Dossier riforme costituzionali e istituzionali

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Dossier sulle riforme costituzionali e istituzionali a cura di Vincenzo Satta, Vincenzo Menna, Marta Simoni

Ottobre 2013


Le vicende politiche delle ultime settimane hanno gettato le basi per l’avvio di una nuova stagione politica, sancendo il definitivo superamento del sistema bipolare della seconda repubblica. È giunto, dunque, il momento di intraprendere una nuova fase in cui costruire un diverso modello di bipolarismo, capace di garantire l’alternanza e, allo stesso tempo, di superare la pesante eredità del ventennio trascorso: la questione morale aggravatasi oltre l’immaginabile, la lacerazione dei partiti, la personalizzazione della politica e, non da ultimo, il populismo e la disaffezione alla politica. Ritengo che le Acli debbano concorrere alla riuscita del processo di rinnovamento che sta attraversando il Paese, contribuendo al superamento di un modello politico inadatto a fronteggiare una situazione economica, sociale e istituzionale che si fa sempre più grave. Non c’è dubbio che l’avvio del percorso parlamentare per le riforme istituzionali e costituzionali, ed in particolare la procedura di urgenza per la riforma della legge elettorale adottata a fine a luglio dalla Camera, rappresenti un passo importante per attuare gli ormai improrogabili cambiamenti che tutti auspichiamo. Se la funzione principale della legge elettorale è, infatti, quella di “produrre” rappresentanza e governabilità, è evidente l’inadeguatezza del porcellum, che andrebbe almeno svuotato dei suoi aspetti più deleteri (le liste bloccate ed il premio di maggioranza) in attesa della riforma costituzionale. Ovviamente una legge elettorale non agisce nel vuoto, ma in un determinato contesto, costituito, da un lato, dal sistema partitico, inteso non solo come dato strutturale, ma più ampiamente come cultura politica, e, dall’altro, dalla forma di stato e dalla forma di governo, cioè il sistema istituzionale. In proposito, ritengo che il percorso intrapreso oggi per le riforme non dovrà mancare di aprirsi alle autonomie locali. La questione delle autonomie territoriali rimane difatti di notevole rilevanza, giacché tocca l’essenza stessa del modo di essere della nostra forma di stato. Quello delle riforme istituzionali è dunque un argomento complesso e l’attualità del tema ha reso particolarmente ricca, sia nell’ambito politico-istituzionale sia tra i costituzionalisti, l’offerta di materiali su cui approfondire i diversi aspetti della questione; un’offerta in cui spesso non è facile orientarsi. Questo dossier sulle riforme istituzionali in cantiere che ci

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aiuterà a orientarci rispetto ad un dibattito che, pur accendendo gli animi in questo periodo, non è figlio dei nostri giorni, ma è in realtà il prodotto di interrogativi e discussioni che trovano il loro inizio già a partire dai primi anni ‘80. Il dossier si compone di tre parti: 1. Il dibattito dottrinale: contributi di giuristi e studiosi di diverse aree culturali e provenienze politiche. 2. Il dibattito politico: materiali di approfondimento della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 3. I temi dell’attività parlamentare. Sono convinto che qualunque possa essere lo sviluppo del rinnovato dibattito sulle modifiche costituzionali, la partecipazione implica anche un momento di studio e di approfondimento. Mi auguro, pertanto, che questo dossier ci aiuti a stimolare una riflessione che, guardando oltre l’orizzonte ristretto dell’attuale crisi, ci porti a scelte consapevoli.

Gianni Bottalico

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Il «mantra» della riforma costituzionale. Necessità reale o abdicazione del ‘politico’ Abstract: uno dei punti caratterizzanti l'azione del Governo in carica è diventato la riforma della Costituzione, un tema che ritorna con cadenza periodica nella storia recente del nostro paese, benché i precedenti siano assistiti da evidenti fallimenti. Riecheggia, quanto mai nitida, la sensazione che la preoccupazione di ripensare alla radice l'assetto dei poteri e lo stesso modo di essere dello Stato, più che animata dall'obiettivo di conferire all'apparato di governo innovati e visibili livelli di efficienza, unitamente a un'adeguata capacità di gestire i problemi del presente, in linea con le trasformazioni della struttura sociale, risponda alla difficoltà dell'ambito «politico» di determinare con chiarezza indirizzi capaci di dare effettiva soddisfazione ai bisogni della collettività.

Ha ragione Alessandro Pace, noto costituzionalista italiano, quando scrive che «se si parte dall’idea secondo cui la previsione di uno speciale procedimento di revisione costituisce la conferma, ma non il fondamento, della rigidità costituzionale», essendo questa radicata sulla riconosciuta superiorità della Costituzione su ogni atto o fatto che compone l’ordinamento giuridico dello Stato, «la disciplina del procedimento per la revisione di una Costituzione scritta e rigida non può che spettare alla Costituzione stessa» 1. L’opinione riecheggia del resto l’idea, da sempre sostenuta nella letteratura costituzionalistica 2, che la funzione di revisione costituzionale, come le altre funzioni pubbliche, rientri nel cosiddetto potere costituito, nel quale solo la sovranità statale si manifesta tramite la qualificazione giuridica e la disciplina degli organi procedenti, secondo quanto disposto da Costituzione. Al contrario, la scelta del legislatore italiano di ricorrere alla procedura di revisione costituzionale, ritualmente prevista per la modifica di specifiche parti o singole disposizioni della

1

2

Carta

costituzionale,

allo

scopo

di

approvare

una

legge

costituzionale

Così A. Pace, Il metodo (sbagliato) della riforma. Note critiche al d.d.l. Cost. n. 813 Sen., in «Costituzionalismo.it», 2013, 1, p. 1. Si veda R. Carré de Malberg, Contribution à la théorie générale de l'État, Parigi 1922, p. 484, nonché A. Mattioni – F. Fardella, Teoria generale dello Stato e della Costituzione, Torino 2009, pp. 173-175.

