CONSIGLIO NAZIONALE Roma, 27 novembre 2015
Le Acli verso il Congresso per andare incontro al futuro
Relazione di Gianni Bottalico, Presidente nazionale
«A
tutta
la
Chiesa
italiana
raccomando ciò che ho indicato in quella Esortazione: l’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale
nel
vostro
Paese,
cercando il bene comune». Papa Francesco (Firenze, 10 novembre 2015)
Si apre oggi il percorso che ci condurrà alla celebrazione del XXV Congresso Nazionale delle Acli. Una tappa del nostro cammino che assume un particolare significato dopo che abbiamo celebrato nel corso di quest'anno il Settantesimo dell'Associazione. Il prossimo Congresso ci proietterà in una storia che continua, che si apre ad altre sfide, che scruta nuovi orizzonti. Siamo pronti a svolgere la nostra parte, ad offrire il nostro contributo per l'avvenire del Paese a partire dalle nostre radici, dalla nostra triplice fedeltà ai lavoratori, alla Chiesa, alla democrazia; fedeltà che si riassumono in una nuova e sempre attuale: la fedeltà ai poveri. Così ci ha ricordato Papa Francesco lo scorso 23 maggio all'udienza per il Settantesimo. Questa è la consapevolezza che abbiamo di un ruolo peculiare e importante nel tipo di società che si configura nei prossimi anni. Intendiamo essere una Associazione viva, che si mette in gioco, seppur con la coscienza dei nostri limiti, per andare incontro al futuro cambiando noi stessi e dando un contributo al superamento dell'emergenza sociale ed al cambiamento del Paese.
Cambiare le Acli per affrontare le nuove sfide Per perseguire questo obiettivo è stato necessario sin dall'insediamento dell'attuale Presidenza nazionale avviare, in modo ponderato ed urgente, una operazione di responsabilità su alcune modalità di gestione dell'Associazione. Questo ci ha permesso di assicurare la sostenibilità dell'ambito associativo, la trasparenza e il controllo democratico. Ciononostante le reali dimensioni della crisi del Patronato appaiono oggi tali da rischiare di compromettere la tenuta dell'intero nostro sistema. Sul Patronato si profila una gravissima emergenza finanziaria ed economica, certo causata anche dal susseguirsi ininterrotto dei tagli delle ultime leggi di stabilità, che avrebbe richiesto una iniziativa capace di allertarsi tempestivamente di fronte alla prospettiva del reitearsi di questi tagli, e di intensificare la dimensione progettuale e strategica per individuare nuovi servizi e nuove modalità per finanziarli. Di fronte a questa emergenza la Presidenza ha assunto le seguenti decisioni: l'istituzione di una unità di crisi, composta dal presidente Acli, dai due vice presidenti nazionali Tassinari e Scirè, dal segretario generale Mariotto, dal vice presidente del 2
Patronato Benvignati. A questo organismo, che non è dotato di potere deliberativo e risponde alla Presidenza nazionale, è stato affidato il compito di predisporre da subito un piano di sostenibilità economica 2015-2016. La Presidenza nazionale ha altresì istituito un Gruppo di lavoro sull'innovazione e sullo sviluppo che ha il compito di analizzare, studiare e proporre attività innovative all'interno del sistema. Con queste decisioni, non semplici, abbiamo inteso affermare che il livello politico governa i processi. Per questa ragione ho assunto la Presidenza del Patronato, per affermare l'unità e la condivisione del sistema. E lavoreremo seguendo alcuni chiari criteri: la trasparenza: daremo conto dei singoli passaggi e delle motivazioni che li giustificano; la condivisione: offriremo gli strumenti per poter valutare e condividere le scelte; la corresponsabilità: ciascuno di noi sarà tenuto ad esercitare la propria responsabilità rispetto agli obiettivi; la