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Ivano Mortaruolo

Il Passero in una pittura del Secolo XVII

Considerazioni introduttive e presentazione di un’opera di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666)

di IVANOMORTARUOLO, foto AUTORIVARI

Il rapporto che lega l’uomo ai passeri non sempre è stato sereno: sia perché questi volatili erano considerati razziatori di sementi e raccolti sia perché, nell’immaginario collettivo, erano anche depositari di altre caratteristiche negative. Per averne un’idea propongo le aspre parole di Alberto Bacchi della Lega che, nell’opera Caccie e costumi degli uccelli silvani(1902), così scriveva: “… La passera reale sarà sempre uno dei parassiti più formidabili che la Natura ci abbia posto intorno… Del resto ghiotta, pettegola, rissosa, lasciva, feroce, dall’alba alla sera non vive e non lascia vivere...” Peculiare appare, altresì, l’affermazione del dottor Luigi Bossi nel suo Trattato delle malattie degli uccelli e dei diversi modi di curarle (1822): “I passeri hanno una vita assai breve, il che si attribuisce, non meno che nei piccioni, alla loro lascivia” (1). È ovvio che tale affermazione costituisce la mera espressione di un pregiudizio diffuso che, alla luce delle attuali conoscenze, risulta privo di qualsiasi fondamento scientifico. Sta di fatto che, in tempi ancor più remoti, questi uccelli simboleggiavano il libertinaggio, l’intemperanza, l’incostanza e, per la loro capacita di distruggere i raccolti, anche il Maligno. Va però evidenziato che, a tale vasto repertorio di deciso segno negativo, si contrapponevano alcuni aspetti meno severi della

G. F. Barbieri detto il Guercino (1591 -1666): “La Madonna del passero”. Olio su tela (cm 78,5 x 58) realizzato nel 1615-1616. Pinacoteca Nazionale di Bologna. Fonte iconografica: Mahon, 1991

Gesù Bambino, particolare della “Madonna del passero”.Il Guercino evidenzia magistralmente le rotondità corporee tipiche dei bambini

tradizione esegetica cristiana che, naturalmente, offrivano spunti di riflessione di ordine morale e religioso. Per un agevole e immediato orientamento su quest’ultima realtà, la mia scelta è caduta sul bestiario medioevale intitolatoAviarium, scritto da Ugo di Fouilloy, il quale con molta probabilità visse a cavallo fra il XI e il XII secolo e fu, in tempi diversi, priore di due monasteri. Contrariamente agli altri bestiari, quest’opera prende in esame solo le specie ornitiche. Ampio spazio viene dedicato alle simbologie attribuite agli animali stessi, dalle quali si traggono gli insegnamenti cui debbono attenersi i bravi Cristiani e, segnatamente, tutti gli esponenti del mondo ecclesiastico. Per la realizzazione dell’Aviarium, l’autore ha attinto a eterogenee fonti quali la Bibbia, opere della tradizione esegetica, precedenti bestiari (Fisiologo latino, Etimologiedi Isidoro), trattati naturalistici (Plinio e Eliano), ecc. Ma un ulteriore elemento di originalità è costituito dal fatto che, degli oltre trenta bestiari medioevali consultati, solo questo tratta del passero. I vari capitoli dedicati al pennuto costituiscono l’esegesi di alcuni Salmi, dei quali in breve sintesi propongo solo il cap. XXXV, intitolato “Il laccio del Passero”. Il Salmo preso in esame è il 123,7: “La nostra anima è stata liberata come un passero (2) dal laccio dei cacciatori. Il laccio si è spezzato e noi siamo scampati”. Ugo di Fouilloy spiega che “l’anima presenta una somiglianza con il passero... il laccio dei cacciatori sono le ingannevoli parole dei demoni... Il laccio trattiene il passero che è stato catturato quando il diavolo è in possesso della mente... Ma il laccio viene infranto e il passero liberato se, allontanati i desideri carnali, l’anima si converte a Dio”. Detto altrimenti, questa analisi mistico-teologica tende a evidenziare che il laccio del peccato si può tagliare solo grazie al rispetto degli insegnamenti e dei precetti cristiani. Questa breve rappresentazione tornerà utile per cercare di comprendere alcuni aspetti dell’opera che sto per presentare: vale a dire “La Madonna del passero”, un olio su tela (cm 78,5 x 58) realizzato tra gli anni 1615-1616 e attualmente acquisito dalla Pinacoteca Nazionale di Bologna per disposizione testamentaria di sir Denis Mahon (è lo scopritore e, dal 1946, il proprietario del dipinto). L’autore è Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino (a causa di un accentuato strabismo), nato a Cento (FE) nel 1591 e morto a Bologna nel 1666. Dimostrò precocemente le proprie attitudini artistiche: a otto anni dipinse su una parete esterna della sua casa la Madonna della Ghiara (patrona di Reggio Emilia) e, alla morte di Benedetto Gennari seniore (1563-1610), a soli diciannove anni divenne il leader indiscusso della bottega nella quale era un collaboratore e socio. A buon diritto è considerato uno dei maggiori esponenti del Barocco italiano e fra i più significativi pittori del Seicento. Non a caso, il Barbieri ricevette l’invito a trasferirsi presso le corti sia di Carlo I (Inghilterra) sia di Luigi XIII (Francia), ma declinò tali allettanti offerte. Mentre fu ben lieto di recarsi a Roma nel 1621 al servizio di Papa Gregorio XV (Alessandro Ludovisi), suo protettore già dai tempi in cui era stato cardinale arcivescovo a Bologna. La storiografia è incline ad assecondare, seppur parzialmente, le affermazioni secondo le quali il pittore centese riteneva di essere un autodidatta, verosimilmente perché, durante i suoi esordi artistici, frequentò botteghe ge-