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dichiaratamente preordinata a fissare un procedimento ultroneo e derogatorio rispetto al sistema contemplato nell’art. 138 Cost., s’innesta in una logica estranea alla collocazione della funzione stessa nel quadro del potere costituito. Il disegno di legge costituzionale n. 8133, presentato dal Governo al Senato nel giugno scorso, si inscrive, infatti, in questo genere di direzione, nel momento in cui affida a un neo-istituito Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali, dotato di struttura bicamerale (dunque composto da membri di entrambi i rami del Parlamento), il compito di esaminare progetti di legge di modifica della Costituzione, da sottoporre alla deliberazione delle Assemblee parlamentari, secondo un’agenda precostituita, il rispetto della quale dovrebbe assicurare una certa celerità nel raggiungimento dell’obiettivo finale. Le leggi di revisione costituzionale sulle quali tale nuovo comitato è chiamato a discutere hanno a oggetto, fondamentalmente, tutta la seconda parte della Costituzione, eccezione fatta per le disposizioni concernenti le garanzie e la giustizia costituzionale. Al medesimo organo è, inoltre, richiesto di esaminare le proposte di riforma del sistema elettorale. Doverosamente

si segnala

che

l’approvazione

del

predetto

disegno

di

legge

costituzionale, istitutivo del comitato, è tuttora in corso e richiederà le tempistiche stabilite nell’art. 138 Cost., trattandosi, come si è detto, di una legge costituzionale. Ciò premesso, le perplessità suscitate da questo percorso si lasciano riassumere lungo due ordini di considerazioni. La prima apre alla prospettiva storica: già nel ‒ non esageratamente lontano ‒ anno 1997 fu battuta la pista dell’art. 138 Cost. per regolare con legge costituzionale ‒ era la l. cost. n. 1/1997 ‒ l’istituzione della nota Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, presieduta dall’on. Massimo D’Alema. L’organo, in forza e in conseguenza dei veti incrociati imposti dalla controparte politica facente capo all'on. Silvio Berlusconi, fallì miseramente gli obiettivi prefissati, esaurendo i lavori nella classica e quanto mai evocativa bolla di sapone. Intanto, come allora segnalarono i moniti allarmati e inquieti di molti costituzionalisti, l’opzione prescelta costituì un pericoloso fendente inferto alla certezza del potere costituito (di revisione), rispetto al quale essa si 3

Reperibile on line sul sito www.associazionedeicostituzionalisti.it.

dell’Associazione

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italiana

dei

costituzionalisti,

all’indirizzo:

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sarebbe posta come deroga idonea a realizzare il celebre paradosso della revisione della revisione. A questo dato si aggiunga che, in ogni caso, i lavori della Commissione approdarono a un nulla di fatto. In merito al secondo profilo giova nuovamente rinviare alle acute osservazioni della dottrina citata appena sopra4, la cui lettura appare particolarmente istruttiva, sia quando sottolinea il rapporto tra la legge in esame, approvata (se sarà approvata) in deroga all’art. 138, e le successive (e, sic stantibus rebus, eventuali) leggi di revisione che interverranno specificamente sulle norme costituzionali, viziato in nuce dal metodo sbagliato, al quale il legislatore costituzionale è ricorso; sia quando mostra la tendenziale opposizione dell’Autore, stante la Costituzione vigente, a ipotesi di revisione totale, senza che la stessa distingua queste ultime da eventuali revisioni parziali e specifiche, non prevedendo, per le prime, limiti adeguati che concorrano, tra l’altro, a distinguerla dal potere costituente. Insomma, non tutto, forse, ma molto cospira a suscitare una consistente dose di titubanza rispetto a metodi riformatori che, quand’anche ispirati alle migliori intenzioni ‒i tempi di intervento rapido dettati dalla crisi in corso, finiscono comunque per indebolire la struttura portante dell’ordinamento giuridico. Nonostante le determinate rassicurazioni del Governo, in merito all’intenzione di realizzare l’obiettivo delle riforme, non si può fare a meno di sospettare l’avverarsi del pericolo concreto di un nuovo, ulteriore ‒ e per le condizioni in cui versa il nostro paese ‒ fatale buco nell’acqua. Ci si riferisce alla curiosa pretesa di legare l’approvazione delle modifiche costituzionali alla predisposizione di una nuova legge elettorale, idonea a sostituire il ‒ mai troppo ‒vituperato “porcellum”. Anzi, salvo errore, non poche sono state le lance spezzate a favore della tesi secondo la quale sarebbe finanche incoerente solo immaginare che la trasformazione del sistema elettorale possa prescindere dal ripensamento della forma di governo. Un’associazione concettuale dalla quale si dovrebbe recisamente dissentire. Il sistema di governo determina la relazione che lega i vari organi costituzionali, mentre il sistema elettorale è un metodo di trasformazione dei voti espressi dai cittadini in seggi 4

Cfr. A. Pace, Il metodo (sbagliato) della riforma. Note critiche al d.d.l. Cost. n. 813 Sen., cit., pp. 2-3.

