500 atleti; la realizzazione di una passerella pedonale lunga 400 metri che si raccorda con quella esistente, progettata da Renzo Piano per il Lingotto.
Il bando è un testo stratificato, composto da più documenti: il bando vero e proprio (3 pagine), il disciplinare di gara (25 pagine), il documento preliminare alla progettazione, allegato al disciplinare (101 pagine), i numerosi allegati a quest’ultimo che comprendono le Linee guida del Cio e quelle per la sostenibilità. La logica già affermata nel caso del Lingotto, vede nel mutamento radicale delle funzioni, la condizione per il mantenimento dell’unitarietà dell’area, secondo una strategia di trasformazione urbana per tasselli compiuti e autonomi che ri-orienta la crescita all’interno della città. Questo sembra tuttavia essere uno dei pochi punti di contatto con la vicenda che tanto ha occupato la scena torinese degli anni 80. Per altri aspetti, il concorso per i Mercati generali, fa scelte opposte a quelle effettuate nel caso del Lingotto, riportando la trasformazione e i suoi attori principalmente in ambito locale.
il bando
Criteri di valutazione: qualità ambientale, sostenibilità, sicurezza, redditività
I tempi del concorso: 04-07-2002: invio del bando all’Ufficio concorsi ufficiali della UE 12-09-2002: conferenza preliminare e sopralluogo 19-09-2002: termine presentazione quesiti 24-10-2002: termine ricevimento offerte 04-11-2002: inizio lavori commissione giudicatrice 30 giorni dal termine ricevimento delle offerte: comunicazione dell’esito finale
Pur nelle loro evidenti diversità, i cinque progetti mantengono alcuni caratteri comuni: i progetti costruiscono uno schermo chiuso, seppure in modo diverso, verso via Giordano Bruno e aperto verso il fascio dei binari, declinando, fino ad annullarla, l’idea modernista lanciata da Renzo Piano della costruzione di un “lungofiume” sui binari ferroviari. I luoghi dello scambio sono ricondotti forzatamente all’area internazionale, sorta di spazio specchiato di Piazza Galimberti. Lo spazio aperto fatica a ridurre le ragioni dei progetti a unità morfologica, prevalgono i criteri di orientamento dei tracciati e le delimitazioni dure, imposte dai regolamenti olimpici.
i cinque progetti del concorso
I Benedetto Camerana
II ATC Project.to Srl
III Giugiaro Architettura Srl
IV Mario Moretti
V Ezio Ingaramo
137.519.602 euro / 2500 atleti moi 26.266 mq lotto 3 10.870mq / 65.000mc h = 21,85 (steidle) lotto 4 11.040 mq / 63.000 mc h = 21,85 (camerana - rosental) lott 5 10.320 mq / 59.000 mc h = 28,20 (derossi)
il progetto vincitore arch.
Benedetto Camerana (capogruppo), AIA architectes, Studio Derossi Associati, Hugh Dutton Associes, Faber Maunsell Ltd, Studio Inarco, arch. Angela Maccianti, ing. Carlo Perego di Cremnago. arch. Agostino Politi, ing. Massimo Repetti (PRODIM), arch. Giorgio Rosental, Studio Steidle und partner.
Il principio insediativo del progetto è connesso a poche scelte ben delineate: l’ancoraggio ai principali assi dell’intorno urbano; il fronte unitario, rafforzato dallo zoccolo del commercio lungo via Giordano Bruno; la maglia a scacchiera. I tre lotti sono affidati rispettivamente a Steidle, Camerana-Rosental, Derossi associati, declinano diversamente il tema dell’abitare; dello spazio aperto dal quale sono espulse le automobili.
Otto Steidle, Monaco, Quartiere della fiera
Berlino ’36. Il villaggio come accampamento militare. «...a miniature world was here set up itself, rigidly protected from the world outside”..
