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La storia è libertà
Fabio Fabbrizzi
Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Architettura DIDA
Nei molti rapporti internazionali che il mio lavoro da qualche anno mi riserva, mi ritrovo inevitabilmente a confrontarmi sulle tante questioni legate al variegato mondo dell’architettura e della sua progettazione. Sono questioni che spaziano all’interno delle diverse componenti del progetto, affrontando aspetti più generali che vanno dagli aspetti ideativi a quelli grafici, dalla dimensione linguistica della forma a quella tecnica, dagli aspetti di natura urbana a quelli paesaggistici, fino a percorrere aspetti più intimamente legati al senso del fare progetto, come ad esempio il rapporto con il luogo e le consonanze con esso, il riconoscerne un carattere, una identità e a loro adeguarsi come possibile momento di inizio del percorso compositivo. In tutte queste sfaccettature, che spesso mettono a confronto dinamiche e sensibilità anche molto diverse tra loro, ovviamente sempre molto utili per non bloccare mai quell’indispensabile processo di crescita progettuale e personale necessario per non fermarsi, un aspetto, però, pare essere il privilegiato sugli altri. Ovvero, un tema sentito da ogni parte come tema centrale, come se fosse davvero il nucleo propulsivo delle nostre In the international relationships related to my job, I inevitably have to deal with many issues connected to the rich world of architecture and its design. These matters range from the various elements of the project, dealing with more general aspects ranging from the conceptual to the graphic, from the linguistic to the technical dimension of the form, from urban nature to the landscape, up to the aspects that are linked to the meaning of the project, such as the connection and the consonance to the place, the recognition of its peculiarities and identity as a possible starting point for the compositional journey. All these aspects, which often compare different dynamics and sensibilities, are useful to promote the indispensable process of personal and design growth. The aspect that can really be considered the propulsive nucleus of our differences, which sooner or later we inevitably reach, can be traced back to a different feeling towards history, taken as a model for many of our choices and which appears, above all, in the eyes of non-Europeans, the main material with which we build any architectural project.
differenze e quindi di conseguenza anche dei nostri confronti. Questo aspetto al quale prima o poi inevitabilmente approdiamo, perché è proprio su questo che fondamentalmente si misura una differenza sostanziale, è riconducibile ad un diverso sentire nei confronti della storia. Una storia che pare essere presa a modello per molte delle nostre scelte e che appare soprattutto agli occhi degli extraeuropei, il materiale principale con il quale costruiamo qualunque progetto d’architettura. Agli europei ed in particolare agli italiani, questo legame con la storia viene attribuito quasi di default, come se fosse la radice più profonda di quell’eleganza che spesso ci viene confutata, ma nel riconoscerci questa caratteristica, il più delle volte inevitabilmente appariamo agli occhi degli altri come succubi di essa, schiavi di una eredità che per certi aspetti ci limita e ci soffoca. Quindi privilegiati, ma bloccati, figli di un esemplare percorso evolutivo ma oggi completamente incapaci di scriverne una nuova tappa. Per formulare e soprattutto per dare supporto ad una possibile risposta a questa comune percezione, forse bisognerebbe capire un po’ meglio cosa davvero sia la storia. Se sia un solo susseguirsi di eventi interpretati e raccontati da qualcuno e intesi come un processo unidirezionale che a seconda delle visioni potrebbe essere o provvidenziale o portatore di progresso, se invece sia un fenomeno ciclico o lineare, oppure se sia una via per indicare una possibile e comune dimensione morale, o To Europeans and in particular to Italians, this link with history is attributed almost by default, as if it were the deepest root of that elegance that has often challenged us. For this reason, most of the time we inevitably appear in the eyes of others as slaves to a legacy that in some ways limits and suffocates us. Therefore privileged, but blocked, children of an exemplary evolutionary path but today completely incapable of writing a new stage. In order to formulate and to support a possible answer to this common perception, perhaps we should understand a little better what history really is. Whether it is a single succession of events interpreted and told by someone and understood as an unidirectional process that could be either providential or bearer of progress, whether it is a cyclical or linear phenomenon, or whether it is a way to indicate a possible and common moral dimension, or even a process capable of leading to the truth. To begin to probe within these many possibilities, we can start from the philosophical point of view, for which history is and has been many things together. In the light of contemporary thought and in the light of its many different legacies, we can say that all the Western philosophical systems that have tried to give history a possible status, have debated the question of whether or not it is a process that brings progress. All those systems of thought that concerned history as cyclical, or as a regression with respect to a primary condition now unattainable, have adhered to
finanche, un processo capace di condurre alla verità. Per iniziare a sondare all’interno di queste molte possibilità, possiamo partire proprio dal punto di vista filosofico, per il quale la storia è ed è stata molte cose insieme. Alla luce del pensiero contemporaneo e alla luce delle sue molte e difformi eredità, possiamo dire che tutti i sistemi filosofici occidentali che hanno tentato di dare un possibile statuto alla storia, si sono dibattuti attorno alla questione se essa sia un processo portatore di progresso, oppure no. A questa seconda possibilità hanno aderito tutti quei sistemi di pensiero che hanno inteso la storia esclusivamente nella sua ciclicità, oppure quelli che l’anno intesa come un regresso rispetto ad una condizione primaria ormai irraggiungibile, ma soprattutto, tutti quei sistemi che l’hanno intesa come una pura e assoluta casualità. Ma indipendentemente dal portare progresso o meno, la storia ci appare una successione inevitabile perché esclusivamente legata al tempo, quindi ad uno dei parametri fondamentali della nostra esistenza, per questo, percepirsi fuori dalla storia significherebbe misconoscere la dimensione teleologica che inevitabilmente essa porta con sé, ovvero, la comprensione di come tutto sia organizzato in funzione e in vista di un fine. Un fine che nella storia ha mutato