abi tare la pro ss i m i tĂ 2 laboratorio di progettazione urbanistica con sociologia urbana A prof. antonio di campli
Torino, 3 febbraio 2011
dispositivi interni. chiusura genealogie sperimentazioni
/ atmosfera
il pittoresco uno spazio fatto di soglie, con possiblità di scelta tra situazioni e prestazioni differenti.
l’abitante percola nello spazio, uno spazio che è sempre non-familiare.
(il pittoresco è una deriva della descrizione).
il “dopo-paesaggio”
il progetto per i dispositivi della “presa di distanza”, del riparo. non si tratta del progetto di spazio pubblico, non si tratta di immagine, ma di un lavoro sui dispositivi urbani, sull’offerta urbana.
il progetto della prossimità. due direzioni
dispositivi
Panopticon, Jeremy Bentham, 1791. Nel XVII e XVIII secolo appaiono tecniche di potere incentrate sul corpo con una serie di dispositivi atti a determinare una disposizione spaziale ed un’economia dei corpi. Appaioni strutture come carceri, ospedali, collegi, dispositivi, sostiene Foucault in Sorvegliare e Punire, ispirate al panopticon di Bentham e che tendono a razionalizzare, a dividere, a separare i corpi per avere un controllo maggiore su di essi. Il funzionamento della prigione passa attraverso i collegamenti che esistono tra le condizioni di visibilità (il sistema di sorveglianza che crea una dissimetria tra vedere e essere visti) che ripartiscono architettonicamente all’interno del penitenziario e i discorsi intorno al valore educativo della pena, ai metodi di disciplinamento. Quest’insieme di elementi, discorsivi e non discorsivi, Foucault lo chiamò dispositivo.
“Il dispositivo, o l’apparato, ha essenzialmente una natura strategica, si tratta di una certa forma di manipolazione di oggetti o forze raggiunta sviluppandole in particolari direzioni, arrestandole, stabilizzandole, utilizzandole ecc. L’apparato è sempre iscritto in un gioco di potere consiste in strategie di rapporti di forze che sostengono e sono sostenute da tipi di sapere”
michel foucault
/ dispositivi
discorsi istituzioni sistemazioni architettoniche leggi misure amministrative enunciati scientifici proposizioni filosofiche gilles deleuze
/ che cos’è un dispositivo?
interni (bolle, serre...)
soglie (membrane, lamine...)
interni, soglie, mebrane sono dispositivi semipermeabili attraverso i quali innescare strategie di
trasformazione,
comunicazione-filtraggio
dello spazio urbano. in maniera puntuale, non continua.
spazi aperti come dispositivi
> interni
“I do not know if it has ever been noted before that one of the main characteristics of life is discreteness. Unless a film of flesh envelopes us, we die. Man exists only insofar as he is separated from his surroundings. The cranium is a spacetraveler’s helmet. Stay inside or you perish. Death is divestment, death is communion. It may be wonderful to mix with the landscape, but to do so is the end of the tender ego” Vladimin Nabokov, Pnin
Opera incompia su cui lavorò per 13 anni, a partire dal 1923, i “passages” combiano testi, appunti, citazioni ed elaborazione teorica con l’obiettivo di indagare le origini della modernità a partire dalla realtà di Parigi colta in una miriade di dettagli eterogenei e marginali:
i passages la merce la prostituzione il flaneur il gioco la moda l’art nouveau la modernizzazione urbanistica di
Haussmann
il collezionismo
Walter Benjamin / I Passages di Parigi
interni urbani
Costruiti entro la prima metĂ del XIX secolo, (1823-28 e 1839-47) si trovano per la maggior parte sulla riva destra della Senna, nella zona dei Grands Boulevards
250,50 m
181 m
spalato
/ palazzo di diocleziano
The idea of interior historically emerges in the nineteenth century in the context of the bourgeois domesticity, through a slow process of accumulation of traces and meanings sometimes obscure. Interior, however, is not a concept that refers only to architectural or spatial qualities. The interior borrows the dimension of closure defined by an architecture, articulating it through the decoration, the coating of its architectural shell, defining itself not simply as a spatial phenomenon but also as image. This dual character marks the separability of the internal condition from that of a closed configuration. It is a material separability that enables us to say that the idea of interior is disconnected from that of architectural internality, a separation which is not intended as a total emancipation. In 1851 Gottfried Semper describes what he believes are the four main elements of the architecture: the hearth, the roof, the fence, the embankment. In his arguments against the idea that architecture configuration and tectonic structure are the same, the interior is freed from the structure. Being inside is not a question of structural rigidity but of atmosphere.
