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Architettura: Diversa ma non Estranea
architettura: diversa ma non estranea | architecture: different but not unknown
Cecilia Maria Roberta Luschi
Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Architettura DIDA
In questi tempi così a-sociali, imposti da una famigerata infezione a cui il mondo ha dato nome Coronavirus - Covid191. Mi sono trovata a riflettere su cosa sia uno spazio architettonico vivibile. Le categorie principali di riferimento erano rappresentate dallo Spazio e dal Tempo, poi subito venute meno per la loro insufficienza a definire realmente cosa possa essere un posto dove l’uomo possa stare bene. Allora ho provato a eseguire una operazione a noi ricercatori familiare, ho ridotto i termini di analisi; già, il riduzionismo. Quindi ho affrontato la questione secondo due estremi stare bene e stare male in uno spazio. E con sommo disappunto, ho dovuto arrendermi al fatto che lo stare bene o lo stare male dipendeva non tanto dal luogo ove mi trovassi: cucina, salotto, camera o pranzo ma atteneva molto di più a cosa facessi e con quale animo lo facessi. Quindi non
1 Dal 9 di Marzo 2020, un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ha dichiarato l’Italia zona Rossa, per emergenza sanitaria e tutti i cittadini sono stati obbligati a rimanere nelle proprie abitazioni con la sola eccezione dei momenti per fare approvvigionamento di viveri. Siamo a giugno ed ancora non si è raggiunta una libera circolazione fra regioni e fra nazioni. In such a-social times that a so named Coronavirus – Covid191 sadly famous pandemic is imposing us to live, I realized that I was reflecting on what a comfortable architectural space stands for. To better understand the situation, I turned to two main categories represented by Space and Time, which immediately failed because of their incapability to define how a space where man can feel good should be. So, I tried to activate a reserchers familiar methodology, reducing the terms of analysis performing: the redustionism Based on that concept, I tackled this issue through two extremes: to feel good or not in a specific space. With my great disappointment, I had to admit that the good or the bad feeling is not depending from where you are but from what you are doing or – even better – from the mood you have by doing it. That means that is not where, not when, but how is the most significant element, and moreover
1 From 9 March 2020, a decree of the President of the Council of Ministers declared Italy “zona Rossa”, for health emergency and all citizens were obliged to stay in their homes with the sole exception of the moments to make
dove, non quando, ma il come risultava maggiormente significativo, ed ancor di più la modalità del come si agganciava sempre a un non ben definibile stato d’animo. Dunque, l’operazione che doveva essere fatta in realtà era spingere il senso di “stare bene” al paradosso e osservarne le conseguenze. Una primissima giornata di tepore, mi spinge dal salotto, un po’ ombroso e sempre uguale, verso il prezioso terrazzo. Il sole mi stava facendo compagnia mentre mi ero dedicata in modo estemporaneo ad una lettura un po’ fuori il mio campo di lavoro; no! non è vero! Non è così fuori dal mio campo di lavoro. Eravamo io e Kandinsky, al tepore del sole, e discutevamo insieme su Lo spirituale nell’arte2 . Facevo osservare a Wassily come gli astrattisti erano in qualche misura l’avanguardia dell’asociale, inteso con l’alfa privativa greca. Evidente che mi sono presa pagina dopo pagina epiteti che qui non voglio riportare, tanto mi sono indignata, per poi convenire insieme che ci sono molte questioni in gioco e che le avremmo affrontate una ad una. Alzati gli occhi dalla mia discussione mi accorgo che era passato un pomeriggio, ed il mio tempo con Kandinsky per quel giorno era
2 Kandinsky W, Lo spirituale nell’arte, SE, a cura di Elena Ponteggia, Milano 2005. L’artista deve cercare di modificare la situazione riconoscendo i doveri che ha verso l’arte e verso se stesso, considerandosi non il padrone, ma il servitore di ideali precisi, grandi e sacri. Deve educarsi e raccogliersi nella sua anima, curandola e arricchendola in modo che essa diventi il manto del suo talento esteriore, e non sia come il guanto perduto di una mano sconosciuta, una vuota e inutile apparenza. L’artista deve avere qualcosa da dire, perché il suo compito non è quello di dominare la forma, ma di adattare la forma al contenuto the way connected and linked to the not well-defined mood. The needed resulting operation was to push the meaning of ‘wellbeing’ to the paradox and observe its consequences. A first day of warmth, pushes me from the living room, rather dark and never