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parlamentari. I Costituenti, pur riconoscendo al sistema di voto il rango di materia sostanzialmente costituzionale, ritennero sapientemente di non collocarlo tra le norme della Costituzione, volendone invece affidare la disciplina al legislatore ordinario, proprio per rendere possibili eventuali trasformazioni dettate, nell’evoluzione delle dinamiche istituzionali, dal cambiamento delle condizioni politiche. Ha dunque un sapore vagamente ingannevole la pervicacia con la quale si esige che la modifica della legge elettorale risulti condizionata dalla torsione in senso presidenziale che si intenderebbe imprimere alla forma di governo. E l'auspicabilità di tale sistema di governo resta tutta da dimostrare. Troppe volte, da ultimo in occasione del referendum costituzionale del giugno 2006, la dottrina costituzionalistica ha ammonito il legislatore in ordine alla prudenza con la quale dovrebbe trattarsi la questione della revisione costituzionale. D’altronde, la totalità dei tentativi di assecondare le pulsioni suggestive della grande riforma sono naufragati senza produrre alcun esito palpabile. Ed è proprio anche in questa larga sequenza di fallimenti che, forse, risiede uno dei problemi di fondo del sistema politico: la difficoltà del «politico» (inteso schmittianamente come categoria generale) a esprimere e manifestare una linea e un indirizzo chiari, nitidi, autenticamente riformatori, riparando invece nelle declamazioni sulla modifica della Costituzione sulla quale – incolpevole ‒ egli riversa le proprie inadeguatezze. Ecco perché oggi, in misura sempre più vistosa, è la piena attuazione della Costituzione repubblicana la vera, grande, riforma.

Vincenzo Satta

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I temi dell'attività Parlamentare: riforme costituzionali ed elettorali (aggiornamento settembre 2013)

L'Assemblea della Camera ha approvato il disegno di legge del Governo che istituisce il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali. L'esame ora prosegue al Senato per la seconda deliberazione. Il percorso parlamentare sul tema delle riforme costituzionali era stato avviato con l'audizione del Ministro per le riforme costituzionali, svolta dalle Commissioni Affari costituzionali della Camera e del Senato il 20 maggio e conclusa il 28 maggio, nonché con l'approvazione di mozioni da parte della Camera e del Senato il 29 maggio. La questione delle riforme costituzionali e della legge elettorale, che è stata una costante del dibattito politico parlamentare fin dalla metà degli anni '70, si è nuovamente posta fin dalle prime battute di avvio della XVII legislatura ed è stata sottolineata con forza dal Presidente della Repubblica Napolitano nel discorso pronunciato il 22 aprile 2013, dinanzi il Parlamento in seduta comune, in occasione del giuramento per il secondo mandato.

1. Il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali In attuazione degli indirizzi parlamentari espressi con le mozioni del 29 maggio 2013, il Governo ha trasmesso un disegno di legge costituzionale al Senato, che ne ha avviato l'esame l'11 giugno (A.S. 813). Al disegno di legge del Governo è stata abbinata una proposta di legge di iniziativa parlamentare volta ad istituire una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali (A.S. 343). Il 13 giugno l'Assemblea del Senato ha approvato la richiesta di dichiarazione d'urgenza del Governo sull'esame del disegno di legge che, ai sensi dell'art. 77 del Regolamento, comporta la riduzione di tutti i termini alla metà. L'11 luglio il disegno di legge è stato approvato, con modifiche, dal Senato e trasmesso alla Camera che ne ha avviato l'esame il 17 luglio e lo ha concluso con il voto favorevole 

Fonte: www.camera.it.

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dell'Assemblea il 10 settembre 2013 (A.C.1359). Il provvedimento passa ora nuovamente all'esame del Senato per la seconda deliberazione. Il disegno di legge prevede l'istituzione di un Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali composto da 20 deputati e 20 senatori, nominati dai Presidenti delle Camere, tra i membri delle due Commissioni Affari costituzionali, in base a specifici criteri. Di esso fanno parte di diritto i Presidenti delle Commissioni Affari costituzionali della Camera e del Senato. Il Comitato, che entro 6 mesi dalla prima seduta, trasmette ai Presidenti delle Camere i progetti di legge costituzionale esaminati, svolge una funzione istruttoria nei confronti delle Assemblee delle due Camere alle quali riferisce. Sono necessarie due successive deliberazioni da parte di ciascuna Camera, a maggioranza assoluta in seconda votazione, sul medesimo testo, con intervallo non minore di quarantacinque giorni. I lavori parlamentari si concludono entro 18 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento. L’oggetto della revisione è costituito dai progetti di legge di revisione della Parte II della Costituzione, esclusi i titoli IV, dedicato alla magistratura, e VI, dedicato alle garanzie; l’attività del Comitato comprende anche la materia elettorale in via consequenziale all’attività di revisione costituzionale. Può essere richiesto referendum confermativo anche in caso di approvazione, in entrambe le Camere, a maggioranza dei due terzi, dei testi di revisione. Il Comitato cessa con la pubblicazione delle riforme o per scioglimento delle Camere. Anche i compiti e le modalità organizzative ricalcano quelli indicati dal Parlamento; in particolare, viene definita una precisa scansione temporale delle principali fasi dei lavori parlamentari relativi ai progetti di legge costituzionale in modo da assicurarne la conclusione entro 18 mesi dall'approvazione del disegno di legge.

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2. L'attività parlamentare conoscitiva e d’indirizzo Il 22 maggio il Ministro per le riforme costituzionali è stato audito a Montecitorio dalle Commissioni

Affari

costituzionali

di

Camera

e

Senato

esponendo

le

linee

programmatiche in materia di riforme. Tra gli aspetti oggetto della futura riforma evidenziati dal Ministro vi sono la forma di governo, il superamento del bicameralismo paritario e simmetrico, la riduzione del numero dei parlamentari in coerenza con gli standard europei. Per quanto riguarda il metodo delle riforme, il Ministro ha auspicato il raggiungimento di un ampio consenso in Parlamento su questo punto, anche prospettando la possibilità di attivare procedura pubblica di ampia consultazione e la sottoposizione della legge (o delle leggi) di revisione costituzionale, ad uno o più referendum confermativi popolari a prescindere dalla maggioranza ottenuta in sede parlamentare. Relativamente alla riforma della legge elettorale, il Ministro ne ha sottolineato lo stretto collegamento con la forma di Governo, ma non ha escluso la possibilità di interventi immediati e mirati sulla legge elettorale vigente per eliminarne i difetti più evidenti, anche alla luce dell’ordinanza della Corte di Cassazione che “rende il tema non più rinviabile”. Infatti, il 17 maggio 2013 è stata depositata un’ordinanza con quale la Corte Suprema di Cassazione, I sezione civile, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge elettorale introdotte dalla legge 270 del 2005. Lo stesso 20 maggio il Presidente della Repubblica Napolitano aveva ricevuto il Ministro per le riforme costituzionali, Quagliariello, con i Presidenti delle Commissioni Affari Costituzionali dei due rami del Parlamento, Finocchiaro e Sisto. L'incontro – come riferisce un comunicato del Quirinale - ha consentito di verificare la comune volontà di avviare senza indugio e di portare avanti in Parlamento un processo di puntuali modifiche costituzionali relative ad aspetti dell'ordinamento della Repubblica che richiedono di essere adeguati ad esigenze da tempo individuate di un più lineare ed efficace funzionamento dei poteri dello Stato. Il 29 maggio 2013 l'Assemblea della Camera e quella del Senato hanno approvato le

