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issue n.4 I N DU S TR I A L / / G R A P H I C / / V I RTU A L / / DE S I G N M A G A Z I N E

www.fucina-altrementi.it

ALTREMENTI N.4 2st half 2009


IN DU ST R I AL//G R APH I C / / V IRT UA L / / D E S IGN M A GA Z INE issue n.4


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EDITORIALE

editoriale

di Daniele Alberti, Editor at large, Presidente Associazione ALTREMENTI

cui si è mettono a budget solo l’indispensabile e ” (…) Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro la certezza dei risultati. A noi creativi in questo ,canteremo le maree multicolori e polifoniche delle momento sembra di non avere più interlocutori rivoluzioni nelle capitali moderne, canteremo il interessati ad ascoltare i nostri progetti, in attesa vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri che ”passi la nottata”, parafrasando Edoardo de incendiati da violenti lune elettriche, la città, luogo Filippo. Tuttavia siamo convinti che questo sia eletto per esprimere la modernità , il futuro che si solo un momento di stasi, perciò continuiamo ad traduce in velocità e movimento (…)” incoraggiare anche e soprattutto i giovanissimi a Nel 1909 i futuristi palesavano con queste parole sperimentare, a cimentarsi in una continua sfida di il vigore delle loro convinzioni e a loro portata ricerca, a proiettarsi nel futuro così come è sempre rivoluzionaria delle loro idee. Volontà, impegno, stato. Siamo sicuri che il mondo avrà sempre determinazione: caratteristiche che negli ultimi bisogno di qualcuno che inventi o reinterpreti la anni, dopo un periodo in cui la passione era sopita realtà con lo scopo di renderla più interessante, in una virtuosa ma sonnacchiosa attività industriale, gradevole, fruibile. Questo appello però non sono tornate ad essere riferimento per noi giovani, è rivolto sono alla classe decisi a recuperare i toni creativa, ma anche alla classe vibranti e l’entusiasmo dei politica, agli imprenditori, alle nostri illustri predecessori. “L’ARTE, LA CREATIVITÀ, istituzioni: è necessario che Avvertiamo tutti un forte L’INNOVAZIONE SONO ALLA proprio loro credano nella desiderio di cambiamento e BASE DI OGNI RIPRESA ripresa e supportino gli sforzi siamo convinti del contributo ECONOMICA, CULTURALE E e l’impegno. È necessaria una del buon design per creare un MORALE” sinergia tra tutti i componenti sistema economico e sociale interessati così da percorrere più equilibrato e sostenibile. insieme una strada verso una Riteniamo il design uno soluzione che punti alla valorizzazione delle idee a dei più potenti strumenti di rinnovamento socioall’innovazione. culturale orientato alle aziende, all’istruzione, al Ribadiamo che non smettiamo di essere creativi, sociale, alla città, alla regione e soprattutto alla di sognare un mondo in cui regni l’armonia delle persona, che sempre di più deve essere al centro cose e delle emozioni, non rinunciamo ai nostri di qualsiasi progettualità. Il nostro impeto e gli sogni, consapevoli che una buona società non sforzi per raggiungere un reale cambiamento si può prescindere dall’arte e dalla creatività dei sono scontrati con questa enorme, planetaria suoi giovani. La nostra associazione, così come crisi che sembra prima di tutto congelare le nostre questo magazine, si è sempre rivolta a tutte le aspettative. In tempi di grave crisi economica realtà economiche, politiche, sociali proponendosi nulla appare più inutile della creatività, della voglia come tramite per far conoscere idee, progetti, di innovare e sperimentare. Che fare? La risposta innovazioni. è ovvia: proprio l’arte, la creatività, l’innovazione sono alla base di ogni ripresa economica culturale Oltre che un catalogo di spunti creativi e di e morale, non si deve dimentica che l’uomo agisce riflessione, anche e soprattutto una testimonianza sì spinto da esigenze economiche ma anche del grande patrimonio di creatività. Confidiamo, in momento così gramo, di poter essere confortati e spirituali ed emozionali. Eppure la situazione di incertezza e di stallo che supportati non solo dai nostri lettori ma da chiunque si è creata porta le aziende a chiudersi in una abbia a cuore la sorte della nostra società. sorta di difesa, di definizione dell’essenziale in


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di Dario Bovero, Editorial director ALTREMENTI

In America hanno introdotto un nuovo termine, è recessionism. In sostanza, si tratta della capacità di fare cose buone anche con pochi soldi o addirittura senza. Vi dico questo perché, in fondo, è la direzione più positiva che si riesca a pensare al momento. Poi le alternative ci sono, tipo andarsene (ma dove?) oppure aspettare che la crisi muoia, come un vecchio dragone ucciso da un cavaliere errante. Fate voi. Dicevo della capacita di arrangiarsi con i propri mezzi, che poi è la “forza dal basso”, il principio base su cui fondammo l’Associazione ALTREMENTI nel 2003, ben sei anni fa, quando le prospettive erano diverse e forse migliori, ma di mezzi non ce n’erano comunque. Ad ogni modo: la situazione là fuori è talmente complicata che questo numero avremmo potuto anche non farlo, oppure produrne uno privo di contenuti, un blocco di pagine bianche con la copertina nera. Un epitaffio provocatorio per dire: non è rimasto nulla. Invece no, non ci siamo né arresi né spaventati, tanto che abbiamo scelto un tema tosto, quasi fuori moda: l’INNOVAZIONE. Ecco, l’innovazione, che poi è il cambiare le cose o almeno ribaltarne il senso. Insomma, innovare è pur sempre darsi da fare, anche con quel poco che si ha. Morale: chissà che a combinare i pochi elementi a disposizione non salti fuori qualcosa di buono. Quindi, creativi, alzatevi e camminate, che se lo si fa tutti insieme forse abbiamo un senso diverso.


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INDICE

indice 06_GUMDESIGN SOGNO E SON DESTO.

Gum Design Sogno e son desto.

Il mondo del design è sicuramente difficile da “penetrare” ed occorre molto tempo prima che un giovane designer riesca ad “armarsi” di necessarie esperienze e competenze;

12_UNBIT.IT

Unbit.it

QUANDO I TECNICI PARLANO LA LINGUA DEI CREATIVI.

Quando i tecnici parlano la lingua dei creativi.

16_THE FLOW MARKET

OVVERO: COME RIUSCIRE A VENDERE CONTENITORI VUOTI OTTENENDO IL FAVORE DI PUBBLICO E CRITICA.

The Flow Market

Ovvero: come riuscire a vendere contenitori vuoti ottenendo il favore di pubblico e critica.

20_VITA DA CREATIVO Vita da creativo

DIM*ONE VS MASSIMO SIRELLI: DALL’ANONIMATO DI UNA TAG ALLA REALE IDENTITÀ, UN PERCORSO CREATIVO CHE PARTE DALLA GRAFFITI ART.

Dim*One vs Massimo Sirelli: dall’anonimato di una tag alla reale identità, un percorso creativo che parte dalla graffiti art. In un paese anglosassone sarebbe definito “icon warrior”. I suoi frame urbani inglobano segni di ogni tipo: logotipi, sticker, graffi, squarci di colore, escoriazioni. Un frullatore di elementi tangibili della vita urbana. Icone stratificate, smalti, colle e codici. Lamiere, ante, arredi urbani: non più semplici supporti, bensì identità che ne incontrano altre, diventando pagine di un diario di vita cittadina.

Interaction Design Lab

26_INTERACTION DESIGN LAB

Filosofia e innovazione progettuale.

FILOSOFIA E INNOVAZIONE PROGETTUALE.

30_“A PAURA GUARDA A VIGNA, NO A SIPALA”

“LA PAURA GUARDA LA VIGNA, NON LA RECINZIONE” IDENTITÀ E ISTITUZIONI CHIUSE. UN PROGETTO DI CORPORATE IMAGE PER LA ‘NDRANGHETA CALABRESE.

“A paura guarda a vigna, no a sipala” “La paura guarda la vigna, non la recinzione”

Identità e istituzioni chiuse. Un progetto di corporate image per la ‘ndrangheta calabrese.

36_IL DESIGN RIFIUTA IL RIFIUTO Il design rifiuta il rifiuto D-Droid.com, il portale dove i designer diffondono la cultura del riuso attraverso la creatività e l’innovazione ecosostenibile.

Was te

Ideas

Droid

www.d-droid.com

D-DROID.COM, IL PORTALE DOVE I DESIGNER DIFFONDONO LA CULTURA DEL RIUSO ATTRAVERSO LA CREATIVITÀ E L’INNOVAZIONE ECOSOSTENIBILE.


INDICE

42_TORINO È A COLORI

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TORINO CITTÀ GRIGIA? FALSO. ECCO IL PROGETTO TORINO COLORS, LA MAPPA CROMATICA DELLA CITTÀ SABAUDA.

Torino è a colori

Torino città grigia? Falso. Ecco il progetto TORINO COLORS, la mappa cromatica della città sabauda. Di che colore è Torino? Bianconera o granata per qualcuno, ma per i più, soprattutto per gli italiani non torinesi, il colore di Torino è sicuramente il grigio. E’ da questo antefatto (piuttosto fastidioso) che nasce lo spunto per il progetto Torino Colors: in che modo è possibile modificare la colorazione della nostra città nell’immaginario collettivo nazionale ed internazionale?

48_IL FUTURO NELLA RETE

Il futuro nella rete

ULTIME NOVITÁ DA “LE WEB PARIS”.

Start up e servizi dell’anno venturo: Le Web Paris.

50_CREATIVI TRADITI

COS’È LA CREATIVITÀ? ESISTE IL LAVORO DEL CREATIVO?

Creativi traditi

Cos’è la creatività? Esiste il lavoro del creativo?

Il filosofo Andrea Sartori si interroga sul ruolo (e sull’esistenza) della creatività e dei creativi nella società contemporanea.

52_ARS METEO

ArsMeteo

CHE ARTE FA OGGI?

Che arte fa oggi?

54_DRUG DESIGN

QUANDO IL DESIGNER È UNO SPACCIATORE DI FORME. Drug design

Quando il designer è uno spacciatore di forme. Quello del prodotto promozionale è, per molti versi, un campo estremo di (non) operatività: l’ideazione di articoli per un pubblico così ampio e la necessità di produrre un’enorme quantità di proposte differenti in tempi ridottissimi tende a comprimere l’iter progettuale in una forma più povera e meno efficace. La peculiarità più importante dell’oggetto promozionale è il fattore emozionale, tutto il resto può essere trascurato fino all’esasperazione che sfocia nell’assenza di funzionalità.

58_4X2008 = 100% DESIGN

4x2008 = 100%design

4 PREMI DI DESIGN PER TORINO 2008 WORLD DESIGN CAPITAL.

CNA Torino in collaborazione con ALTREMENTI ha promosso 4 premi di design per Torino 2008 World Design Capital.

Protodesign

Nuovi orizzonti del design allo stato embrionale.

Custombydog Baglàs The second chance of clothes

The new design bag

Useme

Immagini che diventano accessori

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NUOVI ORIZZONTI DEL DESIGN ALLO STATO EMBRIONALE.

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GUMDESIGN

GumDesign di Danila Pellicani

Sogno e son desto.

Il mondo del design è sicuramente difficile da “penetrare” ed occorre molto tempo prima che un giovane designer riesca ad “armarsi” di necessarie esperienze e competenze;

Qualcuno diceva che invecchiare senza diventare adulti è la cosa migliore che possa esserci, rimanere liberi da stereotipi, sensibili e sognatori. Ma cosa succede se la sensibilità e i sogni incontrano il progetto? In questo caso nasce Gumdesign, studio di architettura, interior ed industrial design, grafica, ideazione ed organizzazione eventi per fiere e spazi espositivi. Abbiamo fatto due chiacchiere con i due fondatori, Gabriele e Laura, che ci hanno raccontato la loro storia e i loro sogni.

www.gumdesign.it


GUMDESIGN

BUBBLE Progetto: Gumdesign Azienda: Vivarini Photo: Eugenio Gherardi Angiolini Una serie di bolle di vetro che ricodano le bolle di sapone. Trasparenti e colorate, con un’impugnatura in metallo verniciato con colori epossidici. All’interno una lampadina a risparmio energetico, per non riscaldare la superficie in vetro e per ridurre i consumi.

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GUMDESIGN

“Dinamicità, trasformabilità e versatilità”

Bene, partiamo dall’inizio, quando e come avete deciso di fondare Gumdesign? Gumdesign nasce nel 1999 dall’incontro di Gabriele Pardi (architetto) e Laura Fiaschi (designer), si occupa di architettura, interior ed industrial design, grafica, ideazione ed organizzazione eventi per fiere e spazi espositivi. Abbiamo avuto due formazioni diverse, ognuno interessato all’inizio a qualcosa che si avvicinava a quello che adesso facciamo; quando Gabriele era piccolo voleva fare le case e credeva che solo gli ingegneri facessero le case, quando Laura era piccola sognava di disegnare per la Walt Disney, in entrambi i casi poi la vita e la conoscenza ha aperto nuove visioni, fino al momento in cui le nostre strade si sono incrociate. E dalla “fusione” dei due corpi e delle due menti nasce una nuova realtà che si interessa di progettazione e comunicazione, in senso globale. Che rapporto avete con gli oggetti che create? Dinamicità, trasformabilità e versatilità, ironia e gioco sono le caratteristiche percepibili in ogni progetto affrontato dallo studio; progettare e sognare procedono insieme. Immaginare, ideare, inventare, creare qualcosa di nuovo e proprio. Tutto ciò implica una tensione emotiva che altro non è che sogno! Gli oggetti, così come le architetture ed i segni, nascono tutti

dalla nostra “pancia” e coinvolgono il mondo emozionale, cercano un dialogo con il mondo esterno e sono proiezioni del nostro mondo interiore. Dai vostri progetti traspare un attenzione particolare all’utilizzo dei materiali. E’ questo il punto di partenza dei vostri progetti? Il materiale è senza dubbio il primo stimolo (e vincolo al tempo stesso) che un progettista si trova di fronte. Importante comprenderne le caratteristiche, la trasformabilità, l’usabilità e le sensazioni che può trasmettere. Poi nascono “reazioni alchemiche” e fanno sì che il materiale prenda forma, seguendo “linee di forza interiori” ed impulsi emotivi apportati all’oggetto finale. In tutti i casi cerchiamo di giocare nella fase creativa e di sviluppo del progetto, fa parte della nostra natura e crediamo fortemente che il gioco possa alleggerire la vita e dare forza alle idee. Qual’è la vostra definizione di design eco-sostenibile? Ci rifacciamo alla definizione di Wikipedia: “un’attività, un prodotto che produce un basso impatto sull’ambiente esterno sia nella piccola che nella grande scala geografica e temporale, l’efficiente utilizzo delle risorse rinnovabili e la produzione ridotta di carichi inquinanti imposti all’ambiente nel ciclo di vita dell’opera”


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BRICIOLI’ Progetto: Gumdesign Azienda: Progetti Photo: Eugenio Gherardi Angiolini Un nuovo modo per recuperare le briciole nelle scatole dei biscotti e servirle agli uccellini sulla soglia del nostro davanzale. Un modo poetico per aiutare i nostri cari amici volatili... Sempre in cerca di qualche briciola da mangiare.