Monaco ’72. Il villaggio come megastruttura ricreativa.
il villaggio olimpico come materiale urbano
Roma ’60. Il villaggio come macchina residenziale. Il Villaggio di Roma, costruito all’interno del clima della ricostruzione, è concepito come una nuova parte di città in grado di ospitare 1630 famiglie; nell’operazione furono coinvolti architetti e ingegneri come Nervi, Moretti, Del Debbio e Vitellozzi. il Villaggio doveva essere un quartiere modello per la città in espansione.
due segni forti
il grande arco di sostegno della passerella l’aggregazione di più linguaggi architettonici
quattro strategie
continuità con la città esistente disegno di paesaggio modularità sostenibilità
torino
l’area internazionale - lotto 2
Il vincolo della Sovrintendenza salvaguarda l’edificio progettato da Umberto Cuzzi all’inizio degli anni trenta, cui si aggiunge la grande piazza centrale con la sua copertura a sbalzo. Si tratta dunque di uno spazio collettivo ancora indeterminato, permeabile solo in alcuni punti. Rivolto verso piazza Galimberti, rigido nei confronti di un riorientamento verso il Lingotto.
Superficie: 26.266 mq Investimento: 23.472.43,15 euro Progettisti: Benedetto Camerana, Albert Constantin, Giorgio Rosental
1932: progetto di Umberto CuzziDue tettoie in cemento armato formate da 7 arcate paraboliche carrabili lunghe 100 metri e larghe 11 (le esterne) e 9 (le interne). Le arcate sono alte 9,5 e 8,5 metri. Al centro una grande piazza di 2.000 mq con copertura in cemento armato caratterizzata da ampie ali a sbalzo
Le principali scelte del progetto: riutilizzo della circolazione interna; valorizzazione della piazza centrale; recupero della torre dell’acqua e dell’ingresso; l’utilizzo di un vocabolario tecnico specifico: metallo, vetro, legno.
la passerella - lotto 6 Altezza dell’arco: 35 m Lunghezza della passerella: 234 + 155 m Investimento: 7.853.225 euro Progettista: Hugh Dutton 250 metri misura la parte strallata ad andamento curvo, sostenuta da un arco di 66 metri, largo 50, con cavi di sostegno disposti secondo un modello che richiama quello di una ruota di bicicletta. 150 metri è la parte rettilinea su pilastri
La passerella serve alla connessione con il centro polifunzionale del Lingotto, al superamento dei binari, al rovesciamento del fronte.
“la passerella costituisce un segno urbano in un luogo della periferia torinese tradizionalmente povero di individualità.”
Progettisti: 3 – O. Steidle, consulenti Diener & Diener, Atelier Krischanitz 4 – B. Camerana, G. Rosental, consulenti Ortner & Ortner, Hilmer & Sattler 5 – P. Derossi, E. Barone, D. Derossi, P. Derossi, G. Rosental
l’area residenziale - lotti 3, 4, 5
quantitĂ lotti superficie del lotto (m2) superficie coperta (m2) superficie lorda di pavimento (m2) altezza massima edifici (m) volume (m3) appartamenti camere singole camere doppie posti letto posti auto spazi commerciali (m2)
investimenti (euro)
3 10.870 4.717,06 19.665,20 21,85 65.000 190 196 365 926 205 1.765,44
4 5 11.040 10.320 3.518,30 3.303 19.110,00 17.872,99 21,85 28,20 63.000 59.000 260 207 183 239 349 223 881 685 257 180 835,00 1.236,89
20.502.245 20.063.033 18.966.429
“Quando abbiamo impostato il progetto abbiamo immaginato innanzitutto un nuovo quartiere di periferia con un bel panorama sulla collina, ecologico, poco inquinante, senza auto, con molti giardini, sostenibile, probabilmente piĂš bello di altri penosi agglomerati urbani senza decoro e senza colori... Si trattava di fatto di costruire un grande pezzo di cittĂ .â€?
planimetria piano terra lotto 4
planimetria piano-tipo
sezione B-B
sezioni longitudinali
sezioni trasversali
diener
diener
steidle
krischanitz
camerana
ortner
lotto 1
spazi aperti
i temi della sostenibilità
Al Bando di concorso sono allegate le Linee guida per la sostenibilità, uno strumento operativo teso a garantire il rispetto dei requisiti di qualità ambientale degli spazi esterni, di integrazione con il contesto, di contenimento del consumo delle risorse e di utilizzo di risorse climatiche. Le linee guida riguardano il progetto e le sue strategie, ma testimoniano anche l’importanza cruciale, non solo retorica, dei temi della sostenibilità. Una tale importanza si esprime con il fatto che proprio la vicenda olimpica ha permesso di sperimentare un approccio valutativo complesso (la procedura di valutazione ambientale strategica, Vas), il cui obiettivo è quello di orientare la scelte verso criteri di sostenibilità.