changing, towards the precious terrace. The sun was keeping me company while I was extemporaneously dedicated to a reading which was a little outside my field of work; no! That’s not true! It’s not so far off from my field of work. It was Kandinsky and I, in the warmth of the sun, and we were having a discussing on The Spiritual in Art2 . I made Wassily observe how abstract painters were to some extent the vanguard of the asocial, meant as the Greek alpha privative. Page after page various epithets, that I am not going to repeat, were directed at me. I therefore was outraged, agreeing that many issues were at steak and that we would deal with them one by one. Taking my eyes off the discussion, I realized that an afternoon had passed, and my time with Kandinsky was over for the day. The days before that afternoon never passed and now time had disappeared, only the pride of
2 Kandisky W, The Spiritual in Art, SE, edited by Elena Ponteggia, Milan 2005. The artist must try to change the situation by acknowledging the duties he has towards art and himself, considering himself not the master, but the servant of precise ideals, great and sacred. He must educate himself and gather in his soul, caring for it and enriching it so that it becomes the mantle of his external talent, and is not like the lost glove of an unknown hand, an empty and useless appearance. The artist must have something to say, because his task is not to dominate the form, but to adapt the form to the content
“Rapporti” in Yehuda Halevi St. (Tel Aviv, April 2017)
esaurito. Non passavano mai le giornate prima di quel pomeriggio e ora il tempo era scomparso, solo la superbia del sole mi costringeva a rientrare, lui tramontava ed io dovevo rientrare in quelle stanze già ormai ombrose. Ma questa volta il salotto mi pareva diverso, ci stavo rientrando dopo ore, e l’ho osservato con attenzione, come se lo riscoprissi. the sun forced me to return, as he set I had to re-enter those now shaded rooms. However, this time the living room seemed different, I was coming back hours later, and I watched it carefully, as if I were rediscovering it. The appointment renews the following day and this time we’re in agreement, Art can’t be just retinal, but at play there are Form, color
L’appuntamento si rinnova il giorno seguente e questa volta siamo in accordo, l’arte non può solo essere retinica, ma vi è in ballo forma, colore e un “io” interiore che sperimenta i propri limiti mentre l’arte espande il non limite. Ora una somma di limiti come mi ha detto Cartesio non significa infinito3, per cui ci trovavamo ad un’impasse. L’arte può sperimentare il suo non limite ma è comunque limitata in termini di forma, colore, tempo; l’uomo sperimenta il suo limite indifferibile. Vorrei che il sole stesse più con me ma quello non mi dà retta, per lui io non esisto. Il sole non ha coscienza né di sé né di me, ma io di lui sì! Caro Wassily l’arte non ha coscienza di sé solo l’artista o chi la contempla la ha. In fondo cambiare il climax in cui l’uomo vive la sua contemporaneità è fatica sprecata, come far fiorire un bocciolo di rosa con le dita, un disastro. Che affermazione pittorica e al contempo violenta. Riflettendo meglio si può affermare che solo pochi si prefigurano la bellezza di quel bocciolo fiorito e solo pochi ne condividono la preveggenza che non è magia ma solo cura di osservare il reale, è il dedurne, prima, le finalità. A pochi è data tale sensibilità e gli artisti hanno il doloroso compito di esercitare ciò che sono: dei veggenti realistici. and an ‘Inner self’ which experiences its limits while Art expands the limitless. Now the addition of limits, as Cartesio told me, doesn’t mean endless3, and we therefore find ourselves at a deadlock. Art can experience its limitless dimension, but it is nonetheless limited in terms of Form, color and Time; it is mankind that experiences its undeferrable limit. I wish the sun stayed with me longer but it doesn’t listen to me, to it I don’t exist. The sun has no consciousness of itself and neither of me, but I am conscious of it! Dear Wassily, art is not conscious of itself, only the artist, or who is contemplating it, is conscious. After all, changing the climax where Man lives it’s contemporaneity is wasted effort, just like making a rosebud bloom with our hands, a disaster. What a picturesque and violent affirmation at the same time! Reflecting on it more, we can confirm that just a few prefigure the beauty of that bloomed bud and only few people share the foreknowledge, which isn’t magic but only the effort of observing reality. It is to infer, beforehand, the purposes. Sensitivity is given to few and the artists have the agonizing task of carrying out what they are: realistic seers.
