typological urbanism

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typological urbanism antonio di campli, epfl, polito

trasformare urbanitĂ facoltĂ di architettura di trieste

gorizia, 19. 06. 12


la costruzione dello spazio trasparente

typological urbanism. il progetto urbano modellistico la cittĂ agricola

densitĂ , prossimitĂ , condivisione


la costruzione dello spazio trasparente


Osservate dal punto di vista delle pratiche del progetto urbanistico, le trasformazioni della città europea degli “anni zero” possono essere viste come una particolare forma dei modi di produzione capitalistica dello spazio urbano, proseguimento, decantazione e precisazione di strategie e temi individuati negli anni Novanta, che possono essere descritti come un urbanesimo liberale, segnato da una particolare attenzione alla dimensione culturale dello spazio e volto alla ricerca di strategie di controllo spaziale e crescita economica attraverso i valori o l’identità del territorio.

Queste forme del progetto urbanistico leggono la città e il territorio come uno spazio di consumo sovracontrollato e corrispondono alla definizione di forme di controllo sociale e ricerca di trasparenza spaziale di tipo implicitamente panottico, in quanto ricercate attraverso operatori apparentemente neutri o anti-moderni, come il discorso culturale, identità, palinsesto, patrimonio, o attraverso di strategie di induzione al godimento, la città come paesaggio.

Uno spazio bonificato culturalmente attraverso il discorso identitario e patrimoniale Uno spazio trasparente, bonificato dai conflitti, dotato di un’atmosfera controllata e sicura. la costruzione dello spazio trasparente


Il progetto per la città e il territorio ridefinito in termini di progetto di paesaggio come nelle esperienze del Landscape Urbanism, la ricerca della sostenibilità ambientale come strumento per la promozione immobiliare di nuovi quartieri-enclaves, il progetto di infrastruttura urbana e ambientale come progetto di interior design, costituiscono un insieme di ricerche progettuali che, sotto diversi aspetti, può essere ricondotto entro una cornice di urbanesimo liberale, un importante ciclo di esperienze pianificatore e progettuali durato circa trent’anni il cui avvio può essere fatto concidere con il recupero dei Docklands di Londra nel 1979 e con i progetti per i giochi olimpici di Barcellona. In questo trentennio, che ha visto l’avvio con l’arrivo al potere di Margareth Thatcher in Gran Bretagna e negli Stati Uniti la sperimentazione delle reaganomics, un insieme di politiche economiche ispirate alle ideologie neoliberali di Milton Friedman, le principali trasformazioni urbane vedono un declino dell’azione pubblica e una crescente forza degli operatori privati

Anni ‘90 urbanesimo liberale > progetto urbano

la costruzione dello spazio trasparente


La relazione tra questo tipo di economie liberali e pratiche del progetto urbanistico ha messo in primo piano la dimensione del progetto urbano, ambito operativo attraverso il quale si sono avviati: processi di trasformazione urbana decisi attraverso processi di benchmarking favorito lo sviluppo dei servizi e accresciuto il peso della finanza entro le economie urbane promosso pratiche dell’abitare che vedono la città come spazio di consumo ed elevato il turismo a stile di vita.

In questo periodo le principali immagini di riferimento dell’azione pianificatoria e progettuale, attraverso le quali si consolida la figura del progetto urbano, sono almeno due:

la dispersione insediativa, che ha messo al centro del progetto urbanistico il tema del paesaggio come spazio pubblico

la crescita reticolare dell’infrastruttura per la mobilità privata, con il progetto della città-rete.


Il progetto urbano si trova preso dentro la doppia esigenza di essere flessibile ma calato localmente, capace di rafforzare un’identità locale e di adattarsi al modificarsi delle economie globali, entro uno stato di veglia costante per catturare risorse. In una fase in cui gli amministratori guardano alla pianificazione come azione strategica, il progetto urbano diviene “riqualificazione dell’immagine” presso i designers e “progetto di città” presso pubblicitari e uomini politici. Fondamentalmente non tecnico, a differenza del piano fatto di regole, il progetto urbano è mediatico, volto a produrre l’effetto città, si comunica solitamente attraverso uno slogan e attraverso il quale si rimanda a questioni politiche in maniera vaga al fine di non produrre tensioni, di non ostacolare l’azione dei promotori.

Le immagini progettuali più frequenti fanno riferimento alla città storica, al patrimonio cittadino e all’identità locale al fine di sottolineare lo scarto con logiche antistoriche o decontestualizzate, che hanno dominato le pratiche pianificatorie moderne.


Gli anni Ottanta e Novanta hanno visto i progetti di trasformazione urbana più vistosi concentrarsi prevalentemente nelle aree centrali delle città, nelle aree industriali e portuali dismesse come sui waterfront. I trasporti, gli eventi, in particolare quelli di portata internazionale, come Expo e giochi olimpici, divengono soggetti di primo piano per avviare politiche di rigenerazione urbana; la cultura e i suoi luoghi divengono centrali. La logica degli eventi ha favorito processi di concorrenza tra città , la costruzione di progetti iconici, la concezione di parti di città come scene di paesaggio e ha definito modelli di sviluppo locale individuando le vocazioni delle città e dei territori .