la cittĂ come una schiuma
Siamo portati a considerare i rapporti umani come delle linee più o meno rette che collegano gli uni agli altri (secondo le strutture che già conosciamo: marito-moglie, genitore-figlio, amico-amico, produttore-consumatore, etc.), Sloterdijk al contrario ritiene che tali rapporti siano meglio definibili secondo l’archetipo della sfera, nella quale sono comunemente compresi non solo i singoli individui che compongono il rapporto ma anche (e per certi versi soprattutto) l’ambiente che li circonda. Abitiamo un mondo che non è benevolo bensì è quello nel quale siamo gettati e al quale cerchiamo di far fronte, pertondo e schiacciato ai poli non sarebbe immagine migliore della congerie di bolle di sapone ritratte sulla copertina di Schiuma: una schiuma, appunto, in cui ogni bolla è un mondo a sé stante e ciò nondimeno legato al resto da uno o più lati; una ragnatela di interazioni curvilinee che trovano la propria miglior spiegazione nel rapporto fra l’uomo e l’ambiente. un rapporto che si inscrive a perfezione nella dinamica delle sfere: ossia, se storicamente l’assalto di un uomo all’altro era sempre avvenuto in linea retta (si pensi all’arma bianca, si pensi alla pistola), il globo schiumoso si caratterizza invece a partire dal dato di fatto che l’assalto di un uomo all’altro si identifichi con lo spostamento d’aria. Questo mutamento ha una data precisa: il 22 aprile 1915, seconda battaglia di Ypres, i tedeschi attaccano gli alleati mediante gas di cloro; ne consegue che, a partire dal 22 aprile 1915, l’assalto dell’uomo all’uomo ha mirato a colpire la vittima sempre meno nel suo corpo e sempre più nel suo ambiente, nella sfera che lo circonda. Il mondo delle schiume si caratterizza a partire da un istinto bellicoso che porta gli abitanti di una bolla a richiedere riconoscimento agli abitanti di una bolla vicina attaccando la bolla, l’ambiente: a sottrar loro il simulacro collettivo della stessa immunità.
peter sloterdijk
/ sfere
genealogie
Étienne-Louis Boullée / Cenotafio di Newton, 1783-4
Crystal Palace, londra, 1851
Biosphere 2 is a manmade ecological system in Oracle, Arizona. It was used to test if how people could live and study in a closed biosphere, while carrying out scientific experiments. It explored the possible use of a closed biosphere on spaze colonization, and also allowed the study and manipulation of a biosphere without harming Earth’s. The name comes from the idea that it is modelled in “Biosphere 1 - Earth” http://en.wikipedia.org/wiki/Biosphere–2
edwaerd p . pass , biosphere
2, oracle (az), 1987-1989
Ant Farm was established within the counter-cultural milieu of 1968 San Francisco by two architects, Chip Lord and Doug Michels, later joined by Curtis Schreier. Their work dealt with the intersection of architecture, design and media art, critiquing the North American culture of mass media and consumerism. Ant Farm produced works in a number of formats, including agitprop events, manifestos, videos, performances and installations. Their early work was a reaction to the heaviness and fixity of the Brutalist movement in contrast to which they proposed an inflatable architecture that was cheap, easy to transport and quick to assemble. This type of architecture fitted well with their rhetoric of nomadic, communal lifestyles in opposition to what they saw as the rampant consumerism of 1970s USA. The inflatables questioned the standard tenets of building: these were structures with no fixed form and could not be described in the usual architectural representations of plan and section. They instead promoted a type of architecture that moved away from a reliance on expert knowledge. The inflatables thus constituted a type of participatory architecture that allowed the users to take control of their environment. Events were also organised inside the inflatables, which were set up at festivals, university campuses or conferences to host lectures, workshops, seminars, or simply as a place to hang out.
