From Micro Aspect to Macro Perspective

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From Micro Aspect to Macro Perspective


Introduzione

logo

presentazione

universo “It is clear to everyone that astronomy at all events compels the soul to look upwards, and draws it from the things of this world to the other.” Platone

Fuoco

Aria

sigaretta

accendino

candele

Fire is the rapid oxidation of a material in the exothermic chemical process of combustion, releasing heat, light, and various reaction products.Temperature of smoldering cigarette: Temperature without drawing: side of the lit portion; 400 °C (750 °F); middle of the lit portion: 585 °C (1,100 °F)

Temperatures of flames by appearance: The temperature of flames with carbon particles emitting light can be assessed by their color: Red Just visible: 525 °C (980 °F) Dull: 700 °C (1,300 °F) Cherry, dull: 800 °C (1,500 °F) Cherry, full: 900 °C (1,700 °F) Cherry, clear: 1,000 °C (1,800 °F) Orange Deep: 1,100 °C (2,000 °F) Clear: 1,200 °C (2,200 °F) White Whitish: 1,300 °C (2,400 °F) Bright: 1,400 °C (2,600 °F) Dazzling: 1,500 °C (2,700 °F)

Temperature of Candle flame: 1,000 °C (1,800 °F)

pulviscolo

fumo

vapore

Air is the general name for the mixture of gases that makes up the Earth’s atmosphere.

The air in the atmosphere consists of nitrogen, oxygen, which is the life-sustaining substance for animals and humans, carbon dioxide, water vapour and small amounts of other elements (argon, neon, etc.), ozone, helium and hydrogen.

Air is also an early chemical term for a type of gas. Many individual airs made up the air we breathe. Vital air was later determined to be oxygen, phlogisticated air became nitrogen. O2+H2O

Terra

terriccio

CH3--CH3 + O2 -----> CO2 + H2O

pepe

rena

Soil is a natural body consisting of layers that are primarily composed of minerals which differ from their parent materials in their texture, structure, consistency, colour.

earth is the rock earth is stone earth is sand earth is the place we live on Soil is composed of particles of broken rock (parent materials) which have been altered by chemical and mechanical processes that include weathering (disintegration) with associated erosion (movement).

Acqua

gelatine

ghiaccio

a gel is a sol in which the solid particles are meshed such that a rigid or semi-rigid mixture results. The protein molecules of gelatin crosslink to form a solidmesh which contains pocktsof liquid.

Ice is water frozen into the solid state. It can appear transparent or opaque bluish-white color, depending on the presence of impurities or air inclusions. Is constituted by an oxygen atom and two hydrogen atoms linked by covalent bonds with a polar angle that are very close to that of the tetrahedron.

Vita

luce

seme/fiore

Finale

titoli di coda

logo

acqua colorata

occhio


L.A.B.A. LIBERA ACCADEMIA DI BELLE ARTI Diploma di Primo Livello in Graphic Design

FROM MICRO ASPECT TO MACRO PERSPECTIVE

Relatore: Prof. Piero Fragola Docente d’indirizzo: Prof. Maurizio Di Lella

Diplomando: Diletta Franchi matricola: 589FI

anno accademico 2011/2012 1


A mia mamma e a mia nonna.

2


SOMMARIO

0. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 0.0. Prefazione di Diletta Franchi.

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1. Storia del Video Design. 1.0. Introduzione.

11

1. Storia del Video Design. 1.1. Stan Brakhage.

17

1. Storia del Video Design. 1.2. Nuovi orientamenti delle neoavanguardie.

23

2. Nascita del Video Documentario. 2.0. Gli albori.

27

2. Nascita del Video Documentario. 2.1. I primi documentari: Ponting e Flaherty.

31

2. Nascita del Video Documentario. 2.2. Sinfonie Metropolitane.

33

2. Nascita del Video Documentario. 2.3. Documentario Scientifico: Jean Comandon e Jean Painlevè.

36

2. Nascita del Video Documentario. 2.4. Gli statuti di John Grierson e di Alberto Cavalcanti.

39

2. Nascita del Video Documentario. 2.5. Documentario statunitense.

42

3


2. Nascita del Video Documentario. 2.6. Documentario d’arte.

44

2. Nascita del Video Documentario. 2.7. Documentario sperimentale degli anni Sessanta e Settanta.

45

2. Nascita del Video Documentario. 2.8. Documentario alla fine del Novecento all’alba del digitale e dei new media.

49

3. Filosofia nel video. 3.0. Platone e la sua visione dell’universo: l’essenza delle cose. 3. Filosofia nel video. 3.1. La prospettiva alchemica nella creazione video.

4

52

56

4. Nuovo modo di fare di arte. 4.0. Arte Concettuale: l’essenza come elemento artistico.

57

4. Nuovo modo di fare di arte. 4.1. Fare arte con elementi primari.

59

4. Nuovo modo di fare di arte. 4.2. Minimal Art e Arte Povera.

61

5. Arte Povera: Fouco. 5.0. Dan Flavin e la luce.

63

5. Arte Povera: Aria. 5.1. Giuseppe Penone.

66

5. Arte Povera: Terra. 5.2. Pino Pascali.

68

5. Arte Povera: Acqua. 5.3. Pier Paolo Calzolari.

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6. Semiotica Visiva. 6.0. Un nuovo modo di comunicare.

72

7. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.0. Introduzione.

75

7. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.1. Il documentario artistico.

77

7. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.2. Time Line.

79

7. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.3. Sfotware.

81

7. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.4. Sound.

83

7. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.5. Conclusioni.

85

8. Glossario.

85

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0. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 0.0. Prefazione di Diletta Franchi.

Lo scopo del presente elaborato è quello di approfondire l’analisi di una particolare forma di linguaggio audiovisivo: il documentario. In esso, infatti, si ravvisa un incontro tra musica, testo e immagini, che ha dato vita negli ultimi anni ad una nuova forma espressiva che sa misurarsi con la logica selettiva dei nuovi media e che nello stesso tempo si avvicina all’arte. L’idea di fondo consiste appunto nel proporre un documentario artistico, la cui tematica prende le mosse da un’esposizione tenutasi a Marzo 2012 presso il Centre of Contemporany Art in Torun, Polonia, a proposito dell’interazione tra arte e scienza: “The Fourth State of Water: from Micro to Macro” 1. Tale mostra tratta del tema dell’acqua, intesa non solo nella molteplicità dei suoi significati simbolici e metaforici, ma anche come una delle fonti di energia e di vita su cui oggi si richiede una seria discussione politica e sociale. La tesi si propone di offrire una diversa chiave di lettura della nascita dell’universo, dall’origine ontologica del cosmo fino alla genesi della natura degli uomini, ricalcando il punto di vista del Timeo platonico 2, in cui protagonisti sono i quattro elementi fondamentali e dai corrispondenti solidi. Il documentario si divide in diciotto scene (tre per ogni solido più introduzione, scena finale e titoli di coda) proprio allo scopo di mantenere una certa uniformità nella

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struttura dell’argomentazione. Si può definire documentario artistico perchè argomenti scientifici si uniscono alla riscoperta di un tipo di arte multisensoriale e primitiva, intesa come integrazione di diversi processi creativi, il tutto in un’unica opera. Videoinstallazione, video-scultura, videoarte sono gli strumenti principali con cui si realizza un progetto simile, che non vuole limitarsi ad essere una semplice esposizione di concetti, ma vuole diventare una vera e propria forma d’arte. Inoltre, il documentario si pone come obiettivo quello di evidenziare l’importanza delle interazioni tra componente sonora e visiva - entrata del sonoro nel visivo, alternanza, interazione, compresenza - nelle teorie e nelle pratiche audiovisive dell’artista. Si descrive in che modo il video design sia disposto nei confronti del visualscape contemporaneo, una pratica dello sguardo in grado di seguire i filamenti ibridi che si intrecciano in ogni oggetto audiovisivo, ottenendo nuove forme di comunicazione artistica. Il secondo nucleo della ricerca, invece, si è concentrato più specificamente sul video design inteso sia come pratica progettuale che ha come oggetto elementi paratestuali (titoli, effetti, filtri, animazioni, rendering 3D), sia come idea legata alla forma espressiva del video stesso. L’obiettivo generale del progetto è quello di utilizzare l’indagine sul video design allo scopo di delineare una serie di forme e temi simbolici che hanno caratterizzato la cultura ed il pensiero filosofico dell’uomo, mettendo in atto una peculiare tipologia di sguardo sul mondo. La visione, messa in scena dal documentario artistico, aderisce ai canoni tradizionalmente attribuibili alla prospettiva rinascimentale, con la sua concezione vettoriale dello sguardo, conformemente alla teoria di Erwin Panofsky 3, che

vede

nella

Jacques Lacan

4

prospettiva

lineare

la

forma

simbolica

dell’era

moderna.

già aveva parlato di come la prospettiva fosse un sistema che agisse

7


anche oltre il dominio del visibile, ponendosi come principio formativo atto a stabilire corrispondenze tra immagini ed oggetti rappresentati, in maniera da agire sulla percezione del reale. Il tipo di sguardo proposto da questo progetto è, invece, non più soltanto vettoriale, ma sinestetico, uno sguardo cioè che non riduce a sintesi, ma resta paratattico, creando nell’osservatore un effetto di attesa che induce a continuare la visione. La vista modulare di corpi-oggetti in continuo movimento che accompagnano una semplice descrizione scientifica induce a non distogliere lo sguardo dallo schermo. Il secondo obiettivo è quello di introdurre diversi modi, aspetti e forme dell’immagine (con riprese nello stesso tempo reali e vettoriali) all’interno dello stesso artefatto visivo, ricalcando ciò a cui accennava Manovich

5

nel saggio intitolato

“Velvet Revolution” (Manovich 2006). Decostruendo l’aggregato visuale, si possono discernere le diverse genesi figurative, le diverse logiche temporali, i diversi schemi spaziali, ormai tanto integrati tra loro, da sembrare naturalizzati. Il risvolto pratico della ricerca è quello di ampliare il carnet concettuale del progettista e dell’opera documentaristica, che non sono più unilaterali, ma sono costituiti da diversi aspetti, grazie ad una sequenza di movimenti scenici multimediali. Per la realizzazione di tale progetto si sono rese necessarie due fasi di ricerca: la prima è costituita dall’individuazione, dall’elaborazione e dalla formalizzazione del tema concettuale dell’analisi (la nascita della vita), mentre la seconda consiste nel sondare e rintracciare linee e rappresentazioni nuove nel campo documentaristico. Per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro e le metodologie di ricerca, ogni fase ha avuto una configurazione specifica: difatti l’intera sequenza video è divisa in diciotto scene, tre per ogni elemento, a voler riprendere la forma geometrica del triangolo e di conseguenza del numero tre, che vale a simboleggiare la modularità

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e la ripetitività dell’universo. La prima sezione del presente elaborato tratta dei rapporti tra musica e arti visive, e si sofferma in particolare sulla storia del videoclip, a partire dalle prime sperimentazioni di associazione musica/immagine fino ad arrivare all’invenzione del cinematografo e del film documentaristico, con i primi documentari di Pointing e Flaherty 6. La seconda sezione affronta il tema della nascita dell’universo dal punto di vista filosofico e della sua scomposizione in elementi fondamentali. Viene analizzato il pensiero di Platone

7

e la sua analisi cosmogonica secondo cui i solidi

associati agli elementi fondamentali possano aver dato origine alla vita. Questi concetti vengono ripresi anche dal mondo artistico nella cosiddetta arte povera, caratterizzata da opere incentrate su elementi essenziali e primitivi, che vengono esposti per la loro composizione chimica e per la loro essenza. La terza ed ultima sezione è dedicata alla descrizione del progetto stesso, in cui si spiega la realizzazione delle riprese, quasi tutte riprese macro, realizzate con una Nikon D5100 e con un obiettivo Micro Makkor 40 mm per permettere di arrivare a dimensioni e grandezze estremamente inusuali, atte a mostrare un diverso punto di vista della natura e dell’uomo.

(1.)

“The Fourth State of Water: from Micro to Macro” è la mostra tematica, a cura di Victoria Vesna, che attraverso il ricorso a pratiche artistiche sperimentali si offre come esperienza collettiva, grazie alla creazione di un social network. A essere coinvolti sono artisti, scienziati, curatori, teorici, giornalisti e altri intellettuali, chiamati a confrontarsi sul tema dell’acqua e in particolare sull’ipotesi di un suo “quarto stato”, inteso come slittamento di prospettiva grazie al quale rispondere all’attuale crisi delle risorse energetiche.

(2.)

Il Timeo, scritto intorno al 360 a.C. da Platone, è il dialogo platonico che maggiormente ha influito sulla filosofia e sulla scienza posteriori. In esso vengono approfonditi essenzialmente tre problemi: quello cosmologico dell’origine dell’universo, quello fisico della sua struttura materiale, ed infine quello, anche escatologico, della natura umana. Ai tre argomenti corrispondono altrettante parti in cui è possibile suddividere l’opera, alle quali va aggiunto il prologo.

9


(3.)

Erwin Panofsky (Hannover, 1892 – Princeton, 1968) è stato uno storico dell’arte tedesco.

(4.)

Jacques Lacan (Parigi, 1901 – Parigi, 1981) è stato uno psichiatra e filosofo francese nonché uno dei maggiori psicoanalisti.

(5.)

Lev Manovich è nato a Mosca e si è trasferito a New York nel 1981. Ha studiato architettura, animazione e programmazione prima di iniziare a lavorare con i computer media nel 1984. Da metà anni Novanta i suoi progetti sono stati inseriti in esposizioni internazionali sulla new media art. Professore associato al dipartimento di arti visuali all’università di San Diego, Manovich insegna teoria dei nuovi media. Oltre ad insegnare e a tenere varie conferenze in tutto il mondo, ha già pubblicato quattro libri (un quinto è attualmente in lavorazione). Si occupa inoltre di animazione, design, programmazione al computer e realizza piccoli film digitali per il web.

(6.)

Robert Joseph Flaherty pioniere e maestro del delle civiltà. Fu anche poetica del reale. Tutta e la natura.

(Iron Mountain, 1884 – Dummerston, 1951) è stato un regista statunitense, documentario, specialmente di quello dedicato a paesi esotici o ai margini il primo assertore di un “cinema-verità” che non rinuncia alla ricostruzione la sua opera si è incentrata sul rapporto dialettico e drammatico fra l’uomo

Herbert George Ponting (Salisbury, 1870 – Londra, 1935) è stato un fotografo ed esploratore britannico. Ha partecipato nel ruolo di fotografo e cineoperatore alla spedizione Terra Nova (1910-13) di Robert Falcon Scott in Antartide. Le sue opere sono tra le più note testimonianze dell’epoca eroica delle spedizioni antartiche.

(7.)

Platone (Atene, 428 a.C./427 a.C. – Atene, 348 a.C./347 a.C.) è stato un filosofo ateniese. Assieme al suo maestro Socrate e al suo allievo Aristotele ha posto le basi del pensiero filosofico occidentale.

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1.

Storia del Video Design. 1.0. Introduzione.

Oggi giorno i media sono stati “liberati” dal supporto materiale sul quale erano stati immagazzinati, come pure gli elementi dell’interfaccia-video sono stati liberati dal legame con il contenuto. Il video, inteso sia come mezzo che come linguaggio, conosce così una seconda giovinezza. I mezzi di connessione tra spazio e tempo, di rappresentazione della memoria, del pensiero e della percezione oltre che le strategie estetiche proprie della video art sono diventate dei principi organizzativi fondamentali per la cultura del software. In sostanza, quello che una volta era il video, costituisce oggi l’interfaccia uomo-computer. Nel 1989 Giovanni Anceschi 1, si trova alle prese con la ricerca di un termine in grado di definire quella particolare dimensione della progettazione visiva, concernente l’immagine elettronica in movimento: il video design. Si susseguono una serie di diciture piuttosto macchinose, quali visual design informatico o grafica cinetica assistita dal computer, fino ad arrivare al più conciso termine design eidomatico, che fa leva sull’incredibile potenziale di genesi immaginale e ideale racchiuso nelle nuove tecnologie informatiche. Nel termine video design risuona un’impostazione generale che cerca di espandere e sviluppare la prospettiva

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progettuale nel senso di una generale capacità di decodifica e analisi degli artefatti comunicativi. Esiste, insomma, una vasta area di produzione di immagini in movimento, dotata di un’enorme ricchezza di linguaggi, soluzioni, innovazioni, che non è possibile far rientrare nelle forme strutturate del cinema e della video arte, né indagare con

l’ausilio

delle

categorie

analitiche

di

questi

due

ambiti

espressivi.