AEROFITE Progetto: Gumdesign Azienda: Ecostyle Photo: Eugenio Gherardi Angiolini Elemento modulare in polipropilene che, composto ed abbinato, produce tende e setti divisori flessibili. Adatto per uffici e spazi pubblici e ricettivi, aerofite riesce a creare scenografie coinvolgenti grazie ad un materialeversatile come il polipropilene, declinabile in infiniti colori e finiture. Economico ed adatto anche per soluzioni allestitive.

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SWEET HOME Progetto: Gumdesign Azienda: Scatolificio rg Photo: Eugenio Gherardi Angiolini Lo stereotipo dell’abat-jour... ritagliata nel cartone ed inserita in una scatola da spedizione formato A4. Per una rappresentazione della casa immaginaria riadattata nei materiali. Ovunque ci troviamo aprendo la scatola avremo l’impressione di essere a casa...nella nostra “home sweet home”. Realizzata in cartone, utilizza una lampada a risparmio energetico.


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La lampada Sweet Home, è un chiaro esempio di progettazione eco-sostenibile, com’è nata l’idea? Volevamo affrontare un progetto utilizzando solo cartone e pensando ad un nuovo modo per affrontare questo argomento abbiamo creduto interessante studiare la scatola ed il suo contenuto. Semplici scatole in cartone si trasformano in oggetti, frammenti di vita, ricordi di casa, modi di vivere; scatole per illuminare, scatole per ricordare, scatole per ricominciare, scatole per sognare”. Così nasce la lampada Sweet Home, premiata recentemente con la menzione d’onore al concorso internazionale Young&Design 2007 e richiesta proprio in questi giorni dal bookshop della Fondazione La Masa di Venezia. Come vivete il rapporto con le aziende e con altri designer? Vi piacerebbe collaborare con qualche azienda in particolare o con qualche designer? Bene! Così come viviamo il rapporto con le persone che non fanno parte di questo mondo. Le aziende sono costituite da persone ed amiamo lavorare con uomini e donne che condividano con gioia il nostro apporto creativo. Analogamente nascono i contatti con i designer, ci troviamo sulle stesse lunghezze d’onda con alcuni, meno con altri, ovviamente. Ogni individuo segue un percorso personale e spesso si incrociano strade e pensieri è fondamentale “sentire” la passione per irrorare di energia il percorso di vita comune che segui in quel momento. Alla seconda domanda risulta difficile rispondere proprio perchè lasciamo al caso la nascita di nuovi rapporti professionali e di amicizia anche se spesso siamo propositivi e costruiamo nuove storie con l’energia spudorata di un adolescente; vogliamo dire che sarebbe bello lavorare con tutti coloro che amano profondamente questo lavoro e riescono a portare un pò di poesia nelle giornate di tutti. Molto spesso, le aziende tendono a non investire sulla creatività dei giovani designer. Quali consigli sentite di dare a questi ultimi? Il mondo del design è sicuramente difficile da “penetrare” ed occorre molto tempo prima che un giovane designer riesca ad “armarsi” di necessarie esperienze e competenze; è un mestiere complesso e ricco di sfaccettature inoltre le aziende italiane sono sommerse da proposte da tutte le parti del mondo e quindi risulta ancora più difficile trovare spazi liberi. Non è neanche vero che le aziende non investano sulla creatività dei giovani designer, occorre forse che il giovane designer sia anche bravo e non è così immediata l’equazione. Occorre innanzitutto passione e poi, una volta acquisiti tutti gli strumenti (conoscenza dei materiali, rappresentazione del disegno, energia ...), tanto lavoro! E ricordarsi che oramai la figura del designer ha assunto numerosi compiti, tra cui anche la competenza di comunicare bene la propria idea, sostenerla e convincere chiunque che è l’idea giusta; e poi inventare situazioni, mostre, incontri. Domanda di rito, progetti per il futuro? Abbiamo imparato a vivere giorno dopo giorno, cercando di godere di ogni momento di felicità, nella folle corsa verso obbiettivi eclatanti si perde il gusto di vivere l’attimo.

RING Progetto: Gumdesign Azienda: Next by Marioni Photo: Pietro Savorelli Una serie di lampade in porcellana ad 1, 2 e 3 luci... Possono essere fissate al soffitto o a parete e costituire una “nuvola di luce” dalla forma più svariata.


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UNBIT.IT

di Dario Bovero

Unbit.it

Quando i tecnici parlano la lingua dei creativi. La rete, specie con l’avvento della co-partecipazione dei contenuti, non si limita a segnalare prodotti e servizi. La rete è, ad oggi, una trincea di sperimentazione. Un campo in cui si integra sperimentazione tecnologica con sperimentazione semantica. Una ricerca che corre, dunque, su un doppio binario: da una parte l’esplorazione delle opportunità scientifiche e tecnologiche, dall’altra le opportunità per la creazione di nuove modalità di comunicazione, oltre che un rinnovamento di quelle esistenti. In questo senso, internet è, ad oggi, uno sconfinato cantiere d’innovazione, in cui trovano applicazione le idee che stanno nel nostro futuro. Abbiamo parlato di innovazione digitale con Mauro Allietta e Roberto De Ioris, soci fondatori di Unbit, società specializzata in servizi internet service provider e sviluppo software. Nata nel 2005, Unbit si occupa oggi di web design, programmazione avanzata e sistemi complessi, web hosting e web solutions.


UNBIT.IT

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UNBIT.IT

In accordo con la definizione di John Markoff del New York Times, si dice che, allo stato attuale, il Web è nella sua fase “Lego”, in cui tutte le sue diverse applicazioni e componenti possono collegarsi l’una all’altra come mattoncini delle costruzioni. Quale pensi che sarà l’evoluzione di questo stato? L’esempio del Lego è calzante. Oggi Internet è come quando ci si trova davanti ad una scatola nuova con milioni di pezzi; si parte presi dalla foga e si prova a costruire di tutto, poi, con maggiore calma, si iniziano a selezionare i pezzi poichè per forma alcuni servono più di altri. Il futuro su cui punta Unbit e quello composto principalmente di “mattoncini utili”, anzichè applicazioni fantasiose ma pressochè inutilizzabili. Il sito è ormai uno strumento di business, un investimento di importanza strategica pari o superiore a quello per un macchinario o per un’attrezzatura. Quali sono le regole d’oro per una progettazione ottimale di un sito commerciale nel 2009? Ascoltare i bisogni della rete (che poi è composta dagli utenti) e dare risposta nel migliore dei modi. Siamo per una ricetta semplice: rispettare l’usabilità, proporre interventi innovativi, così da alzare sempre un po’ l’asticella della proposta e, se possibile, trattare ogni argomento con un pizzico di ironia.

Si pensa al futuro, ma intanto è necessario fare i conti con il presente. Internet in Italia: providers, banda larga, numero utenti, e-commerce. A che punto siamo? Come fornitore di servizi internet dobbiamo confrontarci ogni giorno con queste problematiche. Dunque: l’infrastruttura Italiana non e’ cosi’ disastrosa come spesso la si dipinge, ci sono molte isole felici ma c’e’ancora molto lavoro da fare. Inoltre c’e’ anche un problema culturale che predilige un basso prezzo ad un’alta qualità. Il ruolo di Unbit a tutto questo? Che contributo offrite e soprattutto vorreste offrire in futuro? Rifacendoci alle domande precedenti, dichiariamo che Unbit punta alla definizione di prodotti utili, caratterizzati da un buon grado di innovazione e facilmente usabili. Per raggiungere questi obiettivi, decisamente ambiziosi, è necessario stabilire un rapporto diretto con i designer. Da Unbit lavoriamo in maniera sinergica con i progettisti, utilizzando un linguaggio creativo anzichè tecnico. E’ come il concetto di usabilità, in fondo, che si estende al quotidiano. Unbit vuole essere un punto di riferimento sempre più concreto per tutti i creativi e designer che cercano di produrre e mettere in rete le loro idee. Oggi un’idea vincente, forte, valida, se non tecnicamente ben sviluppata rischia di naufragare nella rete, che invece riesce ad esaltare prodotti molto meno vincenti ma tecnologicamente ben sviluppati. Noi di Unbit siamo convinti che, oltre a valorizzare il discorso tecnico, sia altresì indispensabile sviluppare i concetti e i contenuti. Le buone idee, in fondo, sono mattoncini utili.


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THE FLOW MARKET

The Flow Market di Lia Tagliavini

Ovvero: come riuscire a vendere contenitori vuoti ottenendo il favore di pubblico e critica. In Danimarca possiamo assistere ad un’interessante provocazione progettuale all’interno di uno spazio quanto mai insolito per l’estro creativo e la sensibilità etica: un supermercato. Non si tratta ovviamente di un comune punto vendita della grande distribuzione organizzata, bensì di un luogo dove ironia, provocazione e riflessione su temi caldi per la società odierna, come lo sviluppo sostenibile, trovano il loro palcoscenico. Tutto questo è The Flow Market, il “mercato dei flussi”. L’ideazione di Flow Market si deve al genio creativo e alla sensibilità etica di due giovani designer danesi: Mads Hagstrøm e Henrik Stech. Il successo della loro operazione è testimoniato dai numeri ottenuti in questi pochi anni; il primo punto vendita Flow Market ha aperto a Copenhaghen alla fine del 2004 presso il Danish Design Center. Sin dalla sua apertura Flow Market ha incontrato grande successo presso critica e pubblico, ed è stato protagonista di esibizioni temporanee in prestigiosi musei occidentali, vincendo anche due riconoscimenti importanti quasi il Danish Arts Foundation’s Design Award nel 2004 e l’ICFF Editors Award nel 2006 a New York. In seguito, Flow Market ha aperto numerosi temporary shop in giro per il mondo. Il primo è stato inaugurato a Zurigo nel Novembre 2005,

poi sono seguite aperture di punti vendita a Seoul, Shanghai, South Korea, Taipei, New York, sempre riscotendo il favore del pubblico. Basti pensare che a sole tre ore dall’inaugurazione del temporary shop a Shanghai erano già stati venduti più di cinquanta articoli. I punti vendita Flowmarket sono, all’apparenza, normali supermercati: mensole, casse, espositori. Ma tutte le confezioni messe in vendita sugli scaffali sono vuote. Contenitori senza il contenuto. Lattine, bottiglie di plastica, barattoli di vetro e scatole di cartone. Le classiche confezioni della grande distibusione, caratterizzate da un design pulito e minimalista. Epurate di qualsiasi appeal commerciale, semplificate nelle forme e prive di finitura superficiale. Flow Market è un concetto. Anzi, un supermercato di concetti. Idee metafisiche, soluzioni commercializzate come prodotti: in comuni contenitori, alla portata di tutti. Da Flow Market si possono acquistare confezioni di “Tempo da dedicare agli altri”, “Buone vibrazioni”, “Sbalzi d’umore”, nonchè “Momenti di Pausa” in lattina o “Buone intenzioni” in spray. Questi prodotti-icona trascendono le loro caratteristiche materiali per diventare il mezzo di espressione di un’insofferenza.