tra promesse ed esiti. abitare il villaggio olimpico
250 studenti
uffici ARPA piemonte
200 abitanti
come si abita
come si abita
parklife; inversione tra interno ed esterno
parklife. la riduzione sicuritaria e la residualitĂ degli spazi aperti
inversione tra interno ed esterno. territori personali
inversione tra interno ed esterno. stanze-specchio e soggiorno diffuso
Gordon Matta-Clark. Office baroque, 1977 e appunti
Nonostante la forza espressiva delle sue volumetrie il villaggio può essere descritto come uno spazio costruito senza edifici, definito solo da involucri, superfici impermeabili e lavabili, e le pratiche dell’abitare rispecchiano quest’assenza.
abitare silenzioso
il progetto urbano degli anni ‘0. la costruzione dello spazio trasparente
Il progetto urbano inteso in termini di progetto di paesaggio, la ricerca della sostenibilitĂ ambientale come strumento per la promozione immobiliare, la dimensione reticolare della pratica progettuale permettono di leggere il progetto del villaggio come esemplare di un insieme di pratiche pianificatorie che hanno connotato gli anni ‘90 e gli anni ‘0.
Il progetto per la città e il territorio ridefinito in termini di progetto di paesaggio, la ricerca della sostenibilità ambientale come strumento per la promozione immobiliare di nuovi quartieri-enclaves, il progetto di infrastruttura urbana e ambientale come progetto di interior design, costituiscono un insieme di ricerche progettuali che, sotto diversi aspetti, può essere ricondotto entro una cornice di urbanesimo liberale, un importante ciclo di esperienze pianificatore e progettuali durato circa trent’anni il cui avvio può essere fatto concidere con il recupero dei Docklands di Londra nel 1979 e con i progetti per i giochi olimpici di Barcellona. In questo trentennio, che ha visto l’avvio con l’arrivo al potere di Margareth Thatcher in Gran Bretagna e negli Stati Uniti la sperimentazione delle reaganomics, un insieme di politiche economiche ispirate alle ideologie neoliberali di Milton Friedman, le principali trasformazioni urbane vedono un declino dell’azione pubblica e una crescente forza degli operatori privati
Anni ‘90 urbanesimo liberale > progetto urbano
La relazione tra questo tipo di economie liberali e pratiche del progetto urbanistico ha messo in primo piano la dimensione del progetto urbano, ambito operativo attraverso il quale si sono avviati: processi di trasformazione urbana decisi attraverso processi di benchmarking favorito lo sviluppo dei servizi e accresciuto il peso della finanza entro le economie urbane promosso pratiche dell’abitare che vedono la città come spazio di consumo ed elevato il turismo a stile di vita.
In questo periodo le principali immagini di riferimento dell’azione pianificatoria e progettuale, attraverso le quali si consolida la figura del progetto urbano, sono almeno due:
la dispersione insediativa, che ha messo al centro del progetto urbanistico il tema del paesaggio come spazio pubblico
la crescita reticolare dell’infrastruttura per la mobilità privata, con il progetto della città-rete.
Il progetto urbano si trova preso dentro la doppia esigenza di essere flessibile ma calato localmente, capace di rafforzare un’identità locale e di adattarsi al modificarsi delle economie globali, entro uno stato di veglia costante per catturare risorse. In una fase in cui gli amministratori guardano alla pianificazione come azione strategica, il progetto urbano diviene “riqualificazione dell’immagine” presso i designers e “progetto di città” presso pubblicitari e uomini politici. Fondamentalmente non tecnico, a differenza del piano fatto di regole, il progetto urbano è mediatico, volto a produrre l’effetto città, si comunica solitamente attraverso uno slogan e attraverso il quale si rimanda a questioni politiche in maniera vaga al fine di non produrre tensioni, di non ostacolare l’azione dei promotori. Le immagini progettuali più frequenti fanno riferimento alla città storica, al patrimonio cittadino e all’identità locale al fine di sottolineare lo scarto con logiche antistoriche o decontestualizzate, che hanno dominato le pratiche pianificatorie moderne.