3 Il Discorso sul metodo è la prima opera pubblicata da René Descartes (italianizzato in Cartesio) in forma anonima e in francese nel 1637 a Leida congiuntamente a tre saggi scientifici La diottrica, Le meteore, La geometria, dei quali costituisce la prefazione. Il discorso è quindi da considerarsi come «un tutt’uno con i saggi» 3 Discourse on the Method is the first treatise published anonymously by René Descartes (Italianized in Cartesio) and in French in 1637 in Leiden, jointly with three scientific essays Dioptrique, Météores and Géométrie, of which it takes on the preface. The argument is to be considered as «a whole with the essays»
“Qualcosa sopra” in Ahad Ha’am St. (Tel Aviv, April 2017)
Siamo arrivati al dunque, un architetto è un veggente realistico, uno che misura il limite del muro per superare quel concetto di spazio tanto stretto ed angusto con il fine mirabile di raggiungere la realtà del ‘luogo’. Il fraseggio continua su una affermazione per me ostica, lo spettatore è anche troppo abituato a cercare un senso, cioè un rapporto esteriore fra le parti di un quadro. Ma come? Allora un quadro deve limitarsi alla sua cornice e piegarsi su se stesso in un rapporto bastevole a sé? Ma allora cosa diciamo a Raffaello che ci spinge dentro il quadro, che ci chiama a far parte di quella famigerata realtà, We have reached the main point, an architect is a realistic seer, one who measures the limit of the wall to overcome the concept of space, so tight and narrow with the worthy aim of reaching the reality of the ‘place’. The phrasing continues along a tough statement for me, the viewer is too used to looking for a meaning, meaning an external relationship between the parts of a frame. How could that be? Therefore a picture has to be limited to its frame and bend over itself on a relationship sufficient to itself? What do we then say to Raffaello who pushes us into the picture, calling us to be included in that infamous reality, talking to that consciousness to which only man can answer, being both the artist and viewer? A few lines later, my dear friend answers me and I have to say that this time we were in agreement, and he told me these exact words: “a well made painting… has a real interior life; and a great drawing is one in which nothing can be changed without destroying this interior life”. I equally think that an architecture project is completed when nothing can be removed and every addition is considered useless; it almost seems like a paraphrase, maybe Scarpa, but I don’t remember clearly. It is here that the framework begins to have a meaning as a reference of a boundary pushed even further and the reading of the picture have to give space to feeling the picture as an assonance of colors or a composition by Bach.
parlando a quella coscienza a cui solo l’uomo può rispondere sia esso artista che spettatore? Qualche riga dopo, il mio caro amico mi risponde e devo dire a questo punto ci siamo ritrovati, mi ha detto le testuali parole: “un quadro ben dipinto… ha una vera vita interiore; ed un buon disegno è quello dove non si può cambiare nulla senza distruggere questa vita interiore”. Al pari, penso, un progetto di architettura è compiuto quando nulla puoi togliere ed inutile risulta qualunque aggiunta; pare quasi una parafrasi, forse Scarpa, ma non ricordo precisamente. Ecco che la cornice inizia ad avere un senso come riferimento di un limite spinto oltre e la lettura dell’immagine deve lasciare lo spazio al sentire l’immagine come una assonanza di colori od una armonia di Bach. Il muro limite testimonia un momento nel tempo che aspetta solo di essere superato dal momento successivo, un transito fra uno spazio ed un altro secondo un principio di servizio per rassicurare la vita che vi si trascorre e divenire un luogo sempre diverso, sempre in mutamento ma mai estraneo. Una avventura palpitante dove la geometria vibrante tocca la persona e non misura l’uomo, dove la luce ritma lo spazio interno per poter superare se stesso e divenire luogo. Lo spazio interno per l’appunto, il tragico equivoco del movimento moderno che alla Zevi può procedere per “scatole interne”4. Anche le
4 Lo spazio, di Luigi Prestinenza Puglisi, in ARCH’IT seminario <http://www.architettura.it/seminario> “… Per imparare a capire l’architettura -affermava The limit of a wall testifies to a moment in time that only waits to be overtaken by the following moment, a passage between one space and another on the basis of principal of service, to reassure the life that passes and to become an always different place, constantly changing but never unknown. A throbbing adventure where the vibrating geometry touches the person and doesn’t measures man, where light gives rhythm to the inner space to in order to overcome itself and to become a place. The inner space, in fact, the tragic misconception of the Modern Movement which following Zevi’s approach can proceed through “inner boxes”4. Facades, as well, in the end become an interior; the interior of city, and therefore no concession to the whole, but only reductionism to poorly manage a part. What did the 1900s miss? This is what I missed staying home, an exterior, an insight of the whole which could have given me the measurements of my vitality. My living space wasn’t a machine, it had to be an experience which renewed itself without becoming a stranger to me. Having by now gotten to the epilogue of the text, I’m thinking about Wassilly who prefigured the depths, and he read it on his contemporary colleagues’ canvases, he saw the horror of the two World Wars and the triumph of Materialism. This is the real point of my reflection, rather than reductionism, we have to fully rely on Art’s ethics and the artist’s moral, on the moral of politics and not on the social moral, on
