ACLI Bergamo
VERSO LA PASQUA Da credenti nella storia degli uomini
Progetto grafico Studio Peldy srl - Stampa Tipolitografia Gamba, Verdello
VERSO LA
PASQUA
da credenti nella storia degli uomini ACLI Bergamo
QUARESIMA 2016
BERGAMO
NEL CUORE DEL MONDO RACCOGLIERSI PER LA LODE. NELLA NOTTE CIRCONDANDOSI DI SILENZIO. ESSERE NELLA CITTÀ SENTINELLE CHE APRONO IL LIBRO PER ESSERE DISCEPOLI IN AGGUATO DI UNA PAROLA, DI UN SEGNO.
ACLI Bergamo Via San Bernardino, 59 - Bergamo Tel. 035 210284 info@aclibergamo.it www.aclibergamo.it
SEGUIRE CRISTO E ABITARE TRA GLI UOMINI. TUTTO LASCIARE PER ACCOGLIERE IL POVERO. TENERE LA PORTA APERTA A COLUI CHE TI CERCA. POTER INTENDERE TUTTI I PECCATI E VIVERE DA FRATELLI. NELLO STRANIERO SENTIRE I TUOI PASSI CHE SI AVVICINANO. CONDIVIDERE IL SAPERE E IL PANE. NELLA DIFFERENZA TENDERE LA TUA MANO VERSO L’ALTRO. INSEGNARE AI BAMBINI CHE IN CIELO DIO SOLAMENTE È GIUDICE. VIVERE SENZA PAURA NELLA CITTÀ ATTRAVERSATA DA VIOLENZA. ABITARE UNA CASA DI PACE.
In copertina: Carlo Previtali, Cristo Patiens, ceramica raku, dim. cm 242 x 45 x 42, 2011
TRADURRE IN PAZIENZA IL DESIDERIO DEL REGNO. COSÌ NELLA DOLCEZZA DELLO SPIRITO IL TUO GIORNO SI LEVA.
RINFRANCATE I VOSTRI CUORI! Carissimi, anche quest’anno introduco con piacere il libretto, preparato con cura dalle ACLI, che accompagnerà la quotidiana preghiera dei lavoratori e delle famiglie durante il tempo di Quaresima. Un tempo liturgico importante che ci prepara a vivere il cuore della vicenda cristiana: la passione, morte e resurrezione di Gesù di Nazareth. E come sempre la storia dei cristiani è intrecciata con la storia degli uomini del tempo. Per questo non posso non notare come celebriamo questo inizio di Quaresima ancora in un clima di diffusa insicurezza: sociale, economica e lavorativa. Dobbiamo riconoscere che l’insicurezza diffusa ha avuto tra le sue radici quella dell’indifferenza. Un’indifferenza pigra, ottusa. Un’indifferenza che abbiamo eretto a difesa dei nostri piccoli o grandi egoismi. Un’indifferenza che paradossalmente è stata stravolta assumendo il volto della insicurezza e rischiando di diventare il grembo di sentimenti violenti che non pensavamo potessero albergare nei nostri cuori. Più volte papa Francesco ci ha invitato a vincere l’insicurezza scardinando l’indifferenza e “rinfrancando i nostri cuori”. È a partire dal cuore che può avviarsi un movimento che vince l’insicurezza, scardinando l’indifferenza e aprendoci nonostante tutto alla speranza. Che cosa significa rinfrancare i nostri cuori? Significa essenzialmente dar forma al cuore attraverso tre atteggia4
menti: la compassione, la comprensione, la condivisione. La compassione che nasce innanzitutto dall’accogliere il dono di Dio. Dice l’Apostolo: “Lasciatevi riconciliare con Dio”. Lasciate che questo dono di Dio raggiunga il vostro cuore, il centro del vostro cuore, la profondità del vostro cuore. Accogliete il dono di Dio. Rinnovate la nostra fede nel dono misericordioso di Dio. Lasciatevi trasformare da quell’Eucaristia alla quale partecipate. Il dono di Dio che ci viene comunicato nell’Eucaristia - particolarmente nell’Eucaristia comunitaria della domenica - nel momento in cui viene accolto, ci trasforma, rinfrancando il nostro cuore e dandogli la forma della compassione. Compassione che - non dimentichiamo - è una sofferenza condivisa con gli altri. È una sofferenza assunta per la sofferenza degli altri: sofferenze che stanno nella nostra famiglia, sofferenze dei più deboli, dei malati piccoli o grandi, degli anziani, sofferenza di chi in questo momento è smarrito, sofferenza di chi si sente per tante ragioni escluso. Questa compassione, questo soffrire con chi soffre, è una grande forza. Rinfrancate i vostri cuori dando al vostro cuore, che accoglie il dono di Dio, la forma di questo dono, la forma della compassione di Dio. Rinfrancate i vostri cuori assumendo la forma della comprensione. Comprendere ha molto a che fare con l’abbracciare, col prendere tutto di chi sta accanto a noi. È veramente la rappresentazione della misericordia. La comprensione non è giustificazione, non è un lasciar andare le cose, ma è veramente l’esercizio della misericordia. Il Papa 5
ce lo ha ripetuto: “Le nostre comunità diventino isole di misericordia nell’oceano dell’indifferenza”. Se mi posso permettere di aggiungere una parola a quella del Papa: le nostre comunità diventino narrazioni della misericordia, che riconosciamo anche fuori delle nostre comunità. Dobbiamo essere capaci di riconoscere questi frammenti di misericordia, di restituirli, di raccontarli. I nostri cuori si rinfrancano attraverso l’esercizio della misericordia che prende i tratti della comprensione. E finalmente, rinfrancate i vostri cuori attraverso il riconoscimento del limite di cui ciascuno di noi è portatore, cominciando dal limite radicale del peccato, disponendoci alla condivisione. Gesù spezzò il pane e il Profeta ci dice: “spezza il tuo pane con l’affamato”. A volte il nostro è solo un boccone di pane, non ci è rimasto molto, per mille ragioni. La strada per vincere l’insicurezza scardinando l’indifferenza è quella della condivisione, a partire dalla coscienza del limite di ciascuno e dal piccolo boccone di pane che ciascuno possiede. Possiamo dire con convinzione che nell’accogliere questa proposta quaresimale sentiamo dentro di noi la possibilità di una vittoria morale e di una vittoria spirituale su quella pervasiva insicurezza che sembra svuotare ogni slancio. Che sia veramente così per tutti noi. Buona Quaresima! † Francesco Beschi, Vescovo
Questo testo nasce dalla volontà di accompagnare i cristiani durante il periodo di Quaresima. Non vuole sostituire percorsi personali o comunitari di ascolto e di confronto con la Parola: vuole solo essere l’occasione e l’invito - in modo particolare rivolto ai lavoratori e alle famiglie - a ritagliare, nel cammino verso la Pasqua, un tempo di riflessione e di preghiera. L’articolazione del volume è semplice. All’inizio di tutte le settimane è proposto il testo di un “maestro” nella fede che accompagna la riflessione lungo la settimana. Ogni giorno sono presentati due brevi passi biblici presi dalla liturgia eucaristica. Di venerdì, la traccia, simile a quella degli altri giorni, è solo un po’ più abbondante. Dove è condivisa da più persone, questo potrebbe essere lo schema dell’incontro: segno di Croce, recita dell’Inno, lettura dei testi e della meditazione di Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose, sugli atteggiamenti da custodire, spiritualmente, durante il tempo della Quaresima, una preghiera della tradizione religiosa universale, Padre Nostro e preghiera finale. Il mercoledì delle ceneri e i venerdì di quaresima, per quanti lavorano a Bergamo, vi è la possibilità di partecipare alla preghiera comune che si terrà, presso la Chiesa delle Grazie, dalle 13.30 alle 14.00. Di Domenica, sono offerte alcuni brevi meditazioni, per un itinerario spirituale, scritte da don Lino Casati, Delegato Vescovile della Diocesi, mentre il testo di inizio Quaresima è di Frère Aloise, priore di Taizè. Il contributo finale è di Lorenzo Ravasini, un diacono della Famiglia della Visitazione che, da anni, vive a Gerusalemme. A loro, preziosi compagni di strada, va il nostro più sentito ringraziamento. Grazie a Maria Spiezia, Antonia Semperboni, Enza Di Natale e Marina Gibelli. Ha coordinato Daniele Rocchetti
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Volgerci verso Dio di frere Aloise di Taizè
Inizialmente la Quaresima orienta il nostro pensiero verso l’immagine del deserto, quello nel quale Gesù ha trascorso quaranta giorni di solitudine, o quello che ha attraversato il popolo di Dio camminandovi per quarant’anni. Frère Roger amava ricordare, quando ritornavano queste settimane precedenti la Pasqua, che la Quaresima non è un tempo di austerità o di tristezza, né un periodo per coltivare la colpa, ma un momento per cantare la gioia del perdono. Egli vedeva la Quaresima come quaranta giorni per prepararsi a riscoprire delle piccole primavere nelle nostre vite. All’inizio del Vangelo di Matteo, quando Giovanni Battista proclama «pentitevi!», egli vuole dire «volgetevi verso Dio!». Si, durante la Quaresima noi vorremmo volgerci verso Dio per accogliere il suo perdono. Cristo ha vinto il male, e il suo costante perdono ci permette di rinnovare la vita interiore. È alla conversione che siamo invitati: non intesa come un volgerci verso noi stessi in un’introspezione o un perfezionismo individuale, ma come ricerca della comunione con Dio e con gli altri. Volgerci verso Dio! È pur vero che, nel mon8
do occidentale, è diventato più arduo per certuni credere in Dio. Essi vedono la sua esistenza come un limite alla loro libertà. Pensano di dover lottare da soli per costruire la loro vita. Che Dio li accompagni sembra loro inconcepibile. Un giorno, ho visitato i nostri fratelli che abitavano in Corea da più di trent’anni. Durante il viaggio, con un altro fratello, abbiamo avuto degli incontri con i giovani di molti Paesi asiatici. Ciò che mi ha colpito, in Asia, è che la preghiera sembra naturale. All’interno delle diverse religioni, la gente ha nella preghiera un atteggiamento di rispetto, o meglio di adorazione. In quelle società non c’è meno tensione o violenza che in Occidente. Ma un senso d’interiorità è forse più accessibile, un rispetto davanti al miracolo della vita, della creazione, un’attenzione al mistero, a un aldilà. Come rinnovare la vita interiore scoprendo e riscoprendo una relazione personale con Dio? C’è in noi tutti una sete d’infinito. Dio ci ha creati con questo desiderio di assoluto. Lasciamo vivere in noi quest’aspirazione! Tra i canti di Taizè, ce n’è uno che esprime quest’attesa. Le parole sono di un poeta spagnolo, Luis Rosales, ispirate a san Giovanni della Croce: «Di notte andremo per incontrare la fonte, solo 9
la sete ci illumina». Per molti, il tempo di Quaresima è quello della rinuncia. Non che l’ascesi abbia valore in se stessa. Ma la rinuncia può aiutarci ad andare incontro alla nostra attesa più profonda, alla nostra sete di essenziale, e questa sete illuminerà il nostro cammino. Se talvolta camminiamo di notte, oppure come attraverso un deserto, non è per seguire un ideale: noi credenti seguiamo una persona, Cristo. Non siamo soli, Egli ci precede. Seguirlo implica una lotta interiore, con decisioni da prendere, fedeltà da mantenere tutta una vita. In questa lotta non ci affidiamo alle nostre sole forze, ma ci abbandoniamo alla sua presenza. Il sentiero non è tracciato in precedenza, esso implica anche accogliere delle sorprese, create a partire dall’imprevisto. E Dio non si stanca di riprendere il cammino con noi. Possiamo credere che una comunione con Lui sia possibile e non stancarci mai, nemmeno di noi, nel dover riprendere il combattimento. Non perseveriamo in quest’impegno per presentarci a Dio nel nostro giorno migliore; no, noi accettiamo di camminare come poveri del Vangelo che si affidano alla misericordia di Dio. La Quaresima è un tempo che ci invita alla condivisione. Ci porta a sentire che non c’è pienezza senza l’accettazione di rinunce, e questo per amo10
re. Mentre si trovava nel deserto, Gesù, mosso a compassione per coloro che lo avevano seguito, moltiplica cinque pani e due pesci per nutrire tutti. Quali segni di condivisione possiamo compiere anche noi? Il Vangelo esalta la semplicità di vita. Ci spinge al dominio dei nostri desideri per arrivare a limitarci, non per costrizione ma per scelta. È importante operare una cernita fra i nostri desideri. Non sono tutti cattivi, ma neanche tutti sono buoni. Si tratta di capire, pazientemente, quali seguire prioritariamente e quali lasciare da parte. Questo invito diventa molto attuale oggi, non solo sul piano personale, ma anche nella vita delle società. La semplicità liberamente scelta permette di resistere alla rincorsa del superfluo nei più avvantaggiati e contribuisce alla lotta contro la povertà imposta ai più diseredati. Sì, il Vangelo ci chiama alla semplicità. Scegliere la semplicità apre il nostro cuore alla condivisione e alla gioia che viene da Dio. Durante questo tempo di Quaresima, osiamo rivedere il nostro stile di vita, non per far provare sensi di colpa a coloro che faranno meno, ma in vista di una solidarietà con i più poveri. Il Vangelo c’incoraggia a condividere liberamente, collocando tutto nella semplice bellezza della creazione.
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Una settimana con…. GIORGIO LA PIRA Io posso, per mio conto, ringraziare Iddio di concedermi il dono della fame, della persecuzione, dell’oppressione, della ingiustizia, dell’ingiuria, ecc.; ma se i miei fratelli si trovano in tale stato, io sono tenuto a intervenire per soccorrerli; se non lo avrò fatto, il Signore me lo dirà con parole terrificanti nel giorno del giudizio: “Ebbi fame e non mi sfamasti, fui carcerato e non mi visitasti”! Si allude forse a opere puramente individuali? Anche a queste, ma non soltanto a queste; in questo dovere dell’amore operoso è inclusa - nei limiti delle proprie capacità e possibilità - la trasformazione sociale. Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa ‘brutta’! No: l’impegno politico - cioè l’impegno diretto alla costruzione cristianamente ispirata della società in tutti i suoi ordinamenti a cominciare dall’economico - è un impegno di umanità e di santità: è un impegno che deve potere convogliare verso di sé gli sforzi di una vita tutta tessuta di preghiera, di meditazione, di prudenza, di fortezza, di giustizia e di carità.
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MERCOLEDÌ 10 FEBBRAIO 2016 Mercoledì delle Ceneri Gl 2,12-18; Sal 50; 2Cor 5,20-6,2; Mt 6,1-6.16-18
Suonate il corno in Sion, proclamate un solenne digiuno, convocate una riunione sacra. Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti; esca lo sposo dalla sua camera e la sposa dal suo talamo.
In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». Matteo 6,1-6.16-18
Gioele 2,15-16 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. 14
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DIGIUNARE PER DARE VALORE ALLE COSE Benoît Standaert
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angiare e digiunare toccano il nostro essere umano in un aspetto estremamente vitale: il bambino vi lotta nella fase orale, tanto essenziale per l’assetto futuro di tutta una vita. Ci troviamo dunque in presenza di qualcosa di molto elementare e altrettanto essenziale. Il primo peccato nel libro della Genesi riguarda proprio la bocca e la prima tentazione di Gesù nel deserto ha a che fare con le stesse cose (“Di’ che queste pietre diventino pani!”). Del resto, tutta l’esistenza nel deserto conosce soprattutto questa tentazione, come appare chiaro dalla meditazione di Deuteronomio 8, a cui si riferisce anche Gesù: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”. Marie Balmary rimanda, nella sua lettura psicoanalitica dei testi biblici, all’importanza strutturante del primissimo comando-divieto: “Non divorerai o mangerai tutto senza motivo – non divorare”. Ciò che è dal maligno, è il divorare tutto senza limiti e confini. Questo non è possibile. “Puoi mangiare tutto eccetto il frutto di quell’unico albero”. Che saggezza in queste parole! E si ritrova in
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quasi tutte le culture. Si tratta di una struttura che si pone contro la voracità sfrenata. In Africa si consoce persino la regola di togliersi il cibo dalla bocca a causa di un ospite di passaggio. Sorge la domanda: cosa facciamo noi oggi, dal punto di vista culturale? Non stiamo saccheggiando interamente la biosfera, divorandola, distruggendola, malgrado tutti gli accordi di Kyoto? I grandi di questo mondo si ritirano, per primi. E lo fanno impunemente. Per quanto tempo ancora? Una cultura della pienezza ha paura del vuoto, del silenzio, della lentezza, del digiuno, dell’apertura, dell’altro da sé. Chi non digiuna mai tende a negare l’altro. Ci rendiamo conto della gravità di tutto ciò? Il digiuno dà espressione al mio timore del Signore. In questo modo nasce un giusto rapporto verso tutto, con tutto ciò che è altro. Nel digiuno creo un vuoto per l’altro da me. Chi non digiuna mai, vive una pienezza che prima o poi lo porta a scacciare fuori chiunque altro, a schiacciarlo, a ridurlo a se stesso, finché non rimane che un solo mondo, il nostro, lo stesso, finché non c’è più nient’altro, o semplicemente non c’è più niente. Digiunare bene è dunque un atto di saggezza, di equilibrio, di rispetto immenso. Digiunare è persino un atto politico e cosmico, un atto che riguarda la salvezza di tutta la creazione.
