Visual Music

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VISUAL MUSIC storia del rapporto musica e arti figurative

Libera Accademia Di Belle Arti di Firenze Corso di Laurea di Graphic Design | Corso di Linguaggi Multimediali - Prof. Mi Anno Accademico 2010-2011 | Studente: Diletta Franchi


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Sommario

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0.0 Introduzione Prefazione di Diletta Franchi

1.0 Corrispondenze

Suoni e colori si rispondono

1.1

La natura romantica

1.2

Charles Baudelaire, le poète maudit

1.3

Il suono interiore di Vasilij Kandinskij

1.4

Relazioni tra pittori e musicisti del ‘900

2.0 Impronte Nuovi strumenti sintestetici

3.0 Vjing

L’utopia delle avanguardie diventata realtà


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“..I profumi, i colori e i suoni si rispondono come echi lunghi che di lontano si confondono in unità profonda e tenebrosa, vasta come la notte ed il chiarore..”

Cit. “Correspondence”, Les Fleurs du Mal, 1857, Charles Baudelaire


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Nike di Samotracia, II sec. a.C. Museo del Louvre, Paris


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0.0 Introduzione

Prefazione di Diletta Franchi

Questa tesi prende le mosse da una tematica emersa nel corso dell’esposizione tenutasi al Centre Pompidou di Parigi, a proposito della storia dell’interazione tra i linguaggi visivi e sonori: “Son et Lumières” del 2004/2005. L’idea di fondo consiste nel proporre una ricostruzione storica di quelle esperienze che, nell’arte del XX secolo, hanno in comune la ricerca di un linguaggio sinfonico, in grado di relazionare percezioni visive e auditive dello spettatore creando cioè un legame tra suono e immagine a partire dai dipinti di Kandinskij e dallo sviluppo del linguaggio audiovisivo - iniziato con l’introduzione del sonoro nel cinema - sino ad arrivare a quelle forme di espressioni artistiche che oggi sono annoverate nel concetto di Vjing. Per congruenza tematica ho optato per la suddivisione della tesi in funzione di come era stata organizzata originariamente l’esposizione, cioè in tre sezioni: “Corrispondenze”, “Impronte”, “Rotture”, al fine di mantenere una certa uniformità nel carattere ed ordine della struttura dell’argomentazione. La prima sezione “Corrispondenze” tratta dei primi rapporti tra musica e arti visive; la sinestesia fu protagonista delle opere ed oggetto di studio per molti artisti i quali la consideravano un fertile territorio di ricerca: Charles Baudelaire, per quanto riguarda il lato letterario; i pittori romantici prossimi alla musica, perché favoriva il loro lirismo e la loro spiritualità; alcuni musicisti come Richard Wagner del quale i romantici sognavano già il suo concetto di Opera Totale; arrivando poi all’astrattismo di Vasilij Kandinskji con a seguito gli artisti del ‘900 che adotteranno come ispirazione la musica, considerata l’arte più perfetta in buona parte proprio perché concepita come la più astratta (Kupka, Pollok, Paul Klee, Mondrian).


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A partire dall’epoca romantica, infatti, soprattutto pittori e musicisti rifiuteranno la separazione arbitraria tra le arti per ritornare all’unità originale della creazione attraverso un’opera integrale che richiamasse tutti i sensi e che di fatto troverà il proprio esordio nei capolavori del cinema astratto di Hans Richter, Oscar Fischinger e degli italiani Ginna e Corra. La seconda sezione, “Impronte”, affronta la relazione tra arte e scienza, infatti negli Anni ‘20 artisti e matematici come Luigi Veronesi e Louis-Bertrand Castel hanno voluto relazionare arti visive e musica, secondo leggi fisiche e matematiche, attraverso sperimentazioni con cui ricercavano una sorta di codificazione del legame campo visivo e campo sonoro, della quale le cosiddette “visualizzazioni cromatiche” di Veronesi sono una perfetta esemplificazione. Nella parte finale ci avviciniamo a quelli che sono gli artisti che lavorano maggiormente sull’idea di installazione multisensoriale, come Steina e Woody Wasulka e Nam June Paik, portatori di ricerche sul linguaggio audiovisivo.


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Infine per l’ultima sezione, che nell’esposizione era chiamata “Rotture”, ho preferito dare il nome di “Visioni”, perché il passaggio dalle esperienze multisensoriali al Vjing è avvenuto per mezzo di visioni e scoperte da parte di artisti, che preferivano offrire rappresentazioni visive del suono per coinvolgere, come un tempo auspicavano gli avanguardisti, ogni senso. Silvia Bianchi aka Blanche sarà la protagonista di questa ultima sezione, perché famosa vj contemporanea, dotata di una notevole creatività, e per questo è stata eletta a modello da molti artisti che lavorano nel suo campo. Blanche emerge e risplende nel mondo dell’arte attuale in cui le ricerche multimediali sembrano aver ormai marginalizzato l’antica esperienza canonica dell’arte. Questa tesi, dunque, propone una riscoperta dell’arte multisensoriale primitiva, che ha comportato lo sviluppo e la consapevolezza del senso di arte inteso oggi come mix di processi creativi, non tanto seguendo il principio di addizionale proposto da Wagner secondo il principio della Gesamtkunstwerk, quanto in funzione di una marcata e diffusa interazione e fusione di arti.