facciate alla fine divengono un interno; l’interno della città, e dunque nessuna concessione al tutto, ma solo riduzionismo per gestire mediocremente una parte. Cosa è sfuggito al ‘900? Ecco quindi cosa mi mancava stando a casa, un esterno, una intuizione del tutto che poteva fornirmi la misura della mia vitalità. Il mio spazio abitativo, non era una macchina, ma doveva essere un’esperienza che si rinnovava senza essermi estranea. Ormai giunta all’epilogo del testo, penso a Wassily che si era prefigurato il baratro, e lo ha letto sulle tele dei suoi colleghi contemporanei, ha visto l’orrore di due guerre mondiali ed il trionfo del materialismo. Questo è il punto vero del mio riflettere, altro che riduzionismo, si deve attingere a piene mani all’etica dell’arte e alla morale dell’artista, alla morale politica e non alla moralità sociale, ad un senso esteso della coscienza di sé, un sé illimitato e finito capace tuttavia di concepire l’assoluto, ha ragione Cartesio! Ma cosa possono pensare Portoghesi5 o Presti-
Zevi- occorre, innanzi tutto, comprendere quale sia la sua specificità, vale a dire in che cosa si differenzi rispetto a tutte le altre arti. Si capirà allora che a suo fondamento non stanno né gli effetti plastici, che caratterizzano la scultura, né ritmi e armonie, che sono propri della musica, né valori pittorici e chiaroscurali o astratti che sono tipici della pittura. L’unico attributo costante dell’architettura è, invece, la caratteristica di determinare uno spazio nel quale l’uomo vive e opera. Cioè un interno senza il quale facciate, decorazioni, colori dei muri non dicono nulla” 5 Portoghesi nella sua visione attuale, parla di un’architettura “umanistica” che rispetti sette criteri fondamentali: imparare dalla natura, confrontarsi con il luogo, imparare dalla storia, impegnarsi nell’innovazione, attingere alla coralità, tutelare gli equilibri naturali e contribuire alla riduzione dei consumi. Sul tema pubblica nel 2005 il saggio Geoarchitettura. Verso un’architettura della responsabilità e fonda la rivista Abitare la terra. Nel 2007 presso la Facoltà di Architettura della Sapienza viene attivato il corso di an extended sense of self-consciousness, a limitless and limited Self, who is also able to conceive the absolute, Cartesio is right! But what could Portoghesi4 or Prestinenza Puglisi5 think about the poor architecture, an Art form for some, a profession for passionless workers to others; we can range from absolute masterpieces to some real daubs, overrated at the time. If I’m interpreting it correctly, Portoghesi tries to describe the Modern Movement’s limits, maybe going the wrong way, however he absolutely feels the mistake or the dread of not being able to let architecture breath, which closes itself in a complete mutism agreeing with those historians who consider it as silent and passive6. Prestinenza Puglisi, instead, searches for the Stoà with the new possibilities offered by the web, he however reaches instances
4 Portoghesi from his current point of view, speaks about an “humanistic” architecture which respects the seven fundamental criteria: learning from nature, comparing with the place, learning from the history, putting effort into innovation, gleaning the single-voicedness, safeguarding the natural balance and contributing to the reduction of consumption. In 2005 he publishes about this theme the essay “Geoarchitettura. Verso un’architettura della responsabilità” and founds the periodical “Abitare la terra”. In 2007 the course Geoarchitettura, taught by him, was activated at the Faculty of Architecture of Sapienza 5 Prestinenza Puglisi graduates in architecture in Rome in 1979 and he specializes in urban planning in 1980. He taught History of contemporary architecture at the University of Rome “Sapienza”. Director at INAIL, he’s one of the most active architecture critic operating in Italy. The invention, created by him, of using the web potentiality sending from 2003 a newsletter to the Italian architects: presS/ Tletter e presS/Tmagazine. 7 Controspazio is an architecture and urban periodic founded and directed till 1983 by Paolo Portoghesi. From 1966 to 1985 the periodical was published by Edizioni Dedalo from Bari. From 1988 the new edition, promoted by Antonio Quistelli, Guido Canella, Roberto Gambetti, Luigi Mazza, Eduardo Vittoria, Luifi Za and of Gangemi Editore from Rome.
