Antonio di Campli (Ortona 1970), dottore di ricerca in urbanistica, è attualmente docente a contratto del corso di Territoire et paysage presso l’École Polytechnique Fédérale di Losanna (EPFL) e di Progettazione Urbanistica presso il Politecnico di Torino, II facoltà di Architettura. Visiting Professor a Bogotá, Universidad De La Salle, Facultad de Ciencias del’Habitat, negli ultimi anni ha insegnato progettazione urbanistica e ambientale nelle facoltà di architettura di Ascoli Piceno (UNICAM), Pescara e Torino, I facoltà di Architettura. Fra le sue pubblicazioni, ricordiamo Interfacce costiere, (Kappa, Roma 2006) e Adriatico. La città dopo la crisi, (List, Barcellona 2010).
Osservate dal punto di vista delle pratiche del progetto urbanistico, le trasformazioni della città europea degli “anni zero” possono essere viste come una particolare forma dei modi di produzione capitalistica dello spazio urbano, proseguimento, decantazione e precisazione di strategie e temi individuati negli anni ’90, che possono essere descritti come un urbanesimo liberale segnato da una particolare attenzione alla dimensione culturale dello spazio e dalla ricerca di strategie di controllo spaziale attraverso i valori o l’identità del territorio. Questioni che rimandano ad alcuni concetti come lo “spazio-serra” di Peter Sloterdijk, lo “smog culturale” di Boris Groys e la “crisi urbana” così come affrontata da Alain Bourdin. Queste forme del progetto urbanistico leggono la città e il territorio come uno spazio di consumo sovracontrollato e corrispondono alla definizione di forme di controllo sociale e ricerca di trasparenza spaziale di tipo implicitamente panottico, in quanto ricercate attraverso operatori apparentemente neutri o anti-moderni, come il discorso culturale (identità, palinsesto, patrimonio) o attraverso strategie di induzione al godimento (la città come paesaggio). Con questo termine ci si riferisce in particolare ad alcune declinazioni del progetto urbanistico entro le quali trovano rilevanza i discorsi legati alla definizione di spazi urbani come spazi del godimento, un insieme di temi connessi a quella rivoluzione del desiderio che ebbe luogo in Europa verso la fine degli anni ’60; temi e tendenze che oggi trovano nuova legittimità entro un regime di stabilità orientato agli ideali del fitness, del wellness e dell’identità culturale. A partire dal confronto con queste condizioni, che soprattutto la ricerca sociologica e filosofica è stata meglio capace di cogliere, quello che qui si propone è l’avvio di una riflessione attorno ad alcuni termini, strategie e luoghi del progetto capaci di esprimere una posizione critica verso questi atteggiamenti progettuali e al contempo capaci di dar conto, di disvelare, le particolari condizioni conflittuali che connotano la condizione urbana contemporanea.
ISBN 978-88-7462-359-4
16,00 euro
Antonio di Campli La ricostruzione del Crystal Palace
Quodlibet Studio Città e paesaggio
Antonio di Campli La ricostruzione del Crystal Palace Per un ripensamento del progetto urbano Quodlibet Studio
«Il Crystal Palace è riuscito a mettere insieme natura e cultura in un unico concetto-indoor, attraverso l’idea che la vita sociale potesse svilupparsi solo in un interieur ampliato, in uno spazio ordinato e addomesticato, ampio a tal punto che da lì non sia mai possibile uscire. Nella serra i soggetti abitano in una sorta di eterna primavera di consenso, ma al contempo l’atmosfera controllata produce gli effetti di noia, stress e delusione». A.d.C. «Io sto dalla parte di… dalla parte del mio capriccio, perché il mio capriccio mi sia garantito, quando ce ne sarà bisogno. La sofferenza, per esempio, non è ammessa nei vaudevilles, e questo lo so bene. Nel palazzo di cristallo essa è addirittura impensabile: la sofferenza è il dubbio, è la negazione, e che palazzo di cristallo sarebbe mai se vi si potesse dubitare?». Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo
Quodlibet Studio CittĂ e paesaggio
Antonio di Campli La ricostruzione del Crystal Palace Per un ripensamento del progetto urbano
Quodlibet
Prima edizione: novembre 2010 Š 2010 Quodlibet s.r.l. Via Santa Maria della Porta, 43 - 62100 Macerata www.quodlibet.it Stampa: XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX ISBN 978-88-7462-359-4
Indice
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Introduzione
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1. Progetto di crisi
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2. La costruzione dello spazio trasparente
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3. La ricostruzione democratica del Crystal Palace
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4. Ambiti della ricostruzione
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Bibliografia
Aspettando Agata
Introduzione