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1.0

Corrispondenze

Suoni e colori di rispondono

Nel corso dei secoli siamo stati soliti riscontrare forme espressive ed artistiche diverse, generi nettamente distinti, ma musica e arte – suoni e colori – da sempre hanno dialogato: si sono intrecciati, si sono influenzati e si sono respinti. Le corrispondenze si identificano nell’ideale o mito della sinestesia, di quell’incontro, cioè, che si definisce in un possible o ipotetico scambio di sensazioni, corollario del progetto di Wagner dedicato a quella unità di arti che potrebbe essere conseguita secondo il principio di “opus magnum”. Un principio ed una visione che hanno spesso luogo nelle discipline e rappresentazioni legate al teatro, forma d’arte particolarmente predisposta alla sua più significativa connotazione. Il concetto di sinestesia ha accompagnato l’atmosfera che va dal simbolismo alle avanguardie. Intorno ai primi anni del ‘900 alcuni artisti sentivano urgente la necessità di un cambiamento: il linguaggio artistico doveva ambire ad una specificità che sapesse andare oltre alla definizione di una semplice rappresentazione esteriore; occorreva dirigersi verso una ricerca interiore e teorica come sosteneva Vasilij Kandinskij nel suo “Lo spirituale nell’arte”, che di fatto avvia la ricerca verso la concezione di corrispondenza tra campo visivo e campo musicale. Lo stesso vale per František Kupka che, con le sue ricerche, è riuscito a fissare in maniera assoluta il suono interiore dei colori e delle forme. Numerosi furono i pittori, poi, che collaboravano con musicisti del calibro di Anton von Webern e Arnold Schönberg, maestri della nuova musica atonale, sviluppando un arte più sincretica per dare vita ad un cerchio cromatico-sonoro. Allo smembramento dei suoni isolati di tale musica innovativa, corrispondeva l’estrapolazione dei singoli elementi di Piet Mondrian, secondo i dettami della tecnica compositiva seriale; nella tela di Jackson Pollock, ritroviamo, invece, l’energia della danza, dettata proprio dalla sua originalissima pratica nella composizione artistica: l’artista infatti era solito dipingere giorno e notte, ascoltando dischi di musica jazz, e creando “schizzi” assuefatti o letteralmente dettati dal ritmo e dall’energia della scena sonora newyorkese. Intorno agli Anni ‘20, con la commercializzazione del cinema sonoro, il suono sintetico e sincretico diventa una delle piste di ricerca dei cineasti d’avanguardia come Oskar Fischinger affascinato dall’idea di poter rendere le proprie creazioni grafiche sotto forma di immagini sonore, grazie anche allo sviluppo di nuovi tecnologici strumenti.


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1.1 La natura romantica

La natura veniva considerata come luogo sacro. Il cielo, la luna, le montagne, le rocce, il mare, come segni di una divinità pervasiva, presente e misteriosa. Nel Romanticismo tedesco artisti come Caspar David Friedrich, strabiliante portavoce di un’arte integrata, hanno rivelato il fascino della natura come non mai: qualcosa che appare e subito scompare, che tocca, scuote e commuove con l’estrema bellezza delle sue forme, che ricorda l’effimera caducità della vita, ma anche la successione timbrica delle espressioni musicali. Non ci sono documenti che testimoniano il rapporto tra Friedrich ed il musicista Carl Maria von Weber, ma le affinità tra i due sono molte. Entrambi lavorarono sul concetto di opera totale e sul concetto di sinestesia, in quanto Weber cercava una musica nuova, non un semplice intrattenimento ma qualcosa che suscitasse emozioni interne e spirituali; dall’altra parte Friedrich ricercava un’elevazione spirituale che andasse oltre la semplice rappresentazione del concreto, che quindi coinvolgesse l’intero animo umano. Nel tentativo di amplificare l’esperienza emotiva, il pittore romantico concepì uno nuovo aspetto di un’arte simultanea che richiamasse tutti i canali percettivi dell’uomo: era solito, infatti, creare veri e propri ambienti, in cui si leggevano testi poetici, proiettando disegni a contenuto simbolico, con un sottofondo musicale. Altri artisti approfondirono tali studi sinestetici, come il compositore di fine ‘800 Max Reger, il quale, da sempre affascinato dalla forza dei colori, sosteneva che una composizione sonora poteva sgorgare proprio dalle intime emozioni che un semplice dipinto poteva emanare.


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Reger spesso componeva dopo aver contemplato quadri di Arnold Böcklin, e riusciva sempre a percepire e rappresentare gli impliciti suoni che i suoi quadri contenevano. In realtà Böcklin non condivideva il pensiero del suo ammiratore, ma era più interessato al silenzio della pittura, dove soltanto una tonalità più forte poteva far cantare il quadro. Assistiamo, quindi, ad una prima corrispondenza tra musica e pittura fortemente orientata verso la direzione che scioglieva le tensioni dalla prima verso la seconda e viceversa, cosa che sarà, invece, più comune nei secoli successivi. La pittura romantica, dunque, predilige la percezione multisensoriale dell’arte, esaltando passione e immaginazione, “regina delle facoltà” così chiamata da Eugène Delacroix; la pittura si avvicina alla musica, e favorendo il lirismo e la spiritualità, punta versoun’opera totale che svilupperà il musicista Richard Wagner, dove l’opera è per sua natura “L’isola dei morti”, Arnold Böcklin , 1880-1886, Öffentliche Kunstsammlung, Kunstmuseum, Basilea

sintetica. L’età romantica rifiuta, perciò, la separazione arbitraria delle arti per un ritorno a un’unità primordiale, a un’opera integrale che coinvolge tutti i sensi. La pittura come la musica, deve non limitarsi ad una semplice funzione descrittiva, ma esternare la psiche dell’artista. La pittura acquista così una dimensione temporale, che si evolve nel tempo, seguendo la linea tracciata dall’artista; parallelamente con il progredire delle ricerche, la musica assume un suo spazio, che con la propria rappresentazione, cancella il senso di caducità dell’opera. L’energia del suono e la forza del segno grafico, finalmente congiunte in una vera e propria simbiosi artistica, daranno vita all’arte astratta dei primi del ‘900.