“Scusa il disturbo” in Ahad Ha’am St. (Tel Aviv, April 2017)
nenza Puglisi6 sulla povera architettura, una forma di arte per taluni, un mestiere per mestieranti per altri; insomma si può spaziare dai capolavori assoluti a delle vere e proprie croste sopravvalutate nel momento. Se interpreto bene, Portoghesi prova a raccontare il limite del movimento moderno, forse sbagliando anche strada, tuttavia avverte
Geoarchitettura da lui tenuto. 6 Prestinenza Puglisi si laurea in architettura a Roma nel 1979 e si specializza in pianificazione urbanistica nel 1980. Ha insegnato Storia dell’architettura contemporanea all’Università di Roma “Sapienza”. Dirigente all’INAIL, è uno dei più attivi critici di architettura operanti in Italia. Sua l’invenzione di sfruttare le potenzialità del web inviando dal 2003 una newsletter agli architetti italiani: presS/ Tletter e presS/Tmagazine. which, if not desolate, are certainly losers in architecture’s emptiness, which has also lost the sense of Space and by now no longer knows what a Place is. Form and color, used as frames of reference for millenniums, disappeared in a statement of a unconscious and asocial self. Architecture is white or without bricks; thin, thinner, a growing absence of walls, further away from the living corporeality of man, a more and more deformed cloud in the ephemeral game of tie rods that try to elude the unavoidable ‘gravity’. Seems that some colleagues woke up from a mental numbness, screaming that now is the time to re-think the living, and that our houses are not suitable to be inhabited for so long, more so in a situation of great psychological stress. However, they didn’t realize that they were falling in a huge contradiction. How is it possible that residences are not suitable for living? We should therefore acknowledge that the failure is sanctioned and that themselves are unfit to follow the concept of residence to let people live in a manner appropriate and adequate to their needs. The slogan-effect statement, prone to ride the wave of the moment, has maybe implicitly condemned the experience of CIAM and of the minimum functions; in short of the Modern Movement and with it also themselves, who were protectors and supporters of those principals. A smile can emerge when thinking first of all
sicuramente l’errore o l’orrore di non poter far respirare più l’architettura che si chiude in un mutismo totale dando regione a quegli storici che la vedono silente e passiva7. Prestinenza Puglisi invece ricerca la Stoà, con le nuove possibilità che offre la rete, ma approda comunque a istanze, se non desolate, sicuramente perdenti nel vuoto dell’architettura che ha perso anche il senso dello spazio e ormai non sa più cosa sia il luogo. La forma ed il colore, strutture di riferimento per millenni, scomparse in un’asserzione di sé a-cosciente e a-sociale. L’architettura è bianca o nuda di mattoni; esile, sempre più esile, sempre più assenza del muro sempre più lontana dalla corporeità viva dell’uomo sempre più deforme nuvola nel labile gioco di tiranti che tentano di eludere l’ineludibile “gravità”. Alcuni colleghi si sono svegliati sembra da un torpore mentale, urlando che ora è il caso di ripensare all’abitare, e che le nostre case non sono adeguate ad un così lungo risiedere ed in situazione di grande stress psicologico. Essi però non si sono accorti di cadere in una enorme contraddizione. Come è possibile che le residenze non siano adatte al risiedere? Dunque dovremmo ammettere da subito che il fallimento è sancito e che essi stessi siano
7 Controspazio è una rivista di architettura ed urbanistica fondata e diretta fino al 1983 da Paolo Portoghesi. Dal 1966 al 1985 la rivista fu editata da Edizioni Dedalo di Bari. Dal 1988 la nuova edizione, promossa da Antonio Quistelli, Guido Canella, Roberto Gambetti, Luigi Mazza, Eduardo Vittoria, Luigi Za è della Gangemi Editore di Roma. about Boccaccio and then about my father, displaced in a peasant home during the war. Yes, the farmhouses accused of being spontaneous architecture and always heavily criticized because of their “waste of space” and negative impact on one’s health. But who invented the term “spontaneous architecture”? Sereni would laugh about it and so do I. But then I reflect on it, and the materialistic sense of that affirmation emerges inexorably, which excludes the necessity of useful space to the individual, and forces only upon useful space to Man, man intended as Modulor, obviously7. I see the failure of a century that in addition to producing two World Wars, and two abominations of humanity, is currently acting upon another one, maybe more serious than the previous, thinking about the “masses” and not about the people. If we deeply think about the matter of architecture, we may find ourselves to be as Diogene, that cynic, who was looking for mankind with his small lantern; in order not to disturb God who was demanding Abram to be a right man. But architecture is “Substance of separate things” 8, separate from realistic psychics who can be the architects, and therefore expresses