A partire dagli anni Trenta si accentua, infatti, la volontà di rottura per l’affermazione di una nuova cultura che intervenga esteticamente e linguisticamente, nonché ideologicamente, su un vasto strato di persone. Bertolt Brecht, nel 1932, dichiara:

Si dovrebbe trasformare la radio da mezzo di distribuzione in mezzo di comunicazuine. [...] La radio potrebbe essere per la vita pubblica il puù grandioso mezzo di comunicazione che si possa immaginare, uno straordinario sistema di canali, cioè potrebbe esserlo se fosse in grado non solo di trasmettere, ma anche di ricevere, non solo di far sentire qualcosa all’ascoltatore ma anche di farlo parlare, non di isolarlo ma di metterlo in relazione con altri [...]. 2

Così come Brecht

3

voleva una radio che intereagisse con l’ascoltatore, altri artisti

hanno voluto che i loro video interagissero con lo spettatore, oltrepassando i limiti passivi della visione sullo schermo. Arneheim

4

teorizza a quel punto una radio come

arte, un cinema come arte. Il suo disegno di una nuova estetica viene però accolto solo come una provocatoria richiesta di attenzione. Le ultime due irruzioni nella linea sin qui tracciata riguardano l’immagine elettronica del video (registrabile nel lavoro di artisti come Vostell 5 e Nam June Paik 6) e quella dei computer le cui prime prove pionieristiche appartengono agli anni Sessanta. Il dato più sorprendente degli anni Settanta-Ottanta è la diversa relazione che viene a stabilirsi tra questi modelli d’immagine e il suono. Immagine e suono nati nello stesso modellamento di un’ inedita misura di tempo/spazio

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propongono al fruitore una possibilità di risoluzione che vede incrociare immagine visiva e immagine sonora in una sintesi nuova che ne potenzia l’efficacia linguistica. Il moderno del mondo delle immagini passa attraverso questa linea di sviluppo: la possibilità di recuperare una comunicazione affidata all’uso pertinente e creativo di questi strumenti. Essi non sono il traguardo di un processo d’ innovazione, che le arti visuali nel mondo contemporaneo non rifiutano, ma un mezzo potente e produttivo. In questi anni si è ampliato di conseguenza anche il carnet concettuale del progettista, in quanto adesso deve sempre di più possedere una professionalità che è per alcuni aspetti affine a quella del regista, ma diventa via via sempre più prossima a quella del coreografo: capace di realizzare una sequenza di movimenti scenici multimediali. Sempre con le parole di Giovanni Anceschi, il designer, nel momento del contatto con l’immagine elettronica, assume le caratteristiche di un Dj del multimedia, che fa dell’attività selettiva la propria principale modalità compositiva; si afferma così una nuova dimensione estetica e una dilatazione spazio-temporale dell’oggetto artistico. Già Lucio Fontana 7 aveva intuito all’inizio degli anni Cinquanta le prospettive dischiuse dalla televisione come mezzo per l’arte e la comunicazione, ma è soltanto con i “TV Decollage” di Wolf Vostell (Figura 1), o con le televisioni “distorte” create da Nam June Paik che si delineano delle pratiche d’intervento concreto, non solo teorico, per trasformarne funzioni e ricezioni. Nam June Paik nel marzo 1963 espone nella Galerie Parnass di Wuppertal (Figura 2) l’immagine prodotta dalla televisione e manipolata per una serie di creative distorsioni: un’installazione con tredici video-monitor, messi a caso, che riempivano lo spazio con l’emissione di immagini ferme interagenti con gli spettatori.

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Sempre Nam June Paik crea il primo video d’artista nell’ottobre del 1965 quando il Portapak (Figura 3) della Sony rende accessibile il medium elettronico sotto la specie di una tecnologia leggera. Con queste date si identifica così la nascita della video art. Paik si affiancherà a Les Levine

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e i loro primi video saranno

emblematici perché indici di differenti direzioni su cui poi si avvierà il video. Da un lato, il famosissimo Cafè Gogo in Greeenwich Villane, 152 Bleeker Street 9, realizzato da Nam June Paik dal finestrino di un taxi attraverso le vie di Manhattan, sancito da molti come il primo video d’arte della storia; dall’altro, il meno noto “BUM”, firmato da Les Levine fra i clochard delle strade di New York e considerato come una sorta di documentario poco elaborato. Da questi primi passi nascono una miriade di idee e invenzioni, che per ben quarant’ anni hanno avuto un ruolo fondamentale nell’introduzione delle immagini elettroniche in movimento nel mondo dell’arte. In breve Paik diventa un “genio” dei media per la sua straordinaria capacità di proporre forme-immagini, ottenute con mezzi tecnologici, capaci però di coinvolgere tutti i sensi, di mettere in scena un movimento proteiforme di un’apertura infinita, un gioco complesso che coinvolge inevitabilmente anche l’interprete.

(1.)

Giovanni Anceschi (Milano, 12 settembre 1939) è un designer e studioso di comunicazione. A partire dagli anni Sessanta ha sviluppato la sua attività in molti ambiti, tutti però legati dall’interesse per una comunicazione e una sperimentazione. Come artista, è stato fra i fondatori del movimento dell’arte cinetica e programmata (un’arte che negli anni Sessanta era già metamorfica, immersiva e interattiva). Come designer ha sviluppato in Italia e all’estero, grandi progetti d’immagine coordinata, d’exhibition design, e alcuni esempi pionieristici di multimedia, hypermedia e interaction design.

(2.) B.Brecht, “La Radio come mezzo di comunicazione”, 1932 (trad. it. di B. Zagari, Einaudi, Torino 1973).

(3.)

Bertolt Brecht, (Augusta, 1898 – Berlino, 1956), è stato un drammaturgo, poeta e regista teatrale tedesco.

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(4.)

Rudolf Arnheim (Berlino, 1904 – Ann Arbor, 2007) è stato uno scrittore, storico dell’arte e psicologo tedesco.

(5.)

Wolf Vostell (Leverkusen, 1932 – Berlino, 1998) è stato un pittore, scultore e artista tedesco. All’inizio degli anni Sessanta, fu un pioniere e una figura di riferimento della video art, dell’installazioni, dell’happening e del fluxus.

(6.)

Nam June Paik (Seul, 1932 – 2006) è stato un artista statunitense di origine sudcoreana. Ha lavorato in diversi ambiti artistici, ma il suo nome è soprattutto legato alla videoarte, di cui è uno dei pionieri.

(7.)

Lucio Fontana (Rosario, 1899 – Comabbio, 1968) è stato un pittore, ceramista e scultore italiano, fondatore del movimento spazialista.

(8.)

Les Levine è un videoartista nato nel 1935 a Dublino; frequenta la scuola d’arte a Londra e nel 1958 emigra in Canada. Ora vive a New York. Ha lavorato nel design. In un secondo tempo ha lasciato il design perché lo riteneva un mezzo inespressivo. Negli anni Sessanta iniziò a lavorare col video essendo affascianto dal Portapak uscito proprio in quel periodo. Les Levine fu uno dei primi artisti, insieme a Paik, ad aver accesso all’attrezzatura video a mezzo pollice (Portapaks della Sony) che divenne disponibile nel 1965 e con quello girò “BUM”, uno dei primi video di strada.

(9.)

“Cafè Gogò in Greenwich Village, 152 Bleeker Street” venne realizzato da Nam June Paik nel 1967 grazie al Portapak, il primo videoregistratore portatile con telecamera, in occasione della visita newyorkese di Papa Paolo VI e viene ritenuto da alcuni il primo video d’arte documentaristico della storia.

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1.“TV Decollage di Wolf Vostell”, 1958 - Nam June Paik http://ragemag.fr/la-television-est-elle-le-10eme-art/

3.“Portapak”, 1967 - Sony http://www.smecc.org/sony_cv_series_video.htm

2.“Exposition à la Galerie Parnass”, 1962 - Nam June Paik http://stephan.barron.free.fr/art_video/fluxus.html

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1.

Storia del Video Design. 1.1. Stan Brakhage.

Un altro artista pioniere delle sperimentazoini video è Stan Brakhage 1, considerato uno degli autori più importanti del cinema indipendente americano e uno dei massimi sperimentatori del cinema mondiale. Le prime produzioni di Stan Brakhage evidenziano chiaramente le peculiarità artistiche di quegli anni, ma risentono ancora di varie influenze narrative, generando talvolta quello che P. Adams Sitney

2

ha chiamato

psicodramma da camera. Brakhage realizza il suo primo capolavoro, elaborando una nuova forma espressiva: il film lirico. In tale elaborato l’eroe è assente, il protagonista è il filmaker dietro la macchina da presa; le immagini corrispondono a quello che il cineasta vede, alle sue reazioni, a ciò che osserva, girate in modo che la sua presenza non possa mai essere dimenticata dallo spettatore. Scrive Sitney: “Lo schermo è denso di movimento e quel movimento, sia della macchina da presa sia del montaggio, amplifica l’idea di un uomo che guarda” 3. L’esperienza intensa della visione può essere così trasmessa allo spettatore, grazie alle sovrimpressioni, prospettive e tempi diversi che coesistono in uno stesso spazio. In questo senso, Brakhage fa pienamente sua la posizione dell’artista platonico: un anello nella catena che collega la musa al fruitore.

17


Il suo cinema diventa estremamente poetico, visionario e rituale. Antinarrativo per eccellenza, nel tentativo di tradurre senza censure un’interiorità esplorata anche con pratiche magiche, sostanze psicotrope, e tecniche orientali di meditazione. La rappresentazione cessa d’essere naturalistica e cerca di rendere, dall’interno, sensazioni, emozioni ed esperienze visionarie. Il tempo diventa il ritmo psichico e del sogno. La violenza dell’inconscio, ribollente sotto la coscienza ordinaria, viene esplorata e rivelata in un outing rabbioso o follemente gioioso. Ripercorrendo questi concetti, gli aspetti fondamentali della ricerca estetica di Stan Brakhage ruotano intorno ad un’idea fenomenologica: quella della visione. Per visione s’intende quella della “Fenomenologia trascendentale” di Husserl

4

, che assegna primaria rilevanza

all’esperienza intuitiva. Si guarda ai fenomeni che si presentano a noi indissolubilmente come punti di partenza e prove per estrarre le caratteristiche essenziali delle esperienze e l’essenza di ciò che sperimentiamo: l’unico vero realista è il visionario. Dal punto di vista tecnico, l’acuta sensibilità ai cambiamenti del fuoco, l’attività dei fosfeni sulla superficie dell’occhio chiuso, e la visione periferica permisero a Brakhage di elaborare uno stile di ripresa poetico e coinvolgente, anche mediante l’utilizzo di tecniche riscontrabili nei cosiddetti trancefilm. Per la realizzazione di alcune intuizioni espressive, le riprese venivano sottoposte ad altri interventi in fase di postproduzione: sovrimpressioni, pittura a mano, graffi all’emulsione, incorporazione di parti del negativo. Brakhage era convinto che vi fosse un livello di cognizione che precedeva il

linguaggio

e

che

definiva

un

“pensiero

visivo

in

movimento”.

Successivamente decise di eliminare l’aspetto drammatico dai suoi film e, quindi, di tentare il superamento della struttura in tre atti della sceneggiatura, individuando la storia come metafora della vita, quindi nascita, crescita e morte; il paradigma affonda

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le radici nella drammaturgia dell’antico teatro greco, così come teorizzato da Aristotele nella “Poetica” 5. Secondo Aristotele, il tutto è fatto di parti, l’universo ha un principio, uno sviluppo e una conclusione. È innegabile che sotto altri punti di vista Brakhage possa essere considerato anche un filmaker strutturale, soprattutto per il ricorso a sequenze d’immagini dal ritmo regolare che sembrano avere una loro logica inafferrabile. In alcuni suoi film, dove ad essere protagonista è la luce, lo spettatore è invitato a inventare un principio che possa associare ogni piano al precedente. Brakhage aveva assunto una posizione, assai diffusa tra gli autori del New American Cinema, e ancor prima da Maya Deren 6, che già negli anni Quaranta aveva rifiutato la dimensione orizzontale del dramma, il suo procedere da «emozione a emozione», e ad approfondire il concetto di poesia nel cinema; poesia intesa come risultato di una coraggiosa «esplorazione verticale», tale da permettere allo spettatore ricettivo d’intuire i mondi invisibili celati alla mente razionale. La fase lirica di Brakhage culmina con la realizzazione di “Dog Star Man” 7, il più stupefacente tra i suoi capolavori. In questo film non c’è trama, ma solo una scansione temporale divisa in un prologo e quattro frammenti, dove la compressione dell’immagine si dissolve in un caos incomprensibile. Ogni fascio di luce si frammenta, si fonde, colorando oggetti privi di figuralità, che si smaterializzano per poi ricomporsi nella memoria. La visione del mondo è quella dei suoi film lirici, ma rielaborata in termini mitici, tale da rappresentare quegli avvenimenti cosmici o inerenti alle aspirazioni e alle passioni fondamentali dell’umanità, che in “Dog Star Man” (Figura 4-8) riguardano la nascita della coscienza, il ciclo delle stagioni, l’antagonismo tra uomo e natura, l’equilibrio sessuale. Sempre a proposito di “Dog Star Man” Brakhage in “Metafore della Visione” scrive:

19


Mi sforzai di aderire ad una decisione conscia, non lasciando mai che un pezzo venisse usato per puro caso e non lasciando mai spazio ad una decisione che fosse più debole di un’operazione casuale. Volevo che la prima fosse lenta, stirata, estesa alla massima tensione che il materiale potesse tollerare [...] Ricorsi con successo a Cage durante la composizione di questo film nel senso che ogni momento potevo tendere la mano ed afferrare la sua gabbia e salvaguardare la possibilità di operazioni casuali da ogni prepotere intellettuale del cervello”. 8

Tuttavia, i «silenzi» del film non hanno niente a che fare con il Silenzio di Cage 9. Pur apprezzando la musica di Cage, Brakhage ama in modo particolare alcuni episodi musicali di Morton Feldman

10

: un suono che accade e poi il silenzio, quel tanto

che basta per sostenere quel suono prima che ne giunga un altro.

(1.)

Stan Brakhage (Kansas City, 1933 – Victoria, 2003) è stato un regista statunitense, considerato uno dei maggiori e più influenti filmmakers sperimentali del XX secolo. La maggior parte dei suoi lavori sono in pellicola 8mm o 16mm e spesso egli ha dipinto la pellicola a mano o graffiato direttamente l’emulsione e, qualche volta, ha anche usato tecniche di collage. Per Mothlight (1963), ad esempio, ha incollato direttamente sulla pellicola ali di insetti, foglie e rametti. In totale, Brakhage ha realizzato quasi quattrocento film nell’arco di cinquant’anni di carriera.

(2.)

Adam Sitney, è uno storico e critico contemporaneo del cinema americano di avanguardia.

(3.)

<http://www.activitaly.it/immaginicinema/brakhage/brakhage_2.htm>

(4.)

“Fenomelogia trascendetale” di Husserl si tratta di uno dei testi fondamentali per capire i movimenti filosofico-culturali dei primi del Novecento. All’interno si parla della “crisi” riconducibile al fatto che tutte le scienze hanno voluto far trionfare una ragione tecnico-utilitaristica che ha poi ridotto l’uomo a semplice oggetto tra oggetti. Solo con la riscoperta della ragione filosofica l’uomo potrà diventare soggetto di scienza e artefice della propria storia.

(5.)

“La Poetica” è un trattato di Aristotele, scritto ad uso didattico, probabilmente tra il 334 e il 330 a.C., ed è il primo esempio, nella civiltà occidentale, di un’analisi dell’arte distinta dall’etica e dalla morale. Nel trattato Aristotele esamina la tragedia e l’epica, e probabilmente, la commedia. Aristotele introduce due concetti fondamentali nella comprensione del fatto artistico: la mimesi e la catarsi.

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(6.)

Maya Deren (Kiev, 1917 – New York, 1961) è stata una regista statunitense di origine ucraina, attiva negli anni Quaranta e anni Cinquanta del XX secolo. (7.) “Dog Man Star” è una serie di brevi film sperimentali, il tutto diretto da Stan Brakhage. Dal filmato stesso è stato anche tratto un film molto più lungo: “The Art of Vision”. Entrambi sono generalmente considerati i capolavori del suo primo periodo maturo.

(8.)

“Metafore della visione” di Brakhage, è un testo pubblicato in Italia che tratta il cinema che spesso si è espanso dall’immagine alla parola scritta, un esemplare completamento da far scorrere in sovrimpressione con il flusso d’immagini elaborate senza sosta nello svolgersi riavvolgersi espandersi di un’opera esplorata in una prima persona (evidenziata anche dalla firma sulla pellicola by Brakhage di molte sue opere) naturalmente, ovvero con naturalezza, collettiva.

(9.)

Cage ascolta il silenzio, riesce a sentire dei suoni, i suoni del suo corpo: il battito del cuore, il sangue in circolazione. Ciò che ne ricava è la consapevolezza dell’impossibilità del silenzio assoluto. Il silenzio è una condizione del suono, è materia sonora: sottolinea e amplifica i suoni, li rende più vibranti, ne preannuncia l’entrata, crea suggestivi effetti di attesa e sospensione. Il silenzio è un mezzo espressivo, è pieno di potenziale significato. Nel 1952, anche in seguito all’esperienza nella camera anecoica, compone “4’33””, per qualsiasi strumento. L’opera consiste nel non suonare lo strumento. (10.) Morton Feldman (New York, 1926 – Buffalo, 1987) è stato un compositore statunitense, noto per le sue musiche strumentali composte da suoni spesso isolati, con prevalenza di dinamiche attutite e durate spesso decisamente lunghe.