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THE FLOW MARKET

“Flow Market è sicuramente una forma mentis e uno strumento d’innovazione”

Senza queste parole il prodotto non avrebbe senso. Non siamo certo di fronte alle scatolette di Piero Manzoni o ai readymade del celebre dadaista Marcel Duchamp, ma possiamo parlare a tutti gli effetti di una provocazione progettuale che utilizza i tradizionali spazi espositivi commerciali (la grande distribuzione) per inviare un messaggi originali attraverso un mezzo comune (le etichette). Messaggi disarmanti nella loro semplicità, che suggeriscono ai consumatori i veri bisogni dell’uomo, spesso sublimati con l’acquisto di prodotti mirati a soddisfare bisogni secondari o più immediati. Ogni elemento del sistema Flow è finalizzato a dare visibilità ai messaggi riportati sulle confezioni. Nessun elemento distoglie l’attenzione di chi osserva: così come i contenitori sono neutri, quasi indistinti gli uni dagli altri, anche lo spazio vendita, a discapito delle ultime filosofie di progettazione dei nuovi market puntano sulla polisensorialità, è spoglio, scarno, graficamente quasi inesistente. Una sorta di non luogo alla Marc Augè. La regia progettuale Flow Market ha disgreganto tutti i livelli di narrazione secondari, portano in primo piano i concept espessi a caratteri neri sulle confezioni in vendita. In questi spazi le persone sono spronate a compiere scelte simboliche in base alle riflessioni sulla propria quotidianità e sui problemi della società che li circonda. Si creano in questo modo micro e macro narrazioni interiori. Secondo l’agenzia di stampa Reuters “Flow Market è un negozio che vuole ricordare agli acquirenti quello che è veramente importante nella società dei consumi”. I prodotti Flow Market sono l’espressione di una vera e propria teoria filosofica di crescita sostenibile. Si tratta di un vero e proprio modello di teorizzazione non circoscritto solo allo sviluppo sostenibile dell’ambiente. Il Flow Model teorizza la crescita sostenibile attraverso tre livelli: il rapporto con se stesso, ovvero la sfera individuale, il rapporto con gli altri, ovvero la sfera collettiva, e il rapporto con la natura, ovvero la sfera ambientale. Mads Hagstrøm ha trasformato questi tre parametri “individuale, collettivo e ambientale” in una provocazione progettuale assolutamente non banale. Attraverso il manifesto del pensiero Flow, Hagstrøm dichiara: “il buon design deve essere un bene per voi, per gli altri e per la natura”. Questo è l’obiettivo per cui è nato questo originale supermercato

dell’anima: stimolare il consumatore a pensare, vivere e acquistare nel rispetto di se stesso, degli altri e della natura. Questo giovane designer danese è riuscito con mezzi semplici e un’interessante visione strategica a creare una reale interazione con il consumatore e un dibattito molto vivace su una delle sfide più importanti della civiltà moderna: la crescita sostenibile. Seguendo questo modello teorizzato il Flow Market offre la possibilità di acquistare 40 diversi prodotti divisi in tre categorie: “Flusso individuale”, “Flusso collettivo” e “Flusso ambientale”. Della prima categoria fanno parte confezioni come “Sbalzi d’umore”, “Libertà dalle dipendenze” e “Sparizione dell’obesità”. Nella seconda categoria ci sono confezioni come “Tolleranza” e “Produzione senza sfruttamento”. Infine, nel reparto dedicato all’ambiente, si possono acquistare scatolette di “Energia rinnovabile”, “Dispersori d’inquinamento” e “Acqua pulita”. Due anni fa, i responsabili del negozio hanno deciso di ampliare la gamma dei prodotti venduti e hanno lanciato una nuova collezione annuale. In questa collezione ci sono confezioni come: “Tornare a sentirsi se stessi” o per ottenere la “Calma interiore”; pratiche scatolette di “Tempo da dedicare agli altri”, di “Buone vibrazioni”, di “Coscienza collettiva” e persino un barattolo di puro “Silenzio”. La filosofia Flow è sicuramente una forma mentis e uno strumento d’innovazione, ma anche una interessante marca commerciale. Questo aspetto va sottolineato, Flow Market è un brand con propri valori, un chiaro posizionamento sul mercarto, prezzi di vendita prestabiliti e una comunicazione studiata a tavolino. Un vero e proprio sistema-prodotto inserito nel circuito commerciale. Non a caso Mads Hagstrøm è stato citato da una rivista danese di marketing, il Berlingske Nyhedsmagasin, come uno dei più promettenti talenti imprenditoriali in Danimarca. Certo, il business etico di Flow Market rimane un’anomalia: si tratta infatti di un’operazione consumistica che ha l’intento di liberarci dal consumismo. Un’utopia che sembra quasi una presa in giro. Ciò non toglie che siamo in presenza di un’intelligente provocazione progettuale che ha per ora il merito coniugare con successo pubblico, critica e impresa.


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“I prodotti Flow Market sono l’espressione di una teoria filosofica di crescita sostenibile”

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VITA DA CREATIVO: MASSIMO SIRELLI

www.massimosirelli.it www.dim-one.com www.dimomedia.com


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Vita da creativo di Dario Bovero, foto Luca Giacosa

Dim*One vs Massimo Sirelli: dall’anonimato di una tag alla reale identità, un percorso creativo che parte dalla graffiti art. In un paese anglosassone sarebbe definito “icon warrior”. I suoi frame urbani inglobano segni di ogni tipo: logotipi, sticker, graffi, squarci di colore, escoriazioni. Un frullatore di elementi tangibili della vita urbana. Icone stratificate, smalti, colle e codici. Lamiere, ante, arredi urbani: non più semplici supporti, bensì identità che ne incontrano altre, diventando pagine di un diario di vita cittadina.


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VITA DA CREATIVO: MASSIMO SIRELLI

PESCE CANE 2008, 40 x 40 cm Vernice a smalto e marker su lamiera

In un paese anglosassone sarebbe definito “icon warrior”. I suoi frame urbani inglobano segni di ogni tipo: simboli, sticker, graffi, squarci di colore, escoriazioni. Massimo Sirelli è un frullatore di elementi tangibili della vita urbana. Icone stratificate l’una sull’altra, a partire dalle basi stesse su cui Massimo poggia smalti, colle e codici. Lamiere, ante, arredi urbani: non più semplici supporti, bensì identità che ne incontrano altre, diventando pagine di un diario di vita cittadina. Nato a Catanzaro nel 1981, da metà anni Novanta nel mondo della graffiti art lo conoscono con lo pseudonimo di Dim*One e come per molti writers gli inizi della carriera sono influenzati dalla scena old school newyorkese. I suoi primi strumenti di espressione sono gli spray, i markers e le superfici urbane: muri, pensiline, mezzi e sopratutto treni. Ma è in seguito che il discorso si fa interessante. La sua ricerca visiva, indirizzata a trovare soluzioni insolite, lo spinge ad sperimentare nuovi materiali e nuovi strumenti grafici. Ecco dunque comparire superfici di supporto anomale: cartone, pannelli di legno, vecchie porte, segnaletica dismessa, lamiere. Schegge di città, aggredite con bombolette spray, schizzate con vernice industriale, markers che tracciano lettere scomposte, colla, stickers ogni comparsa diventa attore protagonista. Proprio in questo atteggiamento operativo risiede la natura innovativa dell’opera di Massimo Sirelli, la cui deconsetualizzazione non investe solo la materia prima necessaria, ma trasforma e reinterpreta l’intero catalogo iconico urbano.

GLI OCCHIALI DEL PRETE 2008, 50 x 70 cm Vernice a smalto su lamiera


VITA DA CREATIVO: MASSIMO SIRELLI

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VITA DA CREATIVO: MASSIMO SIRELLI

DIO C’Ѐ 2008, diam. 50 cm Vernice a smalto su lamiera


VITA DA CREATIVO: MASSIMO SIRELLI

DIREZIONI (1- 2) 2008, 60 x 85 cm Vernice a smalto, spray su legno

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INTERACTION DESIGN LAB

Interaction Design Lab di Dario Bovero / Danila Pellicani

Filosofia e innovazione progettuale.

www.interactiondesign-lab.com Interaction Design Lab, in breve Id-Lab, è una società di design specializzata nel risolvere problemi di innovazione tecnologica. Per far questo meglio e più efficacemente, Id-Lab ha superato al suo interno le separazioni disciplinari. Designer, architetti, ingegneri meccanici, informatici, video maker, grafici, esperti di comunicazione, psicologia, marketing, economia e amministrazione collaborano fianco a fianco e sullo stesso piano.La varietà delle competenze in Id-Lab permette di immaginare e realizzare progetti complessi in cui si fondono soluzioni tecnologiche e di processo, prodotti e servizi innovativi che includono aspetti di estetica, linguaggio, comunicazione, usabilità, funzionalità, ambientazione, riuso, informazione, condivisione, semplificazione dell’innovazione, dell’interazione, della sostenibilità. A partire da una solida conoscenza dell’esperienza storica del design industriale italiano, con eleganza e stile lieve “alla Castiglioni”. Stefano Mirti, socio e fondatore di Id-Lab, ci spiega la filosofia progettuale dello studio e propone una visione molto personale sul tema dell’innovazione progettuale.


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INTERACTION DESIGN LAB

“Per il progettista la tecnologia è come l’acqua per il pesce: ci vive completamente immerso, sempre.”

Quando e come è nato Id-Lab? Id-Lab nasce il primo gennaio 2006. Nasce da un gruppo di una dozzina di persone, tutte provenienti dall’esperienza di Interaction Design Institute di Ivrea. Stiamo parlando di un gruppo di progettisti, tecnologi e amministrativi; persone che decidono di mettersi insieme fondando una nuova societa’. Il fatto è che IInteraction Design Institute era stato trasferito a Milano, variando in parte anche la propria proposta culturale. Per evitare di snaturare la nostra professionalità, abbiamo deciso di trasformare le nostre attività progettuali in una sfida imprenditoriale di respiro piu’ ampio. Abbiamo dunque progettato la societa’, definendone i vari meccanismi e reperendo il capitale necessario. Abbiamo anche cercato la doppia sede, una a Milano e una a Torino. Un momento molto impegnativo, ma anche molto divertente; e diciamo che da allora non ci si annoia mai. Siamo adesso entrati nel quarto anno e possiamo dire che siamo molto soddisfatti. Concept. Craft. Communication. Commerce. I quattro ingredienti principali del vostro manifesto. In che modo agite su ognuna di queste leve? Non c’e’ mai un agire diretto o pianificato a monte. La “C” di “Commerce” e’ alla base di tutto. Nel senso che se poi a fine anno non si arriva al pareggio ci sono perdite da ripianare o si va tutti a casa. Detto in maniera piu’ elegante, non puo’ esistere cultura senza commercio. “Communication” e’ un altro ingrediente discretamente trasversale. Tutto quello che facciamo e’ comunicazione. Diretta o indiretta. Questa intervista per esempio. “Craft” & “Concept” sono piu’ legati alla nostra natura. Ci piace molto lavorare in maniera pratica: prototipi, esperimenti, versioni successive dove ogni step avanti e’ segnato da errori di tutti i tipi.

Ovviamente non si prosegue a casaccio: abbiamo una serie di punti e ancoraggi concettuali che ci permettono di stare al mondo e lavorare nella maniera che ci sembra piu’ giusta e sensata. Definite il design “un’attività intellettuale, che lavora sulla relazione tra la cultura incorporata nella vita quotidiana e nel mondo materiale”. Pensiero e materia. E tecnologia come collante? La tecnologia e’ sempre un collante. Lo era gia’ al tempo dei preistorici, per i quali la tecnologia e’ una pietra appuntita. Bisogna fare attenzione a non incorrere in equivoci. Quando noi scriviamo “tecnologia” intendiamo “tecnologia” in senso ampio, non nuove tecnologie. Le nuove tecnologie non esistono. Piu’ banalmente esistono tecnologie usate in maniera appropriata e tecnologie usate in maniera inappropriata. Noi non siamo i missionari delle nuove tecnologie. Noi riceviamo dei brief di progetto ai quali diamo, di volta in volta, le risposte che ci sembrano piu’ appropriate. Se tu mi chiedi un aggeggio per poter scrivere e mangiare e fare le tue cose, io ti rispondo: “è pronto: si chiama ‘tavolo’, lo facciamo di legno con quattro gambe e magari un cassetto” e così siamo tutti contenti, senza per forza dover inventarci schermini e schermetti o robe che fanno “blip-blip”. In altri casi la richiesta a monte e’ diversa, per cui è necessario ricorrere ad un progetto di ricerca. Pensiero e materia: il vero collante e’ fare tornare i conti. Perche’ se si bara in quel passaggio (o ancora peggio, se non si e’ capaci), non si andra’ mai da nessuna parte. La tecnologia c’e’ sempre, qualsiasi progetto tu faccia. E’ come chiedere a un pesce un parere sull’acqua.


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Per il progettista la tecnologia e’ come l’acqua per il pesce: ci vive completamente immerso, sempre. Poi, qualcuno ne e’ cosciente e qualcuno magari no. Ma questo e’ un altro discorso. Come conseguenza dell’emergenza ecologica, si tende spesso a demonizzare la tecnologia a favore di una cultura progettuale che mette uomo e natura al centro del progetto. Secondo voi, che ruolo ha, realmente, la tecnologia nello scenario contemporaneo e quali passi deve fare il design(er) per condurci verso un mondo sostenibile? Goering diceva che appena sentiva la parola “cultura” portava la mano alla pistola. Parafrasando, direi che io appeno sento una frase tipo; “la cultura progettuale che mette uomo e natura al centro del progetto”, non avendo un fucile a cui portare la mia mano, mi viene un fastidio infinito. Quelle sono un cumulo di cazzate, frasi fatte, robe dette da gente che poi quando gli viene la febbre prende l’aspirina e lo sciroppo esattamente come faccio io (o che si sposta in auto o con l’aereo). Il design e’ figo perche’ e’ ambiguo. E’ quell’ingrediente in grado di moltiplicare per cento volte la velocita’ di sfascio del mondo, ma nel contempo e’ in grado di moltiplicare anche le strategie di salvaguardia. In un mondo dove le due tipologie di design coesistono perfettamente. Siamo sempre alle solite. Cinquemila anni fa un sasso levigato fino a farlo diventare tagliente era uno strumento tecnologico sofisticato. Poi, ci sara’ stato uno che con quell’aggeggio ha inciso meraviglie assolute nella grotta, mentre il suo amico usava lo stesso strumento per piantarlo nella testa di un altro per rubargli la fidanzata. Al solito, sono strumenti e come tali possono essere poi usati in maniere differenziate.

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Dal mio punto di vista il design e’ in primo luogo narrazione, dunque non deve condurci da nessuna parte. Il ruolo del design, almeno quello interessante e meritevole della mia attenzione, e’ quello di fare saltar fuori le ambiguita’, i limiti, i cortocircuiti. Il design non e’ una religione, e’ uno strumento per farci pensare. Orwell ha scritto “1984” ma non e’ che lui volesse condurci in quel mondo li’. Piu’ banalmente descriveva un mondo possibile. Ecco, io il design lo intendo in maniera simile. Che racconta storie possibili, che sottolinea alcuni aspetti piuttosto che altri. Infine, appena uno dice “mondo sostenibile” generalmente fa riferimento a una distopia pazzesca nella quale io non resisterei dieci minuti.

“Il design non è una religione, è uno strumento per farci pensare”


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A PAURA GUARDA A VIGNA, NO A SIPALA

“A paura guarda a vigna, no a sipala” testo e progetto: Gianluca Seta

“La paura guarda la vigna, non la recinzione”

Identità e istituzioni chiuse. Un progetto di corporate image per la ‘ndrangheta calabrese.