forma e direzione e che i diversi sistemi filosofici nel tempo hanno fatto alternativamente dipendere da una volontà divina o provvidenziale, oppure dalla casualità e this second possibility, but above all, all those systems that have understood it as a pure and absolute accident. But even if it brings progress or not, history appears to us an inevitable succession because of its link to time, and therefore, to one of the fundamental parameters of our existence. For this reason, to perceive ourselves outside history would mean misunderstanding the teleological dimension according to which everything is organised in function of a purpose. An aim that in history has changed form and direction and that the different philosophical systems over time have alternately made dependent on a divine or providential will, or on chance and even on the immanence of nature, even if all, despite their differences, are equally understood as a possible ordering principle, capable of putting into action the totality of each becoming. However, it is necessary to arrive to Christianity in order to have a providential and linear conception of time. According to Agostino, in fact, God uses history to carry out his own projects of redemption, it is on earth that the eternal struggle between good and evil is fought where God guides man to the end of time, postponing his judgment until the end of history. With Neoplatonism, philosophical thought looks at the Greek myth and therefore the cyclical vision of history, formalised by the courses and recourses of Vichian memory, returns to the present day, and therefore in analogy with Greek thought according to which
finanche dall’immanenza della natura, anche se tutti, pur nelle loro ovvie differenze, ugualmente intesi alla stessa stregua di un possibile principio ordinatore, capace di mettere in azione la totalità di ogni divenire. Mentre nel pensiero greco e nelle dottrine orientali, la storia come cammino dell’uomo torna ripetutamente sui suoi passi in un susseguirsi ciclico di avvenimenti sempre uguali, per avere l’avvio di una concezione lineare occorre arrivare al pensiero romano, di Seneca in particolare, secondo il quale la fiducia in un progresso storico viene espressa dalla consapevolezza che il sapere posseduto dalla sua epoca è più grande di quello passato e che a sua volta sarà minore di quello che possederanno le generazioni future. Bisogna giungere però al cristianesimo per avere una concezione progressiva e lineare del tempo. Secondo Agostino, infatti, Dio usa la storia per realizzare i propri progetti di redenzione, ovvero, è sulla terra che si combatte l’eterna lotta tra il bene e il male dove Dio guida l’uomo solo fino alla fine del tempo, ovvero, rimandando alla fine della storia il suo giudizio. Con il neoplatonismo rinascimentale, il pensiero filosofico guarda al mito greco e dunque torna alla ribalta la visione ciclica della storia, formalizzata dai corsi e ricorsi di vichiana memoria, nei quali, appunto in analogia con il pensiero greco grazie al quale le idee sono preesistenti ad ogni azione e manifestazione vitale, la storia, altro non è che l’esplicarsi di una verità assoluta. ideas are pre-existing to every action and vital manifestation, history is nothing other than the expression of an absolute truth. A concept that also reappears in Romanticism: according to Friedrich Schelling, history is a parameter linked to the freedom of man, not yet completely freed from a superior plan, who lives history as a drama of which only God is the author, while he is the actor who continuously remodels it. But human action tends to approach the absolute despite the limit of never being able to reach it fully, so history, like faith, still remains a visible demonstration of transcendence. Georg Wilhelm Friedrich Hegel overturned this vision, stating that the Absolute guided history by the doctrine of the Cunning of Reason, so that there are no timeless preconditions for perceiving history, because human knowledge changes in time and makes all eternal truth fall. So history becomes the only fixed point to which to refer and since truth is no longer understood by him as a transcendent dimension but as the fruit of a dialectical and rational process, there is nothing else but History to perceive the rationality at the basis of everything. Historicism was born from the concept of the historical and progressive nature of every manifestation of truth, it, together with Positivism will characterize the entire nineteenth century: history will be understood as a linear development of constant human growth, in which the relationship with science occupies
Concezione che riappare anche nel romanticismo nel quale la storia è intesa da Friedrich Schelling come un parametro legato alla libertà dell’uomo; un uomo ancora non completamente liberato da un disegno superiore che vive la storia come un dramma del quale solo Dio ne è l’autore, mentre egli è l’attore che continuamente la rimodella. Ma l’agire umano nel suo dispiegarsi tende ad avvicinarsi all’assoluto anche se con il limite di non poterlo raggiungere mai compiutamente, per cui la storia come la fede, rimangono ancora una dimostrazione visibile di trascendenza. Ci vorrà il pensiero di Georg Wilhelm Friedrich Hegel il quale decise che fosse l’assoluto a guidare la storia servendosi dell’astuzia della ragione, a capovolgere questa visione, per il quale non esistono presupposti atemporali per percepire la storia, perché la conoscenza umana muta nel tempo e fa cadere ogni verità eterna. Quindi è la storia che diviene l’unico punto fisso al quale riferirsi e poiché la verità non viene da lui più intesa come dimensione trascendente ma come frutto di un processo dialettico e razionale, non esiste altro che la storia per percepire la razionalità alla base di ogni cosa. Sulla scia di questa sottolineatura della natura storica e progressiva di ogni manifestazione della verità, nasce lo storicismo che insieme al positivismo caratterizzerà l’intero Ottocento, formulando una concezione della storia intesa come sviluppo lineare di costante accrescimento umano, nel quale il rapporto con una
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a central place. With the crisis of scientific thought we return to a new declination of the eschatological vision of history, we try again to understand the ultimate goal of existence by questioning ourselves, as Martin Heidegger did, about existing. In fact, he elaborates a conception of history as a temporal horizon in which being unveils itself. An action that can only take place thanks to language, above all poetic language, and only thanks to time that casts a dimension of movement and transformation on being. Being reveals itself through language, so history, which is the privileged expression of being, is inevitably language itself.