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GIOVEDÌ 11 FEBBRAIO 2016 Dt 30,15-20; Sal 1; Lc 9,22-25
Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte. È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene. Dal Salmo 1 A tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà». Luca 9,23-24 Credevamo che chiusi nella fortezza interiore della preghiera noi potessimo sottrarci ai problemi sconvolgitori del mondo; e invece nossignore; eccoci impegnati con una realtà che ha durezze talvolta invincibili; una realtà che ci fa capire che non è una pia espressione l’invito di Gesù: nel mondo avrete tribolazioni; prendi la tua croce e seguimi. Bisogna lasciare - pur restandovi attaccato col fondo del cuore - l’orto chiuso dell’orazione. Giorgio La Pira 18
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VENERDÌ 12 FEBBRAIO 2016 Is 58,1-9a; Sal 50; Mt 9,14-15
INNO Rinati dalla luce figli del giorno Signore a te veniamo nel mattino la tua parola dissipa le ombre e libera dal male il nostro spirito. O Padre della gloria Dio vivente la tua luce splenda ai nostri occhi da’ a noi l’eredità da te promessa in Cristo figlio tuo primogenito. Nel giorno in cui creasti Adamo dal fango l’hai ricreato in Cristo sulla croce noi contempliamo l’albero di vita ormai non più vietato dal tuo angelo.
In ascolto della Parola Liberami dal sangue, o Dio, Dio mia salvezza: la mia lingua esalterà la tua giustizia. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode. Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi. Dal Salmo 50 Gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?». E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno». Matteo 9,14-15
Onore e gloria a te o Padre del cielo per mezzo di Gesù il salvatore nel dono di ogni luce il santo Spirito che vive eternamente per i secoli. Amen
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VITA SPIRITUALE
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on si dà vita cristiana senza vita spirituale! Lo stesso mandato fondamentale che la chiesa deve adempiere nei confronti dei suoi fedeli è quello di introdurli a un’esperienza di Dio, a una vita in relazione con Dio. È essenziale ribadire oggi queste verità elementari, perché viviamo in un tempo in cui la vita ecclesiale, dominata dall’ ansia pastorale, ha assunto l’idea che l’esperienza di fede corrisponda all’impegno nel mondo piuttosto che all’ accesso a una relazione personale con Dio vissuta in un contesto comunitario, radicata nell’ ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Scritture, plasmata dall’ eucaristia e articolata in una vita di fede, di speranza e di carità. Questa riduzione dell’ esperienza cristiana a morale è la via più diretta per la vanificazione della fede. La fede, invece, ci porta a fare un’ esperienza reale di Dio, ci immette cioè nella vita spirituale, che è la vita guidata dallo Spirito santo. Chi crede in Dio deve anche fare un’ esperienza di Dio: non gli può bastare avere idee giuste su Dio. E l’esperienza, che sempre avviene nella fede e non nella visione (cfr. 2 Corinti 5,7: «noi camminiamo per mezzo della fede e non ancora per mezzo della visione»), è qualcosa che ci sorprende e si impone portandoci a ripetere
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con Giacobbe: «Il Signore è qui e io non lo sapevo!» (Genesi 28,16), oppure con il Salmista: «Alle spalle e di fronte mi circondi [...]. Dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, tu sei là, se scendo agli inferi, eccoti» (Salmo 139,5 e sgg.). Altre volte la nostra esperienza spirituale è segnata dal vuoto, dal silenzio di Dio, da un’ aridità che ci porta a ridire le parole di Giobbe: «Se vado in avanti, egli non c’è, se vado indietro, non lo sento; a sinistra lo cerco e non lo scorgo, mi volgo a destra e non lo vedo» (Giobbe 23,8-9). Eppure anche attraverso il silenzio del quotidiano Dio ci può parlare. Dio infatti agisce su di noi attraverso la vita, attraverso l’esperienza che la vita ci fa fare, dunque anche attraverso le «crisi», i momenti di buio e di oscurità in cui la vita può portarci. L’esperienza spirituale è anzitutto esperienza di essere preceduti: è Dio che ci precede, ci cerca, ci chiama, ci previene. Noi non inventiamo il Dio con cui vogliamo entrare in relazione: Egli è già là! E l’esperienza di Dio è necessariamente mediata dal Cristo: «nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» dice Gesù (Giovanni 14,6). Cioè l’esperienza spirituale è anche esperienza filiale. Lo Spirito santo è la luce con cui Dio ci previene e orienta il nostro cammino verso la santificazione, cammino che è sequela del Figlio: l’esperienza spirituale diviene così null’ altro che la risposta di 23
fede, speranza e carità al Dio Padre che nel battesimo rivolge all’uomo la parola costitutiva: «Tu sei mio figlio!». Sì, figli nel Figlio Gesù Cristo: questa la promessa e questo il cammino dischiusi dal battesimo! Come diceva Ireneo di Lione, lo Spirito e il Figlio sono come le due mani con cui Dio plasma le nostre esistenze in vite di libertà nell’obbedienza, in eventi di relazione e di comunione con Lui stesso e con gli altri. Alcuni elementi sono essenziali per l’autenticità del cammino spirituale. Anzitutto la crisi dell’immagine che abbiamo di noi stessi: questo è il doloroso, ma necessario inizio della conversione, il momento in cui si frantuma l’«io» non reale ma ideale che ci siamo forgiati e che volevamo perseguire come doverosa realizzazione di noi stessi. Senza questa «crisi» non si accede alla vera vita secondo lo Spirito. Se non c’è questa morte a se stessi non ci sarà neppure la rinascita a vita nuova implicata nel battesimo (cfr. Romani 6,4). Occorrono poi l’onestà verso la realtà e la fedeltà alla realtà, cioè l’adesione alla realtà, perché è nella storia e nel quotidiano, con gli altri e non senza di essi, che avviene la nostra conoscenza di Dio e cresce la nostra relazione con Dio. È a quel punto che la nostra vita spirituale può armonizzare obbedienza a Dio e fedeltà alla terra in una vita di fede, di speranza e di carità. È a quel punto che noi possiamo 24
dire il nostro «sì» al Dio che ci chiama con quei doni e con quei limiti che caratterizzano la nostra creaturalità. Si tratterà dunque di immettersi in un cammino di fede che è sequela del Cristo per giungere all’esperienza dell’inabitazione del Cristo in noi. Scrive Paolo ai cristiani di Corinto: «Esaminate voi stessi se siete nella fede: riconoscete che Gesù Cristo abita in voi?» (2 Corinti 13,5). La vita spirituale si svolge nel «cuore», nell’intimo dell’uomo, nella sede del volere e del decidere, nell’interiorità. È lì che va riconosciuta l’autenticità del nostro essere cristiani. La vita cristiana infatti non è un «andare oltre», sempre alla ricerca di novità, ma un «andare in profondità», uno scendere nel cuore per scoprire che è il Santo dei Santi di quel tempio di Dio che è il nostro corpo! Si tratta infatti di «adorare il Signore nel cuore» (cfr. I Pietro 3, I 5). Quello è il luogo dove avviene la nostra santificazione, cioè l’accoglienza in noi della vita divina trinitaria: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Giovanni 14,23). Fine della vita spirituale è la nostra partecipazione alla vita divina, è quella che i Padri della chiesa chiamavano «divinizzazione». «Dio, infatti, si è fatto uomo affinché l’uomo diventi Dio», scrive Gregorio di Nazianzo, e Massimo il Confessore 25
sintetizza in modo sublime: «La divinizzazione si realizza per innesto in noi della carità divina, fino al perdono dei nemici come Cristo in croce. Quand’è che tu diventi Dio? Quando sarai capace, come Cristo in croce, di dire: “Padre, perdona loro”, anzi: “Padre, per loro io do la vita”». A questo ci trascina la vita spirituale, cioè la vita radicata nella fede del Dio Padre creatore, mossa e orientata dallo Spirito santificatore, innestata nel Figlio redentore che ci insegna ad amare come lui stesso ha amato noi. Ed è lì che noi misuriamo la nostra crescita alla statura di Cristo.
Dalla tradizione religiosa universale
O Cristo, luce che viene dall’alto, illumina coloro che sono nelle tenebre: mostra loro il cammino del tuo amore. Sii il sostegno di quanti sono scoraggiati, con il tuo Spirito aiutaci a compiere la volontà del tuo amore, dacci pertanto un cuore nuovo. (Preghiera di Taizè)
Orazione
All’inizio di questa Quaresima, ti offriamo il desiderio di una vita autentica. Liberaci, Signore, da ogni ipocrisia, che rende sterile e falsa la vita. Sostienici nel desiderio di autenticità: che non facciamo nulla solo per conquistarci la stima degli altri. Purificaci da ogni grettezza e mediocrità, e aiutaci a cercare Te: conoscerti è conoscerci! Che noi possiamo essere come tu vuoi! 26
SABATO 13 FEBBRAIO 2016 Is 58,1-9a; Sal 50; Mt 9,14-15
Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!». Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono. Isaia 58,9-11 Dopo questo egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Ed egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. Luca 5,27-28 La deviazione individualista che considera l’uomo come essere antisociale non è certamente frutto del cattolicesimo! Ma la socialità dell’uomo non significa esaurimento di esso nella società e nelle sue strutture economiche e politiche: di là dall’economia, dalla politica, dalla cultura e così via c’è il mondo interiore della libertà, della contemplazione e dell’amore; c’è il mondo di Dio, al quale l’uomo, per effetto della grazia, si eleva! Giorgio La Pira 27
1ª DOMENICA DI QUARESIMA
14 febbraio 2016
Dt 26,4-10; Sal 90; Rm 10,8-13; Lc 4,1-13
Gli Egiziani ci maltrattarono, ci umiliarono e ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore, al Dio dei nostri padri, e il Signore ascoltò la nostra voce, vide la nostra umiliazione, la nostra miseria e la nostra oppressione; il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso, spargendo terrore e operando segni e prodigi. Ci condusse in questo luogo e ci diede questa terra, dove scorrono latte e miele. Deuteronomio 26,6-9 Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano; e anche: Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra». Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato. Luca 4,1-2.9-13 Non tradirò mai i poveri, gli indifesi, gli oppressi: non aggiungerò al disprezzo con cui sono trattati dai potenti l’oblio od il disinteresse dei cristiani. Giorgio La Pira 28
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Come stare nella prova
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a vita è una prova, si dice a volte quando si sta passando faticosi momenti personali o comunitari. Soprattutto quando questa sofferenza del vivere sembra essere una realtà ordinaria e il deserto dell’esistenza sembra essere infinito. Ma cosa vuol dire prova? Semplicemente che la promessa di bene e di vita, che ci è regalata quando ci affacciamo nel mondo, viene messa alla prova perché sembra dover subire una cocente smentita. Anche Gesù, dopo la promessa bella del Battesimo (Lc 3,21-22) nel quale fa l’esperienza del dono dello Spirito e dell’essere Figlio, è condotto nel deserto, cioè in un luogo privo di tutto, luogo del vuoto per eccellenza, il luogo dell’assenza che richiama il nulla. Gesù passa dunque attraverso la prova del vuoto dove quella promessa battesimale sembra smentita. Un vuoto nel quale egli abita per quaranta giorni, cioè un tempo infinito che non ha termine, una prova che sembra non finire mai, e quando essa finisce per poter respirare qualche attimo, è solo per ripresentarsi con più forza. Più che essere tentato a fare il male, ci dicono gli esegeti, Gesù nel deserto è “provato” circa il suo modo
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di credere a quella promessa. In effetti il diavolo (cioè il divisore, colui che crea separazione e contraddizione) cerca di indurlo non tanto a fare il male, cioè ad abbandonarsi a un plateale egoismo, alla prepotenza o al narcisistico piacere. Piuttosto egli vorrebbe spingerlo a compiere il bene, missione per cui è egli venuto al mondo, secondo una modalità che lui gli insegna. La prova dunque è sul modo di svolgere una missione buona. Volontà di possesso, desiderio di dominio e ricerca del miracolistico non sono espressione di una evidente cattiva volontà, ma sono una forma non evangelica di percorrere la strada della missione. Potremmo dire con papa Francesco che la missione della Chiesa non può perseguire i suoi scopi pastorali assumendo forme che nell’immediato possono farle guadagnare consensi ma che non sono però conformi allo stile evangelico. Sul piano dell’agire morale non ci si deve solo preoccupare che i fini siano buoni, direbbe qualcuno, ma occorre anche che lo siano pure i mezzi. Anzi il mezzo è già fine in questo caso. Conosciamo tutti la “tentazione” di affrontare il tempo della prova, cioè del deserto che in qualche modo è sempre presente nella storia dell’uomo, usando strumenti e modalità 31 31
che diano visibilità forte, riconoscimento e prestigio, spazio e possibilità perché la Chiesa svolga la sua missione. Non per nulla il diavolo nella terza “tentazione”, quella di percorrere la strada del prodigio che attira e “converte” le folle, cita la Scrittura e si pone dal punto di vista di Dio. Forse la credibilità del cristianesimo oggi si gioca proprio su questo versante: siamo chiamati a porci con uno stile (direbbe qualcuno) nel quale si dice la buona notizia del Regno, che è Gesù, coltivando e praticando un rapporto non predatorio con le cose, rinunciando al desiderio di potere che mortifica la vita dell’altro, non volendo piegare l’agire di Dio ai nostri bisogni e alle nostre mancanze. Lo stile di Gesù, che nella prova del deserto sa resistere, è quello di continuare a credere in ciò che ha sperimentato nel Battesimo ritenendo che quello non sia perduto bensì presente nell’unico modo possibile: un dono che chiede solo di essere accolto. Il dono dello Spirito che lo proclama Figlio. Gesù allora percorre la strada della sua missione da Figlio, accogliendo e fidandosi del Padre, non utilizzando la potenza di Dio per “risolvere” i problemi e i contrasti che incontrerà: la prova non durerà solo quaranta giorni e il diavolo tornerà, dice Luca, al tempo 32
opportuno, cioè ai piedi del Crocifisso (“se sei figlio di Dio scendi dalla croce e noi ti crederemo”). Abbiamo qui una bussola precisa di come stare nella prova e di come impostare la nostra pastorale: semplicemente essere Figli del Padre come Gesù e praticare uno stile evangelico nel rapporto con la storia, cioè essere umani.
Una settimana con…. don ANDREA GALLO Nutrire l’affamato, accogliere lo straniero, visitare l’ammalato sono gesti di restituzione e, dunque, atti di giustizia, ma per Gesù sono anche veri e propri gesti di devozione. Chi li compie è come se onorasse e rendesse culto a Dio stesso. Gesù avrebbe potuto dire: benedetti voi che andate tutte le settimane al tempio e pagate l’obolo, e invece no. Se avesse parlato ai nostri giorni, avrebbe potuto dire: benedetti voi che fate la comunione tutte le domeniche, che andate ai santuari mariani, che andate dal papa alle giornate mondiali della gioventù, che versate l’otto per mille alla Chiesa cattolica... e invece non dice niente di tutto questo.