8 Prestinenza Publisi, cit. First problem: the attention to the standard man has led to forget the concrete man. Second problem: the excessive attention to the functional standards has led to a progressive knocking down of the spaces quality. Third problem: the ergonomics, which grows from the desire of rationalizing the industrial production, tends to subject man to the machine rules and not vice versa ( do you remember the Chaplin’s film, in which the laborer is a gear of a giant industrial system?) Therefore it creates a mechanic and oppressive space. 9 From Paolo (Letter to the Hebrews, 11-1) Portoghesi’s quote from an interview in 2006
inadatti a perseguire il concetto di residenza per far risiedere le persone in modo consono e congruo ai loro bisogni. L’affermazione effetto slogan atto a cavalcare il momento, forse, ha condannato implicitamente l’esperienza del CIAM e dei minimi funzionali, insomma del movimento moderno e con lui loro stessi, che di quei principi si sono fatti paladini e sostenitori. Un sorriso può affiorare pensando prima al Boccaccio e poi a mio padre sfollato in una casa di contadini durante la guerra. Già, le case coloniche tacciate di essere architettura spontanea e sempre molto criticate per lo “spreco” di spazio e la scarsa salubrità. Ma chi si è inventato il termine di architettura spontanea? Sereni ci riderebbe su ed io con lui. Ma poi ci rifletto, ed emerge inesorabile il senso materialista di tale affermazione, che esclude la necessità dello spazio utile alla persona e costringe al solo spazio utile per l’uomo, un uomo inteso come Modulor, ovviamente8. Vedo il fallimento di un secolo che oltre a produrre due guerre mondiali, e due abomini dell’umanità, ne sta compiendo in coda uno ulteriore e forse più grave dei precedenti, pensando alle “masse” e non alla gente.
8 Prestinenza Puglisi, cit. Primo problema: l’attenzione per l’uomo standard ha portato a dimenticare l’uomo concreto. Secondo problema: l’eccessiva attenzione agli standard funzionali ha portato a un progressivo abbattimento della qualità degli spazi. Terzo problema: l’ergonomia, che nasce dal desiderio di razionalizzare la produzione industriale, tende a assoggettare l’uomo alle leggi della macchina e non viceversa (vi ricordate i film di Chaplin, in cui l’operaio è anch’egli ingranaggio di un gigantesco sistema industriale?). Crea, insomma, uno spazio meccanico e oppressivo. a universal language that interacts on different levels and becomes a travel companion. The attempt to find an “Identity of Architecture” as Zermani9 has been trying to do for years, ultimately corresponds with the issue proposed by Controspazio10, even though it has been lost due to a certain lack of courage, according to Portoghesi. But it’s what Ridolfi, Scolari or Scarpa were searching for, and maybe it was also the way attempted by Louis Kahn. The problem therefore appears to exist, and it is felt precisely in Florence, which would have something to teach about the identity of architecture that everyone could learn from. Living and being, how a being, become a conscious being and can it conceive a place and not a space? Heidegger, hard lectures, very hard but they open the mind, as Portoghesi
10 Paolo Zermani (Medesano, 2 December of 1958) is an Italian architect. From 1990 is a full professor of architectural composition from the Faculty of Architecture of the University of Florence. He’s the founder of the conferences about the “Identity of the Italian Architecture” and the “Italian Architecture’s Gallery” of Florence. He’s taught a Master in Theology and architecture of churches at the Theological Faculty of the Central Italy and at the Syracuse University of Florence and New York. To deepen the issue of architecture are mentioned: P. Zermani (2013). Ricostruzione e identità. In: Massimo Ferrari. Ricostruire, pp. 58-67 Lettera Ventidue Edizioni. P.Zermani (2013). Il nuovo come ricostruzione del paesaggio italiano. In: Potsdam e l’Italia. Perdita e ricostruzione della cultura architettonica, Ed. Potsdam School of Architecture. P. Zermani, (2015). Cos’è l’insegnamento?. In: AA.VV.. Mantova Architettura, pp. 62-63 Polo Territoriale di Mantova del Politecnico di Milano. 11 Controspazio is an architecture and urban periodic founded and directed till 1983 by Paolo Portoghesi. From 1966 to 1985 the periodical was published by Edizioni Dedalo from Bari. From 1988 the new edition, promoted by Antonio Quistelli, Guido Canella, Roberto Gambetti, Luigi Mazza, Eduardo Vittoria, Luifi Za and of Gangemi Editore from Rome.