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mozioni concernenti l'avvio del percorso delle riforme costituzionali presentate dai Gruppi di maggioranza e da altri Gruppi. Si tratta della mozione n. 1-56, presentata dai capigruppo della maggioranza della Camera on. Speranza, Brunetta, Dellai, e dal Presidente del Gruppo misto on. Pisicchio (441 voti favorevoli e 138 voti contrari) e la mozione n. 1-47 a firma dei sen. Zanda, Schifani, Susta, Ferrara Mario, Zeller, Finocchiaro, Bruno, Martini, Esposito Giuseppe, votata al Senato (224 voti favorevoli e 61 contrari). Le due mozioni, dal contenuto identico, impegnano il Governo a presentare alle Camere, entro giugno 2013, un disegno di legge costituzionale che istituisca una procedura straordinaria per l’approvazione delle riforme costituzionali in deroga a quella ordinaria di cui all’art. 138 Cost., articolata come segue: • istituzione di un Comitato bicamerale, composto da venti senatori e venti deputati, nominati dai rispettivi Presidenti, su designazione dei gruppi parlamentari, tra i componenti delle Commissioni affari costituzionali, della Camera e del Senato, e presieduto congiuntamente dai Presidenti delle predette Commissioni; la composizione del Comitato deve garantire la presenza di tutti i gruppi parlamentari e deve rispecchiare la proporzione tra i gruppi, tenendo conto non solo della loro rappresentanza parlamentare, ma anche dei voti conseguiti alle elezioni politiche; • conferimento al Comitato dei poteri referenti per l'esame dei progetti di legge di revisione costituzionale dei Titoli I, II, III e V della parte seconda della Costituzione, afferenti alla forma di Stato, alla forma di Governo e all'assetto bicamerale del Parlamento, nonché, coerentemente con le disposizioni costituzionali, di riforma dei sistemi elettorali; • successivo esame da parte delle Assemblee di Camera e Senato, secondo intese raggiunte fra i due Presidenti, dei progetti di legge approvati dal Comitato bicamerale; • conclusione dell'esame parlamentare dei disegni di legge di riforma entro 18 mesi dall'avvio, fermo restando il diritto di ciascun senatore e deputato, anche se non componente del Comitato o componente del Governo, di presentare emendamenti;

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• garanzia della facoltà di sottoporre, a prescindere dalla maggioranza con la quale le riforme saranno approvate, il disegno di legge (o i disegni di legge) di revisione costituzionale, ad uno o più referendum confermativi popolari. Per quanto riguarda il contenuto delle riforme, le due mozioni richiamano le questioni irrisolte da ultimo ricordate dal Presidente del Consiglio nel suo discorso programmatico, ossia, la forma di Stato, la forma di Governo, il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari e la riforma del sistema elettorale, la quale – secondo le mozioni – dovrà essere coerente e contestuale con il complessivo processo di riforma costituzionale. Le Camere hanno approvato anche due mozioni della Lega Nord: alla Camera la n. 1-55 on. Giancarlo Giorgetti, al Senato, n. 1-31 sen. Calderoli e due atti presentati dai rappresentanti delle Autonomie: la risoluzione 6-11on. Alfreider alla Camera e la mozione 1-44 sen. Zeller al Senato. E’ stata invece respinta la mozione n. 1-53 on. Giachetti, finalizzata all’approvazione in tempi rapidi da parte del Parlamento di una riforma della legge elettorale volta a ripristinare il sistema misto previgente quello attuale. Respinte alla Camera anche le mozioni n. 1-54 on. Migliore, n. 1-57 on. Dadone e n. 1-59 on. Giorgia Meloni, nonché la risoluzione n. 6-12 on Nuti. Il Senato ha respinto le mozioni n. 1-46 sen. Crimi e n. 1-48 sen. De Petris.

3. La relazione della Commissione per le riforme costituzionali Le mozioni approvate dalle Camere il 29 maggio 2013 hanno preso atto dell'intendimento del Governo di avvalersi di una commissione di esperti per l'approfondimento delle diverse ipotesi di revisione costituzionale e dei connessi profili inerenti al sistema elettorale e di estendere il dibattito sulle riforme alle diverse componenti della società civile, anche attraverso il ricorso a una procedura di consultazione pubblica. La Commissione, istituita dal Presidente del Consiglio con decreto 11 giugno 2013,