Parlare di ‘Ndrangheta sembra sortire uno strano effetto nell’opinione comune. ‘Ndrangheta sembra voler dire paura, silenzio o silenzio assenso. Un silenzio che rende ossequianti non tanto verso l’una o l’altra organizzazione, ma verso un modo di stare al mondo che sembra essere divenuto oramai tristemente naturale, dove la società delle clientele e del silenzio omertoso, a volte anche politico, è diventato, senza fare troppe differenze tra nord e sud, talmente familiare da risultare a malapena percepibile. Con il rischio di iniziare a pensare che avere la possibilità di lavorare perchè si è fatto piacere all’uno o all’altro capo zona sia motivo più che valido per ringraziare con riverenza colui che in realtà finisce per ridurci in catene ben più forti di quelle d’acciaio. Con il rischio di iniziare a pensare che in fondo noi italiani siamo fatti così, un popolo che si “aiuta” vicendevolmente, dove l’unica moneta che si possiede per ottenere anche solo un diritto basilare come il lavoro sia il proprio voto, l’unica forma reale di esercitazione di potere che al cittadino di una società democratica è dato avere.


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A PAURA GUARDA A VIGNA, NO A SIPALA

Com’è forse noto ai più, il fenomeno ‘ndranghetistico e in generale maioso è stato ampiamente studiato sotto vari aspetti: sociale, economico, etico, antropologico e giuridico. All’interno di questi ambiti la questione mafiosa è stata affrontata in ogni suo dettaglio e da qualsiasi punto di vista mantenendo ancor oggi inalterata una certa propensione verso la ricerca per comprendere meglio il problema ed essere così uno strumento di interpretazione utile all’attività giudiziaria e sociale. Dalle suddette ricerche emerge un assunto fondamentale, che viene espresso molto bene nel titolo del celebre libro di Pino Arlacchi Mafia Imprenditrice e ancor più nel sottotitolo “dalla Calabria al centro dell’inferno”. Passati da una mafia agropastorale ad una invece dedita alle grandi operazioni economiche e finanziarie la mafia si è trasformata. Da rozza qual’era, basata sull’attività del sequestro di persona, si ritrova ora a soprassedere gli scranni della politica, dei servizi segreti e delle loggie massoniche deviate che offrono comodi ambienti sicuri dove poter concludere importanti affari finanziari e intessere nuove relazioni di potere. La tesi poggia sul concetto per cui se la ‘Ndrangheta è assolutamente paragonabile ad un’azienda come struttura economica e come forza imprenditoriale, allora sarà legittimo trattarla come tale e cercare nella comunicazione esistente i tratti salienti, tipici del proprio linguaggio che producono tutte quelle strutture di potere e terrore che permettono un radicamento sul territorio e un controllo totale dello stesso. Nello specifico si può asserire che il sistema chiuso è una particolare struttura che presenta alcuni aspetti particolari che ne costituiscono l’essenza. Il primo aspetto è certamente la segretezza. Nelle associazioni mafiose, la necessità di comunicare fà si che la trasmissione dei messaggi venga gestita secondo codici criptati in cui l’unica via che ne permette la decodifica passa attraverso la conoscenza diretta di determinate regole sintattiche e linguistiche mentre la comunicazione esterna fa uso di strumenti criminali utilizzati direttamente sulla persona o sul sistema politico, sociale ed economico. La carenza di un sistema visivo creato ad hoc per questo tipo di organizzazioni, impone la presa in prestito di iconografie già esistenti e solitamente estranee ai contenuti e ai valori di cui queste organizzazioni si fanno carico. Ciò sembra essere una costante nei sistemi chiusi ed in modo particolare nei suddetti sistemi mafiosi in cui la necessità di creare l’identità necessaria tra i propri membri ha fatto si che quest’ultima si legasse in maniera importante a linguaggi visivi di altri sistemi già esistenti, caratterizzati in genere da elementi trascendentali, necessari per attribuire al proprio gruppo un significato e una giustificazione storica più alta di quella effettiva, giustificandone così l’esistenza e assumendo così un Io Presente assolutamente “divino”. In contrasto a quanto spesso si è portati a credere è presente nelle organizzazioni mafiose una specifica forma di comunicazione che può essere suddivisa in interna ed esterna, in perfetto parallelismo con le modalità di comunicazione utilizzate

in un’azienda; del resto la comunicazione, in quanto parametro stesso di definizione dell’essere vivente, costituisce uno dei bisogni primari dell’uomo che egli è chiamato istintivamente a soddisfare: comunicare è innanzitutto condividere all’interno di un gruppo e non può esistere gruppo umano, definito per razza, cultura, locazione geografica, lingua o religione, che non si avvalga di questo strumento anche solo per la propria primaria necessità, lo sviluppo di sé stesso e la continua modificazione del proprio mondo per l’innata propensione dell’uomo al proprio accrescimento. Fare comunicazione risulta essere uno dei principi fondamentali del vivere umano e la sua natura condivisiva o trasmettitiva lascia naturalmente delle traccie che possono essere più o meno visibili, ma pur sempre esistenti. Ricostruire l’organizzazione mafiosa secondo i principi comunicativi significa comprendere e interpretare il sistema mafioso a partire da parametri nuovi che possano restituire una rappresentazione insieme fedele e inconsueta dell’organizzazione, tratteggiare una visione globale che possa aiutare a trovare convincenti dimostrazioni sulla tesi di comparazione tra la struttura organizzativa aziendale e quella malavitosa mafiosa. Ci si è mossi lungo un percorso volto a presentare e descrivere una questione strutturale essenziale per la buona pratica della vocazione d’impresa mafiosa, e cioè l’assenza di un piano di comunicazione aziendale adeguato per un’impresa di così grande importanza in termini di fatturato e di penetrazione nel tessuto sociale dei territori del sud Italia e non solo. È l’urgente necessità di un sistema comunicativo adeguato di corporate identity che ha giustificato l’esistenza di questo lavoro, che ci potrà permettere finalmente di vedere questa grande brutale realtà italiana non più attraverso l’interpretazione dei fatti riportati sui giornali o attraverso i risvolti di lunghe sentenze giudiziarie, ma per mezzo di un preciso marchio: sarà una significativa immagine coordinata che si applicherà secondo la progettazione di un primo piano di comunicazione a suggellare la propria presenza sul mercato, a renderla più competitiva e più delineata per l’immaginario collettivo. Si ricostruirà dunque l’azienda secondo un procedere tutto nuovo e muovendo da principi che troppo spesso vengono sottostimati dallo stesso mercato e dagli enti che dovrebbero promuovere se stessi e produrre cultura; si può apprezzare leggendo il libro infatti come l’universo visivo possa aiutare le società a capirsi e a farsi capire. Costruire qui una comunicazione di base per la mafia significa contestualmente ricostruire l’universo segnico e simbolico di cui si è appropiata nel corso dei decenni,; vuol dire inoltre capire quali siano le fonti iconografiche da cui attinge e sulle quali fa leva per ottenere il “consenso”. Vuol dire riconoscere un comando territoriale che utilizza codici e strategie specifiche per il sicuro ottenimento e raggiungimento dei propri obbiettivi. Si arriva infatti alla costruzione di un’entità/identità visiva per un’organizzazione che tutto vuole tranne che mostrarsi, ma che per nostra fortuna non può prescindere, se vuole esistere, dal lasciare traccie o dal muoversi nel suo mondo di relazioni tramite una qualche forma comunicativa.


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Lo stato di terrore e di soggiogazione passa in maniera particolare in Calabria tramite un attento esercizio del potere che basa le sue fondamenta sull’istituzione di uno stato di terrore, dove “l’occhiata storta” è offesa o viceversa intimidazione di pericolo, dove ad un torto corrisponde un modello d’omicidio prestabilito e ben decodificato, per far si che tutto ciò che gli uomini d’onore facciano sia riconosciuto e capito. Che l’insieme dei segni, dei linguaggi del corpo, degli occhi, del sangue scorso o di quel silenzio omertoso ovattato che si fà denso e palbabile in certe zone della Calabria diventino grammatica di un linguaggio che è sì chiaro e conosciuto, che è sì visibile e percepito. Una grammatica che diventi ora strutturata secondo regole visive ben precise e dove anche i simboli apartenenti alla religione, che nel sud è tanto vissuta come speranza per un futuro migliore che però cambi da solo, possano trovare la loro nuova e reale funzione di manipolazione e comparazione attribuitagli dai boss.

Che vengano svelate così le ipocrisie di una croce che funge in realtà da barriera protettiva ad uno stuolo di lupare sanguinarie. Il progetto vuole aggiungere se possibile un piccolissimo tassello alla conoscenza del fenomeno mafioso unito alla prova sperimentale di progettazione di uno dei sistemi chiusi per eccellenza. Così come un utente tende e vuole distanziarsi da una marca che è ritenuta a basso contenuto etico o che presenta un prodotto di bassa qualità, potrebbe essere possibile che lo stesso meccanismo possa riscontrarsi negli ipotetici fruitori del marchio ‘Ndrangheta. In definitiva il paradosso del lavoro è forse proprio questo, creare un buon progetto visivo che sia veritiero e assolutamente rappresentativo di un ente e che sia in grado di veicolare i suoi valori, la mission e il suo modo di stare al mondo, ma che poi si spera possa essere scartato dall’utenza proprio in virtù della sua nuova trasparenza.


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IL DESIGN RIFIUTA IL RIFIUTO: D-DROID.COM

VESPALINA - Lampada da tavolo di Massimo Sirelli Freno a disco, manubrio Vespa Special ‘125


IL DESIGN RIFIUTA IL RIFIUTO: D-DROID.COM

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di Stefania Sirelli

Il design rifiuta il rifiuto D-Droid.com, il portale dove i designer diffondono la cultura del riuso attraverso la creatività e l’innovazione ecosostenibile.

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Ideas

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www.d-droid.com


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IL DESIGN RIFIUTA IL RIFIUTO: D-DROID.COM COVERSACCO - Copertina per libri di Roberto Evangelista Sacchetto ikea, colla,

Non buttare via tutto è il concetto base di D-Droid: se nulla si crea, tutto si ricicla. Non è una novità come concetto però la freschezza delle idee pubbicate nelle gallery di D-Droid (.com) colpisce davvero per spontaneità ed estro. Microprogetti ottenuti dal recupero e dal riutilizzo delle cose. Una palestra progettuale dove allenare le proprie abitudini ad una vita all’insegna dell’ecosostenibilità. Il riuso, la trasformazione, il riciclaggio prevengono lo spreco di materiali potenzialmente utili. Il sito D-Droid.com raccoglie e pubblica le idee migliori spedite dagli utenti. Non solo un’intelligente raccolta di esercizi progettuali ma anche una mission nobile: sensibilizzare la collettività per evitare forme di consumismo e inquinamento inutili. Le (buone) idee non si cestinano!

APPENDIANELLI - Accessorio da scrivania di Tiziana Calabrese Struttura degli anelli di un raccoglitore, tappini di Biro, vernice spray.


IL DESIGN RIFIUTA IL RIFIUTO: D-DROID.COM

“Riciclo non significa semplicemente riutilizzo, ma creazione”

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Ideas

TAPPAFOTO - Reggi foto, bigliettini, notes di Linda Lisino Tappo di sughero inciso

Droid

GIORNAVASO - Portapiante di Linda Lisino Vecchie riviste, micro mollette

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IL DESIGN RIFIUTA IL RIFIUTO: D-DROID.COM

Non buttare via tutto: se nulla si crea, tutto si ricicla!

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Ideas

I progetti presenti su D-Droid sono come ricette di una grande cucina. Ci sono piatti cotti a fuoco lento, quindi idee che nascono da progetti più elaborati, dove l’ideatore, come un alchimista moderno, unisce parti, pezzi, “avanzi” e dà loro nuova vita e scopo. Quando riciclo non significa semplicemente ri-utilizzo, ma creazione. Poi ci sono ricette veloci, frutto di un’ispirazione istantanea, che diventa realtà con poco lavoro. Basta mettere un pizzico di fantasia e creatività per far nascere idee bizzare e simpatiche ma contemporaneamente utili ed intelligenti. La cucina D-Droid cerca nuovi chef, che propongano nuove ricette, per diffondere la cultura del riutilizzo, così da ispirare tutti a dare da soli nuova vita ai propri oggetti destinati al cestino.

CARD MC - Porta bigliettini di Nico Cimino Vecchia custodia musicassette

Droid


IL DESIGN RIFIUTA IL RIFIUTO: D-DROID.COM

JEWEL - Orecchini di Serena Gamba Stoffe varie, perline, ganci in metallo.

JEWEL - Orecchini di Serena Gamba Stoffe varie, perline, ganci in metallo.

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TORINO È A COLORI

Torino è a colori di Dario Bovero / Yet Matilde

Torino città grigia? Falso. Ecco il progetto Torino Colors, la mappa cromatica della città sabauda. Di che colore è Torino? Bianconera o granata per qualcuno, ma per i più, soprattutto per gli italiani non torinesi, il colore di Torino è sicuramente il grigio. E’ da questo antefatto (piuttosto fastidioso) che nasce lo spunto per il progetto Torino Colors: in che modo è possibile modificare la colorazione della nostra città nell’immaginario collettivo nazionale ed internazionale?


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TORINO È A COLORI

Torino Colors rappresenta un caso unico di mappatura urbana cromatica complementare a quella toponomastica.

La questione cromatica non è l’unico elemento d’sipirazione del progetto. Un altro spunto scaturisce osservando la mappa della nostra città: esiste un criterio intuitivo con cui è possibile orientarsi all’interno di una città, anche da parte di chi vi giunge per la prima volta? Alla domanda “dov’è via Magellano?” molti non sarebbero in grado di indicarla esattamente, ma per intuizione ne individuerebbero la zona: quella dei navigatori. La suddivisione per zone della mappa sembra dunque essere un buon punto di partenza, ma serve un elemento identificativo comune a tutta l’area urbana. Dunque?