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1.2 Charles Baudelaire, le poète maudit

Un primo rapporto in letteratura tra suoni, colori e percezioni lo possiamo esemplificare con il decifratore dell’armonia sinfonica della natura, precursore del pensiero artistico del XX secolo, il celeberrimo poeta maledetto Charles Baudelaire, che fu, dunque, anticipatore della sensibilità estetica contemporanea. Con le sue opere poetiche e ancora di più con la sua saggistica, egli prefigura, descrive e coglie in tutta la sua complessità, la nuova concezione dell’arte nella società industriale avanzata. Ad un primo stadio, Baudelaire cercò di esprimere l’intrinsecarsi delle parti, della varietà del mondo, mediante l’uso della sinestesia e della metafora musicale; adottò innovativi strumenti retorici con i quali riuscì ad esplicare concetti di armonia e melodia, indispensabili per descrivere l’essenza della natura. Ma tali artifici letterari, non avrebbero avuto gran senso se non avessero rappresentato alcunché di diverso rispetto ai puri espedienti stilistici: grazie alla penna del poeta, essi fornirono, invece, lo spunto per una nuova riflessione sull’espressione pittorica. Con Baudelaire siamo di fronte, dunque, ad un poeta portatore di nuova sensibilità artistica, che pone la musica, sia pure in modo non sempre esplicito, ad un livello privilegiato rispetto alle discipline artistiche, considerandola fondamentale per il radicale rinnovamento dell’arte contemporanea. Il pensiero del pittore russo Kandinskij, infatti, può esser concepito come una forma di continuità dell’analisi psico-percettiva portata avanti dal poeta: non è il colore in sé ad aver significato, bensì il colore in quanto espediente per l’istituzione di un rapporto tra l’oggetto dipinto e l’oggetto del mondo reale; il colore diventa solo strumento di costruzione. In questo senso Baudelaire giunge pure a suggerire un’idea di pittura intesa come esperienza emotiva, come linguaggio psichico delle emozioni cromatiche, ritrovandosi nella necessità di “far parlare” il colore; siamo di fronte ad un’anticipazione dei concetti fondamentali di quello che poi sarà l’astrattismo.


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“.. poi quei mirabili accordi di colore suscitano spesso illusioni di armonia e di melodia, e l’impressione che si riporta di questi quadri è spesso quasi musicale...”

Cit. “Les arts figuratives”,Exposition Universelle, 1855, Charles Baudelaire


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1.3 Il suono interiore di Vasilij Kandinskij Nel corso del ‘900 si arriva ad assistere ad una costante e progressiva riflessione tecnica sulla dimensione musicale, da parte di importanti rappresentanti dell’avanguardia pittorica. Il materiale musicale, che iniziava ad emanciparsi da schemi piuttosto convenzionali, diventerà stimolo anche per il superamento dei canoni estetici delle arti figurative. I linguaggi espressivi della pittura si interessano, perciò, alle nuove possibilità formali cui sta approdando l’arte musicale nel corso del ‘900. In particolare artisti come Vasilij Kandinskij e Paul Klee, hanno reso evidente questo interesse per la sinfonia del cosmo, intesa come una relazione biunivoca meramente esterna alle due arti. I limiti dell’espressività musicale romantica erano così stati superati tramite l’estensione del cromatismo e la successiva evoluzione fu il definitivo abbandono del sistema tonale. Nel XX secolo si assiste, perciò, ad una rottura col passato, che favorisce sperimentazioni di nuovi modelli sonori e pittorici. La più importante scoperta in ambito percettivo, sull’accostamento tra pittura e musica, riguarda la possibilità di descrivere una forma di temporalità pittorica in relazione a quella musicale. È probabile che per questo Kandinskij abbia operato una sorta di equazione tra “Luce”, Vasilij Kandinskij, 1930

l’ascolto di un brano e la visione di un’immagine astratta.


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L’interesse per la musica mostrato da Kandinskij fu di fatto molto significativo per la sua pratica artistica e teorica; basti pensare all’uso di termini presi dall’universo musicale per titolare molti dei suoi quadri astratti: impressioni, improvvisazioni, composizioni, oppure semplicemente alle sue strutture figurative melodiche e sinfoniche. Tuttavia tale pensiero non deve essere inteso come derivante da una relazione diretta tra le due discipline, o meglio, non come semplice traduzione di fatti musicali in

“Essa è soltanto l’accordo finale della sinfonia che avviva intensamente ogni colore, che fa suonare Mosca come il fortissimo di un’orchestra gigantesca..”

specifiche opere pittoriche o viceversa, ma come interrelazione ricca di analogie e somiglianze, fonte di stimoli verso una riflessione all’interno dell’animo dell’artista: la musica, avendo compiuto quella rivoluzione in direzione dell’interiorità, offre un esempio concreto della conquista di uno specifico ambito creativo. La realtà viene concepita secondo un ordine pittorico-musicale in cui le impressioni visive si tramutano in eventi sonori e sinfonici, o viceversa. Infatti l’incontro tra Kandinskij e musicisti quali Wagner e Schönberg,permisero una traduzione percettiva di componenti musicali in elementi pittorici (linee e colori) prettamente astratti.

Cit. “Sguardo al Passato”, 1892, Vasilij Kandinkij


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Mosca I, Vasilij Kandinskij, 1916, Galleria Statale Tretjakov, Mosca


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La corrispondenza tra musica e colore dunque, per Kandisnkij, non è diretta, ma dettata secondo il principio della risonanza interiore, attraverso la determinazione di effetti psichici che i singoli colori producono sulla sensibilità dello spettatore: le qualità di attrazione, di dispersione, concentricità ed eccentricità, staticità e dinamismo, stanno alla base di tali rapporti cromatici. L’astrattismo di Kandinskij è inteso, essenzialmente, come esibizione di contenuti spirituali degli elementi compositivi, così che anche la percezione dei colori diventa una vera e propria esperienza spirituale. Kandinskij vede quindi nella musica quell’arte che diventa strumento per rinnovare la sua pittura, adottando la presenza di una dimensione temporale nei suoi quadri: l’opera deve esser scoperta passo dopo passo, come la lettura di uno spartito e non deve esser subito comprensibile come lo era nel passato. Per questo la musica di Schönberg viene considerata dall’artista l’elemento aggiuntivo per completare i suoi quadri, introducendo, così, una nuova dimensione dove le esperienze musicali non sono più soltanto acustiche, ma anche spirituali. Arriva a teorizzare, dunque, una concezione espressionistica dell’arte, quella che diventerà puro astrattismo, superando la divisione tradizionale delle due arti: musica come arte del tempo, pittura come arte dello spazio.