4.“Dog Star Man - prelude”, 1964 - Stan Brakhage http://deeperintomovies.net/journal/archives/2250

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5.“Dog Star Man - part 1”, 1964 - Stan Brakhage http://deeperintomovies.net/journal/archives/2250

7.“Dog Star Man - part 3”, 1964 - Stan Brakhage http://deeperintomovies.net/journal/archives/2250

6.“Dog Star Man - part 2”, 1964 - Stan Brakhage http://deeperintomovies.net/journal/archives/2250

8.“Dog Star Man - part 4”, 1964 - Stan Brakhage http://deeperintomovies.net/journal/archives/2250


1.

Storia del Video Design. 1.2. Nuovi orientamenti delle neoavanguardie.

L’ambito in cui si è formata la videoarte, ormai più di trent’anni fa, è quello degli orientamenti culturali delle neoavanguardie, che sviluppano la lezione delle avanguardie storiche, non considerando più le opere d’arte come oggetti in senso tradizionale, ma come situazioni, azioni, ricerche di nuovi e diversi processi di comunicazione estetica, passando per l’happening, la performance, la pop art, la body art, la land art, l’arte povera, e il minimalismo. Per videoarte non si intendono semplicemente i prodotti di una riproduzione su nastro videomagnetico di fatti o eventi artistici (teatrali, musicali, plastici, performativi), ma si tratta di vere e proprie opere: stilisticamente riconoscibili, risultati di una elaborazione elettronico-analogica o numerica dell’immagine, a sé stanti o disposte in installazioni; si tratta, dunque, di un rapporto ormai maturo e certamente creativo degli artisti visivi con la scienza e le tecnologie elettroniche, analogiche e digitali. Si tratta di opere ottenute da una ricerca tecnica, linguistica ed estetica sul mezzo, una ricerca fondata sull’utilizzo – che in ambito artistico è sempre invenzione ed esplorazione – delle tecniche di ripresa, montaggio, colorazione e sintesi elettronica. Nonostante l’analogia lessicale, col termine “video arte” non si intendono quindi le registrazioni o documentazioni di eventi artistici (servizi o studi su mostre d’arte ed esposizioni, riprese di artisti al lavoro,interviste, divulgazioni storiche, documentari), ma opere autonome.

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In tale pluralità si pone sempre, come dato intrinseco e ineliminabile, un rapporto strutturale con la tecnologia, che ha modificato sostanzialmente i tradizionali parametri del fare artistico: non esistono più nella videoarte supporti, pennelli, pigmenti, gesti, materia, ma solo un flusso di luci capaci di prendere qualsiasi forma e colore, in continua mutazione, interconnessi con lo spazio e con il tempo, con oggetti e situazioni. Eliminato il rapporto tra la mano e il fare, e anche il rapporto tra mano e macchina, subentra invece una relazione mente-macchina che condensa in un’ inesauribile ricerca che trasmuta e reinterpreta ogni procedura di espressione e di percezione. La videoarte costituisce una chiave di lettura degli orientamenti estetici del moderno e del postmoderno; testimonia il profondo cambiamento nel rapporto tra l’artista, gli strumenti, l’opera e il pubblico evidenzia il grande interrogativo sui destini dell’arte nell’età dell’elettronica e dell’informatica. Non si opera più, quindi, sul video in termini di sequenze, tagli, dissolvenze tra blocchi determinati di immagine in movimento, ma si utilizzano gli strumenti tipici della manipolazione grafica e tipografica: riquadri, layout, livelli, maschere, trasparenze, tracciati etc.. Il video diventa una materia da lavorare in termini spaziali, da disporre su una superficie nuova, da espandere, deformare, sovrapporre, mescolare, provocando un paradossale riavvicinamento tra manipolazione dell’immagine digitale e processi pittorici o addirittura di stampo artigianale. Una logica della composizione prende il sopravvento sulla logica del montaggio. L’uso di software digitali per la creazione di artefatti video presuppone che ogni immagine consista in una serie di livelli separati ed interattivi, in un quadro da comporre di volta in volta. A ricadere nell’ambito di questo nucleo di ricerca è la produzione teorica delle diverse aree di pensiero che si sono occupate e che si occupano di video-oggetti da un punto di vista filosofico ed estetico:

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dai già citati studi sul design eidomatico di Giovanni Anceschi, alle riflessioni sulla genesi dell’immagine elettronica di Michael Chion 1, all’analisi di quest’ultima, rintracciabile tra gli altri nei contributi di Amaducci 3, Lischi 4, Taiuti 5, Madesani 6, alle sostanziali riflessioni sull’estetica dei nuovi media operate da Manovich, cercando infine di rintracciare una gamma di riflessioni valide ad accostare i video-oggetti ad altri artefatti video, attraverso lo studio dei più significativi scritti sulla video-danza, il video-teatro, così come delle forme di live-video ed affini. L’obiettivo estetico è insito nel trattamento del segnale elettronico e nella sperimentazione sulla tecnologia, a scapito degli interventi basati sulle potenzialità di registrazione della realtà esterna, e perciò di documentazione e informazione, proprie del mezzo. Presumere che un mezzo artistico abbia delle proprietà specifiche significa ritenere che ogni forma d’arte sia distinta da tutte le altre e che possieda requisiti particolari, suoi in esclusiva.

( 1.) Michel Chion (Creil, 1947) è un critico, compositore, regista di film e video e teorico dell’ascolto e dell’audiovisione francese. Chion è un importante esponente della musica concreta. Ha composto un numero considerevole di suite concrete, opere musicali e colonne sonore. Ha inoltre dedicato importanti saggi a registi particolarmente attenti alla dimensione audiovisuale del cinema: David Lynch, Stanley Kubrick, Jacques Tati. Il punto di partenza della teoria di Chion è il concetto di oggetto sonoro, elaborato originariamente dal suo maestro Pierre Schaeffer. Questa particolare concezione del suono lo spinge a preferire il rumore quale elemento di partenza della sua analisi: da qui il suo interesse per registi come Jacques Tati e David Lynch. (2.)

Dalla fine degli anni Novanta ad oggi il video si è affermato come medium trasversale e la produzione è molto vasta. Nel variegato panorama italiano troviamo Alessandro Amaducci, che insieme ad altri ha contribuito alla nascita di una nuova generazione di giovani formatasi in contemporanea ad un fiorire di nuovi festival.

(3.)

Sandra Lischi (Pisa, 1951) si è laureata in Storia dell’Arte nel 1973 (con una tesi sul video) all’Università di Pisa, dove è docente di audiovisivi nel corso di laurea in “Cinema, Musica, Teatro” (Facoltà di lettere). Ha ideato nel 1985 la manifestazione “Ondavideo-Suoni e immagini del futuro”, tuttora attiva a Pisa, e codirige a Milano “Invideo-mostra internazionale di video d’arte e cinema oltre”.

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(4.)

Lorenzo Taiuti, nato a Milano, insegna Mass Media presso l’Accademia di Belle Arti di Torino, e Arte Contemporanea presso la Facoltà di Architettura Valle Giulia all’ Università La Sapienza di Roma. Ha collaborato sui temi di arte e media, è autore di video, e si occupa di linguaggi video e delle nuove tecnologie su cui ha pubblicato “Arte e Media-Avanguardia e Comunicazione di Massa”. Ha prodotto website e installazione interattive in collaborazione con compositori di musica contemporanea, collabora con musicisti sperimentali in produzione audiovisive e lavori multimediali. Negli anni Ottanta e Novanta ha prodotto video basati sulle problematiche della musica e della danza.

(5.)

Angela Madesani, storica e critica d’arte, collabora con diverse riviste d’arte e ha curato numerose mostre presso istituzioni pubbliche e private italiane e straniere, collabora con alcune testate di settore. È responsabile della collana di fotografia e arte di Dalai editore, all’interno della quale ha realizzato numerosi volumi di prestigiosi autori fra i quali: Gabriele Basilico, Franco Vaccari, Vincenzo Castella, Francesco Jodice. Oltre che all’Accademia di Brera di Milano, insegna all’Istituto Europeo del Design di Milano.

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2. Nascita del Video Documentario. 2.0. Gli albori.

“A moi de choisir, de soumettre son spectacle au code civilisé des illusions parfaites, ou d’affronter en elle le réveil de l’intraitable réalité.” (Roland Barthes, La chambre claire, 1980)

Nel mondo del mercato dell’arte, le scelte dei musei a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, posti di fronte alla necessità di catalogare il video, tendono ancora a privilegiare quel tipo di lavori in cui l’opera consiste nel mezzo stesso, opere in cui l’obiettivo estetico è unicamente nel trattamento del segnale elettronico e nella sperimentazione sulla tecnologia. Viene così disconosciuta inizialmente da molte istituzioni museali tutta quella serie di prodotti della sperimentazione artistica che si concentrano sulle potenzialità di registrazione, e quindi di documentazione e informazione, proprie del mezzo. Questa sorta di “documentari artisticizzati” ad opera di sempre più numerosi artisti dell’epoca si affermeranno all’interno dell’industria culturale gradualmente nel corso degli anni Settanta. L’approccio, sviluppatosi allora, dispone il linguaggio documentaristico, confinato nella gabbia dei generi, esattamente come sottogenere del cinema. In questi anni il mondo della videoarte si era scisso tra documentarismo e denuncia sociale, anche se sono notevoli le testimonianze di autori che hanno lavorato in chiave artistica alla produzione di documentazione filmica di eventi storici e sociali all’interno dei movimenti attivistici.

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La storia del documentario, dunque, segue l’evoluzione del cinema dai suoi inizi ai giorni nostri. Nel vasto numero di tipologie che classificano i racconti per immagini, il film documentario si è quasi esclusivamente proposto, per definizione, di presentare delle informazioni sul mondo al di fuori del film di finzione. A parte le difficoltà di circoscriverlo a un genere, a una classe, o per lo meno ad un insieme di prodotti, il documentario va distinto dal cinema cosiddetto “di finzione”, poiché non persegue, o non persegue soltanto, fini cinematografici. Compito del suo realizzatore è pertanto quello di veicolare informazioni che attengono alla realtà spingendo a supporre che persone, luoghi ed eventi raffigurati esistano realmente e appaiano degni di fiducia, e non già di allestire o sceneggiare prodotti tramite il ricorso ad attori professionisti, quali per contenuto, scelte linguistiche, meccanismo produttivo, inducono a ritenerlo più cinema di intrattenimento. Fin dall’inizio il documentario è stato caratterizzato da una spiccata vocazione sperimentale. Questo suo ricercare e sperimentare nuove forme espressive ha fatto sì che il documentario, abbinato da subito a una sua funzione sociale, traesse linfa da una parziale identificazione con lo sperimentalismo avanguardistico, per poi meglio riconoscersi nelle finalità delle diverse scuole di pensiero della storia del genere documentario. D’altra parte il film documentario, meglio di altre produzioni cinematografiche, si prestò da subito ad essere un valido strumento di memoria collettiva, un vero e proprio “documento”, capace cioè, oltre che di fornire informazioni da inserire in un nuovo sapere strutturato, di organizzarle in modo tale che risaltassero maggiormente nei ricordi dello spettatore. Le ragioni di questo suo essere anche prezioso documento storico, sono da ricercarsi, oltre che nel suo sviluppo in sintonia culturale con le avanguardie cinematografiche sperimentali, nei diversi impieghi che il documentario ha conosciuto nei campi della comunicazione:

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nei diversi impieghi che il documentario ha conosciuto nei campi della comunicazione: dal reportage giornalistico, di guerra e di viaggio, al documento di denuncia, dal documentario come narrazione o poesia visiva al documentario come presentazione a scopo di propaganda, dal documentario a scopo di promozione istituzionale a quello con finalità educative e formative. Si individua perciò la nascita del documentario in “La sortie des Usines Lumière” (Figura 9) e in “L’arrivée d’un train en Gare de La Ciotat” (Figura 10), entrambi del 1895 ed entrambi dei fratelli Lumière. Persino il famoso “The Great Train Robbery” (Figura 11) di Edwin S. Porter 1, usualmente segnalato come l’archetipo del film western, non è lontano dal situare la propria azione nella zona di un realismo legato al codice narrativo del documentario. L’impressione di realtà è però solo fortuitamente dettata dalle riprese in esterni e dal paesaggio naturale scelto come location; gli atteggiamenti dei personaggi sembrano fornire una testimonianza documentaria dell’epoca dal punto di vista dello spettatore di quei tempi.

(1.)

Edwin Stanton Porter (Connellsville, 1870 – New York, 1941) è stato un regista statunitense e uno dei pionieri del cinema. Deve la sua fama al suo lavoro all’interno della compagnia cinematografica di Thomas Edison.

9.“La sortie des Usines Lumière”, 1895 - Frères Lumière http://www.toutlecine.com/images/film/0003/00034996-la-sortie-des-usines-lumiere.html

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10.“Exposition à la Galerie Parnass”, 1895 - Frères Lumières en.wikipedia.org/wiki/File:L%27Arriv%C3%A9e_d %27un_train_en_gare_de_La_Ciotat.jpg

11.“The Great Train Robbery”, 1903 - Edwin S. Porter http://bijoustreet.blogspot.it/2011/10/normal-0-false-false-false.html

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2. Nascita del Video Documentario. 2.1. I primi documentari: Ponting e Flaherty.

Con la realizzazione di “With Scott in the Antarctic” di Herbert Ponting la storia del documentario prende consistenza intorno ai primi anni del Novecento, e il suo regista assume per la prima volta la funzione di “autore”. Herbert Ponting iniziò la sua attività di fotografo verso il 1900; la sua evidente sensibilità per le composizioni “classiche”, la sua pazienza e meticolosità gli fruttò numerosi riconoscimenti nel campo della fotografia. L’influenza esercitata da essa nel suo lavoro di operatore è evidente: spesso le sue immagini, anche quelle in movimento, possiedono qualcosa di “statico”. In questi anni si ha anche la nascita del film di montaggio, caratterizzante il realismo espressivo di molti dei maggiori cineasti russi dei primi anni Venti, e le City Symphonies, tipiche di molta esperienza sperimentale. Nel 1922 viene presentata la prima pellicola, “Naonook of the North” dello statunitense Robert Joseph Flaherty, per cui si è già prossimi a etichettare il documentario come genere cinematografico al servizio della documentazione della realtà. Secondo la tradizione John Grierson 1, proprio in relazione al film di Flaherty, introdusse l’uso cinematografico del termine documentario. Flaherty realizzerà nella sua carriera altri film, fondamentali al fine di comprendere l’avvio e lo sviluppo del mezzo documentario, soprattutto nel senso di costruzione di poemi intensamente “lirici”.

(1.)

John Grierson (Deanston, Scozia, 1898– 1972) è stato un produttore e critico cinematografico e teorico del cinema britannico. Ritenuto il padre del documentarismo e dei principi fondamentali del documentario.

31


12.“With Scott in the Antarctic”, 1910 - Herbert Pointing http://www.allartnews.com/photographic-exhibition-marks-centenary-of-scotts-voyage-to-south-pole/

13.“Nanook of the North”, 1926 - Herbert Pointing http://memoriadocumental.blogspot.it/2012/04/nanook-el-esquimal.html

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2. Nascita del Video Documentario. 2.2. Sinfonie metropolitane.

L’esperienza delle Sinfonie Metropolitane può essere anche inscritta nella storia del documentario specularmente all’interesse mostrato dal pubblico per i cosiddetti reportage esotici o travelogues. In auge dalla prima metà degli anni Venti, la Sinfonia Metropolitana denuncia l’assenza nei suoi realizzatori di un vero impegno politico, tuttavia bilanciata da un apparente intento comune, quello di costruire dei film caleidoscopici in cui immagini a prima vista casuali e prive di reciproci rapporti interni sono unite le une alle altre da una sinfonia musicale, che diventa visiva. Così il titolo di un famoso lungometraggio del 1927, “Berlin, Symphonie einer Grosstadt” (Figura 13) del regista tedesco Walter Ruttmann 1, segnerà la definizione di City Symphonies per tutta una serie di documentari sperimentali che venivano fatti in quegli anni senza distinzione di appartenenza geografica o di affiliazione culturale. L’autentico Manifesto del Cine-Occhio vertoviano 2 ha il sapore di una critica, neanche velata, al cinema narrativo. Con “L’uomo con la macchina da presa” che può essere individuato nel tema delle Sinfonie Metropolitane, il realizzatore ha voluto proporre al pubblico la prima dimostrazione filmica del linguaggio specifico di una nuova arte, ed è ancora una volta effetto di una chiara e radicale opposizione al cinema narrativo. Scrive Jean Mitry: “Se il cinema documentario è riassetto della realtà in linguaggio, atto a trasformare in discorso l’apparente continuità della materia, il montaggio ne rappresenta la risorsa linguistica per eccellenza. Ecco perché sinfonie e Vertov rappresentano una tappa fondamentale nel riordino storico dell’evoluzione dell’insieme documentario. “ 3

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Da semplice manifesto quale era e da una pura concezione materialistica, si passerà negli anni Sessanta a riprendere e titolare come Dziga-Vertov anche taluni corpi pellicolari di Stan Brakhage, ma qui il già cresciuto videoattivismo e lo sguardo interventivo dell’operatore dilateranno l’orizzonte del documentario oltre i limiti stessi, formali, del montaggio.

Nulla è accidentale e tutto lentamente è ripreso:

il documentario si avvia a essere un’arte che lo distingue dal giornalismo del reportage.

