SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERçUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLV - N° 5 dicembre 2015 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA
Riceverete forza dallo Spirito
dicembre 2015
SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERÇUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLV - N° 5 DICEMBRE 2015 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA
Sommario
Primo piano Veglia Missionaria 4-7 Riceverete forza dallo Spirito dicembre 2015
Chiesa & missione Bimestrale dell’Ufficio Missionario Diocesano, via Trieste 13/B - Brescia Tel 030.3722350 - Fax 030.3722360 Direttore don Adriano Bianchi Direzione e redazione Via Callegari, 6 – 25121 Brescia Tel. 030.3754560 Fax 030.3751497 e-mail redazione: kiremba@cmdbrescia.it e-mail Ufficio Missionario: info@cmdbrescia.it web: www.cmdbrescia.it Kiremba su facebook: Kiremba Magazine Redazione don Carlo Tartari: doncarlo@cmdbrescia.it Andrea Burato: andrea@cmdbrescia.it Claudio Treccani: claudio@cmdbrescia.it Chiara Gabrieli: chiara@cmdbrescia.it Alessandro Piergentili: a.piergentili@libero.it don Diego Facchetti: dondiegofac@gmail.com p. Marcello Storgato: marcello@saveriani.bs.it Francesca Martinengo: fra.martinengo@gmail.com
Fiuggi -VII Convegno Nazionale
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I missionari raccontano Esperienze di Misericordia - Albania/1 Esperienze di Misericordia - Brasile/2 Esperienze di Misericordia - Brasile/3
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Animazione missionaria El Salvador - Un paese di Martriri Esperienze estive: Brasile Esperienze estive: Uganda Esperienze estive: Mozambico
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Grafica e impaginazione Andrea Burato Autorizzazione del tribunale di Brescia N. 269 del 11.07.1967 Imprimatur Curia vescovile di Brescia Stampa Tipografia Camuna Editrice Fondazione opera diocesana San Francesco di Sales, via Callegari, 6 - 25121 Brescia
Abbonamento ANNUALE 12,00 euro ORDINARIO 50,00 euro sostenitori PER LE POSTE ITALIANE CONTO CORRENTE N° 389254. INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA VIA TRIESTE, 13 25121 BRESCIA CON CAUSALE: “ABBONAMENTO KIREMBA 2015” BONIFICO BANCARIO: IBAN: IT75S0350011205000000007463
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Orizzonti Infanzia Missionaria
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Formazione & spiritualità La Gioia del Vangelo Pregare Insieme
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Blocknotes
Agenda 27 NOVITÀ PER ACCEDERE AI CONTENUTI MULTIMEDIALI, INQUADRA CON IL TU SMARTPHONEM DOTATO DI LETTORE, IL CODICE QR PRESENTE IN ALCUNE PAGINE DI KIREMBA. CON QUESTA MODALITÀ DESIDRIAMO INTEGRARE SEMPRE MEGLIO LA RIVISTA CON LA POSSIBILITÀ DI VISIONARE FILMATI, GALLERIE FOTOGRAFICHE, SITI WEB DEL MONDO MISSIONARIO ED ECCLESIALE. QUI A SINISTRA TROVATE IL CODICE QR CHE RIMANDA AL SITO DEL CMD DI BRESCIA
editoriale
I progetti, le linee don carlo tartari doncarlo@cmdbrescia.it
U
na Chiesa che presenta questi tre tratti – umiltà, disinteresse, beatitudine – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente. L’ho detto più volte e lo ripeto ancora oggi a voi: «preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti». Ancora una volta Papa Francesco insiste, incoraggia, sprona, ma soprattutto agisce, testimonia, sceglie. Siamo in mezzo al guado e la prospettiva di uscirne accidentati, sporchi, feriti non è razionalmente allettante eppure chissà perché - esercita un fascino e un’attrazione impensabili. La strada, l’aperto del mondo, i luoghi della vita sono gli scenari prediletti da Gesù per l’incontro con l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo, il fascino e il desiderio nascono dalla prospettiva di realizzare oggi l’incontro con Lui. Da qui l’imperativo che contraddistingue la stagione ecclesiale che stiamo vivendo, una stagione problematica, feconda, inquieta, complessa: uscire. Il leitmotiv che accompagna ogni progetto pastorale, ogni riflessione, la parola che è presente in tante omelie, riflessioni, condivisioni sembra essere proprio questa: uscire. Lo abbiamo detto, non lo abbiamo ancora fatto! I tristissimi fatti ed eventi che la cronaca riporta e che incidono sui nostri stili di vita, sul nostro sguardo sul mondo ci invitano a chiuderci, a difenderci, a mantenere e consolidare le posizioni, a marcare un’identità forte e rassicurante, non c’è nulla di più rassicurante del dogma “abbiam sempre fatto così”! Mi pare che in questa tensione tra chiusura e apertura, tra uscire e rientrare nei
ranghi, tra inventare e ripetere ci sia uno spazio straordinario perché l’animazione missionaria possa esprimere tutte le proprie potenzialità. Ho ascoltato con grande interesse la testimonianza che Claudina Bertola ha offerto in occasione della Veglia Missionaria Diocesana dello scorso ottobre, l’ho trovata molto incisiva perché Claudina non ha posto l’accento su quanto ha realizzato, vissuto, progettato, condiviso lontano da Brescia, ma su quanto sia stato fondamentale l’apporto, la vicinanza, la formazione, la preghiera, la solidarietà, lo scambio della comunità dalla quale è partita. Senza nessuna enfasi eccessiva, mi pare che dentro a questo vissuto, a questa storia particolare (ne trovate uno stralcio in questo numero di Kiremba) ci siano gli elementi essenziali perché la Missione che Gesù affida ai suoi possa esprimersi efficacemente oggi. La commissione zonale, il gruppo missionario, la parrocchia non sono strumenti antiquati, non sono espressione nostalgica di ciò che era e che non è più: sono doni che la nostra tradizione ci consegna e che vanno rinvigoriti, arricchiti, nutriti; sono i primi ai quali chiede di uscire dalle comodità del deja-vu, di aprire strade nuove, rischiose, inusuali, controcorrente, fastidiose e inquiete. Qualcosa di nuovo sta germinando, nel nascondimento, senza clamore, con qualche fatica: nei prossimi mesi l’equipe del Centro Missionario Diocesano proverà a mettersi al passo di alcune Unità Pastorali che stanno cercando di interpretare nell’oggi il Vangelo di sempre, parrocchie che sanno sognare una evangelizzazione molto meno “clericocentrica” e aperte ai doni che lo Spirito non fa mai mancare alla sua chiesa. Forse allora, senza attendersi eclatanti risultati, senza ricerca di successi secondo la logica del mondo, potremo dare qualche chance alle “linee per un progetto pastorale missionario nella Diocesi di Brescia”, superando il rischio di una rapida derubricazione a semplice progetto formalmente perfetto e completo ma desolatamente inattuato. kiremba dicembre 2015
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Primo piano
veglia missionaria diocesana/1
perdersi i s r a v o r it r r e p DON ALFREDO SCARATTI alfadon12@gmail.com
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abato 17 ottobre 2015. Cattedrale di Brescia. L’Ufficio Missionario Diocesano organizza, come tutti gli anni, in occasione della Giornata Mondiale Missionaria, la Veglia Missionaria diocesana. Attorno al Vescovo Luciano si prega Dio per questa nostra Chiesa, chiamata, per sua natura, ad uscire verso le ‘periferie esistenziali’, per usare una bella immagine di Papa Francesco. Da quando sono prete, nel limite del possibile, ho sempre cercato di essere presente anch’io, spinto sia dalla convinzione di unirmi a tutto il popolo di Dio che è in cammino per portare l’annuncio del Vangelo, sia per essere vicino a chi parte per la missione ‘ad gentes’. Nell’attesa dell’inizio della Veglia, distratto ahimè dalla gente che entra, osservo i volti di chi prende posto. Nei primi banchi: espressioni gioiose, serene, sprizzanti entusiasmo di essere lì per condividere un momento importante della vita della Chiesa. Ma più lo sguardo si allunga verso il fondo del duomo, più noto un vuoto.
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un momento dell’omelia diel vescovo luciano
Di volti, di persone, di comunità. Forse, mi dico, sarà per la cattiva abitudine di noi italiani di arrivare sempre all’ultimo minuto; forse tante persone non hanno trovato un parcheggio vicino; forse si aspetta sul sagrato che tutto il gruppo parrocchiale o di amici si ritrovi per poi entrare insieme; forse… non interessa più di tanto vivere, nella preghiera, un senso di appartenenza ecclesiale nello stile missionario. Mi devo ricredere quando, in prossimità dell’inizio della celebrazione, colgo una partecipazione numerosa. L’ingresso del vescovo è solenne e sobrio al tempo stesso, accompagnato dal coro che trascina l’assemblea. Dopo l’ascolto della Parola, tratta da Luca 10, Mons. Monari tratteggia, nella profondità biblica che gli è propria, lo stile del missionario che emerge dal buon samaritano. É necessario diventare prossimo già nel cuore prima che nell’azione; del resto, ‘essere missionari lo si è ancora prima della geografia, della destinazione che viene affidata’. E, al tempo stesso, significa prendersi cura dell’al-
É necessario diventare prossimo già nel cuore prima che nell’azione; del resto, ‘essere missionari lo si è ancora prima della geografia, della destinazione che viene affidata’. E, al tempo stesso, significa prendersi cura dell’altro così com’è, per quello che è; significa accettare di ‘perdere’ tempo, energie, denaro, vita per aiutare l’altro a ritrovare la sua identità, la sua dignità di persona amata da Dio, come del resto ci insegnò Gesù Cristo, il Maestro per eccellenza.
Vescovo Luciano
Per riflettere
Attraverso questo codice Qr, si può ascoltare l’intera omelia che il Vescovo Luciano ha tenuto durante la Veglia. Il tema principale è stata la parabola del b u o n s a m a r i t a n o . Ci aiuta ad interrogarci sul nostro ruolo di fronte alle richieste di chi vive nella sofferenza e nella povertà.