La risposta: Torino Colors, la prima mappa urbana ad orientamento cromatico. Cosa significa? Bè, immaginiamo, inizialmente, di sovrapporre una mappa colori RGB (ovvero rosso, giallo e blu) sul territorio cittadino. Notiamo immediatamente come i colori pieni si trovino nelle aree periferiche, mentre avvicinandosi al centro tendano maggiormente al bianco. Pensiamo inoltre di ridefinire la nostra colorazione utilizzando come elemento di riferimento il singolo isolato, associando quindi un unico colore della scala RGB ad ognuno di essi. Proprio come la quotidiana toponomastica utilizza come assi di criterio le vie e le piazze.


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Torino Colors è la prima mappa urbana ad orientamento cromatico anche da parte di chi vi giunge per la prima volta.

Torino Colors ha l’ambizione di migliorare la fruizione della città da parte di chi la vive, permanentemente o occasionalmente. Un unicum, ambizioso ed impegnativo, ma con ricadute, per l’immagine interna ed esterna della città, sicuramente straordinarie. Un progetto che coinvolge totalmente la città, nella piena comprensione del senso del termine design. Achille Castiglioni, probabilmente il più importante ed influente industrial designer dello scorso secolo, amava dire che la differenza tra arte e design è che la prima soddisfa gli sfizi di un élite mentre la seconda da una risposta alle necessità di tutti. Torino Colors rappresenta un caso unico di mappatura urbana cromatica complementare a quella toponomastica. Un criterio intuitivo con cui è possibile orientarsi all’interno della città, anche da parte di chi vi giunge per la prima volta.

Differentemente dal criterio toponomastico, Torino Colors utilizza come elementi indicativi i singoli isolati, ognuno contraddistinto da un univoco codice della scala RGB. L’isolato comprendente il Municipio presenta il codice RGB 255 255 255, quindi bianco. Man mano che ci si allontana dal centro gli isolati presentano dei colori sempre più accesi. Arrivando in città per la prima volta, se di fronte alla sola indicazione toponomastica di un luogo non è possibile comprenderne la centralità, con l’applicazione del criterio di Torino Colors, e quindi la rappresentazione del colore corrispondente, ciò sarebbe immediatamente comprensibile.


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TORINO È A COLORI

COLORI CONSIGLIATI: luoghi di cultura Auditorium Rai

Chiesa di S. Filippo Neri

Basilica di Superga

Palazzo Madama

Castello del Valentino

Pinacoteca Agnelli

Cavallerizza Reale

Porte Palatine Teatro Regio

Gran Madre Duomo Fetta di Polenta

parchi

stazioni Dora

Chiesa di San Lorenzo

mercati

Fondazione Merz

Balon

Sandretto Re Rebaudengo

Bengasi

Galleria Sabauda

Crocetta

GAM

Madama Cristina

Lingotto

Palestro

MIAAO

Porta Palazzo

Museo A come...Ambiente

Racconigi

Mole Antonelliana Museo Egizio

Colletta

Lingotto

Collina Torinese

Porta Nuova

Dora

Porta Susa

Giardini Reali

Stura

Italia ’61

pullman

Michelotti Pellerina

locali notturni

255 000 000

Docks Dora Hiroshima Mon Amour

luoghi olimpici

Imbarchini

Corso Tazzoli

La Gare

Oval Lingotto

Santa Giulia

Murazzi

PalaIsozaki

Santa Rita

Piazza Vittorio

Palavela

Museo dell’Automobile

Spezia

Quadrilatero Romano

Stadio Olimpico

OGR

Svizzera

Rock City

Torino Esposizioni

Taranto

Spazio 211

Villaggio Olimpico

Vallette

Supermarket

Palazzo Carignano

255 255 255

Valentino

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TORINO È A COLORI

Le applicazioni Torino Colors apre la strada ad un’ampio numero di applicazioni, di cui riportiamo degli esempi, alcuni più suggestivi, altri più concreti. Il nuovo sistema di indicazione cromatica, ad esempio, potrebbe essere adottato in tutte le comunicazioni riguardanti la città di Torino, a iniziare da luoghi di particolare interesse storico, artistico e culturale i colori RGB corrispondenti ci darebbero informazioni intuitive. Un visitatore potrebbe intuire con semplicità quale sia il percorso più comodo da effettuarsi, quali location si trovino più in centro, la vicinanza tra esse. Valutiamo ad esempio l’applicazione della mappa cromatica alle indicazioni dei mezzi pubblici: non sempre i percorsi dei mezzi pubblici possono essere esplicativi, soprattutto se consultati da un turista. Se accanto alle indicazioni attuali comparissero anche i colori degli isolati attraversati, l’informazione sarebbe immediata ed intuitiva. Queste indicazioni potrebbero trovare spazio sia su comunicazioni cartacee che direttamente sulle paline delle fermate. Inoltre, l’adozione del nuovo sistema di mappatura cromatica potrebbe coinvolgere anche elementi di arredo urbano esistenti sui principali assi di comunicazione viaria della città e sulle principali piazze. Il tutto in linea con la comunicazione che Torino ha adottato durante gli ultimi eventi.

Torino Colors an experience by: YET MATILDE Michele Cafarelli Marco Ruffino Silvio Tidu Giuseppe Sorrentino Sandro Rizzo http://yet.matilde.it

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IL FUTURO NELLA RETE

Il futuro nella rete

di Danila Pellicani

Start up e servizi dell’anno venturo: Le Web Paris. Mai come in questo periodo di crisi e ristrettezze economiche si pensa a metodi alternativi che offrano reali opportunità di business e crescita a costi contenuti. Internet è lo strumento ideale per sperimentare a basso costo e offre molte opportunità di business, marketing e permette di raggiungere grandi risultati. Non solo: nella rete il concetto di innovazione è quotidiano: quasi ogni giorno infatti nascono applicazioni o aprono siti che spingono gli user (e i programmatori) a nuove prospettive di ricerca. Ce ne siamo accorti lo scorso dicembre a Parigi, durante Le Web Paris 08, una manifestazione articolata in due giorni di dibattiti e interventi in cui ci si pongono domande e soprattutto si regalano molti stimoli a chi si occupa di dinamiche web. Al di là del tentativo di fare il punto della situazione (impossibile, perché la rete è davvero in costante movimento), l’iniziativa più interessante della manifestazione è la Start Up Competition, un premio speciale assegnato ai siti web più innovativi dell’anno. Spulciare la lista dei premiati è come sbirciare sul futuro prossimo. Certo, è difficile prevedere quale sarà il reale impatto di queste applicazioni. Vi faccio un esempio: al primo posto della classifica abbiamo Viewdle, un facial-recognition, in pratica una piattaforma digital media per il riconoscimento facciale che indicizza, ricerca e monetizza risorse video. In pratica, Viewdle analizza fotogramma dopo fotogramma i filmati, creando in tempo reale un indice grazie ai database a cui è collegato. La tecnologia utilizzata è quella del face recognition, attualmente in uso in molte macchine fotografiche digitali, accorpata ad un database che permette di riconoscere le facce ma anche di associare ad ognuna di esse un nome, se presente nel database. Per esempio permette di ricercare tutti i video in cui il presidente Obama appare anche se non è menzionato nel titolo.

Wiewdle potenzialmente è un ottimo strumento di statistica e potrebbe portare ad un grossa rivoluzione nella gestione dei diritti connessi. Al secondo posto della classifica, Le Web vota il sito Webnode, un web builder open source che permette di creare in pochi passi il proprio sito web gratis e senza scaricare nessun software. Webnode ha un’interfaccia felice e un elevato grado di usabilità. C’è chi dice che darà del filo da torcere a piattaforme come Wordpress o al più piccolo Indexhibit. Webnode è uno strumento che permette anche a chi ha conoscenza zero di linguaggi di programmazione, di costruirsi il proprio sito web senza però fare modifiche, mentre le sopraccitate applicazioni permettono di creare siti web perfettamente funzionanti senza nessun tipo di conoscenza informatica specifica, grazie al linguaggio di programmazione php, inoltre sono “predisposti” ad uno step successivo dell’utente, la modifica del codice php e del codice css. Al terzo posto troviamo invece Zoover, portale di recensioni su viaggi e vacanze generate dagli utenti. Zoover è all’apparenza l’ennesima declinazione wiki: copartecipazione degli utenti nel creare un database di informazioni, in questo caso utili per pianificare il proprio viaggio o vacanza e evitare cattive sorprese in loco. A rendere Zoover speciale è la quantità di informazioni racchiuse: ben 775.519 recensioni (comprendenti 30.338 destinazioni in tutto il mondo, disponibili in ben 15 lingue diverse). Un social network turistico destinato a diventare un modello di riferimento molto popolare. Alla classifica ufficiale si aggiunge un premio speciale, quello del pubblico, aggiudicato a Silentale, un nuovo servizio in cui archiviare e recuperare tutte le proprie conversazioni digitali, in sostituzione della vecchia scatola dei ricordi.


IL FUTURO NELLA RETE ALTREMENTI N.4

www.viewdle.com

www.zoover.it

www.webnode.com

www.silentale.com

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CREATIVI TRADITI

Creativi traditi di Andrea Sartori

Cos’è la creatività? Esiste il lavoro del creativo?

Il filosofo Andrea Sartori si interroga sul ruolo (e sull’esistenza) della creatività e dei creativi nella società contemporanea.


CREATIVI TRADITI ALTREMENTI N.4

«Creatività» è un nome proprio – come si dovrebbe evincere dall’analisi grammaticale del termine – oppure un predicato, un aggettivo da attribuire di volta in volta ad un diverso soggetto? Se i database degli enti amministrativi a cui ci rivolgiamo pressoché quotidianamente, sono lo specchio dell’attuale stato di cose, ovvero di quel che c’è realmente, siamo costretti a riconoscere che la creatività non dà luogo ad un’autonoma identità professionale. Allorché chiediamo all’impiegato del nostro comune di residenza di rinnovarci la carta d’identità, infatti, scoppia l’amara consapevolezza: non esiste una voce «creativo» in cui classificare la propria professione, mentre non sussiste alcun problema con «stilista», «manager», «copywriter», ovvero con quelle professioni che della creatività possono avvalersi come di un qualunque altro predicato, anche di segno opposto. Che i creativi mettessero capo addirittura ad una classe, la «classe creativa», era in fondo un’ottimistica illusione proveniente dall’altra sponda dell’Atlantico. Qui, accanto all’ethos di una everyday life in trasformazione, cioè sempre più orientata alla sperimentazione e all’utilizzo autonomo delle tecnologie, si veniva affermando un’economia creativa, imperniata finanziariamente sul facile accesso al credito e sulla favola del liberismo sfrenato che corregge da solo le proprie imperfezioni. Le conseguenze di questo atteggiamento sono ora note anche in Europa e in Italia, nella misura in cui la creatività finanziaria, maneggiando capitali inesistenti e titoli tossici, ha infettato il sistema sanguigno del credito, e quindi del mercato, perpetrando contemporaneamente un vero e proprio tradimento a danno di chi in essa aveva riposto fiducia e speranza (risparmiatori, lavoratori, proprietari). Tuttavia non è esatto sostenere che la crisi in corso abbia affossato la creatività in quanto tale, distribuita nei settori che per primi ne hanno rappresentato, e ne rappresentano, il veicolo di diffusione: moda, design, industria culturale, comunicazione, architettura, ma anche tecnologia e finanza. Proprio in quanto è irriducibile a ciascuno di questi ambiti delimitati l’uno rispetto all’altro, la creatività ne eccede i confini e non smette di giocare le proprie carte. L’emergenza carsica di un fenomeno inizialmente sotterraneo come quello dei social networks, ora tramutatosi non solo nella svolta del WEB 2.0, ma anche nel possibile modello di una ENTERPRISE 2.0, indica la non-identità della professionalità creativa con i suoi settori d’applicazione. Indica cioè l’impossibilità che essa venga esaurita in una mansione, e questo è segno non solo di versatilità, cioè di adattabilità alle condizioni del mercato e soprattutto della società, ma anche di capacità critica,

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di riflessività, di una specifica attitudine cognitiva rispetto alla complessità del contesto in cui il creativo si trova ad operare. I creativi, più che traditori – fatta eccezione per coloro che della vertiginosa speculazione finanziaria a danno di altri hanno fatto il proprio mestiere – sono stati traditi (dai manovratori delle leve dell’impresa e dai loro finanziatori). L’attuale crisi enfatizza così l’incertezza dell’identità di ruolo dei creativi, ma dovrebbe anche acuirne l’intelligenza sociale, la consapevolezza d’essere trasversali nei confronti di molto ambiti produttivi. D’altra parte, il connubio tra creatività e finanza è risultato distorto dalla condotta immorale di alcuni speculatori, non dall’apporto cognitivo della creatività come tale alla materia finanziaria. Ben Goertzel, CEO delle società Biomind e Novamente, ha scritto a questo proposito un interessante articolo su H+ Magazine. I software più avanzati, progettati nell’ambito delle ricerche sull’Intelligenza Artificiale (AI), hanno avuto un ruolo importante nella definizione dei modelli matematici sottesi alla creazione dei famigerati derivati finanziari. Il difetto di questi ultimi, secondo Goertzel, non risiederebbe però nel loro eccesso di sofisticazione, ma all’opposto nel tuttora ridotto tasso di intelligenza artificiale in essi incorporato, che non ha permesso ai modelli matematici che ne stavano alla base, di valutare riflessivamente le condizioni reali del contesto socio-economico in cui i derivati venivano utilizzati. Proprio questo margine d’indeterminatezza, attribuibile all’arretratezza della tecnologia AI, ha permesso, per Goertzel, l’intromissione della speculazione umana e l’azzardo morale del broker senza scrupoli, che avrebbero usato a vantaggio della propria avidità un insieme di strumenti creditizi, ricalcati su patterns matematico-finanziari di per sé moralmente neutri. La vaghezza in cui è scivolata la professione del creativo, ha in conclusione se non altro il merito di portare allo scoperto, nel mercato, le competenze dei singoli in cerca di una ricollocazione, le quali, come abbiamo visto, sono estremamente diversificate, arrivando anche a toccare la «scienza esatta» della matematica teorica. La crisi che giocoforza oggi accomuna molti membri della presunta «classe creativa», può essere d’altro canto la premessa di un ulteriore sviluppo della vocazione intersettoriale del creativo, cioè di uno sviluppo da cui le industrie stesse potrebbero trarre profitto per prime, chiamando a sé una diffusa complementarietà di abilità, di skills, in cerca di ruolo. Ovvero di competenze già strutturate, per necessità, a rete, sebbene non in maniera compatta come nell’obsoleta immagine della «classe».