Questo libro intende affrontare un insieme di questioni relative a strategie e logiche del progetto urbanistico contemporaneo, evidenziandone alcuni aspetti particolarmente problematici, oggi scarsamente discussi, tentando al contempo di definire i contorni di alcuni ambiti di riflessione entro i quali individuare elementi di un atteggiamento progettuale innovativo. Il riferimento è, da un lato, alla crescente diffusione di pratiche di esclusione sociale, al progressivo accentuarsi delle disuguaglianze spaziali, alla dimensione sempre più faticosa ed ostile che tende ad assumere lo spazio aperto della città europea, sempre più appropriato, segmentato e banalizzato, nonostante la centralità che questo ha avuto nei processi di trasformazione recenti, dall’altro a stili di progetto che guardano a questi fenomeni con indifferenza o che ne sono in qualche modo interrelati. Questa condizione legittima la riflessione su forme di scrittura del progetto differenti da quelle correnti. Non si tratta di negare la validità e l’efficacia di molte delle strategie del progetto urbanistico oggi dominanti (la sostenibilità ambientale ed energetica, il progetto di infrastruttura come progetto di territorio, il palinsesto come tecnica di lettura capace di far emergere valori o elementi di lunga durata, il progetto di città come ricerca della forma urbis o come progetto di paesaggio urbano), di non riconoscerne i successi dove questi si rendono evidenti, tanto meno il patrimonio di ricerche e l’impegno che esse sottendono, ma di accostare a queste modalità progettuali, che in qualche modo oggi tendono ad assumere un carattere di procedura “automatica”, e per questo indifferenti rispetto alle condizioni operative sopra richiamate, forme d’azione maggiormente critiche, pertinenti alla condizione di crisi in cui versa la città europea e il suo progetto,
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introduzione
capaci di dar conto del sempre maggior carattere conflittuale che tendono ad assumere gli spazi urbani. A partire dal confronto con questa condizione, che soprattutto la ricerca sociologica e filosofica è stata meglio capace di cogliere1, quello che qui si propone2 è l’avvio di una riflessione attorno ad alcune questioni, strategie e luoghi del progetto capaci di dar conto della particolare situazione conflittuale e di crisi che connota la condizione urbana contemporanea. Nella prima parte di questo testo, “Progetto di crisi”3, si prova a definire i contorni di un tale atteggiamento critico verso modalità progettuali che, per diversi aspetti, possono essere ricondotti entro una matrice di urbanesimo liberale, calandolo entro un campo di riflessioni costituito attorno a due termini principali, crisi e resistenza. Nella seconda parte, “La costruzione dello spazio trasparente”, si individuano alcuni dei caratteri che le pratiche che progetto urbanistico hanno assunto negli ultimi dieci anni, senza la pretesa di restituirne una descrizione critica completa. L’obiettivo non è una ricostruzione esaustiva di un insieme di esperienze 1 I principali studi riguardano alcune logiche della modificazione dello spazio urbano nell’epoca dell’urbanesimo liberale, le questioni maggiormente messe a fuoco sono quelle del rapporto tra progetto urbanistico e potere declinate attraverso i concetti di impero (così come desunto dagli studi di Michael Hardt e Antonio Negri), di spazio-immagine (Regis Debray), infine attraverso quello di crisi (Alain Bourdin). Si veda: Alain Bourdin, L’urbanism d’après crise, L’aube, La Tour d’Aigues 2010; Regis Debray, Vie et mort de l’image, une histoire du regard en Occident, Gallimard, Paris 1992; tr. it. Vita e morte dell’immagine, Il Castoro, Milano 2010; Michael Hardt, Antonio Negri, Empire, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2000; tr. it. Impero, Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano 2002. 2 Questo testo riprende, sviluppandole, alcune riflessioni già contenute nella mia pubblicazione Adriatico. La città dopo la crisi, List-Actar, Barcellona 2010. Gli argomenti che lì ho provato a sviluppare descrivono la crisi del modello spaziale adriatico attraverso un progetto alla scala territoriale. 3 “Progetto di crisi” è una locuzione tafuriana attraverso la quale la ricerca storica è ridefinita come costruzione originale, non come ricostruzione ma come progetto, dove il prodotto è una crisi, una separazione o rottura della consuetudine, concetto inteso in senso produttivo in quanto capace di innescare l’azione. «Alle origini dell’atto critico è sempre l’operazione del distruggere, del separare, del disintegrare una struttura data. Senza una tale disintegrazione dell’oggetto dell’analisi […] non è possibile alcuna successiva riscrittura di esso», Manfredo Tafuri, La sfera e il labirinto, Einaudi, Torino 1980.