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LUNEDÌ 15 FEBBRAIO 2016 Lv 19,1-2.11-18; Sal 18; Mt 25,31-46
Il Signore parlò a Mosè e disse: parla a tutta la comunità degli Israeliti dicendo loro: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore”. Levitico 19,1-2.18 Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Matteo 25,31-36 Io vedo che, quando allargo le braccia, i muri cadono. Accoglienza vuol dire costruire dei ponti e non dei muri. Don Andrea Gallo
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MARTEDÌ 16 FEBBRAIO 2016 Is 55,10-11; Sal 33; Mt 6,7-15
Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore: i poveri ascoltino e si rallegrino. Magnificate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome. Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato. Dal Salmo 33 Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Matteo 6,7-10 La strada mi arricchisce, continuamente. Lì avvengono gli incontri più significativi, l’incontro della vera sofferenza, l’incontro di chi però ha ancora tanta speranza e allora guarda, attende. Per la strada nascono le alternative, nasce il voler conquistare dei diritti. Don Andrea Gallo 37
MERCOLEDÌ 17 FEBBRAIO 2016
GIOVEDÌ 18 FEBBRAIO 2016
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto: così sei giusto nella tua sentenza, sei retto nel tuo giudizio. Dal Salmo 50
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza. Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra, quando ascolteranno le parole della tua bocca. Canteranno le vie del Signore: grande è la gloria del Signore! Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile; il superbo invece lo riconosce da lontano.
Gn 3,1-10; Sal 50; Lc 11,29-32
Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona. Luca 11,31-32 L’uomo si salva se nel profondo della sua coscienza vibra la Parola di Gesù di Nazareth insieme alla volontà di metterla in pratica. Don Andrea Gallo 38
Ester 4,17; Sal 137; Mt 7,7-12
Dal Salmo 137 Chi di voi, al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono! Matteo 7,9-11 I cristiani, se non sono accoglienti, non dicano che sono cristiani. Chiunque incontri è tuo fratello, figlio, figlia; non ci sono fratelli e sorelle di serie B, C e D. Su tutte le difficoltà riguardanti l’immigrazione, dico: diamo prima l’accoglienza e poi le difficoltà le affronteremo. Don Andrea Gallo 39
VENERDÌ 19 FEBBRAIO 2016 Ez 18,21-28; Sal 129; Mt 5,20-26
INNO O Creatore e fonte di grazia, la nostra voce che geme ascolta: una quaresima intera di pianto vogliamo offrirti in santa astinenza. O Dio, che esplori nel fondo del cuore, quanto sia debole l’uomo tu sai; e quanto a te convertiti torniamo ora ricolma di grazia e d’amore. O Trinità benedetta, ascolta, Unità semplice, questo concedi: che porti frutto ai tuoi fedeli il grande dono di essere sobri.
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In ascolto della Parola Se il malvagio si allontana da tutti i peccati che ha commesso e osserva tutte le mie leggi e agisce con giustizia e rettitudine, egli vivrà, non morirà. Nessuna delle colpe commesse sarà più ricordata, ma vivrà per la giustizia che ha praticato. Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva? Ezechiele 18,21-23 Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!». Matteo 5,20-26 41
VIGILANZA
«N
on abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante.» Questo apoftegma di Abba Poemen, un padre del deserto, esprime bene l’essenzialità che la vigilanza riveste nella vita spirituale cristiana. In che consiste? Il Nuovo Testamento, opponendola allo stato di ubriachezza e a,quello della sonnolenza, la definisce come la sobrietà e il «tenere gli occhi ben aperti» di colui che ha un fine preciso da conseguire e da cui potrebbe essere distolto se non fosse, appunto, vigilante. E poiché lo scopo da conseguire per un cristiano è la relazione con Dio attraverso Gesù Cristo, la vigilanza cristiana è totalmente relativa alla persona di Cristo che è venuto e che verrà. Basilio di Cesarea termina le sue Regole morali affermando che lo «specifico» del cristiano consiste proprio nella vigilanza in ordine alla persona di Cristo: «Che cosa è proprio del cristiano? Vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronto nel compiere perfettamente ciò che è gradito a Dio, sapendo che nell’ora che non pensiamo il Signore viene». La sottolineatura della dimensione temporale presente in questo testo non è casuale. Tipo del vigilante è il profeta, colui che cerca di tradurre lo sguardo e la Parola di Dio nell’ oggi del tempo e della storia. La vigilanza è dunque lucidità interiore, intelligenza, capacità critica, presenza alla storia, non distrazione e non dissipazione. Unificato dall’ascolto della Parola di Dio, interiormente attento alle sue esigenze, l’uomo vigilante diviene responsabile, cioè radicalmente non in42
differente, cosciente di doversi prendere cura di tutto. E, in particolare, capace di vigilare su altri uomini e di custodirli. «Essere episcopus, vescovo,» scrive Lutero «significa guardare, essere vigilante, vigilare diligentemente.» È dunque, la vigilanza, una qualità che richiede grande forza interiore e produce equilibrio: si tratta di attivare la vigilanza non solo sulla storia e sugli altri, ma anche su di sé, sul proprio ministero, sul proprio lavoro, sulla propria condotta, insomma su tutta la sfera delle relazioni che si vivono. Affinché su tutto regni la signoria di Cristo. La difficoltà della vigilanza consiste proprio nel fatto che anzitutto è su di sé che occorre vigilare: il nemico del cristiano è in lui stesso, non fuori di lui. «Vegliate su voi stessi e pregate in ogni tempo: che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita», dice Gesù nel Vangelo di Luca. La vigilanza è al prezzo di una lotta contro se stessi: il vigilante è il resistente, colui che combatte per difendere la propria vita interiore, per non lasciarsi trascinare dalle seduzioni mondane, per non farsi travolgere dalle angosce dell’esistenza, insomma, per unificare fede e vita e per mantenersi nell’ equilibrio e nell’ armonia; vigilante è colui che aderisce alla realtà e non si rifugia nell’immaginazione, nell’idolatria, che lavora e non ozia, che si relaziona, che ama e non è indifferente, che assume con responsabilità il suo impegno storico e lo vive nell’ attesa del Regno che verrà. La vigilanza è dunque alla radice della qualità della vita e delle relazioni, è al servizio della pienezza della vita e combatte le seduzioni che la morte esercita sull’uo43
mo. Così Paolo ammonisce i cristiani di Tessalonica: «Non dormiamo come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobri». Per la simbolica biblica, ma anche per altre culture (si pensi alla mitologia greca che fa di Hypnos, Sonno, il gemello di Thanatos, Morte), cadere nel sonno significa entrare nello spazio della morte. Vigilare, invece, non è solo un atteggiamento proprio dell’uomo attento e responsabile, ma acquisisce un significato particolare per il cristiano che pone la sua fede nel Cristo morto e risorto. La vigilanza è assunzione intima e profonda della fede nella vittoria della vita sulla morte. Così il vigilante diviene non solo uomo sveglio, che si oppone all’uomo addormentato, intontito, che ottunde i suoi sensi interiori, che rimane alla superficie delle cose e delle relazioni, ma diviene anche uomo di luce e capace di irradiare luce. «Illuminati» tramite l’immersione battesimale, i cristiani sono «figli della luce» chiamati a illuminare: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini affinché, vedendo il vostro operare la bellezza, rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Matteo 5, I 6). Non si tratta di esibizionismo spirituale, anzi, dell’ effetto traboccante della luce che, abitando un cuore vigilante, non può rimanere nascosta, ma di per sé emerge e si diffonde. In certo senso, la vigilanza è l’unica cosa assolutamente essenziale al cristiano: essa è la matrice di ogni virtù, è il sale di tutto l’agire, la luce del suo pensare e parlare. Senza di essa tutto l’agire del cristiano rischia di essere in pura perdita. Disse Abba Arsenio: «Bisogna che ognuno vigili sulle proprie azioni per non faticare invano». 44
Dalla tradizione religiosa universale
Qui c’è il tuo sgabello, e qui riposano i tuoi piedi, dove vivono i più poveri, i più umili, i perduti. Quando cerco d’inchinarmi a te il mio omaggio non riesce a giungere dove i tuoi piedi riposano tra i più poveri, i più umili, i perduti. L’orgoglio teme d’accostarsi a te. Mentre cammini, indossando le misere vesti dei più poveri, dei più umili, dei perduti. Il mio cuore non riesce a trovare la strada per scendere laggiù dove tu tieni compagnia a uomini soli: i più poveri, i più umili, i perduti. (Preghiera induista)
Orazione
O Dio onnipotente e Santo, volgi su di noi il tuo volto di luce. Preservaci dalla falsa pietà, dalla religione senza cuore, dal cancro dell’ipocrisia. Non ci capiti mai di lasciarci tentare e di fare le cose per essere ammirati degli uomini. La nostra pietà sia fondata su una fede forte e vera, su una profonda esperienza del tuo mistero buono, sull’amore appassionato per te e per il prossimo. Rendici generosi verso i più poveri, liberaci di fronte al denaro e ai beni di questo mondo, felici di condividere quanto possediamo. Facci dono della preghiera sincera e profonda, che ci introduce nella tua santa realtà e ci fa percepire i tuoi stessi desideri. Amen
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SABATO 20 FEBBRAIO 2016 Dt 26,16-19; Sal 118; Mt 5,43-48
Il Signore ti ha fatto dichiarare oggi che tu sarai il suo popolo particolare, come egli ti ha detto, ma solo se osserverai tutti i suoi comandi. Egli ti metterà, per gloria, rinomanza e splendore, sopra tutte le nazioni che ha fatto e tu sarai un popolo consacrato al Signore, tuo Dio, come egli ha promesso». Deuteronomio 26,18-19 Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Matteo 5,44-48 Il peccato più grave è l’indifferenza. Don Andrea Gallo
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2ª DOMENICA DI QUARESIMA
21 febbraio 2016
Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-41; Lc 9,28b-36
Lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle»; e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. Genesi 15,5-6 Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Luca 9,28-32 È difficile tener sempre la porta aperta, non è facile. C’è anche la paura, ma noi non rimuoviamo la paura, la affrontiamo. Quante volte in questo ufficio mi han puntato una rivoltella... Ma solo attraverso l’accoglienza, attraverso l’ascolto, attraverso la disponibilità, la generosità, si supera la paura. Don Andrea Gallo
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NELL’ASCOLTO PER DARE VERITÀ A CIÒ CHE SI VEDE
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no dei peccati che solitamente si confessano, in questa situazione nella quale non si sa bene dare un nome e una determinazione al peccato, è la “distrazione nella preghiera”, cioè, per dirla in altre parole, la stanchezza e la pesantezza del pregare. Sia che la preghiera si riduca a formule ripetute (magari senza un minimo di coinvolgimento) sia che proprio in quei momenti di preghiera i pensieri più vari, o più pressanti, ci assalgano. Anche Pietro, Giacomo e Giovanni sono presi da stanchezza e dormono, proprio come accadrà loro di nuovo nell’orto del Getzemani. Ma forse non è la preghiera ad essere pesante e a indurci al sonno, piuttosto è la fatica del vivere che ci assale con la sua pesantezza, è quella paura e quel terrore (di cui si parla anche nella prima lettura tratta da Genesi) che ci prende in certe circostanze drammatiche o tragiche della vita, è lo scoraggiamento rispetto alla possibilità di poter cambiare in meglio certe situazioni nostre o degli altri. A volte questo sonno è cercato e atteso come rimedio a ciò che appare irrimediabile e allora diventa fuga dalla libertà, diventa rifiuto di affrontare la responsabilità di
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un cammino, diventa ricerca di distrazione attraverso mille forme di sperimentazione di esperienze e di incontri, diventa una ossessione nel consumare cose. Proprio come gli apostoli che, mentre Gesù parla con Elia e Mosè del suo “esodo” verso Gerusalemme, dormono, rimuovono la fatica di questo cammino, non comprendono come possa essere un cammino di libertà dal momento che è segnato dalla croce. Ciò che avverrà nel Getzemani per gli stessi tre discepoli è prefigurato qui, in questo evento di Grazia e di Luce, come se essa fosse troppo grande per i nostri occhi e insopportabile per la nostra povera e fragile umanità. Eppure a questo noi aspiriamo: ad avere momenti nei quali la vita appare trasfigurata, momenti nei quali sorprendentemente emerge tutto quello che di buono vi è nel vivere nostro e altrui, momenti nei quali le fratture e i contrasti della vita e degli altri ci appaiono superati. In quei momenti ci sembra di vedere ciò che abitualmente non vediamo, sono esperienze nelle quali la visione non incute paura e angoscia, ma al contrario è pacificante e ci spinge a volerla prolungare, trattenendola e ancora una volta cedendo alla tentazione del possesso. Nella trasfigurazione di Gesù lo sguardo abbagliato 51
degli apostoli viene ricondotto alla parola, alla necessità cioè di ascoltare ciò che Gesù dice e dirà. La visione della luce e della pienezza di vita, a volte magari sperimentata nell’esistenza, per essere vera e non rappresentare una fuga dalla responsabilità, ha bisogno cioè di un ascolto di quella Parola che nell’ordinario della vita quotidiana lo stesso Gesù ci regala. Quell’ “ascoltatelo” pronunciato dalla voce che esce dalla nube dice come solo nell’ascolto si può dare verità a ciò che si vede. La parola infatti interpella e invita ad accogliere ciò che lo sguardo coglie; nella parola pronunciata e fatta carne nel proprio vissuto la pienezza di vita e di luce che appare sul monte entra veramente nella storia. Certo oggi vi è la tendenza a privilegiare l’immagine e il vedere che ha a che fare con il virtuale. Ad essere sollecitata è soprattutto la dimensione emotiva della persona, tutto ciò non è certo male. Anzi, la componente emotiva è il primo luogo in cui la realtà si dàe nel quale accade l’incontro con gli altri; in essa si lascia prefigurare quella comunione piena cui siamo destinati e che il Signore ci fa balenare. Nondimeno solo se la parola entra a interpretare, a decifrare, rischiando anche la fatica del pensare e del decidere e dunque dello 52
scegliere, tutto questo diventa veramente parte della propria storia. E’ anche per questo che la trasfigurazione di Gesù sul monte, per essere colta nel suo vero senso, ha bisogno della ripresa del cammino nella pianura, dello “sporcarsi le vesti” nella compagnia degli uomini e nei problemi ordinari e straordinari del vivere.
Con il crocifisso di Gesù, unico mediatore tra Dio e gli uomini, unico sacerdote, i cristiani con i loro pastori devono smascherare le disumanità, con la capacità di destare il salutare “scandalo” dell’Evangelo; devono avere il coraggio della denuncia profetica contro tutte le ingiustizie, con vigilanza e istanza critica, contro i rischi dell’assurgere del potere politico ed economico a idolo. Don Andrea Gallo 53
Una settimana con…. I MONACI DI TIBHIRINE Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese… Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato. La mia vita non ha valore più di un’altra. Non ne ha neanche di meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito. Dal testamento di frère Christian
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LUNEDÌ 22 FEBBRAIO 2016
MARTEDÌ 23 FEBBRAIO 2016
Esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi: pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce. 1Pietro 5,1-4
Viene il nostro Dio e non sta in silenzio; davanti a lui un fuoco divorante, intorno a lui si scatena la tempesta. Convoca il cielo dall’alto e la terra per giudicare il suo popolo: «Davanti a me riunite i miei fedeli, che hanno stabilito con me l’alleanza offrendo un sacrificio». I cieli annunciano la sua giustizia: è Dio che giudica. «Ascolta, popolo mio, voglio parlare, testimonierò contro di te, Israele! Io sono Dio, il tuo Dio!».