scienza intesa come aspetto sempre più importante, occupa un posto centrale. Con la crisi della tecnica si ritorna ad una nuova declinazione della visione escatologica della storia, ovvero, si cerca nuovamente di comprendere il fine ultimo dell’esistenza interrogandosi, come ha fatto il pensiero di Martin Heidegger, attorno all’essere. Per questo, egli elabora una visione della storia intesa come orizzonte temporale nel quale l’essere, appunto, si disvela. Un’azione che può avvenire solo grazie al linguaggio, soprattutto poetico, e solo grazie al tempo che getta sull’essere una dimensione di movimento e di trasformazione. Dunque l’essere si rivela con il linguaggio, quindi la storia che è l’espressione privilegiata dell’essere è inevitabilmente a sua volta linguaggio. Detto questo, il dibattito con le riflessioni sul senso della storia continua per l’intero Novecento perdurando fino ai nostri giorni ad ulteriore testimonianza del suo indispensabile valore, anche se con tesi diametralmente opposte a quelle teleologiche ed escatologiche. Basti pensare ad un Karl Popper che afferma che non esiste nessun senso nascosto nella storia e che essa non sia altro che una concatenazione casuale di eventi. Visione questa, approfondita in tempi più recenti dal pensiero strutturalista e post-strutturalista, per i quali, grazie all’imperante nichilismo in essi contenuto, la storia non solo è il ciclico ripetersi del caso, ma una categoria che viene a poco a poco decostruita in favore della fascinazione dell’esperienza di un eterno presente. The debate on the meaning of history continues throughout the twentieth century and continues to this day as a further testimony to its indispensable value, even if with diametrically opposed point of view to the teleological ones. Just think of Karl Popper for whom there is no hidden meaning in history, it is nothing more than a random concatenation of events. This view has been deepened in more recent times by Structuralist and post-structuralist thought, for whom, history is not only the cyclical repetition of chance, but a category that is gradually being deconstructed in favour of the fascination of the experience of an eternal present. As an architect, as a design teacher, but above all as a man, I can only adhere to a vision of history as a succession of events, cases and vicissitudes ordered according to a line of development that is not necessarily chronological, but also an expression of language, the highest expression of being. Every man exists only in the temporal process of his history, but the history of my time is made up of all past stories, because as humans we participate in the memory of humanity. How, then, can we reset to zero all this complexity formed over time around the idea of history? an idea that has given structure to our way of conceiving and perceiving the world? How can we overcome all the overlaps that the thought on history and history brings with it? and how can we dissolve the threads of its infinite intersections by eliminating a becoming
Da architetto, da insegnante di progettazione, ma soprattutto da uomo, non posso che aderire ad una visione della storia come successione di eventi, di casi e di vicende infilati da una ricostruzione ordinata secondo una linea di sviluppo non necessariamente cronologica, ma anche soprattutto come espressione di linguaggio, così come non posso non aderire ad intendere il linguaggio come la più alta espressione dell’essere. Ovvio, che essendo nel tempo, vivo la storia del mio tempo, perché ogni uomo esiste solo nel processo temporale della sua storia, ma la storia del mio tempo è formata da tutte le storie passate, perché in quanto umani partecipiamo alla memoria dell’umanità. Come azzerare, allora, tutta questa complessità formata nel tempo attorno all’idea di storia; un’idea che ha dato struttura al nostro modo di concepire e percepire il mondo? Come superare con un colpo di spugna tutte le sovrapposizioni che il pensiero sulla storia e della storia porta con sé e come sciogliere i fili delle sue infinite intersezioni azzerando un divenire che corrisponde alla nostra stessa esistenza? Ecco, allora, che se il linguaggio è l’espressione privilegiata dell’essere e a sua volta l’essere si rivela con il linguaggio e poiché l’architettura, come Victor Hugo fa dire a Frollo -protagonista del suo Notre Dame de Paris- è il grande testo dell’umanità, l’architettura non può essere altro che il linguaggio più visibile e più potente della storia; quello che ne narra le vicende nella maniera più autentica e profonda. Quindi non solo ci è impossibile smorzare questa sua that corresponds to our very existence? If language is the privileged expression of being and in turn being reveals itself through language and since architecture, as Victor Hugo’s Frollo - the protagonist of Notre Dame de Paris - says, is the great text of humanity, it represents the most visible and powerful language in history, the one that narrates its events in the most authentic and deep way. So not only it’s impossible for us to reduce its power, but we cannot even imagine an architecture that is detached from history, that is, detached from the becoming that forms the basis of every process of existence, precisely because most European and Italian design thinking in particular has inevitably always been linked to this condition. And even when it might seem that the formal expressions of a given period denied those of the previous period, in the field of architecture, Italian design has always allowed the new to have its roots in the past. This is not because history suffocates and overwhelms us, but simply because it accompanies us and orients us like a benevolent guide that does not impose but suggests, indicating a possible way to evolve the past into the present and in turn to evolve the present into the future: through time - another vehicle of expression of being - a continuity rather than a break will be established. History is not only the unconscious heritage of everyone, but the sense that it possesses and unveils, which is inseparable from our design identity, that is, that sensitivity, given to us as
potenza, ma neanche nemmeno immaginare la possibilità di un’architettura come fatto avulso dalla storia, ovvero slegata da quel divenire che costituisce la base di ogni processo di esistenza, proprio perché la maggior parte del pensiero progettuale europeo e italiano in particolare, è inevitabilmente sempre stato legato a questa condizione. E questo è avvenuto anche quando poteva sembrare che le espressioni formali di un determinato periodo negassero quelle del periodo precedente, proprio perché in campo architettonico, la progettualità italiana ha sempre permesso al nuovo di affondare le sue radici nell’antico. Questo non perché la storia ci soffochi e ci sovrasti, ma semplicemente perché la storia ci accompagna e ci orienta come una guida benevola che non impone ma suggerisce, indicandoci una possibile strada per evolvere il passato nel presente e a sua volta per evolvere il presente nel futuro, in modo che attraverso il tempo -altro veicolo d’espressione dell’essere- possa instaurarsi una continuità piuttosto che una rottura. Non è tanto la storia, dunque, che è patrimonio inconsapevole di tutti, ma il senso che essa possiede e che disvela, ad appartenerci come un dato indissolubile all’interno della nostra identità progettuale, ovvero, un senso della storia capace di costruire una sensibilità, dataci come carattere genetico che riesce a muovere le leve della parte più consapevole della ricerca progettuale italiana, facendola sembrare però alla maggior parte del resto del mondo a genetic character, that manages to move the levers of the most conscious part of Italian design research, making it seem, however, to most of the rest of the world as non-essential, or even worse, as a bizarre style. It is clear, however, that our contemporary condition is no longer characterised by the presence of a great narrative; modernity, perhaps, was the last era to gather within itself a solid unified vision, a possible sense of the future. Having weakened the foundations of modernity and freed our thinking towards new horizons, modernity has not succeeded in producing anything that equates it in terms of cohesion and convergence: we therefore live in the awareness of a shattered condition in search of a lost unity. It is therefore necessary to reassign a new code of interpretation to the meaning of history, otherwise the architectural project would be just a sterile overview of neo and post, a compulsion to repeat what has already been experienced. Those who do not know history are condemned to repeat it, says George Santayana in his critical realism: contemporary architectural design should express not only the interaction between the form of content and the form of expressions but also be capable of ‘making things right’, offering the possibility of understanding the proactive dimension that history and memory carry within themselves, making them appear in their dynamism of flow, rather than in the rhetorical immobility of a compartmentalized vision.