(1.)

Walter Ruttmann, (Francoforte sul Meno, 1887 – Berlino, 1941) è stato un regista tedesco. Ispiratosi alle teorie di Hans Richter, divenne uno dei maggiori esponenti dell’avanguardia cinematografica tedesca e in tale ambito, con brillante ingegno di sperimentatore, tese ad affermare un cinema di immagini in stretto rapporto ritmico col sonoro. Nel 1927 vede affiancarsi come aiuto regista Herbert Selpin, che poi diverrà a sua volta regista. Pur presentando un esclusivo interesse formale, le sue opere rivelano tuttavia una sorprendente capacità di montaggio. Suo è “Acciaio”, del 1933, girato a Terni e unico film a soggetto di Ruttmann.

(2.)

Cine-Occhio si tratta del movimento cinematografico sorto in U.R.S.S. negli anni Venti, teorizzato dallo stesso Dziga Vertov, che reclama l’abolizione della letteratura e del teatro, essendo sceneggiatura e attori “ostacoli deformanti e ingombranti che si frappongono, nel cinema borghese, tra la visione del cineasta e la realtà”. Dziga Vertov (Białystok, 1896 – Mosca, 1954) fu un regista, sceneggiatore e teorico del cinema sovietico. Tutto il complesso teorico e la genialità di Vertov si riassumono in quella che è anche la sua opera più famosa, “L’uomo con la macchina da presa” (1929), un film davvero rivoluzionario, con una grammatica scompaginata (basti pensare che non sono usate didascalie, fondamentali nell’epoca del muto) e con trovate tecnico-stilistiche ci mostra una macchina da presa che da oggetto di osservazione ne diventa il soggetto.

(3.)

Jean Mitry, (Soissons, 1907 – La Garenne-Colombes, 1988) storico, teorico e regista cinematografico. È considerato uno dei padri della storiografia del cinema, un campo di studi che le sue ricerche, definite non a caso monumentali, hanno contribuito a creare, sistematizzando e allargando la massa di conoscenze acquisite come cinefilo. Contribuì anche al dibattito teorico sul cinema, preannunciando la svolta semiologica degli anni Sessanta. Diede il suo contributo alla nascita della Cinémathèque française e fu professore di storia ed estetica del cinema all’IDHEC;

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14.“Berlin, Symphonie einer Grosstadt”, 1927- Walter Ruttmann http://www.virtual-circuit.org/blog/files/9fffa8c1990c0e0e278f36f31bde7ff0-209.html

15.“L’uomo con la macchina da presa”, 1929 - Dziga Vertov http://notaportfolio.wordpress.com/

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2. Nascita del Video Documentario. 2.3. Documentario Scientifico: Jean Comandon e Jean Painlevé.

“It never would have occurred to the pioneers of cinema to dissociate research on film fromresearch by means of film.” (Jean Painleve, “Scientific Film”, 1955)

Analogamente, benché sia del tutto marginale, il film scientifico inaugurato in Francia dall’opera pionieristica del dottor Jean Comandon

1

ottiene un successo di pubblico

grazie ai meravigliosi documentari biologici di microcinematografia di organismi marini (Figura 14), malattie cardiache, la crescita delle piante (Figura 15), e fu il primo a realizzare filmati in Time-Lapse di microscopia ad alta risoluzione. Altro autore di cinematografia scientifica è stato Jean Painlevé

2

che con i suoi film

come “La Pieuvre” (Figura 16), “La Daphnie” (Figura 17), e “L’Hippocampe” (Figura 18), venne elogiato persino dai surrealisti, radunati intorno alle idee di Salvador Dalì, Man Ray, Francis Picabia, e Jean Cocteau. La cinematografia di Painlevé si arricchisce nel 1937 di un documentario tra i più interessanti perché sfrutta il suo interesse per la storiografia quantistica: “Images mathématiques de la quatrième dimension” (Figura 19). Nasce dunque il documentario scientifico, di cui più tardi non va taciuto l’apporto offerto da registi e storici del cinema come l’italiano Francesco Pasinetti 3, autore, a partire dal 1941, di numerosi documentari (trenta sono di argomento chirurgico, girati presso l’Istituto Rizzoli di Bologna).

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Nei primi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale si sviluppa l’attività di Alberto Ancilotto 4. Particolarmente esperto nel campo della microcinematografia, Ancillotto dirige infatti “La mantide religiosa” del 1950, uno dei primi documentari italiani a colori, e riceve a Venezia il premio della sua categoria.

(1.)

Jean Comandon (Sèvres, 1877 – 1970), è stato un dottore in medicina, ha inventato la microfotografia nel 1908; è stato anche precursore nell’utilizzo del cinema nell’ambito scientifico. Lo utilizzava in particolare a fini etologici e botanici. Era ingrado di scomporre il movimento delle cellule animali filmandolo grazie a delle telecamere associate ai microscopi. Inoltre ha studiato anche la crescita delle piante. Nel 1926, assume la direzione del Laboratorio di biologia e di cinematografia scientifica, fondato da Albert Kahn. Fu per molto tempo il responsabile del Direzione tecnica cinematografica della ricerca scientifica. I suoi film (più di quattrocento) sono archiviati all’ Istituto Pasteur.

(2.)

Jean Painlevé (Parigi, 1902 – 1989) è stato un regista francese. Laureato in medicina, partecipò attivamente al movimento d’avanguardia cinematografica dedicandosi poi alla cinematografia scientifica. Fondatore e direttore dell’ Institut du cinéma scientifique, ha realizzato moltissimi documentari divulgativi, caratterizzati da notevole contrappunto fra immagini e suoni.

(3.)

Francesco Pasinetti (Venezia, 1911 – Roma, 1949) è stato un regista, sceneggiatore, critico cinematografico e fotografo italiano.

(4.)

Alberto Ancilotto, poeta della natura, scienziato, appassionato di fotografia e di cinema, autore negli anni Cinquanta di documentari per ragazzi dedicati alla natura, che conquistarono premi prestigiosi al Festival di Venezia e riscossero un notevole successo anche negli Stati Uniti. Ancilotto girò documentari sugli aspetti più originali della flora e della fauna del nostro Paese, un divulgatore scientifico che sapeva veicolare, attraverso il linguaggio artistico, l’amore e il rispetto per la natura.

37


38

16.“A hemogregarin traversing through a frog blood cell”, Jean Comandon http://www.nature.com /embor/journal/v3/ n9/fig_tab/embor070_f2.html

17.“Microcinématographie scientifique”, Jean Comandon http://blogs.mediapart.fr/blog/vincent-fleury/080112/hommage-jean-comandon

18.“La Pieuvre”, 1927 - Jean Painlevé http://membrane.tumblr.com/post/96555127/ jean-painleve-image-tiree-du-film-la-pieuvre

19.“La Daphnie”, 1928 - Jean Painlevé http://www.dvdclassik.com/critique/ladaphnie-painleve/galerie

20.“Hippocampe”, 1931 - Jean Painlevé http://alloveralbany.com/mt/mt-search.fcgi? IncludeBlogs=1&tag=EMPAC&limit=500

21.“La quatrième dimension”, 1937 - Jean Painlevé http://cinedev.blogspot.it/2012/02/la-quatriemedimension-de-jean-painleve.html


2. Nascita del Video Documentario. 2.4. Gli statuti di John Grierson e di Alberto Cavalcanti.

Per la stesura di uno statuto davvero ufficiale del documentario dovrà comunque attendersi l’inverno 1933-1934, allorché John Grierson 1 ne enuncia il testo in una serie di punti noti come i Principi fondamentali del documentario, grazie ad un suo articolo comparso sulla rivista “Sight and Sound”. 1- Noi crediamo che dalla capacità che il cinema possiede di guardarsi attorno, di osservare e selezionare gli avvenimenti della vita vera, si possa ricavare una nuova e vitale forma d’arte. I film girati nei teatri di posa ignorano quasi totalmente la possibilità di portare lo schermo nel mondo reale. Fotografano avvenimenti costruiti su sfondi artificiali; 2- Noi crediamo che l’attore originale o autentico e la scena originale o autentica costituiscano la guida migliore per interpretare cinematograficamente il mondo moderno. Offrono al cinema una più abbondante riserva di materiale. Gli forniscono la possibilità di interpretare, traendoli dal mondo della realtà, avvenimenti più complessi e sorprendenti di quelli immaginati per i teatri di posa, o di quelli che i tecnici dei teatri di posa possano ricostruire; 3- Noi crediamo che la materia e i soggetti trovati sul posto siano più belli (più reali in senso filosofico) di tutto ciò che nasce dalla recitazione. Il gesto spontaneo ha sullo schermo un singolare valore. Il cinema possiede la straordinaria capacità di ravvivare i movimenti creati dalla tradizione o consunti dal tempo. Si aggiunga che il documentario può ottenere un approfondimento della realtà e ricavarne effetti che la meccanicità del teatro di posa e le squisite interpretazioni degli attori scaltriti neppure si sognano.

Il senso della documentaristica subisce per la prima volta una meritoria opera di sistematizzazione cui non sarà sconosciuta neppure quella, di poco successiva, di Alberto Cavalcanti

2

che, criticando come fa anche buona parte della scuola

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griersoniana il documentarismo ideologico, finisce per sottolineare in quattordici punti lo status del perfetto documentarista: - Non trattare temi generali in modo generale. Si può scrivere un articolo sul servizio postale, ma un film sarà migliore se tratterà il destino di una singola lettera; - Non dimenticare che il documentarismo si basa su tre pilastri: quello sociale, quello poetico e quello tecnico; - Non prendere sottogamba il soggetto scritto e non far conto sulla fortuna, quando giri. Una volta messo a punto il trattamento, il film in pratica è già fatto. Però al momento delle riprese sii pronto a rifarlo da capo; - Non affidarti al commento parlato per dare un senso alla tua storia. Le immagini e la colonna sonora debbono farlo. Un commento sovrabbondante e gratuito riesce solo ad irritare lo spettatore; - Quando giri non dimenticare che ogni scena fa parte di una sequenza e che ogni sequenza fa parte di un arco narrativo generale. Una bellissima inquadratura, scollegata dal resto, spesso risulta più dannosa che utile; - Non eccedere nella ricerca di inquadrature originali a tutti i costi. Angolazioni elaborate possono raffreddare l’emozione; - Non abusare della rapidità del montaggio fine a se stessa. Un ritmo accelerato può risultare altrettanto manierato quanto un montaggio disteso; - Non esagerare con le coperture musicali. Se lo farai lo spettatore finirà con il non ascoltarle; - Non sovraccaricare il film con gli effetti in sincrono. Suoni e rumori risultano efficaci quando sono impiegati in modo suggestivo e complementare; - Non affidarti ciecamente agli effetti ottici e non renderli troppo complicati. Dissolvenze e sovraimpressioni equivalgono ad una punteggiatura: sono le tue virgole e i tuoi punti; - Non girare troppi dettagli. Conservali per i momenti cruciali. In un film equilibrato essi verranno fuori naturalmente per interna necessità espressiva; - Non esitare ad entrare nella psicologia dei personaggi e nelle loro reciproche relazioni: gli esseri umani possono essere belli come i più affascinanti animali o come le più intriganti macchine tecnologiche; - Non devi essere vago quando racconti una storia: il vero tema deve essere espresso chiaramente e con semplicità. Ciò non esclude però un certo livello di drammatizzazione e ricreazione; - Non perdere l’opportunità di sperimentare. L’attuale prestigio del documentarismo deriva dal coraggio delle sue sperimentazioni. Senza sperimentazione il documentario perde ogni valore e cessa di esistere.

Tutte queste pellicole attestano la fatica dell’uomo nelle varie manifestazioni, superando le avanguardie e coniugando ricerche formali e studio sociale, pedagogia ed estetica.

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(1.)

John Grierson (Deanston , Scozia, 1898 – 1972) è stato un produttore cinematografico, critico cinematografico e teorico del cinema britannico. È considerato il caposcuola del movimento documentaristico britannico degli anni Trenta. Secondo Grierson il documentario è in grado di rielaborare il materiale autentico in maniera creativa, artistica, ma deve perseguire risultati estetici completamente diversi da quelli del film a soggetto.

(2.)

Alberto Cavalcanti (Rio de Janeiro, 1897 – Parigi, 1982), è stato uno sceneggiatore, regista e produttore cinematografico francese di origine brasiliana. Maestro riconosciuto del cinema del ventesimo secolo, viene ricordato anche come documentarista. Cineasta cosmopolita, partecipa al movimento del documentario realista.

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2. Nascita del Video Documentario. 2.5. Documentario statunitense.

La fascinazione determinata dalle megalopoli a perdita d’occhio e dalle straordinarie trasformazioni della tecnologia al servizio dei cittadini non può non rimandare all’incertezza di un mondo che ha ormai perso la prospettiva della misura d’uomo, in parte recuperata solo dopo la catastrofe bellica. Esempi di documentarismo urbano possono definirsi “H2O”, 1929 (Figura 20) e “Mechanical Principles”, 1930 (Figura 21) di Ralph Steiner 1, ai tempi delle leghe di autori indipendenti che si staccavano dalle major per formare le Nykino (cinema adesso), sorta di cooperative il cui nomignolo continuava a suggerire una consapevole imitazione del cinema sovietico, da parte di una scuola che sempre più si sarebbe formata attorno a una spiccata militanza di sinistra finendo con l’assumere un ruolo fondamentale nel quasi coevo documentarismo europeo d’intervento. Risultati apprezzabili si devono registrare in quegli anni pure nel campo del cosiddetto documentarismo industriale, un tipo di cinema sull’impiantistica civile e sull’ingegneristica fortemente dettato dalla committenza politica, che inoltre sta a indicare un genere documentaristico sugli sviluppi e le trasformazioni sociali dovuti alla tecnologia industriale. Il commento parlato, fatta eccezione per il montaggio e il sonoro, assumeun ruolo primario attraverso la regola della discrezione. Se si guarda, ad esempio,

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al genere naturalistico, le immagini di un documentario da sole trasmettono allo spettatore già quasi tutto quello che sarebbe necessario sapere. L’intervento della voce dello speaker, deve risultare conciso e lasciare ampi vuoti fra una frase e l’altra, di modo che la discrezione anche metaforica che ne consegue permetta allo spettatore di considerare reali gli enunciati e riportare il testo all’appartenenza al genere documentario da cui ha origine.

(1.)

Ralph Steiner (Cleveland, 1899 - Vermont, 1986) è stato un americano fotografo , documentarista pioniere e una figura chiave tra i registi d’avanguardia del 1900. Nel 1929, Steiner ha fatto il suo primo film, “H2O”, un’ evocazione poetica dell’ acqua che ha catturato i modelli astratti generati dalle onde. Anche se non è stato il film unico nel suo genere, ha ottenuto una significativo impressione e dal momento che è stato riconosciuto come un classico, è stato aggiunto al National Film Registry nel dicembre 2005.

22.“H2O”, 1929 - Ralph Steiner http://take575.blogspot.it/2012/04/h20-1929.html

23.“Mechanical Principles”, 1930 - Ralph Steiner http://shortcutcinema.blogspot.it/2009/05/avant-garde-mechanical-principles-1930.html

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2. Nascita del Video Documetario. 2.6. Documentario d’arte.

Negli anni Cinquanta nasce il genere documentario d’arte incontra diverse fortune in Belgio dove se ne occupano Henri Storck 1 e Paul Haesaerts 2, che realizzano diversi film sulla pittura fiamminga, in cui la macchina da presa è usata nella piena consapevolezza delle sue risorse linguistiche per la rilettura delle opere figurative. In Italia la paternità di questo nuovo genere documentaristico d’arte d’autore va certamente ascritta a Luciano Emmer 3, di cui si ricorda la lunga serie di documentari dedicata a “Bosch” (1948), “Piero della Francesca” (1949), “Goya” (1950) “Pictura” (1951), “Leonardo da Vinci” (1953), “Picasso” (1954) e “Giotto” (1969) fino a “Marat Morto di David” (1972). Sarà tuttavia l’esperienza del cinéma-vérité a marcare maggiormente la documentaristica francese di fine anni Cinquanta e a segnalarsi in campo internazionale reso possibile dalle cineprese portatili da 16 millimetri e dal suono in sincrono, documentari e interviste ottenuti dal “vero”, senza la minima preparazione.

(1.)

Henri Storck (Ostenda, 1907 – Uccle, 1999) è stato un artista belga, cineasta e documentarista. Autore di più di sessanta pellicole, famoso per cortometraggi, il suo nome resta associato imperituramente alla scuola del documentario belga, un po’ come il nome di John Grierson si lega a quella del documentario britannico. Storck inizia girando dei documentari sperimentali sulla sua città natale, quindi sperimenta il found footage, realizza film militanti, lavora sull’occupazione tedesca e, dalla Liberazione, in Belgio diventa ufficialmente un cineasta, definito il padre del documentario belga.

(2.)

Paul Haesaerts (Boom, 1901 - Bruxelles, 1974) è stato un multi talento belga artista. Ha lavorato come architetto, regista, incisore, pittore, sceneggiatore, disegnatore e illustratore. E’ considerato soprattutto un regista di documentari, ben noto a livello internazionale.

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(3.)