Gli anni Ottanta e Novanta hanno visto i progetti di trasformazione urbana più vistosi concentrarsi prevalentemente nelle aree centrali delle città, nelle aree industriali e portuali dismesse come sui waterfront. I trasporti, gli eventi, in particolare quelli di portata internazionale, come Expo e giochi olimpici, divengono soggetti di primo piano per avviare politiche di rigenerazione urbana; la cultura e i suoi luoghi divengono centrali. La logica degli eventi ha favorito processi di concorrenza tra città , la costruzione di progetti iconici, la concezione di parti di città come scene di paesaggio e ha definito modelli di sviluppo locale individuando le vocazioni delle città e dei territori .
La città è un particolare luogo di decantazione e materializzazione di processi economici. Le economie liberiste degli ultimi decenni hanno considerato lo spazio urbano come ambito entro il quale cercare risposte al ridimensionamento delle vecchie economie industriali. La città viene vista come uno dei principali luoghi di produzione e consumo di ricchezza, allo stesso tempo unità di produzione di immagini e bene di consumo.
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Per descrivere meglio alcuni dei caratteri che connotano le esperienze del progetto liberale è possibile fare ricorso a tre immagini principali: il progetto-rete o progetto leggero, locuzione che descrive come la pratica del progetto urbanistico si sia ridefinita come pratica reticolare, che mette assieme più attori e saperi, producendo un offuscamento della dimensione critica del progetto e più in generale delle riflessioni su questioni di diseguaglianza spaziale ; il trionfo dei concetti sfocati o delle parole-valigia mostra il carattere comunicativo che connota il progetto contemporaneo per la città e al contempo il declino della dimensione modelica e della ricerca spaziale; il mito dello spazio pubblico è un’immagine che descrive i modi in cui la città tende ad essere riletta come un grande spazio estetizzato e narrativo , che funziona da archivio ordinatore di valori.
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Se l’urbanistica funzionalista, costruita secondo un modello scientifico, si è costituita come un corpo di saperi dove le esigenze tecniche sono la giustificazione delle scelte operative, l’urbanesimo liberale si caratterizza per un indebolimento di questi caratteri e per la moltiplicazione degli attori che partecipano alla decisione e all’azione, così come dei saperi. Il mercato, la legge della domanda e dell’offerta s’impongono, gli investitori e i promotori si fanno sentire ben al di là del loro impegno finanziario l’immagine del mercato trasparente acquisisce il ruolo di un referente forte, di un potere semplificatore. In questo universo segnato dall’avvento di una molteplicità di attori e poteri il progetto diviene cooperativo, strategico, richiede flessibilità e l’adozione di un linguaggio di base, comprensibile a tutti e capace di catturare e metabolizzare i malintesi, si impone in tal modo la figura delle rete. Con la locuzione progetto-rete non ci si riferisce solo al progetto della città-reticolare, attraverso le economie liberiste il progetto urbano si configura esso stesso come una rete, costruito attraverso una moltiplicazione di incontri e connessioni tra attori, saperi e tecniche volte a definire usi e configurazioni spaziali, il progetto è l’occasione, temporanea, per questa connessione. Contro il sistema rigido modernista la rete si presenta come un “piano d’immanenza”, direbbe Gilles Deleuze, dove l’azione è definita come prova di forza o come composizione dei rapporti, come incontro privo spazi di riflessione e di giudizio morale. Nel sistema-rete la scelta e legittimazione delle strategie operative è direttamente legata alla dimensione degli attori, alla loro grandezza. L’affievolimento della dimensione critica del progetto descrive il progetto-rete come progetto leggero, privo di conflitti ma aperto alle differenze, povero di una dimensione critica, capace di accettare aggiustamenti progressivi, di non ostacolare i movimenti, diversamente da quanto accade nel progetto modernista, pesante o assolutista, attento alla difesa dei valori universali. Nel progetto-rete le sole azioni critiche sono quelle del rigetto e l’esclusione dei soggetti e delle pratiche indesiderate.
Il progetto-rete o progetto leggero.