“ ..il colore è il tasto, l’occhio è il martelletto, l’anima è il pianoforte dalle molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, mette opportunamente in vibrazione l’anima umana.”

Cit. “Lo Spirituale nell’Arte”, 1912, Vasilij Kandinskij


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Impressione III - Concerto, Vasilij Kandinskij, 1911, Lenbachhaus, Monaco di Baviera

Dopo aver assistito ad un concerto di Schönberg nel 1911, Kandinskij a breve distanza dipinse “Impressione III - Concerto”, probabilmente nata dalle forti emozioni scaturitegli dall’ascolto delle note del compositore. Iniziò una certa corrispondenza tra i due artisti, che però ebbe breve vita, tanto che non ci sono neanche testimonianze di una reciproca stima e ammirazione. Semplicemente i due artisti avevano una stessa aspirazione ad un rinnovamento profondo dell’arte e seguendo le proprie istanze interiori, arrivarono a definire un rapporto sinestetico suono-colore ed un’idea di arte totale coinvolgente ogni tipo di forma creativa. Meno conosciuto è il rapporto che Kandinskij ebbe con Aleksandr Skrjabin, anche se questo fu forse più significativo. Infatti l’attenzione del pittore russo si concentrò maggiormente sugli esperimenti con la luce del musicista ed in particolare sul suo “Prometeo”, che rappresentò una prima fusione tra suono e colore.


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I problemi connessi al rapporto musica e arti figurative erano comuni a molti artisti “..chi ha ascoltato il Prometeo con i relativi effetti di luce deve effettivamente riconoscere che l’impressione musicale corrisponde in modo perfetto agli effetti luminosi e che questa combinazione raddoppia e intensifica al massimo la forza espressiva dell’opera..”

dell’epoca, ma Skrjabin fu il primo a mettere in atto alcune delle possibilità più inesplorate. La tabella delle corrispondenze suono-colore utilizzata nel Prometeo incuriosì molto Kandinskij che da tempo si interessava a quel problema, associando colori a determinati timbri di strumenti musicali (il linguaggio

Cit. Articolo sul “Prometeo” di Skrjabin, Der blaue Reiter, Sabaneev

dei colori di Kandinskij). Skrjabin con le sue opere non voleva ottenere un’opera totale come poteva essere quella di Wagner, che si limitava semplicemente a processi additivi, ma voleva introdurre il procedimento del processo psichico, e la danza era l’arte più adatta ad integrare compiutamente tale rapporto. Infatti Kandinskij coinvolse ballerini e musicisti in interessanti esperimenti, iniziando a comporre piccoli pezzi teatrali molto lontani da quelli che erano tipici dell’epoca.


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Nelle composizioni sceniche tentò di realizzare un progetto nel quale le forme artistiche si facessero portatrici di un valore interno unico: il movimento sonoro, plastico e cromatico doveva rappresentare un’unica forma, attraverso la fusione più completa dei vari linguaggi coinvolti. Esemplificativo è la composizione “Il Suono Giallo” che fu il risultato dell’avvertita necessità di comunicare tra le diverse discipline artistiche, fondata proprio sulla relazione della risonanza interiore dei singoli mezzi espressivi. L’artista propose con quest’opera di dar vita a un vero e proprio quadro astratto in movimento: i personaggi perdono ogni carattere di individualità per trasformarsi in elementi cromatici come luce, colore e suono. In nessun altro artista del nostro secolo si è manifestato con tanta evidenza l’interesse per la musica, quanto in Kandinskij, che si è espresso in diverse circostanze nelle forme più varie. L’esperienza artistica del pittore si legò, dunque, a quella di alcuni compositori e l’intenzione di esprimere i suoni attraverso Appunti teatrali, Vasilij Kandinskij, 1914

l’esperienza della sinestesia divenne la base del suo pensiero. Elaborò, così, una teoria artistica che partendo dall’analogia fra suono e colore giunse alla realizzazione di opere d’arte sintetiche a carattere multimediale (arte monumentale) fondata organicamente su tutte le arti.


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1.4 Relazioni tra pittori e musicisti del ‘900 Allo stesso modo Paul Klee si ritrovò coinvolto nella stessa situazione di ricerca di Kandinskij. Klee puntò, però, maggiormente sulla realizzazione di una tipologia organizzativa dello spazio figurativo. Kandisnkij e Klee si differenziarono da altri artisti come Piet Mondrian, Pablo Picasso, Jackson Pollock e František Kupka perché ebbero stretti contatti con musicisti quali Arnold Schönberg, Aleksandr Skrjabin e Pierre Boulez. Klee realizzò opere con temi legati alla musica e al teatro, però, a differenza di Kandinskij, effettuò una ricerca indirizzata verso una puntuale corrispondenza, quasi una precisa traduzione tra il mondo compositivo musicale e quello pittorico. L’atteggiamento dell’artista nei confronti della musica apparve lontano dalle teorie caratterizzanti il ‘900, infatti considerava la polifonia pittorica superiore a quella musicale, in Fuga in Rosso, Paul Klee, 1921, Zentrum, Bern

quanto la pittura era in grado di assorbire e rendere con più efficacia la natura del movimento, senza soccombere alla caducità del tempo.