ant farm
/ inflatables
La nozione di interno nella cultura del progetto urbano contemporaneo e più in generale l’attuale dibattito sulla tendenza a configurare spazi urbani come interni, sta assumendo un carattere problematico oscillando tra due posizioni contrapposte: una pessimista che vede l’interno soprattutto come enclave-rifugio o panic room per un ceto medio spaventato e aggressivo in cerca di contesti, spazi di vita, controllati e sorvegliabili; è la posizione ad esempio di Mike Davis che coglie in questa tendenza progettuale ormai ventennale, oltre che riflesso frantumazione del pubblico anche le spinte di logiche immobiliariste e di marketing urbano un esempio, secondo Davis, è la produzione anni Ottanta di Frank Gehry caratterizzata da dumb boxes e da superfici vandalproof, più recentemente possono essere rilette in tal senso alcune esperienze europee come quelle di Bolles+Wilson. Su posizioni parzialmente simili poggiano le argomentazioni di Richard Sennett per il quale la visione intimista dello spazio, l’attenzione che nelle società occidentali è rivolta all’esperienza individuale e il conseguente svuotamento di senso della sfera pubblica, è esito di una “diffusa inquietudine sentimentale che si manifesta nell’apprensione per il modo in cui funziona il mondo”. “Il termine “intimità” evoca calore, fiducia, libera espressione di sentimenti. Ma proprio perché ci aspettiamo benefici psicologici da tutti gli ambiti della nostra esperienza, e la vita sociale, che ha un suo significato indipendente, ce li nega, il mondo esterno, impersonale, non ci soddisfa, ci appare monotono e vuoto”. In tal senso l’attenzione al privato, la ricerca di calore o fiducia “non è un principio, ma una rappresentazione fedele dell’essenza della nostra psiche e dei nostri veri sentimenti” Questa sfiducia nello spazio pubblico sposta l’attenzione verso lo spazio del movimento portando a ridefinire lo spazio pubblico prevalentemente come spazio di transito e nodi di connessione, come dispositivo di connessione tra interni. Si tratta di un modo di articolare lo spazio urbano che si può ritrovare anche nella produzione di architetti americani come Gordon Bunshaft che negli anni ’50 ha ripensato il ruolo e la funzione del grattacielo come torre che si appoggia su una corte semipubblica e soprattutto di Victor Gruen che ha definito il modello contemporaneo del centro commerciale come spazio introverso dove la dissoluzione tra strada e vetrina avrebbe permesso al cittadino del suburbio la pratica del “peepshow for eager consumers ”.
interni
/ i pessimisti
La seconda, quella di Andrea Branzi , è segnata da un’atteggiamento ottimista verso questo processo di “interiorizzazione”. Con questo termine Branzi intende due cose: “la prima è il risultato della sostanziale prevalenza degli spazi interni rispetto ai gusci dell’architettura che li contiene. La qualità di un luogo urbano non è più costituita dall’efficacia dello scenario architettonico, ma piuttosto dalla sofisticazione dei vari interior design, dai prodotti presenti nelle vetrine, e anche dal pubblico che invade le strade e le piazze. […]. In altre parole si è sostituita la vecchia città, fatta di scatole architettoniche (ridondanti e non più percepibili nel contesto della complessità dello scenario urbano), con un’altra città meno visibile, meno esibita, più estesa e più vitale, che però fornisce emozioni, merci, informazioni; ma non costruisce cattedrali.” Come in una città mediorientale scompaiono le piazze e prevalgono gli spazi interni, le “esperienze immateriali, da sistemi pulviscolari di micro-progetti e da sotto-sistemi ambientali, che complessivamente non possiedono una forma esterna, ma sono come le viscere di un corpo, che non si vedono ma sono i luoghi di una intensa produzione endocrina che di fatto alimenta lo sviluppo e la vitalità di un organismo”. La seconda pur derivando dalla prima riguarda altre questioni, “l’architettura comincia finalmente ad avviarsi verso un livello di “astrazione”, cioè di superamento del proprio vecchio limite “figurativo”, per diventare anch’essa (come l’arte, la musica e la letteratura) un sistema, una semiosfera non da guardare ma da sperimentare”. Se questa è la direzione verso la quale l’architettura si sta avviando, come fase matura della complessità metropolitana da lei stessa avviata, vuol dire che l’architettura sta diventando un’esperienza “interiore”, cioè non solo fatta di spazi “interni”, ma di logiche mentali, di spazi psicologici”, viscere.
interni
/ gli ottimisti
i pessimisti.