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denominata Commissione per le riforme costituzionali, ha concluso i lavori con una relazione finale trasmessa alle Camere il 18 settembre 2013, i cui temi sono di seguito sintetizzati. 3.1 Parlamento La Commissione si è espressa all’unanimità per il superamento del bicameralismo paritario, ma anche l’ipotesi del monocameralismo, con la costituzionalizzazione del sistema delle Conferenze Stato-Regioni-Enti Locali, ha raccolto manifestazioni di interesse. L’ipotesi bicamerale attribuisce al Senato, da eleggere indirettamente secondo l’opinione prevalente, la rappresentanza degli enti territoriali (regioni e comuni) e alla Camera il rapporto fiduciario e l’indirizzo politico; però entrambe le Camere votano le leggi nelle forme previste dalla Costituzione, controllano l’azione del governo e valutano le politiche pubbliche, con una prevalenza della Camera nell’esercizio della funzione legislativa e del Senato nell’esercizio delle funzioni di controllo, in particolare per la valutazione delle politiche pubbliche. Quest’ultimo assorbirebbe a livello normativo le competenze dell’attuale sistema delle Conferenze e sarebbe soppressa la Commissione per le questioni regionali. Per la riduzione del numero dei deputati si considera la proposta del Rapporto redatto dal Gruppo di lavoro sui temi istituzionali istituito dal Presidente della Repubblica di un deputato ogni 125.000 abitanti, per un totale di 480 deputati senza escludere criteri più restrittivi. Per i senatori si considera un numero non inferiore a 150 né superiore ai 200. 3.2 Procedimento legislativo Il procedimento legislativo è necessariamente bicamerale per alcune categorie di leggi, mentre per le altre l’esame del Senato è subordinato ad espresso richiamo da parte di quest’ultimo. Il procedimento necessariamente bicamerale, che inizia indifferentemente presso l’una o l’altra Camera, è previsto per:

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• le leggi costituzionali e di revisione costituzionale cui si applicherebbe l’attuale art. 138 Cost., salvo verificare l’introduzione di un referendum confermativo; • le leggi sull’ordinamento e sulle funzioni di regioni e autonomie locali nonché i loro rapporti con lo Stato che non coinvolgano il rapporto fiduciario tra Parlamento e Governo, da indicare specificamente in Costituzione. Il procedimento monocamerale è previsto sulle leggi organiche, che dovrebbero essere previste da riserve costituzionali di legge organica, in materie di diretta attuazione costituzionale, di competenza della sola Camera che dovrebbe approvarle a maggioranza assoluta. Su tale soluzione la Commissione non ha registrato unanimità di consensi e la relazione lascia aperta la possibilità di prevedere per tale categoria di leggi la facoltà di richiamo da parte del Senato. In caso di tale opzione, il procedimento bicamerale riguarderebbe le leggi organiche e le leggi ordinarie, categoria individuata in via residuale, condizionatamente al richiamo del Senato, deliberato da una minoranza qualificata e da esercitare in un termine decadenziale. In quest'ultima ipotesi, la legge è approvata in via definitiva: • dal Senato, se non modifica la legge; • dalla Camera, se ritiene di approvarla pur respinta dal Senato; • dalla Camera, deliberando in via definitiva sulle modifiche del Senato. Nel sistema delle fonti, la relazione tra le leggi organiche e le leggi bicamerali su regioni ed enti locali sarebbe regolata dal principio di separazione delle competenze; le stesse leggi organiche sarebbero sovraordinate alle leggi ordinarie. Spetta l’iniziativa legislativa a ogni parlamentare per le materie per le quali la camera di appartenenza è competente all’approvazione definitiva. Il Senato può presentare alla Camera progetti di legge per i quali “è prevista la prevalenza della stessa Camera”e se l’iniziativa è sostenuta dai tre quinti dei senatori, la Camera deve esprimere il voto finale entro 120 giorni.

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Per garantire tempi certi ai disegni di legge ritenuti dal Governo urgenti e allo stesso tempo evitare abusi nel ricorso alla decretazione d’urgenza, la relazione propone: • un procedimento che inizia presso la Camera, su richiesta del Presidente del Consiglio a seguito di delibera del Consiglio dei ministri, subordinato al voto favorevole della stessa Camera per l’approvazione di un disegno di legge a data fissa, applicabile ad un numero limitato di provvedimenti; • il conferimento di veste costituzionale o di legge organica, resistente a modifiche con legge ordinaria, ai limiti ai decreti-legge stabiliti dall’art. 15 della legge 400/1988, prevedendo in ogni caso il divieto di introdurre disposizioni aggiuntive al disegno di legge di conversione. Per migliorare la qualità della legislazione si propone di stabilire in Costituzione che i Regolamenti parlamentari conferiscano al Presidente di Assemblea il potere di rendere inammissibili emendamenti di contenuto eterogeneo e di far sì che i progetti di legge abbiano un contenuto omogeneo e corrispondente al titolo. 3.3 Rapporti tra Stato e Regioni Sulla questione del riparto delle competenze legislative, la Commissione propone di: • riportare alla competenza dello Stato le materie: "grandi reti di trasporto e di navigazione";

"produzione,

trasporto

e

distribuzione

nazionale

dell’energia";

"ordinamento della comunicazione"; • rivedere, nell’ambito della competenza esclusiva statale, alcune materie considerate trasversali in quanto incidono considerevolmente sulle competenze regionali; • ridurre le materie di competenza concorrente o, secondo un altro orientamento, semplificare il riparto della competenza legislativa, superando quella concorrente. Entrambe le posizioni considerano l’opportunità di una clausola di salvaguardia statale; • rendere più flessibile la distribuzione delle competenze prevedendo la possibilità di conferimento o di delega, con legge bicamerale, dell’esercizio di competenze esclusive alle Regioni, con soppressione della disposizione dell’art. 116, terzo comma della

