Mercoledí 3 Ottobre 2012 Sala Mosaico Borsa Merci-Bergamo
Il conflitto nella ex Jugoslavia. Vent’anni dopo. Traccia della relazione di padre Stjepan Dunjak francescano del monastero di Kraljeva Sustjeska
Sono felice di essere qui questa sera con voi, perché a questa città mi legano, oltre che l'ammirazione per la sua cultura e il suo ricco passato, le conoscenze e le amicizie con molti bergamaschi, e un profondo sentimento di gratitudine per le azioni umanitarie e caritatevoli di aiuto alla Bosnia realizzate dal Comitato di Bergamo e dalla Chiesa di Bergamo, rivolte in particolare alla zona del comune di Kakanj. Non meno importanti sono stati gli aiuti delle vostre organizzazioni sociali, sindacali e politiche che, con la loro esperienza e i loro consigli, desideravano sinceramente dare uno stimolo alla vita sociale e politica della Bosnia-Erzegovina. Nello stesso tempo mi pervade un senso di disagio per quello che qui dirò questa sera, perché non posso dire nulla di diverso da quello che sapevate già nel momento in cui avete per sempre lasciato la Bosnia-Erzegovina, portando, giustamente, il vostro impegno là dove il vostro aiuto era più necessario. Motivo ancor maggiore di disagio è che io, secondo la mia vocazione, non sono un esperto analitico di fatti socio-politici del mio paese, non sono vicino ad alcuna forza politica o a qualunque altra forma decisionale. Da questo punto di vista, molti dei qui presenti sono in vantaggio su di me. D’altronde, non mi sento nemmeno un osservatore disinteressato, quindi, dirò qui ciò che vedo e sento, come ciò che risulta da numerose e serie analisi socio-politiche
degli avvenimenti in Bosnia-Erzegovina, poco prima della guerra, durante la stessa e dopo gli accordi di pace. Partiamo dalla soluzione di pace siglata a Dayton nel 1995. Questo accordo ha fermato la guerra, ma ha anche sancito l'obiettivo e i risultati della guerra: un nuovo ordine etnico. L’ideologia su cui è stata costruita la guerra in Bosnia-Erzegovina era la costituzione di territori etnicamente puri. Questo obiettivo è stato realizzato con la pulizia etnica e il genocidio. Dayton ha diviso il paese in due parti: Repubblica Serba da una parte e Federazione Bosnia-Erzegovina dall'altra. Nonostante la Repubblica Serba fosse inizialmente scontenta della soluzione politica di Dayton, oggi più che mai la appoggia per garantire l’autonomia del suo territorio etnicamente pulito, governato da un potere centralizzato e etnicamente omogeneo, che mostra tendenze secessioniste. Il sistema amministrativo della Federazione è meno vantaggioso di quello della Repubblica Serba, perché la federazione è composta da cantoni che rendono il sistema amministrativo statale molto costoso. Inoltre non è chiaro se la Federazione sia una unione di cantoni con una certa autonomia cantonale, oppure tutto venga deciso a livello della Federazione. I Croati, minoranza nella federazione, guardano i vantaggi della Repubblica Srpska e tendono anche loro ad un loro territorio etnicamente pulito. I Bosnjaci, un popolo mai ufficialmente dichiarato tale, tendono ad una Bosnia-Erzegovina unita, che nelle altre etnie provoca una esasperazione dell'identità nazionale. In una parola, Dayton ha fermato la guerra fisica, ma la stessa continua sotto forma di guerra fredda tutt'oggi. I. Lovrencic nel suo libro "Bosnia-Erzegovina- Il futuro di una guerra inconclusa”1 fornisce una seria e approfondita analisi del paese e le proposte di un modello per la soluzione del problema. Dayton ha creato due poteri in Bosnia-Erzegovina, uno locale democraticamente eletto e l'altro rappresentato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite. I rappresentanti 1
Novi Liber Zagreb, 2010
locali del potere si sentono e si comportano come rappresentanti della propria etnia senza esercitare il minimo interesse transnazionale. Sono legati solo da azioni di corruzione. Qui non si bada più alle caratteristiche ideologiche e nazionali. I rappresentanti della comunità internazionale raramente si sono serviti del potere che avevano per punire comportamenti politici e amministrativi irregolari. Il loro eterno mantra era: “i popoli si mettano d'accordo, noi gli accordi li rispetteremo”. Così tutti mantengono lo status quo: i primi perché ogni cambiamento porterebbe la perdita di potere e molti vantaggi, i secondi, perché sono ben pagati, quindi nella maggior parte dei casi se ne lavano pilatescamente le mani. Gli osservatori esterni della Bosnia-Erzegovina riducono i loro discorsi al concetto di balcanismo e orientalismo, oppure cercano di far passare l’attuale situazione della Bosnia-Erzegovina come un buon modello di funzionamento di una società multietnica. Entrambi