Cattedra di S.Pietro 1Pt 5,1-4; Sal 22; Mt 16,13-19
Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. Matteo 16,13-17 Ci sono fratelli a cui è chiesto di testimoniare con il dono della loro vita e altri ai quali viene domandato di testimoniare attraverso le loro vite. I monaci di Tibhirine 56
Is 55,10-11; Sal 33; Mt 6,7-15
Dal Salmo 49 Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli.E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato». Matteo 23,8-12 Ciò che sperimentiamo diventa una spiritualità delle mani vuote, in cui si comprende che tutto, persino le nostre stesse debolezze, può diventare dono e grazia di Dio, manifestazione della potenza del suo amore che solo può convertire la debolezza umana in forza spirituale. I monaci di Tibhirine. I monaci di Tibhirine 57
MERCOLEDÌ 24 FEBBRAIO 2016 Ger 18,18-20; Sal 30; Mt 20,17-28
Alle tue mani affido il mio spirito; tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele. Tu hai in odio chi serve idoli falsi, io invece confido nel Signore. Esulterò e gioirò per la tua grazia, perché hai guardato alla mia miseria, hai conosciuto le angosce della mia vita; non mi hai consegnato nelle mani del nemico, hai posto i miei piedi in un luogo spazioso. Dal Salmo 30 Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà». Matteo 20,17-19 Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto. I monaci di Tibhirine 58
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GIOVEDÌ 25 FEBBRAIO 2016 Ger 17,5-10; Sal 1; Lc 16,19-31
Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia. È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti. Salmo 1
La mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista: “Dica, adesso, quello che ne pensa!”. Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione,giocando con le differenze. frère Christian di Tibhirine
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”». Luca 16,25-31 60
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VENERDÌ 26 FEBBRAIO 2016
Gen 37,3-4.12-13a 17b-28; Sal 104; Mt 21,33-43.45-46
INNO Sole tu sei di giustizia, o Cristo, che il nuovo giorno accendi sul mondo, tu dalle tenebre libera i cuori, accendi ora le forze del bene. In questo tempo propizio, Signore, a penitenza conduci gli spiriti: tutti converti al tuo vero amore quanti conforta la lunga pietà. Venuto è il tempo, è questo il tuo giorno in cui riprendon le cose a sperare, e rifiorendo insieme pur noi già pregustiamo la gioia di pasqua. Unico Dio, tre volte Signore, sii adorato da tutte le cose, e noi, rinati dal tuo perdono, già ora il cantico nuovo cantiamo. 62
In ascolto della Parola Quando uscirono, gioì l’Egitto, che era stato colpito dal loro terrore. Distese una nube per proteggerli e un fuoco per illuminarli di notte. Alla loro richiesta fece venire le quaglie e li saziò con il pane del cielo. Spaccò una rupe e ne sgorgarono acque: scorrevano come fiumi nel deserto. Così si è ricordato della sua parola santa, data ad Abramo suo servo. Dal Salmo 104 In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a 63
suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi?”. Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta. Matteo 21,33-43.45
ASCOLTO
«I
ncapaci di ascoltare e di parlare»: così sono gli uomini secondo un frammento di Eraclito. Ilcristiano ha piena coscienza che la sua capacità di parlare al suo Dio, che egli non può vedere, dipende dall’ ascoltarlo. La fede nasce dall’ascolto: fides ex auditu (Romani 10,17), e la preghiera è anzitutto ascolto, un ascolto di Dio attraverso quel sacramento della sua Parola che sono le Scritture, e un ascolto di Dio nella storia, nel quotidiano; un ascolto possibile quando la lunga frequentazione con l’Evangelo ha educato il discernimento del credente. Il cristiano trova infatti la fonte del suo vedere nell’ascoltare. Non stupisce pertanto che il cristianesimo sia anzitutto un’ ascesi dell’ ascolto, un’arte dell’ascolto. Il Nuovo Testamento chiede di prestare attenzione a 64
chi si ascolta, a ciò che si ascolta, a come si ascolta. Il che implica un continuo discernimento fra la Parola e le parole, una faticosa opera di riconoscimento della Parola di Dio nelle parole umane, della sua volontà negli eventi storici, e la disposizione globale di tutta la persona umana. Nella vita spirituale si cresce a misura che si scende nelle profondità dell’ascolto. Ascoltare infatti significa non solo confessare la presenza dell’ altro, ma accettare di far spazio in se stessi a tale presenza fino a essere dimora dell’ altro. L’esperienza dell’inabitazione della presenza divina in se stessi (le visite del Verbo di cui san Bernardo più volte si confessa beneficiario a seguito della sua lectio biblica) non è dissociabile dal divenire capaci di «dare ospitalità» agli altri grazie all’ ascolto. Si comprende così che colui che ascolta, che definisce la sua identità in base al paradigma dell’ ascolto, sia anche colui che ama: in radice è vero che l’amore nasce dall’ ascolto, amor ex auditu. L’ascolto «di Dio», con tutte le dimensioni - di silenzio, di attenzione, di interiorizzazione, di sforzo spirituale per trattenere ciò che si è ascoltato, di decentramento da sé e ricentramento sull’Altro - che esso esige, diviene accoglienza, o meglio, svelamento in sé di una presenza intima a noi più ancora di quanto lo sia il nostro stesso «io». L’ascolto porta il credente a rifare l’esperienza di Giacobbe, quando il patriarca esclamò: «Il Signore è qui e io non lo sapevo» (Genesi 28,16). Ma 65
il luogo di Dio non è altro che la persona umana. Per la Bibbia, infatti, Dio non è «Colui che è», ma «Colui che parla», e parlando cerca relazione con l’uomo e suscita la sua libertà: infatti, se la Parola è un dono, essa può sempre essere accolta o rifiutata. Per questo la vita spirituale cristiana fa anche della lettura un’ ascesi, un movimento di incontro con Colui che parla attraverso la pagina biblica. La tradizione ebraica chiama Miqra’ la Bibbia, con un termine che indica una «chiamata» a uscire «da» per andare «verso»: ogni atto di lettura della Bibbia, per un credente, è l’inizio di un esodo, di un cammino di uscita da sé per incontrare un Altro. Un esodo che avviene essenzialmente nell’ascolto! Non a caso le narrazioni bibliche dicono che il grande ostacolo al cammino di liberazione esodico del popolo d’Israele dall’Egitto fu la «durezza di cuore», la «dura cervice», cioè l’ostinazione a non ascoltare Dio per ascoltare solo se stessi. Ma è anche vero che l’esperienza biblica, e poi l’esperienza del credente, scopre che Dio è anche «Colui che ascolta la preghiera». L’ascolto dell’uomo porta a conoscere l’ascolto di Dio come dimensione in cui egli stesso è immerso, che lo precede e fonda. Dice Paolo: «In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (Atti 17,28). L’ascolto è l’atteggiamento contemplativo, antidolatrico per eccellenza. Grazie ad esso il cristiano cerca di vivere nella coscienza della presenza di Dio, dell’ Altro che fonda il mistero irriducibile di ogni alterità. Il cristiano vive di ascolto. 66
Dalla tradizione religiosa universale
Possano i ciechi riconoscere le forme, possano i sordi udire i suoni, e possa ogni donna incinta partorire senza dolore. Possa il nudo trovare il vestito, e l’affamato il cibo; possa il disperato trovare nuova speranza, costante felicità e prosperità. Possano tutti coloro che sono sofferenti e malati rapidamente essere liberati dalla loro sofferenza, e possa mai più verificarsi alcuna malattia nel mondo. Possa il timoroso cessare di avere paura e coloro che sono prigionieri essere liberati e possa la gente avere pensieri di amicizia. Possano tutti i viandanti trovare felicità, ovunque si rechino, e senza alcuno sforzo siano in grado di compiere quanto si sono proposti di fare. Possano i bambini, gli anziani, gli abbandonati, i malati di mente essere protetti da benefattori celesti. Possa nessuna creatura vivente mai soffrire, fare del male o ammalarsi; possa nessuno avere paura o essere sminuito, o il suo animo essere depresso. (Preghiera buddista)
Orazione
O Dio, che con il dono del tuo amore ci riempi di ogni benedizione, trasformaci in creature nuove, per essere preparati alla Pasqua gloriosa del tuo Regno. Guarda, Dio onnipotente, l’umanità sfinita per la sua debolezza mortale, e fa’ che riprenda vita per la passione del tuo unico Figlio. 67
SABATO 27 FEBBRAIO 2016 Mi 7,14-15.18-20; Sal 102; Lc 15,1-3.11-32
Quale dio è come te, che toglie l’iniquità e perdona il peccato al resto della sua eredità? Egli non serba per sempre la sua ira, ma si compiace di manifestare il suo amore. Egli tornerà ad avere pietà di noi,calpesterà le nostre colpe.
Credo che di fronte alla tentazione onnipresente dell’integralismo che l’Islam ufficiale veicola, noi possiamo, avendo relazioni antiche e improntate alla fiducia con i vicini, invitarli continuamente a restare aperti. Sono profondamente convinto che «apertura» sia la parola maestra della testimonianza cristiana oggi in questo Paese. frère Christian di Tibhirine
Michea 7,18-19 Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Luca 15,11-14.17-20 68
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3ª DOMENICA DI QUARESIMA
28 febbraio 2016
Es 3,1-8a.13-15; Sal 102; 1Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9
L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». Esodo 3,2-5 Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”». Luca 13,6-9 «Poiché ti basta un niente, solo un sì per fare l’impossibile qui, per favore prendimi presto». frère Christian di Tibhirine 70
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UNA FRAGILITÀ FECONDA
P
uò sembrare sorprendente l’atteggiamento di Gesù di fronte ai tragici fatti di cui si dice nel Vangelo di questa domenica: non partecipa allo sgomento e alle discussioni che esso suscita. Soprattutto non asseconda la ricerca delle cause o dei colpevoli che sempre accompagna questi fatti. Per noi infatti sembra che la cosa più importante e più urgente sia quella di rispondere alla domanda “di chi è la colpa” o di sapere la causa precisa e sicura che ha prodotto il fatto. Magari per pensare che noi non rientriamo in questa casistica e dunque siamo al riparo da queste tragiche eventualità. Più radicalmente di fronte a questi fatti dove alcune persone muoiono, sorgono le classiche domande: perché Dio lo permette? Perché non interviene per fermare la mano degli omicidi? Forse, come ha detto qualcuno, prima di chiederci perché si muore e perché Dio non prende posizione per togliere questo scandalo che è la morte occorrerebbe chiederci perché si vive. La vita infatti non è così scontata come può apparire. E allora scopriremmo che il perché della vita sta in quel senso buono che le è stato regalato fin dall’inizio e che si nasconde dentro
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la sua fragilità e finitezza, con queste profondamente intrecciato. La morte forse è la manifestazione ultima di quella finitezza che custodisce il senso buono. Gesù allora è preoccupato proprio di questo: che gli avvenimenti, anche tragici, ci istruiscano sul senso della vita e della morte. Ci istruiscano prima di tutto sulla precarietà della vita che proprio perché è un miracolo non si può possedere come cosa propria che duri sempre, ci istruiscono sulla fragilità e caducità delle nostre sicurezze. Essere consapevoli non solo sul piano generale che la vita è sempre in qualche modo esposta ad essere persa ed è attraversata da ciò che la minaccia, non per vivere in perenne ansia e agitazione o paura, ma per valorizzare il senso buono che c’è in ogni suo frammento perché proprio in questa fragile carne è venuto ad abitare il Figlio dell’uomo. Soprattutto Gesù invita a saper riconoscere che nella vita c’è un male più radicale e decisivo rispetto al male fisico che è la morte, ed è il male morale, il peccato. Questo fa morire le radici della la vita e da qui scaturisce il “ma se non vi convertite perirete tutti allo stesso modo”. La reale morte fisica, causata da eventi imponderabili o da responsabilità umane, diventa allora figura e richiamo alla morte “seconda” 73
come la chiamerebbe la tradizione cristiana. Quello quaresimale è allora un cammino di conversione nell’attesa della Pasqua del Signore, del suo passare nella fragilità e morte della nostra umanità per compiere la promessa di bene e di vita che in essa è stata seminata fin dalla creazione del mondo. A fronte delle domande: ma come è possibile la conversione? Non sarà per caso una fatica di Sisifo per cui ogni sforzo risulta vano dal momento che in ogni momento si riaffaccia la possibilità del male e del peccato?A che pro se si spinge il masso del proprio peccato in cima al monte ma subito dopo esso rotola giù e ci si ritrova al punto di partenza nella necessità di riprendere lo sforzo? Due consolazioni ci offre Gesù nella sua Parola. Dio è paziente, sa aspettare ancora un anno, cioè il tempo che ci è dato da vivere, che non è infinito e tuttavia porta dentro una pazienza infinita e appassionata (pazienza deriva da passione, una passione che non si consuma nell’attimo ma sa distendersi nel tempo). Proprio come la paziente pedagogia del Padre nei confronti del suo popolo. E allora al fico viene rinnovata la cura e l’attesa. A questa pazienza del Padre concorre l’azione del Figlio, il vignaiolo che conoscendo direttamente la fragilità dell’u74
mano, in un certo senso potremmo dire la rende presente al Padre e gli permette di esplicitare tutta la sua (del Padre) passione e il suo amore per gli uomini, che sono resi figli proprio attraverso il Figlio. La possibilità della conversione allora non è remota, ma vicina, a portata di mano, e la vita, nella sua fragilità diventa sorprendentemente feconda, capace di portare frutto pur rimanendo fragile.
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Una settimana con…. DIETRICH BONHOEFFER Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro. Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”. Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente e incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”. Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima. Lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia.
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LUNEDÌ 29 FEBBRAIO 2016
MARTEDÌ 1 MARZO 2016
L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Le lacrime sono il mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: «Dov’è il tuo Dio?». Questo io ricordo e l’anima mia si strugge: avanzavo tra la folla, la precedevo fino alla casa di Dio, fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi, perché sei tu il Dio della mia salvezza; io spero in te tutto il giorno. Ricòrdati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre. I peccati della mia giovinezza e le mie ribellioni, non li ricordare: ricòrdati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore. Dal Salmo 24
2Re 5,1-15a; Sal 41 e 42; Lc 4,24-30
Dal Salmo 41 «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». Luca 4,24-28 Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo. Come l’amore di Dio incomincia con l’ascoltare la sua Parola, così l’inizio dell’amore per il fratello sta nell’imparare ad ascoltarlo. Chi non sa ascoltare il fratello, ben presto non saprà neppure più ascoltare Dio. Anche di fronte a Dio sarà sempre lui a parlare. Dietrich Bonhoeffer 78
Dn 3,25.34-43; Sal 24; Mt 18,21-35
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Matteo 18,23-27 Ci sono uomini che ritengono poco serio, e cristiani che ritengono poco pio, sperare in un futuro terreno migliore e prepararsi ad esso. Essi credono che il senso dei presenti accadimenti sia il caos, il disordine, la catastrofe, e si sottraggono nella rassegnazione o in una pia fuga dal mondo alla responsabilità per la continuazione della vita, per la ricostruzione, per le generazioni future. Può darsi che domani spunti l’alba dell’ultimo giorno: allora, non prima, noi interromperemo volentieri il lavoro per un futuro migliore. Dietrich Bonhoeffer 79
MERCOLEDÌ 2 MARZO 2016
GIOVEDÌ 3 MARZO 2016
È bello cantare inni al nostro Dio, è dolce innalzare la lode. Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi d’Israele; risana i cuori affranti e fascia le loro ferite. Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome. Grande è il Signore nostro, grande nella sua potenza; la sua sapienza non si può calcolare.
“Ascoltate la mia voce, e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici”.
Dt 4,1.5-9; Sal 147; Mt 5,17-19
Geremia 7,23
In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Matteo 5,18-19
Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni».Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche Satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio». Matteo 18,23-27
Il cristiano non ha sempre un’ultima via di fuga dai compiti e dalle difficoltà terrene nell’eterno, come chi crede nei miti della redenzione, ma deve assaporare fino in fondo la vita terrena come ha fatto Cristo («mio Dio, perché mi hai abbandonato?») e solo così facendo il crocifisso e risorto è con lui ed egli è crocifisso e risorto con Cristo. L’aldiquà non deve essere soppresso prematuramente. Dietrich Bonhoeffer
Dio si lascia cacciare fuori del mondo sulla croce, Dio è impotente e debole nel mondo e appunto solo così egli ci sta al fianco e ci aiuta. […] Qui sta la differenza decisiva rispetto a qualsiasi religione. La religiosità umana rinvia l’uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il deus ex machina. La Bibbia rinvia l’uomo all’impotenza e alla sofferenza di Dio, solo il Dio sofferente può aiutare. Dietrich Bonhoeffer
Dal Salmo 147
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Ger 7,23-28; Sal 94; Lc 11,14-23
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VENERDÌ 4 MARZO 2016 Os 14,2-10; Sal 80; Mc 12,28b-34
INNO Favorevole tempo è questo, - lo proclama di Dio la parola per sanare un mondo malato, in preghiera e in santo digiuno. Nella luce gloriosa di Cristo di salvezza il giorno risplende, mentre i cuori feriti da colpe l’astinenza rinnova e conforta. Dio, guida ogni uomo a pentirsi, corpi e anime libera e salva: fortunato cammino ci porti alla festa di pasqua perenne. Ogni cosa ti adori, o Dio, per tre volte Signore infinito; fatti nuovi dal tuo perdono canteremo il cantico nuovo.