Come non ascoltare la testimonianza di coloro che, in partenza o di ritorno dalla Missione, sperimentano la prossimità verso i tanti poveri della terra, verso i piccoli, i deboli, gli affamati di questa umanità? Religiose e laici, accomunati dalla stessa fede e dalla stessa passione per Cristo e per l’uomo!
tro così com’è, per quello che è; significa accettare di ‘perdere’ tempo, energie, denaro, vita per aiutare l’altro a ritrovare la sua identità, la sua dignità di persona amata da Dio, come del resto ci insegnò Gesù Cristo, il Maestro per eccellenza! In questa prospettiva, la Missione diventa innanzitutto prendersi a cuore l’altro, ‘entrare’ nelle sue ferite, nelle sue delusioni, inganni, solitudini, disperazioni. Portare il Vangelo significa allora mettersi a fianco della vita di un uomo, di un villaggio, di un popolo, in un atteggiamento di pazienza, di condivisione, di speranza. Significa impegnarsi a ‘gettare semi di futuro’ più che pensare di raccogliere i frutti nel presente! Un “perdersi per ritrovarsi”, avrebbe detto, con un’espressione forte, Don Primo Mazzolari. Tante provocazioni da raccogliere nel silenzio del proprio cuore e ‘ruminarle’ dentro di sé perché diventino stile quotidiano nel proprio agire. E poi, mentre tutti i presenti stanno ‘masticando’ interiormente la Parola, un grido: “ UN UOMO”! Ha squarciato il silenzio della Cattedrale. Da più parti, da
più voci, con una ripetizione pressante, lacerante, profonda. “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico”! Così l’hanno presentato i giovani animatori degli adolescenti di Ghedi. Una rappresentazione vibrante e coinvolgente per parlarci di un uomo incappato nei briganti, ferito, sanguinante, moribondo! E di un altro uomo che si è preso cura di lui, con olio e bende, con giumento e denari, con libertà di cuore e di giudizio! Uno straniero, un samaritano, un poco di buono, ma che si è dimostrato più attento e compassionevole di altri, legati alla formalità esteriore della legge. E’ stata una provocazione e un invito a ciascuno dei presenti: tutti raffigurati in: ‘un uomo’, in quell’uomo ferito e abbandonato, ma anche in quell’uomo che si lascia prendere dalle viscere di misericordia e di compassione e si prende cura di lui. E allora: come non ascoltare la testimonianza di coloro che, in partenza o di ritorno dalla Missione, sperimentano la prossimità verso i tanti poveri della terra, verso i piccoli, i deboli, gli affamati
di questa umanità? Religiose e laici, accomunati dalla stessa fede e dalla stessa passione per Cristo e per l’uomo! Testimonianze attraversate dal colore della passione per questo uomo che soffre, che è senza dignità, che è senza speranza. Testimonianze ‘vere’, senza orpelli, mistificazioni di prestigio, miraggi di risultati. Testimonianze segnate dal bello della vocazione missionaria, dalla gioia di appartenere e di servire Cristo, la Chiesa, gli uomini e le donne del nostro tempo, anche se abbruttiti dalla ingiustizia, dalla povertà, dalla mancanza di futuro.La Veglia si conclude con la benedizione che il Vescovo Luciano impartisce a tutta l’assemblea, quasi a continuare nella nostra vita, portando nel cuore lo scrigno prezioso dell’ amore stesso di Dio. Avvolto ancora dalle canzoni del coro che accompagna anche questo ultimo momento, non posso che soffermarmi di nuovo a guardare i volti. Quelli di amici, familiari, conoscenti, confratelli e consorelle di chi parte e di chi ritorna. Colgo espressioni di gratitudine e di gioia, assaporo sguardi trasfigurati, rispetto al momento dell’ingresso, dalla ricchezza della Parola e delle testimonianze, dal desiderio di condividere la stessa esperienza di Chiesa che vive la Missione. E insieme, mi lascio portare da un pensiero, da un sogno: che bello entrare in questo Duomo la sera della Veglia Missionaria e vederlo stracolmo di persone: quelle di amici, di familiari, di conoscenti, di confratelli e di consorelle di chi parte e di chi ritorna, ma anche da tanti giovani e adulti, uomini e donne, semplici cristiani che, pur non avendo nessun legame con i ‘chiamati’ che ricevono dal vescovo il mandato della loro missione, sanno riconoscere e condividere, con fede e con gioia, la stessa appartenenza a questa Chiesa che è, per sua natura, missionaria! kiremba dicembre 2015
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Primo piano
veglia missionaria diocesana/2
dalla parte dei poveri CLAUDINA BERTOLA claudinakoch@yahoo.it
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uesta è una riflessione da dedicare alle nostre comunità, alle comunità che hanno fatto della missione la loro vocazione. Mi ritengo una di quelle persone estremamente fortunate: partita con l’appoggio della famiglia, degli amici, della Diocesi, della comunità parrocchiale e dalla commissione diocesana. Partita accompagnata e arrivata accolta dai Comboniani la prima volta e da Gino Filippini, il top della missione. Nairobi è stata una missione dura ed altrettanto intensa. La missione dove “la va o la spacca”. Se una supera Nairobi sono ben poche le cose che la fermeranno. Gino è stato un formatore al lavoro di missione straordinario… non avrei potuto trovare di meglio, e sarò per sempre grata al Signore per avermi scelta. Padre Zanotelli una guida alla vita di missione importantissima. Due maestri senza pari. Ma non ero partita sprovvista di strumenti: la nostra commissione missionaria zonale lavorava in armonia da anni, penso una dozzina, ed era cresciuta in forza e spiritualità. Don Fausto Gheza ci ha cu-
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il vescovo monari saluta la rientrante claudina bertola
rati con costanza e affetto, e l’affetto e l’amicizia sono state le armi più importanti. Ci ha insegnato che “tutto serve per amare il Signore” e le difficoltà incalcolabili sono rientrate in quel TUTTO. Padre Gianni Zampini dei Saveriani è stato la finestra sulla missione e ha saputo farcene innamorare. Della nostra commissione parecchi sono partiti in questi anni. La commissione è stata il luogo dove piano piano siamo passati dalle raviolate e dalle bancarelle per fare soldi alla coscienza di una missione che è soprattutto preghiera, conoscenza ed educazione. L’amicizia, quel sentimento intriso d’amore, l’arma più preziosa da portare fino ai confini della terra. Abbiamo contagiato d’amicizia tutti dove siamo stati.Quando si resta impantanati su una collina nel bel mezzo della notte, sapere che quello che ti salverà sono le preghiere degli amici è decisamente confortante. Ho incontrato molti giovani che sono partiti in missione senza l’appoggio della loro comunità e contro il volere dei loro genitori. Le loro fatiche erano centuplica-
Mi ritengo una di quelle persone estremamente fortunate: partita con l’appoggio della famiglia, degli amici, della Diocesi, della comunità parrocchiale e dalla commissione diocesana. Partita accompagnata e arrivata accolta dai Comboniani la prima volta e da Gino Filippini, il top della missione. Nairobi è stata una missione dura ed altrettanto intensa.
Autenticità
Testimonianze
Attraverso questo codice Qr si accede alla pagina in cui sono stati caricati i video con le tesiomonianze di Claudina e Federica, rientrate dopo anni in missione, e di chi come Suor Erica e Suor Caterina, sono pronte ad affrontare la partenza verso luoghi lontani.
Grazie alla forte presenza della Chiesa bresciana in Burundi abbiamo beneficiato della visita del Vescovo e di Mons. Mascher. I loro viaggi in mezzo a noi sono di un’importanza indescrivibile. Li invito a non stancarsi mai di partire per incontrare chi lavora in Missione. Tutte questo è Chiesa e ci fa Chiesa.
te rispetto alle mie. Le comunità devono seguire i loro giovani e le famiglie devono dare serenità a chi decide di partire… perché partire è facile, ma restare in terra di missione non è scontato. Mia sorella e mia mamma sono venute a trascorrere momenti importanti con me… sempre pronte a raggiungermi se le difficoltà e i pericoli si facevano troppo pesanti. Hanno condiviso con me tutto quello che hanno potuto nella speranza di alleggerirne il peso. A mio papà bastava la parola “Qui servirebbe…” che subito quel bisogno veniva soddisfatto. Don Luigi Bonardi, il mio parroco a Calino, è venuto a conoscere la missione dove lavoravamo, ad ogni accenno di cambiamento ha fatto sentire la sua vicinanza e la condivisione in una scelta di vita mai scontata. Importante il suo “io ci sono”. Il gruppo missionario e la mia comunità di calinesi sono stati fedeli in questi lunghi anni di lontananza fisica. I Kenyani fratelli e sorelle impossibili da dimenticare, ho vissuto con loro dolori e gioie, mi hanno insegnato tanto e mi hanno fatto sentire parte dell’uni-
verso. Hanno soddisfatto quella sete di risposta al Signore: “Eccomi, io vengo”. Mi hanno insegnato a “non serbare rancore”, litigare e discutere anche animatamente, ma finito lo scontro verbale… riabbracciarsi e ripartire lasciandosi alle spalle ogni rancore o recriminazione. Ed è una sensazione bellissima… di totale libertà. Hanno corretto il mio grave difetto di “distruggere ad oltranza” … serve distruggere ma solo se poi sappiamo costruire. Criticare ciò che è sviato, ma solo allo scopo di raddrizzarlo poi. Il Burundi è stato, logisticamente parlando, più soft… ma come succede sempre mai abbassare la guardia. La seconda partenza da Calino più o meno uguale, questa volta con le signore più datate in disaccordo sul riandarsene, e gli amici perplessi, perché speravano la sete di missione soddisfatta. La famiglia e la commissione no, felici perché già prevedevano nuove amicizie e nuove conoscenze. In Burundi ad accogliermi i Saveriani, persone eccezionali. Sempre presenti anche se lontani, sempre attenti anche se a distanza… senza di loro non
so cosa avrei combinato. Di laici in Burundi ce ne sono pochi, tutti grandi operatori umanitari e cooperanti e esperti del settore. Una come me è ben lontana da tutto questo. Preziosi i laici dello Svi e del Vispe. Le amicizie fatte in missione sono per la vita, senza artifizi e senza aspettative… e ti fanno da specchio. Grazie alla forte presenza della Chiesa bresciana in Burundi abbiamo beneficiato della visita del Vescovo e di Mons. Mascher. I loro viaggi in mezzo a noi sono di un’importanza indescrivibile. Li invito a non stancarsi mai di partire per incontrare chi lavora in Missione. Tutte questo è Chiesa e ci fa Chiesa. Il Burundi pensavo fosse l’elemento per far quadrare il cerchio… invece questa sete non se ne vuole andare. Improvvisamente la morte e il dolore. Dove in Kenya l’anima è passata attraverso il crogiuolo e liberata da una visione adolescenziale di missione… il Burundi ha affondato un pugnale profondo nel cuore. La perdita degli amici. Il dolore è schiacciante e non riesci ad uscirne. Tu sai che il sangue dei giusti alimenta il fiume della grazia, sai che sono tutti tra le braccia del padre, sai che nulla è vano, sai che loro sono felici dell’estremo sacrificio, sai un sacco di cose… ma il distacco e la brutalità degli assassini sono pesanti da superare e ci vuole tempo, preghiera e lucidità. E mentre il sangue ancora gronda la lucidità sembra impossibile da ritrovare. Poi non sono le sole morti che sei costretto a testimoniare e a metabolizzare. Ci sono i bambini, le donne, i ragazzi… a volte il mondo sembra che si stia sgretolando intorno a te. É dura lasciare tutti questi morti alle spalle e andare avanti. A volte sembra che più nulla abbia senso, che il tuo lavoro di rivalsa sull’ingiustizia sia solo dare nuove munizioni alla morte. Ecco allora il “Tutto serve per amare il Signore”. Tenete gli occhi puntati alla Croce e non dimenticate mai per chi siete partiti. kiremba dicembre 2015