“Il rizoma connette un punto qualunque con un altro punto qualunque ed ognuno dei suoi tratti non
rinvia necessariamente a tratti della stessa natura; mette in gioco regimi di segni molto differenti ed anche stati di non-segni. Il rizoma non si lascia riportare né all’uno né al molteplice. Non è fatto di unità ma di dimensioni o piuttosto di direzioni in movimento, non ha inizio né fine ma sempre un mezzo, per cui cresce e straripa” (G.Deleuze e F.Guattari, Rizoma, Pratiche editrice, Parma-Lucca, 1977).
Con il termine rizoma (rizhome) i francesi Deleuze e Guattari (1977) intendevano un particolare modello semantico da opporre a tutti i modelli basati sulla concezione ad albero. Il modello ad albero prevede una gerarchia, un centro, e un ordine di significazione. Nell’albero i significati sono disposti in ordine lineare. A differenza degli alberi o delle loro radici, il rizoma collega un punto qualsiasi con un altro punto qualsiasi, e ciascuno dei suoi tratti non rimanda necessariamente a tratti dello stesso genere, mette in gioco regimi di segni molto differenti.
Il progetto di rete è un progetto di relazione e di comunicazione costruita attraverso l’uso di linguaggi e di concetti comprensibili e comunicabili a tutti. La necessità di relazionare e comunicare ha portato all’adozione, da parte delle pratiche progettuali, di un insieme di concetti fluidi, di parole-valigia che, nella sfocatezza, hanno il vantaggio di lasciare a ciascun soggetto della rete la possibilità di produrre la propria interpretazione e strategia d’azione, di facilitare una comunicazione fatta per aggiustamenti successivi. Queste parole-valigia non servono ad analizzare e comprendere meglio la città ed il territorio, per quanto spesso siano state impiegate con questo scopo, ma a strutturare la comunicazione, marginalizzando uno strumentario forse più preciso, ma meno facilmente condivisibile e ritenuto meno efficace. In particolare le parole-valigia permettono di comunicare riducendo le situazioni urbane ad un numero limitato di dimensioni, funzionano come dei simboli, generano semplificazioni. Mixité urbana e sociale , paesaggio, sostenibilità sono esempi di concetti sfocati attraverso i quali si sono definite altrettante forme del progetto per quei luoghi. L’insieme delle parole-valigia ha ridefinito il progetto urbano come strategia, come espressione di strategia. Se il progetto urbanistico moderno lavora per modelli (la Grosstadt di Hilberseimer, la città lineare di Soria Y Mata, le unità d’insediamento di Mies Van den Rohe, la città cubista di Le Corbusier), il progetto urbano rilegge, di volta in volta, un dato contesto urbano isolandone alcuni valori e definendo su di essi le strategie d’azione, la narrazione di uno spazio urbano. In tal senso il progetto urbano ha un carattere circolare, è giudicabile a seconda della coerenza tra azioni di trasformazione proposte e la strategia espressa attraverso un’immagine guida, che essa stessa ha costruito. In questo quadro i saperi che hanno acquistato rilevanza sono quelli della storia della città, delle tecniche di gestione economica, del paesaggio. La perdita dei modelli ha corrisposto ad una diminuzione della stessa trasmissibilità della ricerca sulle configurazioni spaziali , dal momento che lo sforzo è tutto nella scrittura della narrazione progettuale e nella sua comunicazione, meno nella definizione delle prestazioni del campo urbano.