La città è un particolare luogo di decantazione e materializzazione di processi economici. Le economie liberiste degli ultimi decenni hanno considerato lo spazio urbano come ambito entro il quale cercare risposte al ridimensionamento delle vecchie economie industriali. La città viene vista come uno dei principali luoghi di produzione e consumo di ricchezza, allo stesso tempo unità di produzione di immagini e bene di consumo.


anni 90 / 00. principali declinazioni del progetto urbano

progetto della dispersione

progetto delle reti / infrastructural urbanism

landscape urbanism

(auto)sostenibilitĂ


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Per descrivere meglio alcuni dei caratteri che connotano le esperienze del progetto liberale è possibile fare ricorso a tre immagini principali: il progetto-rete o progetto leggero, locuzione che descrive come la pratica del progetto urbanistico si sia ridefinita come pratica reticolare, che mette assieme più attori e saperi, producendo un offuscamento della dimensione critica del progetto e più in generale delle riflessioni su questioni di diseguaglianza spaziale ; il trionfo dei concetti sfocati o delle parole-valigia mostra il carattere comunicativo che connota il progetto contemporaneo per la città e al contempo il declino della dimensione modelica e della ricerca spaziale; il mito dello spazio pubblico è un’immagine che descrive i modi in cui la città tende ad essere riletta come un grande spazio estetizzato e narrativo , che funziona da archivio ordinatore di valori.

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Se l’urbanistica funzionalista, costruita secondo un modello scientifico, si è costituita come un corpo di saperi dove le esigenze tecniche sono la giustificazione delle scelte operative, l’urbanesimo liberale si caratterizza per un indebolimento di questi caratteri e per la moltiplicazione degli attori che partecipano alla decisione e all’azione, così come dei saperi. Il mercato, la legge della domanda e dell’offerta s’impongono, gli investitori e i promotori si fanno sentire ben al di là del loro impegno finanziario l’immagine del mercato trasparente acquisisce il ruolo di un referente forte, di un potere semplificatore.

In questo universo segnato dall’avvento di una molteplicità di attori e poteri il progetto diviene cooperativo, strategico, richiede flessibilità e l’adozione di un linguaggio di base, comprensibile a tutti e capace di catturare e metabolizzare i malintesi, si impone in tal modo la figura delle rete.

Con la locuzione progetto-rete non ci si riferisce solo al progetto della città-reticolare, attraverso le economie liberiste il progetto urbano si configura esso stesso come una rete, costruito attraverso una moltiplicazione di incontri e connessioni tra attori, saperi e tecniche volte a definire usi e configurazioni spaziali, il progetto è l’occasione, temporanea, per questa connessione.

Il progetto-rete o progetto leggero.


Contro il sistema rigido modernista la rete si presenta come un “piano d’immanenza”, direbbe Gilles Deleuze, dove l’azione è definita come prova di forza o come composizione dei rapporti, come incontro privo spazi di riflessione e di giudizio morale. Nel sistema-rete la scelta e legittimazione delle strategie operative è direttamente legata alla dimensione degli attori, alla loro grandezza.

L’affievolimento della dimensione critica del progetto descrive il progetto-rete come progetto leggero, privo di conflitti ma aperto alle differenze, povero di una dimensione critica, capace di accettare aggiustamenti progressivi, di non ostacolare i movimenti, diversamente da quanto accade nel progetto modernista, pesante o assolutista, attento alla difesa dei valori universali. Nel progetto-rete le sole azioni critiche sono quelle del rigetto e l’esclusione dei soggetti e delle pratiche indesiderate.

Il progetto-rete o progetto leggero.


La dimensione acritica è uno degli elementi connotanti il progettista-surfista, figura di ispirazione koolhaasiana, che si è imposta soprattutto nell’ambito dell’urbanesimo liberale, dotata di una capacità analitica e comunicativa spesso acuta, ma che anche quando si rivela capace di lavorare gli elementi deteriori, desueti o popolari che connotano un dato contesto produce un’operazione solo apparentemente provocatoria in quanto tesa a ricavare dalla realtà urbana il massimo d’interpretazione possibile, il massimo di risultati disponibili.

In questo modo i fenomeni che attraversano e modificano la città non risultano sottoposti ad un processo critico di lettura, ma piuttosto vengono seguiti, assecondati, nella misura in cui lo spazio urbano viene riletto il più realisticamente possibile.


“Il rizoma connette un punto qualunque con un altro punto qualunque ed ognuno dei suoi tratti non rinvia necessariamente a tratti della stessa natura; mette in gioco regimi di segni molto differenti ed anche stati di non-segni. Il rizoma non si lascia riportare né all’uno né al molteplice. Non è fatto di unità ma di dimensioni o piuttosto di direzioni in movimento, non ha inizio né fine ma sempre un mezzo, per cui cresce e straripa” (G.Deleuze e F.Guattari, Rizoma, Pratiche editrice, Parma-Lucca, 1977).

Con il termine rizoma (rizhome) i francesi Deleuze e Guattari (1977) intendevano un particolare modello semantico da opporre a tutti i modelli basati sulla concezione ad albero. Il modello ad albero prevede una gerarchia, un centro, e un ordine di significazione. Nell’albero i significati sono disposti in ordine lineare. A differenza degli alberi o delle loro radici, il rizoma collega un punto qualsiasi con un altro punto qualsiasi, e ciascuno dei suoi tratti non rimanda necessariamente a tratti dello stesso genere, mette in gioco regimi di segni molto differenti.