“design for a better outdoor indoor. victor gruen
victor gruen. southdale mall, edina, minnesota,
1956
dispersal and decentralization for defence
victor gruen. northland mall, detroit,
1954
gordon bunshaft. lever house, new york,
1952
How insert high property values and sumptuary spaces into decaying neighbourhoods? Gehry’s Danziger Studio in Hollywood is the pioneer instance of what has become an entire species of Los Angeles “stealth houses”, dissimulating their luxurious qualities with proletarian gangster facades. The street frontage of the Danziger-on Melrose was simply a massive gray wall, treated with rough finish to ensure that it would collect dust from passing traffic and weather into a simulacrum of nearby porn studios and garages. A design “introverted and fortresslike”, with the silent aura of a “dumb box”. Dumb boxes and screen walls form an entire cycle of Gehry’s work, ranging from his American school of Dance (1968), to his Gemini G.E.I., both in Hollywood.
dumb boxes come esito della frantumaziome del pubblico (keller easterling) i pessimisti.
frank gehry
Regia di David Fincher con Jodie Foster, Forest Whitaker. Thriller, colore, 100 minuti, USA 2002. Per Meg Altman (Jodie Foster) e sua figlia Sarah è la prima notte nella nuova casa: papà se n’è andato con una modella, ma ha lasciato loro sufficienti soldi per comprarsi una nuova casa ai confini di Central Park. Quattro piani, giardino, numerose camere da letto e, come optional, una panic room, una camera blindata inespugnabile dove, in caso di necessità, ci si può rifugiare e da lì osservare il resto della casa attraverso dei monitor. Ed è lì che si rifugiano le due donne quando, nel cuore della notte, scoprono che in casa sono penetrati tre rapinatori. Il problema che ciò che essi cercano si trovi proprio in quella stanza: ma loro non possono entrarci e Meg e Sarah non possono uscirne. Inizia così un perverso gioco del gatto col topo, dove la panic room, dapprima sicuro rifugio, si trasforma in una trappola infernale: la ragazza infatti soffre di diabete, ma le iniezioni di insulina si trovano al piano di sopra...
panic room
/ la casa come spazio insicuro
“Enduring Innocence. Global Architecture and its Political Masquerade�
bolles+wilson, quartiere monteluce. perugia
“Quello che noi cerchiamo nel privato non è un principio, ma una rappresentazione fedele dell’essenza della nostra psiche e dei nostri veri sentimenti. Abbiamo cercato di rendere la vita privata – che consiste nello stare da soli, con i familiari o con gli amici più intimi – un fine in se stessa”. “il termine “intimità” evoca calore, fiducia, libera espressione di sentimenti. Ma proprio perché ci aspettiamo benefici psicologici da tutti gli ambiti della nostra esperienza, e la vita sociale, cha ha un suo significato indipendente, ce li nega, il mondo esterno, impersonale, non ci soddisfa, ci appare monotono e vuoto”. “L’importanza attribuita dalla società americana all’esperienza individuale sembrerebbe indurre i cittadini a valutare in termini personali ogni aspetto della vita sociale. In realtà, quello che emerge oggi non è un sano individualismo ma una diffusa inquietudine sentimentale che si manifesta nell’apprensione per il modo in cui funziona il mondo”. “la visione intimista del mondo si sviluppa nella misura in cui la sfera pubblica è abbandonata, in quanto vuota. Su un piano strettamente fisico, l’ambiente induce a ritenere priva di senso la sfera pubblica, in quanto organizzazione dello spazio urbano”. Sennett sostiene che gli architetti che progettano grattacieli e altri grandi edifici sono stati tra i primi a lavorare entro queste concezione della vita pubblica.
richard sennett
il grande lebowsky
/ provvisorietà dell’abitare
La seconda, quella di Andrea Branzi , è segnata da un’atteggiamento ottimista verso questo processo di “interiorizzazione”. Con questo termine Branzi intende due cose: “la prima è il risultato della sostanziale prevalenza degli spazi interni rispetto ai gusci dell’architettura che li contiene. La qualità di un luogo urbano non è più costituita dall’efficacia dello scenario architettonico, ma piuttosto dalla sofisticazione dei vari interior design, dai prodotti presenti nelle vetrine, e anche dal pubblico che invade le strade e le piazze. […]. In altre parole si è sostituita la vecchia città, fatta di scatole architettoniche (ridondanti e non più percepibili nel contesto della complessità dello scenario urbano), con un’altra città meno visibile, meno esibita, più estesa e più vitale, che però fornisce emozioni, merci, informazioni; ma non costruisce cattedrali.” Come in una città mediorientale scompaiono le piazze e prevalgono gli spazi interni, le “esperienze immateriali, da sistemi pulviscolari di micro-progetti e da sotto-sistemi ambientali, che complessivamente non possiedono una forma esterna, ma sono come le viscere di un corpo, che non si vedono ma sono i luoghi di una intensa produzione endocrina che di fatto alimenta lo sviluppo e la vitalità di un organismo”.