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In ascolto della Parola Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente, poiché la mia ira si è allontanata da loro. Sarò come rugiada per Israele; fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano. Osea 14,5-7 Si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. Marco 12,28-34
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DIGIUNO
A
ssistiamo oggi in Occidente a un’ eliminazione de facto della pratica ecclesiale del digiuno: così una prassi vissuta già da Israele, riproposta da Cristo, accolta dalla grande tradizione ecclesiale, è sempre meno presente, non più richiesta... Eppure, per ritrovare la propria verità, quella verità umana che con la grazia diventa la verità cristiana, occorre pensare, pregare, condividere i beni, conoscere il male che ci abita, ma anche digiunare, inteso come disciplina dell’ oralità. Il mangiare appartiene al registro del desiderio, deborda la semplice funzione nutritiva per rivestire rilevanti connotazioni affettive e simboliche. L’uomo, in quanto uomo, non si nutre di solo cibo, ma di parole e gesti scambiati, di relazioni, di amore, cioè di tutto ciò che dà senso alla vita nutrita e sostentata dal cibo. Il mangiare del resto avviene insieme, in una dimensione di convivialità, di scambio. L’oralità è connessa alle dimensioni del «mangiare», del «parlare», del «baciare», dunque alle dimensioni biologica, comunicativa e affettiva dell’ esistenza umana, e per questo ci rinvia alla totalità della persona che «vive» di queste dimensioni. Il digiuno svolge così la fondamentale funzione di farci sapere qual è la nostra fame, di che cosa viviamo, di che cosa ci nutriamo, e di ordinare i nostri appetiti intorno a ciò che è veramente centrale. E tuttavia sarebbe profondamente ingannevole pensare che il digiuno - nella varietà di forme e gradi che la tradizione cristiana ha
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sviluppato: digiuno totale, astinenza dalle carni, assunzione di cibi vegetali o soltanto di pane e acqua - sia sostituibile con qualsiasi altra mortificazione o privazione. Il mangiare infatti rinvia al primo modo di relazione del bambino con il mondo esterno: il bambino non si nutre solo del latte materno, ma inizialmente conosce l’in distinzione fra madre e cibo; quindi si nutre delle presenze che lo attorniano: egli «mangia», introietta voci, odori, forme, visi, e così, pian piano, si edifica la sua personalità relazionale e affettiva. Questo significa che la valenza simbolica del digiuno è attinente alla globalità di questi aspetti e pertanto la sua peculiarità non può trovare degli «equivalenti»in altre forme di ascesi che, rivestendo altre valenze simboliche, non possono svolgere la sua funzione. Gli esercizi ascetici non sono interscambiabili! Con il digiuno noi impariamo a conoscere e a moderare i nostri tanti appetiti attraverso la moderazione dell’appetito fondamentale e vitale: la fame, e impariamo a disciplinare le nostre relazioni con gli altri, con la realtà esterna e con Dio, relazioni sempre tentate di voracità. Il digiuno è ascesi del bisogno ed educazione del desiderio. Solo un cristianesimo insipido e stolto che si comprende sempre più come morale sociale può liquidare il digiuno come sostanzialmente irrilevante e pensare che qualsiasi privazione di cose superflue (dunque non vitali come il mangiare) possa essergli sostituita. Questa è una tendenza docetica che rende «apparente» la creaturalità umana e che dimentica sia lo spessore 85
del corpo sia il suo essere tempio dello Spirito santo. In verità il digiuno è la forma con cui il credente confessa la fede nel Signore con il suo stesso corpo, è antidoto alla riduzione intellettualistica della vita spirituale o alla sua confusione con lo psicologico. Certamente, poiché il rischio di fare del digiuno un’ opera meritoria, una performance ascetica è presente, la tradizione cristiana ricorda che esso deve avvenire nel segreto, nell’umiltà, con uno scopo preciso: la giustizia, la condivisione, l’amore per Dio e per il prossimo (Isaia 58,4-7; Matteo 6,I-I8). Ecco perché la tradizione cristiana è molto equilibrata e sapiente su questo tema: «Il digiuno è inutile e anche dannoso per chi non ne conosce i caratteri e le condizioni» (Giovanni Crisostomo); «È meglio mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare con la maldicenza i propri fratelli» (abba Iperechio); «Se praticate l’ascesi di un regolare digiuno, non inorgoglitevi. Se per questo vi insuperbite, piuttosto mangiate carne, perché è meglio mangiare carne che gonfiarsi e vantarsi» (Isidoro Presbitero). Sì, noi siamo ciò che mangiamo, e il credente non vive di solo pane, ma soprattutto della Parola e del Pane eucaristici, della vita divina: una prassi personale ed ecclesiale di digiuno fa parte della sequela di Gesù che ha digiunato (Matteo 4,2), è obbedienza al Signore che ha chiesto ai suoi discepoli la preghiera e il digiuno (Matteo 6,16-18; 9,15; Marco 9,29; cfr. Atti 13,2-3; 14,23), è confessione di fede fatta con il corpo, è pedagogia che porta la totalità della persona all’ adorazione di Dio (e si noti che 1’eti86
mologia di «adorare» contiene il rimando alla bocca, os-oris, alla dimensione dell’oralità). In un tempo in cui il consumismo ottunde la capacità di discernere tra veri e falsi bisogni, in cui lo stesso digiuno e le terapie dietetiche divengono oggetto di business, in cui pratiche orientali di ascesi ripropongono il digiuno, e la quaresima è sbrigativamente letta come 1’equivalente del ramadan musulmano, il cristiano ricordi il fondamento antropologico e la specificità cristiana del digiuno: esso è in relazione alla fede perché fonda la domanda: «Cristiano, di che cosa vivi?».
Dalla tradizione religiosa universale
Ascolta la nostra voce, Signore nostro Dio, sii pietoso nei nostri confronti; non farci allontanare dal tuo volto, nostro re; perché tu ascolti le preghiere di ogni persona. Tu sia lodato, Signore, che odi le preghiere. (Preghiera ebraica)
Orazione
Padre Santo e buono, tuo Figlio Gesù ha vissuto in mezzo a noi come un medico per quelli che si riconoscevano malati: rendici consapevoli del nostro peccato affinché cerchiamo in lui la nostra guarigione e possiamo cantare la nostra comunione con te e i fratelli. Sii benedetto ora e nei secoli dei secoli. Amen. 87
SABATO 5 MARZO 2016 Os 6,1-6; Sal 50; Lc 18,9-14
Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza. Osea 6,1-2 Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato. Luca 18,10-14 Io vorrei parlare di Dio non ai limiti, ma al centro, non nelle debolezze, ma nella forza, non dunque in relazione alla morte e alla colpa, ma nella vita e nel bene dell’uomo. Raggiunti i limiti, mi pare meglio tacere e lasciare irrisolto l’irrisolvibile. Dietrich Bonhoeffer 88
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4ª DOMENICA DI QUARESIMA
6 MARZO 2016
Gs 5,9a.10-12; Sal 33; 2Cor 5,17-21;Lc 15,1-3.11-32
Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire. Questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo salva da tutte le sue angosce. Gustate e vedete com’è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia. Dal Salmo 33 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”». Luca 15,25-32 Essere cristiano non significa essere religioso in un determinato modo, fare qualcosa di se stessi (un peccatore, un penitente o un santo) in base ad una certa metodica, ma significa essere uomini; Cristo crea in noi non un tipo d’uomo, ma un uomo. Dietrich Bonhoeffer 90
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UN PADRE CHE CHIEDE SOLO DI LASCIARSI AMARE
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on è casuale che nel cuore della Quaresima il Vangelo domenicale sia quello delle parabole della misericordia. Per la verità quella riportata dalla odierna liturgia è solo la parabola del Padre misericordioso, omettendo le due parabole della pecorella smarrita e della dracma perduta. La misericordia infatti è il cuore stesso del Vangelo e dunque ascoltare le parabole che la raccontano significa toccarne il cuore. In effetti è proprio il racconto di una storia, più che una elaborata e rigorosa riflessione teorica, a permetterci di capire cosa c’è nel cuore di Dio e cosa significa misericordia da parte del Padre. Papa Francesco ci ha familiarizzato con questo tema e ci aiuta a riconoscerlo proprio come il centro della Rivelazione cristiana: un Dio instancabilmente in attesa e alla ricerca dell’uomo. Interessante poi, soprattutto nella parabola del Padre misericordioso, che i suoi sentimenti di amore per i figli siano svelati paradossalmente (ma avviene così nella vita) proprio quando i figli si allontanano o di fatto sono lontani pur vivendo vicino. In effetti è proprio quando il figlio minore torna a casa che
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questi scopre l’amore del padre. Prima lo pensava e lo considerava come un padrone dal quale pretendere ciò che gli spettava. Non immaginava che lui, figlio, fosse così prezioso per il padre. Per lui il padre era solo uno che aveva un patrimonio che avrebbe dovuto cedere al figlio. Uno dal quale ricavare vantaggi economici. E invece si accorge che il padre nel silenzio dell’attesa custodiva sentimenti di amore incontenibile, da sempre. La colpa in effetti se riconosciuta e confessata, se è il punto da cui partire per un cammino di conversione ci permette di fare l’esperienza di un Amore sorprendente che sempre c’era ma di cui non ci eravamo accorti. Il padre manifesta questi sentimenti anche al figlio maggiore; pure lui, seppur in forma diversa, si presenta incapace di capire e di vedere i sentimenti del Padre. Anche per lui la colpa è quella di vedere il rapporto con il Padre non come un legame di amore che porta a una condivisione, ma come un laccio che impedisce la propria autonomia. Sia il figlio minore che quello maggiore vivono il rapporto con il padre come un ostacolo alla propria libertà, intesa appunto come pura autonomia. In realtà quando la libertà non si concepisce all’interno di un legame, cioè a una direzione e a un senso che le 93
dà valore, quando la libertà non trova una buona causa che la sostiene e la orienta, alla fine finisce per pregiudicare il rapporto con se stessi e con gli altri. Un rapporto poco umano con se stessi (il figlio maggiore) perché il lavoro e ogni attività svolta vengono visti solo come una prestazione dove vige il diritto a ciò che spetta e dove la qualità fraterna o filiale del rapporto viene perso. Un rapporto poco umano con gli altri (figlio minore) perché con questo tipo di libertà si finisce per offendere la propria e l’altrui dignità. Il figlio minore infatti si riduce a “mangiare contendendo il cibo ai porci” e finisce per considerare le persone come puro oggetto del proprio piacere. Ma la grandezza della misericordia del Padre sta nel non rassegnarsi alla mentalità dei suoi figli. Lui non si ferma e non vuol sapere quale è il motivo per cui il figlio minore è tornato, gli basta che sia tornato, così cerca di far entrare alla festa il figlio maggiore facendo appello al legame di amore e di condivisione che lega il padre al figlio. Un Dio così può certo suscitare mormorazioni e malumori, soprattutto per chi è abituato a ridurre la fede a una religione della prestazione facendo il computo di meriti e demeriti. Invece lo stile è proprio quello di un Padre che chiede solo di 94
lasciarsi amare, di sentirsi figli, perché solo così ci si può sentire fratelli e sentire la responsabilità nei confronti del prossimo. E sentirsi figli significa riconoscere il proprio debito e la propria fragilità che Dio però non ci fa pesare e non ci rinfaccia. Piuttosto egli la considera una occasione ulteriore per mettere in atto la sua misericordia, avendo Lui un cuore attento alla debolezza dei figli dell’uomo.
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Una settimana con…. padre DAVID MARIA TUROLDO La realizzazione della propria umanità: questo è il solo scopo della vita che siamo chiamati ad essere, questa umanità di Dio, che è, appunto, il sogno di Dio. Ecco. Magari fosse possibile dire: sono arrivato! Ma non sono arrivato mai. E il progresso, il benessere, l’ ”essere bene” non sta nei possedimenti o nei libri o nelle cariche; sta in questa umanità realizzata giorno per giorno. E anzi se un giorno va male non scoraggiarsi perché la faremo andare bene oggi. Questa è la ragione della vita, tanto più la ragione del credere e del pregare.
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LUNEDÌ 7 MARZO 2016
MARTEDÌ 8 MARZO 2016
Ecco, infatti, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, poiché creo Gerusalemme per la gioia, e il suo popolo per il gaudio. Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia.
Mi disse: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell’Araba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà».
Is 65,17-21; Sal 29; Gv 4,43-54
Ez 47,1-9.12; Sal 45; Gv 5,1-16
Isaia 65,17-19 Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Giovanni 4,46-50 Il profeta è quello che denuncia il presente! Il futuro del mondo è la Parola di Dio. Bisogna risvegliare le coscienze. La profezia è sempre un esame di coscienza, e questo provoca fastidio. Senza profezia non c’è Chiesa, non c’è cammino. Padre David Maria Turoldo 98
Ezechiele 47,8-9 A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare. Giovanni 5,2-3.5-9 Per pregare bene bisogna conoscere il tempo, il proprio tempo; e il proprio impegno e dovere; e la volontà e il disegno di Dio che opera sempre nella storia. Il cielo del nostro Dio è la storia. Perché è nella preghiera che Iddio tesse i fili della nostra fraternità. Perché i confini dell’uomo di preghiera sono gli stessi confini di Dio, cioè nessun confine. Padre David Maria Turoldo 99
MERCOLEDÌ 9 MARZO 2016
GIOVEDÌ 10 MARZO 2016
Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto. Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa e tu dai loro il cibo a tempo opportuno. Tu apri la tua mano e sazi il desiderio di ogni vivente. Giusto è il Signore in tutte le sue vie e buono in tutte le sue opere. Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità.
Rendete grazie al Signore, perché è buono, perché il suo amore è per sempre. Chi può narrare le prodezze del Signore, far risuonare tutta la sua lode? Beati coloro che osservano il diritto e agiscono con giustizia in ogni tempo. Ricòrdati di me, Signore, per amore del tuo popolo, visitami con la tua salvezza, perché io veda il bene dei tuoi eletti, gioisca della gioia del tuo popolo, mi vanti della tua eredità. Dal Salmo 105
Is 49,8-15; Sal 144; Gv 5,17-30
Dal Salmo 144 Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati». Giovanni 5,19-21 Questo è un mondo senza misura e senza gloria, perché si è perso il dono e l’uso della contemplazione... civiltà del frastuono. Tempo senza preghiera. Senza silenzio e quindi senza ascolto... E il diluvio delle nostre parole soffoca l’appassionato suono della sua Parola. Padre David Maria Turoldo
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Es 32,7-14; Sal 105; Gv 5,31-47
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. Giovanni 5,36-38 L’elemosina non è quella che facciamo noi, quella che intendiamo noi, no! “Elemosyné”, cioè l’elemosina, è amore che trabocca. In realtà vuol dire questo. E’ come un vaso pieno il cui contenuto si riversa. L’elemosina è la partecipazione misericordiosa alla condizione dell’altro. Solo allora tu, in questa maniera, entri nella sfera di Dio, perché Dio è l’esser per l’altro. Padre David Maria Turoldo 101
VENERDÌ 11 MARZO 2016 Sap 2,1a.12-22; Sal 33; Gv 7,1-2.10.25-30
INNO Signore della vita che sempre ci accompagni Tu guidi i nostri passi dall’ombra al tuo splendore. Stranieri nel deserto chiamati a un’altra terra gli sguardi noi fissiamo al Giorno che tu sai. A te noi ci affidiamo in questo nostro errare un giorno noi vedremo il volto che cerchiamo. Davanti a noi appari o nube luminosa i nostri passi guida al tuo Regno eterno. Lo Spirito in noi preghi o Padre creatore in Cristo il Signore nei secoli infiniti. 102
In ascolto della Parola Dicono fra loro sragionando: «La nostra vita è breve e triste; non c’è rimedio quando l’uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dal regno dei morti. Non conoscono i misteriosi segreti di Dio, non sperano ricompensa per la rettitudine né credono a un premio per una vita irreprensibile». Sapienza,1.22
Dal Vangelo secondo Giovanni (7,1-2.10.25-30) In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto. Alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia». Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato». Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non 103
era ancora giunta la sua ora. Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato». Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora.