Il progetto di rete è un progetto di relazione e di comunicazione costruita attraverso l’uso di linguaggi e di concetti comprensibili e comunicabili a tutti. La necessità di relazionare e comunicare ha portato all’adozione, da parte delle pratiche progettuali, di un insieme di concetti fluidi, di parole-valigia che, nella sfocatezza, hanno il vantaggio di lasciare a ciascun soggetto della rete la possibilità di produrre la propria interpretazione e strategia d’azione, di facilitare una comunicazione fatta per aggiustamenti successivi. Queste parole-valigia non servono ad analizzare e comprendere meglio la città ed il territorio, per quanto spesso siano state impiegate con questo scopo, ma a strutturare la comunicazione, marginalizzando uno strumentario forse più preciso, ma meno facilmente condivisibile e ritenuto meno efficace. In particolare le parole-valigia permettono di comunicare riducendo le situazioni urbane ad un numero limitato di dimensioni, funzionano come dei simboli, generano semplificazioni. Mixité urbana e sociale , paesaggio, sostenibilità sono esempi di concetti sfocati attraverso i quali si sono definite altrettante forme del progetto per quei luoghi. L’insieme delle parole-valigia ha ridefinito il progetto urbano come strategia, come espressione di strategia. Se il progetto urbanistico moderno lavora per modelli (la Grosstadt di Hilberseimer, la città lineare di Soria Y Mata, le unità d’insediamento di Mies Van den Rohe, la città cubista di Le Corbusier), il progetto urbano rilegge, di volta in volta, un dato contesto urbano isolandone alcuni valori e definendo su di essi le strategie d’azione, la narrazione di uno spazio urbano. In tal senso il progetto urbano ha un carattere circolare, è giudicabile a seconda della coerenza tra azioni di trasformazione proposte e la strategia espressa attraverso un’immagine guida, che essa stessa ha costruito. In questo quadro i saperi che hanno acquistato rilevanza sono quelli della storia della città, delle tecniche di gestione economica, del paesaggio. La perdita dei modelli ha corrisposto ad una diminuzione della stessa trasmissibilità della ricerca sulle configurazioni spaziali , dal momento che lo sforzo è tutto nella scrittura della narrazione progettuale e nella sua comunicazione, meno nella definizione delle prestazioni del campo urbano.

Il trionfo dei concetti sfocati


Il progetto urbano lavora ad una scala intermedia, tende a controllare edificato e spazi aperti con la stessa precisione, ma la narratività che il progetto intende definire è affidata in buona parte a questi ultimi, caricandoli di particolare enfasi e attenzione. In particolare sono i processi di rigenerazione, sperimentati negli ultimi anni nelle città europee, soprattutto nelle loro parti più antiche, ad aver prodotto spazi di qualità, ma il desiderio di controllo su di esse a volte ha portato a ridefinire questi spazi come dispositivi di esclusione verso abitanti o soggetti considerati indesiderati. Le ramblas e i lungomare di Barcellona, i nuovi parchi e le piazze di Rotterdam e Parigi, i waterfront delle città della costa orientale degli Stati Uniti sono divenuti clichés per generazioni di designer, architetti e urbanisti. Il successo di questi modelli è legato ad una mancanza di riflessioni attorno ai caratteri e alle prestazioni del progetto di spazio pubblico, in particolare al fatto che l’immaginario di attori importanti, come amministratori, progettisti e impresari, quando si tratta della progettazione dello spazio aperto urbano, tende ad uniformarsi attorno a pochi riferimenti. Attraverso il progetto urbano, il processo di rigenerazione diventa un meccanismo che tende a rimuovere i conflitti sociali e le pratiche d’uso dello spazio ritenute illecite. In particolare Barcellona, secondo il sociologo Manuel Delgado , è stata esempio di un processo di semplificazione spaziale ottenuto attraverso la ricerca di rappresentazioni collettive standardizzate, e pertanto false, dove lo spazio urbano è pensato in maniera simile ad un prodotto commerciale. Attraverso l’esperienza di Barcellona, diverse città europee hanno agito sullo spazio aperto riconfigurandolo come spazio-immagine, estetizzato, di seduzione, e hanno favorito la sua colonizzazione da parte di una serie di popolazioni di consumatori che ha prodotto indirettamente l’espulsione di un insieme di soggetti indesiderati ed un aumento dei livelli di conflittualità e insicurezza degli spazi urbani circostanti le aree rigenerate. Guardare alla città come spazio di consumo porta a mettere in primo piano le diversità ,ma nei fatti queste vengono ridefinite come un insieme di situazioni, luoghi a tema, dove fare sempre la stessa scelta, prendere la stessa decisione, fare sempre la stessa cosa.

Il mito dello spazio pubblico


Lo spazio urbano estetizzato, protetto , è un particolare spazio teatrale dove gli abitanti sono al contempo osservatori e figuranti ma, sostengono Michael Sorkin e Charles Moore , è anche un luogo produttivo. Se la città del progetto moderno è una città-fabbrica dove tempi e luoghi del lavoro e del tempo libero sono distinti, qui si perde questa scansione temporale, la produzione è dentro la città che riproduce l’immagine di se stessa . Strade e piazze si riconfigurano come luogo che ospita particolari attività, un archivio di valori, di diversità culturali e sociali, ordinato, privo di conflitto al suo interno, trasparente e bonificato attraverso il discorso culturale. I problemi legati all’opacità dello spazio urbano vengono risolti attraverso la rimozione di elementi e soggetti che ne ostacolano l’appropriazione da parte di popolazioni ansiose di un bagno nella narratività storica, nel sapore locale, nel multiculturalismo.