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Molte sono le altre corrispondenze tra pittori e musicisti. Basti pensare all’affinità dei percorsi che caratterizzavano le opere di Pablo Picasso e quelle di Igor Stravinskij, che adottarono una stessa concezione di arte, una modernità perseguita attraverso un’apparente reazione al pensiero dell’epoca. Entrambi abbandonano la tradizione e tagliano i legami col passato, cadendo però in uno sterile sperimentalismo. Entrambi si rifanno ad un mondo primitivo ispirandosi a fonti arcaiche per ridefinire linee melodiche ricomponendole in inedite armonie. Rinnovano la forma dell’arte ricongiungendo le estremità del passato e del futuro con uno stile semplice e astratto. Più significativa , invece fu l’affinità tra le opere Uomo con Chitarra, Pablo Picasso, 1918.

di Anton von Webern e quelle di Piet Mondrian, entrambe caratterizzate da un’evoluzione verso l’astratto e da una riflessione sempre più rigorosa sul rapporto forma e struttura. Mondrian non fu mai pittore romantico e si spinse verso correnti impressioniste per arrivare, infine, ad utilizzare semplici linee orizzontali e verticali accese da quadrati di colori sgargianti. Ascoltando musica jazz con i suoi nuovi schemi, Mondrian riuscì a realizzare opere che andavano al di là della semplice rappresentazione. Ma la base del pensiero di questo pittore affascinò il musicista Webern, il qualche adottò la teoria del quadrato magico, considerandolo come pattern strutturale pittorico e musicale. Sia Webern che Mondrian impostarono il loro pensiero su di una simbologia occulta che condizionò

Composition with Yellow, Blue and Red, Piet Mondrian, 1930, Tate Gallery, London

la loro stessa libertà creativa: il neoplasticismo, che presenta il ritmo libero dalla forma, cioè un ritmo universale.


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Mentre per artisti come Jackson Pollock, la musica diventa pura fonte di ispirazione, difatti dipingeva notte e giorno ascoltando solo musica jazz e si può, duque, percepire dalle sue tele l’energia e l’improvvisazione del ritmo del nascente genere musicale da lui prediletto. František Kupka opta, invece, per la ricerca di una specifica relazione tra vista e udito, creando una figura di colore cosa che Johann Sebastian Bach aveva compiuto in ambito musicale. Attraverso linee e tocchi di tela ripetuti in bande rettangolari l’artista crea un motivo entro il contesto di un tempo dinamico: il ritmo respiratorio deve qui corrispondere al ritmo dell’atto di disegnare, tutto deve essere in sintonia. Luigi Veronesi, invece, si sposta più verso l’indagine artisticamente determinata nel campo scientifico. Ripercorrendo la via seguita da Kandinskij, si cimenta in numerosi esperimenti e dopo aver distinto i suoni interiori dei colori, ne potenzia il timbro, associandoli a diverse forme geometriche. ‘Visualizzazione cromatica del Contrappunto n. 2 dell’Arte della Fuga di J. S. Bach’, Luigi Veronesi, 1971 (particolare)

Approfondisce, dunque, gli studi di cromatologia, già avviati negli anni ‘30, e tenta di risolvere scientificamente il problema delle relazioni tra il linguaggio visivo e musicale. Ricorre all’uso di un oscilloscopio, per rendere possibile l’indagine sui rapporti tra le vibrazioni e oscillazioni delle onde di luce e di suono.


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Nocturne I, František Kupka, 1911 Museum moderner Kunst Stiftung Ludwig Wien, Vienna, Austria Number 26 A, Black and White, Jackson Pollock, 1948 Centre Pompidou, Musée national d’art moderne, Paris


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2.0

Impronte

Nuovi strumenti sinestetici

Partendo dalle corrispondenze di Baudelaire si può notare lo sviluppo e la progressione dell’astrazione pittorica, che presto si allontana dal proprio supporto specifico, quale la tela, per diventare colore in movimento vincendo così la stessa dimensione temporale. Non soltanto artisti, ma anche personaggi della scienza si cimentano in esperimenti per realizzare il profondo desiderio di molti, cioè quello di creare una certa musica dei colori. Uno dei primi studiosi fu proprio Isaac Newton che con il suo “Opticks”, riuscì a far corrispondere certe vibrazioni luminose con certe vibrazioni del suono mediante la scomposizione dello spettro. Il sogno di sinfonie cromatiche e musiche visive, risale quindi al 1700 grazie al gesuita Louis-Bertrand Castel, matematico di carriera, che, ispirandosi a Newton, ideò e costruì uno strumento capace di far corrispondere suoni a colori: “Clavecin Oculaire”, precursore storico di generazioni di strumenti sintetici, di proiezione a gas o filtri colorati. Nel corso dell’800, infatti, furono inventati e prodotti in Europa numerosi strumenti analoghi al clavicembalo, che si proponevano di risolvere e mostrare la simultaneità cromatica, grazie soprattutto all’utilizzo dell’elettricità. Lo stesso Skrjabin inventò il “Pianoforte a luci”, che emetteva luci ogni qualvolta si premeva un tasto per rendere più coinvolgenti i suoi concerti. Nel 1870 venne realizzato il “Pyrophon” da Frèdèric Kastner, un curioso marchingegno che utilizzava del gas colorato per produrre suono e luce allo stesso tempo. Ci avviciniamo, così, ad un mondo di interrelazioni tra luce e suono, musica e colore, che grazie ad altri personaggi vedremo svilupparsi enormemente. Il “Piano Optophonico” di Vladimir Baranoff-Rossinè e il “Kineidoscope” di Stanton MacDonald-Wright, presero le redini della pittura per trovare una corrispondenza con la musica. Questi strumenti traducevano la musica (intensità sonora, altezza del suono e ritmo) in luci colorate, in forme astratte e concrete in uno stato di dinamicità simultanea: al ritmo delle note suonate, nella stanza buia si propagavano immagini caleidoscopiche.