introduzione
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verso le quali non abbiamo forse ancora una sufficiente distanza temporale, ma solo delineare i contorni di un campo. Nella terza parte, intitolata con una locuzione desunta da studi sloterdijkiani4, «La ricostruzione democratica del Crystal Palace», si discutono alcuni caratteri del rapporto che si istituisce tra dispiego delle economie liberali e modificazione della spazialità urbana occidentale e tenta allo stesso tempo di individuare quali strategie siano maggiormente pertinenti per tentare di operare una ridefinizione in senso maggiormente inclusivo dello spazio urbano della città occidentale contemporanea. Nell’ultima parte di questo scritto, “Ambiti della ricostruzione”, vengono presentati alcuni campi di riflessione individuati attraverso i termini Interni, Membrane, Dopo-paesaggio, corrispondenti allo stesso tempo a luoghi, strategie, temi di progetto. Ognuna di queste forme corrisponde ad un insieme di questioni su cui riflettere e a particolari modalità operative messe in atto nel tessuto della città contemporanea occidentale. L’obiettivo è, da un lato, rendere visibile lo stato di conflitto che attraversa gli spazi urbani contemporanei, dall’altro, riflettere progettualmente sull’offerta di migliori prestazioni spaziali, di un loro miglior funzionamento. Il concetto di offerta, per come qui è inteso, non rimanda ad una logica di mercato ma ad una risposta a domande poste malamente o spesso neanche formulate. Le strategie, i termini, le questioni messe a fuoco provengono prevalentemente da una serie di esperienze progettuali, didattiche e di ricerca condotte in più ambiti e pertanto restituiscono una riflessione condotta in maniera non lineare. Di queste ricerche ne vengono qui restituite tre: l’indagine sulle forme dell’abitare nel villaggio olimpico di Torino, le esplorazioni progettuali sulla città satellite di Meyrin a Ginevra, la ricerca sulle strategie di riqualificazione ambientale e urbana delle rive urbane del 4 Il riferimento è al testo: Peter Sloterdijk, Im Weltinnenraum des Kapitals. Für eine philosophische Theorie der Globalisierung, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 2005; tr. it. Il mondo dentro il capitale, Meltemi, Roma 2006. Oltre a questo si veda la trologia delle sfere: Peter Sloterdijk, Sphären I, Blasen, Microsphärologie, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1998; Sphären II, Globen, Macrosphärologie, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1999; Sphären III, Schäume, Plurale Sphärologie, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 2004.
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introduzione
fiume Magdalena a Barranquilla, in Colombia. Il tentativo è stato fare di questa instabilità l’occasione per osservare le questioni e problemi del progetto per la città contemporanea da più posizioni, incrociando punti di vista, contesti operativi, interlocutori e tempi differenti.