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Chiesa & missione fiuggi vii CONVEGNO nazionale
ABITARE LA STRADA CHIARA GABRIELI chiara@cmdbrescia.it
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l Convegno Nazionale dei direttori e collaboratori dei Centri Missionari Diocesani tenutosi a settembre a Fiuggi è stato un momento di incontro, scambio, dialogo e riflessione per interrogarci circa la possibilità che il Centro Missionario possa indirizzare la nostra Chiesa in uno stato permanente di Missione. L’evangelizzazione, come dice Papa Francesco, deve partire dai poveri: la Chiesa è la casa dei poveri, degli esclusi, degli afflitti, dei perseguitati. Il Centro Missionario deve essere la casa della Missione e le nostre Chiese essere le Chiese povere per i poveri (Evangelii Gaudium). Il titolo del Convegno era “Abitare la strada: dalla parte dei poveri”. Come ha espresso Mons. Francesco Beschi, Vescovo di Bergamo e presidente della commissione episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese della Conferenza Episcopale Italiana, la strada ha sempre tre dimensioni fondamentali: è il luogo del tempo, del cambiamento e dell’incontro. 1- la dimensione del TEMPO: per abitare la strada bisogna essere capaci di abi-
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anche mons. beschi É intervenuto al convegno di fiuggi
tare il tempo e avere la consapevolezza di percorrere la strada del tempo ovvero di stare dentro alla storia. 2- la dimensione del CAMBIAMENTO: la missione deve essere soggetta a continuo cambiamento e divenire protagonista di questa trasformazione. 3- la dimensione dell’INCONTRO: per strada si incontra chi non si sceglie di incontrare in modo aprioristico. La strada è lo scenario nel quale si realizzano incontri imprevisti e inattesi ed è proprio qui che noi possiamo incrociare le storie uniche e irripetibili degli uomini e interagire con il povero; il povero è l’uomo della strada e sempre in questo luogo, in questo divenire, lo incontreremo. Abitare la strada significa accogliere i poveri ma anche accettare di abitare la strada per aspettare di realizzare l’incontro. Numerosi e profondi sono stati gli interventi dei relatori, dei testimoni e di coloro che hanno scelto come missione di stare dalla parte dei poveri lungo la strada della vita e della storia. Significativo l’intervento del giornalista Lucio Caracciolo, il suo apporto ha affrontato il tema della sicurezza globale
nello scenario geopolitico; ha sottolineato che nel 2030 tutti i continenti saranno in crescita, in special modo l’Africa che raddoppierà la sua crescita demografica attuale, a differenza dell’Europa che andrà lentamente decrescendo. La popolazione nelle zone rurali andrà sempre più diminuendo per spostarsi nelle grandi città destinate a diventare megalopoli. Il mondo, secondo quanto illustrato dal giornalista, è diviso in due vastissime aree: il mondo del nord e dell’estremo sud ricco e indipendente e il mondo tra i due tropici dove regna “caoslandia”, luogo da dove provengono, nascono e si sviluppano gran parte dei conflitti armati, dei traffici illegali, dei gruppi terroristici, ma luogo sopratutto dove muoiono gli stati e dove collassano le istituzioni. Nella terra di caoslandia è veramente difficile capire dove abbia inizio il potere politico e dove finisca il potere criminale. In questo contesto si generano quasi 60 milioni di rifugiati che emigrano principalmente da un paese povero del mondo ad un altro vicino ugualmente povero; solo una minima parte riesce a raggiungere un paese
Opinioni
Chi c’era Ciò che ci ha lasciato il convengo di Fiuggi è la voglia di rimetterci in gioco, di rilanciare la missio ad gentes, la voglia di ricercare cammini nuovi e di non lasciar cadere lo slancio missionario di Papa Francesco. Con questo Qr si possono ascoltare le voci di chi ha partecipato
sviluppato del nord. La prima giornata di convegno si è conclusa con la testimonianza di Don Stefano Natasi, ex parroco di Lampedusa, che ha raccontato dell’accoglienza bella e vera che i lampedusani hanno realizzato con l’arrivo dei primi profughi sui barconi; per essere tra e con i poveri è necessario togliersi i sandali della proprie sicurezze per mettersi a loro disposizione: così hanno agito i cittadini di Lampedusa interpretando la via tracciata dal discepolo di Gesù, manifestando compassione e carità. Chiara e Giovanni Balestrieri, marito e moglie con due figlie, rientrati da pochi mesi in Italia dopo anni di missione in Perù, hanno raccontato che aprire la porta della propria casa non è solo per uscire e incontrare sulla strada ma anche per far entrare il bisognoso nel propria casa. Il secondo giorno del convegno è stato dedicato ai laboratori: dieci laboratori che declinavano la missione in tutte le sue molteplici sfaccettature: animazione, cooperazione, comunicazione. Si sono rivelati un verso spazio di autentico confronto, scambio, stimolo reciproco,
messa in rete del proprio vissuto, delle proprie difficoltà. Il terzo e ultimo giorno ci ha offerto una mirabile sintesi, magistralmente proposta da Mons. Francesco Beschi. La frase chiave di questo convegno era “la strada è il luogo della missione”; stare sulla strada è avere consapevolezza del tempo; non possiamo e non dobbiamo dimenticare la storia della missione che è stata segnata anche da ombre e limiti, dobbiamo raccogliere l’eredità anche degli errori che abbiamo commesso e stare attenti ai segni dei tempi presenti, ma soprattutto dobbiamo farci interpellare dal futuro. Mons. Beschi ha continuato dicendo che è necessario stare sulla strada del cambiamento dove noi siamo i protagonisti e i cultori di questa storia; la strada è anche il luogo di un incontro non programmato ma aperto all’imprevisto e all’imprevedibile: sulla strada della missione io non so chi posso incontrare ma chiunque incontrerò è una ricchezza perché è segno reale dell’Altro. Sulla strada non possiamo permetterci di stare fermi o di marciare sul posto, dobbiamo invece camminare per avanzare e per costruire insieme. Quali sono le conseguenze di chi sceglie di stare sulla strada? Come dice Papa Francesco, il tempo e i processi sono più importanti degli spazi: il nostro impegno è far germogliare e crescere i processi mentre spesso ci focalizziamo maggiormente sul mettere tutte le nostre energie e tutto il nostro impegno per conquistare spazi e ancora di più per volerli difendere. Le relazioni da intessere sono più importanti delle organizzazioni stesse: un centro missionario deve essere, prima di tutto, un luogo di relazione dove mantenere vivi e saldi i legami tra la Diocesi di appartenenza e le Diocesi dove sono giunti i nostri missionari. Un mezzo per mantenere vivi i rapporti sono le riviste
missionarie, il periodico diocesano e le potenzialità offerte dalla rete internet. Le relazioni sono il perno di tutto in quanto hanno la capacità di far sentire sempre accolti e a casa tutti coloro che passano al centro missionario: siano essi missionari, volontari, animatori dei gruppi. Anche se l’altro, molto spesso, è diverso da me devo mettermi nella condizione di rincorrerlo, soprattutto se l’altro è il povero. Devo affiancarlo, tenere il suo passo, camminare insieme se non addirittura mettermi nei suoi panni. Mons. Beschi ha sottolineato come in questi ultimi anni ci sia la voglia di camminare, di fare, di mettersi in gioco ma il camminare che stiamo compiendo oggi talvolta sembra essere simile ad una marcia sul posto quasi come se fossimo su un grande tapis roulant dove si vive molta fatica ma non si procede, non si va oltre. Dobbiamo invece scendere dal tapis roulant e guardare alla meta, alla missione, per procedere con chi ha ricevuto il dono della missione, in particolare con i poveri e i bisognosi senza mai dare questo per assodato o scontato. Mons. Beschi ha rimarcato che prima di intraprendere e aprire nuove strade dobbiamo percorre quelle che già ci sono, che sono già state segnate anche da chi ha camminato prima di noi. Imprescindibile, inoltre, è il legame che deve stabilirsi in modo vicendevole tra i Centri Missionari, tra gli uffici diocesani e le realtà territoriali impegnate nella cooperazione missionaria: in questi ultimi trent’anni si è privilegiato il lavoro per settore che ha creato delle competenze molto raffinate e positive; ora, queste competenze sono diventate talmente specializzate da diventare separate le une dalle altre; ciò non significa che quanto abbiamo fatto in questi ultimi tre decenni sia sbagliato, anzi. Oggi, invece, dobbiamo avviare dei processi di sinergia, di lavoro in rete: questo comporta, tuttavia, anche l’accettazione di grandi fatiche. kiremba dicembre 2015
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I missionari raccontano esperienze di misericordia albania/1
essere ed essere chiesa don roberto ferranti donrobertoferranti@gmail.com
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n tanti hanno sottolineato come Papa Francesco abbia spiazzato tutti con la scelta di questo Giubileo della Misericordia… ma se ci pensiamo bene, ci ha offerto una sana provocazione per riscoprire cosa significhi essere cristiani; serve che abbandoniamo tante inutili cose che spesso facciamo anche nella chiesa, illudendoci di annunciare il Vangelo, e che torniamo ad adottare lo stile che il Vangelo ci consegna, dell’aver compassione, dell’accogliere, del prendersi cura dell’altro…ciò che ha fatto Gesù. La Chiesa esiste per amare! E cosi allora anche la Missione ad-gentes deve ritrovare il suo paradigma nell’amare in nome di Gesù. Mi sono chiesto allora anche per la nostra missione in Albania che significato avesse questo Giubileo e in cosa si potesse tradurre concretamente nella mia vita e nella missione che condivido con don Gianfranco e con le Suore Maestre di Santa Dorotea. La nostra missione qui non è molto evidente, non abbiamo scuole, non abbiamo ospedali, non costruiamo pozzi, non abbiamo centinaia di catecumeni da battezzare… e allora ogni tanto vai in cri-
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don roberto, durante una celebrazione nel carcere di burrel
si, e pensi “ma cosa ci sto a fare ?”. E così, soprattutto in vista di questo Giubileo, ho ripreso in mano il Vangelo, per trovare dei gesti che ci potessero rendere segno di Gesù. E ho capito che la mia missione qui in questo Anno Santo è scegliere di stare con le persone, indipendentemente dal fatto che lo meritino oppure no, al di là del fatto che ci cerchino oppure no…. al di là del fatto che la giustizia umana le abbia etichettate di qualche pregiudizio o colpa. E così ho riscoperto il volto della missione in Albania: stare con chi è giudicato male! Quante volte mi capita quando vengo a Brescia di sentirmi dire: con tutto quello che fanno alcuni albanesi qui, voi state là? E io rispondo SI, perchè il Vangelo ci dice “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel Regno dei cieli”. Tante volte noi giudichiamo questo popolo come “cattivo” per quello che alcuni di loro fanno, ed è vero che qualcuno ruba, spaccia, si associa a qualche tipo di mafia… ma quanti di noi hanno provato ad ascoltare la loro storia, le difficoltà della loro vita e vedere le condizioni della
In alcuni villaggi non abbiamo nemmeno la Chiesa, per cui è difficile dire cosa sia la Chiesa… e questo ci costringe a “essere la chiesa” perchè in quell’incontro dobbiamo amare e in quel gesto far passare l’Annuncio. Non è sempre facile… a volte si va in crisi, ma tante volte si riempie il cuore di gioia perchè capisci cosa faceva Gesù: amava chi incontrava, chi magari incontrava per la prima volta e non avrebbe mai più incontrato!