Luciano Emmer (Milano, 1918 – Roma, 2009) è stato un regista e sceneggiatore italiano. Ha realizzato numerosi film e alcuni tra i più importanti documentari d’arte. Per i suoi documentari artistici, Emmer inventò interessanti e suggestivi moduli formali, che caricò di significato affettivo: a differenza di Pier Paolo Pasolini, che propose un manierismo neorealista, visionario e colmo di citazioni d’arte nella ripresa della realtà degradata, Emmer partì dall’opera artistica limitandosi a interpretarla con le riprese.

2. Nascita del Video Documentario. 2.7. Documentario sperimentale degli anni Sessanta e Settanta.

Gli anni Sessanta e Settanta accolgono, sulla scia della rinascita postbellica in stili e generi già affermati, anche un nuovo documentario sperimentale e la pluralità di approcci del documentario di avanguardia e underground. Gli Stati Uniti sono la culla di queste forme documentali e Stan Brakhage, e Andy Warhol 1 alcuni dei suoi profeti. Essenzialmente si colgono le potenzialità del mezzo televisivo, proiettando, ridipingendo e riprendendo visioni surrealiste e futuriste già care agli antenati Marcel L’Herbier 2 e René Clair 3. Brakhage, in particolare, rivela l’influenza e la padronanza della cultura beatnik, liberatoria e confusionaria al contempo, in film di trance, volutamente muti e senza commento sonoro, come “Anticipation of the Night” (1958), ove convergono l’uso tecnicamente raffinato del montaggio e della fotografia e di una dinamica tecnica espressiva fondata sul ritmo e sul movimento di corpi, linee geometriche e figure che pure suggeriscono sinfonie visive; Brakhage è insomma l’inventore di un documentarismo intellettualista affrontato in ogni suo elemento, scandagliato fino all’ennesimo dettaglio per opere che sono spezzettate per poi venire ricomposte, fornendo la cifra esatta di quello che deve essere un film di trance, 45


psichedelico, beatnik, liberatorio. La pop art e la sua pittura possono fare il loro ingresso sulla scena del film underground con i famosi corti di Andy Warhol come “Kiss” (Figura 24) , “Sleep” (Figura 25) e “Eat”, 1963 (Figura 26), “Empire”, 1964 (Figura 27), ma è col recupero di elementi legati all’elaborazione del mito classico o alla costruzione di nuovi miti suggeriti dalla società di massa che, nella seconda metà degli anni Cinquanta e durante i primi anni Sessanta, emerge una nuova componente documentaristica mitografica con i film d’estasi. I film più rappresentativi di questa nuova ondata sono “The Very Eye of Night” (Figura 28) di Maya Deren,“ “Dog Star Man” di Brakhage. Il film metrico e quello di sfarfallio inventati dall’austriaco Peter Kubelka

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costituiranno ulteriori vie per ridurre

il documentario dei Sessanta all’astrazione: con “Schwechater” del 1958 Kubelka dimostra che il cinema non è movimento ma una proiezione di fotografie, cioè di immagini immobili, secondo un ritmo veloce, mentre in “Arnulf Rainer”del 1964 (Figura 29) l’occhio dello spettatore è indotto a spettrali allucinazioni visive generate sullo schermo dallo sfarfallio ritmico di un film composto da blocchi di fotogrammi in bianco e nero. A partire dalla fine degli Anni Sessanta anche il cinema cosiddetto “amatoriale”, genericamente inteso come quello non professionale, rappresenta una nuova esperienza dacché opera un processo di rinnovamento non solo nel cinema mondiale ma anche e soprattutto nell’ambito del documentario. Professionisti come Richard Leacock e Stan Brakhage, non esitano a insistere sull’importanza di riallacciarsi al piacere non mediato che il dilettante prova nell’atto del filmare, per comunicare la sensazione di vedere e di intendere, la sensazione di presenza, la sensazione viva. Lo scopo è quello di rendere cinematograficamente il senso della vita quotidiana, immediata dei protagonisti. È nato il cosiddetto cinema-verité americano. Con gli anni Sessanta si riafferma il primato di generi classici del documentario, in testa ai quali figurano quello di guerra, il reportage giornalistico e il film autobiografico. La diffusione delle cineprese e le prime esperienze in elettronico comportano una moltiplicazione di testi documentari, soprattutto nell’area occidentale come nelle cinematografie emergenti. 46


(1.)

Andy Warhol (Pittsburgh, 1928 – New York, 1987), è stato un pittore, scultore, regista, produttore cinematografico, direttore della fotografia, attore, sceneggiatore e montatore statunitense, figura predominante del movimento della pop art. Warhol ha sostenuto e sperimentato forme di comunicazione, come ad esempio il cinema e la musica: ha prodotto alcuni lungometraggi e film, ha sostenuto alcuni gruppi musicali. Il pensiero “commerciale” di Warhol spaziava in ogni campo. “Blow Job” (telecamera fissa per trentacinque minuti sul volto di un uomo che riceve una fellatio) e “Lonesome Cowboys” sono alcuni esempi di film che ritraggono la cultura gay newyorkese del tempo, censurati e distribuiti solo con il passaparola. Altri lavori, certamente d’avanguardia, mostrano ad esempio un uomo che dorme per cinque ore e venti “Sleep” (1963). È stato anche fondatore della Factory, luogo in cui giovani artisti newyorkesi potevano trovare uno spazio collettivo per creare: qui sono nati o passati per un breve periodo altri famosi artisti come Jean-Michel Basquiat, Francesco Clemente, Keith Haring.

(2.)

Marcel L’Herbier, (Parigi, 1888 - 1979) è stato un regista francese, che ha raggiunto la ribalta come teorico e pratico fantasioso d’avanguardia con una serie di film muti nel 1920. La sua carriera come regista continuò fino al 1950 e ha fatto più di quaranta film in totale. Durante gli anni 1950 e 1960 si è occupato di programmi culturali per la televisione francese. Ha anche ricoperto molti ruoli amministrativi del cinema francese, e lui è stato il fondatore e il primo presidente della Institut des hautes études cinématographiques.

(3.)

Peter Kubelka (Vienna, 1934) è un regista sperimentale austriaco. I suoi film sono principalmente brevi esperimenti in cui collega suono e immagini apparentemente distinti. Kubelka fatto film in 16 mm, per lo più corti, ed è conosciuto per i sui “film sfarfallio”, cioè alterna pellicole in bianco e e nero così da creare un effetto di “sfarfallio”.

24.“Kiss”, 1963 - Andy Warhol http://divara.tumblr.com/post/607382802/ art-documents-andy-warhol-film-kiss

25.“Sleep”, 1963 - Andy Warhol http://divara.tumblr.com/post/607382802/ art-documents-andy-warhol-film-kiss

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26.“Eat”, 1963 - Andy Warhol http://www.bandagedear.com/artist/andywarhol/1

27.“Empire”, 1964 - Andy Warhol http://alienationmentale.wordpress. com/2012/04/01/empire-review

28.“The Very Eye of Night”, 1958 - Mayaa Deren http://divara.tumblr.com/post/607382802/art-documents-andy-warhol-film-kiss

29.“Arnulf Rainer ”, 1963 - Peter Kubelka http://www.see-this-sound.at/works/716


2. Nascita del Video Documentario. 2.8. Documentario alla fine del Novecento all’alba del digitale e dei new media.

Un mosaico di nomi e situazioni contraddistingue l’era forse più affascinante, senza dubbio quella all’alba del digitale e dei new media. Un mosaico di situazioni così decisive che quasi inducono a un nuovo modo di intendere il rapporto che ormai lega il documentario al sistema televisivo, e al sorgere di due tipologie emergenti del documentario quali il metacinematografico, e il critofilm, forme e stilemi più o meno consimili nel presentare il film nel film, le notizie dentro le notizie, e nell’organizzare metadiscorsi sul cinema fino a raggiungere le vette dell’iperreale. Come gli anni Sessanta del documentario sono segnati dal forte impegno concettuale e dalla novità di alcuni generi, il rock-movie nasce negli anni Settanta ed esplode quale fenomeno documentaristico come protesta d’impianto psichedelico e affidata all’improvvisazione. Nel rock-movie sono state utilizzate nuove tecniche come lo split screen, rappresentando una mitologia documentaria rafforzata dal culto legato all’uso degli allucinogeni. Fra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta l’idea documentaria va proponendosi sempre più sotto forme di ardite fusioni tra un cinema erede di quello diretto e aggiornate sinfonie metropolitane, che preconizzano l’era dell’alta definizione nelle telecomunicazioni e l’applicazione di tecnologie digitali di ripresa e post-produzione con conseguente sostituzione del nastro elettronico al posto della pellicola. Al gruppo delle pellicole innovative del genere sinfonie metropolitane appartiene il singolare doppio esperimento realizzato da Godfrey Reggio

1

con “Koyaanisqatsi”, 1983 (Figura 30) e “Powaqqatsi”, 1988 (Figura 31), in cui un ruo49


lo fondamentale è svolto dalla musica minimalista di Philip Glass 2. Sono film narrativi ma senza parole, ove però le immagini acquistano valore in sé in quanto naturali e urbane alternate, a velocità accelerata o rallentata, in cui un montaggio ritmato dalla musica e dai suoni coinvolge maggiormente il pubblico. Si sostiene che le forti ambizioni del film documentario, cioè quelle di creare un pubblico che si convinca per via di un processo associativo di immagini e sinfonie visive che non ha eguali in altri generi, non possono non fare i conti con le nuove tecnologie. D’altra parte si dice che il fascino della pellicola, a prescindere dall’uso che se ne fa, risieda nella sua bellezza intrinseca, e che il digitale non ci mette niente di suo non aggiungendo nulla a ciò che rappresenta. (1.)

Godfrey Reggio (New Orleans, 1940) è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense. è conosciuto principalmente per la sua Trilogia qatsi, con la quale ha inventato un nuovo stile cinematografico. I film che compongono la trilogia, infatti, “Koyaanisqatsi”, “Powaqqatsi”, e “Naqoyqatsi”, senza parole e senza attori, sono basati sulla intensa combinazione di sole immagini, realizzate con una estrema cura fotografica, in un montaggio ritmato dai suoni e dalla musica. Si tratta di opere tese ad ottenere un forte impatto visivo, per mostrare l’effetto distruttivo che l’attuale civiltà industriale ha sull’ambiente e il disequilibrio sociale fra il nord e il sud del mondo. Le sue innovazioni, quali l’uso di immagini rallentate o accelerate, in combinazione con musica di tipo minimalista, hanno presto costituito un modello stilistico largamente ripreso in tutto il mondo, tanto nel cinema che nella pubblicità televisiva.

(2.)

Philip Glass (Baltimora, 1937) è un compositore statunitense. Autore di musica contemporanea, è solitamente considerato tra i capofila del minimalismo musicale. Tra le sue opere compaiono numerosi componimenti musicali di vario tipo, con una certa predilezione per le forme sceniche (teatro, danza, performance) e le colonne sonore di diversi film e documentari. Celebre, in quest’ultima categoria, la serie di film realizzati da Godfrey Reggio a cavallo tra il 1983 e il 2003, nota come “Trilogia Qatsi”: lo stesso Glass ha portato in tournée anche in Italia concerti live in cui il suo ensemble esegue le musiche direttamente sulle immagini dei film.

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30.“Koyaanisqatsi”, 1983- Goffrey Reggio http://wyonder.wordpress.com/2010/02/27/100-film-x-100-giorni-12-godfrey-reggio-koyaanisqatsi/ koyaanisqatsi/

31.“Powaqqatsi”, 1988 - Goffrey Reggio http://www.euroresidentes.com/Blogs/cine/2006/12/powaqqatsi.html

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3. Filosofia nel video. 3.0. Platone e la sua visione dell’universo: l’essenza delle cose.

Il termine con cui Platone indica l’essenza è “idea” che si contrappone all’opinione sensibile, la “doxa”. L’opinione, appunto perché generata dai sensi, non dà alcuna certezza ma ha una sua funzione nel far riaffiorare l’essenza della cosa sensibile, ”eidos”. L’esperienza sensibile serve alla verità ma non la costruisce, poiché questa è già presente nella mente dell’uomo; quindi la conoscenza è reminiscenza, ricordo di quel mondo delle idee che per Platone non sono, come comunemente noi intendiamo il contenuto del pensiero, l’oggetto del pensare, ma ciò che rende possibile il pensare stesso. L’idea platonica non è dunque un atto del pensiero ma un ente, l’essere che veramente è, è la struttura essenziale dell’essere, senza cui l’essere non esiste; è l’intima natura, “physis” della cosa. Attraverso i sensi siamo in grado di cogliere le forme fisiche delle cose, mentre con l’anima intellettiva cogliamo le forme pure, prive cioè di ogni elemento materiale, le pure essenze. Le radici di questo progetto video possono essere rintracciate in una personale interpretazione dell’idee platoniche, proposta ad un livello totalmente nuovo. Il concetto, dunque, va oltre l’immagine umana e investiga la psiche personale. Nell’antichità classica il ruolo della simmetria come principio ispiratore nella concezione del mondo fisico veniva accentuato dalla rarità di figure solide simmetriche analoghe ai poligoni regolari. Infatti Platone nel suo dialogo, “Timeo”, associa i quattro elementi geometrici 52


(tetraedro, cubo, ottaedro, icosaedro) rispettivamente a quelli che erano ritenuti i quattro elementi fondamentali: fuoco, terra, aria e acqua. Il dodecaedro, non realizzabile unendo opportunamente triangoli (come invece avviene per gli altri poliedri citati), veniva invece associato all’immagine del cosmo intero, realizzando la cosiddetta quintessenza. [...] Tutti questi elementi eran disposti dapprima senza ragione e senza misura; ed anche quando il tutto cominciò ad essere messo in ordine, da principio il fuoco, l’acqua, la terra, l’aria, che pur avevano una qualche traccia della propria forma, erano tuttavia in quello stato in cui è naturale sia ogni cosa quando Dio non è presente. Fu appunto allora, quando così stavano queste cose, che Dio le adornò in primo luogo di forme e di numeri [...]. Innanzitutto è chiaro ad ognuno che fuoco, terra, acqua, aria sono corpi. D’altra parte, l’essenza di ciascun corpo ha anche un suo spessore, e lo spessore, a sua volta, necessariamente implica che sia limitato da superfici piane: e la superficie piana e rettilinea si compone di triangoli [...]. Ad ogni modo lasciamo andare questo problema, e le sue specie, che attraverso il nostro ragionamento si son venute costituendo, distribuiamole in fuoco, terra, acqua ed aria. Ed alla terra diamo la figura cubica, appunto perchè fra le quattro specie la terra è la più difficile a mettersi in moto, ed è fra tutti i corpi il più plasmabile, ed infatti è assolutamente necessario che tale sia quel corpo che ha le basi più salde [...]. E dunque, attribuendo questa forma alla terra, ci manterremo sul piano della verosimiglianza, così come attribuendo all’acqua la forma meno mobile, la più mobile al fuoco ed all’aria quella intermedia fra queste due; non solo, ma attribuendo al fuoco il corpo più piccolo, all’acqua il più grande e quello che sta di mezzo all’aria, ed il più acuto al fuoco, uno meno acuto all’aria, meno acuto ancora all’acqua [...]. Dio dopo avere ovunque compiuto queste cose esattamente, nella misura in cu la natura della necessità si lasciava spontaneamente persuadere, le unì tutte in proporzione e armonia. [...] 1

La fortuna dei solidi Platonici nell’immaginario scientifico della cultura occidentale è stata enorme, anche oggi i soldi platonici sono oggetto di interesse per diversi artisti contemporanei come ad esempio Amila Hrustic, studentessa di fashion design a Sarajevo che con la sua “Plato’s Collection” (Figura 32-35) , presenta abiti confezionati a mano ispirati alle geometrie del filosofo greco, esaminando il concetto dello spazio in rapporto al corpo umano: uno studio sulla percezione e sui contrasti, un’indagine del rapporto fra artificiale e organico, amorfo e geometrico.

(1.)

Timeo di Platone (360 a.C.), dialogo platonico.

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32.“Plato’s Collection”, 2010 - Amila Hrustic http://www.maricazottino.com/blog/?p=1889

33.“Plato’s Collection”, 2010 - Amila Hrustic http://www.maricazottino.com/blog/?p=1889

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34.“Plato’s Collection”, 2010 - Amila Hrustic http://www.maricazottino.com/blog/?p=1889

35.“Plato’s Collection”, 2010 - Amila Hrustic http://www.maricazottino.com/blog/?p=1889

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3. Filosofia nel video. 3.1. La prospettiva alchemica nella creazione video.