competenza: la riteniamo un requisito fondamentale. Sul Patronato puntiamo ad una integrazione o interazione di sistema. La si chiami come si vuole. Adesso, di fronte alla gravità della situazione, l'importante è realizzarla. Da subito Patronato e Caf lavoreranno insieme su tutto il territorio nazionale. É chiaro che l'emergenza Patronato conferisce un senso nuovo e rende più urgente tutto ciò che abbiamo definito e realizzato riguardo agli aspetti gestionali e organizzativi, e che ha avuto un momento importante di sintesi e di proposta nell'Assemblea
straordinaria
dell’Associazione,
delle Associazioni
specifiche
professionali, dei Servizi dello scorso giugno. Nella nostra dimensione organizzativa e gestionale non ci saranno più rotte prestabilite e garantite: bisogna sempre di più che impariamo a navigare nel mare aperto dei nuovi bisogni sociali emergenti, delle nuove opportunità, di progetti che vanno calati nelle specificità dei territori, e di finanziamenti che vanno ricercati con 3
prontezza e inventiva. Per questo con l'Assemblea Straordinaria avevamo già focalizzato la nostra attenzione in particolare su tre aspetti. Il primo riguarda appunto l'esigenza, l'esigenza vitale, di riconnettere strettamente Associazione e Servizi in funzione soprattutto dell'adozione di scelte strategiche tempestive, indispensabili per affrontare i nuovi scenari che si prospettano anche dal punto di vista della sostenibilità, e per costruire processi innovativi, sia di sistema che nei diversi ambiti. Dobbiamo trovare, ed al punto in cui siamo anche con la massima urgenza, soluzioni per nuovi assetti di governance che siano adeguati alle sfide cui andiamo incontro. Sfide che richiederanno la massima coesione e condivisione tra i Servizi e tra questi e l'Associazione. Oggi, più che mai è indispensabile un processo strutturato per far sì che ogni componente sia una "porta sociale" di accesso e di accoglienza verso l’intero Sistema con al centro i bisogni delle persone che si rivolgono a noi, i loro diritti in quanto cittadini. Il secondo aspetto è quello della sostenibilità finanziaria, sia della sede nazionale che delle articolazioni territoriali. L'importante sforzo che abbiamo, tutti insieme, profuso nella azione di risanamento e di riequilibrio finanziario del livello associativo ci ha consentito di raggiungere l'obiettivo. E quindi tale impegno deve assolutamente proseguire. Il terzo aspetto è quello della necessità di un profondo cambiamento anche del nostro modello di azione sociale in rapporto alle scarse risorse disponibili. Dobbiamo favorire al nostro interno il lavorare per progetti ed una selezione delle buone pratiche che chiami in causa le nostre competenze, la nostra capacità di supportare i territori, i Circoli in particolare, per aiutarli ad essere sempre più luoghi di progettualità, di nuovo welfare, di mutuo aiuto tra cittadini e famiglie. Ciò implica anche una grande attenzione alla crescita ed alla formazione dei nostri gruppi dirigenti, come investimento per il futuro. In particolare, verso le nuove generazioni per le quali occorre trovare nuove modalità aggregative. La questione generazionale rappresenta una priorità per la nostra Associazione. A partire dalla riscoperta e dall'attualizzazione delle nostre radici in occasione del nostro Settantesimo ed a partire dall'avvio di un processo strutturale di aggiornamento e di riorganizzazione associativo, abbiamo individuato alcune direttrici in cui inserire la nostra azione. Abbiamo costruito insieme una prospettiva 4
con cui leggere ed interpretare gli eventi e il ruolo dell'Associazione, con cui guardiamo alle questioni aperte nel presente e a quelle che si porranno nel futuro.