Nel progetto liberale la selezione dei valori, degli elementi identificanti come immagini strutturanti , è la principale strategia che rende chiaro e omogeneo l’ambiente urbano, sul piano cognitivo così come su quello percettivo. Incarnare valori e semplificare la visione riduce la ridondanza di informazioni e le possibilità d’uso di uno spazio diafano fatto di alcune informazioni che legano valori socioculturali, pratiche e comportamenti ritenuti pertinenti. La ricerca della trasparenza non significa pertanto apertura o accessibilità ma controllo, sorveglianza, separazione.


estetizzazione / rimozione del conflitto


superstudio. monumento continuo. “viaggio da A a B� (1972) architettura ridotta alla sola griglia spaziale, ad uno spazio liscio





Dostoevskij, osservatore proveniente dalla periferia europea ha sostenuto che con la costruzione del Crystal Palace il principio di interiorità supera una soglia critica, oltrepassando sia la dimensione dell’abitare borghese o aristocratica, sia quella commerciale dei passages. Interno diventa qualcosa legato capace di contenere tutto lo spazio, di mettere insieme natura e cultura in un unico concetto indoor lasciando passare l’idea che la vita potesse svolgersi solo in un grande interno ordinato e addomesticato. Tuttavia, osserva Dostoevskij, nella serra i soggetti vivono in una condizione che genera stress, noia e delusione visti come risultato della “cristallizzazione”, del tentativo di controllo totale.

Fëdor Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo; Note invernali su impressioni estive


L’idea di interno emerge storicamente nel XIX secolo nel contesto della domesticità borghese, attraverso un lento processo di accumulazione di tracce e significati non sempre chiaro. Interno tuttavia non è un concetto che si riferisce solo a qualità architettoniche o spaziali. L’interno prende la dimesione di chiusura prodotta da un’architettura articolandola attraverso la decorazione, il rivestimento, l’interno non è semplicemente qualcosa di spaziale ma anche di immagine. Questo carattere duale segna la separabilità della condizione di interno da quella di una configruazione chiusa. E’ una separabilità materiale che permette di dire che l’idea di intenro è disconnessa da quella di internalità architettonica, una separazione che però non corrispondead una totale emancipazione.


“I do not know if it has ever been noted before that one of the main characteristics of life is discreteness. Unless a film of flesh envelopes us, we die. Man exists only insofar as he is separated from his surroundings. The cranium is a spacetraveler’s helmet. Stay inside or you perish. Death is divestment, death is communion. It may be wonderful to mix with the landscape, but to do so is the end of the tender ego” Vladimin Nabokov, Pnin


“A mezzogiorno, in un giorno di una stagione qualsiasi. Non piove, eppure il cielo è uniformemente grigiastro, comune, senza festosità; nella strada è una luce opaca che esclude ogni mistero, ogni stranezza dell’anima”. Thomas Mann, Altezza reale, 1909.

no-stop city, 1969


“La No Stop City, introducendo su scala urbana il principio della luce e dell’areazione artificiale, evitava il continuo spezzettamento immobiliare tipico della morfologia urbana tradizionale: la cittĂ diventava una struttura residenziale continua, priva di vuoti e quindi priva di immagini architettoniche. I grandi piani attrezzati, teoricamente infiniti, o dei quali il perimetro non interessava assolutamente, penetrati da una griglia regolare di ascensori, potevano essere liberamente organizzati secondo funzioni diverse o secondo forme di aggregazione sociale nuova. Il traffico, la cui organizzazione territoriale veniva separata dalla forma urbana, poteva ricevere soluzioni ottimali: la No Stop City garantiva la macchina sotto casa e il massimo possibile di concentrazione demograficaâ€?. Archizoom Firenze, 1966


ant farm, cadillac ranch, amarillo, 1974


La discoteca è lo spazio del coinvolgimento che viene progettato e in molti casi realizzato dagli architetti radicali. A Firenze i 9999 progettano e realizzano lo Space Electronic, i Superstudio la disco Mach2, mentre gli UFO realizzano nel capoluogo toscano il ristorante tematico Sherwood e la discoteca Bamba Issa a Forte dei Marmi. Ugo La Pietra crea a Milano uno spazio duplice, la boutique Altre Cose annessa alla discoteca Bang Bang.

la discoteca


“Nel Piper Pluriclub (E’ la fine del mondo) si è cominciato a disporre la struttura principale, piuttosto fissa, al pluriuso, con l’incantevole Mini-Midinette che alla e Cathy-from-Carmel che canta, e la mostra piovuta dall’alto di Marisa Merza, e il tempestivo passaggio dei Living Theatre che qui ha compiuto ancora una volta i sui mysteries cosi che sotto il segno di questa unica arte popolare che è la musica folk (sia pure di mero consumo, e che canta la droga più di quanto le metafore facciano annusare) entrano in maggior contatto con la vita anche l’arte visiva e di rappresentazione”. Tommaso Trini, Divertimentifici, Domus 456, 1968

pietro derossi, piper multiclub, torino, 1966


Nonostante il successo e la legittimità di cui oggi godono le differenti declinazioni della pratica del progetto urbano quello a cui oggi si assiste è una crescente diffusione di pratiche

di

esclusione

sociale,

un

progressivo

accentuarsi

delle disuguaglianze spaziali, l’acquisizione di una dimensione sempre più faticosa ed ostile dello spazio aperto urbano che si presenta sempre più

appropriato, banalizzato e privo di

prestazioni, bonificato culturalmente.

A partire dal riconoscimento di queste condizioni è utile avviare una riflessione attorno alcune strategie e ambiti del progetto capaci di esprimere una posizione critica verso le forme del progetto liberista per la città e al contempo capaci di dar conto delle particolari condizioni conflittuali che connotano la condizione urbana contemporanea.


typological urbanism. il progetto urbano modellistico

la cittĂ metabolista


kenzo tange, boston harbour project, 1959


Negli anni ‘60 Kenzo Tange ha insegnato al MIT dove ha sperimentato forme di progetto che sono alla base del sua piano per la baia di Tokyo. Il corso dato al MIT era intitolato “25,000 People Over Boston.”

