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Le ragioni d'essere

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Il castrum

Il castrum

in un indomabile declino. Monumenti atemporali con tenacia mantengono ancora il loro splendore, delimitano l’agorà, la proteggono da un destino insidioso: piazza di una non città. Luogo di scambio, di politica e soprattutto luogo di socialità di una società contadina. Tutt’intorno nobili rovine, cristallizzate nel tempo, lasciano all’osservatore la possibilità di comprenderle. Non banali macerie, ma il ricordo di un racconto lasciato a metà. Le cantine tornano a prendere luce, quei sotterranei scavati nella pietra raccontano al mondo che prima degli alti edifici, spettava a loro il compito ora di dimora, ora di stalla, ora di magazzino. È da qui che inizia il pensiero sulle ragioni d’essere. Motivi economici, culturali, naturali, climatici, ingegneristici sono solo parte delle ragioni che portano il popolo cellenese a edificare qui (dove), e proprio in quel modo(come). Se è vero che difficilmente possiamo arrivare a capire chi furono i primi abitanti di questo promontorio, dovuto forse ad una poca attenzione di cui ha goduto finora questo territorio, è altrettanto vero che la posizione risulta ottimale per il controllo sulla zona, potendo sostenere la teoria che sul colle potesse sorgere un abitato etrusco 1, da cui tutto sarebbe iniziato. Da allora anni e anni di stratificazione, e ricostruzione hanno portato alla forma attuale, di cui leggiamo solo la minima parte. E se Eladio Dieste sosteneva che l’architettura è la musica dello spazio2 ecco che tutto intorno, risuona il vuoto della città, i frammenti lasciano tracce di un passato che ritorna. Ed è qui che riusciamo a conoscere quelle che Grassi chiama condizioni materiale dell’architettura l’essenza del costruire, i motivi che portano alle scelte costruttive in questo luogo. Non solo forme, a volte ingannevoli, quanto soluzioni necessarie ai problemi intrinsechi del luogo. Composizioni minimali, essenziali, semplici e mai banali, costruite seguendo le più importanti regole dell’arte, date dall’esperienza dei costruttori. Un’architettura spontanea come definirebbe

Pagano, ma pur sempre dettata dallo zeitgeist del luogo, e che rappresenta in modo onesto “il legame vivente fra la terra e l’uomo che la coltiva.”3 Il prodotto di questi due fattori genera l’eidos basilare da cui tutto nasce, e a cui tutto ritorna. Nuclei rettangolari di minime dimensioni, sviluppati per uno o due piani, sono le primigenie abitazioni, in superficie, di cui ci arriva notizia verso la fine del 1400. Al loro interno le funzioni fondamentali: cellaio, granaio, camini, camera, orciolai, porte e finestre.4 E se è vero che le prime abitazioni costruite, più nobili, prendevano luogo in prossimità del Castello, ecco che pian piano tutta la superficie collinare viene colmata.

Una città sopra la città cresciuta sopra le abitazioni scavate nel tufo. Ed ancora l’innalzamento degli edifici stessi per ospitare l’enorme crescita demografica, in cui l’unica direzione di sfogo possibile era quella verticale a causa delle condizioni stesse della collina. Molte furono le disgrazie naturali che colpirono Celleno, quindi difficilmente possiamo sostenere l’originalità delle soluzioni, ma di sicuro le attuali costruzioni hanno ereditato i caratteri e continuato una tradizione costruttiva, conservando i valori fondamentali del fare architettura. “Niente è affidato al caso o all’improvvisazione.” 5 Le case assecondano il rilievo, collaborano in un costante rapporto architettura-natura, al fine di creare un connubio indissolubile. Il luogo è architettura, il progetto è suggerito dal luogo, è già dentro al luogo, spetta all’architetto tirarlo fuori, così come Michelangelo liberava la scultura dal materiale inerte. Da esso dipende Celleno, e non vi è Celleno senza collina. Essa è luogo, è città, esso è generatore e collaboratore. Le accidentalità del luogo vengono assecondate dalla città, talvolta adattate, escludendo qualsiasi preci- sione geometrica o modulo ma senza perdere mai i principi fondamentali di fondazione della città. Celleno “…è alla scala umana. Si armonizza con lui: è l’essenziale.” 6

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