come un dato non indispensabile, o ancor peggio come un bizzarro vezzo di stile. Appare evidente però, come la nostra condizione contemporanea non sia più caratterizzata dalla presenza di una grande narrazione; l’ultima delle quali in ordine di tempo è stata forse la modernità, che riusciva a raccogliere dentro una solida visione unitaria, un possibile senso di futuro. Depotenziato il margine di quel pensiero, scardinate le sue fondamenta e liberato il suo ambito verso nuovi orizzonti, la contemporaneità non è riuscita a produrre nulla che la equivalga in termini di coesione e di convergenza e viviamo una condizione fatta di frammenti che nella cognizione della propria condizione infranta, anela alla ricerca di un’unità perduta. Va da sé, quindi, che occorre riassegnare un nuovo codice di interpretazione al senso della storia, perché se così non facessimo, il progetto di architettura sarebbe solo una sterile carrellata di neo e di post, ovvero, una coazione a ripetere il già sperimentato. Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla, amava ripetere George Santayana proprio come base del suo realismo critico, per cui in maniera più estesa, sarebbe davvero necessario comprendere che il senso odierno che la storia e la memoria possono avere nei confronti del progetto contemporaneo dell’architettura, dovrebbe essere un senso che oltre ad essere inteso come l’interazione tra la forma dei contenuti e la forma delle espressioni, sia anche capace di ‘rendere ragione’ alle
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The history that serves as the basis for the project must be built on the slow sedimentation that transpires from the characteristics of each era, perceived through its different permanences, that is, through all those figures that, regardless of the expressive languages with which they show themselves, do not change in their substance and represent the differences between the various territories, structure the nature of the contexts and mark the essence of the places. A history, therefore, that is not only linked to human heritage but also to the environmental, natural, paradigm of reference to which the new should adapt.
cose, ovvero, offra la possibilità di comprendere la dimensione propositiva che la storia e la memoria portano in sé, facendocele apparire nel loro dinamismo di flusso, piuttosto e non nell’immobilismo retorico di una visione a compartimenti stagni. La storia che serve come base al progetto è dunque una storia che potremo dire essere sottesa, cioè non necessariamente legata solo ai suo macro momenti, ma costruita sulla lenta sedimentazione che a ben vedere traspare dalle caratteristiche di ogni epoca, percepita attraverso le sue diverse permanenze, ovvero attraverso tutte quelle figure che indipendentemente dai linguaggi espressivi con le quali si mostrano, non mutano nella loro sostanza e per quanto riguarda il mondo dell’architettura formano le differenze tra i vari territori, strutturano la natura dei contesti e segnano l’essenza dei luoghi. Una storia, dunque, che non è solo legata al patrimonio umano ma anche a quello ambientale, naturale, in modo da costituire un paradigma di riferimento al quale il nuovo dovrebbe assonarsi. Ma l’assonanza tra la forma della nuova architettura e la storia del proprio contesto intesa come patrimonio identitario, non è certo una regola imposta e assoluta e ovviamente non c’è nessuna legge che la prescriva. Essa, per quanto mi riguarda, è semplicemente una deduzione del buon senso, alla stessa stregua del sentire come l’armonia si trovi più nella continuità di un sottile gioco di rimandi tra il presente e il passato che non nello strappo della tradizione e But the assonance between the form of the new architecture and the history of its own context as a heritage of identity is certainly not an imposed, absolute rule. As far as I am concerned, it is simply a deduction of common sense, the harmony of the continuity of a subtle play of references between the present and the past, not the tearing up of tradition in the conviction that in our contemporary condition the only meaning of beauty that can be admitted is that understood as truth. A truth that has never been shouted and never disheartened, simply crossed through the refined game of allusion and cross-reference. Reminiscent and never showing, alluding and never offering, evoking and never representing, as well as recalling and never describing, all those characters that in an evident or ineffable, clear or underlying way, manage to form the uniqueness of a city, of a landscape, of a territory, of an environment, in short, of any place in which one has to operate. In assigning a desirable new code of interpretation to the sense of history, it is clear that the design journey itself is an interpretative process, so the whole, act and context, project and place, are part of the same hermeneutical circle thanks to which, the part refers to the whole and the whole to the part. Every time an architect finds himself working in a place, it is normal that his understanding is conditioned by a sort of pre-comprehension given by the historical, cultural and environmental environment in which he lives. Knowledge is
alla stessa stregua del capire come nella nostra condizione contemporanea l’unica accezione di bellezza che si possa ammettere è quella intesa come verità. Una verità che non dovrebbe mai essere urlata e mai sguaiata, ma semplicemente percorsa attraverso il gioco raffinato dell’allusione e del rimando. Rammemorando e mai mostrando, alludendo e mai offrendo, evocando e mai rappresentando, così come richiamando e mai descrivendo, tutti quei caratteri che in maniera evidente o ineffabile, chiara o sottesa, riescono a formare l’unicità di una città, di un paesaggio, di un territorio, di un ambiente, insomma, di un qualsiasi luogo nel quale ci si trovi a dovere operare. Nell’assegnare, come detto, un auspicabile nuovo codice di interpretazione al senso della storia, non possiamo non comprendere però, che lo stesso processo progettuale è già di per sé un processo interpretativo, quindi il tutto, atto e contesto, progetto e luogo, partecipano di un medesimo circolo ermeneutico nel quale e grazie al quale, la parte rimanda al tutto e il tutto alla parte. Per cui, tutte le volte che un architetto si trova ad operare in un luogo, è normale che la sua comprensione sia condizionata da una sorta di pre-comprensione data dall’ambiente storico, culturale e ambientale in cui vive. Ne deriva che la conoscenza allora, altro non è che un continuo flusso di interscambio tra nozioni già apprese e quelle da apprendere, cioè tra apprendimento e interpretazione, situandola in un orizzonte di senso -storico e personale- originato proprio dalla nothing more than a continuous flow of interchange between notions already learned and to be learned, between learning and interpretation, situated within a horizon of meaning - historical and personal - originating precisely from the circular stratification of what is consolidated and what has just been acquired. For this reason, a large part of contemporary design research conducted in Italy has long been moving in the direction of reassigning a new value to history. In the aftermath of the Second World War in our country it was realised that the absolute and self-referential assertiveness of the Modern could not dialogue with the specificity of our places, so design thought has critically revised the idea of a new at all costs, developing the feeling of an innovation understood as a small but fundamental mutation in the order of a tradition, always perceived in a transformative dimension linked to becoming and not as immobility. A memory, a history, capable therefore of structuring over time the image of Italian cities like Florence, Milan, Rome, Venice, Bologna - though I could well include Jerusalem - in which identity and character appear more clearly than in others, a fact that has not prevented them from changing over time, always remaining faithful to themselves. A tradition capable of consolidating itself in the landscapes and their architecture, expressing in different but strongly recognizable declinations the prevailing characters of the different geographical areas.