Dalla tradizione religiosa universale
Signore, Dio onnipotente, padre del nostro Signore e salvatore Gesù Cristo: noi ti ringraziamo in tutto quello che siamo, per tutto quello che abbiamo ed in tutto quello che soffriamo. Perché tu ci hai protetti e mantenuti, portati e accolti. Tu hai sofferto con noi, e ci hai condotti fino a quest’ora. Noi ti preghiamo, facci terminare questo giorno nel rispetto di te. (Dalla liturgia copta)
Orazione
O Dio, venendo a noi in Gesù e servendoti di persone fallibili, hai mostrato di voler essere un Dio vulnerabile; ti ringraziamo per la fiducia che ancora ci accordi, di servire e lavorare per l’avvento del tuo regno. Mantienici sempre docili alla tua volontà e al tuo disegno, e apri i nostri occhi affinché possiamo vedere le reali necessità delle persone attorno a noi. Rendici capaci di imparare in umiltà l’uno dall’altro, cosicché possiamo essere uniti nella comune responsabilità e devoti nel servire il tuo regno, per Cristo nostro Signore. Amen. 104
IDOLATRIA
C
osa evoca in noi il termine «idolatria»? Ormai abbandonata - o, meglio, confinata alle estreme terre delle sempre più esigue popolazioni rimaste «pagane» - l’accezione «feticistica», trasposta in ambito di popolarità sportiva o musicale la dimensione di «adorazione» incantata di un personaggio, messa in crisi una certa idealizzazione politica con il relativo culto della personalità, non si può però certo dire che gli idoli siano scomparsi dalla nostra esistenza, con tutto il loro carico di asservimento e di appiattimento dell’uomo e della sua libertà. Gli idoli, infatti, continuano a essere opera dell’uomo, e la loro creazione, sopravvivenza, trasformazione e funzionamento rispondono a precise istanze e bisogni antropologici. Non dimentichiamo che l’idolo - inteso come «simulacro», «feticcio» - non è la personificazione del dio, e in questo non inganna l’adoratore che è perfettamente consapevole di trovarsi di fronte non al dio in persona bensì a un’ opera delle proprie mani, un «manufatto» che egli stesso offre al dio come «immagine visibile» affinché questi acconsenta ad assumerne il volto. Così, chi adora una statua sa benissimo che il dio 105
non coincide con quell’idolo: in essa trova il volto accettato dal divino che sta prima di ogni immagine. In questo senso si può dire che l’esperienza umana del divino precede il volto che quel divino assume in essa, l’elaborazione umana del divino anticipa il volto idolatrico e così l’idolo restituisce all’uomo, sotto la forma del volto di un dio, la sua stessa esperienza del divino. Così quello che emerge a livello di «simulacro», di oggetto, si rivela autentico anche al livello più profondo (o più alto) dell’immagine: l’idolo, che sia esso statua o realtà immateriale o ideologia, non inganna ma fornisce certezze riguardo al divino. Anche quando appare nel suo aspetto terribile, l’idolo è rassicurante perché identifica,il divino nel volto di un Dio. Forse da questo aspetto nasce la sua sorprendente efficacia «politica»: anticamente esso rendeva vicino, a portata di mano il dio che, identificandosi con la polis, le assicurava un’identità. Ecco perché, anche dopo il tramonto del paganesimo, la politica non ha cessato di suscitare degli idoli: che siano «il grande condottiero» o «l’uomo della Provvidenza» o «il più amato dalla gente», questi uomini, divinizzati, scongiurano il divino o, se si preferisce, il destino umano. È l’idolatria a conferire dignità al culto della per106
sonalità, a trasformarla in una figura «vicina», familiare, addomesticata del divino. Qui si coglie la dimensione politica dell’idolatria, il suo essere un attentato alla libertà umana, e si comprende anche come la lotta anti-idolatrica richieda adesione alla realtà e l’attivazione dell’interiorità, di uno spazio interiore, della capacità critica, affinché la libertà non sia solo libertà di reagire, ma di agire, di proporre, di progettare. Non solo, ma questo annullamento della distanza, questa «familiarità» che rende schiavi (non dimentichiamo che il termine familia indicava all’ origine l’insieme dei servitori di una casa), la si ritrova anche negli idoli «immateriali» così potenti ai giorni nostri: non è un caso che il mito oggi più affascinante - il successo in termini di potere, di denaro e di sesso - venga incontro e dia sfogo a tre libidines insite in ogni essere umano: la libido dominandi, la libido possidendi e la libido amandi. Così, opera non delle mani ma delle pulsioni dell’uomo, queste tre forze si ergono di fronte a lui, gli chiedono adorazione e servizio, gli rubano la libertà promettendogli partecipazione al «divino», accesso al sovraumano, protezione contro le forze mortifere. Ora, quando il cedimento ai richiami delle tre libidines passa dalla sfera personale a 107
quella sociale, assume connotati idolatrici che nella nostra società occidentale si possono identificare sul piano economico con l’adorazione di tutto ciò che si può calcolare, dalla quotazione di un’ azione in borsa al saldo di un conto corrente, al numero di esecutori della propria volontà. In particolare, potremmo affermare, echeggiando il Benjamin di Capitalismo e religione, che, in una società in cui il paradigma dell’ homo oeconomicus ha preso il posto dell’homo religiosus, sempre di più il denaro e le istituzioni del mercato tentano di appagare quelle preoccupazioni e quelle ansie a cui un tempo davano risposta le religioni. Forse la miglior raffigurazione dell’idolo si trova nella moneta, nella banconota: lo «spirito»del denaro si incarna nella moneta e le immagini delle banconote sono le icone che rivelano ed emanano tale spirito. Nel denaro si «crede» e, certo, la maggior parte degli uomini pone la fiducia nel denaro: il denaro dà sicurezza, fiducia. Eppure esso non è una cosa fisica e non è neppure legato alla materia se non come simbolo. Sul piano etico e sociologico l’attitudine idolatrica si identifica invece con l’adeguarsi al comportamento della «massa»: giusto è quello che fanno tutti, in una sorta di dedizione demagogica dell’ adagio 108
vox populi, vox Dei. Ma questa «massa», la tanto decantata «gente», non è un’ entità autonoma, libera, non è un corpo le cui membra interagiscono per il bene comune, bensì un agglomerato indefinito, un accostamento di individualità pesantemente manipolato: così i sondaggi non registrano 1’orientamento degli intervistati ma lo determinano, così le opere della finzione - letteraria, cinematografica, teatrale - non testimoniano i sentimenti e i comportamenti di un’ epoca e di una cultura ma li condizionano, così le immagini non garantiscono l’autenticità di un fatto ma lo creano. La realtà virtuale non solo supera, ma scaccia la realtà effettiva: allora vero, oggettivo è ciò che appare; lecito è ciò che tecnicamente è possibile; encomiabile è ciò che suscita invidia. In fondo la strada verso l’idolatria resta sempre la stessa: un’affascinante strada di schiavitù, le cui catene e la cui gabbia appaiono sempre più dorate ma si rivelano sempre più rigide. È la strada dell’operare umano svincolato da un’istanza superiore - la dimensione del «divino» - che sola è capace di far emergere tutta la grandezza dell’uomo e di conferirgli unità e pienezza. È significativo che per la Bibbia non esistano gli atei, i senza-Dio: esistono invece gli idolatri ed esiste soprattutto la tenta109
zione dell’idolatria che colpisce tutti, il credente come chi credente non può definirsi. L’uomo abbandonato a sé, l’uomo che ignora o disprezza l’immagine di Dio che abita in se stesso e nel proprio simile, l’uomo che pretende di costruire la propria vita da se stesso non è ateo, è idolatra, schiavo di quelle «emanazioni», di quelle forze oscure che penetrano nel cuore umano e ne mettono in moto gli elementi deteriori.
Dalla tradizione religiosa universale
Signore, nel libro che hai fatto discendere hai detto: invocatemi e io vi esaudirò. Noi ti invochiamo, Signore, come tu hai ordinato. Tu sei colui che sempre mantiene la promessa. (Preghiera mussulmana)
Orazione
O Cristo, tu sei con noi, carne della nostra carne. Insegnaci a credere, ad amare, a soffrire come tu, uomo, hai creduto, hai amato, sofferto. Cristo, anche tu fosti uomo: ama, perciò, i nostri limiti. Amaci tutti. Non solo i puri e gli attivi, ma anche i rassegnati, gli incostanti, i deboli. A tutti dona la tua capacità di portare amicizia. Cristo, tu sei con noi e ci vieni costantemente incontro nel nostro prossimo. Aprici gli occhi, perché sappiamo riconoscerti presenti soprattutto nei poveri e nei perseguitati. Amen. 110
SABATO 12 MARZO 2016 Ger 11,18-20; Sal 7; Gv 7,40-53
Il Signore me lo ha manifestato e io l’ho saputo; mi ha fatto vedere i loro intrighi. E io, come un agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che tramavano contro di me, e dicevano: «Abbattiamo l’albero nel suo pieno vigore, strappiamolo dalla terra dei viventi; nessuno ricordi più il suo nome». Geremia 11,18-19 Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». Giovanni 7,45-52 No, credere a Pasqua non è giusta fede: troppo bello sei a Pasqua! Fede vera è al venerdì santo quando Tu non c’eri lassù! Quando non una eco risponde al suo alto grido e a stento il Nulla dà forma alla tua assenza. Padre David Maria Turoldo 111
5ª DOMENICA DI QUARESIMA
13 MARZO 2016
Is 43,16-21; Sal 125; Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa». Isaia 43,16-19 Gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 112
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Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Giovanni 8,2-11 Non so quando spunterà l’alba non so quando potrò camminare per le vie del tuo Paradiso non so quando i sensi finiranno di gemere e il cuore sopporterà la luce. E la mente (oh, la mente!) già ubriaca, sarà finalmente calma e lucida: e potrò vederti in volto senza arrossire. Padre David Maria Turoldo
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L’AMORE APRE AL FUTURO
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i solito si suole dire che alle domande vi sono risposte giuste o sbagliate. In realtà vi sono non solo risposte sbagliate ma anche domande sbagliate. Spesso nel Vangelo Gesù non risponde alle domande poste dai suoi interlocutori, oppure risponde con un’altra domanda che pone il discorso su un altro piano. Questo accade quando l’interrogativo non nasce dal desiderio di conoscere la verità, e dunque dalla disponibilità a rivedere la propria posizione e convinzione, ma viene posto per avere pretesti per condannare Gesù. Quando cioè la domanda non è sincera e non cerca il bene, ma nasconde secondi fini. Così nell’episodio della adultera la domanda degli scribi e dei farisei ha un duplice obiettivo: sfruttare la risposta di Gesù per farlo accusare di coerenza se avesse fatto condannare la donna o di disobbedienza alla legge in caso contrario. Nello stesso tempo essi vogliono mostrare la loro fedeltà alla legge di Mosè a prezzo della vita della donna (e guarda caso non dell’uomo che pure avrebbe meritato la morte secondo la stessa legge). In realtà Gesù con il suo silenzio prima, e poi con la sua parola “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” e, a fronte del fatto che nessuno ha condannato la donna, “neanch’io, va e non peccare più”, rivela che cosa sia in gioco in questa vicenda: 115
miseria e misericordia insieme. Miseria della donna certamente per il suo adulterio ma miseria anche dei sui accusatori che nella parola di accusa e nel gesto dell’andarsene rivelano tutta la loro povertà umana e morale. Misericordia perché Dio in Gesù manifesta proprio in questa circostanza un cuore attento alla povertà della persona che vive la debolezza e una fragilità anche morale. Gesù rivela, mentre dice una parola di salvezza per la donna, ai suoi accusatori il loro peccato e mostra così di non essere preoccupato solo della vita delle vittime, ma anche di quella dei carnefici che a loro volta sono vittime della loro cecità e del loro peccato. Tema questo della misericordia che è particolarmente caro a Luca, al punto che alcuni esegeti ritengono che questo testo di Giovanni abbia affinitàcon la tradizione lucana o addirittura provenga da essa. Ma in che cosa consiste la misericordia? Non è solo consolazione della persona umiliata o salvezza dal rischio immediato di essere uccisa, ma più radicalmente è apertura ad un futuro è prospettare una nuova possibilità di vivere. “Va’ e non peccare più” è un appello a non cadere nel peccato precedente (che viene perciò riconosciuto come tale) perché si è dischiuso un sentiero di vita ad opera dell’Amore che non giudica o condanna ma perdona. Gesto questo che è promessa e segno di una prossimità che non verrà mai meno e che autorizza a ricomin116
ciare sempre ogni volta che si cade. La donna che va finalmente libera dai suoi accusatori e dal suo peccato richiama il popolo che nel brano di Isaia si sente rivolto l’invito a sperare perché si prospetta davanti la strada del ritorno e della liberazione dall’esilio. E’ come quando dopo una fatica o un pericolo si squarcia davanti un orizzonte che allarga il respiro e riempie l’animo di fiducia. Questa istruzione sulla misericordia inoltre, in piena continuità con quello che abbiamo meditato domenica scorsa, ci induce anche ad assumere un punto di vista più vero rispetto a ciò che accade. Infatti di fronte ad un avvenimento o un fatto si possono avere, per lo meno, due atteggiamenti rispetto alla morale. Valutare semplicemente la sua conformità alla legge, cioè giudicarlo giusto o sbagliato (buono o cattivo) in base a ciò che prescrive la legge, oppure cercare il buono o il cattivo non solo in relazione a ciò che permette o proibisce la legge ma per riferimento al mistero e al dramma dell’uomo che vive e patisce quella condizione. Assumere questo secondo punto di vista, come fa Gesù, non significa rinunciare a valutare con l’esito di considerare tutto indifferentemente uguale. Piuttosto non si vuole separare gli atti della persona dalla sua storia, dalla sua condizione di vita e soprattutto dal futuro che l’Amore di Dio sempre apre davanti all’uomo.
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Una settimana con…. ANNALENA TONELLI “Tu hai fatto del male? Io pagherò al posto tuo” Così diceva Gandhi. Così ci ripete Gesù Cristo da duemila anni. Chissà perché noi uomini siamo così sordi … Certo la sua voce è spesso piccola e silenziosa ma poi Lui è nella celletta della nostra anima e non dovrebbe essere così difficile scendere laggiù ed abitare con Lui. Parole? No. Verità. Realtà. Certo, per la maggioranza di noi uomini sarà ed è necessario fare silenzio, quiete, chiudere il telefonino, buttare il televisore dalla finestra, decidere una volta per tutte di liberarsi dalla schiavitù di ciò che appare e che è importante agli occhi del mondo ma che non conta assolutamente agli occhi di Dio, perché si tratta di non valori. Ai piedi di Dio noi ritroviamo ogni verità perduta, tutto ciò che era precipitato nel buio diventa luce, tutto ciò che era tempesta si acquieta, tutto ciò che sembrava un valore, ma che valore non è, appare nella sua veste vera e noi ci risvegliamo alla bellezza di una vita onesta, sincera, buona, fatta di cose e non di apparenze, intessuta di bene, aperta agli altri, in tensione onnipresente fortissima affinché gli uomini siano una cosa sola. 118
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LUNEDÌ 14 MARZO 2016
MARTEDÌ 15 MARZO 2016
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l’anima mia, mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Signore, ascolta la mia preghiera, a te giunga il mio grido di aiuto. Non nascondermi il tuo volto nel giorno in cui sono nell’angoscia. Tendi verso di me l’orecchio, quando t’invoco, presto, rispondimi!
Dn 13,1-9.15-17.19-30.33-62; Sal 22; Gv 8,12-20
Dal Salmo 22 Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Giovanni 8,12 La vita mi ha insegnato che la mia fede senza l’amore è inutile, che la mia religione cristiana non ha tanti e poi tanti comandamenti ma ne ha uno solo, che non serve costruire cattedrali o moschee, né cerimonie né pellegrinaggi, che è inutile senza il sacramento della misericordia, perché è nella misericordia che il cielo incontra la terra. Se non amo, Dio muore sulla terra. Annalena Tonelli 120
Nm 21,4-9; Sal 101; Gv 8,21-30
Dal Salmo 101 Disse Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui. Giovanni 8,27-30 Il nostro compito sulla terra è di far vivere. E la vita non è sicuramente la condanna, lo ius belli, l’accusa, la vendetta, il mettere il dito nella piaga, il rivelare gli sbagli, le colpe degli altri, il tenere nascosta invece la nostra colpa, l’impazienza, l’ira, la gelosia, l’invidia, la mancanza di speranza, la mancanza di fiducia nell’uomo. La vita è sperare sempre, sperare contro ogni speranza, buttarsi alle spalle le nostre miserie, non guardare alle miserie degli altri, credere che Dio c’è e che Lui è un Dio d’amore. Annalena Tonelli
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MERCOLEDÌ 16 MARZO 2016
Dn 3,14-20.46-50.91-92.95; Cant Dn 3,52-56; Gv 8,31-42
«Benedetto sei tu, Signore, Dio dei padri nostri, degno di lode e di gloria nei secoli. Benedetto il tuo nome glorioso e santo, degno di lode e di gloria nei secoli. Benedetto sei tu nel tuo tempio santo, glorioso, degno di lode e di gloria nei secoli. Benedetto sei tu sul trono del tuo regno, degno di lode e di gloria nei secoli. Benedetto sei tu che penetri con lo sguardo gli abissi e siedi sui cherubini, degno di lode e di gloria nei secoli».