gli ottimisti “viscerali” andrea
branzi / interiorizzazione della città
archizoom
/ no stop city, 1969
climatic universal system
A
metà tra il fresh conservatorism della prima
posizione e gli entusiasmi viscerali cui può dare adito la seconda, progettare ambienti urbani come interni in questa esperienza corrisponde ad un tentativo di affrontare l’attuale inversione nelle
società occidentali, rinvenibile sia nelle pratiche dell’abitare che nell’uso degli spazi aperti, tra interno
ed
esterno
descritta
da
Sloterdijk;
gli interni sono riflesso della sempre maggior difficoltà a pensare e progettare spazi urbani o ambienti per un pubblico che appare sempre più frantumato ma si configurano anche come possibili dispositivi capaci di offrire usi ed esperienze spaziali innovative alla scala della prossimità.
sperimentazioni
Site Dimensions: 88,000sqm (166.5m x 121.5m) Footprint: 20,200sqm – Floor Area: 37,000sqm Programs: Multimedia Library – 500,000 volumes; Student Workspaces – 860 seats; Multipurpose Hall “Forum Rolex” – 600 seats; Café + Bar – 53 seats + exterior; Food Court – 128 seats + exterior; Restaurant – 80 seats; Career Center; Library Staff Office; EPFL Precious Book Collection; Student Association Office – “AGEPoly”; Alumni Association Office – “A3”; Pedagogy Research Office – “CRAFT”; Publication Office – “PPUR” Bank – “Credit Suisse”; Bookshop – “La fontaine”; Parking – 500 places.
sanaa
/ rolex learning center, losanna 2010
esterno climatizzato
“Clima interno” è il manifesto spaziale de “La forma e la funzione seguono il clima”. L’installazione al CCA è fatta di due spazi: una prima galleria luogo di produzione e misura delle condizioni climatiche interne; una seconda come luogo di lettura e interpretazione dei dati. il tentativo è costruire un’architettura capace di indicare possibili usi degli spazi definiti da tre parametri: temperatura = T; intensita di luce = LUX e umidità reativa = HR
T x lux x HR = forma e funzione
il variare delle tre funzione ridefinisce una geografia d’interni
simulazione del movimento della luce del sole durante il giorno
philippe rahm
/ metereologia d’interni, CCA, 2006
il progetto mira ad evidenziare il rapporto tra spazio interno e umiditĂ ; trasformazione di un problema fisico in uno architettonico
philippe rahm
/ casa mollier, vassivière, limosino, 2005
turbine hall,
16/10/03 - 21/03/04
olafur eliasson
/ the weather project, tate modern, londra
Lo scrittore del XVIII secolo Samuel Johnson ha sottolineato che “comunemente quando due inglesi si incontrano, il loro primo colloquio è del tempo; nella fretta di dirsi, una cosa che ciascuno già conosce, che è caldo o freddo, luminoso o nuvoloso, ventoso o calmo”. The Weather Project è una rappresentazione del sole e del cielo dentro la Turbine Hall della Tate Gallery di Londra. Una foschia pervade lo spazio, come proveniente dall’ambiente all’esterno; durante il giorno l’umodità condensa in nubi, e il soffitto della sala della turbina sparisce. In fondo alla stanza c’è un’enorme forma semicircolare fatta di lampade monofrequenza. L’arco riflesso nello specchio produce una sfera abbagliante; utilizzate generalmente nell’illuminazione stradale, le lampade di mono-frequenza emettono la luce ad una frequenza stretta che i colori tranne il giallo ed il nero sono invisibili, trasformando il campo visivo intorno al sole in un vasto paesaggio composto da due toni.
ecosistema urbano
/ ecobulebar vallecas, madrid, 2007
moltiplicazione degli usi
Superficie construída: 4.200 mts2 En nuestro proyecto la escala micro de lo orgánico, su organización en leyes y patrones geométricos flexibles (un panal, un tejido celular), permite definir la creación de un módulo en planta al que llamamos “flor-árbol”, conformado por siete hexágonos. Más que una forma acotada y cerrada, se ha definido un sistema modular de agrupación y crecimiento flexible.