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Costituzione che consente regionalismi differenziati. Sul fronte amministrativo, la relazione propone che la potestà regolamentare e le funzioni amministrative seguano la potestà legislativa, tenendo conto dei princìpi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione. In materia finanziaria, la relazione ritiene opportuno specificare che costi e fabbisogni standard sono il criterio per l’integrale finanziamento da parte delle regioni delle loro funzioni e che con legge bicamerale dovrebbero essere definiti i principi di coordinamento della finanza pubblica. Sul piano della distinzione tra autonomia ordinaria e autonomie speciali, la relazione attesta l’esigenza di ridurre il divario tra forme di autonomia, stabilendo criteri generali ad applicazione uniforme, ad esempio in materia di organi e di integrazione nel sistema nazionale del cd. “federalismo fiscale” e della perequazione. In merito al potere sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni, si ritiene opportuna una modifica dell’art. 120 Cost. per escludere che, in sede di esercizio di tale potere, l’incarico di commissario possa essere attribuito a chi abbia avuto incarichi nello stesso ente territoriale. 3.4 Autonomie locali La posizione prevalente nella Commissione concorda nell’eliminazione della previsione della provincia nel testo della Costituzione, adombrando una regionalizzazione delle competenze istitutive di tali enti con competenze di area vasta. Per le città metropolitane si registra una posizione favorevole a demandare la competenza in materia alla legge statale bicamerale. Per i comuni si evidenzia l’opportunità di stabilire in Costituzione il principio dell’esistenza di una dimensione minima del Comune, da stabilire con legge bicamerale.

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3.5 Forma di governo La relazione evidenzia che le posizioni che si sono confrontate nell’ambito della Commissione, riconducibili da un lato all’orientamento favorevole al semipresidenzialismo e, dall’altro, al parlamentarismo razionalizzato, sono poi in parte confluite in una proposta di “forma di governo parlamentare del Presidente del Consiglio”, esito di una consultazione elettorale da cui emergano sia la maggioranza parlamentare, sia l’indicazione del Presidente del Consiglio, sulla base del candidato a tale carica di ogni lista o coalizione. Il Presidente della Repubblica - eletto dal Parlamento in seduta comune con la maggioranza dei due terzi nelle prime due votazioni e con la maggioranza assoluta nella terza - nomina il Presidente del Consiglio e questi propone al Capo dello Stato la nomina e la revoca dei Ministri. Lo stesso Presidente del Consiglio può essere sfiduciato solo con una mozione di sfiducia costruttiva sottoscritta da un quinto dei componenti della Camera e approvata con la maggioranza assoluta e una procedura analoga dovrebbe essere seguita quando il Presidente del Consiglio pone la questione di fiducia su un provvedimento e non la ottiene. In ogni caso la relazione avverte dell’esigenza di porre rimedio alle disfunzioni della vita dei partiti con interventi di legge ordinaria nelle materie di contorno alla legislazione elettorale e con interventi sui regolamenti parlamentari. 3.6 Sistema elettorale In questa materia la relazione prospetta lo stretto legame con le scelte in tema di forma di governo e quindi evidenzia le soluzioni ritenute preferibili nel caso di scelta semipresidenziale (sistema elettorale a doppio turno di collegio) o parlamentare razionalizzata (compatibile con vari sistemi, come quelli tedesco e spagnolo, quello della cd. legge Mattarella, o con il sistema maggioritario a doppio turno di collegio). Con la forma di governo parlamentare del primo ministro appare compatibile un sistema elettorale proporzionale con sbarramento al 5% e premio di maggioranza che porti al 55% dei seggi il partito o la coalizione vincente che abbia superato una determinata soglia, per la quale sono state prospettate le ipotesi del 40% o del 50% dei seggi, prevedendo il

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ricorso al ballottaggio in un secondo turno. La connessione delle scelte in materia di sistema elettorale con quelle in tema di forma di governo porta la Commissione a concentrare il proprio interesse sull’elezione della Camera poiché il “Senato, non essendo titolare del rapporto fiduciario, dev’essere comunque eletto con sistema proporzionale puro, tanto in caso di elezione diretta quanto in caso di elezione indiretta”. Dalla relazione, al di là delle posizioni legate alle forme di governo ritenute preferibili, emerge condivisione in ordine alle esigenze di: • unificazione dei requisiti per l’elettorato attivo e passivo tra Camera e Senato; • equilibrio tra il criterio demografico e quello geografico nel disegno di collegi o circoscrizioni elettorali; • riduzione della frammentazione partitica; • meccanismi che assicurino stabilità di governo; • recupero di un rapporto di fiducia e di responsabilità tra elettori ed eletti, restituendo ai primi il diritto-dovere di individuare e scegliere i secondi; • sottrazione della legge elettorale a maggioranze occasionali; • soppressione della circoscrizione Estero, considerate le esperienze di funzionamento, assicurando comunque il voto ai cittadini italiani residenti all’estero. 3.7 Istituti di partecipazione popolare All’unanimità la Commissione ritiene necessario un rafforzamento degli istituti della partecipazione dei cittadini, sia sul fronte della produzione normativa, sia su quello amministrativo. Alcune posizioni nell’ambito della Commissione hanno ritenuto funzionale allo scopo proporre un istituto denominato iniziativa popolare “indiretta”, in cui l’iniziativa popolare si articola in un progetto di legge sul quale si apre un procedimento in cui interviene la Corte costituzionale con funzioni di verifica e il Parlamento con funzione deliberativa che può portare al voto popolare.

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Per il referendum abrogativo si propongono modifiche per il quorum di validità e per anticipare il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale. L’istituto della petizione dovrebbe essere potenziato e l’esercizio della potestà normativa secondaria dovrebbe essere condizionato ad adempimenti che consentano agli interessati di formulare le loro osservazioni.