Racconti
In terra Musulmana Attualmente Don Roberto opera a Burrel, cittadina situata tra le montagne della regione del Mat, al confine con la Macedonia. La popolazione è per il 99% di tradizione musulmana. Attraverso questo codice Qr si può ascoltare la testimonianza di don Roberto che si racconta al Cmd di Brescia.
quotidianità che spesso preclude anche il minimo indispensabile. La missione qui nell’est mi ha aiutato ad amare le persone, a scoprirle per quello che sono e non per quello che noi pensiamo che siano. Ecco perchè con gioia insegno “i precetti” del Vangelo a queste piccole comunità, consapevole che se non lo facessimo noi non lo farebbe nessuno… e per questi bambini il nostro stare con loro è la differenza tra il tutto e il niente! Esperienza di Misericordia è voler bene a questi bambini, anche se sono pochi nei villaggi, aspettarli quando escono da scuola e provare con loro a conoscere Gesù. In alcuni villaggi non abbiamo nemmeno la Chiesa, per cui è difficile dire cosa sia la Chiesa… e questo ci costringe a “essere la chiesa” perchè in quell’incontro dobbiamo amare e in quel gesto far passare l’Annuncio. Non è sempre facile. A volte si va in crisi, ma tante volte si riempie il cuore di gioia perchè capisci cosa faceva Gesù: amava chi incontrava, chi magari incontrava per la prima volta e non avrebbe mai più incontrato! All’inizio di quest’anno pastorale, per “da-
re” un segno nuovo della nostra presenza, abbiamo scelto di poter entrare in modo stabile nel carcere di questa città dove abito, un carcere di massima sicurezza dove stanno tutti uomini condannati per omicidio e per vendetta di sangue e un carcere dove durante la dittatura molti sacerdoti e religiosi sono stati uccisi… un luogo dove alcune persone sono “abbandonate” dalle loro stesse famiglie, per anni senza ricevere nessuna visita e nessun aiuto (in carcere non c’è nemmeno riscaldamento). Non so bene cosa potremo fare, però iniziamo a incontrare e a condividere un pò di tempo con loro. Lo stesso stile è quello che vedo nelle nostre Suore Dorotee che si affiancano al cammino di ragazze e donne nei villaggi e nella città e con loro condividono le difficoltà per vivere una vita pienamente dignitosa, con loro pregano, lavorano, alcune imparano a leggere e scrivere; piccole cose ma che danno uno spessore autentico all’amore. Questi sono alcuni flash della vita quotidiana in Albania dove vivremo questo Giubileo, una occasione che ho e che abbiamo per riscoprire la nostra identità vera di discepoli di Gesù. Insieme a voi allora prego che siamo capaci di dare testimonianza di scelte di vita che oltrepassano il minimo indispensabile e lo scontato e ci rendono veri discepoli del Dio Misericordioso, quello stesso Dio Misericordioso che il nostro amico Muezzin chiama dal Minareto dalla Moschea vicino a casa mia e al cui salmodiare mi sveglio ogni giorno, quello stesso Dio Misericordioso che i fratelli Protestanti annunciano nella loro piccolo comunità qui nella stessa mia città servendo dei ragazzi disabili con una piccola casa famiglia. Buon Giubileo a tutti… e se volete renderlo anche un Giubileo Missionario, imparate anche voi a non giudicare popoli diversi dal nostro per cultura o religione, ma iniziate ad amarli…e il mondo conoscerà meglio il Vangelo! kiremba dicembre 2015
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i missionari raccontano
esperienze di misericordia brasile/2
presenza che É segno vivo MONS. CARLO VERZELETTI domcarlo@diocesecast.com.br
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a nostra Chiesa di Castanhal sta celebrando i dieci anni di vita; deve fare ancora molti sforzi per organizzare questa vita e la pastorale, con un minimo di strutture a servizio dell’evangelizzazione: cappelle e luoghi di incontro. Però si è accorta che non potrebbe dimenticare i poveri, che sono la maggioranza e premono alle sue porte. L’ evangelizzazione deve andare di pari passo con la promozione umana e il soccorso alle tante urgenze. In questo tempo, l’impegno pastorale maggiore consiste nell’attivare le piccole comunità, basate sui rapporti stretti tra le persone, trasformando le parrocchie in ‘comunità di comunità’. É dentro la piccola comunità che si puó vivere la Misericordia a tutti i livelli: dall’esercizio del perdono, alla visita e sostegno dell’ammalato, alla solidarietá con tutte le sofferenze. Se si riesce in questa impresa non si dovrebbe aver bisogno di tante strutture come supplenza a quanto già fa o dovrebbe fare il potere pubblico. Sappiamo però che c’è sempre bisogno di qualche segno e struttura di appoggio. In questo poco tempo sono sorte due 12
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Mons.verzeletti in visita ai carcerati
case di accoglienza e di recupero per dipendenti da droghe e alcol, con la collaborazione della Comunità ‘Giovanni XXIII’, dai nomi suggestivi di ‘Resurrezione’ e ‘SS.ma Trinità’. Come prolungamento dell’Adorazione Perpetua, che si tiene nella cripta della Cattedrale, è sorta la Tavola della Carità, per dare ospitalità e alimento al popolo della strada, dando opportunità alle persone adoranti di vivere una spiritualità incarnata: Cristo adorato nell’Eucaristia e accolto e alimentato nel povero. Per rispondere alla grande necessità di aiutare le coppie e le famiglie nelle loro difficoltà è stato attivato un Consultorio Familiare.A livello di educazione e promozione umana è stata avviata una ‘Scuola delle Arti’ (con l’appoggio dell’8 per mille) per dare a tanti giovani la possibilità di sviluppare i loro talenti e toglierli dalla marginalizzazione. Tutte le opere di misericordia saranno attivate durante il Giubileo. In particolare sarà data attenzione alla Pastorale Carceraria, in appoggio al recupero umano e spirituale di migliaia di fratelli carcerati. Quando varco il portone della prima
Li guardo negli occhi e li ascolto attentamente mentre le mie mani attraversando le sbarre stringono le loro e guidato dal cuore trasformo tutto in preghiera cercando di dar voce ai sentimenti, attese e richieste nascoste nel loro cuore. Molte volte, quando annuncio la misericordia del Padre e li aiuto a chiedere perdono dei loro peccati, al vedere i loro volti bagnati dalle lacrime, sono trascinato a piangere con loro.
Diocesi di Castanhal I Fidei donum di Brescia
É dentro la piccola comunità che si può vivere la Misericordia a tutti i livelli: dall’esercizio del perdono, alla visita e sostegno dell’ammalato, alla solidarietà con tutte le sofferenze. Se si riesce in questa impresa non si dovrebbe aver bisogno di tante strutture come supplenza a quanto già fa o dovrebbe fare il potere pubblico.
della tredici carceri ripetendo dentro di me: “Misericordia, misericordia! Signore, aiuta me e i miei volontari ad essere segno vivo della tua misericordia per questi tuoi figli e nostri fratelli, tra i più giudicati, condannati e esclusi non solo dalla società ma anche da noi cristiani e dalle nostre comunità”. Si, perché i tanti e accorati appelli rivolti in questi dieci anni a tante persone della mia diocesi di visitare i carcerati sono caduti nel vuoto. Sono pochi quelli che lavorano come volontari nella Pastorale Carceraria e che perseverano. E questi, alcuni dei quali abitano a 60 km dal carcere, sono veramente straordinari e non considerano la distanza un ostacolo per servire. Ogni mercoledì accompagnati da un diacono permanente visitano i detenuti della Triagem 1. L’80% dei detenuti dello Stato del Pará, che conta otto milioni di abitanti, scontano la loro pena nelle tredici carceri della località “Americano”, situata nel territorio della nostra diocesi di Castanhal. Molti padiglioni e un’infinità di celle, strette, senza aria, puzzolenti, immonde, in ciascuna delle quali sono stipate da 15 a 20 persone,
costrette ai turni per dormire. Ogni anno in questa settimana, con i laici della Pastorale Carceraria, visito quasi tutti i padiglioni e, dove è possibile, ogni cella portando con me la piccola immagine della Madonna tanto amata dalla nostra gente. É un momento di grazia per me e spero anche per loro. Un’esperienza unica che mi fa toccare e riconoscere nella loro carne la presenza viva di Gesù che si identifica con loro. Il quadro che incontro in alcune celle mi ricorda qualche scena dell’inferno dantesco: il volume altissimo di due o tre televisioni, la più turpe pornografia esposta sulle pareti, l’acre odore che esala dalla loro carne, i resti di alimenti gettati nel corridoio che marciscono nell’acqua ristagnante, le urla e volgarità di chi gioca a carte che si mescolano con quelle degli esorcismi dei proseliti delle chiese pentecostali che rifiutano apertamente la nostra presenza. Ogni volta ho la senzazione che sto scendendo nel più basso e mortale gradino del degrado umano. E penso che è proprio qui dove il Signore mi vuole e mi aspetta, é qui dove parrebbe assurda
La Diocesi è stata eretta il 29 dicembre 2004 con la bolla Ad efficacius providendum di Papa Giovanni Paolo II, ricavandone il territorio dall’Arcidiocesi di Belém do Pará e dalla Diocesi di Bragança do Pará. Nel 2006 contava 580.400 battezzati su 722.104 abitanti. Oltre a al Vescovo bresciano Mons. Carlo Verzeletti, nello stesso territorio operano anche i sacerdoti bresciani Don Pierino Bodei, originario della Parrocchia di Mazzano e ripartito per il Brasile nel 2000, e don Renato Soregaroli, della Parrocchia di Quinzano d’Oglio e anche lui ripartito per il Brasile nel 2009.