plan b arquitectos
/ orquideorama, medellin, 2006
RESTITUCIÓN DEL FOLLAJE Al reemplazar la estructura de carácter industrial existente, inserta en medio del bosque nativo del jardín botánico, el nuevo Orquideorama a modo de jardín a escala mayor y por medio de sus pétalos cubierta, restituye la forma del follaje faltante. Más que una cubierta, se construye una superficie superior con las cualidades lumínicas y ambientales de los follajes. Proponemos que se construya el Orquideorama del mismo modo en que se siembra un jardín: una flor va creciendo al lado de otra, hasta que se define un conjunto abierto de flores-árbol modulares.
SISTEMA FLEXIBLE La arquitectura industrial, de amplias luces y cubiertas opacas se distancia ampliamente de lo que debe ser un Orquideorama: La estructura y apoyos de la nueva estructura, que generan luces de 21 mts, funcionan como patios vegetales y animales, que vinculan lo bi贸tico al esfuerzo estructural.
TECTÓNICA DE LA FLOR ÁRBOL • estructura de tronco hueco: definida por seis columnas metálicas que conforman un patio y determinan la posición de las redes eléctricas e hidráulicas. • estructura de pétalos – cubierta: construidos por medio de vigas metálicas de alma vacía. • recolección de aguas: cada pétalo intercala cubiertas en tejas translúcidas de policarbonato con tejas opacas metálicas, las cuales conducen el agua a una canoa que define el perímetro del interior del patio, para luego llegar a tierra por bajantes metálicos confundidos con la estructura arbórea. • cubierta de tronco hueco: el hexágono central de este módulo flor-árbol es cubierto con tejidos sintéticos que protegen a las plantas del impacto del la lluvia y el granizo y de los rayos solares directos. • follaje – cielo falso: se propuso madera de pino pátula inmunizada proveniente de cultivos reforestados, los cuales conforman tejidos translúcidos. • suelos: se diseñó un adoquín triangular en hormigón, que ayuda a mantener la humedad necesaria para que las plantas tropicales puedan tener un adecuado desarrollo.
“Perché un edificio pubblico [uno spazio pubblico] non può essere disegnato come una villa o un’abitazione privata?” (Toyo Ito). La maggior parte dei lavori dell’Atelier Bow-Wow consiste in progetti e realizzazioni di case individuali e l’attributo proprio dell’architettura residenziale è che questa è fatta per gli individui. Se in passato erano i concetti di nazione, società e comunità che definivano le condizioni del fare architettura, dagli anni ‘60 in poi, la basi che legano luogo e popolazione si indeboliscono (maggiori possibilità di movimento della gente e degli oggetti; la diffusione delle informazioni..), un processo che ridefinisce il tema del rapporto tra individuo e spazio. In Giappone in assenza di un’idea forte di società in senso occidentale, ancora meno di nazione, è stato il “salto di scala” dello spazio individuale della casa isolata a costituire il modello spaziale per edifici (e spazi) pubblici e il progettare case era sufficiente alla carriera di un architetto. L’idea di fare un edificio pubblico basato sull’idea di spazio individuale è un tema esplorato da alcune ricerche giapponesi, un esempio è il 21st Century Museum of Contemporaty Art di Kanazawa progettato da Kazujio Sejima, un edificio pubblico, ma visto dagli allestitori e dai curatori più una grossa casa. In Europa persiste la convizione che la casa individuale non sia un luogo sociale, ma cosa si intende con “luogo non sociale”? Una casa appartiene ad un individuo,ad una famiglia, questa condizione porta a considerare la casa individuale come qualcosa di ben definito dal punto di vista spaziale e progettuale, una condizione non modificabile, ma la situazione giapponese è differente. Come riportato nel libro di cronache di 8 secoli fa di Kamo no Choumei, Houjiouki (la capanna di 10 piedi quadrati), lo spazio di cui ha bisogno un individuo proviene dal concetto eremitale di ”ritiro”, uno spazio del ritiro che corrisponde ad una condizione di saggezza individuale, un tema che oggi ha raggiunto rilevanza sociale. Oggi il concetto di “ritiro” si è diffuso e tende a ridefinirsi come “spazio attorno al corpo”; i libri sulle microarchitetture vendono bene, compreso quello di Bow-Wow Pet Architecture. Ma questa attenzione al corpo travalica l’architettura, ridefinendo le condizoni del fare oltre i concetti di società o comunità. Quello che interessa è il corpo visto attraverso dimensioni e convenzioni culturali e lo spazio che esso produce. Il corpo è in possesso dell’individuo ma è condiviso con altri, un corpo problematico, tutto questo pone il problema di ridefinizione dei concetti di