stratificazione circolare di ciò che è consolidato e di ciò che è stato appena acquisito. Per questo, ovvero per la cospicua presenza del già consolidato, una buona parte della ricerca contemporanea progettuale condotta in Italia, si muove da tempo nella direzione della riassegnazione di un nuovo valore da attribuire alla storia. Da tempo remoto ormai, quando all’indomani del secondo dopoguerra nel nostro Paese ci si accorse che le assertività assolute e autoreferenziali del Moderno non potevano dialogare con le specificità dei nostri luoghi, il pensiero progettuale ha revisionato criticamente l’idea di un nuovo a tutti costi, sviluppando il sentimento di un’innovazione intesa come una piccola ma fondamentale mutazione nell’ordine di una tradizione. Una tradizione percepita da sempre nella propria dimensione trasformativa legata al divenire e non una tradizione intesa come immobilità. Una tradizione, una memoria, una storia, capaci quindi, di strutturare nel tempo l’immagine di città italiane come Firenze, Milano, Roma, Venezia, Bologna –anche se potrei benissimo includervi anche Gerusalemme- nelle quali l’identità e il carattere appare più manifestatamente che in altre, ma che non ha impedito loro di mutare nel tempo, ovvero di mutare comunque, rimanendo sempre fedeli a sé stesse. Ma anche una tradizione che è stata capace di consolidarsi nei paesaggi e nelle loro architetture, esprimendone in declinazioni diverse ma fortemente riconoscibili, i differenti caratteri prevalenti delle diverse aree geografiche. It is difficult, therefore, not to take on all this consolidated heritage in our work; it is difficult to think that the evolution of the project consists only in abandoning everything that has been in favour of the fascination of a new one at all costs, because history, memory and tradition, which someone can perceive as a brake, represent the true genetic structure of our cultural heritage. It is difficult to separate what we see from what we know and what we do from what we are. A history that belongs to us as a deep substratum and that at the same time makes us belong to it in an indissoluble and biunivocal way, because we, without any rhetoric, are this history and even when we open a window of our house, it pours over us in a continuity that is made of measurements, materials, geometries, just as when we move in a street of any Italian city, it reveals itself in the consistency of its streets and squares, in the geometry and proportion of its buildings, as well as in the density of its fabrics. When it is not the city, it is the landscape that highlights the constant relationship with the historical dimension, because it too is the result of centuries of human modification, we can say that it represents the transcription in the environment of our own history, or rather, a permanent narrative of it visible in the signs and figures of the territory. By this I am not saying, of course, that the Italian territory has not been adversely affected by the abandonment of its historical sense and that it has not been insulted by the breaking of its continuity. It has been
È difficile, quindi, non assumere tutto questo consolidatissimo patrimonio nel nostro lavoro; difficile pensare che l’evoluzione del progetto consista solo nell’abbandono di tutto quello che è stato in favore della fascinazione di un nuovo a tutti costi, perché tutta questa storia, tutta questa memoria, tutta questa tradizione che qualcuno può percepire come un freno, ci appartengono come la vera struttura genetica del nostro patrimonio culturale e ci è difficile separare quello che vediamo da quello che sappiamo e quello che facciamo da quello che siamo. Una storia che ci appartiene come substrato profondo e che al contempo ci fa appartenere a lei in maniera indissolubile e biunivoca, perché noi, senza retorica alcuna, siamo questa storia e anche solo quando apriamo una finestra di casa, essa si riversa su di noi in una continuità che è fatta di misure, di materie, di geometrie, così come quando ci muoviamo in una strada di una qualunque città italiana, essa si svela nella consistenza delle sue strade e delle sue piazze, nella geometria e nella proporzione dei suoi edifici, così come nella densità dei suoi tessuti. Quando non è la città è il paesaggio a mettere in evidenza il costante rapporto con la dimensione storica, perché anch’esso è il frutto della modificazione secolare attuata dall’uomo, tanto che potremo dire che rappresenta la trascrizione nell’ambiente della stessa nostra storia, ovvero, una sua narrazione permanente visibile nei segni e nelle figure del territorio. and still is, unfortunately, but I like to glimpse, even in this homologating devastation, the spark of possible resistance. If it was precisely an erroneous sense of history that shattered the last ‘great narrative’ of history itself, it could be a renewed sense of history that is the point from which to start again to try to fight the aphasia and uncertainty of our time. At the same time, it is not only those who are repositories of history who are able to design; on the contrary, we are always increased by comparison and exchange with other international realities, above all because we come into contact with an active possibility of building architecture, which is impossible even to
Loghi dei progetti dello SPACE Project 2018-2019
Con questo non dico, ovviamente, che il territorio italiano non sia stato straziato dall’abbandono del suo senso storico e che non sia stato ingiuriato dalla rottura della sua continuità. Lo è stato e lo è tutt’ora, purtroppo, ma mi piace intravedere, pur in questa omologante devastazione, la scintilla di una possibile resistenza. Così, come ho detto che è’ stato proprio un errato senso della storia a infrangere l’ultima ‘grande narrazione’ della storia stessa, anche in questo caso mi piace pensare che potrebbe essere un rinnovato senso della storia il punto da cui ripartire per cercare di combattere l’afasia e l’incertezza del nostro tempo. Allo stesso tempo non dico che solo chi è portatore di storia sia in grado di fare progetto; anzi, dal confronto e dallo scambio con altre realtà internazionali se ne esce sempre accresciuti, per le relazioni e le conoscenze fatte ma soprattutto perché si entra in contatto con una fattiva possibilità di costruire l’architettura, impossibile anche solo da pensare nello stagnante immobilismo italiano. Un immobilismo che in molti casi nasce proprio anch’esso da un’errata lettura della storia, vista solo come pretesto classificatorio di elementi stilistici e non come materiale ‘attivo’ da cui attingere. Noi, dunque, viviamo nella storia e siamo la storia e ogni architettura e ogni paesaggio ne sono l’espressione più autentica e compiuta, ovvero, sono il risultato di una stratificazione orientata di forme e relazioni che sono state pensate come soluzione migliore nel tempo e in un luogo, come risposta ad una precisa think about in Italy’s stagnant