la sua presenza che Lui si fa incontrare. E in questi buchi scandalosi sempre incontro alcuni che si avvicinano alle sbarre della porta della cella e esprimono la gioia di essere visitati. Li guardo negli occhi e li ascolto attentamente mentre le mie mani attraversando le sbarre stringono le loro e guidato dal cuore trasformo tutto in preghiera cercando di dar voce ai sentimenti, attese e richieste nascoste nel loro cuore. Molte volte, quando annuncio la misericordia del Padre e li aiuto a chiedere perdono dei loro peccati, al vedere o loro volti bagnati dalle lacrime, sono trascinato a piangere con loro... Vorrei essere più presente tra loro. Sento che l’opera di misericordia corporale di visitare i carcerati è una sfida per me e per la mia diocesi. Sono più di 6.000 i detenuti che dobbiamo visitare e non abbiamo un sacerdote liberato per loro. Spero che oltre le cinque parrocchie, ciascuna delle quali si è impegnata ad accompagnare una casa penale, altre otto possano assumere quest’opera di misericordia e così garantire la presenza continua della chiesa. kiremba dicembre 2015
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i missionari raccontano
esperienze di misericordia brasile/3
giudicare o accogliere? don stefano Bertoni padre.estevao@yahoo.com.br
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el mezzo del mondo o ai confini del mondo, secondo come la si vuole pensare, Macapà è una cittá brasiliana posta esattamente sull’equatore e sulla riva del Rio delle Amazzoni. La Chiesa ha una storia abbastanza recente e c’è ancora l’entusiasmo di scoprire, giorno dopo giorno, il significato ed il valore della fede. Non si vuole restare indietro e si desidera partecipare al cammino della Chiesa nel mondo, per cui, avvicinandosi la data di apertura della Porta Santa della Misericordia, ci siamo riuniti per riflettere su come vivere questo nuovo Anno Santo. Stiamo pensando che non sarà sufficiente compiere segni di misericordia, dovrà essere l’intera pastorale ad essere “misericordiosa”, serviranno celebrazioni misericordiose, progetti misericordiosi, un pensare misericordioso, con un agire ecclesiale misericordioso. Una prima decisione: dobbiamo uscire dal tempio per entrare nelle case. Se la celebrazione ci ricarica e alimenta, l’andare incontro alle persone manifesta l’indole missionaria dell’ essere Chiesa e la
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la comunitÀ di nostra senhora de nazarÉ, la parrocchia di don stefano
preoccupazione per il nostro prossimo. Visitare le famiglie nelle moltissime piccole case, molte ancora di legno, qualcuna veramente povera, aiuta a ricucire una cultura di attenzione e desiderio di bene. Nella confusione della nostra periferia urbana brasiliana, dove l’istinto di sopravvivenza spinge a valorizzare unicamente il proprio interesse e la paura di essere assaltati e derubati ad ogni ora chiude la porta alla fiducia nel vicino, diventa ancora più oggetto di sfida essere una “Chiesa in uscita”. Altro passo per una pastorale misericordiosa: l’accoglienza paziente e rispettosa di chi non la pensa come noi in quanto riguarda la fede. Qui in Brasile è difficile. La metà di chi si professa cristiano appartiene ad una denominazione religiosa che noi classificheremmo come “setta” e spesso è arrogante e si prodiga nel denigrare la Chiesa Cattolica. Qualcuno che “è nato ieri”, teologicamente parlando, e che vuole insegnare e correggere la storica ed indefettibile Chiesa Cattolica. Come avere pazienza con l’ostinata ripetizione di critiche sempre
uguali, saldate fra loro dalla volontà di non dialogare? Ma la nostra difficoltá é inferiore alla prova che aspetta i cattolici italiani, nel ricercare un dialogo con il mondo musulmano, diviso, messo in discussuione dall’esistenza di uno Stato Islamico folle e terrorista. Eppure, anche stavolta, sará la misericordia a salvare il mondo, una misericordia che ostinatamente continui a presentare la Verità che è Gesù, per distinguere il bene dal male, che mai sarà giustificato. La misericordia deve essere il nostro modo di pensare i progetti pastorali: chi è che più ha bisogno, quali sono i “pastoralmente poveri”? A volte chi si trova in una situazione matrimoniale irregolare rientra in questa categoria e sembra proprio che Papa Francesco, con i Vescovi riuniti nel Sinodo sulla famiglia, indichi la misericordia come prassi dell’agire ecclesiale nei loro confronti. Ma anche i giovani ci chiedono una pastorale misericordiosa, i dubbiosi, i fragili nella fede, gli incostanti, tutti quelli che ancora non hanno saputo prendere una decisione di fede chiara. Che ne facciamo: giudi-
La misericordia è una chiesa aperta, una casa parrocchiale aperta, un cuore aperto. Misericordia è avere gli altri dentro di sé, con i problemi altrui che diventano i nostri, le gioie che si sommano e i dolori che si condividono. Misericordia è pregare intercedendo anche per coloro che appaiono come “nemici”; dove non c’è l’intercessione, entra il giudizio.
chiamo o accogliamo? Scartiamo o scegliamo? La decisione è sempre per una accoglienza, che non necessariamente significa accettazione, ma amorevole accompagnamento pastorale. Se andiamo a rileggere l’omelia del Papa in chiusura del Sinodo, si vede come Bartimeo, il “figlio dell’impuro”, che non aveva trovato misericordia nella sua situazione di emarginazione sociale e morale, la trova in Gesù e si decide a seguirlo. L’escluso diventa discepolo e figura esemplare per la fede che continua nella storia. Misericordia pastorale è decidere di destinare una percentuale delle entrate della cassa parrocchiale per finanziare i progetti della Caritas, anche quando si fa davvero fatica ad andare avanti e si teme di non farcela. La maggiore delle nostre quarantadue chiese della Parrocchia ha avuto un cedimento strutturale, nonostante i pochi anni di costruzione. É stato il famigerato cupim, un tarlo del legno che qui è ben conosciuto e che ha mangiato la parte delle colonne di legno che stava sotto il pavimento: poteva crollare la chiesa e abbiamo dovuto
togliere il tetto e rifarne la struttura, passando dal legno al ferro, per un totale di trentamila euro, che qui in Amazzonia sono ancora di più di quello che valgono a Brescia. Ma la decisione è chiara: se qualcuno ha fame, non diremo mai di no ed i progetti di carità avranno sempre le risorse necessarie. La catechesi diventa “misericordiosa” quando mette al centro la misericordia di Gesù, racconta e vive la parabola del Padre misericordioso, sa aspettare chi cammina più lentamente e sempre si mette a cercare l’ultima pecora persa, senza accontentarsi di quelle che se ne stanno tranquillamente in chiesa, neppure se fossero il novantanove per cento. La catechesi di una “pastorale misericordiosa” bussa alle porte delle case e sa agire sul territorio, senza chiudersi nelle sale del centro parrocchiale. Promuove incontri nelle scuole e in ambienti pubblici sui principali temi che provocano sofferenza nelle famiglie. Deve essere una catechesi che evangelizza con l’amore, prima ancora che con il contenuto. Bisogna dare priorità allo sguardo be-
nevolo, alle relazioni cordiali, con totale assenza di desiderio di dominazione. Anche la segreteria parrocchiale sia luogo di misericordia, dove chiunque possa presentarsi senza la paura di risposte del tipo: “mi dispiace le iscrizioni al catechismo sono chiuse!”, come se qualcuno che vuole seguire Gesù potesse sentirsi dire che deve aspettare il proprio turno, che per intanto non si può. La misericordia è paziente e sa camminare con lo stesso passo del più lento, per cui ci si ferma a spiegare nuovamente quel progetto pastorale che ancora non tutti hanno compreso e che si voleva attuare subito, ma si aspetta. La misericordia non comanda, propone. La misericordia tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. E non esiste misericordia senza perdono, che significa donare futuro. In Brasile è difficile educare e educarsi al perdono, che non sembra una delle possibilità da prendere in considerazione. La vendetta, sotto differenti forme, appare come prima opzione. La forza riconciliatrice dell’Anno Santo dovrà stimolarci molto in questa direzione. kiremba dicembre 2015
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Animazione missionaria el salvador
un paese di martiri ANSELMO PALINI anselmo.palini@alice.it
A
chi arriva per la prima volta in Salvador, passando in macchina per le strade della capitale, in un traffico incredibile, la prima cosa che balza all’occhio sono le persone armate presenti dappertutto: davanti a qualsiasi negozio minimamente decente, a qualsiasi locale, alle scuole, alle pompe di benzina, alle pizzerie, davanti anche agli ingressi di diverse parrocchie, davanti all’Arcivescovado… uomini armati, vigilantes con un fucile ben visibile. E nelle zone bene della città ancora vigilantes ma con la camicia bianca e, al posto di un ingombrante fucile, moderne pistole. Il Salvador è un Paese attanagliato dalla violenza. Nei mesi scorsi vi stata una media di 25 morti ammazzati al giorno. Domenica 16 agosto si è raggiunto il record con 40 persone assassinate, e nei giorni successivi si è andati oltre e si è arrivati, martedì 18 agosto, a 43. Da 1° al 25 agosto vi sono stati 700 morti ammazzati. Un record, scrivono i giornali salvadoregni; nel mese precedente erano stato 677. E questo in un paese con meno di nove milioni di abitanti. La criminalità organizzata, le pandillas e le maras, controllano 16
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un murales a ricordo di mons.romero e dei martiri del salvador
intere zone del paese e quartieri della capitale, dove è vivamente consigliato non andare. Come pure ti consigliano di non prendere i vecchi bus da trasporto, poiché si rischiano delle rapine e anche per i taxi è bene farsi consigliare poiché non pochi sono abusivi e in mano alla criminalità. Ma fortunatamente il Salvador che ho incontrato è anche e soprattutto altro, un paese dove il sangue dei martiri sta fecondando la terra. Il nuovo Salvador ha il volto ad esempio degli anziani mons. Gregorio Rosa Chavez e mons. Ricardo Urioste, che furono stretti collaboratori di mons. Romero e che continuano ad annunciarne il messaggio. Ha il volto di Maria D’Aubuisson, che collabora con la Fondazione Oscar Romero portando il peso di un cognome che ricorda a tutti il mandante dell’assassinio di mons. Romero, suo fratello, il maggiore Roberto D’Aubuisson, che fu uno dei capi degli squadroni della morte. Ha il volto gioioso di Mirna Perla, già magistrato della Corte Suprema e vedova di Herbert Sanabria assassinato dai militari nel 1986; di Guadalupe Mejia, madre Guadalupe come tutti la chiamano, an-
che lei il marito torturato e assassinato dai militari, dal 1981 impegnata nella ricerca della verità per i migliaia di desaparecidos. Il nuovo Salvador ha il volto dello scalabriniano padre Mauro Verzeletti, coordinatore della pastorale dei migranti per la diocesi della capitale, impegnato a difendere i diritti dei migranti che a migliaia vengono respinti al confine con Messico e Stati Uniti; e molti di questi finiscono nel moderno elenco dei desaparecidos poiché di loro non si hanno più notizie. Ha il volto della suorina che, all’Hospedalito della Divina Provvidenza, dove Romero è stato assassinato, ci offre i suoi ricordi di quel giorno drammatico. Ha il volto di Jon Sobrino, sopravvissuto al massacro dei gesuiti dell’Uca poiché era all’estero; e anche il volto di tutti coloro che in questa università continuano con determinazione a formare i cittadini del nuovo Salvador. Fra i docenti, una torinese, Beatrice del Carrillo. Il nuovo Salvador lo troviamo anche a La Bermuda, in mezzo a un bosco, dove nel marzo 1983 è avvenuto un massacro con la morte di oltre venti campesinos e l’arresto di Marianella Garcia Villas che,
Il Salvador che ho incontrato è anche e soprattutto un paese dove il sangue dei martiri sta fecondando la terra. Il nuovo Salvador ha il volto ad esempio degli anziani mons. Gregorio Rosa Chavez e mons. Ricardo Urioste, che furono stretti collaboratori di mons. Romero e che continuano ad annunciarne il messaggio.