queste ipotesi sono il risultato della non conoscenza della situazione etnico-religiosa in Bosnia-Erzegovina.2 L'identità della Bosnia-Erzegovina necessariamente contiene in sé la molteplicità, ciò suppone differenze culturali, religiose etniche. Quello che si fa fatica a capire dall'esterno è che questi popoli, religioni e culture vivono insieme da secoli, parlano la stessa lingua, ma sono tra di loro in conflitto. Ma bisogna conoscere i fatti elementari del passato del paese. La Bosnia è stata per quattrocento anni sotto il dominio ottomano dove l'unica possibilità di un'identità collettiva era la religione. I rappresentanti di eyalet (la provincia) ottomana della Bosnia-Erzegovina si identificavano come musulmani, cattolici e ortodossi. Bisogna, in ogni caso, sottolineare che le loro posizioni giuridiche e sociali all'interno dello stato ottomano non erano uguali. I musulmani erano in posizione privilegiata. Il pluralismo culturale si è formato sulla base delle differenze religioso-civili influenzate da centri nazionali esterni, in particolare da Belgrado e da Zagabria. Così, in un quadro socio-politico comune, si svolgeva parallelamente una vita religiosa e culturale separata dei tre gruppi. Con l'avvento del dominio austriaco dal 1878 le 2
(cfr. Richardo Nicolosi, Dialoska tolerancija? Konstrukcija bosanskog kulturnog identiteta i uloga islama (devedesete godine), Sarajevske sveske br. 27/28).
differenze religioso-culturali si declinano come differenze etniche e nazionali. Questa formazione etnica, dove la componente principale era la religione, si è creata attraverso una lunga e difficile lotta politica. Per questo, tutte e tre le componenti diventano gelose della propria identità etnica. Nella Jugoslavia comunista, nella quale tutti e tre i popoli erano riconosciuti, ogni tentativo di esporsi nei nazionalismi veniva soffocato o represso totalmente. Le tendenze unitarie jugoslave, che mascheravano l'egemonia serba, provocavano e alimentavano passioni nazionaliste che, ai tempi delle prime elezioni democratiche del 1990, hanno generato la sovrapposizione dell’identità nazionale a quella religiosa. Questa identità è diventata valore e misura di tutto. Sono stati rapidamente riattivati i miti del passato e i loro eroi si sono reincarnati nelle guide nazionali, politiche e militari. Metaforicamente gli occhi si sono spostati dal viso alla nuca. La via del futuro con gli occhi dietro ha portato alla carneficina. Purtroppo tanti, soprattutto quelli dai quali ci si aspetta di più e cioè i rappresentanti politici, non hanno ancora rimesso gli occhi al loro posto, guardano il passato recente se non quello lontano. Con un funzionamento del potere e degli apparati dello stato formalmente normale, durante le “democratiche” lezioni, si porta avanti la guerra fredda. Una grande maggioranza di politici si comporta come fossero attori. Dietro le quinte dicono una cosa, sul palcoscenico un'altra; quel che dicono sul palcoscenico non è comprensibile a coloro che li hanno eletti. Nei paesi europei i candidati politici contano sulla apertura mentale dei votanti, le caratteristiche principali sono la libertà e la giustizia, da noi i politici contano sull'ignoranza degli elettori. Le conseguenze di tale situazione non sono difficili da immaginare. Abbiamo una situazione di stagno, abbassamento della qualità della vita sociale e individuale in tutti i campi, un grande numero di disoccupati, abbassamento di qualità dei servizi nella sanità, nell’educazione scolastica e culturale. Inadeguata e minima assistenza agli anziani. I giovani portano i loro sogni fuori dalla Bosnia. Le minoranze rimaste nei territori etnicamente ripuliti si estinguono con la popolazione anziana, i giovani
che vengono trattati come cittadini di secondo ordine se ne vanno. Le scuole funzionano mantenendo una separazione tra gli studenti delle due comunità. Non c'è bisogno di continuare, se non funzionano le principali istituzioni, immaginiamo il resto. Come funzionano le cose in campo culturale lo si può capire dalla vicenda del Museo Nazionale di Sarajevo che sta per chiudere. Quello è l'ultimo luogo in cui sono raccolte le testimonianze della cultura della Bosnia-Erzegovina e delle singole culture etniche. Il sospetto è che anche questa chiusura sia una manipolazione separatista. L'altro esempio è il destino della Galleria di arte moderna “Ars Aevi” alla quale molti artisti internazionali hanno donato le loro opere; l’architetto Renzo Piano ha fatto gratuitamente il progetto dell’edificio che la ospita, la Galleria è protetta dall'UNESCO, ma le cose stagnano. Questa la dice lunga sul livello culturale dei nostri rappresentanti politici.