Spesso si sente parlare di alchimia durante la creazione di certi film, cortometraggi o opere videoartistiche. Con questa idea, si allude al fascino specifico degli ambienti e delle situazioni audiovisive ricreate dagli artisti ed è ciò che è stato fatto per la presente realizzazione documentaristica. Si tratta di una soluzione romantica per arginare quella costante interrogazione che le immagini elettroniche implicano in sé; e con essa, i metodi per gestirla o eluderla. Anche nella stessa alchimia storica la fantasticheria ha un ruolo non determinante. Attraverso un’attività al contempo filosofica e materiale, si gestisce l’essenza delle sostanze e dei sentimenti, per procedere poi ad un percorso di rigenerazione. Il fine di questo percorso non è sempre e solo la creazione, ma anche una sorta di assemblaggio o mixaggio di elementi. Nella ricerca sul senso del fascino dell’immagine elettronica, l’alchimia offre possibilità di tutto rispetto, come ad esempio il video, sembra essere una sorta di “scienza basata sulle immagini”: icone, simboli e figure astratte, soluzioni di grande interesse simbolico ed estetico. L’alchimia dà forma ad un desiderio di comprensione pratica delle realtà essenziali che stanno al fondamento del mondo e delle “cose”. La rigenerazione non avviene attraverso la ricerca sulla natura dell’immagine elettronica, ma attraverso i suoi soggetti. La prospettiva alchemica, dunque, è solo una tra quelle che possono superare la mera utilità mondana del video, nell’interpretare l’immagine come testimone di una qualche essenzialità o per lo meno di una profondità, e trovare una giustificazione all’impressione ancora vaga del suo fascino. 56


4. Nuovo modo di fare di arte. 4.0. Arte Concettuale: l’essenza come elemento artistico.

“Origine significa, qui, ciò da cui e per cui una cosa è ciò che è ed è come è. Ciò che qualcosa è essendo così com’è, lo chiamiamo la sua essenza. L’origine di qualcosa è la provenienza della sua essenza. Il problema dell’origine dell’opera d’arte concerne la provenienza della sua essenza. Secondo il modo comune di vedere, l’opera nasce dall’attività e in virtù dell’attività dell’artista. Ma in virtù di che cosa e a partire da che cosa l’artista è ciò che è? In virtù della sua opera.” 1 (Martin Heidegger, L’origine dell’opera d’arte, 1935)

Alla base dell’ evoluzione del paradigma artistico a partire dagli anni Cinquanta, di questo nuovo clima nel mondo dell’arte, un’altra fondamentale rivoluzione contribuiva fortemente ad influenzare il cambiamento del concetto stesso di opera d’arte, fino ad intaccarne le basi tradizionali quali l’unicità, l’autonomia e la materialità stessa. Si raggiunge così, alla fine degli anni Sessanta, uno sconfinamento dai limiti convenzionali dell’arte nella condizione della ricerca e nei processi di concettualizzazione e di interrogativa riflessione sul fare artistico: tali stravolgimenti sono ad opera di quella corrente di pensiero artistica definita arte concettuale che andava riscuotendo sempre più successo in quegli anni. Ha introdotto la definizione di “conceptual art” Sol LeWit

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in un suo articolo. In questo articolo l’attenzione si poneva sul lavoro

dell’artista coinvolto nella situazione, in cui l’ intenzione che suscitava l’evento entrava a far parte dell’evento stesso, e sull’ idea, intesa come una macchina per fare arte. L’arte concettuale rifiuta qualsiasi ricerca estetica e formale e si rivolge ad un’ investigazione delle esperienze mentali e alla indagine sulla natura dell’arte stessa; uno degli obiettivi dell’arte concettuale è, infatti, quello di sollecitare l’attività mentale dello spettatore, quindi di spostare l’attenzione dall’oggetto d’arte ai suoi presupposti ovvero ai principi che presiedono la sua concezione. L’opera non è altro

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che un mezzo visivo per comunicare un atto mentale, un “processo”. Si propone, quindi, di considerare l’arte concettuale “come una corrente di ricerca intellettuale, speculativa” (Sol LeWit, Artforum, 1967). In questo periodo troviamo anche una serie di movimenti e di artisti che, con maggiore o minore consapevolezza, propongono lo stesso approccio all’arte effettivamente concettuale: la land art, l’arte povera, la body art, la narrative art, etc..

(1.)

Sol LeWitt (Hartford, 1928 – New York, 2007) è stato un artista statunitense. È stato un artista legato a vari movimenti tra cui l’arte concettuale e il minimalismo ed è famoso per i suoi Wall drawings e le sue strutture, basate su semplici forme geometriche, che non di rado dialogano con l’architettura.

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4. Nuovo modo di fare arte. 4.1. Fare arte con elementi primari.

Nel 1967 in relazione ad un gruppo di artisti composto da, Pier Paolo Calzolari 1, Jannis Kounellis 2, Mario Merz 3, Pino Pascali 4, Giuseppe Penone

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e molti altri,

lo storico dell’arte contemporanea Germano Celant conia il termine “arte povera” che si ricollega alle grandi utopie delle avanguardie storiche per il suo esprimersi, basato sulla relazione con le situazioni sociali e culturali, nonché ambientali e contestuali. Da qui l’uso di processualità e di tecniche diverse, così da spaziare in tutti i territori della comunicazione visiva, senza distinguere tra i valori energetici e fisici, concettuali e concreti di un fare che può oscillare dalla scultura alla performance, dalla fotografia alla televisione. Aperto ad un pensiero che tende a consolidarsi in processi mobili e variabili, il linguaggio dell’arte povera si è caratterizzato per l’interesse ad un uso filosofico, quanto concreto di materiali eterogenei che vanno verso la rappresentazione simbolica. Impegnata in un agire che oscilla tra discorso metafisico e totalità sensoriale, arriva ad utilizzare elementi come acqua, aria terra e fuoco, che assumono un’importanza particolare per il loro appartenere al mondo del primario e dell’essenziale. L’arte povera si è impegnata in un atteggiamento iconoclasta e de-costruttivo che tiene conto dei problemi dell’esistenza e si muove in relazione alla molteplicità delle situazioni temporali e spaziali. Il movimento dell’arte povera ha acquisito negli anni, per il suo innovativo e originale contributo, dovuto alle singole individualità, una definitiva importanza, paragonabile al futurismo italiano, nell’ambito della scena dell’arte contemporanea internazionale. 59


(1.)

Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943) è un artista italiano. Vive e lavora a Fossombrone. Diviene presto uno dei protagonisti dell’Arte povera. Tra i materiali più usati da Calzolari troviamo il ghiaccio, la margarina, il piombo fuso, le scritte al neon, materiali metallici, organici e naturali, malleabili, con una preferenza per le relazioni che implicano il concetto di trasformazione e aggiungendo agli oggetti fisici il suono come esperienza temporale.

(2.)

Jannis Kounellis (Pireo, 1936) è un pittore e scultore greco. Esponente di primo piano di quella che il critico Germano Celant ha definito “arte povera”. Le sue installazioni diventano delle vere e proprie scenografie che occupano fisicamente la galleria e circondano lo spettatore rendendolo attore protagonista in uno spazio che inizia anche a riempirsi di animali vivi, contrapposti alle geometrie costruite con materiali che evocano la produzione industriale. Nella “Margherita di fuoco” appare appunto anche il fuoco, elemento mitico e simbolico per eccellenza, generato però da una bombola a cannello.

(3.)

Mario Merzi (Milano, 1925 – Torino, 2003) è stato un artista, pittore e scultore italiano, esponente della corrente dell’arte povera. metà degli anni sessanta iniziò ad abbandonare la pittura per sperimentare materiali diversi, come i tubi al neon, con cui perforava la superficie delle tele per simboleggiare un’infusione di energia, oppure il ferro, la cera e la pietra, con cui sperimentava i primi assemblaggi tridimensionali, le “pitture volumetriche”.

(4.)

Pino Pascali (Bari, 1935 – Roma, 1968) è stato un artista italiano. Artista eclettico, Pascali fu scultore, scenografo e performer. Nelle sue opere riunisce le radici della cultura mediterranea (i campi, il mare, la terra e gli animali) con la dimensione ludica dell’arte: un ciclo di opere è dedicato alle armi, veri e propri giocattoli realizzati con materiali di recupero (metalli, paglia, corde) e molti suoi lavori ripropongono le icone e i feticci della cultura di massa. È ritenuto uno dei più importanti esponenti dell’arte povera, insieme a Jannis Kounellis e Mario Merz.

(5.)

Giuseppe Penone (Garessio, 3 aprile 1947) è un artista e scultore italiano, esponente della corrente dell’arte povera, vive e lavora a Torino. Le sue installazioni e i suoi oggetti sono fatti di materiali presi della natura i cui processi di trasformazione vengono coinvolti nella formazione dell’opera (acqua e agenti atmosferici).

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4. Nuovo modo di fare arte. 4.2. Minimal Art e Arte Povera.

Se teniamo in considerazione i pensieri filosofici e artistici del passato emerge una concezione di bello indissolubilmente legato alla razionalità, alla scienza perfetta e al rapporto divino. Mentre con le avanguardie moderne e contemporanee si considerano i sentimenti che vengono suscitati dall’opera che si uniscono in combinazioni di caso e necessità, bellezza e bruttezza, aspettato e inaspettato, chiaro e scuro etc.. Quindi la nozione di bello ha avuto una notevole variabilità nel corso della storia. Con l’avvento della modernità entrano in campo, sia nell’arte che nella scienza, l’irregolare e il caotico, non più però come espressioni antitetiche al bello, ma come forme alternative e nuove del gusto estetico. Facendosi, quindi, strada le nuove tendenze di gusto, si apre l’arte verso i più svariati campi dell’esplorazione estetica dell’uomo. Si passa verso periodi storici signifi cativi come le avanguardie, e in altri momenti si ritorna all’essenzialità più semplice con la minimal art e l’arte povera. Quest’ultima si muove dalla volontà di creare con l’essenziale, con elementi base della natura, contesti artisticamente interessanti e molto coinvolgenti. L’opera d’arte nasce, dunque, da una spinta emotiva che l’artista decide di trasformarla e renderla comunicazione. Quando l’opera è creata, il fruitore tende ad attribuire un’intenzione comunicativa, una motivazione all’artista e quindi all’opera stessa. In ogni caso essa non sarà mai coincidente all’intenzione che ha originato l’opera, ma lo stesso quest’ultima vivrà grazie alla molteplicità delleriletture dei suoi fruitori. Notiamo quindi come nell’opera ci sia una parte dell’emozione estetica dell’artista ma anche una parte 61


dell’attribuzione di intenzioni del fruitore. Il riconoscimento dell’emozione estetica è però vero, che non sia un compito sempre facile per il fruitore; questa difficoltà, poi si accresce, con la tendenza contemporanea di abbandonare la “tela” per creare e produrre opere con altri materiali anche multimediali. In queste nuove creazioni, l’emozione estetica è stata costretta ad assumere nuove forme espressive, ed è stata costretta ad piegarsi ai vincoli dei nuovi materiali usati.

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5. Arte povera: Fuoco. 5.0. Dan Flavin e la luce.

Forza purificatrice del mondo, il fuoco, negli anni venti insieme al ferro, diventa tra le due guerre quasi un motivo decorativo spesso utilizzato con ironia e gioco; nel secondo dopoguerra, le combustioni di Alberto Burri

1

non evocano solo

la distruzione passata ma annunciano anche il nuovo; alla fine degli anni Cinquanta la fiamma nelle installazioni di Yves Klein 2 sprigiona energia cosmica, eredità assunta dal nouveau realisme parallelamente alla forza emanante dai materiali stessi negli artisti dell’arte povera. Il fuoco ricompare come archetipo di purificazione nelle performances degli anni Settanta, e oggi videoartisti quali Fabrizio Plessi 3 lo interpretano in senso installativo attraverso un medium di leggerezza e di luce; similmente ha fatto Dan Flavin 4, che opera dal 1963 con tubi al neon industriali, non piegati, non modificati nelle loro caratteristiche standard da nessun intervento manuale. I tubi sono lineari, di vari colori, che da un lato cambiano la percezione dello spazio grazie all’intensa luce colorata che da questi proviene, dall’altro chiedono di essere considerati per la loro forma elementare, fisica e concreta. Nel 1963, nel suo studio, scopre la potenzialità della luce: appende a una parete un tubo fluorescente e immediatamente capisce quello che sarà il suo percorso espressivo. L’opera, chiamata dall’artista “The Diagonal of May 25 to Robert Rosenblum” (Figura 30) del 1963 è il punto di partenza del lavoro successivo, la base di tutte le future opere luminose. Da quel momento inizia a progettare opere d’arte, che chiama “Icons” (Figura 31), realizzate con luce elettrica, tavolette di masonite dipinte con un solo 63


colore, circondate da lampadine e da tubi fluorescenti. “Le mie icone sono mute, anonime, ingloriose non evocano il Salvatore in ricche cattedrali, ma celebrano aride stanze”. (cit. Dan Flavin)

Queste opere luminose, che vogliono rappresentare soltanto loro stesse, create con tubi di luce al neon di produzione industriale, in schemi compositivi estremamente semplici e modulari, proiettano la loro luce nello spazio circostante coinvolgendo l’ambiente in cui sono inserite. Le installazioni di spazio-luce, oggetti-immagine, spesso progettati ed elaborati proprio per una loro collocazione in un preciso spazio architettonico, si basano sull’essenzialità geometrica, su specifici ritmi compositivi originati dalla combinazione di luce, colore e prospettiva. Tubi al neon ridisegnano le prospettive, una trascendenza di luce e colori avvolge il visitatore provocando all’artista emozioni continue. Non si tratta solo di un’esperienza visiva, le opere di Flavin emettono calore e onde sonore, un’aura soffusa avvolge i tubi, un brusio sommesso si sprigiona dal voltaggio dei fili elettroluminescenti, creando un’esperienza plurisensioriale e sinestetica. Flavin costruì singoli lavori e installazioni che non hanno nulla di provocatorio: egli non si propone di contestare per ricreare, ma semplicemente di coinvolgere lo spettatore, trasmettendogli pensieri ed emozioni.

(1.)

Ablerto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995) è stato un artista e pittore italiano, è stato l’artista italiano, insieme a Lucio Fontana, ad aver dato il maggior contributo italiano al panorama artistico internazionale del secondo dopoguerra. La sua ricerca artistica è spaziata dalla pittura alla scultura avendo come unico fine l’indagine sulle qualità espressive della materia. Ciò gli fa occupare a pieno titolo un posto di primissimo piano in quella tendenza che viene definita «informale».

(2.)

Yves Klein (Nizza, 1928 – Parigi, 1962) è stato un artista francese, precursore della body art, da alcuni annesso al nouveau réalisme. Molte delle sue prime opere furono dipinti monocromi, in diversi colori. Realizzò più di mille tavole in sette anni. Il suo intento era quello di utilizzare i singoli pigmenti puri, in modo che il colore non perdesse la luminosità una volta unito ad un legante.

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(3.)

Fabrizio Plessi (Reggio Emilia, 1940) è un artista italiano, che opera in Italia e in Germania, attivo principalmente nell’ambito delle videoinstallazioni. L’opera di Plessi è incentrata principalmente sul tema dell’acqua e del fuoco, rappresentati su grandi schermi.

(4.)

Dan Flavin (New York, 1933 – 1996) è stato un artista statunitense. Era un artista minimalista autore di installazioni realizzate con comuni lampade al neon da parete. Questi lavori, da lui chiamati “Icons”, sono comunemente riconosciuti come iniziatori del movimento minimalista del 1963.

36.“The Diagonal of May 25 to Robert Rosenblum”, 1963 - Dan Flavin http://www.artnet.com/magazineus/features/saltz/saltz5-5-08_detail.asp?picnum=2

37.“Icons”, 1961 - Dan Flavin http://www.maricazottino.com/blog/?p=1889

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5. Arte Povera: Aria. 5.1. Giuseppe Penone.

“L’aria che immetto nello spazio compiendo un atto involontario come respirare, crea un volume nuovo che è già una scultura.” (cit. Giuseppe Penone)

Dopo le esperienze sulla realtà che conosceva meglio, quella dei boschi nei pressi di Garessio, Penone si trasferisce a Torino e inizia a lavorare sugli spazi quadrati di una galleria d’arte. Nascono allora opere quali: “Elemento muro”, “Elemento pavimento” e, naturalmente, “Barra d’aria” (Figura 38), con le quali egli prende coscienza, in maniera soprattutto fisica, della nuova realtà che lo circonda. Questa ricerca lo porta nel 1970 a concentrare il proprio interesse sul tema della pelle e degli occhi, in quanto elementi estremi di confine del nostro corpo e di scambio fra noi e il mondo e, nel contempo, punti fondamentali di ricezione delle immagini della nostra esistenza. Penone fonda la sua ricerca attorno al rapporto uomo-natura. L’uomo attraverso la conoscenza sensoriale acquisisce una coscienza empirica ed intuitiva dell’universo e delle leggi che ne regolano accrescimento e decadenza. La natura è così percepita come un processo organico di mutazione della forma. La concezione fluida del mondo nella sua relazione con l’arte porta l’artista ad esprimersi, dalla materia inorganica a quella organica. La storia della materia, dei legni, delle terre, dei bronzi, delle terrecotte, animano sempre le opere di Penone. La sua arte non è pura presenza, l’oggetto non si pone inerme davanti all’osservatore ma si arricchisce del soffio vitale che lo ha percorso, del fuoco che lo ha modellato, della mano che lo ha tracciato.

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Molte opere

di Penone nascono dal contatto diretto fra corpo e materia:

nei “Soffi” (Figura 39) del 1978 la scultura in terracotta, simile ad un vaso, reca l’impronta del corpo e della bocca dell’artista che ha voluto visualizzare la forma che prende l’azione di soffiare contro il proprio corpo: l’aria come oggetto di arte.