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ARSMETEO

ArsMeteo di Irene Tamagnone

Che arte fa oggi?

E’ da un po’ di tempo che mi son fissata con le figurine. Sì,quelle della Panini che collezionavi come fossero santini e che ti facevano litigare a morte con tuo fratello nell’attaccarle sull’album. Dannati social network che fanno affiorare alla mente i bei passatempi di una volta che avevi lasciato in chissà quale angolo della mente. Prima pensi alla nostalgia canaglia, poi allo stress ma alla fine la cosa è che non hai ancora smesso di ragionare in termini di “celòcelò-manca”. Non ci credi? Pensa quando vai a far la spesa oppure, sempre per tornare sui social network, pubblichi o vai alla ricerca nelle pagine dei tuoi amici di foto in cui taggare o taggarti. Ecco, ArsMeteo.org funziona all’incirca così. Nato da un’idea di Giorgio Vaccarino (artista multimediale torinese, già fautore di Netville) e sotto la direzione di Giorgio Portis, è un portale che permette di mettere a disposizione di tutti l’arte. Ogni artista accreditato pubblica sul sito le proprie opere inserite in una categoria (ad esempio: fotografia) attraverso un tag. Da quel momento, tu fruitore, potrai creare un percorso fatto di opere di diversi autori o categorie secondo il filone a te più consono. Un po’ come quando attaccavi la figurina di un calciatore nella squadra di un altro, e vaglielo a spiegare che per te il Catanzaro doveva avere Gullit nella rosa. Puoi aiutarti con quelli già fatti in modo da sfruttare al meglio le potenzialità del sito che si presenta come un’opera collettiva che conta già 222 artisti e 6.346 opere suddivise in 30 generi. Inoltre gli artisti possono comunicare attraverso una chat o un forum, inserire commenti alle opere o segnalare i proprio preferiti. Insomma, un portale che funziona e vuole crescere. ArsMeteo è uno di quei progetti web in continua evoluzione le cui intuizioni hanno ispirato un progetto di ricerca a livello europero, avviato nel 2006 in collaborazione con il consorzio europeo Zeitgeist Project (Leibniz University Hannover, NCSR Demokritos Atene, Università degli Studi di Torino, Technische Univesitat Darmstadt, Easybit Torino). Che tu ci creda o no, sarà uno di quei portali che ti salverà nei tuoi lunghi pellegrinaggi di ricerca di immagini. E molto probabilmente finirai per esserne davvero ispirato. Non male vero? Usare la paghetta per le figurine e non per i petardi ha portato i suoi frutti.


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DRUG DESIGN

Drug design

di Claudio Ramonda

Quando il designer è uno spacciatore di forme. Quello del prodotto promozionale è, per molti versi, un campo estremo di (non) operatività: l’ideazione di articoli per un pubblico così ampio e la necessità di produrre un’enorme quantità di proposte differenti in tempi ridottissimi tende a comprimere l’iter progettuale in una forma più povera e meno efficace. La peculiarità più importante dell’oggetto promozionale è il fattore emozionale, tutto il resto può essere trascurato fino all’esasperazione che sfocia nell’assenza di funzionalità.


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DRUG DESIGN

L’approccio al design del prodotto promozionale inizia, per il sottoscritto, circa due anni fa. Quello del prodotto promozionale è, per molti versi, un campo estremo di (non) operatività: l’ideazione di articoli per un pubblico così ampio e la necessità di produrre una enorme quantità di proposte differenti in tempi ridottissimi tende a comprimere l’iter progettuale in una forma, a mio avviso, più povera e meno efficace. La peculiarità più importante dell’oggetto promozionale è il fattore emozionale, tutto il resto può essere trascurato fino all’esasperazione che sfocia nell’assenza di funzionalità. Progettare significa in primis il rispetto delle delle funzioni, delle regole ergonomiche (tutto ciò che ne permetta un ottimo trasporto, utilizzo e manutenzione), delle implicazioni tecnologiche e anche di quelle ecologiche (ovvero una produzione ed una dismissione a basso impatto ambientale). Non andrebbe trascurata, infine, un’estetica gradevole o d’impatto. A queste specifiche si aggiungono le due mission di fondo del designer, ovvero il miglioramento del profitto aziendale e il miglioramento della qualità della vita in generale (la creazione di elementi utili, efficaci, di lunga durata). Nel campo del design del prodotto promozionale la progettazione degli oggetti avviene invece in tempi brevissimi e le condizione primaria è, a scapito della funzionalità, il massimo abbattimento dei costi. Questo avviene maggiormente per i prodotti destinati alle operazioni di self liquidating, meccanismo classico della grande distribuzione organizzata, che consiste in una corresponsione di un premio a fronte di un impegno richiesto in termini di spesa e dietro versamento di un contributo in denaro.

Questo tipo di promozione ha la caratteristica di essere abbastanza “low pressure”, nel senso che non spinge così fortemente sull’utente, come fa invece ad esempio un premio immediato. D’altra parte, riuscendo a costruire un’offerta di oggettistica ad alto appeal l’operazione puo’ funzionare molto bene e portare belle soddisfazioni all’azienda. Di certo, pero’, se il premio offerto non si presenta bene o non e’ comunque molto desiderabile, e’ probabile che l’utente abbia forte resistenze a comprare, accumulare punti e per giunta mollarvi del contante. Perché il premio sia “appealing” è opportuno quindi che il valore percepito del bene sia piu’ alto del prezzo da sborsare. Ecco quindi che al designer non viene richiesto di progettare un oggetto necessariamente funzionale, ma di esaltare fino all’esasperazione la sfera comunicativa del prodotto stesso. La partita progettuale si gioca sugli aspetti immateriali del prodotto, che hanno il compito di far scattare comunque l’impulso di possesso da parte dell’acquirente. Per rendere stupefacente un prodotto funzionalmente non appetibile, si definisce uno scenario onirico che innalza il valore semantico del prodotto. Qui sta la grande differenza con una buona progettazione: non si parte da requisiti e prestazioni, ma si parte dallo studio del mercato, dalle tendenze dei consumi e dai loro stereotipi, dalla deriva modaiola. Così il mercato viene sommerso da prodotti progettualmente poverissimi, il cui unico plus è un banale richiamo ai prodotti principe del mercato, quelli delle griffe più gettonate. A volte l’esasperazione di questa (non) ricerca porta alla realizzazione di oggetti che rasentano la copia e fanno cadere le aziende in cause legali che durano anni. Questa modalità “droga” il mercato con un infinità di prodotti,

“Un’infinità di prodotti costituiti su due soli perni progettuali: la forma-comunicazione e l’irrisorio costo di produzione”


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“La vittima inconsapevole è sempre il cliente”

appartenenti a diverse aree d’utilizzo, costituiti su due soli perni progettuali: la forma-comunicazione e l’irrisorio costo di produzione. Ma qual’è il giro di affari di questo tipo di merci? È di questi mesi la notizia che un’altra insegna della grande distribuzione italiana ha distribuito porcellane per un valore di 20 milioni di euro, tramite la minicollection invernale: una cifra non lontana dal fatturato totale italiano dell’azienda tedesca produttrice degli oggetti stessi. Insomma, un’immensità di oggetti se si considera che, secondo uno studio dell’Osservatorio Loyalty Cards dell’università di Parma condotto sulla grande distribuzione, il mercato italiano delle promozioni al consumo vale tra i 2.500 e 2.800 milioni di euro, ogni anno vengono emesse 30 milioni di carte fedeltà e l’80% delle famiglie italiane utilizza 3 o più tessere. Naturalmente, vittima inconsapevole è il cliente finale, ormai soggiogato agli acceleratori di vendita che hanno condizionato i modelli d’acquisto, soprattutto nella grande distribuzione organizzata. L’aumento della concorrenza fra le diverse insegne di grande distribuzione ha incrementato l’utilizzo dei metodi di fidelizzazione e, di conseguenza, un aumento considerevole delle proposte promozionali. La vastità delle promozioni ha generato una corsa al ribasso dei prezzi. La realizzazione di prodotti civetta a bassissimo costo comporta una delocalizzazione della produzione in paesi dove sia possibile risparmiare sulla manodopera e sulle materie prime. Il lavoro sporco del designer non si limita però al semplice confezionamento semantico della comunicazione del prodotto. Capita, non di rado, che il progettista sia invitato ad intervenire con accorgimenti estetici che camuffano il prodotto sino a renderlo apparentemente di qualità. Qualche esempio? Il pentolame viene valutato in base allo spessore dell’acciaio che compone il fondo; maggiore spessore garantisce una maggiore o minore resistenza all’usura e una diffusione più o meno omogenea del calore.

Un designer per risparmiare sul materiale può creare dei risvolti che fanno apparire lo spessore molto più grande di quello che effettivamente è, traendo in inganno chi compra. Un altro valido esempio è l’utilizzo dello stone al posto della porcellana nel vasellame. Lo stone è un materiale molto più grezzo e povero della porcellana che opportunamente smaltato può tranquillamente sostituirsi alla porcellana stessa e apparire all’occhio di un utilizzatore inesperto come un materiale pregiato. Ecco quindi come per ogni oggetto e per ogni tipologia di materiale vi sia sul mercato una realtà parallela che opportunamente “drogata” può essere rivenduta come un’ottima alternativa a quella reale dei prodotti progettati e realizzati seguendo delle ferree linee guida qualitative. Naturalmente non tutti gli oggetti presenti nell’ambito promozionale sono poveri e privi di utilità; capita, ad esempio, che grandi marche di articoli per la casa, di elettronica utilizzino il canale promozionale per far conoscere il proprio marchio e diffonderlo il più possibile sul territorio nazionale grazie alla distribuzione capillare delle campagne promozionali. Si ha così una forte contrapposizione tra elementi progettati con consapevolezza seguendo l’ideale di un ottimo connubio tra funzionalità ed estetica ed elementi che si affidano puramente alla proprio essere comunicativo. L’esasperazione della proposta sta, comunque, iniziando ad intossicare il mercato a tal punto che gli stessi utenti finali iniziano a diventare refrattari di fronte a questo tipo di promozione e la ricerca dei promoter si sta orientando verso la smaterializzazione dei regali in offerte speciali, sconti, ricariche o incentivi economici. Con questo mutamento anche la figura del designer verrà chiamata a plasmarsi alle nuove regole del mercato trasformandosi da designer di prodotto a designer di servizio mantenendo, però, la medesima guideline di progetto: “dare un sogno a chi un sogno non ce l’ha”.


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4x2008 = 100%design di Annalisa Russo

CNA Torino in collaborazione con ALTREMENTI ha promosso 4 premi di design per Torino 2008 World Design Capital.


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Spenti i riflettori sull’anno del Design, al di là di quelle che possono essere derive ed eredità di un periodo così intenso di eventi e iniziative, esta oggi una considerazione che deve diventare la base per riflettere sul ruolo assunto dal design in questi anni. Grazie a Torino World Design Capital il territorio torinese (e non solo) ha potuto prendere coscienza della pervasività del “fenomeno design” che va oggi a coinvolgere una molteplicità di imprese e professionalità, diventando una vera e propria leva strategica per lo sviluppo economico e permettendo alle piccole – medie aziende di differenziare e valorizzare i propri prodotti, dando, in ultima analisi, un nuovo significato al Made in Italy. Fondamentale, in questo processo, risulta essere il rapporto tra designer e impresa, che deve saper ottimizzare il progetto rispetto alle capacità produttive e organizzative dell’azienda. Partendo da questi presupposti, ALTREMENTI e CNA Torino hanno voluto avvalersi di 2008 Torino World Design Capital per promuovere quattro premi di design il cui principale scopo fosse mettere i progettisti nella condizione di confrontarsi direttamente con le aziende, avendo come obiettivo comune la realizzazione di un oggetto di design. Un obiettivo concreto, quindi, che intende soddisfare una duplice esigenza: da un lato aiutare i giovani designer ad emergere, calandoli fin da subito nella realtà produttiva; dall’altro far comprendere alle PMI il valore aggiunto che il design può conferire ai loro prodotti. Ruolo fondamentale è stato poi svolto dalla CNA Torino, che ha promosso l’iniziativa a tutte le aziende iscritte all’associazione per la realizzazione dei progetti dei designer. ALTREMENTI e CNA hanno promosso in tutto 4 Premi: CHOCOLATE&DESIGN, WOOD&DESIGN, ACCESSORI&DESIGN e VENARIA DESIGN REALE. Seppure riguardanti ambiti di applicazione molto diversi tra loro, i quattro premi hanno una caratteristica comune: sono stati tutti pensati

non come semplici concorsi di idee, ma con l’obiettivo di mettere in relazione designer e imprese. Non solo: molto risalto, in questi concorsi, è stato dato al territorio, inteso come contenitore di eccellenze che devono essere valorizzate. Il cioccolato, ad esempio, è sicuramente uno dei must del Piemonte; il design non fa che esaltare una risorsa già esistente, arricchendola di nuovi significati e potenzialità. Allo stesso modo la Città e la Reggia di Venaria Reale rappresentano un patrimonio unico, che solo da poco tempo si sta aprendo ad una visibilità internazionale: anche in questo caso il design accompagna la valorizzazione dei beni. Dei quattro concorsi, i primi tre hanno portato alla realizzazione di un prototipo (rispettivamente di un cioccolatino, di un complemento in legno e di un accessorio per la persona), ponendo le basi per una eventuale futura collaborazione con l’azienda; collaborazione che in diversi casi ha avuto luogo, non soltanto nell’ambito del progetto partecipante al concorso: designer e azienda hanno in seguito collaborato alla realizzazione di nuovi progetti, portando avanti una partnership evidentemente proficua per entrambi, a testimoniare la positiva sinergia tra design e impresa. L’alta partecipazione dei designer e l’interesse delle aziende testimoniano come la presenza di concorsi e premi sia un ottimo mezzo di promozione della cultura del design, nell’intento finale di innescare un circolo virtuoso dove creativi e impresa si interfaccino spontaneamente per la creazione di nuovi progetti. Per ALTREMENTI, CNA Torino e per i designer che hanno partecipato alle nostre iniziative l’esperienza di Torino World Design Capital si può forse riassumere in tre parole chiave: design, impresa, territorio: tre elementi che mischiati tra loro creano sviluppo economico e valorizzazione territoriale; ed è questa forse l’eredità più importante, da non dimenticare, dell’esperienza di Torino World Design Capital.