Passero, particolare della “Madonna del passero” Rappresentazione grafica proposta da K. Lorenz nel 1943. Vengono evidenziati i caratteri morfologici dei piccoli di mammiferi e uccelli, i quali differiscono sostanzialmente da quelli degli adulti per la loro rotondità. Fonte iconografica: Mainardi,1980

stite da pittori non sempre di grande rilievo. Tuttavia, il Guercino non ebbe difficoltà ad ammettere che, nella fase iniziale della propria attività, venne influenzato dall’arte di Ludovigo Carracci (1555-1619). Parallelamente, quest’ultimo espresse giudizi entusiastici sul Barbieri; una prova è la lettera, datata 25/10/1617, scritta al poeta e collezionista Fernando Carli: “Quivi è uno giovane di patria di Cento che dipinge con tanta facilità de invenzione e gran disegnatore e felicissimo coloritore, e mostro di natura e miracolo da fare stupire a chi vede le sue opere...”. Durante la sua lunghissima carriera (morì a settantacinque anni e fu attivo fino all’ultimo anno di vita), il Guercino seppe imprimere alla propria arte un dinamismo e un processo di trasformazione e maturazione che i critici moderni compendiano in tre periodi o fasi, che però sir Denis Mahon, grande collezionista e insigne studioso di storia dell’arte deceduto nel 2011, estende fino a cinque. Tuttavia, gli esperti sono concordi nel ritenere che le opere del periodo giovanile (orientativamente quelle realizzate fino al 1620) siano particolarmente interessanti, vivide e coinvolgenti. Ed è in tale lasso di tempo che viene realizzata la “Madonna del passero”, un dipinto considerato fra i migliori capolavori del Centese “prima maniera”. Quest’opera, infatti, oltre a presentare alcuni elementi di viva originalità, sa commuovere ed esprimere, in modo potente e nel contempo dolce e poetico, affetti domestici e atmosfere di condivisione e complicità. I protagonisti sono tre: la Madonna, Gesù bambino e il passero, tutti ritratti pressoché di profilo (scelta da ritenere inusuale). Lo scenario è indeterminato ma si può intuire che si tratti di un ambiente famigliare. Mancano, infatti, la solennità formale (si pensi alle Madonne con Bambino raffigurate su dei troni o in ambienti simili) e gli altri dettagli che rimandano alla sacralità (per esempio, gli angeli, i santi, le aureole dorate, i fasci di luce divina). I personaggi sono apparentemente silenziosi, ma il loro dialogo è intenso, intimo e continuo. La comunicazione è resa ancor più evidente dalla naturalezza dei gesti e delle espressioni e dal sapiente alternarsi di ombre e luci soffuse. Ne scaturisce una scena pregna di un pathos morbido e penetrante, che sa esercitare sullo spettatore un peculiare fascino ipnotico. La Madonna, la cui bellezza è sobria, soave e rassicurante, nel contesto del quadro solo apparentemente cede il primo piano agli altri due personaggi. In realtà non ha un ruolo secondario, anzi è Lei che sostiene sia il Bambino sia il pennuto (i quali sono uniti da un filo) e, nel contempo, costituisce un peculiare trait d’union. Fra i tre si viene così a creare un collegamento che funge da circuito dove scorrono intensi rimandi simbolici.