interno microspazi pubblici (gap. ultimo spazio pubblico)
“like a huge house”. atelier bow-wow
opening tube stanza di nessuno
inversione pubblico/privato finestra privata
tubo d’ingresso
stanza di tutti
lifeline tube cubo dei sanitari
Il concetto di Oku è di interno protetto o retro. Nell’architettura residenziale tradizionale giapponese c’è sempre uno spazio interno non connesso con gli spazi di circolazione ed uno spazio esterno legato alle connessioni. Questo progetto inverte le relazioni tra interno ed esterno usando 2 scatole annidate l’una dentro l’altra e tubi di connessione. Si entra dalla scatola interna, tramite il tubo e poi procede più a fondo verso quella esterna, un ribaltamento che annulla il concetto di interno, lo spazio interno è di facciata, l’esterno è già retro. Lo spazio tra i due cubi non appartiene né all’esterno né all’interno della casa ed è stato chiamato stanza di nessuno. il progetto è stato redatto per il concorso Shinkenchiku Residential Design Competition del 1992 come analisi critica di formazione dei meccanismi di Oku, come condizione spaziale e come insieme stratificato di significati sociali
house without oku (depth),
1994
inversione pubblico/privato
demolizione di little teheran “the attraction of urban life is in being able to obtain a level of convenience and comfort similar to inside a room even while outside, through an alliance with infrastructure. [...] the seed of such internally sprouted public spaces is behaviour regualted by ethnic background and soocial context. on the other hand, even though the streets of shibuya are full of people, in this sense they are weak�
atelier bow-wow
/ public kitchen operation, 1994
The project Urban Hall concerns a place with the most critical criminal character of the city center of Athens [the Plateia Theatrou area], a drugs distribution square and public drugs consumption place. The proposal consists in the construction of a grid roof equipped with a number of fans that emphasizes an empty urban space under it. It could function as an open hospital for the drug users, as a theater place or as an open air Working Hall. It may expand to neighbouring parts of the city while transforming the space of the urban tissue. This project proposes a systematic urban intervention that interprets under a new light traditional urban methodologies:
aristidis antonas
/ urban hall, atene, 2010
1
Its interpretation follow the vague strategies of the situationists and a different understanding of theatricality in the city. The Urban Hall project is divided in two distinct moves that would form a type of intervention that would be named “urban curating�. The first move of such a double urban curatorial work has to do with the choice and installation of an empty urban field in the city; the second would have to do with a system of replacing different actions in this selected and constructed field. The aim of the project is to generate an interest for the everyday life on this area that, interpret its conditions and generate a strategy that would concretize the interest for the people that live there.
inclusione del conflitto nel progetto
2
The Urban Hall project proposes spatial practices related with creative activism and includes neighboring areas that can soon be included in this zone of prepared actions, using performativity in order to work towards the clarification of a political agenda in a practical manner. In Antonas words, “The project would function as a benevolent virus which does not expel what is conceived as a problematic part of the city life but it incorporates it by consecrating to it its energy for a certain amount of time.�
A proposal for the upper layer of Athens. The project sets the rules for the creation of some grid constructions, done through a stitching of old recycled metal grids of the athens sewerage system or of similar ones that are ordered for this purpose. A new legal reform is necessary in order that different roof properties are redistributed in a different logic; different roofs in the same block can be unified. The project undertakes the unification of some athens blocks through the position of these particular grids. The proposed structure is constituted from recycled grids of the athens metro, the sewerage system, the rain drains. The technology of green houses is used in order to obtain the maximum of green using the minimum of earth and water.