L’intero progetto si basa sulla separazione tra il telaio principale della struttura destinata a durare per un lungo i tempo e concepito come una “nuova natura”, e la struttura secondaria costituita da case che possono modificare la loro forma e lo stile secondo il gusto degli abitante e soggetta a cicli vitali brevi.


kiyonori kikutake, marine city, 1958



kisho kurokawa, cittĂ galleggiante sul lago kasumigaura, 1961



kisho kurokawa helix city, tokyo, 1961


kisho kurokawa, floating factory metabonate


Nel 1962, Isozaki ha pubblicato un testo intitolato City Demolition Industry, Inc. sulla rivista Japan Architect dove ha proposto una relazione schizofrenica tra l’essere un urbanista / architetto e essere un killer.

“…modern civilisation had replaced the private enterprise of killing. The steady increase of such unintentional murders as traffic accidents, and moreover the low price attached to an individual life, usually less than one million yen, gradually nullified his profession as a killer, lowered his wages, and hurt his sense of selfesteem. According mechanism called the city, which was the inevitable product and the physical supporter of modern civilization. The city, therefore, was the killer of all killers and, worse still, being anonymous, it was a curious enterprise to which no responsibilities are attached… The aim of his company, therefore, was to destroy cities by all possible means.” Arata Isozaki, City Demolition Industry, Inc. (1962)


1960. World Design Conference , Tokyo. Sette architetti, Kenzo Tange, Takashi Asada, Kisho Kurokawa, Kiyonori Kikutake, Fumihiko Maki, Masato Otaka, Kiyoshi Awazu + Noboru Kawazoe (scrittore) e Kenji Ekuan (designer) nel 1960 fondarono un gruppo e pubblicato il Manifesto : Metabolism: The Proposals for a New Urbanism.

In questa pubblicazione Kikutake afferma: “We do not suggest a proposal for the future city. The state of confusion and paralysis in metropolitan areas and the lack of systematic planning is forcing us to make these proposals... The huge city of Tokyo is badly sick. She has lost the proper control of the city because of her mammoth-like scale. She is even trying to conceal her illness and to justify present conditions by relying on the adaptability if her inhabitants�


Alla base delle loro visioni urbane c’è la cittĂ vista come prodotto di un processo organico. Questa atteggiamento era considerato strategico per il controllo della crescita della cittĂ giapponese e ha prodotto immagini quali:

processo evolutivo

suolo artificiale

civilizzazione marina

ciclo metabolico

megastructure forma collettiva


parole chiave: raggruppamento (unitĂ cellulare) spazio strada struttura intermedia (connettore) spazio condiviso (spazio semi-pubblico) hanasuki (simbiosi di elementi eterogenei) megastruttura (Super Domino) disco meccanico struttura circolare(cittĂ ad anello) eco-corridoio


Reyner Banham ha descritto le megastructure come il risultato della composizione di elementi a due scale estreme: un singolo telaio strutturale e numerose unità modulari. I due sistemi hanno cicli vitali diversi, rendendo il sistema in grado di adattementi ed estensioni illimitate. “I dinosauri del movimento moderno”.

Nel libro The Elusive City, Jonathan Barnett ne ha dato una definizione più concisa: “la città come un edificio”.


kisho kurokawa


la cittĂ agricola, 1960


Progetto per la ricostruzione della cittĂ di Aichi distrutta da un tifone nel 1959. L’intero insediamento è sollevato da terra in modo da tollerare future inondazioni e tentare di risolvere l’antagonismo tra crescita urbana e consumo di spazi agricoli.




“It seems to me that there exist a city versus village concept with an emphasis toward cities whe we say “ the flow of agricultural population into cities” or “dispersion of urban population”. I am of the opinion that rural communities are cities whos means of production is agriculture. Agricultural cities, industrial cities, consumption cities and recreation cities sholud each form an integral part of a compact community. A distinct urban system should exist between those cities. Agricultural cities have a potential as future cities. And that is the reason why it is necessary to have a basic plan for their future expansion”.



UnitĂ di 500 m x 500 m: 25 100 m x 100 m isolati capaci di ospitare 200 abitanti.


La dimensione tipica di un insediamento rurale giapponese è di 500 mx 500 m ed è incentrata attorno ad un santuario, una scuola e ad un tempio. In questo progetto le, strade, l’elettricità, l’acqua, le monorotaie ed altri servizi sono installati 4 metri dal suolo. Ciò consente la gestione comune dello spazio e dei lavori agricoli. Il telaio è ciò che definisce la vita sociale. Qui si trovano santuari, scuole e istituzioni amministrative sono collocati.


L’unità abitativa base è a forma di fungo, una struttura di tre piani con un tetto in alluminio poggiato su una struttura in legno. La casa a forma di fungo ha una struttura centrale in calcestruzzo alla quale sono “appesi” abitazione e altre servizi. Acqua, luce e gas sono forniti come servizi comunali. L’albero apparecchiatura è il centro della struttura fungo come pure la base dispositivi che forniscono tali attrezzature architettoniche quali bagni, cucine, lavabi ecc.