portata a San Salvador in una caserma militare, verrà torturata e assassinata. Poco distante dal luogo nel massacro, una comunità di una sessantina di famiglie ha scelto come nome “Comunità Marianella Garcia Villas” e su un muro di fronte alla piccola chiesa un grande murales ricorda il sacrificio di Marianella. A pochi chilometri di distanza da La Bermuda, i paesi di Aguilares e Al Paisnal, i paesi di Rutilio Grande, il primo assassinato dell’episcopato di Oscar Romero. Murales e manifesti ricordano i due amici, periti entrambi perchè fedeli al vangelo di pace e di giustizia. Il nuovo Salvador ha il volto di Luis Cotero e Sonia Lara, che ci hanno accolto nella parrocchia di San Roque, dove sono cresciuti alla scuola del milanese don Cesare Sommariva e del bresciano don Andrea Marini: Sonia dirige la scuola “La Rosa Blanca” e Luis è impegnato nella pastorale; in entrambi notiamo grande preparazione e spiccata capacità di analisi. Il nuovo Salvador ha il volto della milanese Mariella Tapella, da 29 anni nel paese centroamericano, impegnata in progetti di promozione sociale alla luce di un
vangelo di pace e di giustizia. Mariella, cresciuta in Pax Christi alla scuola di don Tonino Bello e di mons. Luigi Bettazzi, ci parla con entusiasmo dell’enciclica “Laudato si’” e del metodo latinoamericano che lì emerge chiaramente: vedere, giudicare, agire, celebrare. Il nuovo Salvador l’abbiamo trovato anche nelle istituzioni incontrate. Come nel segretario di cultura della Presidenza della Repubblica, il dott. Ramon Rivas, impegnato in collaborazione con le Università a ricostruire la Memoria Storica del Paese, per non dimenticare ciò che è accaduto negli anni di guerra. Così pure nella vice ministra degli esteri, Liduvina Magarin, e nei suoi collaboratori, che vorrebbero trovare il modo per far sì che la figura di Marianella Garcia Villas abbia lo spazio che merita nella storia di questo paese. E ha anche il volto dell’ambasciatrice italiana e del prof. Mario Micheli, delegato dal rettore dell’università di Roma3 a seguire i progetti di cooperazione allo sviluppo. Il nuovo Salvador, continuando, ha il volto di Fidel Nieto e Dagoberto Gutierrez che, dopo essere stati impegnati nella guerriglia contro la dittatura come comandanti, ora guidano l’Università Luterana e cercano di formare i cittadini di domani. Infine il nuovo Salvador l’abbiamo visto riunito al funerale di padre Pedro De Clercq, sacerdote belga da quarant’anni in Salvador, un punto di riferimento per le comunità ecclesiali di base del Paese. Dopo la messa presieduta dall’arcivescovo al Despertar, “un lugar de mártires”, ci dicono, perché lì venne trucidato padre Octavio Ortiz con quattro suoi ragazzi, tutta una notte di veglia e di omaggi per padre Pedro: canti, balli, testimonianze. Tutto attorno alla bara e sui muri striscioni delle comunità di base, immagini di padre Pedro, di mons. Romero, di padre Octavio Ortiz. Ecco, questo è il nuovo Salvador che sta nascendo in una terra irrorata dal sangue dei martiri. kiremba dicembre 2015
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animazione missionaria
esperienze estive: brasile
É rimasta un’impronta nel cuore
DON GIGI GUERINI gueriniluigi@libero.it
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ro qui il decimo giorno. E qui il vento è sempre impetuoso, anche se non si addice al sereno del cielo. In questa vastità ha la libertà di soffiare sempre e di farsi ascoltare: suona una sorta di musica, ricorda un sospiro. Lo accompagna, con il suo calmo sottofondo, l’oceano. Grigio e splendente, la sua acqua scurisce appena l’argenteo colore della sabbia di cui si veste. Camminando sopra di essa ho notato che più mi soffermavo su di un passo e più sprofondavo, lasciando che i miei piedi fossero avvolti da un piacevole, soffice tepore. Ora è giunta l’ora di tornare. Bisogna seguire le impronte lasciate nella sabbia e ripercorrere questi passi, questi giorni. La proposta di intraprendere questo viaggio mi era piovuta addosso all’improvviso da Don Gigi e ne fui immediatamente entusiasta: nuovi luoghi, nuovi amici, nuovi popoli ed una realtà completamente diversa da quella che conoscevo. Passo dopo passo rivedo tutti i luoghi e le esperienze del viaggio: la lunga traversata in aereo, il caldo del primo passo nel Nuovo Mondo, gli spostamenti coi furgoncini
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attraversando il rio
Volkswagen anni 60 dei seminaristi, Castanhal e la S.Messa nella sua meravigliosa cattedrale, il viaggio fino a Viseu sul pulmino “Escolar”, la terra rossa della strada e lo scroscio di pioggia, i ponti di legno e l’arrivo alla piccola città sul fiume. Seguo le mie orme e ricordo cosa abbiamo visto in quella cittadina: nella piazza, nella casa parrocchiale, nelle strade, sulla spiaggia, sul rio Gurupì, al Cenobio dove dormivamo... Ricordo dei posti che abbiamo visto e di ciò a cui abbiamo assistito: i canti e i balli con cui ci hanno accolto, le performance teatrali di Capoeira, e le danze che ci hanno intrattenuto per alcune sere; l’entusiasmo dei bambini per quel poco che abbiamo fatto per farli giocare, le case in cui siamo entrati, quelle in cui siamo stati ospitati per la notte, le comunità vicine in festa per il nostro arrivo, le strade, le moto e le barche con cui abbiamo viaggiato nei dintorni per un’intera giornata, le “piscine fluviali” in cui ci siamo rinfrescati... Vedo alcune impronte particolari camminando e i ricordi si focalizzano su quella esperienza: un paio di giorni sull’oceano. Mi guardo intorno: io sono di nuovo qui
ora. Ricordo delle amache sulla palafitta, del bagno nell’oceano, della scorpacciata di pesce e granchi, del falò durante la notte a confrontarci mentre guardavamo la volta celeste... Riprendo il cammino e torno a vedere gli ultimi giorni a Viseu: le partite di calcio, le ultime feste, le ultime case e negozi visitati e l’ultimo “Cafezinho!” Questa nuova impronta che vedo mi richiama alla partenza e ai saluti dati a Viseu ed ai suoi abitanti. Quella successiva, alla tappa intermedia a Curupaitì: all’accoglienza nelle case, alla missione di evangelizzazione parrocchiale, alla S.Messa nella grande chiesa in costruzione, alle scuole dei piccoli sul retro, alla grande festa con balli e canti religiosi a ritmo di discoteca (la Cristoteca), agli addii praticamente immediati che hanno seguito questa marea di eventi. Inizio a vedere vicine le palafitte e quindi la fine delle impronte: vedo il viaggio di ritorno a Belém, i pochi giorni in cui vi siamo rimasti con i seminaristi, le strade e i grattaceli, il Rio e i mercati, la passeggiata sulla sua sponda presso la Estaçao das Do-
Pastorale giovanile
Da Monticelli e Passirano Nel movimento di giovani che ogni anno partono da Brescia per vivere durante l’estate un’esperienza in missione, anche gli oratori e le parrocchie si adoperano per far conoscere da vicino la realtà missionaria di Brescia nel mondo. Il valore aggiunto di questa esperienza, non è nel viaggio, ma sopratutto nel ritorno a casa, vero e autentico luogo di annuncio e testimonianza del Vangelo. I veri frutti
del’esperienza condivisa con i missionari durante l’estate, maturano solo se una volta rientrati si vive il Vangelo nella quotidianità. Per alcuni giovani l’esperienza estiva è solo il preludio ad altre esperienze più lunghe e magari anche più profonde o a scelte di vita e di studi che poi caratterizzano il cammino di chi è capace di mantenere viva la fiamma che lo Spirito accende durante queste esperienze.