Il trionfo dei concetti sfocati
Il progetto urbano lavora ad una scala intermedia, tende a controllare edificato e spazi aperti con la stessa precisione, ma la narratività che il progetto intende definire è affidata in buona parte a questi ultimi, caricandoli di particolare enfasi e attenzione. In particolare sono i processi di rigenerazione, sperimentati negli ultimi anni nelle città europee, soprattutto nelle loro parti più antiche, ad aver prodotto spazi di qualità, ma il desiderio di controllo su di esse a volte ha portato a ridefinire questi spazi come dispositivi di esclusione verso abitanti o soggetti considerati indesiderati. Le ramblas e i lungomare di Barcellona, i nuovi parchi e le piazze di Rotterdam e Parigi, i waterfront delle città della costa orientale degli Stati Uniti sono divenuti clichés per generazioni di designer, architetti e urbanisti. Il successo di questi modelli è legato ad una mancanza di riflessioni attorno ai caratteri e alle prestazioni del progetto di spazio pubblico, in particolare al fatto che l’immaginario di attori importanti, come amministratori, progettisti e impresari, quando si tratta della progettazione dello spazio aperto urbano, tende ad uniformarsi attorno a pochi riferimenti. Attraverso il progetto urbano, il processo di rigenerazione diventa un meccanismo che tende a rimuovere i conflitti sociali e le pratiche d’uso dello spazio ritenute illecite. In particolare Barcellona, secondo il sociologo Manuel Delgado , è stata esempio di un processo di semplificazione spaziale ottenuto attraverso la ricerca di rappresentazioni collettive standardizzate, e pertanto false, dove lo spazio urbano è pensato in maniera simile ad un prodotto commerciale. Attraverso l’esperienza di Barcellona, diverse città europee hanno agito sullo spazio aperto riconfigurandolo come spazio-immagine, estetizzato, di seduzione, e hanno favorito la sua colonizzazione da parte di una serie di popolazioni di consumatori che ha prodotto indirettamente l’espulsione di un insieme di soggetti indesiderati ed un aumento dei livelli di conflittualità e insicurezza degli spazi urbani circostanti le aree rigenerate. Guardare alla città come spazio di consumo porta a mettere in primo piano le diversità ,ma nei fatti queste vengono ridefinite come un insieme di situazioni, luoghi a tema, dove fare sempre la stessa scelta, prendere la stessa decisione, fare sempre la stessa cosa.
Il mito dello spazio pubblico
Lo spazio urbano estetizzato, protetto , è un particolare spazio teatrale dove gli abitanti sono al contempo osservatori e figuranti ma, sostengono Michael Sorkin e Charles Moore , è anche un luogo produttivo. Se la città del progetto moderno è una città-fabbrica dove tempi e luoghi del lavoro e del tempo libero sono distinti, qui si perde questa scansione temporale, la produzione è dentro la città che riproduce l’immagine di se stessa . Strade e piazze si riconfigurano come luogo che ospita particolari attività, un archivio di valori, di diversità culturali e sociali, ordinato, privo di conflitto al suo interno, trasparente e bonificato attraverso il discorso culturale. I problemi legati all’opacità dello spazio urbano vengono risolti attraverso la rimozione di elementi e soggetti che ne ostacolano l’appropriazione da parte di popolazioni ansiose di un bagno nella narratività storica, nel sapore locale, nel multiculturalismo.
Nel progetto liberale la selezione dei valori, degli elementi identificanti come immagini strutturanti , è la principale strategia che rende chiaro e omogeneo l’ambiente urbano, sul piano cognitivo così come su quello percettivo. Incarnare valori e semplificare la visione riduce la ridondanza di informazioni e le possibilità d’uso di uno spazio diafano fatto di alcune informazioni che legano valori socioculturali, pratiche e comportamenti ritenuti pertinenti. La ricerca della trasparenza non significa pertanto apertura o accessibilità ma controllo, sorveglianza, separazione.
la costruzione dello spazio trasparente
Cristina Bianchetti, a cura di, ASUR Archivio di Studi Urbani e Regionali, n. 94/2009 Cristina Bianchetti, Torino. Il villaggio olimpico / The Olympic Village, Officina, Roma, 2005 Cristina Bianchetti, Torino2. Metabolizzare le Olimpiadi / Metabolizing the Olympics, Officina, Roma, 2006 Cristina Bianchetti, Urbanistica e sfera pubblica, Donzelli, Roma, 2008 Antonio di Campli, La ricostruzione del Crystal Palace, Quodlibet, Macerata, 2010 Miquel de Moragas, Olympic Villages: A Hundred Years of Urban Planning and Shared Experiences. International Symposium in Olympic Villages, International Olympic Committee, Montserrat Llines & Bruce Kidd (eds.), Losanne, 1997 Filippo De Pieri, Giulietta Fassino, I luoghi delle Olimpiadi, Bollati Boringhieri, Torino, 2008 Marco Filippi, Franco Mellano, Agenzia per lo svolgimento dei XX Giochi olimpici invernali. Torino 2006. Vol. 1: I progetti, Mondadori Electa, Milano, 2004 Marco Filippi, Franco Mellano, Agenzia per lo svolgimento dei XX Giochi olimpici invernali. Torino 2006. Vol. 2: Cantieri e opere, Mondadori Electa, Milano, 2006.
bibliografia parziale