Esiste un modo di uscire da questa situazione? Da dove devono e possono arrivare gli impulsi positivi? Il primo passo è rimettere gli occhi la dove è il loro posto. Significa che il nostro passato non ci deve paralizzare sulla strada del futuro e dobbiamo impegnarci positivamente e concretamente nel presente. La storia deve essere lasciata agli storici che potranno con metodi moderni illuminarci nell'analisi del passato senza caricare le attuali generazioni del peso del passato. Si deve educare la gente a non dividere le vittime della guerra, ma ad osservare le proprie vittime anche dalla prospettiva delle vittime dell'altro. Finché non si crea una pietas sincera nei confronti delle vittime altrui è difficile aspettarsi un aperto sincero dialogo tra vivi. Le identità nazionali con tutte le loro caratteristiche sono oggi una realtà che non si possono rimandare indietro, ma è necessaria una buona pulizia nelle loro auto descrizioni per essere pronti a una apertura transnazionale e al riconoscimento della esistenza delle diversità e di un’identità comune. Significa che l'identità comune
non deve assorbire le differenze e che le differenze non devono distruggere l'identità comune. Ancora di più, significa che le differenze devono essere viste all'altezza degli occhi. Se una differenza viene imposta come parte costituzionale di identità comune, mette in discussione ogni sincerità e ogni base storica. Ivan Lovrenovic ha spiegato molto bene questo concetto nel suo libro. Egli afferma: “È evidente che il nostro "destino” sia il pluralismo e non l’unicità. L’amore per la Bosnia sarà dimostrato solo da chi, sia esso partito politico o singolo individuo, sarà in grado di affrontare con mente aperta e nei fatti le implicazioni e le conseguenze della ricerca di una soluzione adeguata” In una prospettiva cristiana Johann Baptist Metz sostiene: “Dagli inizi il cristianesimo ha lottato, nella sua missione, per l'accettazione dell'altro. La misura per la realizzazione di ciò non era una ellenistica opinione dell'identità e di adeguamento, ma la biblica idea dell’ alleanza. Quindi, non dobbiamo riconoscere uguale come uguale, ma dobbiamo riconoscere reciprocamente il diverso. Nelle radici della tradizione biblica si trova la nuova ermeneutica della cultura che rifiuta ogni “voglia di potere” nel riconoscimento dell'altro e della sua diversità. Questa cultura ermeneutica è stata trascurata nella storia dell'Europa e altrettanto nella storia della chiesa”.3 In breve, riconoscere l'altro non significa assimilarlo o farlo uguale a noi, ma permettergli di essere diverso nella forma sociale, culturale e religiosa. La realizzazione dei desideri sopra esposti non partirà mai dal vertice politico, ma dalla base. Prima di tutto dalle comunità accademiche (purtroppo la maggior parte dei suoi membri si è messa al servizio della politica attuale come guida ideologica), dai media positivi e critici, dalle istituzioni dell'istruzione e dalle organizzazioni non governative che non hanno motivi di profitto, ma che saranno al servizio dell'obbiettivo dichiarato.
3
Mystik der offenen Augen, Herder 2011, pg 70