La dignità del lavoro per cambiare l'economia L'affermazione della dignità del lavoro, il lavoro «libero, creativo, partecipativo e solidale», come ci ha ricordato il Papa, è la chiave per decifrare ed affrontare la situazione di crisi, di molti e gravi squilibri, di crescenti disuguaglianze. Guardiamo alle situazioni concrete dei nostri territori, rispetto alle quali indichiamo un ventaglio di interventi di ampia portata, come quelli contenuti nella campagna “La forza del lavoro”. Abbiamo posto il tema di un nuovo piano industriale e di un'idea di sviluppo per il Paese che valorizzi la straordinaria capacità delle piccole e medie imprese di creare sistemi territoriali per poter entrare in modo organizzato in reti e filiere ormai strutturate su scala internazionale. Abbiamo espresso una valutazione pragmatica del Jobs Act, che ne riconosce gli aspetti positivi, riguardo all'accesso al lavoro, alla formazione professionale, e nel contempo osserviamo che non sono sufficienti le regole per creare nuove opportunità di lavoro. E quanto alle regole, dobbiamo procedere verso un nuovo statuto dei lavori, che assicuri a tutti un adeguato sistema di protezione sociale, che punti a dare riconoscimento universale a diritti come maternità, ferie, malattia, per tutte le tipologie di lavoratori. Crediamo che il ruolo del sindacato sia importante per migliorare l'impatto concreto dei nuovi provvedimenti sul lavoro in sede di contrattazione. Servono politiche attive del lavoro, servono investimenti per lo sviluppo e per la coesione sociale, di dimensioni più consistenti, in particolare nel Mezzogiorno e nelle aree svantaggiate del Paese, perché accanto alle sperequazioni sociali sono in crescita anche quelle territoriali. Servono politiche economiche espansive per allentare l'austerità che deprime la domanda interna, che contribuisce a prolungare la crisi ed a scavare distanze sempre più profonde tra i ricchi ed i ceti intermedi e lavoratori che si impoveriscono ed allargano la fascia a rischio di povertà. L'Istat ci ricorda che è a rischio di povertà oltre un quarto della popolazione. Occorre 5
considerare le risorse impiegate per la coesione sociale non come un costo bensì come un investimento. Sono osservazioni che valgono anche per questa legge di stabilità nella quale non mancano dei segnali di allentamento dell'austerità, i quali però, come nel caso della riduzione della tassazione sulla prima casa, non sembrano adeguatamente modulati secondo un criterio di progressività. In particolare risultano insufficienti le risorse stanziate per la lotta alla povertà. Inoltre, la revisione di spesa continua a interessare il welfare e gli Enti Locali e appare poco significativa sul livello centrale dello Stato. Emblematici sono i tagli previsti sui Caf e sui Patronati. Abbiamo spiegato al Governo che siamo disposti a dare il nostro contributo nella direzione di una riforma complessiva della pubblica amministrazione. Ma questo obiettivo non lo si raggiunge partendo da tagli che oltre a ripercuotersi sulle fasce sociali più deboli, a mettere a repentaglio migliaia di posti di lavoro, si traducono anche in maggiori costi per la pubblica amministrazione. E quindi chiediamo l'azzeramento dei tagli ai Patronati ed ai Caf per consentire l'avvio di una riforma in questo settore che possa permettere ai nostri servizi anche dei riferimenti stabili per la programmazione. I cambiamenti del lavoro, che pure manifestano molti aspetti positivi, non devono spezzare il legame inscindibile tra lavoro e diritti. Dobbiamo contrastare la tendenza al lavoro che diventa povero, anziché essere strumento di emancipazione sociale e di crescita umana e civile. A mettere a fuoco questa visione ci aiuta il percorso culturale che abbiamo svolto negli ultimi tre anni, da Cortona ad Arezzo, che ci offre degli strumenti per indagare il rapporto tra perdita di centralità del lavoro e crescita delle disuguaglianze, e ci ha reso tutti più capaci di argomentare il fatto che il tema del lavoro non può essere affrontato a partire dalle esigenze di sempre maggior profitto dei mercati. Dobbiamo prepararci a sfidare questa «dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano», a dare una «risposta sollecita e vigorosa contro questo sistema economico mondiale dove al centro non ci sono l’uomo e la donna: c’è un idolo, il dio-denaro». Lo esprimiamo con le parole di Papa Francesco, ma poi la traduzione nel concreto spetta anche a noi. Dobbiamo per questo mantenere ben vivo il senso della nostra autonomia, che in passato è stata autonomia dalle ideologie, da organizzazioni e schieramenti politici 6