1. Progetto di crisi
En todas partes se percibe un smog cultural en todos los tonos del gris y una homogenización fenotípica, el mismo entretenimiento, los mismos gestos, las mismas poses politicas, las mismas actitudes. La indiferencia genera fuerza, por un lado, y feticismo de las pequeñas diferencias por otro. Boris Groys, Política de la inmortalidad Non ci manca la comunicazione, al contrario ne abbiamo anche troppa, ci manca la creatività. Ci manca la resistenza al presente. Gilles Deleuze, Félix Guattari, Che cos’è la filosofia Vive la crise! Yves Montand
Le riflessioni di Boris Groys sui riti e strategie contemporanee di produzione culturale, sulle logiche dell’economia delle differenze, sul concetto di archivio come dispositivo produttore di identità e valori possono essere estese ed utilizzate, con una certa approssimazione, per discutere alcune pratiche correnti del progetto per la città e le loro implicazioni sulle modificazioni dello spazio urbano contemporaneo. Osservate dal punto di vista delle pratiche del progetto urbanistico, le trasformazioni della città europea degli “anni zero” possono essere viste come una particolare forma dei modi di produzione capitalistica dello spazio urbano, proseguimento, decantazione e precisazione di strategie e temi individuati negli anni Novanta, che possono essere descritti come un urbanesimo liberale, segnato da una particolare attenzione alla dimensione culturale dello
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la ricostruzione del crystal palace
spazio e volto alla ricerca di strategie di controllo spaziale e crescita economica attraverso i valori o l’identità del territorio. Queste forme del progetto urbanistico leggono la città e il territorio come uno spazio di consumo sovracontrollato e corrispondono alla definizione di forme di controllo sociale e ricerca di trasparenza spaziale di tipo implicitamente panottico, in quanto ricercate attraverso operatori apparentemente neutri o anti-moderni, come il discorso culturale (identità, palinsesto, patrimonio) o attraverso di strategie di induzione al godimento (la città come paesaggio). Con quest’ultima locuzione ci si riferisce in particolare ad alcune declinazioni del progetto urbanistico entro le quali trovano rilevanza i discorsi legati alla definizione di spazi urbani come spazi del godimento, un insieme di temi connessi a quella rivoluzione del desiderio1 che ebbe luogo in Europa verso la fine degli anni Sessanta. Temi e tendenze che oggi trovano nuova legittimità entro un regime di stabilità biopolitica orientato agli ideali del fitness e del wellness, dello sport e dell’identità culturale. Le politiche di sviluppo locale slow o a kilometro zero delle città interne del centro Italia, i waterfront turistici che sostituiscono aree agricole residuali o in declino lungo i litorali europei, i processi di riqualificazione del quartiere gotico di Barcellona come cittadella per studenti Erasmus sono esempi di questo modo di intendere il progetto per la città. Tra le varie accezioni del progetto liberista è in particolare la sua declinazione paesaggista che, secondo la logica propria di una park fiction, ha come obiettivo principale regolare la sincronia di 1 Il 1968 inaugura un nuovo tipo di rivoluzione che può essere definito come rivoluzione interiore, concetto che descrive l’aspetto rivoluzionario a livello dei comportamenti individuali; il tipo antropologico che lo descrive è il rivoluzionario di professione: «la mia vita come rivoluzione». Questa nuova antropologia fondata sull’individuo singolo può esser letta come dominata dalla dittatura del desiderio ed è volta alla ricerca non di felicità collettiva ma al soddisfacimento dei piaceri individuali, ricerca che conduce alla ridefinizione del concetto della “buona vita”. Questa ricerca è esito di una diffusa situazione di insoddisfazione derivante dalla disgregazione dei valori dominanti, erosi da un modello di “società opulenta” incapace di rispondere alle nuove attese derivanti dell’innalzamento del livello materiale di vita. In questo nuovo contesto sociale, in attesa di un “mondo nuovo”, liberato da costrizioni e formalismi, cresce il rifiuto dello stile di vita proprio della cultura liberal-illuminista. Su questi temi si veda: Slavoj Z˘iz˘ek, For They Know not What They Do. Enjoyment as a Political Factor, Verso, London 2002; tr. it. Il godimento come fattore politico, Raffaello Cortina, Milano 2001.