Se pensiamo profondamente alla questione dell’architettura, potremmo trovarci come Diogene, quel cinico, che cercava, con il suo lanternino, l’Uomo; per non scomodare Dio che pretendeva da Abramo un Uomo giusto. Ma l’architettura è “Sostanza di cose Sperate”9, sperate dai veggenti realistici che possono essere gli architetti e dunque esprime un linguaggio assoluto che interloquisce a più livelli e diviene compagna di un tragitto. Il tentativo di trovare una “Identità dell’Architettura” come da anni sta cercando di perseguire Zermani10, è in fondo la questione posta da Controspazio11, se pur persa per una certa mancanza di coraggio a detta di Portoghesi stesso. Ma è quello che cercava Ridolfi, Scolari o Scarpa, e forse è la strada tentata da Louis Kahn. Il problema sembra quindi esistere ed è sentito proprio a Firenze che sull’identità
9 Da Paolo (Lettera agli Ebrei, 11-1), citazione di Portoghesi in una intervista del 2006 10 Paolo Zermani (Medesano, 2 dicembre 1958) è un architetto italiano. Dal 1990 è professore ordinario di composizione architettonica presso la Facoltà di architettura dell’Università di Firenze. È fondatore dei convegni sulla “Identità dell’architettura italiana” e della “Galleria dell’architettura italiana” di Firenze. Ha insegnato al master in teologia e architettura di chiese presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale e alla Syracuse University di Firenze e New York. Per approfondire la visione sull’architettura si ricordano: P. Zermani (2013). Ricostruzione e identità. In: Massimo Ferrari. Ricostruire, pp. 58-67 Lettera Ventidue Edizioni. P.Zermani (2013). Il nuovo come ricostruzione del paesaggio italiano. In: Potsdam e l’Italia. Perdita e ricostruzione della cultura architettonica, Ed. Potsdam School of Architecture. P. Zermani, (2015). Cos’è l’insegnamento?. In: AA.VV. Mantova Architettura, pp. 62-63 Polo Territoriale di Mantova del Politecnico di Milano. 11 Controspazio è una rivista di architettura ed urbanistica fondata e diretta fino al 1983 da Paolo Portoghesi. Dal 1966 al 1985 la rivista fu editata da Edizioni Dedalo di Bari. Dal 1988 la nuova edizione, promossa da Antonio Quistelli, Guido Canella, Roberto Gambetti, Luigi Mazza, Eduardo Vittoria, Luigi Za è della Gangemi Editore di Roma.
“Rendering vs Architettura” in Yehuda Halevi St. (Tel Aviv, April 2017)
would said. So what can a poor professor say, one who has little to do with planning but who has made the interaction with architecture through the drawing his daily bread? We can affirm that Form has been abandoned
dell’architettura qualcosa avrebbe da insegnare e tutti avremmo da apprendere. Abitare ed essere, come un essente diviene un essere e può concepire un luogo e non uno spazio? Heidegger, letture dure, durissime ma aprono la testa, come ci direbbe Portoghesi. Quindi cosa può dire un povero professore che di progettazione si occupa poco ma che di colloquiare con l’architettura attraverso il disegno ne ha fatto il suo pane quotidiano? Possiamo affermare che la forma è stata abbandonata in favore di una porzione di essa, un dentro che non vuole essere anche un fuori, mentre Fontana squarcia le sue tele, l’architettura diviene smart, computo, tecnologica, membranacea e ignorante, nel senso di ignorare completamente cosa debba essere. Un’architettura che ha perso la coscienza di sé come il quadro senza più quell’io che lo definisce limitato ma con intuizione dell’infinito. L’architettura si organizza in un interno e si dimentica totalmente della sua presenza esteriore, della sua visibilità, si camuffa in un tanto improbabile quanto celebrato “bosco verticale”, alienandosi dal contesto; diviene inutile nuvola di vetro con un milione di ossa - tiranti che ne compromettono la sua integrità visiva. L’architettura un interno nudo senza relazioni esterne ma solo successive asserzioni. Dobbiamo convenire che siamo in un momento di svolta, da un lato un materialismo peggiorato, se mai fosse stato possibile, da un funzionalismo smart, dall’altro vi è solo una sporadica, timida e minoritaria ricerca di in favor of a portion of it, an inside that doesn’t want to be an outside, while Fontana cuts his canvases, the architecture becomes smart, calculation, technology, membranous and ignorant, in the sense of completely ignoring what should be. An architecture that has lost its self-awareness, as the painting without its Ego that defines it as limited but with the intuition of the infinity. Architecture organizes itself internally and completely forgets about its exterior presence, its visibility, disguises itself in the “vertical forest”, as improbable as celebrated as it is, alienating itself from the context; it becomes a useless cloud of glass with millions of bones- tie-rods that compromise its visual integrity. Architecture, a naked interior without external relationships but only consecutive claims. We must agree that we are at a turning point, on one hand a materialism worsened, if it is even possible, by a smart functionalism, on the other hand there’s only a sporadic, shy, and minoritarian research of the relationship between man and the Absolute, to be as “politically correct” as possible. But if once the statement “It’s not the cowl that makes the monk” could be shared because it battled the excess of research of form achieved because of the entropy of thought of formalism, today we should claim the “The cowl makes the monk”, because of the exact opposite reason, we reached the formless. Today we should reaffirm those grammar and lexical rules, always battled by the Modern