cas e il giardino zoo-ornitologico, finendo con l’aereoporto in cui eravamo arrivati. Le orme si interrompono, ma non le emozioni che provo al ricordo di tutto quello che c’è stato: perché la vera commozione, i veri sentimenti che abbiamo provato sono sicuramente da attribuire alle persone, al popolo che abbiamo incontrato. In tutto ciò che abbiamo visto, in tutti i luoghi dove siamo stati o dove siamo anche solo passati, ciò che ha permesso che l’impronta divenisse indelebile nel nostro cuore e nelle nostre menti è stato l’approccio con cui la gente si è avvicinata a noi: con un’infinità di abbracci ed affetto questo popolo ci ha accolto in festa ogni giorno. C’è stato chi veniva fermato per strada per una foto, per una parola, per poter mostrare qualcosa, e ogni giorno in più di permanenza faceva aumentare il numero di coloro che ci invitava a vedere, parlare, ascoltare... Quando siamo stati ospitati nelle loro case, queste persone, che vivono perennemente nel bisogno, ci hanno dato tutto, incuranti delle difficoltà che la loro prodigalità gli avrebbe potuto procurare, ma solo entusiasti di poter lasciare nei nostri cuori una piccola parte di loro. Non ci è stato permesso di rifiutare e più di una volta ci è pianto il cuore a ricevere così tanto. La nostra missione, che tanto credevamo sarebbe stata di portata umanitaria, si è rivelata molto più di portata spirituale. Abbiamo cercato di lasciare (e volevamo lasciare), per quel poco che abbiamo fatto, qualcosa di nostro per loro e per la loro vita, ma non tutti siamo rimasti soddisfatti del lavoro compiuto, perché è sembrato di lasciare troppo poco. In realtà, e ci è stato ribadito più di una volta, che il tempo che gli abbiamo dedicato rispondendo al loro affetto e al loro desiderio di avere qualcuno con e per loro, gli ha regalato qualcosa che gli è valso più del lavoro che altri avrebbero potuto compiere fisicamente senza concedergli altro che qualche sguar-
do o parola tra una pausa ed un’altra. A loro manca molto una cultura che li protegga da soprusi, superstizioni e talvolta anche da loro stessi ed il confronto è stato un passo, per quanto minuscolo, con cui noi, forse inconsapevolmente, li abbiamo aiutati. Davanti ad una tale realtà, costantemente impregnata di una fede semplice e vissuta intensamente, non potevamo evitare di assorbire qualcosa che, vuoi spiritualmente o personalmente, ci avrebbe arricchito e cambiato. Il nostro modo di vedere le cose, di vivere le situazioni, di affrontare certe paure o certi ostacoli, sia concreti che interiori, è stato inevitabilmente modificato. Credo che per tutti si possa dire che sia stato migliorato. Da una maggiore consapevolezza, da una conoscenza più profonda, da una sensibilità più intensa, da un desiderio di pace più sincero. Ed in primis abbiamo ricevuto da chi ci aspettava là ed ha accompagnato i nostri giorni: Gabriella, che ci ha guidato in veste di missionaria laica a Viseu e di maestra di vita, padre Romulo con la sua allegra risata e il suo affetto sincero nei confronti di ognuno di noi, Raimunda, con la sua felicità contagiosa e mai disanimata che invadeva la tavola che ci imbandiva, i seminaristi, padre Pedro, dom Carlos (Vescovo di Castanhal), che ci hanno guidato nei giorni passati nelle altre città con tante parole sagge e di amicizia. É venuta sera e, risalendo le scale della palafitta, personalmente, mi sento di ringraziare Dio, perché mi sono innamorato di questa esperienza e spero che la lontananza non affievolisca ciò che è nato nel mio cuore, per gli amici che mi ha fatto incontrare, per ciò che mi ha fatto vedere e capire, per la botta di energia che ha dato alla mia fede, per i propositi che mi ha aiutato ad intraprendere ed il grande abbraccio in cui mi ha stretto durante questo viaggio. Qui, lontano dalla civiltà, le stelle sono più luminose. Alzo lo sguardo al cielo. Vedo una stella cadente. kiremba dicembre 2015
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animazione missionaria Esperienza
“Comboni Samarithan” Il paese che ci ha ospitato è Gulu, una terra che fino a pochi anni fa ha vissuto una violentissima guerra civile scatenata da Kony e dal suo esercito di ribelli il cui obiettivo era eliminare completamente la popolazione Acholi. La missione che ci ha ospitato si chiama“Comboni Samarithan” e si occupa di numerosi progetti: la fattoria dove vengono allevati animali e coltivati campi, il dispensario per le medicine e le cure mediche, la cooperativa dove lavorano persone
disabili o sieropositive, il nido che accoglie numerosi bambini, il micro-credito che ha permesso a molte persone che si trovano in situazioni di vulnerabilità di iniziare una piccola attività commerciale, il sostegno per il pagamento della scuola per i bambini, la visita alle famiglie per rispondere dove necessario ai bisogni primari delle persone, la gestione di un piccolo bar e della guest house che accoglie i volontari.
esperienze estive: UGANDA
tra i bimbi di st.jude Mara Parzani maruccia86@hotmail.it
G
iulia, Mara e Flavia sono tre ragazze bresciane che, dopo aver frequentato il corso “Nuovi stili di Viaggio” proposto dal Centro Missionario, sono partite per un’esperienza in Uganda. In queste righe troviamo la descrizione della loro esperienza. “Apwoyo Matek”, con questa parola, che significa “grazie mille” in lingua Acholi, potremmo riassumere tutto quello che abbiamo vissuto nelle tre settimane in Uganda. Il bello della nostra esperienza è che siamo state in Africa non per costruire case o insegnare qualcosa agli Acholi, ma abbiamo avuto l’occasione di incontrare una cultura e una realtà diverse dalle nostre. L’entrare in contatto diretto con le persone che andavamo a trovare, ci ha permesso di condividere uno stralcio della loro quotidianità, una quotidianità povera e semplice. Ed è così che siamo rimaste affascinate dalla loro capacità di ringraziare per quel poco che hanno e dalla loro capacità di perdonare e di affidarsi a Dio.
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Uno dei momenti vissuti da giulia, mara e flavia
L’aspetto per noi più difficile da affrontare è stato quello di evitare di guardare e giudicare le situazioni secondo la nostra concezione occidentale. Essere a Gulu non è essere a Lumezzane, a Iseo o a Brescia! Questo significa tenere sempre in considerazione il contesto sociale in cui la popolazione locale è cresciuta che è totalmente differente dal nostro per la diversità di risorse di cui dispone. Prima di criticare è sempre necessario conoscere la storia che una persona o una realtà ha alle spalle per fermarsi e capire il motivo per cui è così. Nonostante questo alcune domande restano e probabilmente non si possono cancellare, ma fare uno sforzo di comprensione è un buon punto di partenza. Certamente quando si parla di Africa, non si può non parlare di bambini; sbucano da tutte le parti, da una piccola capanna ne escono sei o sette alla volta, i più grandi si occupano dei più piccoli, corrono liberamente nelle strade di terra rossa, giocano con qualsiasi cosa trovano e appena vedono un muzungu (cioè l’umo bianco) gli corrono incontro e fanno
a gara per essere presi in braccio. Far divertire i bambini africani è sempre una soddisfazione perché partecipano con grande entusiasmo a qualsiasi attività si proponga loro e i loro volti sempre sorridenti riempiono proprio il cuore di una grande gioia! Uno dei momenti per noi più significativi è stata la visita all’orfanotrofio St.Jude che accoglie bambini disabili abbandonati e bambini orfani. Giocare con questi piccoli, vedere i loro sorrisi quando abbiamo donato loro dei semplici pastelli, gustare con loro un biscotto, vederli ridere e rotolarsi nel prato è forse stata una delle emozioni più forti che questo viaggio ci ha regalato. Naturalmente, in questa esperienza non sono mancati il safari, i bellissimi tramonti e le bellissime albe o i magnifici cieli stellati, ma ciò che portiamo più nel cuore sono le persone incontrate con i loro sguardi, i loro sorrisi e le loro parole. Tutti sempre pronti ad accogliere e ringraziare perché finché qualcuno si ricorda di loro significa che Dio continua a voler loro bene.
Insieme
Da Manerbio Mercoledì 12 agosto si parte da Manerbio, direzione Mozambico: siamo in 16, ognuno con la sua storia, le sue attese, i suoi sogni e le sue domande. Chissà che cosa ci regalerà questa esperienza di missione! Siamo stati accolti dalla congregazione della Sacra Famiglia a Marracuene, a 30 km dalla capitale mozambicana di Maputo: ci siamo sentiti da subito accolti benissimo come in una calorosa famiglia sia dai padri che dai frati della
comunità, come dai giovani della parrocchia che ci hanno accompagnato in queste tre settimane: ognuno di noi ha potuto percepire la bellezza dei gesti semplici di accoglienza, delle attenzioni riservate a ciascuno, del “sentirsi a casa” pur essendo lontani dal proprio paese. Sentiamo proprio di dire grazie a chi ci ha accolto: abbiamo trascorso insieme un tempo di grazia che ci ha aiutati a percepire le “diversità” come ricchezze che ci completano.