Carlo Crivelli (1430?-1495): “Annunciazione” (più nota come “A. di Ascoli” o “A. con Sant’Emidio”). Tempera e oro su tavola trasportata su tela (cm 207x 146) realizzata nel 1486. National Gallery, Londra. L’uccello indicato con la freccia non è un passero, come riferito nel libro “Lo zoo del Rinascimento” (2001), bensì un vago columbide, forse un piccione o una tortora. Fonte iconografica: www.artesvelata.it

P. P. Rubens (1577-1640): “Bambino che gioca con un uccello”. Olio su tela (cm 49x40) realizzato ca. nel 1630. Il bimbo raffigurato è Nicola, il figlio dell’autore. Fonte iconografica: www.settemuse.it

Il Bambino è nudo e viene ritratto mentre rivolge la propria attenzione al passero e, per osservarlo meglio, è proteso in avanti. Per riuscire nel proprio intento, si sostiene con la manina destra aggrappandosi al vestito della Madre. La sua immagine è resa ancor più accattivante dalle rotondità corporee: testa grande e arrotondata, fronte alta e arcuata, occhi al di sotto della linea mediana del capo, guance paffute, naso appena pronunciato, arti corti e tozzi e, a completare, una pancetta prominente. Il Guercino, dunque, oltre a proporci una raffigurazione di grande valenza artistica, ha saputo curare ed esaltare tutti i tratti fisionomici che caratterizzano gli infanti e che sono in grado di sollecitare negli adulti impulsi attrattivi e protettivi. Si potrebbe così affermare che il Centese abbia avuto il merito di rappresentare dettagliatamente i cosiddetti “segnali infantili”, i quali, di converso, vennero descritti per la prima volta nel 1943 dall’etologo Konrad Lorenz (3). In conclusione, l’arte ha anticipato di gran lunga la scienza! Il passero(Passer italiae),immobile e forse colto in una postura di riposo, si trova davanti al Bambino. Può sembrare che i due si guardino, ma in realtà è alla Madonna che il volatile rivolge lo sguardo (4), perché la posizione laterale degli occhi non gli consente di vedere in modo adeguato davanti a sé: conseguentemente, con l’occhio sinistro può vedere bene l’immagine femminile e con quello destro un ipotetico spettatore. Forse nelle intenzioni dell’artista il Bambino e il volatile dovevano dialogare anche visivamente, ma la scelta di proporre i tre personaggi non frontalmente ha scaturito il suddetto risultato. Un’altra peculiarità è costituita dal fatto che, per la prima volta, il passero viene raffigurato in una pittura devozionale. Questa osservazione è stata proposta da Francesco Sorce in una sua dotta e ben sviluppata disamina sul quadro in questione. Naturalmente condivido l’attribuzione di tale primato, poiché dissento con quanto sostenuto dalla reputata studiosa Mirella Levi D’Ancona che, nel suo libro “Lo zoo del Rinascimento” (2001), riferendosi al dipinto “Annunciazione” di Carlo Crivelli (1430?1495), così scrive: “Un passero è dipinto su di un’asta sotto il tetto al di sopra della Vergine Annunciata”. In realtà, se si ingrandisce l’immagine, l’uccello apparirà un vago columbide, forse un piccione o una tortora. Il passerotto guercinese è legato con una cordicella la cui estremità è tenuta da Gesù. Sul valore semantico di questo particolare aspetto sono stati espressi, nel corso degli anni, pareri non sempre concordi. C’è chi afferma che si tratti di elementi di mera rilevanza esornativa. Altri sono invece inclini a interpretare la scena come la rappresentazione di consuetudini, spesso ricorrenti nei giovani di campagna, che consistono nel “giocare” con gli uccelli, trattenendoli con del filo fissato a una zampa. A ben vedere, nel periodo preso in esame (ma anche in quelli precedenti e successivi) non sono rare le opere, anche di carattere non devozionale, nelle quali i bambini sono raffigurati con volatili “legati”. Propongo, a titolo di esempio, uno dei numerosi ritratti che il grande Peter Paul Rubens (1577-1640) fece a suo figlio Nicola. In questa immagine, l’autore ben evidenzia il disagio (se non il terrore) del pennuto che, ad ali spiegate, tenta invano la fuga, mentre il bambino sembra assorto nella sua inconsapevole e crudele attività ludica. Tuttavia, le raffigurazioni di vari ram-