relazione fra uomo e assoluto, per essere più “politically correct” possibile. Ma se un tempo l’affermazione “l’abito non fa il monaco” era condivisibile poiché combatteva un eccesso di ricerca di forma approdata secondo entropia del pensiero al formalismo, oggi dovremmo asserire che “l’abito fa il monaco”, per l’esatto principio opposto, siamo approdati all’a-formale. Quelle regole grammaticali e lessicali sempre combattute dal movimento moderno, oggi dovremmo riaffermarle e definitivamente dire che il movimento moderno non ha prodotto alcuna città, alcuna società, alcun benessere per l’uomo mai riconosciuto come forma ma solo come misero modulo. L’uomo invece è una forma, anzi è la Forma, secondo cui tutte le cose vanno rapportate e relazionate. Invece ci troviamo davanti a Rothschild Boulevard12 , una mirabile concatenazione di episodi modernisti che riescono a essere autonomi autarchici e nulla di più, che hanno avuto bisogno di un viale per inserirsi in una maglia urbana e che a loro volta sono stati soverchiati dall’allucinazione post-moderna delle altezze vertiginose che assertivamente ignorano la città per conquistarsi un elitario posto al sole. Parlo di quei grattacieli delle firme eclatanti che ostruiscono l’orizzonte del mare, come in Florida, o che piombano sulle altre case Movement, and firmly say that the Modern Movement has produced no city, no society, no wellness for men, never recognized as Form but only as miserable modulus. Man, instead, is Form, by which everything is compared and related. We instead find ourselves in front of Rothschild Boulevard11, an admirable sequence of modernist episodes that manage to be autonomous, autarchic and nothing more, which were in need of a boulevard to insert themselves in the urban grid and which in turn have been overwhelmed by the post-modern hallucination of vertiginous heights that assertively ignore the city to gain an elitist place in the sun. I’m talking about those skyscrapers of eye-catching shapes that obstruct the horizon, like in Florida, or that descend upon the other houses recognized as historical and thus “respected” in the way that they have not been razed to the ground and nothing more. Are we really sure that proceeding by interiors is the correct method to give meaning to architecture? For better or worse, my dear Architecture shows a social and political vision and sometimes gets to testify ontologically higher thoughts, if its designer puts that throbbing Ego inside the compositional harmonics that make geometry an eloquent description of
12 A Tel Aviv, è una tappa fondamentale per noi architetti visitare e guardare le costruzioni moderniste che si affacciano sul viale principale, e spesso si disquisisce sulla loro possibilità espressiva, con sorpresa ci troviamo tutti unanimemente concordi nell’osservare la debolezza di fare città, di queste architetture. 12 In Tel Aviv a fundamental stop-over for architects like us is the visiting and watching the modernist construction that overlook the main street, and often we discourse on their expressive possibility, unexpectedly all of us unanimously agree on the observing the fragility of the city making, of these architectures.
riconosciute come storiche e dunque “rispettate” nella misura in cui non sono state rase al suolo e nulla più. Siamo veramente sicuri che procedere per interni sia un metodo giusto per inferire significato all’architettura? Nel bene o nel male, la mia cara Architettura dimostra una visione sociale e politica ed alcune volte arriva a poter testimoniare pensieri ontologicamente più elevati, se il suo progettista mette quell’io palpitante all’interno delle armoniche compositive che fanno della geometria un eloquente descrizione del creato. Quel sussurro di luce che filtra tra le finestre è capace di creare un luogo mirabile dove l’uomo può, vivendo, immaginare l’infinito e cercare di conquistarlo. Rimaniamo convinti, a costo di essere derisi che, l’Architettura parli e dimostri una visione sociale e politica sino anche a testimoniare pensieri dell’Essere più elevati, squadernando la verità fra i narranti e familiari muri. creation. That whisper of light that filters from the windows can create an admirable place where man can, by living, imagine infinity and try to conquer it. We remain convinced that, at the risk of being laughed at, Architecture speaks and shows a social and political vision even to prove the higher thought of Being, exposing the truth between the narrating and familiar walls.