1. progetto di crisi
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innumerevoli proiezioni immaginative spaziali, favorire la condivisione di immagini spaziali da parte di una società locale rispetto allo spazio che abita, una produzione collaborativa di desideri rispetto ad uno spazio, ad un territorio, utilizzando gli strumenti del discorso culturalista con le sue articolazioni identitarie2 e patrimoniali. Si tratta di un progetto di costruzione di una ecologia culturale attraversato dal tentativo di descriverne e fissarne i processi di scambio, di produrre, attraverso una loro rappresentazione e quindi stabilizzazione3, l’identità di una società locale. Un progetto che, a differenza di quello moderno, mostra un carattere apertamente totale: il paesaggio è una totalità. Se per il Moderno il progetto passava attraverso la costruzione di uno spazio pensato come luminoso e trasparente, liscio, posto al di fuori della storia, adesso il tentativo è costruire questa trasparenza attraverso la definizione di spazi dell’abitare saturi di cultura, impregnati di quello che Boris Groys chiamerebbe smog culturale. L’atteggiamento patrimoniale del progetto paesaggista trasforma lo spazio in un archivio, un campo di oggetti e situazioni che finiscono per assumere tutte lo stesso peso, con l’obiettivo implicito di riportarvi dentro, possibilmente, tutto ciò che è esterno4. 2 I teorici del paesaggismo hanno spesso insistito sul ruolo del progetto come strumento di conoscenza della realtà, sulla sua capacità di cogliere la struttura profonda, l’identità di un territorio e dei legami che questo stabilisce con la società o, utilizzando i termini del discorso paesaggista, con la comunità che lo abita, tentando di distinguersi in tal modo dai vecchi formalismi e atteggiamenti di insensibilità propri del Moderno. In questo si pone il problema di come il progetto paesaggista incontra e definisce l’identità, intesa non come la cosa che si trova con maggior presenza in un dato territorio quanto la struttura interiore, l’essenza, di un contesto spaziale e sociale. Il concetto di identità è uno degli elementi essenziali attorno ai quali si articola il discorso liberista ed il problema dell’identità, di ciò che è tipico e connota un contesto, come già sostenuto da John Barrell, è sempre un problema politico, qualcosa da individuare e che produce scontri. Si veda: John Barrell, The Dark Side of the Landscape: the Rural Poor in English Painting 1730-1840, Cambridge University Press, Cambridge 1983. 3 Charles Tilly, Identities, Boundaries, and Social Ties, Paradigm Publishers, London 2005 e Doug McAdam, Charles Tilly, Sidney Tarrow, Contentious Politics, Cambridge University Press, Cambridge (MA) 2006; tr. it. La Politica del conflitto, Bruno Mondadori, Milano 2008. 4 Lo spazio dell’archivio è per sua natura finito mentre ciò che sta fuori è infinito, così il confine dell’archivio acquisisce un particolare ruolo strategico-politico configurandosi come il principale spazio di conflitti. L’archivio, come la superficie cartesiana, è un dispositivo famelico, che si espande, che assorbe vibrazioni e vibra; è lo strumento di costruzione e autoconservazione dell’identità, della lotta della memoria
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La forza persuasiva di queste retoriche progettuali è tale da escludere una loro messa in discussione, tuttavia il contesto operativo in cui si danno queste forme del progetto urbanistico si è modificato radicalmente negli ultimi anni. La città europea in molte parti è fatta di spazi estetizzati, ma che mostrano prestazioni e funzionamento insoddisfacenti, semplificati, è segnata da crescenti processi di esclusione, il cui tessuto riflette un processo di accrescimento di disuguaglianze sociali. In particolare sono gli spazi pubblici ad essere i principali soggetti di un vasto processo di riconfigurazione dominato prevalentemente dai principi di riduzione del disordine, e dell’espulsione del conflitto. Tra i vari termini usati per descrivere questa condizione urbana, quello di crisi, è uno dei concetti ai quali ultimamente si è ricorso5 con qualche frequenza, una locuzione attraverso la quale si è tentato di istituire un nesso tra peggioramento delle condizioni dell’abitare, trasformazioni spaziali, processi economici e sociali e, implicitamente, pratiche progettuali. Il termine crisi qui è utilizzato non tanto per discutere la tendenza delle trasformazioni urbane a configurare enclaves, una crescita secondo logiche comunitarie o una più generale infiltrazione di codicontro il tempo in nome della fissità, dell’immortalità. Nel rapporto che si istituisce tra archivio e spazio, quest’ultimo è ridotto ad un ruolo di secondo piano dal momento che la realtà spaziale finisce per essere letta solo attraverso il filtro dell'archivio. Questo significa che un’alterazione nei contenuti dell'archivio comporta una modificazione nella percezione della realtà stessa e la storia, la rappresentazione di un territorio, non può più essere distinta da ciò che è contenuto nell'archivio. Questa relazione non è solo di natura temporale, ma ha un manifesto carattere spaziale; la produzione di nuovo, nel contesto operativo definito dal progetto paesaggista, consiste in uno spostamento di confini, di oggetti, materiali, situazioni collezionate e oggetti profani che sono fuori dalla raccolta. Si tratta di un'operazione propriamente materiale, fisica, in cui alcuni oggetti sono riportati nell'archivio, altri sono lasciati fuori o espulsi in quanto immondizia culturale; costruire un archivio equivale a produrre residui. Si veda: Boris Groys, Über das Neue. Versuch einer Kulturökonomie, Carl Hanser Verlag, Munich / Wien 1992; tr. sp. Sobre lo nuevo. Ensayo de una economia cultural, Pre-Textos, Valencia 2005. 5 Le questioni più frequentemente associate a questo termine sono quelle della sostenibilità ambientale o energetica (la città post-Kyoto), e il declino di logiche di costruzione della città rese evidenti dallo scoppio della bolla speculativa di Dubai. Questa fase di costruzione e progettazione della città, sostiene Bourdin, si chiude con lo scoppio della bolla speculativa di Dubai (27 novembre 2009), che ha reso evidente il declino della modalità liberiste per la costruzione (e progetto) della città. Si veda: Alain Bourdin, L’urbanisme d’apres crise, Aube, La Tour d’Aigues 2010.