38.“Barra d’aria”, 1969 - Giuseppe Penone http://extravesuviana.wordpress.com/2011/12/06/through-glass/

39.“Soffio di foglie”, 1979 - Penone http://www.undo.net/it/magazines/1232532748

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5. Arte Povera: Terra. 5.2. Pino Pascali.

“Fuoco Immagine Acqua Terra ”, la mostra che si tenne nel giugno 1967 a L’Attico di piazza di Spagna, un appartamento sito all’ultimo piano di un palazzo borghese, destò scalpore all’epoca per l’adozione di elementi naturali nella costituzione di un’opera d’arte. Oggi la percezione è diversa, ma allora, quarant’anni fa circa, fare entrare fuoco, acqua, terra in galleria era una vera e propria rivoluzione. Gli elementi naturali aprono a Pascali, attraverso le nuove poetiche dei materiali, un inedito contatto con la natura e con i suoi elementi primitivi: terra, acqua, fuoco, legno, sabbia, ferro. Pascali cerca un approccio alle proprie origini infantili, rivalutando elementi naturali per la propria essenza. A settembre del 1967 a Genova, per la mostra “Arte povera - In spazio“ a cura di G. Celant, ripresenta “1 metro cubo di terra “ (Figura 40) e “ 2 metri cubi di terra “ (Figura 41): un cubo di legno rivestito di terriccio vero, sospeso a parete, un sogno di natura autentica, di terra mediterranea. Ne era autore un artista nato a Bari, Pino Pascali, che nello stesso anno fu consacrato dalla Biennale di Venezia vincendo il premio per la scultura. Dopo la sua morte, a soli trenta tre anni, la sua fama è cresciuta nel tempo: il Moma di New York, ad esempio ha acquisito una sua opera per due milioni di dollari.

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40.“1 metro cubo da terra”, 1967 - Pino Pascali http://www.daringtodo.com/lang/it/2011/09/28/arte-povera-2011-al-mambo-di-bologna

41.“2 metri cubi da terra”, 1967- Pino Pascali http://www.daringtodo.com

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5. Arte Povera: Acqua. 5.3. Pier Paolo Calzolari.

Raffinata cultura e sensibile espressione di poetica hanno connotato sin dai tempi dell’arte povera il percorso di Pier Paolo Calzolari. Dopo un esordio di ricerca new dada, fu subito tra i protagonisti del movimento teorizzato da Celant. Calzolari da allora dispiegò un repertorio di elementi naturali (foglie di tabacco, cera, sale, piombo, grassi, muschio, pentole di acqua) messi in relazione energetica con candele, lampadine elettriche, filamenti di neon, fuochi e fumi di gas, registrazioni di suoni e di rumori. Compaiono negli anni Settanta le installazioni in cui divengono protagoniste le formazioni di ghiacci, di brine, di vapori freddi, che a contatto con superfici metalliche evocando un mondo di precarie malinconie, di silenziose apparizioni e disfacimenti del senso dell’essere. Apparizioni sceniche al limite della performance, ma dietro le quali sono sottesi echi e rimandi a letteratura, a musica, a teatro, ad architettura. Calzolari, sceglie di avvalersi di materiali effimeri, soggetti ad una trasformazione rapida nel tempo, come il ghiaccio (Figura 42) o il fumo nero delle candele. Costruisce delle installazioni piuttosto precarie che sono al limite tra l’opera, l’installazione e la performance. La sua arte è ricca di riferimenti poetici, di silenzi e rumori racchiusi in strutture complesse che in linea con la filosofia dell’arte povera, interagiscono con l’ambiente trasformandosi in esso.

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42. “Natura Morta”, 2007, Pier Paolo Calzolari http://www.teknemedia.net/magazine_detail.html?mId=3377

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6. Semiotica Visiva. 6.0. Un nuovo modo di comunicare.

Grazie a questo panorama teorico che va dalla nascita del video design alla pratica cinematografica e documentaristica, passando per i contributi e l’analisi sociologica dei Media e la riflessione filosofica, possiamo riuscire ad attraversare la densità e la sinestesia dell’immagine cinematografica, così come la presenta e la fa sperimentare Peter Greenaway 1 stesso. Ogni singola immagine, infatti, contiene allo stesso tempo testo, fotografia, immagine in movimento e disegno. Questi elementi si combinano in un unico spazio, fatto di immagini incassate, di inserti, di sovrapposizioni in trasparenza o in contrasto che difficilmente possono essere analizzati al di fuori della loro dinamica temporale. Il montaggio si spinge verso logiche “miste”, mescolando il montaggio classico con quello non lineare (non sequenziale), fatto di immagini che si sovrappongono e schermi che si moltiplicano all’infinito. Un trattamento del genere non sarebbe pensabile senza l’utilizzo di tecnologie digitali che, in fase di post-produzione, trattano l’immagine cinamatografica, come fosse una tela su cui si depositano differenti strati di colore.

“Se la logica dell’immediatezza porta a cancellare o a rendere automatico l’atto di rappresentazione, la logica dell’ipermediazione riconosce l’esistenza di atti di rappresentazionemultipli e li rende visibili […] L’ipermediazione ci spinge a guardare la cornice e l’atto di mediazione, non pretendendo di soddisfare il nostro desiderio di immediatezza, ma cercando di “riprodurre la ricchezza sensoriale dell’esperienza umana”. 2 (cit. Bolter e Grusin, 1999)

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L’attenzione, dunque, si sposta sul sistema semisimbolico tra la struttura topologica e cromatica dell’inquadratura e il piano narrativo (tra tutte l’opposizione bianco/nero, colori contrastati, messa a fuoco/sfocamento contro la valorizzazione modale micro/macro): il livello plastico lavora attraverso linee, densità ritmi pieni e vuoti che traducono visivamente la partitura musicale, composta passo passo per accompagnare e modalizzare il documentario. Secondo Ejzenstejn 3 il nuovo montaggio artistico contemporaneo nasce attraverso tre fasi:

- un montaggio all’interno dell’inquadratura, che compone le immagini come un significante pittorico; - la componente narrativa e l’effetto sullo spettatore; - il montaggio audiovisivo che collega la linea visiva e con la banda sonora attraverso una correlazione simbolica tra colore, forma, movimento, musica e silenzio.

I tre tipi di montaggio devono agire simultaneamente, in orizzontale e verticale, per creare una linea di sollecitazione emotiva tra il motivo (il significante) e il tema (il significato - la narrazione). Questa sensibilizzazione emotiva prepara il terreno per rendere possibile nello spettatore un’importante esperienza: il collegamento tra l’immagine mentale ed il pathos dove per pathos si intende l’effetto che si instaura tra il coinvolgimento sensibile dello spettatore e l’elaborazione personale del tema. È la costituzione di questo rapporto che definisce la poeticità dell’immagine o della sequenza, che si basa quindi sui contrasti tonali (visivi e sonori) interni o esterni alle inquadrature.

“Alla percezione, alla sensibilità del creatore si offre una data immagine contenente quel tema emotivo che il creatore sente di dover esprimere. Compito del creatore è di trasformare quest’immagine in una serie di rappresentazioni parziali che servano di base alla costruzione generale e che, associate e giustapposte, evochino nell’animo dello spettatore – o lettore, o ascoltatore – la stessa compiuta immagine che inizialmente si era presentata all’artista.” (cit. Ejzenstejn, 1964)

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L’effetto estetico di cui parla il regista è un fenomeno complementare alla sollecitazione emotiva che nasce dall’omologia strutturale tra opera d’arte e fenomeni organici e che recepisce, in un certo senso, la visione kantiana del fatto estetico. L’aspetto rilevante è quello dell’estasi, intesa letteralmente come ex-stasis: tutto ciò che costringe lo spettatore ad uscire fuori da sé stesso, a spezzare con l’immobilità di un determinato sentire, per andare incontro all’oggetto del desiderio. “Uscire da se stessi implica necessariamente il passaggio a qualcos’altro, a qualcosa di qualitativamente diverso o contrario rispetto a quel che precedeva. […] La componente patetica è un’incessante estasi,un’incessante uscire fuori di sé: un salto continuo da una qualità all’altra, che interessa ciascun singolo elemento e livello dell’opera a misura che il contenuto emozionale della sequenza, dell’episodio, della scena, dell’opera stessa aumenta progressivamente fino a raggiungere un massimo di intensità. “ (cit. Ejzenstejn, 1981)

L’importanza delle correlazioni tra gli elementi plastici del piano dell’espressione audiovisivo e la stratificazione del significante sono protagonisti dell’evoluzione semiotica del video.

(1.)

Peter Greenaway (Newport, 5 aprile 1942) è un pittore, regista e sceneggiatore gallese. Considerato uno dei più significativi cineasti della cinematografia britannica contemporanea, occupa un posto centrale nel dibattito sul cinema d’autore. Il principale interesse di Greenaway riguarda l’arte figurativa e la pittura in particolare. I suoi film sono caratterizzati da un forte impatto visivo e da tematiche estreme come la sessualità e la morte. L’arte stessa, come mezzo per interpretare la realtà, è spesso un soggetto portante dei suoi lavori. Da questo deriva la sua concezione del cinema come un tipo di arte figurativa.

(2.)

Bolter e Grusin, scrivono “Remediation” nel 2002, frutto dell’acuta intuizione di Marshall McLuhan, e proclamano e approfondiscono il discorso sull’ipermedialità, attraverso il ricorso ai principi di immediatezza ed ipermediazione affermando che il contenuto di un medium è sempre un altro medium.

(3.)

Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (Riga, 1898 – Mosca, 1948) è stato un regista, sceneggiatore, montatore, scrittore, produttore cinematografico e scenografo sovietico. Ritenuto tra i più influenti della storia del cinema per via dei suoi lavori, rivoluzionari per l’uso innovativo del montaggio e la composizione formale dell’immagine.

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7. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.0. Introduzione.

“From Micro Aspect to Macro Prospective” (Figura 43-44) è un progetto di audio-visual design documentaristico teso ad esplorare i rapporti e i confini tra suono e immagine nell’ambito scientifico e filosofico degli elementi primitivi costituenti l’universo. Sviluppato in breve tempo dall’esperienza maturata nell’ambito del corso accademico di “Video Music” coordinato dal professor Piero Fragola, questo lavoro è il frutto di un’interazione fra arte, filosofia, e tecnica digitale. Il progetto è stato inizialmente messo in discussione, poiché focalizzato su una tematica troppo generica, ma dopo diverse limature è stato realizzato sotto forma di video-proiezione in un ambiente sinestestetico. Si è partiti da alcune riflessioni sugli orizzonti progettuali dischiusi dalla possibilità di manipolare e associare immagini e suoni attraverso un’azione diretta con appositi software. Prendendo spunto principalmente dal concetto di mixaggio, elaborato nell’ambito della teoria dei media di Gene Youngblood (1988) e Lev Manovich (2004), e delle ricerche sinestetiche nel design della comunicazione audiovisiva di Michel Chion (1999), “From Micro Aspect to Macro Perspective” si propone di sondare alcune delle nuove strategie di connessione tra immagini in movimento e suoni nell’ambiente scientifico, ma allo stesso tempo alchemico dell’universo. Nel caso specifico di questo progetto sperimentale, il punto di partenza è costituito da un flusso video di carattere apparentemente documentaristico, costituito da una serie di sequenze che si riferiscono ad entrambi i campi attraverso tecniche di mixaggio, sfocatura e interazione. Da queste immagini vengono estratte emozioni 75


e pensieri del tutto diversi da quelli che possono suscitare i classici documentari. L’intento, infatti, era quello di creare una serie di immagini della natura in movimento in un modo unico e coinvolgente, tale da rendersi visualizzabile in maniera attiva e non passiva. Si è cercato di esprimere l’essenza della natura, spezzando, mixando, manipolando, sovrapponendo le immagini in movimento. Questa interpretazione semplice ma suggestiva ispira il pubblico, incoraggiandolo a rilassarsi, mentre utilizza la propria immaginazione per vedere il mondo sotto una nuova ottica, guardando al proprio interno e soffermandosi sulla realtà dell’universo. Le proiezioni e l’ambiente sonoro/sintetico immergono lo spettatore in una serie di esperienze che lo aiutano a comprendere le peculiarità e le atmosfere delle condizioni presenti della natura.

43. Prova font video, “From Micro Aspect to Macro Perspective”

44. Prova font video 2, “From Micro Aspect to Macro Perspective”

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7. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.1. Il documentario Artistico.

L’esecuzione del progetto prevede l’utilizzo di due proiezioni affiancate: la prima con la proiezione del documentario sul grande schermo; la seconda con una proiezione mappizzata su di un ottaedro di immagini semplici ed elementari. L’affiancamento di queste due proiezioni consente allo spettatore di seguire in tempo reale il procedimento di analisi e di percepire con maggiore precisione il collegamento di tale processo con il flusso di diversi eventi sonori e visivi. Il video principale è articolato intorno al numero tre, principio di base dell’universo: infatti per ogni solido e di conseguenza per ogni elemento sono state sviluppate tre scene per un totale di diciotto scene totali compresa scena iniziale e finale. Ogni scena è costituita da uno sfondo video sottostante e da una descrizione scientifica, in primo piano, dell’elemento analizzato, affiancato da geometrie in trasparenza sempre in continuo movimento. Si è giocato con loop, con sovrimpressioni, con trasparenze e tagli per rendere il documentario più piacevole ed emozionale. Si è voluto creare un’ atmosfera per permettere al pubblico di cogliere il potenziale estetico, le caratteristiche espressive e relazionali, le modalità compositive, le connessioni del mondo scientifico con quello alchemico, tutto ciò che in questo progetto ha elevato l’immagine elettronica, fatta solo di impulsi e frequenza. E’ qui, infatti, che avviene il salto qualitativo del documentario artistico, che sostanzia ancora di più l’utilizzo di un termine come videodesign: alla progressiva digitalizzazione delle immagini in movimento, si aggiunge quel pathos di cui tanto i greci hanno tanto parlato, allo scopo di coinvolgere ulteriormente il pubblico. 77


Il secondo nucleo della ricerca si incentra più specificamente sull’isolamento dell’oggetto, del solido platonico, con la proiezione mappata su quattro facce, anche con semplici flash al fine di distogliere l’attenzione univoca dello spettatore verso la proiezione principale. L’approccio è nella direzione di un videodesign inteso sia come pratica progettuale, che ha come oggetto gli elementi paratestuali legati alla forma-video (titoli, effetti, filtri, animazioni, rendering, illustrazioni, descrizioni), sia, ed in modo sostanziale, come idea legata alla forma espressiva del video come possibile elemento di documentazione scientifica o filosofica. Si prevede e si valorizza, perciò, nel momento della proiezione, un intricato sistema di interrelazioni che incidano su di una fitta trama di temi diversi. Per consentire ciò, si è resa necessaria una riflessione sulla dimensione progettuale dell’artefatto video, sulla sua collocazione all’interno del sistema degli oggetti e della loro interconnessione. Una certa attenzione è stata posta anche sulla definizione della grammatica interna al video sullo spazio-tempo dello schermo, dove trasparenze, sovraimpressioni, e loop sono i possibili vettori di organizzazione dello spazio e del tempo dell’oggetto audiovisivo. Questi due video sono stati sviluppati per essere proiettati comtemporaneamente e concepiti in modo da richiamarsi continuamente l’uno con l’altro.Entrambi hanno comportato un lavoro di ricerca simbolica e di raccolta di materiale al fine di ottenere una situazione sinestetica multisensoriale diversa dal classico documentario. Infatti l’attenzione si è focalizzata sulle strategie contemporanee della visione e sulle relative “forme simboliche” rinvenute attraverso l’analisi delle caratteristiche proprie dei video-oggetti, effettuata all’interno del nucleo filosofico e alchemico.

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7. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.2. Time line.

Elemento importante ed elemento base, propria dell’attuale forma video, in grado di marcare una differenza in termini di sguardo e percezioni è quella della timeline. Dai software di montaggio a quelli di suono, la timeline ha sostituito di fatto il pentagramma come paradigma della composizione spaziale, lo spazio in cui qualsiasi modulo multimediale può venire assemblato a qualsiasi altro. Uno dei primi artisti ad usare il film come tavola da composizione è il tedesco Hans Richter 1, che fa emergere da fondo nero ed interagire tra loro forme semplici di geometria euclidea “Rhythm 21” (Figura 45) del 1921 ed elementi luminosi “Filmstudie” (Figura 46) del 1925, “Inflation” del 1928 (Figura 47) come se le figure fossero scontornate tramite un software di computer grafica. Lo stesso uso di forme semplici pulsanti nel quadro al ritmo sinestetico è stato fatto per “From Micro Aspect to Macro Perspective”, grazie però a software come After Effects, Blender, e Adobe Premiere.

(1.)

Hans Richter (Berlino, 1888 – Locarno, 1976) è stato un regista e pittore tedesco. Regista, teorico cinematografico e uno dei massimi sperimentatori di estetica cinematografica. Partito da esperienze pittoriche di orientamento astratto, dedicò le sue ricerche fin dall’inizio all’esigenza di articolare lo spazio figurativo in un movimento che uscisse dai limiti del quadro tradizionale. Dopo i tentativi coi rotoli dipinti, di derivazione cinese, il passaggio al cinema divenne necessario. Nacquero così i cortometraggi “Rythm 21”, del 1921; “Rythm 23”, del 1923; “Rythm 25”, del 1925 e “Filmstudie” del 1926, esperimenti di composizione di oggetti in movimento.