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Fino ad adesso il rapporto colore musica era rimasto prettamente statico, in quanto gli artisti cercavano sì una relazione tra i due linguaggi, ma rimanevano entro l’ambito di risultanze sempre di natura profondamente statica. Adesso, però, si avverte la necessità di reimpostare il rapporto suono-forma-colore in un senso più dinamico, sconvolgendo le teorie e le pratiche dell’arte tradizionale. Con l’avvento nel XX secolo del cinema, finalmente si può aggiungere questo elemento che sarà protagonista, nei secoli successivi, in tutte le evoluzione delle arti multimediali. Le idee di astrattismo che ritrovavamo nella pittura, si trasferiscono, perciò, anche nel cinema, con l’intento di ottenere film composti da semplici linee e punti, ottenendo così, una certa dinamicità delle figure dei dipinti astratti. Già con i fratelli Corradini, i futuristi Bruno Corra e Arnaldo Ginna, utilizzando macchie di colori su pellicola, effettuarono i primi esperimenti di integrazione musico-grafica-dinamica in quello che verrà successivamente nominato cinema assoluto. Artisti come Viking Eggeling “Diagonale Symphonie”, Hans Richter con “Rhytmus 21”, Marcel Duchamp con “Anemic Cinema”, Walter Ruttman con “Opus I” , realizzano opere cimentandosi in giochi geometrici, a metà strada tra dadaismo, astrattismo e surrealismo. Arriviamo, infine, negli anni ‘30 al cinema astratto di Oskar Fischinger, rappresentante di un ulteriore contributo all’animazione musicale, il quale influenzerà enormemente la realizzazione del film “Fantasia” di Walt Disney, dal quale, però l’artista si dissocerà considerandolo un’eccessiva volgarizzazione dell’idea di musica visiva. Negli anni ‘40 i fratelli americani John e James Whitney progettano un apparecchio ottico costituito una serie di pendoli luminosi, in grado di impressionare direttamente il suono sulla pellicola, permettendo la realizzazione di una perfetta sincronizzazione di suoni e immagini, oltre che la creazione di suoni elettronici complessi. Di grande importanza sarà anche il lavoro di James Whitney, che a partire dagli anni ‘60 si dedicherà alla realizzazione di film con l’utilizzo del computer, assumendo così, il ruolo di vero e proprio pioniere dell’arte elettronica.


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“Anémic Cinéma”, Marcel Duchamp, 1926 “Rhytmus 21”, Hans Richter, 1921

“Catalogue”, John Whitney, 1961


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L’entrata dell’immaginario elettronico nell’ambito delle sperimentazioni artistiche, si affermerà decisamente nel 1963 con “Exposition of Music. Electronic Television” alla Galleria di Parnass in Gemania, di Nam June Paik, considerato da allora il padre della video art. Ma Paik non fu l’unico artista che lavorò con il video, infatti alle sue sperimentazioni, seguì lo studio per l’ambiente e l’atmosfera da parte del compositore americano La Monte Young e di sua moglie Marian Zazeela che realizzarono un particolare progetto, la loro “Dream House”. Negli Anni ‘60-70 si rimodella persino la forma dell’ambiente: l’opera diventa un dispositivo di percezione “Dream House”, La Monte Young e Marian Zazeela, 1962-1990, Vista dell’installazione al -MUseo di Arte Contemporanea di Lyon

globale che immerge lo spettatore nell’esperienza fisica di vibrazioni sonore e luminose. Questo concetto, estensibile e multiforme, è esemplificato con la “casa dei sogni” di La Monte Young, definita da frequenze sonore e luminose continue; si tratta di un organismo che si adatta alle strutture architettoniche, immersa in una luce soffusa o omogenea dove lo spettatore decide il modo con cui ascoltare; questo spazio vibratorio in continua azione, provoca sensazioni inedite. Si tratta di un esperimento a tempo sospeso, che favorisce la meditazione, e nel corso del tempo si trasformò anche in abitazione a New York e a Monaco per diversi artisti. Ci avviciniamo, dunque, al concetto odierno di ambiente, di coinvolgimento dei sensi, di meditazione, che quell’arte chiamata Vjing ha il compito di restituire nei club accompagnati dalle tracce ritmiche dei dj.


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3.0

Vjing

L’utopia delle avanguardie diventata realtà

“Above the mass of dancing bodies, the walls pulsate with fantastical images of architectural patterns that moprh into the natural forms of trees and resolve into blasts of pure color. The images shift, overlap, and flicker with the music. A woman crouches to the side of the DJ booth in a nest of laptops, DVD players, monitors and mixing boards, tapping commands into keyboards, sliding mixers, checking the connection of a live camera trained on the dancers, and all the while furiously smoking Lucky Strikes. Her name is Leigh Hass, of Flora and Fauna Visions, and she’s part of a new breed of visual praticioner – equal parts filmmaker, designer and performer – known as a VJ.”

Cit. “Vj Culture - Design Takes Center Stage”, Momus

Il Vijng non nasce come diretta conseguenza di un determinato movimento artistico e culturale, ma raccoglie un insieme di influenze provenienti da ogni epoca. Proiettare immagini per accompagnare eventi musicali non è una novità. Infatti se pensiamo alla figura del Vj come tecnico che proietta immagini su schermi, dobbiamo forse tornare sulle tracce di Aristotele, che per primo parlò di “camera oscura”, un stanza buia con un foro stenopeico che proiettava luce ed i mmagini dal mondo esterno sui muri, più di duecento anni fa. Performance “lumia” sono esistite anche nel XVIII secolo, realizzate per creare atmosfere più coinvolgenti, mentre immediati predecessori del vjing, si possono ritrovare in artisti degli Anni ‘60 che proiettavano su qualsiasi forma di schermo immagini e fonti luminose psichedeliche.