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ci coloniali nella costruzione della città europea, fenomeni questi già evidenziati prevalentemente nell’ambito delle scienze sociali, quanto per descrivere una città segnata da forme di esclusione e di disuguaglianze spaziali6, i cui luoghi, osservati alla scala minuta dei dintorni, dello spazio che si abita intorno alla casa, hanno prestazioni, possibilità d’uso e funzionamento insoddisfacenti. La crisi parla di una città in cui si abita peggio, negli spazi aperti come all’interno delle stesse abitazioni, di un generale impoverimento dell'ambiente urbano. Queste condizioni per alcuni versi mettono in discussione alcune abitudini e stili del progetto oggi dominanti. Mai come adesso la città è al centro dell’attenzione dei processi economici globali, vista come risposta al declino delle economie industriali, riconfigurata come luogo di produzione di immagini, come paesaggio, e allo stesso tempo come spazio del consumo di quelle stesse immagini. Una centralità a cui inaspettatamente corrisponde un peggioramento delle sue qualità dell’abitare. Come sempre il progetto urbanistico tende ad evidenziare i luoghi e le forme del mutamento. Per diversi aspetti tuttavia alcune pratiche del progetto urbanistico contemporaneo sembrano aver assunto un carattere di assecondamento dei processi in corso, riflettendo in maniera scarsamente critica il dispiegarsi delle economie globali sugli assetti urbani e territoriali, adottando un linguaggio semplificatore di ispirazione manageriale (progetto come messa in valore, sfida tra città, ricerca della competitività territoriale, cultura, sostenibilità energetica), e assumendo come riferimento ultimo un potere forte, quello del mercato e dei suoi operatori. La dimensione acritica è uno degli elementi connotanti il progettista-surfista, figura di ispirazione koolhaasiana, che si è imposta soprattutto nell’ambito dell’urbanesimo liberale, dotata di una capacità analitica e comunicativa spesso acuta, ma che anche quando si rivela capace di lavorare gli elementi deteriori, desueti o popolari che connotano un dato contesto produce un’opera6 Questo tema può essere affrontato a diverse scale. Alla scala della città i temi dell’accesso alle risorse ambientali o della ricerca di forme di mobilità efficienti persistono come questioni rilevanti per il progetto della città contemporanea, un riferimento è il progetto di Bernardo Secchi e Paola Viganò per la consultazione de Le Grand Paris de l’agglomeration parisienne. Accanto a questi, altri temi emergono osservando le modificazioni dello spazio urbano e le forme dell’abitare ad una scala di prossimità.