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45.“Rhythm 21”, 1921 - Hans Richter http://nishikataeiga.blogspot.it/2011_04_01_archive.html

46.“Filmstudie”, 1925 - Hans Richter http://praga---bogota.blogspot.it/2011_06_01_archive.html

47.“Inflation”, 1928 - Hans Richter http://www.dokument-festival.com/database/movie/7102|Inflation

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“From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.3. Software.

After Effects, e dopo di esso molti altri software, hanno operato una vera e propria traslazione concettuale dell’ambiente di lavoro verso una completa ridefinizione delle sue modalità e caratteristiche. Non si opera più sul video in termini di sequenze, tagli, dissolvenze tra blocchi determinati di immagine in movimento, ma si utilizzano gli strumenti tipici della manipolazione grafica e tipografica: riquadri, layout, livelli, maschere, trasparenze, tracciati, ed è ciò che è stato fatto per il progetto. Il video diventa una materia da lavorare spazialmente, da disporre su di una superficie nuova, da espandere, deformare, sovrapporre, mescolare, provocando un paradossale riavvicinamento tra manipolazione dell’immagine digitale e processi pittorici o addirittura di stampo artigianale, per dare un carattere nuovo a quello che può essere un classico documentario scientifico. Una logica della composizione prende il sopravvento sulla logica del montaggio. Ogni tipo di lavoro creativo contemporaneo consiste in un’elaborazione di dati digitali attraverso l’interfaccia di un computer. Tra i software che hanno evidenziato con maggiore forza il processo di ibridazione dei media, Adobe After Effects è sicuramente quello più autorevole. Questo software, distribuito per la prima volta nel 1993, ha favorito lo sviluppo e l’affermazione di un linguaggio che oggi domina la cultura visuale: il design di immagini in movimento. After Effects permette l’integrazione di tecniche espressive prima assolutamente non compatibili tra loro, prese da linguaggi mediali considerati chiusi e definitivi. Qualità e versatilità degli strumenti di questi software hanno permesso il successo della motion graphics, che da forma espressiva dalla produzione 81


macchinosa e diventa un linguaggio espressivo vero e proprio. Oggi tra i più efficaci ed utilizzati oltre ad After Effects (Figura 48-49) troviamo anche Adobe Premiere per ottenere un editing video preciso e funzionale. Altro software utilizzato per la realizzazione del progetto è stato Blender, un software free lance che lavora su animazioni 2D e soprattutto 3D, utilizzato infatti per la produzione di elementi solidi geometrici del progetto. Per la proiezione secondaria mappata invece sono stati utilizzati Resolume Avenue per la parte di vjing e MadMapper per la mappatura del secondo video proiettato.

48.“Plexus”, After Effects’ Plugin

49. Schermata video After Effects

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7. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.4. Sound.

“La musica ambientale è lo spazio sonoro di un luogo, è la traccia acustica della memoria dello spazio”. (cit. Amaducci, 2002)

Concepito come uno strato di materiale uditivo in prossimità delle proiezioni, l’ambiente sonoro evoca luoghi che si dimostrano particolarmente sintomatici riguardo alle tematiche prese in considerazione. Questa traccia sonora è stata pensata per incrementare ancor di più l’impatto del pubblico con il video, per coinvolgerlo maggiormente nell’ambiente sintetico creato. L’ambiente sonoro consiste in una svolta ricerca di tracce dubstep 1, selezionate con metodo critico, per ottenere infine la perfetta armonia tra immagine e suono. Le tracce dubstep scelte sono dettagli di un’opera documentaria molto più vasta ed espongono una gamma di tecniche degli spazi sonori provenienti da metodi che impiegano diversi strumenti per la loro combinazione. Esse descrivono tanto un luogo quanto le sue condizioni o i suoi sintomi. La musica dubstep è un genere di musica elettronica, composta da elementi raggae dei ghetti londinesi giamaicani fusi con elementi di musica elettronica underground inglese. Con la dubstep e la musica elettronica in generale, viene quindi a mancare quella proprietà della musica che permette di creare immagini mentali, ed è per questa esigenza di compensazione che la musica ha una forte connessione con le immagini. In tutto questo assume un ruolo fondamentale la musica che da un lato segue le immagini e da un’altro però si rivolge al pubblico che sta ascoltando e vedendo. In un medium in cui l’immagine tende a disperdersi nel flusso delle stesse immagini 83


che si susseguono in ripetizione, è la musica ad assumere il ruolo principale, ed a rivolgersi allo spettatore. E’ stato necessario, quindi, una vasta gamma di conoscenze specifiche, la capacità di stabilire delle connessioni trasversali agli ambiti espressivi indicati, in modo tale da riconfigurare come una nuova tipologia di operatore culturale. Si è concretizzato perciò il processo di visualizzazione della musica. In tal modo, è stato possibile creare una congruenza tra due sfere differenti e dare luogo ad un prodotto audiovisivo in cui musica e immagine si fondano l’una con l’altra, dando vita a un linguaggio nuovo che permette di costruire significati del tutto originali. Si è creata un’esperienza sinestesica, in cui più sensi possono essere attivati contemporaneamente dallo stesso elemento. “Nel video il suono non è un semplice contrappunto, piuttosto contribuisce in maniera esplicita alla sperimentazione di nuovi regimi della significazione, in cui la coincidenza marcata con le immagini costituisce solo uno dei momenti che compongono un gioco complesso fatto di scarti audio/visivi, corrispondenze mancate, fratture esibite, ripetizioni che mirano a suscitare nello spettatore un senso di attesa e speranza.” (Peverini, 2004)

(1.)

La dubstep è un genere di musica elettronica che ha le sue radici a Londra nei primi anni 2000 nella scena garage del Regno Unito. Deriva dalla 2step, che sostituiva ritmi di batteria sincopati a quelli classici. Il tempo è generalmente intorno ai centoquaranta battiti al minuto, le ritmiche sono spesso sincopate e usualmente contengono un solo colpo di rullante, di solito sul terzo quarto. Questo differenzia la dubstep dagli altri generi da ballo come la house e la techno in quanto la ritmica risulta meno scontata, rallentata e spesso enfatizzata più dalla linea del basso che dalle percussioni.

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7. “From Micro Aspect to Macro Perspective”. 7.5. Conclusioni.

“La vita non esaminata non è degna di essere vissuta.” (cit. Platone)

La nascita della video arte apparve nei primi anni Ottanta, quando alcuni artisti di forte mentalità decisero autonomamente di utilizzarla per affrontare questioni sociali e personali, nella speranza che ciò avrebbe fatto la differenza per la società nel suo insieme. In ogni caso, fu anche usata come metodo per esaminare ed investigare alcuni aspetti della vita, la coscienza umana e i valori sociali che generarono inquietudine e deformazione nell’identità individuale. Pertanto, i video artisti usano la video arte per risvegliare una nuova coscienza alternativa, sia sociale che politica . Per i video artisti, rivoluzionare la propria forma espressiva fu molto più importante che ottenere un riconoscimento sociale come artista. E’ proprio la loro forma d’arte che consente quella libertà, poiché un video artista riflette sempre la propria esperienza sullo schermo, svelando il lato personale trasformandolo in sociale, in modo tale che tutti gli occhi possano vedere e sperimentare. Ciò che pone l’arte nella video arte, è la sensazione che essa fornisce insieme al messaggio che cerca di dare. Quando il concetto, il suono e l’immagine lavorano insieme armonicamente, il video è destinato ad infondere una particolare sensazione, rivelandosi un successo. Il riferimento continuo all’universo della sperimentazione artistica è stato in questo percorso un prezioso indicatore dei modi di sentire, di conoscere e di percepire delle videoculture. Ciò che si delinea in quest’area è l’emersione di nuove forme di creatività che si giocano nella produzione di senso a partire dalla modulazione di indistinti 85


flussi digitali con la formalizzazione dei linguaggi di programmazione. Il valore comunicativo del progetto non riguarda più soltanto la sua capacità di informare sulle proprie funzioni, ma riguarda anche la capacità di suscitare affezioni ed emozioni, come artefatto dotato di propria autonomia comunicativa.

“La video arte lavora sulla logica della forma più che sul contenuto.” (cit. Cubitt, 1993)

Il progetto realizzato si tratta, dunque, di una sottoforma di espressionismo astratto, un poema visivo che evoca sensazioni in cui non si lavora semplicemente sullo spettatore, ma “lavora con” e “dà potere allo” spettatore. E’ lo spettatore, infatti, che destruttura tale forma e le da significato; è lo spettatore l’eroe, che si diverte sul suo palcoscenico; è la sua esperienza personale tanto quanto quella delll’artista. “From Micro Aspect to Macro Perspective” (Figura 50) è stato realizzato per tornare in un certo senso a quella che è stata la sperimentazione video degli anni Ottanta, cioè filmando elementi fisici della natura come può essere la semplice nascita di un fiore, associati al presente con la musica dubstep, la quale assembla diversi elementi per creare un collage musicale senza precedenti. Anche se nella realizzazione del progetto si è cercato di emergere dalla massa, nell’era dell’informazione in cui viviamo, è difficile trovare pezzi autentici di video arte tra tutto l’eccesso esistente e ciò ci mostra come il video sia diventato una popolare forma di espressione personale, quasi perfino una forma narcisistica di auto-terapia. La fase conclusiva della ricerca, si è incentra invece sull’analisi di alcune metodologie di progettazione esistenti e sul tentativo di utilizzarle, mediante diversi software di video editing, con l’obiettivo di fornire un peculiare supporto progettuale, che mettesse in relazione l’aspetto propriamente esecutivo con quello concettuale. L’accento non è stato posto esclusivamente su di un’ estetica del video, nè soltanto sulle modalità cognitive della loro strutturazione, ma sulla complessità delle relazioni possibili tra video-oggetti e video-processi e la trasposizione 86


di questi su di un piano sensibile, con la costante consapevolezza che nessuno dei piani è estraneo all’altro. In conclusione con la realizzazione di tale progetto ho voluto esprimere un mio personale punto di vista sull’essenza della vita, del mondo e dell’universo, attraverso l’utilizzo di strumenti appartenenti alla video-culutre contemporanea; strumenti che hanno permesso la realizzazione di un ambiente sinestetico al di fuori della consueta percezione; strumenti che hanno permesso l’espressione artistica di una melodia muta di elementi che compongono la vita, il mondo, l’universo, immergendovi suggestivamente lo spettatore.

50.“From Micro Aspect to Macro Perspective”, 2013 - Diletta Franchi

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8. Glossario. Alchimia - antico sistema filosofico esoterico. Arte concettuale - espressione artistica in cui i concetti sono più importanti del risultato estetico. Arte povera - movimento artistico che elementi primari per fare arte. BEATnik - movimento contro il conformismo della società dei consumi. Body art - corrente che comprende forme artistiche fatte sul/con il corpo. Cinefilo - appassionato del cinema e della sua storia. Cinema narrative -(1906 -1915), utilizzato come svago per le classi popolari. Cinémathèeque Français - associazione privata francese finanziata dallo Stato. Cinema veritè - stile di documentario, inventato da Jean Rouch. City Symphonies - video destinati a documentare alcuni aspetti della realtà. Critofilm - ideato da Carlo Ludovico Ragghianti, un mezzo visivo e pratico che utilizza le caratteristiche espressive, estetiche e tecniche del cinema. Decodifica - traduzione di informazioni scritte in un formato criptato. Designer - progettista che si occupa di moltissimi tipi di artefatti. Dubstep - genere di musica elettronica nata a Londra nel 2000, deriva dalla 2step, che sostituiva ritmi di batteria sincopati a quelli classici. Documentario - elemento audiovisivo destinato alla rappresentazione della realtà. Filmaker - è colui che cura le riprese e il montaggio dei suoi lavori (regista). Film lirico - fase di Brakhage in cui culmina con “Dog Star Man”. Fluxus - gruppo neo dadaista del 1961 e svolge la sua attività in Germania. Fosfene - disturbo visivo caratterizzato dalla percezione di puntini luminosi in assenza di luce. Found footage - termine che si usa per descrivere film realizzati con un girato preesistente, e riassemblato in un nuovo contesto. Happening - forma d’arte di Allan Kaprow che si focalizza sull’evento che realizza. Interfaccia - L’interfaccia è un componente che permette lo scambio dei dati tra dispositivi informatici eterogenei o tra macchina e utente. Land Art - operazioni artistiche sulla natura per emergere le dissonanze dell’epoca contemporanea. Layout - struttura grafica degli interni, (impaginazione di elementi). 88


Metacinema - cinema che mostra e parla di sé stesso, sono i film che descrivono i meccanismi di funzionamento del linguaggio utilizzato. Microcinematografia - cinematografia applicata ai microrganismi o a strutture microscopiche. Minimal Art - tendenza che negli anni Sessanta, protagonista del radicale cambiamento del clima artistico, caratterizzata da un processo di riduzione della realtà, dall’antiespressività, dall’impersonalità, dalla freddezza emozionale, dall’enfasi sull’oggettualità e fisicità dell’opera, dalla riduzione alle strutture elementari geometriche. Monitor - apparecchio elettronico per la visualizzazione del video. New American Cinema - movimento di registi di cinema sperimentale degli anni Sessanta negli Stati Uniti. Nykino - cooperativa che suggeriva un’ imitazione del cinema sovietico. Nuovi Media - mezzi di comunicazione di massa sviluppatisi posteriormente alla nascita dell’informatica e in correlazione ad essa. Nouveau Rèalisme - movimento artistico degli anni Sessanta, che ha per oggetto materiali desunti dalla realtà, i più banali. Performance - prestazione artistica. Pop Art - corrente artistica della seconda metà del XX secolo che deriva dalla parola inglese “popular art” ovvero arte popolare. Postmoderno - termine usato nel Novecento, fa riferimento alla crisi della modernità nelle società a capitalismo avanzato. Psicodramma da camera - esteriorizzazione a fini catartici da parte dell’autore di allucinazioni e ossessioni. Realismo espressivo - movimento artistico sviluppatosi in Italia, un ritorno all’ordine, il recupero della tradizione italiana primitiva e rinascimentale. Software - informazioni utilizzate da sistemi informatici e memorizzate su uno o più supporti informatici. Tali informazioni possono essere rappresentate da programmi. Solidi Platonici - solidi regolari e poliedri convessi regolari. Split screen - consiste nel frazionare lo schermo in diverse inquadrature. Time-lapse - tecnica cinematografica nella quale la frequenza di cattura di ogni fotogramma è molto inferiore a quella di riproduzione. Time line - linea temporale, un’ interfaccia grafica usata nei software di montaggio video. Trancefilm -film con immaginario onirico e ricco di simbologie anche sessuali. Travelogue - documentario o programma televisivo che descrive viaggi. Videoarte - linguaggio artistico basato sulla creazione e riproduzione di immagini in movimento mediante strumentazioni video. Videoclip - breve filmato prodotto a scopo promozionale per un brano musicale. Video-danza - nuovo genere spettacolare nato negli anni Settanta quando iniziarono a rendersi disponibili le prime videocamere. 89


Video design - progetti sintetici che coinvolgono l’ambito dell’ideazione, progettazione e produzione di video digitali e videoinstallazioni. Video installazione - tipo di arte visiva nata intorno agli anni Settanta. Video scultura - forma espressiva della videoart che assume come dato di partenza il monitor come oggetto. Videotape - nastro magnetico contenuto nelle videocassette. Video-teatro - fenomeno teatrale nato in Italia a fine anni Settanta coniugando l’attività di recitazione con le nuove tecnologie elettroniche. Vijing - arte di miscelare flussi video in rafforzamento di tappeti musicali. Visualscape - rappresentazione architettonico-funzionale digitale della città.

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Bibliografia

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Sons & Lumières - Une histoire du son dans l’art du 20e siècle, catalogo della mostra a cura di Sophie Duplaix e Marcella Lista, Parigi, Centre Pompidou, 22 settembre 2004 – 3 gennaio 2005, Parigi, Edition du Centre Pompidou, 2004 Alice Cammisuli, Scolpire il tempo. Dal Documentario d’Arte alla Videoart al M.U.S.A. di Pietrasanta, catalogo della mostra a cura di Alessandro Romanini e della Fondazione Centro Arti Visive di Pietrasant, Pietrasanta, M.U.S.A., 3 agosto - 5 agosto 2012 Luca Palermo, Monumenti, Arte Pubblica e sviluppi sociali in http://netgallery.jimdo. com/saggi-e-proposte-editoriali/ Tiffany Sutton, Immersive Contemplation in Video Art Environments in http://www. contempaesthetics.org/newvolume/pages/article.php?articleID=288 Flavio Sergentini, L’arte povera è nato a Roma? in http://www.flashartonline.it/interno. php?pagina=articolo_det&id_art=947&det=ok&articolo=L%E2%80%99ARTE-POVERA-%C3%88-NATA-A-ROMA? Aleksandra Mosiołek, The fourth state of water: from micro to macro, a cura di Victoria Vesna, in http://csw.torun.pl/exhibitions/exhibitions-db/the-fourth-state-of-water-frommicro-to-macro

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Sitografia

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