4. Le linee programmatiche del Governo Letta Il 29 aprile 2013, il Presidente del Consiglio Letta, nell’esporre le linee programmatiche dell’Esecutivo, ha delineato alcuni obiettivi fondamentali per la legge elettorale e per le riforme costituzionali. Quanto alla legge elettorale il Capo dell’Esecutivo ha sottolineato l’impegno a far sì che “quella dello scorso febbraio sia l'ultima consultazione elettorale che si svolge sulla base della legge elettorale vigente” attraverso l’approvazione di una nuova legge che consenta la “formazione di maggioranze sufficientemente ampie e coese, in grado di garantire Governi stabili, ma prima ancora, per restituire legittimità al Parlamento e ai singoli parlamentari”. A titolo personale il Presidente del Consiglio ha ritenuto che migliore della legge attuale sarebbe almeno il ripristino della legge elettorale precedente (cd. “Mattarellum”). Per quanto riguarda le riforme costituzionali, il Presidente del Consiglio ha auspicato che siano raggiunte con la partecipazione delle forze di opposizione partecipino pienamente al processo costituente e ha fornito un’indicazione di metodo: “al fine di sottrarre la discussione sulla riforma della Carta costituzionale alle fisiologiche contrapposizioni del dibattito contingente sarebbe bene che il Parlamento adottasse le sue decisioni sulla base delle proposte formulate da una Convenzione aperta anche alla partecipazione di autorevoli esperti non parlamentari” i cui lavori inizino “dai risultati delle attività parlamentari della scorsa legislatura e dalle conclusioni del Comitato dei saggi istituito dal Presidente della Repubblica”. In attesa di una legge costituzionale istitutiva, la Convenzione potrebbe avviare subito i propri lavori sulla base degli atti di indirizzo del

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Parlamento. I contenuti delle riforme sono stati incentrati soprattutto sulla forma di Governo, sulla ridefinizione

della

ripartizione

delle

competenze

tra

livelli

di

Governo

con

il

perfezionamento della riforma del Titolo V, sulla possibilità di una riorganizzazione delle regioni e dei rapporti tra loro, sul riordino dei livelli amministrativi e sull’abolizione delle province.

5. Le relazioni dei Gruppi di lavoro istituiti dal Presidente della Repubblica Un mese dopo la seduta iniziale della legislatura, che si è tenuta il 15 marzo 2013, i membri dei Gruppi di lavoro in materia economico-sociale ed europea e sui temi istituzionali, istituiti dal Presidente della Repubblica Napolitano il 30 marzo, hanno consegnato al Capo dello Stato le relazioni conclusive (12 aprile 2013). Nella relazione del gruppo di lavoro in materia istituzionale si “propone che la revisione costituzionale si compia attraverso una Commissione redigente mista costituita, su base proporzionale, da parlamentari e non parlamentari. La Commissione può avviare immediatamente il proprio lavoro (che dovrebbe durare pochi mesi) sulla base di documenti parlamentari che indichino i punti oggetto di revisione (la Commissione Bozzi fu istituita con una risoluzione alla Camera dei Deputati e un ordine del giorno al Senato). Contestualmente alla presentazione delle mozioni dovrebbe essere presentata una legge costituzionale per formalizzare il lavoro della Commissione”. Per quanto riguarda la riforma della legge elettorale, il gruppo di studio non ha avanzato una proposta specifica, salvo quella eliminare la circoscrizione estero, prevedendo il voto per corrispondenza, assicurandone la personalità e la segretezza, e si è limitato a sottolineare che, in ogni caso, la legge attuale va superata e che la definizione della nuova legge è legata a quella della forma di governo: in caso di scelta da parte del Parlamento, come il gruppo di lavoro propone, per una forma di governo parlamentare razionalizzata, “le soluzioni possono essere più d’una, purché garantiscano la scelta degli eletti da parte dei cittadini e favoriscano la costituzione di una maggioranza di governo attraverso il voto.

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Dossier pubblicati dalla Camera dei Deputati e Senato della Repubblica • Il metodo delle riforme istituzionali - I precedenti (22/05/2013) • Il bicameralismo nei progetti di riforma costituzionale - Legislature IX - XVI (11/06/2013) • La forma dello Stato nei progetti di riforma costituzionale - Legislature IX - XVI (21/06/2013) • La forma di Governo nei progetti di riforma costituzionale (08/07/2013) • Istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali - A.C. 1359 - Schede di lettura e testo a fronte (16/07/2013) • I PROCEDIMENTI DI REVISIONE COSTITUZIONALE IN FRANCIA, GERMANIA E SPAGNA (10/09/2013)

Documenti e risorse web Presidenza della Repubblica  Gruppo di Lavoro sulle riforme istituzionali Governo • • •

Ministro per le Riforme Costituzionali Consultazione pubblica sulle riforme Commissione per le riforme

Senato • Senato della Repubblica, In tema di riforma costituzionale: quattro testi a confronto (1997-2012), maggio 2013 • Senato della Repubblica, Riforma costituzionale: il procedimento. Precedenti. Iniziativa governativa (A.S. n. 813). Dibattito in Costituente, giugno 2013 • Senato della Repubblica, Riforma costituzionale: il procedimento. Testo a fronte tra l'A.S. n. 813 e le leggi costituzionali n. 1 del 1993 e n. 1 del 1997, giugno 2013

Altri link di consultazione • • • •

AIC - ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI COSTITUZIONALISTI ASTRID FEDERALISMI.IT CISE

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Contributi al dibattito dottrinale sulle riforme istituzionali ALLEGRETTI U., Osservazioni sulla riforma del bicameralismo CARAVITA DI TORITTO B., La riforma del titolo V nel quadro delle riforme costituzionali della XVII legislatura CARETTI P., L’ennesimo “revival” della Grande Riforma costituzionale in funzione palingenetica CECCANTI S., La legge elettorale D’ATENA A., In tema di riforma del regionalismo e del bicameralismo DE VERGOTTINI G., Oltre il parlamentarismo? GEMMA G., Osservazioni sulle proposte di revisione costituzionale della forma di governo FERRARA G., Oltre il parlamentarismo? LIPPOLIS V., La riforma elettorale MANZELLA A., La

riforma del bicameralismo e la camera delle autonomie

PACE A., Un procedimento “speciale derogatorio”, “straordinario”, “in rottura della Costituzione”...e anche illegittimo ex art. 138 Cost. Note critiche al d.d.l. cost. n. 813 AS (n. 1359 AC) (II) RUGGERI A., Verso

una revisione della forma costituzionale dello stato

SALERNO G. M., Il disegno di legge costituzionale sull’istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali e elettorali: spunti per alcune riflessioni preliminari