tendenti all'egemonia. Oggi la questione dell'autonomia delle Acli si pone soprattutto nei confronti di quella che Papa Francesco definisce l'idolatria del denaro, che ci rende incapaci di senso critico rispetto al pensiero economico dominante e nel contempo limita e condiziona la capacità di rappresentanza delle istanze popolari e di giustizia. Siamo consapevoli che l'impegno per la dignità del lavoro ci porta a porre il tema di una economia e di una finanza che si pongano al servizio del bene comune. Dobbiamo recuperare la capacità di formulare delle domande attorno a quei criteri che hanno ispirato le grandi scelte economiche di questo inizio del XXI secolo e che l'enciclica Laudato Si' definisce “obsoleti”. La mancanza di regole efficaci, in grado di ridisegnare un nuovo e vitale compromesso tra capitalismo e democrazia, ha consentito una abnorme concentrazione di ricchezze in mano agli artefici della speculazione finanziaria internazionale, che ha reso gli stati sempre più indebitati, ha costretto a smantellare pezzi importanti di stato sociale, ha reso i ricchi sempre più ricchi ed ha innescato la rovina dei ceti lavoratori e l'aumento esponenziale delle disuguaglianze. Di fronte a ciò varrà la pena chiedersi se è il caso di proseguire per questa via oppure se appaia più opportuno introdurre dei cambiamenti. Alla radice della attuale supremazia della finanza sulla politica vi sono i meccanismi di creazione della moneta, che sono ormai in larga misura affidati alla speculazione finanziaria, ed avulsi dal dato fondamentale ed incontrovertibile che la moneta appartiene al popolo. Questo è il criterio che deve tornare ad ispirare la gestione dei debiti sovrani e le modalità con cui si redigono i bilanci degli stati. In questo senso, va la proposta che abbiamo avanzato all'avvio del massiccio piano di immissione di liquidità (quantitative easing) a sostegno delle banche da parte della Banca Centrale Europea, e che rinnoviamo, visto anche il più che probabile prolungamento dell'intervento oltre il 2016: trasferire una piccola percentuale di questa enorme massa di liquidità (oltre mille miliardi) che la Bce fornisce alle banche, direttamente all'economia reale, alle famiglie, alle imprese, agli stati, come stimolo alla ripresa, perché si tratta di risorse che appartengono ai popoli della zona Euro e non solo ai banchieri. Un'altra valutazione che in questi tre anni abbiamo maturato insieme, in questo Consiglio Nazionale e anche con delle sollecitazioni che sono venute da diversi 7
territori, è quella della contrarietà alla stipula del Trattato Transatlantico (Ttip, Transatlantic Trade and Investment Partnership), che sostanzialmente priverebbe le istituzioni comunitarie e i singoli stati contraenti della loro sovranità giuridica, a vantaggio dei soli interessi delle multinazionali e delle grandi banche d'affari. Una posizione che intendiamo porre nel dibattito pubblico in termini positivi, come presupposto di un modello economico più rispettoso della dignità delle persone, del lavoro, dei diritti sociali, della tutela dei consumatori, dell'ambiente. Una posizione coerente anche con l'adesione delle Acli alla Coalizione Italiana per il Clima, ed alla marcia che questa coalizione promuove domenica prossima, in vista della Conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop21) che inizia lunedì prossimo a Parigi. Parigi, la città ferita dagli attacchi terroristici del 13 novembre. Ci stringiamo attorno a Parigi e alla Francia. Nel ricordo commosso e nella preghiera per la nostra connazionale, Valeria Solesin, assassinata nel teatro Bataclan, noi vogliamo ricordare tutte le vittime del terrorismo, vittime che sono in larga parte di religione musulmana, da Parigi a Beirut, da Tunisi a Kabul, dai villaggi della Nigeria al Kenia, Paese nel quale è da poco terminata la visita di Papa Francesco. L'immagine del Papa che scherzando dice di aver più paura delle zanzare che degli attentati, che percorre su una vettura, senza particolari protezioni, alcune fra le zone più turbolente dell'Africa e che non ha rinunciato ad aprire l'anno del Giubileo della Misericordia, crea un forte contrasto con il clima di allarmismo che si è instaurato nelle principali capitali europee. Non lasciamoci rubare la libertà e la serenità! Allo stesso tempo però occorre una analisi realistica di ciò che sta accadendo, delle forze che agiscono e delle strategie che perseguono. É lo stesso pontefice a suggerirci una chiave di lettura degli eventi bellici di questa fase della storia: sono pezzi della Terza Guerra Mondiale. Seguendo questa linea abbiamo cercato di esprimere dei giudizi sugli importanti avvenimenti internazionali di questi ultimi tre anni, perché è così che si guadagna credibilità ed autorevolezza per l'Associazione, che si può essere un riferimento per quanti cercano sentieri di pace.