Case-fungo. “Architecture of the coming age emerges from disregard of existing concepts. The concepts of a wall, a roof, a floor, or of a window have lost their function as a sustaining concept of modern man. One of the main characteristics of modern age is the urge to expand toward the universe. As a result of its expanding social life, mankind had eliminated the wall which hitherto obstructed the view toward the horizon. The expansion of the roof and the wall first occurred when mankind came to regard space as that of a mass society rather than a family unit society. Modern society is in need of a space which had hardly existed in past social life. the architectural space of urban communities is threadbare from a horizontal point of view. This gave rise to an urge for walls for more private areas. An overly expanded community area resulted in intensifying man’s loneliness. The purpose of a wall in urban area and living area has ti undergo reconsideration. Only when there is a wall space which enables a man to express himself safely can an expanding space be organized functionally. Again, when community space instead of keep expanding only horizontally, begins to expand toward the universe, the roof which only makes us realize horizontal expansion will have to undergo a basic change�.


sollevare da terra. kiyonori kikutake, sky house, 1958


Sollevata di 7 metri, la Sky House è la casa di famiglia di Kikutake, sollevata metaforicamente sopra i pericoli e regole della città esistente. A partire dal 1962, tre capsule sono state appese per ospitare i figli.


modularitĂ . kurokawa, linear city metamorphosis, 1961


“Super high-rise building will be designed freely on fractal surface, along with land surface and land form�


Vasto - San Salvo, Piano intercomunale, 1973

“The radius expansion of large cities has reached the limit of structural growth. The linear structure of network city must be constructed to reform the radius pattern of urban structure with its single-cell type public and service centers located in the heart of the city. Shrinking stage of cities of matured countries need to reconstruct urban area, to make a compact linear ? Network city. In the linear city, nature and urban life are in parallel, there is no city center and there is considerable growth potential.�


Disurbanisti sovietici, Magnitogorsk

Hilberseimer, New Regional Pattern

F. L. Wright, Broadacre City

bruno taut, la dissoluzione della cittĂ


La scuola dei disurbanisti è stata guidata da teorici come dal Mikhail Okhitovich e Moisej Ginsberg. I disurbanisti hanno perseguito l’obiettivo marxista della dissoluzione della differenza tra città e campagna, attraverso l’abolizione del concetto tradizionale della città. Essi hanno proposto che il sistemi urbani fossero dispersi in tutta l’Unione Sovietica sotto forma di continui filamenti. Singole abitazioni sarebbero state distribuite lungo le strade in un ambiente naturale e rurale a poca distanza da servizi e spazi ricreativi comuni. 1930 il piano di Magnitogorsk consisteva di otto nastri lunghi 25km convergenti su un impianto metallurgico.

Ribbon City Proposal for Magnitogorsk, Sovremennaia Arkhitektura, 1930

disurbanisti sovietici


Nikolay Alexandrovich Milyutin ha affermato nel suo libro Sotsgorod, “le città esistenti sono stati create nell’interesse della classe dominante, dai nemici del proletariato”.

“L’eliminazione della differenza tra la città e il paese è né più né meno utopico che l’eliminazione della differenza tra il capitalista e il lavoratore ... Solo una distribuzione più uniforme della popolazione il più possibile su tutto il paese, solo una stretta connessione tra l’produzione industriale e agricola insieme con l’estensione dei mezzi di comunicazione - che presuppone l’abolizione del modo di produzione capitalistico sarebbe in grado di strappare la popolazione rurale dall’isolamento e dalla confusione in cui ha vegetato per millenni”.

Per Miljutin, quanto diceva Engels non è evidente e può essere riassunta come segue: “dovremo risolvere il problema della redistribuzione della popolazione dopo aver eliminato la centralizzazione, per noi priva di senso, della produzione industriale”


Il progetto della nuova città lineare è presentato nel suo libro Sotsgorod 1930, o “La città socialista”. La sua preoccupazione principale è quello di creare una interfaccia tra il rurale e urbano che funzioni in maniera unitaria dal punto di vista economico. La città lineare è una formazione urbana allungata costituito da una serie di settori paralleli specializzati funzionalmente, la cui disposizione non può essere modificata. La città dovrebbe essere parallela ad un fiume e costruita in modo che il vento dominante passi dalle zone residenziali a quelle industriali. In particolare, molte delle funzioni sociali proprie dello spazio residenziale dovranno essere trasferite dalla sfera privata a quella collettiva, attraverso la creazione di club, biblioteche, ecc I settori sono: 1 linee ferroviarie 2 industria, con le relative istituzioni scientifiche, tecniche e didattiche (da notare dichiarazione Engels ‘, citato da Miljutin, che “l’educazione e il lavoro saranno uniti “) 3 una cintura verde o zona cuscinetto con autostrada 4 una zona residenziale, tra cui un gruppo di istituzioni sociali, un gruppo di edifici residenziali 5 parco 6 zona agricola con giardini.

milyutin, magnitogorsk


La figura di Moisej Ginzburg è stata importante nella definizione del progetto sociale di Milyutin che ha in pratica promosso il ridimensionamento progressivo della famiglia come unità economica; nel nuovo habitat sovietico della “cellula vivente” tutto il “superfluo” as esempio le quali cucine, sono espulse.

leonidov, club of a new social type

ginzburg, narkomfin


la super-comune. la nuova domesticità

Un modo per fondere insieme città e campagna è quello di creare super-comuni autosufficienti. Queste comuni sono l’ultimo “condensatore sociale.” Riducendo al minimo lo spazio personale e massimizzazione dello spazio comune, architetti sovietici guardano alla vita del singolo individuo al di fuori del nucleo familiare.

Si ripensano gli spazi personali, le cucine, i salotti, i servizi, fino ad arrivare a concepire appartamenti di 27 metri quadrati. Si guarda al ruolo della donna, liberata dai compiti di gestione della casa e della famiglia dal momento che la cusa dei bambini è affidata a servizi collettivi. I queste supercomuni la stessa istituzione del matrimonio svanisce sostituita da relazioni più libere. Nelle unità abitative pareti scorrevoli consentono alle coppie di stare insieme, queste, nei casi di divorzio, possono essere richiuse. Nuovi tipi di strutture : i club dei lavoratori, mense, lavanderie collettive, collegi.