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Wood & design Quando il puzzle diventa libreria.

Oggetto del premio è la realizzazione di un complemento di arredo in legno, preferibilmente basandosi su essenze della forestazione piemontese.

Ai designer la libertà di scegliere tra i seguenti prodotti: Seduta, tavolo da salotto o da pranzo, oggettistica (porta cd, porta riviste, cofanetti, etc.), cornici per quadro in legno trattato. Tra i 400 progetti pervenuti si segnalano quelli di: Marco Prez, Antonino Sinacori, Caterina Tiazzoldi, Luca Sarri, Aldo Foti, Sabrina Rostagno e Giuliana Muzio, Chiara Scaldaferri, Domenico Cimino, Cinzia Cesarini, Angela Pecco e Marta Pecco. La giuria si è basata nella scelta del progetto vincitore sull’originalità del progetto, che rappresenta una concezione innovativa di libreria. 1°classificato: Marco Prez con “Libreria Puzzle” 2°classificato: Antonino Sinacori con “Porta CD TREX3”.


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LIBRERIA PUZZLE di marco prez La libreria modello “PUZZLE” riprende nuovamente le caratteristiche proprie dello “stile Bauhaus”. Diverse scatole di forma cubica assemblate tra loro mediante incastro, creano la libreria. L’idea innovativa di questo progetto è la possibilità di personalizzazione della libreria. Ognuno può personalizzare la libreria a proprio piacimento puntando su più aspetti: dalla forma che si può ottenere assemblando le “scatole” a proprio piacimento, dall’ampliamento o dalla riduzione della propria libreria, dalla tonalità di colori che si possono scegliere ( dal colore naturale del legno utilizzato, a un’alternanza di colori variopinti ). Questa personalizzazione da alla persona uno stimolo alla propria creatività, oltre che a una sensazione di soddisfazione personale. La libreria può essere collocata in uno spazio soggiorno, in uno spazio di transito( corridoio ), ma anche nella zona notte o in uno studio. Dato che la libreria può essere personalizzata anche a seconda del tipo di essenza che si può utilizzare, non c’è una vera e propria essenza prestabilita. Il solo materiale che rimane standardizzato è il pannello di compensato avente spessore di 4 mm che viene utilizzato come fondo della libreria e viene fissato alla “scatola” tramite fresatura. Le scatole hanno una misura di ingombro di 336x336x260 mm (larghezza, lunghezza, profondità) e vengono assemblate fra di loro mediante un innesto a “coda di rondine”. Per posizionare la libreria al muro vengono utilizzati degli appoggi fissati al muro tramite viti e innestati alle scatole mediante incastro a “coda di rondine”. Le scatole sono formate da quattro elementi e sono unite fra loro tramite incastro.


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PORTA CD TREX3 di antonino sinacori L’estrema cura nella progettazione delle proporzioni architettoniche che ne ha generato l’idea contrasta con l’evidente semplicità funzionale di questo oggetto destinato ad essere certo protagonista in qualsiasi ambiente. Elementare nella sua struttura, grazie anche alla sua natura modulare, si distingue per l’essenzialità della sua concezione formale esprimendo la massima semplicità compositiva. Altra evidenza di questo elemento è la cura dei particolari costruttivi e delle finiture; come le maniglie a incasso ricavate per fresature direttamente nello spessore dell’anta che assolvono la loro funzione con raffinata eleganza, senza formalismi inutili e senza fastidiosi ingombri sporgenti. Porta cd con quattro ante diverse tra loro.Due ante laterali a battente e due a ribalta.Cerniere cromate studiate appositamente per permettere l’apertura delle ante con tali inclinazioni.I due mobili sono realizzati in castagno. Il mobile composto da tre moduli è collegato da una struttura in acciaio inox che permette ai singoli di ruotare su se stessi. Finiture: -Laccato opaco colori -Laccato lucido colori -completamente personalizzabile



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Accessori & design Una nuova idea di “Aura”.

Si richiede un accessorio per la persona, indossabile. Gioielli, spille, orecchini, accessori vari con un ingombro massimo di 10 centimetri.

I designer hanno lavorato sui seguenti materiali: ottone, alpacca, legno, resina, pietra, tessuto, cuoio, vetro, pietre sintetiche. Tra gli oltre 190 progetti selezionati sono stati prototipati 12 progetti, appartenenti a: Alice Carlotta Ocleppo, Laura D’Aprile e Francesca Macrì, Federica Fulici, Alessandro Di Ciancia, Elettra Ferrigno, Giusi Mercadante- Profilo Design, Daniele Poli, Ionescu Sergiu, Patrizia Lotto, Manola Cerquetti, Alberto Saggia e Maria Cristina Bellucci. Tra questi, la giuria ha scelto i seguenti vincitori: 1°classificato: Alice Carlotta Ocleppo con “Aura” 2°classificato: Laura D’Aprile e Francesca MacrÏ con “Bearing”. Il progetto vincitore, costituito da un accessorio circolare applicabile sui capi d’abbigliamento, è stato selezionato per il suo grado di innovazione e versatilità di utilizzo.


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AURA - SPILLA PER BOTTONI di alice carlotta ocleppo Aura è un accessorio per la persona, indossabile tramite bottoni. È una spilla che non utilizza l’ardiglione, ma semplicemente si regge inserendosi su qualsiasi tipologia di bottone presente su gli indumenti. È realizzata con materiali metallici, facilmente lavorabili tramite taglio laser o fotoincisione, può essere realizzata anche in leghe preziose come oro od argento. La finitura è importante per evitare che il materiale risulti tagliente visto lo spessore minimo. È progettata in due diverse dimensioni a seconda del diametro del bottone su cui viene applicata. Può essere realizzata anche con decorazioni sulla superficie. Un oggetto semplice e contemporaneo.


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BEARING di Laura D’Aprile e Francesca MacrÌ È un dispositivo meccanico da indossare, utilizzato per ridurre l’attrito tra due anime in movimento rotatorio o lineare tra loro. È costituito da due anelli di diverso diametro tra i quali sono incastonati pietre o brillanti, ai quali è affidata la funzione di scorrimento, analogamente ai cuscinetti a sfera. Questi possono essere sferici (Bearing a sfere) o cilindrici (Bearing a rulli) e sono mantenuti equidistanti tra loro mediante una struttura chiamata gabbia, in acciaio, ceramica o materiale plastico. La struttura sulle quali si collocano risulta molto versatile, potendo essere prodotta in acciaio, in oro bianco, in argentone o in plastica in modo da posizionarsi su diversi segmenti del mercato. Aspetto centrale di Bearing è la sua capacità di essere mutevole, rimanendo pur sempre un anello, può essere indossato come un unico anello, come due anelli separati o come fedi. Bearing è il simbolo di una storia in movimento che trova radici nelle nostre valli e che documenta il lavoro e la fatica dell’uomo, ma nel contempo la capacità di migliorare e perfezionare gli strumenti esistenti. L’applicazione dei cuscinetti nei motori elettrici, nelle boccole ferroviarie, nei motori e mozzi d’automobile, dimostrano come l’invenzione di semplici cuscinetti abbia cambiato la storia della meccanica e delle macchine.



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Chocolate & design La città di cioccolato.

Realizzare un progetto di food design partendo ovviamente dal materiale cioccolato (bianco classico, fondente, al latte, gianduia) per poi eventualmente abbinare altri ingredienti (zucchero cristallino,nocciola, noce, miele, mandorla, peperoncino, caffè, menta, pistacchio, pinolo…) e liquori.

Tra gli oltre 200 progetti pervenuti, ne sono stati scelti 12 di cui è stato realizzato il prototipo. I designer selezionati sono Nicola Onisto, Vitalino Primomo, Alice Russo, Daniele e Federico Bassano, Gabriele Diamanti, Carlo Olivieri, Lorena Federica Boetto, Michele Morbidoni, Marzia Bucchetti, Ilaria Ortolani, Matteo Pini, Andrea Chinellato e Isabella Missiaia. Tra questi sono stati successivamente eletti i vincitori: 1°classificato: Nicola Onisto con “Piemontino”. 2°classificato: Vitalino Primomo con “Tricorno”. Il cioccolatino Piemontino si caratterizza per una forma che richiama i bastioni della cittadella, evocando quindi e reinterpretando un pezzo di storia della città di Torino.


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Piemontino di Nicola Onisto Per il progetto di questo cioccolatino, mi sono ispirato alla cittadella di Torino, realizzata da Francesco Paciotto nel 1564, simbolo della resistenza del ducato di Savoia e della città di Torino. Ho scelto questa forma perché, riflettendo sulla nomina di Torino come Capitale mondiale del design, ho pensato che necessitasse di un simbolo che le appartenesse, che la rappresentasse, e che esportasse la sua anima in ogni parte del mondo, e la cittadella è il simbolo più adatto a questo scopo, poiché ha una forma molto caratteristica, legata alla città stessa, che permette di ideare un cioccolatino dal design molto accattivante e di facile produzione industriale. Il cioccolatino è formato da uno strato di cioccolato fondente che ricopre la parte esterna, l’interno è ripieno di cioccolato gianduia ad eccezione della parte centrale, che è ripiena di cioccolato bianco riprendente la forma delle mura interne della cittadella.


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IL GIANDUJA di Vitalino Primomo La maschera piemontese, Gianduja, nasce nel 1808 a Callianetto vicino ad Asti, dalla creatività di Giambattista Sales, torinese, e di Gioacchino Bellone di Racconigi, due burattinai. Il vero nome di Gianduja era Girolamo della Grigna e come tale aveva acquistato grande notorietà ad Asti ma soprattutto a Torino, per il suo vivace estro e il suo arguto ingegno, coglieva il lato comico delle cose e delle persone e quindi finì per dare noia allle autorità, le quali temevache che le facezie legate al suo nome potessero arrecare qualche pregiudizio a quello di Girolamo Bonaparte, fratello di Napoleone e incoronato rè di Vestfalia. Per questa ragione egli fu invitato ad assumere un altro nome, ma Girolamo della Grigna non era certamente un individuo a corto di risorse e non gli riuscì quindi difficile assumere il nominativo di Gioàndoja (cioè Gioan d’la doja), derivato dal recipiente che portava fedelmente con sè, pieno di vino, e che in dialetto è chiamato doja. Il nome Gianduja e la sua storia hanno un valore simbolico. La maschera riassume in sè il carattere del popolo piemontese, alquanto conservatore (bogianèn), ma di ottimo umore, furbo e fine sotto l’apparenza di ingenuità e ruvidezza, allegro ma fedele al dovere ed alla parola data. Gianduja sotto il cappello tricorno, ha un viso rubicondo con la parrucca col codino all’insù, vestito con giubbetto marrone orlato di rosso, panciotto giallo, calzoni verdi e corti fino al ginocchio, calze rosse e scarpe basse con la fibbia d’ottone. Dopo l’Unità d’Italia, con la conseguente perdita della capitale di Torino, Gianduja diventa l’emblema dei risorti carnevali torinesi, la sua immagine si lega allora a quella del vino e delle varie galuperie dolciarie, dando il suo nome nel 1865 al cioccolato Gianduja, oggi conosciuto e apprezzato in tutto il mondo.



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Venaria: design Reale Il gadget che racchiude la città.

Obiettivo del concorso è stata la realizzazione di un gadget, che tenga conto della storia e della cultura della città. Il Premio VENARIA DESIGN REALE è nato sull’onda dell’inaugurazione della Reggia di Venaria Reale: la fama della Reggia si propaga oramai all’intero comune di Venaria, accompagnandone la riqualificazione urbanistica e ambientale. In vista della progressiva centralità turistica che sta assumendo Venaria Reale, la Città ha bisogno di dotarsi di un simbolo che la rappresenti nelle occasioni ufficiali, ma che possa anche trasformarsi in un gadget che il turista porti via con sé dopo la visita. Obiettivo del concorso è stata la realizzazione di tale simbolo, che, pur essendo a tema libero, dovesse tenere conto della storia e della cultura della città. ai progettisti veniva inoltre richiesta un’ipotesi di fattibilità economica. Non è stata data una tipologia di oggetti prefissata, anzi, il designer è stato totalmente libero nel decidere tipo, forma, materiali, dimensioni ed eventuali funzioni del gadget stesso. Al bando hanno potuto partecipare professionisti e studenti, che hanno però concorso separatamente in due categorie distinte. Ad aggiudicarsi il primo premio è stato Matteo Peter Bonafede con il progetto “Tanti è meglio”. Il gadget è stato scelto per la sua capacità di evocare la Città e soddisfa i criteri di economicità richiesti dal bando. Il progetto vincitore è stato scelto da una giuria di qualità presieduta da Enrica Acuto Jacobacci (Agenzia Eclettica-Akura) e composta da Ruben Abbattista (Presidente ADI- DelegazionePiemonte e Valle d’Aosta), Rosa Perrone (Assessore alle Attività Produttive della Città di Venaria Reale) e Vitaliano Alessio Stefanoni (Responsabile della Comunicazione per la CNA di Torino). I progetti sono stati selezionati secondo i criteri di innovatività, economicità/riproduciblità e rappresentatività della Città di Venaria Reale. I progetti vincitori per ciascuna categoria sono stati esposti presso il Teatro della Concordia di Venaria Reale.