immobility. An immobility that in many cases arises precisely from a misreading of history, seen only as a pretext for classifying stylistic elements and not as ’active’ material from which to draw. We, therefore, live in history and we are history and every architecture and every landscape are the most authentic and complete expression of it, that is, they are the result of an oriented stratification of forms and relationships conceived as the best solution in time and place, as an answer to a precise question. A history, therefore, that contains its own dynamic, evolutionary, proactive dimension and that we contemporary designers will have to collect in the compositional process as indispensable data to aspire to that physical and paradigmatic continuity with the place, worthy of any self-respecting architecture. Analysis is the first phase of the project, even when trying to reassign a new value to history. It consists of the collection of starting data and is impregnated with pre-conditions inherent in the culture and experience of those who put it into practice. Only what is known can be seen and this directs the designer’s sensitivity to grasp certain aspects that should be instrumental to the project, aspects that are also completely marginal, but capable of building a world of reference, and all aimed at the search for recurring themes, types and figures that together form not the typicality, but the identity of the place. If the architect has the sensitivity and humility to keep quiet inside and around himself,
questione. Una storia, quindi, che contiene una propria dimensione dinamica, evolutrice, propositiva e che noi progettisti contemporanei, dovremo raccogliere nel processo compositivo come dato indispensabile per aspirare a quella continuità fisica e paradigmatica con il luogo, degna di una qualunque architettura che si rispetti. Quindi l’analisi è comunque la prima fase del progetto, anche quando si cerca di riassegnare alla storia un nuovo valore. Essa consiste nella raccolta dei dati di partenza e come ho già detto, è impregnata di pre-condizioni insite nella cultura e nel vissuto di chi la mette in pratica. Si vede solo ciò che si conosce, recita un noto adagio e questo orienta la sensibilità del progettista a cogliere determinati aspetti rispetto ad altri. Aspetti che dovrebbero essere strumentali al progetto, ma anche aspetti del tutto marginali, anche se capaci di costruire un mondo di riferimento, ma tutti comunque ugualmente volti alla ricerca di temi, tipi e figure ricorrenti che insieme formano non la tipicità, bensì l’identità del luogo, che è cosa profondamente diversa. Molte volte ho già avuto modo di dire e di scrivere che se l’architetto ha la sensibilità, ma anche l’umiltà di fare silenzio dentro e attorno a sé e mettersi in ‘ascolto’ del luogo, ecco che allora il luogo potrà inaspettatamente suggerire la via da percorrere. Come se il progetto fosse ‘già scritto’ nelle sue caratteristiche, nella sua natura, nella sua contingenza, nelle specificità e nelle anomalie ma anche nel suo immaginario, nella sua figuratività e nella sua idea e then the place can unexpectedly suggest the way forward, as if the project were “already written” in its characteristics, in its nature, in its contingency, in its specificity and anomalies, in its figurativeness and in its idea, so that, through the practice of composing, it can be found and brought to life again because it is already visible to those who are willing to listen. How can we put these materials at the service of architecture and its design and, above all, how can we make them become living matter and not just a reference background so that the new is not just a banal re-proposal? The designer knows that any analysis should highlight elements that are indispensable to the triggering and growth of the new design act. The elements, shapes, styles, languages, as
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che attraverso la pratica del comporre si possa ritrovarlo e farlo emergere a nuova vita perché già visibile a chi è disposto a far parlare il luogo, prima della propria biografia. Cosa fare però di questi materiali dedotti e disvelati dall’analisi effettuata al luogo, come metterli a servizio dell’architettura e del suo progetto e soprattutto come farli diventare materia viva e non solo sottofondo di riferimento affinché il nuovo non sia solo una banale riproposizione? Ogni progettista sa che ogni analisi dovrebbe essere tendenziosa, cioè dovrebbe orientarsi alla messa in evidenza di elementi che saranno indispensabili all’innesco e alla crescita del nuovo atto progettuale. Ma bisogna porre molta attenzione perché gli elementi, le forme, gli stilemi, i linguaggi, così come le materie, i colori, le misure, le matrici, le permanenze e le ricorrenze, non sono lì per essere semplicemente ripresi e riversati acriticamente nelle nuove forme dell’architettura, bensì per essere criticamente e sensibilmente interpretati. Se così non fosse, il nuovo progetto sarebbe la semplice parodia del vecchio e i nuovi elementi solo forme sterilizzate ed istantanee di un’architettura senza vita, prive cioè, di quel divenire necessario affinché un’architettura possa dirsi allo stesso tempo contemporanea ma anche completamente inserita nel flusso vitale della storia. Da molti anni, infatti, nella mia visione del progetto e nelle forme del mio insegnamento, la parola interpretazione è andata a sostituire well as materials, colours, sizes, matrices, continuum and recurrences are not there to be simply taken up and uncritically poured into the new forms of architecture, but rather to be sensibly interpreted. If this were not the case, the new project would be a simple parody of the old and the new elements only sterile, instantaneous forms of a lifeless architecture, that is, devoid of that becoming necessary for an architecture to be at the same time contemporary but also completely inserted in the vital flow of history. For many years, in fact, in my design vision, the word Interpretation has replaced the word Intuition, because it is precisely through an interpretative process that the architect can succeed in transforming the fruit of analysis into an action capable of synthesising all the components of the place and its history, including architecture, and presenting them in a changed form. To change does not mean, however, to uproot, but to transform and modify in such a way that what has been produced is still perfectly comprehensible within the same context, rewriting the same text with new words. The project must not alter the sense of place, but takes root in it, must be its expression, dialogue and relate to its distinct components. The encounter, Roland Barthes quotes “the opening of other possibilities, opportunities for new meanings. opportunities for dialogue and exploration”: the architectural project is one of the examples in which ‘the encounter’ should best express itself.