Città mobili del futuro. “Se i trasporti, l’elettricità, e la comunicazione sono onnipresenti, perché agglomerato deve rimanere compatto? E se un cittadino può vivere autonomamente, perchè deve abitare in un solo posto?” La caratteristica fondamentale della visione disurbanista della città è la mobilità. Okhitovich:“No, siamo sinceri: le case popolari, quelli enormi, pesanti, monumentali, colossi eterni, che ingombrano in modo permanente il paesaggio, non risolvernno il problema del reinsediamento socialista. Case prefabbricate! Non importa se i primi modelli non sono un successo. Come fortuna che possono essere smontate con la stessa facilità con cui vengono assemblate; nessuno si opporrà, se marito e moglie o due amici intimi o addirittura un gruppo di amici hanno costruito la loro lato individuale case a fianco, o le combinano in un unico blocco; ogni unità rimarrà sempre privata, con il suo ingresso indipendente e accesso al giardino. Ma se vi è una caduta e, se un amico litiga con amico o se uno di essi si sposa, non ci saranno problemi di “spazio vitale” in quanto in ogni momento le unità possono essere separate, rese più grando o più piccole, o addirittura smontate e ricostruite in un luogo completamente diverso. “

milyutin’s auto plant proposal


ginzburg. unitĂ abitative prefabbricate


bruno taut, la dissoluzione della cittĂ , 1920


“la terra come buona abitazioneâ€? Nel disegno planimetrico, infatti, la cittĂ -futura proposta da Taut assume sempre la forma di un fiore che si adagia con gli elementi che lo compongono, petali, stelo, foglie.


Le cooperative agricole, assunte dalle teorizzazioni di Kropotikn, formano le unità di partenza — sia dal punto di vista produttivo, sia da quello di modello di aggregazione sociale dalle quali parte la sua costruzione alternativa alla Grossstadt.


Taut afferma: “il principio del superfluo, diremmo oggi del non produttivo mantiene il mondo. Lavoro competitivo è lavoro superfluo, lavoro cooperativo porta alla sovrabbondanza”. “Cinquanta famiglie in luogo della villa padronale, ... in questo modo la cooperazione può essere in grado di vincere l’angoscioso dottor Mabuse dai mille volti, invenzione filmica di Lang, simbolo del sistema produttivo moderno, invisibile e crudele e, soprattutto, può mettere fuori causa il padre-padrone, il grande proprietario terriero e il suo impero fatto di ingiustizia e di appropriazione indebita. Ciò vale per le grandi aziende, dove alla gestione attuale deve sostituirsi un’organizzazione cooperativa del lavoro come sistema più giusto e vantaggioso per tutta la collettività; ma “anche per le aziende medie e piccole” il sistema dell’aiuto reciproco è funzionale”.






“Esperienze totalmente distaccate dalla realtà e dal pratico impegno costruttivo” Siegfried Giedion “Bizzarrie e tergiversazioni dovute alla presenza della prima guerra mondiale e del disastro moraleintellettuale-umano che rappresentò” Manfredo Tafuri “Regressioni ideologiche inattuali verso un mondo preborghese” Francesco Dal Co “Illuminanti intuizioni critiche, quasi critiche anticipate di tutto il razionalismo architettonico successivo e del suo fallimento” Giacomo Ricci nella cura dell’edizione italiana


broadacre city


Nel 1932 Wright esprime nel suo libro “The Desappearing City” la sua sfiducia nella sopravivenza delle attuali città. Nel 1934 espone il suo progetto di città ideale “Broadacre City” dove ogni cittadino ha a disposizione un acro (ca. 4.000 mq). La città tradizionale dovrebbe ridursi ad un luogo di lavoro utilizzato solo negli orari lavorativi mentre la vita associativa si svolge in appositi centri sparsi nel territorio. Wright immagina una città estesa dagli ampi spazi servita da un efficace sistema viabilistico. Il sistema di strade definisce una griglia che accoglie al suo interno residenze, fabbriche ed attrezzature urbane. La griglia di Wright è un quadrato di 3,2 km di lato che accoglie 1.400 famiglie. L’estensione dell’area è 1.024 ha, la densità abitativa è bassa 5-7 ab/ha L’unità abitativa minima si dispone entro un terreno di 1 acro (circa 4000 mq). Anche le attrezzature, le fattorie, le attività produttive si dispongono liberamente in lotti di forma rettangolare di superficie minima di 1 acro.


“Democracy….we have started toward a new integration—-to an integration along the horizontal line which we call the great highway.” Frank Lloyd Wright, settembre 1931


I servizi pubblici devono essere costruiti sottoterra; le grandi strade inserite nel paesaggio secondo l’andamento del terreno, protette e circondate da alberi; Due tipologie edilizie residenziali: case unifamiliari e torri verticali. Le torri residenziali di 15-20 piani sono disposte a grande distanza l’una dall’altra e poggiano su piastre attrezzate per il parcheggio ed i servizi.



“Imagine spacious landscaped highways …giant roads, themselves great architecture, pass public service stations, no longer eyesores, expanded to include all kinds of service and comfort. They unite and separate, separate and unite the series of diversified units, the farm units, the factory units, the roadside markets, the garden schools, the dwelling places (each on its acre of individually adorned and cultivated ground), the places for pleasure and leisure. All of these units so arranged and so integrated that each citizen of the future will have all forms of production, distribution, self improvement, enjoyment, within a radius of a hundred and fifty miles of his home now easily and speedily available by means of his car or plane. This integral whole composes the great city that I see embracing all of this country—the Broadacre City of tomorrow”. No Slum. No Scum No traffic problems No glaring cement roads or walks

densità Wright ha immaginato una fioritura di piccole città collegate da superstrade che coprono tutti gli Stati Uniti.


città verticale

new regional pattern, 1949 “We need a new city element to replace the archaic block or gridiron system. The structure of this new settlement unit […] should permit, not only a general solution of all the different parts of the city and their relation to each other, but also free and unhindered urban growth”.