8
Ricordo solo tre passaggi fondamentali: nell'agosto del 2013 quando l'Occidente aveva già deciso la guerra contro il presidente siriano Assad, ci siamo schierati a fianco dell'appello di Papa Francesco per la pace, perché in quel particolare contesto il regime di Damasco rappresenta il male minore. Il secondo passaggio cruciale è stato l'innesco della guerra civile in Ucraina nel febbraio dello scorso anno. Non abbiamo creduto agli allarmi di una nuova guerra fredda lanciati in maniera martellante dai grandi giornali, e difatti, dopo qualche mese e con qualche migliaio di morti in più, i colloqui di pace a Minsk sono ripartiti dall'intesa che era già stata raggiunta prima dell'inizio delle ostilità. Il terzo evento cruciale, sempre lo scorso anno, è stato la repentina quanto anomala, nascita del sedicente stato islamico, di cui abbiamo subito denunciato la natura artificiale e il suo esser funzionale a precisi scopi geopolitici. Si sa benissimo che l'Isis è stato creato con il concorso di servizi di sicurezza occidentali, con i soldi dell'Arabia Saudita e con il ricorso alla dottrina wahabita, una corrente fondamentalista islamica sunnita. La conclusione che si può trarre da questi avvenimenti è che certi disegni di guerra vanno avanti e partono proprio da Paesi in cui vige la democrazia e la libertà di stampa, senza che vengano dibattuti e presentati al giudizio popolare per quello che sono. Se agli elettori dei Paesi membri della Nato venisse spiegato che lo scopo per cui gli Stati Uniti e altri suoi alleati hanno favorito la creazione dell'Isis e di altre milizie islamiste, è quello della spartizione cruenta per linee etniche e religiose del Medio Oriente, già realizzata in Iraq e Libia ed attualmente in corso in Siria, cosa ne direbbero? Eppure è proprio quello che sta accadendo sul campo. In particolare dall'inizio dell'intervento russo in Siria, divenuto irrealizzabile l'obiettivo di creare un'altra Libia con la cancellazione della statualità siriana, il vero obiettivo dei bombardamenti occidentali, anziché l'Isis, è diventato quello di impedire l'integrità territoriale della Siria, in modo che il maggior territorio possibile possa essere sottratto all'influenza russa e destinato alla creazione di un qualche staterello che contribuisca ad aumentare la frammentazione nell'area.
9
Considerando tutti questi elementi, appare molto saggia e condivisibile, la posizione tenuta dal governo italiano, all'indomani degli attentati di Parigi, di evitare ogni coinvolgimento bellico in Siria e di considerare imprescindibile il coinvolgimento della Russia nella ricerca di una soluzione. Nel suo complesso la classe politica italiana in politica estera appare migliore dell'opinione pubblica e del mondo dell'informazione nostrana. Ma l'Italia per la sua posizione geografica avrebbe interesse a smarcarsi ulteriormente da questa strategia di creazione di caos e di guerre in cui l'Occidente si è gettato negli ultimi decenni, e di sospingere l'Unione Europea sulla via di una politica estera autonoma. Perché la frammentazione del Medio Oriente è solo una tappa di questa strategia di guerra che la Nato porta avanti sin dalla caduta del blocco comunista. Già da allora avrebbe dovuto sciogliersi per il venir meno della ragione storica della sua esistenza. Si parla non a caso di Terza Guerra Mondiale perché l'opzione di chi guida l'Occidente (il potere della finanza speculativa, dell'industria delle armi, delle multinazionali del petrolio) è quella del confronto militare con le nuove potenze del continente euroasiatico, Russia, Cina, India. Un confronto non frontale, ma che si attua attraverso le reti terroristiche, fomentando conflitti etnici e religiosi che creano caos e destabilizzano gli stati. Nel contempo tale conflitto punta a tenere in ostaggio l'Europa, precipitandola di tanto in tanto nella strategia della tensione, temendone l'integrazione commerciale ed economica con la Russia e la creazione di un enorme mercato euroasiatico. Sta a noi Europei decidere quale sia la collocazione che più