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zione solo apparentemente provocatoria in quanto tesa a ricavare dalla realtà urbana il massimo d’interpretazione possibile, il massimo di risultati disponibili. In questo modo i fenomeni che attraversano e modificano la città non risultano sottoposti ad un processo critico di lettura, ma piuttosto vengono seguiti, assecondati, nella misura in cui lo spazio urbano viene riletto il più realisticamente possibile. Contro questo fresh conservatorism che guarda ad individui emancipati, indipendenti, che dispongono di una capacità di mobilità illimitata e che propone pertanto un modello di abitare fluido e privo di centri, fatto di situazioni più che di spazi, andrebbe ricercata una pratica progettuale che resiste, operando uno scostamento rispetto ai modi più abitudinari di pensare e trasformare lo spazio, che produce spazi non più lisci ma dotati di attrito. In tal senso fare della crisi un progetto significa esasperare il particolare aspetto riflessivo di questa pratica evidenziando il conflitto e le disuguaglianze che connotano la città europea contemporanea, rifiutando di assecondare logiche economiche liberiste. Entro tale tensione il progetto diviene sospensione di una continuità, di resistenza, ovvero esattamente il contrario di un’accettazione e assecondamento, di una composizione di differenze. Nell’accostamento dei termini crisi, progetto e resistenza sono in particolare gli ultimi due termini ad identificare, almeno apparentemente, un campo operativo instabile in quanto il progetto urbanistico è la traduzione spaziale di una particolare modo di osservare lo spazio, di un sistema di valori, di un desiderio di ordine e strategie corrispondenti, anche se spesso in maniera non lineare o esplicita, ad una forma di potere. Nell’ambito degli studi urbani di matrice sociologica e antropologica7 la resistenza è tradizionalmente descritta come una particolare pratica di natura spaziale che esprime la capacità di resistere, da parte di uno o più soggetti, alle trasformazioni di una parte di città esistente o previste da un progetto, attraverso un dispositivo, un processo o un’azione. La resistenza descrive uno scontro tra poteri. 7 Un esempio piuttosto noto sono gli studi su fenomeni di squatting o su parti di città come Cristiania, quartiere di Copenhagen dotato di uno status semi indipendente, si veda: Andreas Roschitz, The Thing with the Ping. A Study on the Area Christiania, a Self Ruling Community in Copenhagen, Denmark, VDM Verlag, Saarbrücken 2008.
1. progetto di crisi
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In quanto fenomeno opposto ad un potere dominante, la resistenza è l’evento che ne rende esplicita l’azione. Senza di essa non si riesce ad operare una subordinazione perché manca qualcosa da addomesticare ed il progetto, in quanto espressione di potere, è qualcosa che individua i luoghi su cui esercitare una pressione, un’abrasione, rende manifesta una frizione. Il potere è un lavoro su qualcosa che resiste. Dal punto di vista sociologico la resistenza è quindi qualcosa che reagisce al progetto, una particolare pratica dell’abitare che riscrive alcune configurazioni spaziali o prefigurazioni progettuali assecondandole parzialmente o assumendo verso di esse un atteggiamento apertamente antagonista. In questa declinazione la resistenza è ciò che si oppone al cambiamento8 dello spazio, alla sua modificazione. Nella lotta per la persistenza si instaura un gioco tra potere (espresso dal progetto) e contro-potere (espresso da soggetti o gruppi di abitanti) che inaspettatamente carica di significato alcuni elementi della posta in gioco, alcuni oggetti o luoghi d’attrito, edifici, strade, stili d’insediamento, producendo comunque una loro modificazione, una loro “elevazione a maggiore”, ridefinendoli come simboli. La declinazione del concetto di resistenza che qui si tenta di individuare è distante da questo ambito ed è ricercata attraverso lo spo8 Spinoza ha riflettuto attorno al concetto di resistenza descrivendola come qualcosa di costitutivo della stessa natura delle cose, la sostanza vuole persistere e affinché una cosa possa esistere questa deve anche durare nel tempo, in qualche modo deve rimanere medesima. Spinoza ha fatto del principio della resistenza e della democrazia che da tale resistenza si genera, gli oggetti principali della sua ricerca politica. Nel Trattato teologico-politico, il soggetto è descritto come resistenza, come essenza che si oppone e resiste al dominio. La resistenza non è una figura generica o passiva e anche quando si presenta come reazione essa organizza azioni costruttive, resistenza è prudenza, l'esigenza di un soggetto di evitare la propria distruzione. In Spinoza il concetto di resistenza è connesso a quello di moltitudine, qui resistenza corrisponde alla strategia del conatus, sforzo, tensione o «forza, con la quale ciascuna cosa si sforza di perseverare nel suo essere». La moltitudine in virtù del suo carattere barbaro, ostile ad ogni tentativo di «automazione» (che può anche essere una servitù felice, come l'adesione acritica ad una particolare forma di vita), e di «animalizzazione» degli uomini «mantiene in parte la propria libertà attraverso una segreta ed effettiva rivendicazione». La rivendicazione implica sia una dinamica mimetica di solidarietà, sia la difesa di diritti che derivano dalla pratica stessa della vita sociale. Si veda: Laurent Bove, La strategie du conatus. Affirmation et resistance chez Spinoza, Vrin, Paris 1996.