aristidis antonas
/ athens terrace works
sovrapposizioni
“Choose what you want to do – or watch someone else doing it. Learn how to handle tools, paint, babies, machinery, or just listen to your favourite tune. Dance, talk or be lifted up to where you can see how other people make things work. Sit out over space with a drink and tune in to what’s happening elsewhere in the city. Try starting a riot or beginning a painting – or just lie back and stare at the sky.” Fun Palace was conceived and commissioned in 1961 by renowned theatre director and producer Joan Littlewood. On the one hand, Fun Palace was inspired by the egalitarian philosophy of eighteenth century English pleasure grounds, such as Vauxhall and Ranelagh, with their sprawling spaces for strolling, amusement, and gossip. On the other hand, Price’s unrealised project was up-to-the-minute, interpreting current Cybernetic theories, avant-garde theatrical principles, and a free-spirited, Monty Pythonesque sense of fun. The ultimate goal was a building capable of change in response to the wishes of users.
cedric price
/ fun palace, 1961
In the case of Fun Palace, where users would determine those requirements, Price surveyed friends and colleagues about what activities they would enjoy and also tried to anticipate uses to which the building might be put. Price studies all possible variations of theatre configurations based on such variables as capacity (audiences of 10 to 1,000), grade of theatre shell (6째 to 35째), distance to stage from front and back rows, maximum number of seats per row, width and depth of seat banks, and the height of the front of a bank of seats from the stage. The only fixed element within the Fun Palace was to be the structural grid of steel lattice columns
and beams. All other programmatic elements – hanging theatres, activity spaces, cinema screens and speakers – were to be movable or composed of prefabricated modular units that could be quickly assembled and taken apart as needed. The columns, or service towers, in addition to anchoring the project, also contained service and emergency stairs, elevators, plumbing, and electrical connections.
superstudio. monumento continuo. “viaggio da A a B” (1972) l’architettura ridotta alla sola griglia spaziale
prestazioni / usi / controllo ambientale / comfort / inclusione del conflitto > dispositivi come stumento di ridefinizione dell’abitare alla scale della prossimità e come critica ad una pratica del progetto urbano che produce spazi privi di attriti, lisci e bonificati dal discorso culturale.
Mai come adesso la città è al centro dell’attenzione dei processi economici globali, vista come risposta al declino delle economie industriali , riconfigurata come luogo di produzione di immagini , come paesaggio , e allo stesso tempo come spazio del consumo di quelle stesse immagini . U na centralità a cui inaspettatamente corrisponde un peggioramento delle sue qualità dell ’ abitare . Come sempre il progetto urbanistico tende ad evidenziare i luoghi e le forme del mutamento. Per diversi aspetti tuttavia alcune pratiche del progetto urbanistico contemporaneo sembrano aver assunto un carattere di assecondamento dei processi in corso, riflettendo in maniera scarsamente critica il dispiegarsi delle economie globali sugli assetti urbani e territoriali, adottando un linguaggio semplificatore di ispirazione manageriale (progetto come messa in valore, sfida tra città, ricerca della competitività territoriale, cultura, sostenibilità energetica), e assumendo come riferimento ultimo un potere forte, quello del mercato e dei suoi operatori. Contro questo fresh conservatorism che guarda ad individui emancipati, indipendenti, che dispongono di una capacità di mobilità illimitata e che propone pertanto un modello di abitare fluido e privo di centri, fatto di situazioni più che di spazi, andrebbe ricercata una pratica progettuale che resiste, operando uno scostamento rispetto ai modi più abitudinari di pensare e trasformare lo spazio, che produce spazi non più lisci ma dotati di attrito. In tal senso fare della crisi un progetto significa esasperare il particolare aspetto riflessivo di questa pratica evidenziando il conflitto e le disuguaglianze che connotano la città europea contemporanea, rifiutando di assecondare logiche economiche liberiste. Entro tale tensione il progetto diviene sospensione di una continuità, di resistenza, ovvero esattamente il contrario di un’accettazione e assecondamento, di una composizione di differenze. La
declinazione del concetto di resistenza che qui si tenta di individuare è ricercata attraverso lo spostamento
della pratica di resistenza dalla parte della pratica progettuale , istituendo un nesso tra principio di resistenza e costruzione del progetto .
Resistenza
qui è intesa come azione critica verso quelle forme dominanti del progetto
urbanistico che pur attraverso differenti tematizzazioni possono essere viste come omologhe o omologanti dello spazio , tese a costruire spazialità lisce , senza attriti , dove la dimensione conflittuale dello spazio urbano è rimossa , dislocata altrove , aumentandola .
progetto di resistenza
«noi reclamiamo per tutti il diritto all’opacità» Edouard Glissant