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La Fondazione Achille Grandi per il Bene Comune La Fondazione Achille Grandi per il Bene Comune nasce nel 2009 per volontà delle Acli con lo scopo di realizzare un progetto culturale e politico basato sui principi e i valori della Dottrina Sociale della Chiesa. È intitolata ad Achille Grandi, Vice Presidente dell’Assemblea Costituente, sindacalista e fondatore delle Acli, e ha come obiettivo la creazione di strumenti di proposta politica, la promozione di cittadinanza attiva, la formazione politica, lo sviluppo di iniziative di politiche locali. La Fondazione, presieduta dal Presidente nazionale delle Acli e il cui consiglio di amministrazione è composto da Presidenti regionali (Giambattista Armelloni, Anna Cristofaro, Arrigo Dalfovo, Vincenzo Maria Menna, Ottavio Sanna, Massimo Tarasco), ha elaborato quattro linee d’azione da perseguire attraverso un programma triennale: 1. La riforma della politica, dei partiti e delle istituzioni avviare una riflessione sulle principali questioni relative al dibattito sulle riforme istituzionali; riflessione che non si esaurisce nel solo ambito nazionale, ma interessa anche le istituzioni europee; 2. Il monitoraggio legislativo e la lobbying popolare e democratica attivare un osservatorio degli atti parlamentari e di governo ed avviare la lobbying popolare e democratica, conoscere e sostenere, con il supporto dei decisori politici, le proposte e le iniziative delle Acli. L’obiettivo è quello di riannodare il rapporto tra l’Associazione e la politica e rinsaldare i legami tra i parlamentari che provengono dall’esperienza aclista o che si riconoscono nell’azione politica e sociale del Movimento. 3. La rete territoriale degli aclisti impegnati in politica far crescere l’azione politica del Movimento sul territorio: sviluppare servizi a sostegno dei politici locali, seguendo i principi della Dottrina Sociale della Chiesa; mettere in rete un’ampia platea di amministratori locali che hanno a cuore il bene comune; condividere strumenti e risorse per il buon governo locale, favorendo lo

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scambio di progetti innovativi realizzati da comuni, province e regioni; favorire i momenti di confronto tra i dirigenti politici; 4. La memoria di Achille Grandi e dei testimoni del cattolicesimo sociale e democratico ricordare la memoria di Achille Grandi e dei testimoni del cattolicesimo sociale e democratico: nel 2013 si celebrano i 130 anni dalla nascita di Achille Grandi, nostro fondatore e padre della Repubblica Italiana. Nel 2014 e nel 2015 si celebreranno, rispettivamente, i 70 anni dall’ideazione delle Associazioni Cristiane Lavoratori Italiane e dalla loro effettiva fondazione. Il 2015 sarà anche l’anno della commemorazione dei 70 anni dalla liberazione dal nazi-fascismo e della rinascita democratica dell’Italia. Per portare avanti questi obiettivi, la Fondazione si è dotata di un Comitato Scientifico che ne accompagni il pensiero e al quale è affidato il prezioso compito di contribuire all’elaborazione delle linee fondamentali e degli indirizzi culturali della stessa. Il Comitato Scientifico, presieduto da Presidente Nazionale delle Acli, è composto dai Parlamentari eletti che hanno ricoperto un ruolo nazionale nell’Associazione, dai già Presidenti nazionali, dai già Parlamentari e da esperti che, per la loro attività di ricerca o per le funzioni svolte, siano in possesso dei requisiti rispondenti alle finalità della Fondazione .

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Censimento degli aclisti eletti in Parlamento e nelle amministrazioni locali La Fondazione Achille Grandi per il Bene Comune, per conto delle Acli, sta realizzando un censimento degli aclisti eletti in Parlamento, nelle amministrazioni locali ed impegnati in politica. Le Acli vogliono, infatti, rilanciare l’azione politica del Movimento sui territori e rinsaldare il rapporto con quanti ogni giorno si mettono a servizio della propria comunità. In ragione di ciò è stato chiesto a tutti i Presidenti provinciali e regionali di indicare i nominativi degli eletti nei propri territori. Agli amministratori censiti si sta inviando un breve questionario volto a comprendere alcune dimensioni del loro impegno sociale, civile e politico, il collegamento con l’Associazione e, soprattutto, i bisogni, le ricchezze e le difficoltà della loro esperienza. Ad oggi hanno risposto all’invito 64 province nelle quali tra parlamentari, consiglieri (regionali, provinciali, comunali) e sindaci operano 336 amministratori. In particolare: 7 Deputati 3 Senatori 6 Consiglieri regionali 31 Sindaci. Numero di amministratori per provincia Alessandria Ancona Aosta Arezzo Ascoli Piceno Avellino Bari Bat Belluno Benevento Biella Bologna Bolzano Brescia Cagliari Caltanissetta Chiavari Como Cremona Totale

2 2 5 1 6 2 1 3 1 4 10 40 2 5 20 15 8

Crotone Cuneo Enna Fermo Foggia Forlì-Cesena Frosinone Genova Gorizia Grosseto Imperia Isernia L'aquila Lecco Lodi Macerata Mantova Messina Nuoro

2 17 3 5 3 3 6 2 2 3 6 5 5 6 10 4 3

Oristano Padova Palermo Parma Pavia Perugia Pesaro-Urbino Piacenza Pisa Pordenone Potenza Ragusa Ravenna Roma Sassari Siracusa Terni Torino Treviso

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2 2 10 1 3 14 5 10 1 1 4 2 3 13 2 5 3

Trieste Udine Varese Venezia Vercelli Vicenza Viterbo

7 7 13 6 3 3 4

336

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