La mia vita ha conosciuto tanti e poi tanti pericoli, ho rischiato la morte tante e poi tante volte. Sono stata per anni nel mezzo della guerra. Ho sperimentato nella carne dei miei, di quelli che amavo, e dunque nella mia carne, la cattiveria dell’uomo… e ne sono uscita con la convinzione incrollabile che ciò che conta è solo amare. Ed è allora che la nostra vita diventa degna di essere vissuta... Annalena Tonelli
Cantico Daniele 3,52-55 Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato». Giovanni 8,31-34
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GIOVEDÌ 17 MARZO 2016 Gen 17,3-9; Sal 104; Gv 8,51-59
Cercate il Signore e la sua potenza, ricercate sempre il suo volto. Ricordate le meraviglie che ha compiuto, i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca, voi, stirpe di Abramo, suo servo, figli di Giacobbe, suo eletto. È lui il Signore, nostro Dio: su tutta la terra i suoi giudizi. Si è sempre ricordato della sua alleanza, parola data per mille generazioni, dell’alleanza stabilita con Abramo e del suo giuramento a Isacco.
Il dono più straordinario, il dono per cui ringrazierò Dio e loro per sempre, è il dono dei miei nomadi del deserto. Musulmani, loro mi hanno insegnato la fede, l’abbandono incondizionato, la resa a Dio, una resa che non ha nulla di fatalistico, una resa rocciosa e arroccata in Dio, una resa che è fiducia e amore. I miei nomadi del deserto mi hanno insegnato a tutto fare, tutto incominciare, tutto operare nel nome di Dio. Annalena Tonelli
Dal Salmo 104 Io vi dico: «Se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”». Giovanni 8,51-54 124
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VENERDÌ 18 MARZO 2016 Ger 20,10-13; Sal 17; Gv 10,31-42
INNO Non c’è peccato che non chiami il perdono non c’è lontano in Dio leviamo gli occhi e ritorniamo al Padre ci accoglierà con gioia. Non c’è ferita che non possa guarire rinasce tutto in Dio restiamo attenti ai segni della grazia rinasca in noi la vita. Non c’è angoscia che non speri la pace rivive tutto in Dio verrà l’aurora in cui l’amore sorge sciogliendo un canto nuovo. Non c’è parola che non lodi il tuo Nome Signore nostro Dio tre volte santo nella gloria eterna Tu eri, sei e vieni.
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In ascolto della Parola
Signore degli eserciti, che provi il giusto, che vedi il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa! Cantate inni al Signore, lodate il Signore, perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori. Geremia 20-12-13
Dal Vangelo secondo Giovanni (7,1-2.10.25-30) I Giudei raccolsero delle pietre per lapidare Gesù. Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: “Io ho detto: voi siete dèi”? Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio - e la Scrittura non può essere annullata –, a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani.Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». E in quel luogo molti credettero in lui. 127
OBBEDIENZA «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (Atti 5,29). Questo grande principio biblico sull’obbedienza ha un carattere profondamente liberante. Nella visione biblica, infatti, l’obbedienza è inscindibile dalla libertà: solo nella libertà si può obbedire, e solo obbedendo all’Evangelo si entra nella pienezza della libertà. In modo lapidario si è espresso Bonhoeffer: «L’obbedienza senza libertà è schiavitù, la libertà senza obbedienza è arbitrio». Ma prima di cogliere il proprium cristiano dell’ obbedienza occorre ricordare l’aspetto antropologico della stessa. Vi è un’ obbedienza fondamentale che ogni uomo è chiamato a fare alla propria storia, alle proprie origini, al proprio corpo, alla propria famiglia, insomma a una serie di situazioni e persone, tempi e luoghi, eventi e condizioni che l’hanno preceduto, fondato, e su cui egli non ha avuto alcuna presa o possibilità di scelta e di decisione. Si tratta dei bagagli che la nascita fa trovare già pronti a chiunque viene al mondo e che lo accompagneranno nel cammino dell’ esistenza. Un credente legge questa obbedienza come «creaturale» e vi riconosce quell’accettazione dei limiti che è costitutiva della creatura di fronte al Creatore e che consente all’uomo di diventare uomo fuggendo la tentazione della totalità, cioè di ergersi a Dio. Il senso del racconto genesiaco della proibizione di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male è esattamente questo: l’uomo è uomo nella misura in cui non ambisce il tutto. Il limi128
te, il finito è l’ambito della sua relazione con Dio. Secondo la Bibbia l’obbedienza va compresa all’interno di questa relazione, cioè all’interno della categoria dell’alleanza. È tale relazione con Dio che rende liberante e perfino gioiosa l’obbedienza alla Legge rivelata a Mosè sul Sinai. Se la Legge è manifestazione della volontà di Dio, del partner contraente l’alleanza, l’obbedienza a tutti i suoi comandi è il desiderio stesso del credente che ama il suo Dio e trova la sua gioia nel fare la sua volontà. La formulazione usata in Esodo 24,7 per indicare l’accettazione della volontà di Dio espressa nella Legge da parte del popolo d’Israele è significativa: «Quanto il Signore ha detto noi lo faremo e lo ascolteremo». La prassi, la messa in pratica della parola, precede l’ascolto della parola stessa, quasi a suggerire che è più importante l’assenso fondamentale dato a Dio che la specificazione del contenuto dei singoli comandi. Inoltre il testo significa che solo mettendo in pratica la Parola, cioè obbedendola realmente, la si comprende veramente. Questo radicamento dell’ obbedienza all’interno dell’ alleanza, dunque della relazione di ascolto del credente nei confronti del suo Dio, dà il tono anche all’obbedienza cristiana. Per il Nuovo Testamento l’ascoltare, inteso nel senso di percezione della volontà di Dio, si realizza veramente solo quando l’uomo, con la fede e l’azione, obbedisce a quella volontà. Come coronamento dell’ascoltare (akouein/ audire) nasce dunque l’obbedire (hypakouein/ obaudire), quell’ obbedire che consiste nel credere. Paolo parla più volte dell’ «obbedienza della fede», inten129
dendo che la fede si configura come obbedienza e che l’obbedienza manifesta la fede. Ma il proprium dell’obbedienza cristiana si trova nell’ obbedienza del Cristo stesso. Ora, i tre più significativi testi che ci parlano dell’ obbedienza di Cristo (Romani 5,19: «per l’obbedienza di uno solo, tutti saranno costituiti giusti»; Filippesi 2,8: «Cristo umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte»; Ebrei 5,8: «Cristo imparò l’obbedienza dalle cose che patì») compiono di fatto una sintesi della vita, del ministero e dell’ opera salvifica di Gesù ponendoli sotto la categoria dell’obbedienza. Al centro di essa vi è pertanto la relazione filiale vissuta da Gesù con il Padre, e al suo cuore vi è l’amore per il Padre e per i fratelli, gli uomini. Il quarto Vangelo sottolinea questa dimensione obbedienziale di Gesù, presentandolo come il pienamente spossessato di sé che in ciò che dice, fa ed è sempre rinvia al Padre che l’ha mandato. Questa obbedienza amorosa dà senso al vivere e al morire, anche alla morte di croce, e ne fa un atto di libertà! Qui dunque si innesta l’obbedienza cristiana, qui trova la sua «misura» e la sua forma: una forma plasmata dallo Spirito santo, che obbliga dunque il credente a viverla creativamente, responsabilmente, non in modo legalistico. Sì, il criterio dell’ obbedienza cristiana è lo Spirito santo che interiorizza in ciascuno le esigenze dell’Evangelo e lo porta a viverle come espressioni della volontà del Signore assunte fino a farle proprie. Alla luce di questa obbedienza fondamentale, si possono comprendere, accettare e vivere le altre obbedienze alle istanze mediatrici 130
della volontà di Dio. Sempre però tenendo presente che su tutto deve essere fatto regnare l’Evangelo e tutto deve essere sottoposto al criterio decisivo dell’Evangelo. Quando le mediazioni della volontà di Dio (autorità ecclesiastiche, dottrine teologiche, regole monastiche, riti cultuali ecc.) si sostituiscono a Dio e pretendono obbedienza per se stesse, allora devono essere criticate e ricondotte all’ obbedienza evangelica. Infatti «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini».
Dalla tradizione religiosa universale Che tutti gli esseri che sono nell’Est, che tutti gli esseri che sono nell’Ovest, che tutti gli esseri che sono nel Nord, che tutti gli esseri che sono nel Sud, abbiano gioia e benessere, possano vivere senza inimicizia. (Preghiera buddista)
Orazione
Signore nostro Dio, con la morte e resurrezione del tuo Figlio, un’alba nuova si leva all’orizzonte degli uomini e può giungere il giorno atteso. Allora la morte sarà vinta e la speranza sgorgherà dal cuore; allora la vita, più forte di ogni sofferenza, potrà sbocciare e i nostri volti saranno trasfigurati dalla gioia della tua presenza. Noi ti rendiamo grazie, Signore nostro Dio, per la vita che sarà. Amen. 131
SABATO 19 MARZO 2016
San Giuseppe, Sposo B.V. Maria 2Sam 7,4-5a.12-14a.16: Sal 88; Rm 4,13.16-18.22; Lc 2,41-51a opp. Mt 1,16.18-21.24a
Beato il popolo che ti sa acclamare: camminerà, Signore, alla luce del tuo volto; esulta tutto il giorno nel tuo nome, si esalta nella tua giustizia. Perché tu sei lo splendore della sua forza e con il tuo favore innalzi la nostra fronte. Dal Salmo 88 Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Luca 2,46-50 Luigi Pintor, un cosiddetto ateo, scrisse un giorno che non c’è in un’intera vita cosa più importante da fare che chinarsi perché un altro, cingendoti il collo, possa rialzarsi. Così è per me. È nell’inginocchiarmi perché stringendomi il collo loro possano rialzarsi e riprendere il cammino o addirittura camminare dove mai avevano camminato che io trovo pace, carica fortissima, certezza che tutto è grazia. Annalena Tonelli 132
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DOMENICA DELLE PALME
20 MARZO 2016
Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11; Lc 23,1-49
Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. Isaia 50,4.7 Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita. Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà. Luca 23,20-25 Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. Lui ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre. Annalena Tonelli 134
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IL PERDONO REGALATO
P
otrebbe apparire strano il fatto che nei Vangeli i racconti delle passione occupino così tanto spazio rispetto al complesso del Vangelo stesso. In realtà non è poi così strano se pensiamo che i Vangeli sono sorti proprio intorno a questi racconti della passione e morte di Gesù. Quello che viene chiamato il “Kerigma” originario, e che è l’annuncio della morte e della resurrezione del Signore presente in diversi passaggi dei primi capitoli degli Atti degli Apostoli, è il cuore e il centro del Vangelo stesso. A partire da qui gli evangelisti hanno ricordato e raccontato le parole e i gesti del Signore. Perciò occorreva dedicare una dovizia di particolari nel racconto e una particolare attenzione a come Gesù ha vissuto questi momenti supremi della sua dedizione alla missione del Padre per amore degli uomini. L’attenzione narrativa in Luca poi assume alcuni tratti significativi della sua teologia e della sua testimonianza evangelica. Il tema del servizio, per esempio, richiamato proprio nel contesto dell’ultima cena lega strettamente il gesto di Gesù, che trova compimento nella Pasqua, con uno stile di vita e di azione dei discepoli: esercitare l’autorità non per il proprio potere ma per la vita e il bene degli altri. Qui l’ironia di Gesù si rivela nel denunciare la tentazione di
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ogni autorità di strumentalizzare la morale (coloro che governano “si fanno chiamare benefattori”) per giustificare il proprio potere. Sempre l’uomo, anche quello religioso, è esposto alla tentazione di giustificare il proprio potere (o interesse, o piacere) appellandosi alla morale. Nel momento della morte Gesù consegna ai suoi lo stile evangelico fatto di questi insegnamenti ma soprattutto segnato dalla efficacia del suo gesto: egli è colui che serve, dando la vita. In riferimento ai capi delle nazioni egli dice che il discepolo è chiamato a vivere rapporti civili ma con uno stile evangelico dove l’autorità è servizio, non a parole ma con la dedizione reale della vita per gli altri. E’ la relazione allora il luogo che per eccellenza rivela il senso e il valore della vita. Relazione con il Padre per Gesù. Nella preghiera che egli rivolge al Padre domanda certo di essere liberato dal calice della sofferenza, eppure più decisivo è non la cancellazione delle difficoltà, ma il non sentirsi solo. Rieccheggia qui il “non abbandonarci nella tentazione” del Padre nostro. Occorre pregare perché ci sia risparmiata la prova o si deve pregare affinché non ci sentiamo soli nella prova ma avvertiamo la presenza, silenziosa certo ma reale e amorosa del Padre? In fondo è proprio nella relazione con l’altro che noi scopriamo il valore e l’affidabilità della vita, è la presenza buona dell’altro che ci richiama 137
il senso buono del vivere che solo può sostenere e orientare la nostra libertà. Proprio questa dimensione relazionale si ritrova nel gesto di perdono di Gesù sulla croce. “Ricordati di me quando sarai nel tuo regno”, parole estreme di un morente che affida il suo inestirpabile desiderio di vita a un altro morente; ultima preghiera, quasi inutile eppure esaudita, proprio perché affidata a Lui che si è affidato al Padre mentre moriva. Forse proprio per questo si può dire che la preghiera è l’atto supremo dell’affidamento e dunque della vita. Quando ci si affida, o meglio ci si sente affidati, direbbe qualcuno, allora si può anche guardare senza rancore e senza odio coloro che ti stanno uccidendo. “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Quanti testimoni (a partire da Stefano negli Atti degli Apostoli fino a Frère Christian dei monaci di Tibhirine) sono stati segni visibili di questo gesto di perdono da parte di Gesù. Il perdono regalato è il segno più autentico che il gesto di dare la vita è sincero, è veramente il compimento di una vita dedicata all’uomo. Una vita patita e offerta: questo è il racconto della passione e il fatto di proclamarla la Domenica delle palme, giorno in cui “si ricorda” Gesù che entra in Gerusalemme attorniato dalla gioia dei piccoli e dei poveri, dice come solo da qui sorgerà la pienezza della vita. 138
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Una settimana con…. Madre TERESA DI CALCUTTA In Francia, come a New York e dovunque, quanti esseri hanno fame di esser amati: è una povertà terribile, questa, senza paragone con la povertà degli Africani e degli Indiani... Non è tanto quanto si dà, ma è l’amore che mettiamo nel dare che conta... Pregate perché ciò cominci nella vostra propria famiglia. I bambini non hanno spesso nessuno che li accolga, quando tornano da scuola. Quando si ritrovano con i genitori, è per sedersi davanti alla televisione, e non scambiano parola. È una povertà molto profonda... Dovete lavorare per guadagnare la vita della vostra famiglia, ma avete anche il coraggio di dividere con qualcuno che non ha? Forse semplicemente un sorriso, un bicchier d’acqua, di proporgli di sedersi per parlare qualche istante; scrivete magari soltanto una lettera ad un malato degente in ospedale...
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LUNEDÌ 21 MARZO 2016
MARTEDÌ 22 MARZO 2016
Nella sua dimora mi offre riparo nel giorno della sventura. Mi nasconde nel segreto della sua tenda, sopra una roccia mi innalza. E ora rialzo la testa sui nemici che mi circondano. Immolerò nella sua tenda sacrifici di vittoria, inni di gioia canterò al Signore.
Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele - poiché ero stato onorato dal Signore e Dio era stato la mia forza - e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra». Isaia 49,5-6
Lunedì Santo Is 42,1-7; Sal 26; Gv 12,1-11
Dal Salmo 26 Maria prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». Giovanni 12,3-7 Abbiamo il potere di essere in Paradiso già da ora, di essere felici con Lui in questo momento, se amiamo come lui ci ama, se aiutiamo come Lui ci aiuta, se doniamo come Egli dona, se serviamo come Egli serve. Madre Teresa di Calcutta 142
Martedì santo Is 49,1-6; Sal 70; Gv 13,21-33.36-38
Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte». Giovanni 13,36-38 Non so come sarà il cielo, ma so che quando arriverà il momento in cui Dio ci giudicherà, lui non chiederà, “Quante cose buone hai fatto nella tua vita?”, ma chiederà, “Quanto amore hai messo in quello che hai fatto? Madre Teresa di Calcutta
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MERCOLEDÌ 23 MARZO 2016
Cena del Signore Es 12,1-8.11-14; Sal 115; 1Cor 11,23-26; Gv 13,1-15
Ma io rivolgo a te la mia preghiera, Signore, nel tempo della benevolenza. O Dio, nella tua grande bontà, rispondimi, nella fedeltà della tua salvezza. Liberami dal fango, perché io non affondi, che io sia liberato dai miei nemici e dalle acque profonde. Non mi travolga la corrente, l’abisso non mi sommerga, la fossa non chiuda su di me la sua bocca.
Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
Dal Salmo 68 Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Matteo 26,17-21 Quello che facciamo è soltanto una goccia nell’oceano, ma se non ci fosse quella goccia all’oceano mancherebbe. Madre Teresa di Calcutta 144
GIOVEDÌ 24 MARZO 2016
Mercoledì Santo Is 50,4-9; Sal 68; Mt 26,14-25
1Corinzi 11,23-26 Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. Giovanni 13,2-5
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VENERDÌ 25 MARZO 2016
Sabato Santo – Veglia Pasquale Es 14,15-31.15,1a. / Es 15,1b-2.3-4.5-6.17-18. / Rm 6,3-11. / Lc 24,1-12
Ma io confido in te, Signore; dico: «Tu sei il mio Dio, i miei giorni sono nelle tue mani». Liberami dalla mano dei miei nemici e dai miei persecutori: sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto, salvami per la tua misericordia.
Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. Lo sappiamo: l’uomo vecchio che è in noi è stato crocifisso con lui, affinché fosse reso inefficace questo corpo di peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. Infatti chi è morto, è liberato dal peccato. Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
Dal Salmo 30 Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano». Giovanni 18,1-8 146
SABATO 26 MARZO 2016
Passione del Signore Is 52,13-53,12; Sal 30; Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42
Romani 6,3-11
Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”». Marco 16,5-7 147
DOMENICA DI RISURREZIONE
27 MARZO 2016
At 10,34a.37-43; Sal 117; Col 3,1-4 opp 1Cor 5,6-8; Gv 20,1-9
Così cerca di prolungarsi il pianto nella notte, ma già il mattino sorge… Un forte vento toglierà la pietra anche al nostro sepolcro. Il futuro è già presente e viene incontro, luce adorna come fiori le piaghe resurrezione ha nome il nostro giorno. Padre David Maria Turoldo
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Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria. Colossesi 3,1-4 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. Giovanni 20,1-9
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GIOIA redente nell’Evangelo, nella buona notizia, il cristiaC no risponde con la gioia all’evento della salvezza portata da Gesù Cristo. La gioia è dunque coestensiva
alla fede cristiana; non è una possibilità, ma una responsabilità del credente. Responsabilità che discende dall’ evento pasquale con cui Dio ha resuscitato Gesù Cristo e dischiuso agli uomini la speranza della resurrezione. Tutto il Vangelo è racchiuso fra l’annuncio della grande gioia della nascita del Salvatore a Betlemme (cfr. Luca 2,10-11) e la gioia esplosa all’alba del primo giorno dopo il sabato, il giorno della resurrezione (cfr. Matteo 28,8). Ma per comprendere cosa significhi che la vita cristiana è segnata dalla gioia occorre interrogarsi sull’ esperienza umana della gioia. Se anche non riusciamo a definirla in modo esauriente, pure della gioia noi tutti abbiamo un’esperienza. È come un vertice dell’ esistenza, una sensazione di pienezza in cui la vita appare nella sua positività, come piena di senso e meritevole di essere vissuta. Con Hans Georg Gadamer potremmo cogliere la gioia come rivelazione: «La gioia non è semplicemente una condizione o un sentimento, ma una specie di manifestazione del mondo. La gioia è determinata dalla scoperta di essere soddisfatti». Nell’esperienza della gioia la nostra quotidianità conosce una sorta di trasfigurazione: il mondo si dona a noi e noi entriamo nella gioiosa gratitudine: «Il solo rapporto della coscienza alla felicità è la gratitudine» (Th. W. Adorno). Si è grati di essere nella gioia. La gioia è esperienza di pienezza di senso che apre il futuro dell’uomo consentendo la speranza. Essa connota un determinato rapporto con il tempo: vi può infatti essere una gioia dell’ attesa (l’attesa dell’arrivo di una persona cara, l’attesa di una nascita 151
ecc.), una gioia per una presenza, e una gioia del ricordo (o, se si vuole, il ricordo della gioia: la gioia vissuta nel passato viene ri-esperita nel ricordo e grazie ad esso). Questo è particolarmente evidente nella festa, che è la gioia di essere insieme: quando inizia e quando finisce la festa? Non è facile rispondere perché la festa esiste già nella gioia di chi l’attende e la prepara, ed esiste ancora nella gioia di chi la ricorda. Ma poi la gioia è connessa all’ esperienza positiva dell’ altro e dell’incontro con l’altro. È significativa la formula di saluto di molte culture: il greco chaire (lett. «rallégrati») è augurio di gioia nel momento dell’incontro con l’altro; ma anche lo shalom ebraico (e termini affini in altre lingue semitiche) augura all’ altro una situazione in cui possa sperimentare la gioia. Insomma, possiamo dire che la gioia è esperienza che coinvolge la totalità dell’ esistenza umana e che emerge con forza nei momenti dell’ amore (le gioie dell’amicizia e dell’amore) e della convivialità (dove il mangiare insieme è celebrazione per eccellenza della gioia di vivere e di vivere insieme). Credo non sfugga a nessuno come queste dimensioni siano assunte e innestate in Cristo nell’eucaristia: è «con gioia» che il cristiano rende grazie («Ringraziate con gioia il Padre», Colossesi 1,12) e l’eucaristia è gioia nella memoria dell’evento pasquale rivissuto nell’oggi e atteso nel suo compimento escatologico quando verrà il Signore nella gloria. Ed è gioia, espressa particolarmente dal «bacio santo», per la comunione che la presenza del Cristo crea fra i credenti: «Vedersi insieme gli uni gli altri all’eucaristia è sorgente di una gioia traboccante» (Gerolamo). Questa gioia «in Cristo» è dunque una gioia umanissima, non dimentica delle dimensioni corporee e relazionali della stessa, e così essa culmina nel pasto eucaristico, dove il simbolo conviviale si carica, in Cristo, della dimensione di profe152
zia del banchetto escatologico. Vi è infatti una dimensione escatologica della gioia cristiana, che si evidenzia soprattutto come «gioia anche nelle tribolazioni» (2 Corinti 7,4; Colossesi 1,24), cioè come gioia che non viene meno pur nelle situazioni di sofferenza e di contraddizione. Questo non significa certo dire che il cristiano non conosca più tristezze o dolori che escludono assolutamente la compresenza della gioia. Ma significa che la gioia cristiana abita nel profondo del credente e consiste nella sua vita nascosta con Dio. È la gioia indicibile e gloriosa (1 Pietro 1,8-9) di chi ama Cristo e già vive con lui nel segreto della fede. È la gioia che nessuno può estirpare perché nessuno può impedire al cristiano di amare il Signore e i fratelli anche in situazioni estreme: i martiri sono lì a ricordarcelo. È la gioia a caro prezzo di chi assume la condizione di temporalità e mortalità e fa del suo ineluttabile scendere verso la morte una salita al Padre, un cammino pieno di speranza verso il Signore, verso l’incontro con Colui il cui volto tanto ha cercato nei giorni della sua esistenza. Per questo la gioia nel Nuovo Testamento è un comando apostolico: «Rallegratevi senza posa nel Signore, lo ripeto, rallegratevi» (Filippesi 4,4): essa infatti è una dimensione di cui già si può fare esperienza, ma è anche gioia veniente alla quale acconsentire, gioia piena nell’incontro definitivo, faccia a faccia con il Signore. Essendo una sua responsabilità, il cristiano deve esercitarsi alla gioia, da un lato per sconfiggere lo spiritus tristitiae che sempre lo minaccia, dall’altro perché non può privare il mondo della testimonianza della gioia sgorgata dalla fede. È la gioia dei credenti, infatti, che narra al mondo la gloria di Dio! Questo, infatti, chiedono gli uomini: «Mostri il Signore la sua gloria: e voi credenti fateci vedere la vostra gioia!» (cfr. Isaia 66,5). 153
LE CELEBRAZIONI DELL’UNICA PASQUA A GERUSALEMME di Lorenzo Ravasini
Se per molti aspetti è difficile parlare della Pasqua in se - troppo grande il mistero, troppo ricco, troppi gli aspetti inevitabilmente trascurati nelle poche righe di una pagina - quanto più della Pasqua a Gerusalemme. I mille, bellissimi, volti della città santa si riflettono con tutta la forza delle loro varietà anche nelle tante e diverse celebrazioni del “passaggio di Gesù al Padre”. Di questo infatti si tratta: di Gesù che ama l’umanità sino alla fine e per essa, accettata liberamente l’obbedienza della Croce, trionfa - primo dell’umanità nuova - sulla morte. Egli, il Cristo, è risorto e calpestata la morte con la sua morte, ai morti nei sepolcri - a noi! - ha ridato la vita. A lui la lode. È unica la Pasqua (come del resto è unica la messa) le sue ricorrenze annuali non fanno che ricondurci, mediante l’immenso regalo del rito di memoriale di cui lo stesso Signore ci fatto dono con la sua “ultima” cena, ricondurci, dicevo, alla presenza dell’Evento - vivo, vero,
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reale, operante - per esserne gratuitamente beneficati e divenirne gioiosi testimoni. Dunque la Pasqua a Gerusalemme. Questo il tema assegnatomi. Mi sembra più chiaro se si dice: “Le celebrazioni” dell’unica Pasqua a Gerusalemme. Se si vuole andare coi numeri, non si può prescindere dall’evidenza che la grande maggioranza dei cittadini di Gerusalemme celebra la “Pasqua Ebraica”. La data di Pesah - questo il suo nome in ebraico - in genere precede, talvolta coincide, quella della Chiese occidentali. La nostra, tra queste. Si tratta di una grande festa soprattutto nelle case, nelle famiglie. Pesah, come noto, prevede al suo vertice una cena per la celebrazione domestica delle meraviglie che il Signore - sia benedetto il suo nome - compì “per liberare noi e i nostri padri” dalla schiavitù d’Egitto. Grande, ardente e accuratissima è la cura per la preparazione delle case e delle persone a questo momento. Ai miei occhi davvero edificante, da assumere come modello per la preparazione delle nostre liturgie parrocchiali e domestiche spesso così pressappochiste e svogliate! La Pasqua cristiana a Gerusalemme dunque beneficia di
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questo ricco contesto, una specie di humus spiritualmente favorevole. Poco importa se spesso ne siamo scarsamente consapevoli: il bene resta. A fare da ponte tra il mondo ebraico e quello cristiano ci sono le perle preziose delle Keillot: le comunità cattoliche di lingua ebraica. Esse inserite nei contesti israeliani, e quindi di cultura ebraica, celebrano la liturgia in quella lingua, proclamano la Parola di Dio leggendo direttamente dal testo originale, e hanno per diversi aspetti arricchito la liturgia latina con elementi vicini al sentire ebraico… Davvero un tesoro per tutti: ebrei e cristiani. Esse ci sono di esempio per come hanno saputo, con passione di verità, “incarnare” nel loro contesto così speciale il Vangelo di Gesù. Le date e le chiese. Il 2016 vedrà ben cinque settimane di distanza tra la data della Pasqua “occidentale” e quella delle Chiese d’oriente. Per i primi sarà Pasqua il 27 marzo, per i secondi il 5 maggio. Non è poca la differenza, vero? Ma lo stesso dobbiamo tenere fermo che la Pasqua è la stessa. Una sola, celebrata in giorni e modi diversi. E che da tutto questo possiamo, tutti, ricevere benedizione. Per l’esattezza va aggiunto che con una
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bella decisione ecumenica, da molti anni, in tanti villaggi della Palestina e in tutta la Giordania le comunità ortodosse anticipano la festa del Natale al nostro 25 dicembre e le comunità cattoliche celebrano la Pasqua con la data ortodossa. Questo anche per favorire le tante famiglie i cui componenti fossero di differente rito. Gli orientali a Gerusalemme - Greci, Armeni, Siri, Copti, Etiopi; e poi Russi, Rumeni ecc. - hanno maturato nei secoli, secondo la loro indole, ciascuno il suo stile. E così: i riti sono originali. I testi liturgici adatti alle diverse mentalità. Sono diverse le fogge dei paramenti; diversi i profumi degli incensi e l’agitarsi dei turiboli; diverse le tonalità dei canti e dei ritmi; diverso il modo dei fedeli: compostissimi i russi, popolari e ieratici al tempo stesso; solenni e sonori gli Armeni; liete e mai sguaiate le danze etiopi, gioiosamente indisciplinati gli egiziani copti; i Siri fieri della loro antica lingua aramaica… tutti, generosamente, senza economia tempo. Davvero un bell’esempio per le nostre frette scialbe di andare chissà dove, a fare chissà che. Tanti modi così diversi non fanno che confermare che unica è la Pasqua del Cristo e che solo grazie a questa
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varietà cangiante può essere celebrata degnamente. Tutti, davvero, non abbiamo che da gioire per questa bellezza dai tanti colori che ci vaccina dal pericolo, incombente in tante nostre liturgie misurate e malinconiche, di scadere nel grigio monocolore.
del corteo sia solennemente accompagnato da canti gregoriani, quello seguente dai canti arabi di una parrocchia dei Territori, quello dopo ancora dalla vivacità di pentecostali americani o da chitarre sudamericane, ecc…
Quanto ai cattolici latini di Gerusalemme, la Pasqua è ben preceduta da una Quaresima arricchita dalle “Pellegrinazioni” che i francescani (grande è il debito che la Chiesa di Terrasanta ha verso la loro famiglia religiosa) organizzano nei diversi santuari attorno e nella Città. Pellegrinazioni che arrivano fino alle soglie della Settimana Santa.
Quanto alla celebrazione del Triduo santo, nella Basilica del Santo Sepolcro, le caratteristiche del luogo, i vincoli accumulati nella storia, la rendono al tempo stesso unica e “difficile”.
La domenica delle Palme è, forse, il momento più pubblico dei riti della Settimana santa. Nel pomeriggio, con partenza dal santuario di Betfage e arrivo a sant’Anna appena dentro le mura, ha luogo la grande processione che accompagna l’ingresso di Gesù in Città. Certi anni, quando la situazione è tranquilla, la partecipazione è davvero trionfale: migliaia e migliaia di persone. Pur trattandosi di una celebrazione latina molti cristiani di altre confessioni vi si associano rendendola vivace e variopinta. Se si pensa poi che i partecipanti si organizzano liberamente è facile immaginare come un segmento
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Unica per il privilegio di essere davanti alla santa Tomba e sul Calvario glorioso. Difficile per la ristrettezza dei luoghi e per l’impossibilità di usare sistemi di amplificazione della voce. Unica anche perché, per le condizioni poste dalla convivenza in quel luogo, le celebrazioni più solenni devono necessariamente essere compiute nella prima parte della mattina del giovedì, venerdì e sabato santi. Il che, ad esempio, ha condotto alla fusione in una unica azione liturgica della Messa Crismale e di quella “In Coena Domini”, all’anticipo di alcune ore della celebrazione della Passione del Signore e addirittura alla necessità di celebrare la Veglia pasquale nelle prime ore del mattino
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del Sabato santo, (come del resto era tradizionale per tutti fino ai primi anni cinquanta del secolo scorso) il che fa sì che la Chiesa di Gerusalemme arrivi per prima al Sepolcro vuoto, canti l’alleluia, constati e proclami la resurrezione del Signore e goda in questo modo, con quasi un giorno di anticipo su tutte le altre chiese, della festa di Pasqua. Proprio questo “scarto” di orari e di rito ci conferma, proprio tutti, ovunque noi si sia, che è la Liturgia celebrata e il Vangelo che in essa si fa carne viva, a renderci presenti al Mistero prima ancora e ben al di là dei luoghi e delle ore in cui ci si trova. La Liturgia della Chiesa e il Vangelo rendono Gerusalemme… Gerusalemme, molto di più che le sue pietre per quanto sante e venerate esse siano. Proprio la Liturgia e il Vangelo celebrati rendono ogni nostro contesto … la vera Pasqua nella vera Gerusalemme. Buona Pasqua dunque a tutti. Tutti presenti, comunque, a Gerusalemme. Lorenzo fratello
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