Nel 1927 Ludwig Hilberseimer pubblica “Großstadt Architektur” un testo dove affronta la questione dello sviluppo della moderna metropoli. Il modello è basato sulla sovrapposizione delle funzioni entro un organismo edilizio complesso che integra edifici e infrastrutture. È come se due città fossero poste l’una sull’altra: sopra la città residenziale con il suo traffico pedonale, sotto la città degli affari con il suo traffico veicolare.

ludwig hilberseimer. from grey to green




Sequenze A New Settlement Unit. A-Factories. B-Main highway. C-Local highway. D-Commercial area. E-Residential area. F-Schools in the park area.


fan shaped community



La cittĂ verticale assume come sfondo di riferimento un contesto socialista. La cittĂ orizzontale guarda al capitalismo americano in un momento in cui le industrie lĂŹ avviano processi di decentralizzazione dei processi produttivi. In entrambi i casi Hilberseimer considera la cittĂ al pari di un sistema produttivo.


La città come sistema di produzione - La lezione dell’industria automobilistica


Le Tiller Girls a Berlino, anni venti. “The mass ornament is the aesthetic reflex of the rationality aspired to by the prevailing economic system�. (Siegfred Kracauer).


progetto tipologico. rapporto agricoltura / territorio / città

1960 metabolisti

la città come oggetto modulare

1920 disurbanisti

ridefinizione dei caratteri della domesticità

1920 taut 1936 wright 1949 hilberseimer

la città come spazio della cooperazione città come risultato della ricerca della libertà di movimento la città come parte del sistema produttivo

prossimità densità forme di coabitazione, condivisione


prossimitĂ , condivisione, densitĂ Tre concetti attorno a cui ruota la definizione di un progetto urbanistico tipologico.


inversione tra interno ed esterno in alcune pratiche dell’abitare crisi economica spazi aperti come spazi estetizzati (network sociali)

il ritorno della prossimitĂ


La domanda di prossimità è in senso spaziale, non sociale.


Anni ‘60. Prende forma una critica al concetto di vicinato negli anni ‘60 per via del suo carattere segregativo, irrigidente i rapporti sociali. Secondo il sociologo Chombart de Lauwe, c’è una tendenza naturale a volersi liberare del vicinato


Spazi della condivisione sono i luoghi nei quali cogliamo azioni tese a favorire l’incontro e l’ispessimento del legame sociale. Questi si pongono in una posizione intermedia tra l’appropriazione individualistica e l’ossessione comunitaria. Si connotano per un legame sociale (condivisione di azioni, di esperienze, di simboli) che non è stabile, non è solo funzionale, ma solidaristico. Fondato sul riconoscimento, lo scambio. Gli spazi della condivisione definiscono un ambito pubblico “minore”, pronto ad accendersi e spegnersi; rendono evidente il superamento della dicotomia tra sfera pubblica e sfera privata. Entro questa distinzione in movimento tra sfera del privato e sfera del pubblico, gli spazi di condivisione. evidenziano un diverso modo di vivere la città come luogo di socialità, di consumo, di partecipazione civica che trova agganci su entrambi i fronti: rappresenta aspetti del privato (spazio protetto, rifugio, riparo ….) e del pubblico (legami, socialità, relazione e riconoscimento). Non è colonizzazione del pubblico da parte del privato. Né espansione del pubblico nella dimensione individuale. Non è uno spazio terzo. Piuttosto rende complementare lo spazio privato e quello pubblico.

condivisione


kisho kurokawa, the urban connector Kurokawa propone due tipi di urban connectors bamboo type community e la the wall city


Kurokawa ha definito il concetto Urban Connector, inspirato dall’idea di condensatore sociale di Sabsovich e Ginzburg (es. Narkomfin). “The urban connector referred to a superscale structure which served as the medium between urban scale and human scale, and between the collective and the individual. It would gather individual forces into collective power integrating the environment as a whole” Kawazoe: “The Gigantic City will be an apparatus designed to connect, on the one hand, machinery, energy, and the speed an a vast scale with, on the other hand, human beings who have been reduced to individuals... To express it more accurately, there will be a huge engineering structure to control nature and the city - that is, what is called the major structure, the structural unit, or the urban connector. This will be constructed as a “perch” or “nest” of the individual human beings who move about and grow and develop. Within this structure all necessary city utilities will be provided, ad each individual will be able to attach thereon his own dwelling”. Noboru Kawazoe, “City of the Future” in Zodiac 9 (1961): 110.

bamboo type community, 1960


Qui Kurokawa ha affrontato il tema del rapporto tra spazi del lavoro e spazi dell’abitare “.The wall-shaped megastructure serves as the basic skeleton of the city; the wall contains infrastructure for transportation, utility and public services. Individual houses would be attached on one side of the wall, and work spaces on the other�.

wall city, 1959


la densità è questione di forma, definizione e articolazione spaziale. la densità non è un fatto di volumetrie, ma riguarda il progetto dell’offerta urbana, delle possibilità d’uso, prestazione e definizione degli spazi offerte all’abitante; non è solo congestione o ibridismo.

densità


Esprimere una posizione critica verso le forme del progetto liberista per la città. Come un progetto urbanistico tipologico può essere inteso come un “progetto di resistenza” come pensare per modelli aiuti ad affrontare questioni come densità, prossimità, condivisione.

La resistenza è parte di un discorso contrastivo che rifiuta l’idea che il progetto per la città debba essere necessariamente inteso come ciò che asseconda le condizioni e i processi in corso.

La resistenza non rincorre ma va contro il presente.


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