la parola intuizione, perché è proprio attraverso un processo interpretativo che l’architetto può riuscire a trasformare il frutto dell’analisi in un’azione fattiva. Un’azione grazie alla quale sia possibile prendere tutte le componenti del luogo e della sua storia, ovviamente anche architettonica, e riproporle in forma mutata, ricordando come mutare non significhi stravolgere e sradicare, ma trasformare e modificare in maniera tale affinché quello che si è prodotto risulti ancora perfettamente comprensibile all’interno dello stesso contesto; in altre parole, come se si riscrivesse lo stesso testo con parole nuove. Questo perché il nuovo progetto non dovrebbe alterare il senso del luogo, ma radicarsi ad esso, esserne l’espressione, dialogare e relazionarsi con le sue distinte componenti. Le cose non sono altro che l’incontro tra delle loro relazioni, chiosava Roland Barthes e il progetto d’architettura è uno degli esempi nei quali questo incontro dovrebbe percepirsi al meglio. Scrivere con parole nuove lo stesso testo ma nello scrivere modificarlo impercettibilmente per rendere ancora riconoscibile il proprio senso, significa agire nella profondità che caratterizza le relazioni tra le parti. Significa andare dritti all’essenza delle cose, riuscendo a dedurre da ogni forma, da ogni esperienza da ogni congettura che la storia ci porti, i principi in essa custoditi. Quindi nel progetto, significa lavorare sui principi di forme e non sulle forme, perché le forme sono l’espressione del tempo, quindi l’immagine visibile e mutevole della storia, mentre i principi in esse Writing the same text with new words, modifying it imperceptibly to make its meaning recognizable, means acting in the depth that characterizes the relationships between the parties. It means going straight to the essence of things, being able to deduce from every form, from every experience, from every conjecture that history brings us, the principles that are kept in it. In the project it is necessary to work on the principles of forms and not on forms, because they are the expression of time, therefore the visible and changeable image of history, while the principles underlying them constitute the invariant and the essence on which to focus our attention. The different constitutive principles of space, as well as the theme of mass together with that of fluidity, as well as the synthesis between the parts and the hierarchy of space, are just some of the principles that remain unchanged in the various phases of history, while the languages and expressions in which these principles evolve over time, vary. To work of interpretation only on the principles of history, means then, escaping from the danger of the slippery road of the citation, avoiding any possible misunderstanding on the meaning of history. Working with history in architectural design does not mean reproposing the formal materials of the past sterilely, but from the past, taking the principles underlying those same materials and evolving them into new configurations without betraying their meaning.With the representation phase the design process seems to
sottesi costituiscono l’invariante e l’essenza su cui porre la nostra attenzione. I diversi principi costitutivi dello spazio, così come il tema della massa e della murarietà insieme a quello della fluidità, così come la sintassi tra le parti e la gerarchizzazione dello spazio, sono solo alcuni tra i principi a rimanere inalterati nelle varie fasi della storia, mentre a variare sono i linguaggi e le espressioni nei quali questi principi si declinano nel tempo. Lavorare di interpretazione sui soli principi della storia, significa allora, scampare dal pericolo della scivolosa percorrenza della strada della citazione, evitando ogni possibile fraintendimento sul senso della storia. Lavorare con la storia nel progetto di architettura, non significa riproporre sterilmente i materiali formali del passato, ma dal passato, prendere i principi sottesi in quegli stessi materiali ed evolverli in nuove configurazioni senza tradirne il senso. Va da sé che con la fase della rappresentazione il processo progettuale pare esaurirsi perché diviene ‘il progetto’ e non più ‘un progetto’, ma non esiste un punto definitivo alla fine di questo percorso, nel senso che la critica operativa che vi si pratica durante la fase interpretativa, può continuare ben oltre la fase della rappresentazione, con la quale, si ferma soltanto quella configurazione che ci sembra rispondere al meglio ai presupposti iniziali tra tutte le infinite variazioni sul tema. Il lavorare all’interno di un processo interpre-tativo del luogo e della sua inevitabile storia, costituisce quindi a mio parere, l’approccio più sensibile be exhausted because it becomes ‘the project’ and no longer ‘a project’, but there is no definitive point at the end of this path, in the sense that the operational criticism that is practiced during the interpretation phase can continue well beyond the representation phase, with which only that configuration that seems to us to best meet the initial assumptions among all the infinite variations on the theme stops. Working within an interpretative process of the place and its inevitable history is therefore the most sensitive and above all the freest and most personal approach that the world of design can take. A freedom that is not based on any method and that does not even identify any systematization of practices, but rather, a phenomenological sensitivity that is not a recipe to be applied mechanically to every situation, but only a research that starts all over again. Every student architect therefore has the chance to put his or her own sensitivity into play and to interpret the history of each place with his or her own personal baggage of experiences and stories. A story unveiled in different, personal ways by analysis, which proposes categories and principles interpreted in a design process that is not intended to be a break, but a real exercise in memory and becoming, always with a view to the foreshadowing of a new architecture that can hopefully act as a fragment of the place for which it is designed. So design by interpreting the latent memory in every place, making the place ‘speak’ in the designer’s place, taking care to