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Gli Anni ‘60 furono gli anni in cui si era alla continua ricerca della liberazione dei sensi, di nuove sensazioni, corporee ed extra corporee, interiori e spirituali, scoperte soprattutto grazie agli effetti dovuti a sostanze stupefacenti ed allucinogene. Il mondo che ha influenzato molto i primi vj è stato proprio quello delle droghe, infatti l’MDMA, come l’LSD in quantità minori, causa effetti simili a chi soffre di sinestesia psichica: tutte le percezioni acustiche si trasformano in sensazioni ottiche, qualsiasi suono produce un’immagine, forme e colori nuovi. La definizione scientifica di sinestesia è appunto una contaminazione dei sensi nella percezione e le persone che ne soffrono possono, per esempio, ascoltare colori o vedere la musica. Il Vj ripropone queste esperienze col il suo lavoro e probabilmente se non si fosse affermato l’uso di tali sostanze l’attività del dj avrebbe avuto meno incidenza.

“..Un’esperienza psichedelica, è un viaggio nei nuovi territori della coscienza. Non si ha un limite ai contenuti dell’esperienza, ma le sue caratteristiche sono le seguenti: trascendenza di concetti verbali, della dimensione spazio-temporale e dell’ego o dell’identità. Da queste esperienze di coscienza può conseguire: privazione sensoriale, pratica dello yoga, della meditazione controllata, estasi religiosa o spontanea. Queste esperienze si possono vivere semplicemente grazie all’assunzione di droghe allucinogene come LSD, la mescalina, la DMT, psilocybine, etc..”

Cit. del filosofo degli anni ‘60 Aldous Huxley


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Sempre negli Anni ‘60 nascono anche nuovi strumenti come i sintonizzatori video sui modelli dei sintonizzatori audio. Poco dopo Steina e Woody Vasulka, creano immagini non soltanto a partire da segnali audio, ma riescono a creare anche suoni a partire dai feedback dei video. Il segnale video servirà spesso per la realizzazione di tracce sonore, creando un nuovo genere musicale, prettamente elettronico, una musica astratta, scheletrica, ma che sarà più idonea alle sequenze di immagini animate. Nei club privati, perciò, si era soliti usare palle a specchi da discoteca, proiettare luci su fumo per dare agli spettatori nuove sensazioni; superfluo dire che, se alcuni di questi esperimenti erano legati alla musica, la maggior parte di questi strumenti assumevano la semplice funzione decorativa. Nacquero così gli spettacoli di “liquid-light” nel 1965-1966 a San Francisco, organizzati da gruppi quali Brotherhood of light, o Joshua Light Show che accompagnavano i concerti dei The Greateful Dead con proiezioni caleidoscopiche e allucinogene. Un personaggio considerato un fondatore di quest’arte è lo scozzese Mark Boyle che, insieme alla moglie Joan Hill, mise in atto la performance “ Son et lumiere for Earth, Air, Fire and Water” presso il fashion UFO club di Londra. Boyle usò potenti strumenti per proiettare le risultanze di reazioni chimiche tra insetti morti e fluido del corpo umano come sangue vomito e urina; collaborò con molti gruppi rock di quegli anni come Jimi Hendrix e The Soft Machine, e contribuì alla realizzazione di ambienti diversi dal solito per mezzo di psichedelici sfondi sulle loro orgiastiche performance musicali. Negli Anni ‘80 la partecipazione dei Vj ai concerti divenne la consuetudine, ma soltanto negli anni ‘90 si può riscontrare l’emergenza del vero Vjing, quello di cui parliamo oggigiorno, cioè la manipolazione elettronica e proiezione di immagini che accompagnano la musica. L’aumento del successo dei Vj è avvenuto per la confluenza di due fattori: video proiettori e strumenti multimediali diventano alla portata di tutti; lo sviluppo notevole della musica elettronica nei club e l’aumento dei dj che ha coinvolto subito questa nuova arte multimediale.


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I primi Vj sono nati grazie alla popolarità di MTV, che portò ad una maggiore produzione di video musicali e molti club iniziarono, per diretta emulazione, a mostrare questi video nei loro locali creando una migliore atmosfera all’intrattenimento. La prima crew Vj fu The Light Surgeons fondata a Londra da Chris Allen e Andy Flywheel, che dal 1995 iniziarono un tour mondiale, collaborando con numerosi artisti internazionali. Il loro stile era al di sopra della media, infatti modificavano immagini in un tempo minimo, creando un aggressivo collage mescolando grattacieli, superstrade, artisti di strada, e luci al neon. La loro attività adesso si è espansa anche nell’arte e nella pubblicazione: hanno infatti prodotto installazioni artistiche per il designer Ron Arad, e la casa editrice giapponese Gasbook ha pubblicato le loro opere in una raccolta di dvd. Appaiono su questa scia gli United Visual Artists (UVA): si tratta di un altro gruppo londinese, meglio conosciuto per le sue collaborazioni con artisti come U2, Kylie Minogue, Oasis, Massive Attack, etc.. Per una performance, durante il concerto degli U2 nel 2005, questo gruppo usò per la prima volta una “tenda” di LED che si illuminava e brillava alle spalle degli artisti come un enorme cascata digitale. Ma il più noto e famoso gruppo vj che si afferma in cima alle classifiche, sono gli anglosassoni COLDCUT: un gruppo formato da dj e vj che creano le loro performance a giro per il mondo e partecipano a eventi quali il Sonar di Barcellona, inventando anche nuovi strumenti per agevolare le loro operazioni. La loro storia è esemplare per descrivere quella più generale del fenomeno vjing. Quayola, è un altro protagonista del mondo digitale, si tratta di vj livornese emigrato a Londra, dove ha iniziato ad utilizzare gli elementi architettonici come elementi astratti, per mezzo di un processo di vettorializzazione, creando opere che uniscono sia il sound design che il vjing. Utilizzando un software da lui creato “Bitscapes”, ha realizzato lavori come “Architectual Density” in cui veri e propri elementi architettonici si vettorializzano. Il nuovo secolo ha visto prevalere l’adozione di nuove dinamiche e pratiche di visual performance. Per essere un bravo Vj bisogna riuscire a isolarsi dal mondo nel momento in cui si opera, per rendere ancora più sensazionale un festival musicale. Lo scopo del Vj è, dunque, quello di produrre qualcosa di straordinario, coerente e rilevante, ma spesso a causa di Vj non troppo esperti vengono utilizzate ripetute immagini e video che appaiono scoordinate e disomogenee tra loro senza che venga fornito alcun peso all’intera performance nel suo complesso.