Si riportano di seguito gli altri vincitori della categoria Professionisti, Studenti e i progetti menzionati. CATEGORIA PROFESSIONISTI 2°classificato: CAPITANO&GHIGNONE - anonimaprogetti con “BonnesNouvelles” 3°classificato: Valentina Imberti con “VtRend - bijoux a corte” 4°classificato: Carlo Zummo con “Dalialà -Misuriamo Venaria” CATEGORIA Studenti 1°classificato: Andrea Vecera con”DivertiRe” Sono stati inoltre menzionati i designers: CATEGORIA PROFESSIONISTI D+design studio(Luca Pegolo) con “Brindiamo alla Cultura” Studio Boca (Marco Bozzola, Raffaella Cardia, Raffaella Mossetto) con “Invito alla Venaria” Giulia Marchetti San Martino, Elena Taretto e Giacomo Sanna con “Luce della Venaria”. CATEGORIA STUDENTI: Federica Belmondo e Giuseppe Casto con “Fioreale”


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4x2008 = 100%DESIGN

DIVERTIRE di Andrea Vecera “DIVERTIRE” vuole essere un gioco/souvenir di Venaria Reale che abbia le caratteristiche di un prodotto artigianale, realizzato a mano con la cura che solo un artigiano può avere rispetto ai propri prodotti. Un gioco di legno come quelli di una volta, adatto ai bambini ma anche un passatempo per gli adulti. Si è voluto immaginare questo gioco in mano agli antichi Reali, che si divertivano a comporre le meraviglie della propria residenza di svago, anche se in questo caso, sono state aggiunte delle icone (Penone) che rappresentano la contemporaneità del luogo. Il gioco semplicissimo è teoricamente quello del puzzle, ogni cubetto ha rappresentato su ognuna delle 6 facce una parte della figura che unita alle altre 8 la completa totalmente. Capovolgendo in senso orario uno ad uno i cubetti si ottiene una nuova figura, e così via. Vi è la possibilità di utilizzare un ipotetico imballo/scatola come cornice per poter appendere su parete le composizioni. Le 6 icone scelte sono: lo stemma della Città di Venaria, il logo della Reggia, i motivi dei Giardini Reali, le sculture di Penone (simboleggiano il volto contemporaneo del luogo), la pianta del Borgo Antico e il logo del Parco La Mandria. Il materiale impiegato è il legno massello, tagliato, lavorato e rifinito a mano. Gli angoli smussati permettono di non essere un gioco pericoloso per i bambini. Le icone sono al tratto, ottenute mediante una serigrafia.


4x2008 = 100%DESIGN ALTREMENTI N.4

BONNES NOUVELLES di CAPITANO&GHIGNONE Uno degli elementi più rappresentativi e affascinanti della storia di Venaria Reale è racchiuso nello stemma della Città stessa: il Gran Collare dell’Annunziata. Le cronache raccontano che ne venne forgiato un unico esemplare, appositamente per il Re; mentre per i suoi fedelissimi venne realizzato un collare simile, ma con fattezze più semplici e dimensioni ridotte: il Piccolo Collare dell’Annunziata. Ne vennero realizzati in tutto 20 esemplari; gli insigniti erano esentati dal pagamento di tasse e imposte, venivano definiti “Cugini del Re” (al quale potevano dare del “tu”), avevano titolo di “Eccellenza” e il diritto agli onori militari. Alla luce di queste considerazioni il progetto presentato intende essere un omaggio al Piccolo Collare dell’Annunziata, concepito in questo contesto come una reinterpretazione dell’antico collare in chiave moderna e funzionale. Come il Piccolo Collare era appannaggio dei Cavalieri del Re, così il ciondolo Bonnes Nouvelles è dedicato ai visitatori della Reggia e a tutti coloro che vogliono portare con sé un frammento della storia di Venaria. Ma Bonnes Nouvelles non è solo un ciondolo (o collare): è anche una penna USB, che contiene al suo interno immagini, video, testi e podcast della Venaria Reale. L’antica reliquia prende vita, diventando un accessorio che racchiude in sé storia e tecnologia; o meglio, un oggetto storico che diventa contenitore di storia. Così inteso, Bonnes Nouvelles si pone come uno strumento didattico utile non solo per accompagnare le ricerche delle scolaresche che vengono sempre più numerose a visitare la Reggia, ma anche per i turisti che potranno portare a casa un ricordo reale (il ciondolo) e virtuale (l’archivio di informazioni contenuto nella penna) che potrà essere arricchito dalle fotografie scattate da ognuno, coniugando memoria collettiva e personale. Il gadget consiste in due semi gusci rotanti su se stessi realizzati in metacrilato colorato semitrasparente al cui interno è collocata una penna USB da un 1 Gb di memoria. La lavorazione, effettuata ad iniezione, riprende, in modo stilizzato, le forme del Piccolo Collare dell’Annunziata mentre sul dorso del guscio frontale è prevista la serigrafia del Collare stesso.

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TANTI E MEGLIO di MATTEO PETER BONAFEDE Il progetto “Tanti è meglio” nasce da un attento studio orientato all’individuazione delle specificità storico – architettonica della Città di Venaria Reale, con particolare riferimento alla sua funzionalità urbanistica e sociale. Nell’ideazione / progettazione del gadget si è voluto rispondere, a un tempo, al bisogno di conservazione del ricordo (esperienza di visita della Città) e all’esigenza di contestualizzazione simbolica dell’oggetto (utilizzo della quotidianità in riferimento al significato). La ricerca ha fatto emergere la peculiarità del posizionamento delle opere di interesse storico-artistico che appartengono integralmente alla struttura urbana nella quale prende corpo una continuità, ideale e reale, prodotta dalla piazza, dal corso di raccordo e dal corpo architettonico della Reggia, collocati sullo stesso asse portante. Tale continuità pare iscrivere la realtà storica (memoria) nel contesto sociale del ritrovo, del camminamento e della fruizione estetica che connotano la dimensione della relazionalità e della condivisione del ricordo comune (presente). Si è dunque proceduto all’identificazione di un modulo-base funzionale alla realizzazione di una pluralità di oggetti in grado di riproporre l’intera gamma delle valenze simbolico-culturali descritte. Il modulo è riproducibile sia come logo, sia come elemento chiave nella produzione di oggetti di diversa funzionalità, realizzabili in materiali diversi. La nostra scelta si è orientata nella realizzazione di gadget in argento in un’ottica di conservazione della “preziosità” del materiale e di contenimento dei costi,permesso dal basso contenuto tecnologico del processo di fusione e dalla lavorazione/finizione artigianale. E’ prevista l’esecuzione del prototipo con tecnologia laser e conseguente ricavo di un calco in gomma; il processo produttivo si basa sul sistema tradizionale di produzione a cera persa e rifinita manualmente.


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ALTREMENTI N.4

PROTODESIGN


PROTODESIGN ALTREMENTI N.4

Protodesign

Nuovi orizzonti del design allo stato embrionale.

Custombydog BaglĂ s The second chance of clothes

The new design bag

Useme

Immagini che diventano accessori

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PROTODESIGN CUSTOMBYDOG

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Custombydog

www.custombydog.com

The second chance of clothes

Una vita sola non basta, c’è sempre una seconda chance. Custombydog trasforma in artigianali capi prodotti in serie, attingendo dal serbatoio della moda pronta e scardinandone l’omogeneità. L’idea nasce da un’esigenza personale rivelatasi poi desiderio diffuso di molte persone: recuperare vestiti che stazionano nell’armadio e personalizzare il proprio guardaroba. La sua filosofia è produrre il nuovo da qualcosa che già esiste. Un’attività di questo genere corrisponde allo spirito del tempo perché riutilizza e recupera, realizzando un prodotto handmade partendo da un prodotto seriale. Il pezzo unico è il risultato della combinazione casuale e sensuale tra pezzi di uso comune. La sua ispirazione è una miscela di naturalismo, folk art, tendenze pop e forme di comunicazione spontanea. Ogni capo custombydog acquista una nuova identità, ha un nome e dichiara sull’etichetta la propria origine.


PROTODESIGN CUSTOMBYDOG ALTREMENTI N.4

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1 - Bulldog ‘600 collare da costume di scena + spilla 2 - April luckycharm dolcevita + decorazioni da tovaglia 3 - Flower’s gift maglia maniche lunghe + decorazioni da copritavolo 4 - Lucy the wild maglia + ritagli di stoffa + decorazioni di tovaglia 5 - Custombydog label

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PROTODESIGN BAGLAS

Baglàs

www.anonimaprogetti.it

The new design bag

La collezione di borse di design Baglàs si caratterizza per l’uso di forme primarie, essenzialmente il cerchio e il quadrato, che compongono borse dal design estremamente essenziale ma allo stesso tempo glamour. Elemento centrale, oltre al design che diventa segno grafico, è la contrapposizione tra un elemento rigido e incorporeo, il plexiglass, e la morbidezza delle pelli di alta qualità che costituiscono la borsa vera e propria: il plexiglass diventa la struttura portante invisibile, contribuendo a rafforzare la geometria delle borse che sono invece soffici al tatto. La Linea Baglàs si compone di 3 modelli principali (ONE, TWO e FOUR) che vengono declinati con pelli diversi per tipologia, colori e accostamenti.


PROTODESIGN BAGLAS ALTREMENTI N.4

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ALTREMENTI N.4

PROTODESIGN USEME

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Useme

Immagini che diventano accessori

www.useme2day.blogspot.com

Il collettivo USEME – in realtà un «duo» composto dalla portoghese Mafalda Moreiro e dall’italiana Viola Loffi Mottino – rilancia in maniera originale la funzionalità dell’oggetto di design. Non un oggetto qualunque, tuttavia, bensì l’oggetto-immagine, estrapolato da una vasta iconologia e rivisitato con un autonomo tocco ironico e femminile. Le immagini di USEME sono accessori, segni da indossare, ma non rinunciano ad un carattere estetico-artistico, che anzi il fruitore può valorizzare ed interpretare secondo le proprie scelte espressive. Se la prassi dell’immagine è l’oggetto di USEME, l’artigianato ne è la cornice produttiva, mentre la tattilità e la prensilità della mano ne sono lo strumento creativo. Tutti i prodotti di USEME sono fatti a mano, moltiplicati in serie con strumenti di laboratorio, e poi ricontrollati ad uno ad uno nel dettaglio ad occhio nudo, in modo che il ruolo del soggetto umano, vivo, sia riconfermato ad ogni livello della catena produttiva, dall’ideazione alla verifica finale. Il designer s’arricchisce così dell’approccio dell’artigiano, ed ottiene prodotti rifiniti, resistenti e duraturi, anche in virtù della scelta dei materiali e delle tecniche di lavorazione, come la plastificazione a caldo delle singole immagini.


PROTODESIGN USEME ALTREMENTI N.4

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1 - Bottoni / Tessuto cravatta 2 - Linea Graffiti / Anello / Stampa plastificata a caldo su forex 3 - Linea Fiori / Spilla / Stampa plastificata a caldo su mdf 4 - Linea Cielo / Orecchino / Stampa plastificata a caldo su forex 5 - Bottoni / Collana / Tessuto cravatta

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INDUSTRIAL//GRAPHIC//VIRTUAL//DESIGN MAGAZINE

ALTREMENTI #04, 2st half 2009 EDItor at large Daniele Alberti editorial director Dario Bovero art director Massimo Sirelli editorial staff Dario Bovero Daniela Pellicani

guest writers Claudio Ramonda, Annalisa Russo, Andrea Sartori, Gianluca Seta, Stefania Sirelli, Lia Tagliavini, Irene Tamagnone. PROGETTO GRAFICO Dimomedia Lab Creative Laboratory Via V. Andreis 18 int.16/s Cortile del Maglio 10152 Torino (TO) Tel: (+39) 011 3819032 - info@dimomedia.com - www.dimomedia.com GRAPHIC DESIGNERS Massimo Sirelli Tiziana Calabrese ADDITIONAL SUPPORT Anna Glede, Stefania Sirelli, Valentina Garlant, Alessia Luciani, Agnese Manera. Grazie a: Luca Giacosa, Stefano Mirti, Andrea Sartori, Emilia Dissette, Viola Loffi Mottino, Mafalda Moreiro, Marco Ruffino, Alice Re, Alessio Stefanoni, Stefano Busi, CNA Torino. Saluti: Norman Brain (R.I.P.), Custombydog, Useme, Yet|matilde, Capicoia Design, Dueto, Salottomangosio®, The Jumpin’ Quails, Nucleo Design, Sobrio Design, Design Gang, Ciro Gadaleta e Hub Service, Diego Fatone, Fill Studio, PuntoRec Studios, Knz clan, Silvia Barbero, il gruppo “Io sono un Creativo. Tu no.“ di Facebook.

*MADE IN TURIN* Printed by AGAT Torino Realizzato con il contributo per il fondo delle attività didattico culturali del Politecnico di Torino. ALTREMENTI #04, 2st half 2009

Tutti i diritti riservati: nessuna parte di questa rivista può essere ripodotta in alcuna forma, tramite stampa fotocopia o qualsiasi altro mezzo, senza autorizzazione scritta dei produttori.

Registrazione N.5929 del 23/1/2006, Trib. ord. di Torino Scriveteci: red.altrementi@gmail.com www.fucina-altrementi.it


issue n.4 I N DU S TR I A L / / G R A P H I C / / V I RTU A L / / DE S I G N M A G A Z I N E

www.fucina-altrementi.it

ALTREMENTI N.4 2st half 2009


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