e soprattutto più libero e persona-le che il mondo del progetto possa percorrere. Una libertà che non si basa su nessun metodo e che non individua nemmeno nessuna siste-matizzazione di prassi, bensì, una fenomenolo-gica sensibilità che non costituisce una ricetta da applicare meccanicamente ad ogni situazio-ne, ma solo una ricerca che riparte ogni vol-ta da capo. Ad ogni architetto, ma anche nelle nostre esperienze didattiche internazionali e non, ad ogni allievo architetto, spetta dunque, la possibilità di mettere in campo la propria sensibilità di interpretare con il proprio perso-nale bagaglio di esperienze e di storie, la storia di ogni luogo. Una storia disvelata in modi di-versi e personali dall’analisi, in modo da met-terne in evidenza caratteri, categorie e principi da riproporre interpretati in un processo di pro-getto che non vuole porsi come rottura a tutti i costi. Un progetto che senza rinunciare agli indispensabili aspetti della ricerca e dell’inno-vazione, può essere inteso come un vero e pro-prio esercizio, al contempo di memoria e di divenire, sempre in vista della prefigurazione di una nuova architettura che possa porsi au-spicabilmente come frammento assonante nei confronti del luogo per il quale viene pensata. Quindi, progettare interpretando la memoria latente in ogni luogo, altro non significa che fare ‘parlare’ il luogo al posto della personalità del progettista, avendo cura di far sparire il più possibile l’invadenza della sua mano in favore di un delicato intrecciarsi di sensi, che tra vecmake the intrusiveness of his hand disappear as much as possible in favour of a delicate interweaving of old and new senses that will form the complexity of the new architecture. Place, history, memory, interpretation, character, identity, composition and design are, therefore, the key words of a process that on an operational and mental level moves within a fluid, constant dimension that should not admit intermittence and that should let every architect and every student of architecture glimpse all the beauty contained within it. We design for this beauty-truth, not only to change the status quo of the world, but for those few moments in which it is clear to us that man is the object and subject of all our reasoning and to make a contribution, sometimes minimal and sometimes indispensable, to a common process of transformation, since we architects are the silent creators of this small but indispensable spark of becoming. Becoming is the final objective of a process that leads to the perennial flow of things; becoming, as well as designing, means holding together all the possible frames of the past, with all those of the present and all those of the future, it means living in the legacy left to us by yesterday, in the awareness of today and the promises of tomorrow, without separating them, but feeling them as a unified and living fact, in understanding meaning. Bringing history into the project would give the sense of eternity that otherwise would not be perceptible in any other way; giving the awareness that
chi e nuovi, andranno a formare la complessità della nuova architettura. Luogo, storia, memoria, interpretazione, carattere, identità, composizione e progetto sono, dunque, le parole chiave di un procedere che a livello operativo e mentale si muove all’interno di una dimensione fluida e costante che non dovrebbe ammettere intermittenze e che dovrebbe lasciare intravedere ad ogni architetto e ad ogni allievo architetto, tutta la bellezza che in essa vi è contenuta. Ed è per questa bellezza-verità, credo che in fondo si progetti e non per cambiare solo lo status quo del mondo, ma per quei pochi attimi nei quali ci appare chiaro come l’uomo sia l’oggetto e il soggetto di ogni nostro ragionamento e per dare un contributo, a volte minimo a volte indispensabile, ad un comune processo di trasformazione, essendo noi architetti, gli artefici silenziosi di questa piccola ma indispensabile scintilla di divenire. Un divenire che a mio giudizio è il senso ultimo del fare progetto e l’obiettivo finale di un processo molto complesso che conduce nella propria essenza ad un flusso perenne delle cose, ovvero che contiene dentro di sé la sfumatura della transitorietà e del passaggio e non la definitezza dell’irreversibilità, perché divenire, così come progettare, significa tenere insieme tutti i possibili ‘fotogrammi’ del passato, insieme a tutti quelli del presente e a tutti quelli del futuro. Divenire, come progettare, significa vivere nell’eredità lasciateci dallo ieri, nelle consapevolezze dell’oggi e nelle promesse del domani, senza per questo things exist anyway, even if they have disappeared from the perception of the present dimension, makes the project understood as a simultaneous co-presence of times, where the present exists because there has been a past and because there will be a future. Such simultaneity gives the feeling of being in the world and of understanding reality. Loving history means, therefore, resisting the prejudice, escaping the prevailing nihilism, liquid and boundless, in its absence of memory or even worse in its instantaneous and pre-packaged memory. Loving history means to love the narrative it brings with it, because it unties the knots, opens the conscience, reverberates a belonging, but above all opens up to the diversity of the new. For this reason, I hope that any ‘next layer’ will represent a possible base for contemporary architectural design, a layer from which to understand that history is nothing more than the possibility of feeling free.
scinderle, ma sentirle come fatto unitario e vivo, nella comprensione del senso. Ecco perché mi piace mettere la storia dentro al progetto, perché mi dà un senso di eterno che altrimenti non sentirei in nessun altro modo, perché mi regala la consapevolezza che le cose esistono comunque, anche se sono sparite dalla percezione della dimensione attuale, ovvero mi dà la possibilità di percepirne il loro senso e quindi a maggior ragione estendendo all’architettura, mi fa intendere il suo progetto come una compresenza simultanea di tempi, dove il presente esiste perché c’è stato un passato e perché ci sarà un futuro. E il tenerli tutti insieme in uno stesso registro, mi dà la sensazione di essere nel mondo e di viverne la sua realtà. Amare la storia, significa dunque, combattere la banalità di tutto quello che depotenzia il sentirsi vivi nella realtà, significa resistere alla decategorizzazione di un pensiero sempre più debole, sfuggendo a tutto quanto possa assoggettarsi ad un possibile nichilismo imperante, liquido e senza confini, nella sua assenza di memoria o peggio ancora nella sua memoria istantanea e preconfezionata. Amare la storia, significa amare la narrazione che essa porta con sé, perché ogni storia apre un nodo, schiude la coscienza, riverbera un’appartenenza, ma apre soprattutto alle diversità del nuovo. Per questo, auspico che qualunque next layer, vedremo profilarsi come possibile strato su cui poggiare il progetto contemporaneo d’architettura, sarà uno strato dal quale capire che la storia non è altro che una possibilità per sentirsi liberi.