risponde ai nostri interessi ed alla causa della pace. Su questi problemi, sui quali si registra non solo disorientamento ma anche una crescente sensibilità, possiamo rilanciare la nostra esperienza associativa anche come luogo credibile di controinformazione, oltre che come laboratorio di scelte politiche che potranno divenire importanti per il futuro del nostro Paese sui temi della pace, della legalità, di un nuovo modello economico e sociale. I temi della pace, oggi più che mai, non possono essere disgiunti dai temi della povertà, dell’ambiente e dei mutamenti climatici, che in questi ultimi anni sono stati elementi importanti e decisivi delle migrazioni di massa. Ci sentiamo interpellati dall'accoglienza verso chi è bisognoso, verso i profughi e verso i migranti. La gestione dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo, e del 10
soccorso delle imbarcazioni in difficoltà perché non si ripetano altre stragi, è questione che riguarda tutta l'Europa e non solo i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. L'obiettivo è quello di rendere strutturale l'accoglienza, oltre le emergenze provocate dalle guerre in corso. Per favorire l’inclusione dei nuovi cittadini ci siamo impegnati nella riforma della legge sulla cittadinanza. In seguito alla campagna “l'Italia sono anch'io” si è giunti finalmente ad una prima approvazione, alla Camera, di questa legge tanto attesa, che costituisce un passo fondamentale sulla via dell'integrazione, e rappresenta anche una risposta al clima di paura seguito agli attentati di Parigi. Non dobbiamo lasciarci imporre l'agenda del terrorismo. L'enfasi sulla sicurezza non può andare a scapito di altre priorità, come la lotta alle disuguaglianze ed alla povertà.
Dal Reis il contributo delle Acli ad un nuovo modello di welfare La lotta alla povertà risulta strategica non solo sotto il profilo della coesione sociale. Si tratta anche di una misura importante di politica economica in grado di produrre effetti di stimolo della domanda interna e quindi in grado di portare benefici a tutta la società. Attraverso il percorso che in questi anni abbiamo contribuito ad avviare sul Reddito di inclusione sociale, abbiamo svolto una importante battaglia culturale con un duplice obiettivo: quello di considerare il welfare una infrastruttura dello sviluppo e non un costo; e quello di indicare nel welfare comunitario il modello da seguire. Un modello in cui tutti i soggetti, pubblici, privati, del terzo settore, concorrono alla definizione delle politiche sociali, mettendo in rete le proprie risorse per garantire i diritti di ciascun cittadino e promuovere il benessere dell’intera comunità. Per questo abbiamo costituito l'Alleanza contro la povertà in Italia. Si tratta di una scelta strategica che vede proprio nelle Acli il soggetto che fa da coordinamento e da motore del progetto. Al di là di quelle che saranno nel breve periodo le decisioni assunte dal governo per la lotta alla povertà, che continuiamo a sollecitare, costituisce una opportunità per tenere alta l'attenzione sul problema. 11
Il ruolo dei corpi intermedi per una nuova qualità della democrazia L'inclusione sociale è di vitale importanza anche per la qualità della democrazia. Non è difficile individuare una relazione tra l'aumento delle disuguaglianze e la crisi della rappresentanza che riguarda non solo i partiti ma anche i corpi sociali intermedi. Una crisi di numeri, ma anche di credibilità, che sta investendo tutte quelle formazioni sociali chiamate a rappresentare i bisogni e le istanze dei cittadini. I corpi intermedi nel sentire comune non sono più percepiti come elementi propulsivi per la crescita economica e sociale ma, spesso, sono visti come l’architrave di un sistema corporativo che non include; un sistema addirittura iniquo e incapace di leggere i bisogni attuali della società italiana. Solo scelte di qualità, coerenti con le aspettative della cittadinanza possono invertire questa tendenza. Per questo abbiamo voluto contribuire a rilanciare il dibattito su un nuovo protagonismo dei corpi sociali anche attraverso un saggio, che è da poco uscito, intitolato «Corpi intermedi. Una scommessa democratica», nel quale sono raccolti autorevoli contributi con l'obiettivo di creare dibattito sul ruolo dei corpi intermedi. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella, che mercoledì prossimo riceverà in udienza la Presidenza nazionale, a conclusione delle celebrazioni per il nostro settantesimo, ha tenuto a sottolineare l’importanza di questo tema: «Tutte le Istituzioni – afferma Mattarella nel messaggio che ci ha inviato in occasione dell’Incontro di Studi di Arezzo - rischiano di essere deboli se non sostenute da forze sociali e da corpi intermedi attivi. È il momento di un grande impegno condiviso che recuperi, accanto al riconoscimento delle reciproche diversità, il senso del bene comune». La nostra concezione della democrazia si basa sull'idea del pluralismo, della sussidiarietà, della partecipazione popolare. Per questo abbiamo posto nel corso di questa legislatura, non semplice sul piano degli equilibri politici a causa dell'assetto tripolare uscito dalle urne nel 2013, alcune valutazioni riguardo alla necessità della riforma dei partiti, ed in particolare della loro democrazia interna, e riguardo agli effetti sull'equilibrio fra i poteri della nuova legge elettorale e delle riforme istituzionali. Temi su cui c'è stata una ampia discussione al nostro interno e sui quali si sono pronunciati gli organi nazionali. La valutazione positiva per riforme attese da 12
molto tempo, come quella che riguarda il superamento del bicameralismo perfetto, si unisce al riconoscimento di oggettivi problemi di adeguato bilanciamento dei poteri, che dovranno essere affrontati dalle forze politiche con il massimo senso di responsabilità, anteponendo all'interesse di parte il bene della democrazia.
Verso il Congresso, le Acli per un “umanesimo della concretezza” Rispetto al percorso che abbiamo svolto in questi tre anni, rispetto alle tematiche del lavoro, del welfare e della democrazia, rispetto al contesto di crisi economica e di instabilità internazionale, rispetto alle indicazioni che sono emerse dal Convegno Ecclesiale di Firenze, la nostra stagione congressuale costituisce un'occasione di dibattito e di sensibilizzazione importante e preziosa non solo per la nostra dimensione associativa, ma anche sul piano civile ed ecclesiale. Molto dipenderà da come sapremo comporre i tasselli dei nostri diversi ambiti e delle nostre diverse azioni in un progetto unitario, da quanto sapremo dare voce ed ascoltare il popolo nei nostri territori, dalla lettura che saremo in grado di fare dei nuovi bisogni sociali e dalle risposte che sapremo dare. Questo rende la nostra vita associativa, la vita dei nostri Circoli, sempre più luogo di formazione ad una cittadinanza attiva, occasione di educazione e crescita per i giovani e per i laici cristiani che si preparano all'impegno sociale e politico, all’interno di una Associazione che fa della dimensione popolare e dell'ispirazione cristiana i capisaldi del suo impegno e della sua analisi sociale e politica. Credo che non si possa non rilevare, con umiltà e con grande senso di responsabilità, che il profilo di Chiesa delineato a Firenze presenta degli aspetti che sono parte del dna delle Acli: l'inclusione sociale dei poveri come via per il nuovo umanesimo in Gesù Cristo, la capacità di incontro e di dialogo con tutti in funzione del bene comune. La nostra Associazione può declinare queste indicazioni sotto il profilo della quotidianità e della concretezza dell'azione sociale che svolgiamo nel Paese, perché questo nuovo umanesimo sia anche un “umanesimo della concretezza”, come lo ha definito il sociologo Magatti.
13
La lettura dei segni di questo tempo, le parole che ci ha rivolto Papa Francesco nell'udienza per il Settantesimo, le conclusioni del Convegno Ecclesiale di Firenze ci dicono che per le Acli nel futuro c'è un grande compito: sta a noi farci trovare preparati, con l'aiuto del Signore, ai nuovi appuntamenti della storia.
14