polli della nobiltà europea ci documentano che tale consuetudine non era circoscritta ai figli della classe contadina e borghese. Va però evidenziato che nei quadri dei piccoli principi le cordicelle sono, ovviamente, più preziose (dorate, di tessuto colorato, ecc.) e gli uccelli appaiono tranquilli, forse perché ben addestrati o semplicemente assuefatti alla loro condizione (però non si può escludere che tali animali, attraverso il fenomeno dell’imprinting, si siano identificati con i loro possessori e, quindi, erano estremamente mansueti). È interessante notare che questi volatili, al pari di pappagalli parlanti, cani ubbidienti, scimmie ammaestrate e così via, nel Seicento costituivano, soprattutto nell’area fiammingo-olandese, i simboli di un adeguato processo di acquisizione di regole e comandi. Detto in altre parole, quando i pittori volevano sottolineare che ai giovani era stata impartita una buona educazione, arricchivano i dipinti anche con animali di siffatte caratteristiche. Naturalmente i suddetti due orientamenti interpretativi (vale a dire il passero considerato un elemento esornativo o come un oggetto ludico) non si possono accogliere, data la natura devozionale dell’opera in esame e l’evidente rimando allegorico. Mentre, come accennato nella parte introduttiva di questa nota, più convincente appare l’ipotesi che il Guercino, peraltro animato da una consistente fede religiosa (5), si sia sostanzialmente ispirato al Salmo 123,7. Cosicché il passero simboleggia l’anima che, sottoposta alle insidie del peccato (il laccio), può smarrirsi. Però nel dipinto, diversamente da quanto scritto nel Salmo, l’intervento salvifico non viene effettuato con il taglio della cordicella, poiché quest’ultima viene tenuta dal Bambino. Quindi la raffigurazione vuole evidenziare, come sostiene Francesco Sorce, che è Gesù “ad avere nelle mani, letteralmente, il destino dell’uomo”. Così il passero diviene, a mio giudizio, la rappresentazione di una mesta umanità intesa non nella sua accezione di debole natura, facile nel cedere alle lusinghe del peccato e degli istinti, ma nella sua composta ubbidienza nel rivolgersi e affidarsi a Dio.

Note

(1)La ridotta longevità dei passeri, naturalmente, non è da imputare alla loro “iperattività sessuale”, bensì a vari fattori come, per esempio, malattie, cibo carente e/o inquinato, predazioni, ecc. (2)Questa è la traduzione del nome del volatile proposta nel testo Aviarium, che differisce lievemente dall’edizione ufficiale C.E.I. della

Sacra Bibbia, nella quale è così scritto: “Noi siamo stati liberati come un uccello dal laccio dei cacciatori...”. Si noti che viene indicato il nome di “uccello” e non di “passero”. La spiegazione sta nel fatto che con la parola passer si indicava il passero propriamente detto, ma si designavano anche i piccoli uccelli di non facile determinazione specifica. (3)K. Lorenz (1943), nel suo lavoro Die angeborenen Formen möglicher Erfahrung, segnalò che i piccoli dei mammiferi e degli uccelli hanno in comune delle caratteristiche morfologiche e comportamentali che sono in grado di inibire atti aggressivi e di sollecitare anche impulsi adottivi. (4)Francesco Sorce, anche su questo aspetto, ha un’interessante intuizione interpretativa: infatti, non è l’uccellino che può guardare autonomamente la Vergine, bensì è un privilegio che quest’ultima gli concede. (5)È noto che il Guercino andava a messa tutti i giorni e che la sera recitava una preghiera prima di coricarsi. Durante la sua vita ha sempre mantenuto buoni rapporti con vari organismi ecclesiastici e, alla sua morte, venne vestito con il tipico abito dei frati Cappuccini.

Bibliografia

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Guercino. Problemi di esegesi visiva e simbolismo degli uccelli. Il Capitale Culturale, 18: 85-117. 8.Zambon F. (2018):Bestiari tardoantichi e medioevali. Giunti Editore/Bompiani, Firenze e Milano.

Alonso Sánchez Coello (1531/32-1588): “Le infante Isabella Clara Eugenia e Caterina Michela”. Olio su tela (cm 99x113) realizzato nel 1568 ca. Monasterio de las Descalzas Reales, Madrid. Sono le figlie di Filippo II di Spagna e Elisabetta di Valois. Il cardellino appare calmo e fa bella mostra di sé, ma è fissato a una catenella verosimilmente d’oro. Fonte iconografica: Yannick Vu (“Piccoli principi nella grande pittura europea”),1995.

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