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Silvia Bianchi, in arte Blanche, vj, affermata visual designer, pisana di origine, ma ormai spesso all’estero. Nonostante la sua giovane età, classe 1984, ha già collaborato con numerosi djs e produttori nazionali e internazionali, tra i quali Richard Dorfmeister, Andy Smith, Daniel Meteo, Ellen Allien, Apparat, Daedelus, Jeff Mills, Jay Haze, Luke Vibert e ha lavorato in club di notorietà internazionale tra cui Tenax (Firenze), HarryKlain (Monaco), Link (Bologna), Charada (Madrid), Le Usine (Ginevra), Brancaleone (Roma) e molti altri. Ha all’attivo anche diverse release su DVD: BabyLonia (LietoColle 2007), Zerofeedback Vol.01 (Dejine Records 2007, Japan). Ha sfondato, dunque, in Italia e all’estero per il suo notevole talento e per la sua creatività. Fondamentale per lei è il concetto di collage e l’attenzione per la musica che è la linea guida delle sue serate. È arrivata alle performance ed alle installazioni attraverso proprio il vjing, iniziando con un software molto semplice creando certi ambienti alle feste accompagnando le azioni dei suoi amici dj hip hop. Le sue clip sono un’esplosione di colori, immagini e figure geometriche, appartenenti ad un certo stile comune agli Anni ‘50 -’60, caratterizzante, ad esempio, il suo progetto “Desperate” del 2005, un lavoro focalizzato sull’immagine della donna di quegli anni, così come ci è stata trasmessa dai media, che si trasforma, però, anche in analisi dell’influenza dei media sulla società.


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Ha partecipato a molti festival di risonanza internazionale come Nu Media (Cologne), Mapping Vjing Festival (Madrid), Roma Europa Festival (Roma), Rec (Madrid), Elife (Madrid), MarryKlain (Munich), Illustrative (Berlin), Elita (Milano), MUV (Firenze), Next Tech (Firenze), Visual Berlin (Berlin). Ha partecipato al “Laptopsurus” di Madrid un sorta di “incontro sul ring” tra vj esclusivamente donne, che si sfidano con mix di immagini e video. È stata invitata in qualità di tutor all’Elettrowave, la sezione elettronica dell’Arezzo Wave LoveFestival, il più importante festival italiano di musica indipendente e uno dei primi ad occuparsi di visuals, attraverso il progetto VJ SCHOOL, un laboratorio curato da VJ Central; è stata vj resident all’Isometrico ed

Audio-visual show for REC 09 (Tarragona), Muv 08 (Firenze), Fabbrica Europa 08 (Firenze), Arte Fiera 08(Bologna). Elettrowave 07 (Firenze), Illustrative 07 ( Berlin) Poesia Detta 07(Bari).

ha esposto all’ ”Illustrative 2007” di Berlino; ha partecipato al “Slowtime 2007” di Colonia ed uno dei suoi ultimi lavori s’intitola “ 60’’ ”, un’installazione e contemporaneamente una cornice di un video, un progetto che racconta il passare del tempo. Adesso lavora nella prima Vj tv italiana, scrive articoli per il DIGIMAG, è direttrice del portale della community di Vj italiani Vjcentral.it, e continua a collaborare con i più importanti artisti, partecipando a festival ed eventi, per creare un’atmosfera che diventi mix di colori, emozioni e luci. “Utopica”, Screen Music, Festival della Creatività 2007, Firenze


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Le caratteristiche di un vj sono quelle di creare e manipolare immagini in tempo reale, attraverso strumenti tecnologici in sincrono con la musica : questo è il risultato di una performance live multimediale ed è ciò che Blanche è sempre riuscita ad ottenere.mix di colori, emozioni e luci.

Vj Set @ Isometrico, Barcellona

Mapping Festival, Spountik Cinema, Geneva


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Visual for Neabulae Team

Festival della CreativitĂ , Fortezza da Basso, Firenze


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Bibliografia “Visioni musicali - Rapporti tra musica e arti visive nel Novecento“ di Tedeschi e Bolpagni “La visione dei suoni” di Paolo Repetto “Vj audio-visual art + vj culture” di Michael Faulkner / D-FUSE “Le arti multimediali digitali” di Balzola Monteverdi “Catalogue de l’Exposition Sons & Lumières - Une histoire du son dans l’art du XX siècle” “Sound & Vision in Avantgarde & Mainstream” di Dieter Daniels “L’elemento verbale nelle partitura della Nuova Musica” di Paolo Bolpagni “Immagini sonore” di Caterina Cristina Fiorentino “La metafora musicale nell’analisi baudelairiana del linguaggio pittorico” di Sandro Sproccati

Sitografia www.wikipedia.it www.dfuse.com www.gmvergani.com www.homolaicus.com www.metapolitica.net www.arte.go.it



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