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stamento della pratica di resistenza dalla parte della pratica progettuale, istituendo un nesso tra principio di resistenza e costruzione del progetto. Non si tratta di una riedizione di atteggiamenti radicali quaranta anni dopo il Sessantotto. Resistenza qui è intesa come azione critica verso quelle forme dominanti del progetto urbanistico che pur attraverso differenti tematizzazioni possono essere viste come omologhe o omologanti dello spazio, tese a costruire spazialità lisce, senza attriti, dove la dimensione conflittuale dello spazio urbano è rimossa, dislocata altrove, aumentandola. La pratica della resistenza esaspera il carattere critico e riflessivo del progetto, è una resistenza silenziosa verso quelle forme del progetto per la città ed il territorio dominanti eccessivamente aderenti ai discorsi culturalisti e del mercato, resistenza è conflitto. Qui il termine resistenza assume quindi un doppio significato, da un lato è inteso come pratica progettuale critica verso alcune forme dominanti del progetto urbanistico contemporaneo, dall’altro come azione che evidenzia il conflitto, che apre allo scontro; è entro tale tensione che si istituisce una relazione tra i concetti di progetto, crisi e resistenza. La costruzione del progetto di crisi è un processo da ricercare attraverso alcune pratiche, forme d’azione e con strumenti propri della tradizione disciplinare in un momento in cui ci si compiace di osservare e pensare il progetto urbanistico soprattutto dall’esterno, adottando lo sguardo dell’antropologo, dell’economista o dell’operatore finanziario. Crisi è una rottura della normalità, una separazione, entro la quale il divenire delle città è segnato da momenti in cui alcune regole e luoghi perdono forza, per ricostruirsi secondo un ordine differente. Il richiamo è al “progetto di crisi” tafuriano, termine attraverso il quale la ricerca storica è stata pensata non come ricostruzione ma come progetto, come azione che evidenzia una rottura o crisi della consuetudine. Questo modo di intendere la costruzione storica, rivendicandone un carattere attivo, è qui preso come riferimento per ripensare la dimensione critica del progetto. Il tentativo è operare uno slittamento semantico che vede i termini crisi e progetto diventare quasi sinonimi.
2. La costruzione dello spazio trasparente
Un tel système pourrait être nommé rhizome. Un rhizome comme tige souterraine se distingue absolument des racines et radicelles. Les bulbes, les tubercules sont des rhizomes. Des plantes à racine et radicelle peuvent être rhizomorphes à de tout autres égard: c’est une question de savoir si la botanique, dans sa spécificité, n’est pas tout entière rhizomorphique. Des animaux même le sont, sous leur forme de meute, les rats sont des rhizomes. Les terriers le sont, sous toutes leurs fonctions d’habitat, de provision, de déplacement, d’esquive et de rupture. Le rhizome en lui-même a des formes très diverses, depuis son extension superficielle ramifiée en tous sens jusqu’à ses concrétions en bulbes et tubercules […]. Caractères approximatifs du rhizome 1û et 2û Principes de connexion et d’hétérogénéité: n’importe quel point d’un rhizome peut être connecté avec n’importe quel autre, et doit l’être. C’est très différent de l’arbre ou de la racine qui fixent un point, un ordre […]. 3° Principe de multiplicité […] Les multiplicités sont rhizomatiques, et dénoncent les pseudo-multiplicités arborescentes. Pas d’unité qui serve de pivot dans l’objet, ni qui se divise dans le sujet. Pas d’unité ne serait-ce que pour avorter dans l’objet, et pour «revenir» dans le sujet. Une multiplicité n’a ni sujet ni objet, mais seulement des déterminations, des grandeurs, des dimensions qui ne peuvent croître sans qu’elle change de nature (les lois de combinaison croissent donc avec la multiplicité) […]. 4° Principe de rupture asignifiante […]. Un rhizome peut être rompu, brisé en un endroit quelconque, il reprend suivant telle ou telle de ses lignes et suivant d’autres lignes. […] 5° et 6° Principe de cartographie et de décalcomanie: un rhizome n’est justiciable d’aucun modèle structural ou génératif. Il est étranger a toute idée d’axe génétique, comme de structure profonde. Gilles Deleuze, Félix Guattari, Millepiani
Il progetto per la città e il territorio ridefinito in termini di progetto di paesaggio, come nelle esperienze del Landscape Urbanism, la ricerca della sostenibilità ambientale come strumento per la promozione immobiliare di nuovi quartieri-enclaves, il proget-