esperienze estive: mozambico
un dono reciproco don oscar la rocca larocca82@gmail.com
L
’Africa affascina, il Mozambico è davvero bello, ma soprattutto la sua popolazione: accogliente, sorridente, piena di fede vera e genuina: abbiamo toccato con mano, abbiamo ascoltato il cuore di questi fratelli e sorelle che non si vergognano del Vangelo, che sono orgogliosi di essere cristiani e cattolici, che non si preoccupano dello scorrere del tempo quando questo è dedicato a Dio. Quanta bellezza è tornata a casa con noi! Il Mozambico è un Paese giovane, molto giovane e, ad ogni angolo, incontri bambini e ragazzi che sono felici di incontrarti e salutarti. I problemi non mancano in questa terra, le sfide sono tante, come del resto forte è il desiderio e l’ambizione dei giovani allo studio per comprendere, per crescere e diventare cittadini consapevoli e responsabili! Nella nostra esperienza di missione abbiamo visitato e conosciuto la realtà educativa e scolastica della Sacra Famiglia a Marracuene, per poi raggiungere alcuni villaggi vicini dove
il gruppo insieme a don piero marchetti brevi (quinto da destra)
abbiamo fatto animazione con i bambini e visitato e benedetto le famiglie del posto: non puoi dimenticare i sorrisi di quei piccoli, la loro gioia nel giocare, le lacrime che ti scendono sul viso mentre si divertono con le bolle di sapone. E poi questo “graças a Deus” immancabile sulla bocca di grandi e piccoli che ci ha fatto scoprire la limpidezza di una fede vera e profonda. Abbiamo anche trascorso due giorni nella savana nella comunità di Matsinana a pochi chilometri a Marracuene: forse proprio questa è stata l’esperienza più forte del nostro viaggio. Questo piccolo villaggio ha aperto le porte della sua chiesetta e ci ha ospitato dolcemente mettendo a nostra disposizione stoviglie, pentole, acqua, legna, tutto ciò che nella loro situazione povera ci ha fatto sentire ancora una volta a casa! Le parole che ci hanno rivolto sono scolpite nei nostri cuori: “Ringraziamo il Signore perché voi siete stati un dono, il Suo dono”… “voi siete il frutto delle nostre preghiere” … “vi ringraziamo perché non avete disprezzato la
nostra acqua”… “quando ritornerete a Brescia ricordatevi di questa comunità di Matsninana dedicata a San Paolo”. Non vi dimenticheremo mai, promesso! KANIMAMBO! (“grazie” in lingua ronga). Nei giorni successivi il nostro gruppo si è spostato a Maxixe – Mongue (a 600 km a nord di Marracuene), dove la Sacra Famiglia guida un’altra missione: abbiamo avuto la preziosa opportunità di visitare la “nostra” missione diocesana di Morrumbene guidata da don Piero, il centro catechistico per la Famiglia di Guiua, l’università pedagogica di Maxixe e di conoscere così altri fratelli e sorelle che ci hanno guidato in questa terra benedetta dal Signore. “Graças a Deus”: Lui ci ha permesso di vivere un’esperienza meravigliosa, coinvolgente e sicuramente da ripetere. Sentiamo ancora una volta il piacere di ringraziare don Carlo e tutta l’equipe del CMD: ci avete accompagnato con sollecitudine a scoprire il significato vero di missione, ve ne siamo immensamente grati ed ora speriamo di poter vivere qui ciò che abbiamo imparato là! kiremba dicembre 2015
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Orizzonti infanzia missionaria
I BAMBINI AIUTANO I BAMBINI SUOR NELIDA CRIVELLI hnelidaic@gmail.com
C
arissimi amici di KIREMBA: penso a ciascuno di voi e cerco di immaginare da dove viene il vostro grande amore per le missioni. Forse da piccoli avete sentito missionari/e parlare delle famiglie e dei bambini di altri continenti. Avete imparato a pregare per loro, a fare qualche rinuncia per offrire un piccolo aiuto ai bambini più bisognosi perché avessero una casa, il pane, la scuola, perché conoscessero Gesù. Oppure siete stati fra loro? Avete visto i loro occhi, i loro sorrisi? Avete ricevuto i loro abbracci? Avete giocato insieme? Avete fatto qualche servizio di volontariato in mezzo a loro? Ancora oggi, molti di voi, cercano di custodire questo “fuoco” trovandosi in un gruppo di animazione missionaria, seguendo le notizie e testimonianze dei missionari, pregando, lavorando con molta creatività per sostenere qualche progetto. Questo è proprio bello e vale la pena portarlo avanti. Ma sembra che oggi non basta quello che facciamo! Sentiamo che lo Spirito ci spinge ad animare la dimensione missionaria nelle nostre comuni-
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incontro di gruppi dell’infanzia e adolescenza missionaria
tà cristiane. Forse possiamo cominciare coinvolgendo i bambini e gli adolescenti. Ecco la “Infanzia e Adolescenza Missionaria” (IAM)! Che cosa è la IAM? Facciamo un poco di storia per capire come è nata. A metà dell’Ottocento un vescovo francese, Monsignor Charles de Forbin-Janson, rimase sconvolto dalle notizie che arrivavano dalla Cina riguardo ai bambini che morivano senza aver ricevuto il battesimo. Rammaricato per non poter partire personalmente come missionario, egli chiese consiglio a Pauline Jaricot, fondatrice della Pontifica Opera della Propagazione della Fede. Lo scambio di idee tra i due fu illuminante e Monsignor de Forbin-Janson ebbe l’idea di coinvolgere i bambini della Francia in modo che essi, tramite la preghiera e la collaborazione materiale, potessero aiutare i loro coetanei cinesi. “Un’Ave Maria al mese, un soldino al giorno”, questo fu l‘impegno preso sin dal primo momento da ogni bambino. Era il 1843. Anni dopo verrà coniato il motto “i bambini aiutano i bambini”, che ben sintetizza l’intuizione del fondatore e il carisma dell’Opera. Rendere i bambini protagonisti della vita
della Chiesa era un’idea rivoluzionaria. In breve tempo molti paesi aderirono all’iniziativa e all’Opera. Il 3 maggio 1922 Papa Pio XI la fece sua riconoscendola come Pontificia. Il 4 dicembre del 1950 Papa Pio XII istituì la Giornata Mondiale della Santa Infanzia. Oggi la Pontificia Opera della Santa Infanzia ha messo radici in più di 150 paesi. É cresciuta, si è arricchita. Ci sono milioni di “piccoli missionari” distribuiti nelle parrocchie, nelle scuole e nei movimenti dei cinque continenti! Così è nata la IAM! Adesso possiamo definirla: È un Opera della Chiesa, che anima e forma missionariamente bambini e ragazzi (fino ai 17 anni) e i loro educatori, affinché essi vivano la comunione ecclesiale missionaria, realizzino la loro missione locale e contribuiscano con la loro cooperazione missionaria all’evangelizzazione universale, specialmente quella dei bambini. Quali sono gli obiettivi della IAM? Concretamente, gli obiettivi sono: •Aiutare gli educatori a risvegliare progressivamente nei bambini e negli adolescenti la coscienza missionaria universale in modo che i bambini aiutino i
bambini, con le loro preghiere, sacrifici, aiuti materiali. • Approfondire la dimensione missionaria che scaturisce dal battesimo per favorire, in questo modo, l’iniziazione cristiana dei bambini e degli adolescenti alla missione della chiesa. • Aiutare i bambini e gli adolescenti a sviluppare il loro protagonismo missionario. • Dare apertura missionaria all’educazione cristiana. • Incoraggiare i bambini e gli adolescenti a condividere la loro fede e i loro beni materiali, specialmente con i bambini delle regioni e delle Chiese più bisognose. • Promuovere le vocazioni missionarie. • Integrarsi nel programma pastorale generale dell’educazione cristiana, apportandovi la proiezione missionaria dell’Opera. Chi può partecipare della IAM? Possono essere membri della IAM tutti i bambini e gli adolescenti battezzati fino ai 17 anni (da 4 a 12 sono considerati bambini; da 12 a 17, adolescenti). Cosa fa il bambino o l’adolescente missionario? Un bambino/adolescente missionario:
• Aiuta con la sua offerta economica i bambini/adolescenti più bisognosi del mondo. • Comunica lo spirito missionario ad altri bambini/adolescenti e sostiene i servizi missionari degli altri gruppi della sua comunità. • Collabora nelle attività missionarie della parrocchia. • Tiene la comunicazione con i bambini/adolescenti missionari dei paesi di missione. • Realizza altri servizi in favore dei bambini/adolescenti. • Partecipa alle attività della IAM, specialmente agli incontri periodici del gruppo, alla Giornata Mondiale della IAM e, secondo le sue possibilità, ad altri servizi che quest’opera offre. Quali sono gli impegni che assumono i bambini e gli adolescenti missionari? I bambini e gli adolescenti della IAM s’impegnano a vivere cinque consegne attraverso le quali tengono unite la spiritualità cristiana con la dimensione apostolica e missionaria: • Conosciamo Gesù! Lo conoscono ascoltando la sua Parola
e parlando con Lui, imparando a vivere con Lui e come Lui; facendo ogni giorno la “scuola di Gesù”. • Preghiamo! Pregano, sia personalmente che in gruppo, per i bambini non cristiani del mondo, per i bambini e gli adolescenti più bisognosi e per sé stessi, per essere forti. • Facciamo dei sacrifici! Come Gesù ha offerto la sua vita al Padre, così i bambini/adolescenti missionari cercano di accettare e offrire le proprie sofferenze della vita quotidiana per il bene delle missioni. Con gioia e generosità condividono la loro fede e danno, ad ogni incontro, la loro offerta concreta. • Partecipiamo ai sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia! Con questa consegna ogni bambino e ogni adolescente missionario imparano a partecipare all’Eucaristia domenicale e a vivere la Riconciliazione frequentemente. Così i bambini/adolescenti missionari si uniscono, in Gesù, a tutti i loro fratelli. •Siamo missionari! I bambini/adolescenti si sentono inviati dallo stesso Gesù per essere i suoi piccoli grandi missionari nella loro famiglia, a scuola, con gli amici, in parrocchia… Sono missionari “al di là delle frontiere” facendosi vicini a tutti i bambini del mondo con la loro preghiera, l’interessamento a quello che vivono, le offerte che fanno. In questo modo, i bambini/adolescenti missionari danno testimonianza di vita con il loro servizio gioioso, umile, semplice, solidale e generoso. “Fanno amici per Gesù”. Con la testimonianza e con le parole fanno in modo che altri bambini/ adolescenti desiderino a loro volta essere amici di Gesù e missionari per Gesù! Vi saluto nella mia lingua come salutano i bambini e adolescenti della IAM: De los niños y adolescentes del mundo: ¡Siempre amigos! Con Jesús y Maria: ¡Misioneros todo el dìa! Per approfondire seguite questo codice Qr . kiremba dicembre 2015
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La gioia ovunque Preghiera iniziale
Formazione & spiritualità
Un cuore gioioso è il normale risultato di un cuore che arde d’amore. La gioia non è semplicemente una questione di temperamento, è sempre difficile mantenersi gioiosi: una ragione di più per dover cercare di attingere alla gioia e farla crescere nei nostri cuori. La gioia è preghiera; la gioia è forza; la gioia è amore. E più dona chi dona con gioia. Ai bimbi e ai poveri, a tutti coloro che soffrono e sono soli, donate loro sempre un gaio sorriso; donate non solo le vostre premure,
ma anche il vostro cuore. Può darsi che non si sia in grado di donare molto, però possiamo sempre donare la gioia che scaturisce da un cuore colmo d’amore. Se nel vostro lavoro incontrate difficoltà e le accettate con gioia, con un largo sorriso, in ciò, al pari di molte altre cose, vedrete le vostre opere buone. E il modo migliore per dimostrare la vostra gratitudine consiste nell’accettare ogni cosa con gioia.
Formazione
La preghiera, la formazione, la spiritualità sono l’anima di ogni azione autenticamente evangelica ed ecclesiale. Per questo in ogni numero cerchiamo di offrire spunti di riflessione, temi di approfondimento, proposte di preghiera personale e comunitaria.
La gioia del Vangelo claudio treccani claudio@cmdbrescia.it
L
La gioia nasce dai valori del Vangelo, dall’accoglienza dell’amore del Padre verso di noi e verso tutti ma soprattutto dalla consapevolezza che questo amore non è riservato ai credenti ma è donato a tutti e a partire dagli ultimi, dai più poveri, dai più bisognosi. 24 kiremba ottobre 2013
a gioia del Vangelo è l’esperienza che più di tutte trasmette i valori del Regno di Dio a chi ci sta intorno, a chi ci vede e a chi ci ascolta. Vivere questa esperienza, come stile di vita, è la testimonianza più efficace per irradiazione. Mentre rimane fondamentale l’annuncio e la testimonianza del Vangelo, è altrettanto importante come lo facciamo, con quale entusiasmo. La gioia è un valore che non s’improvvisa e non può essere il risultato di uno studio a tavolino, la gioia del Vangelo o c’è davvero o non la si costruisce e nemmeno sostituisce semplicemente con una maschera. Cercare questa gioia e sperimentarla è un esercizio quotidiano è una costante scoperta di ogni giorno, è lo stupore del bene che vince sul male. Questa gioia è come la nascita di un bambino, segno che Dio non è stanco di questa umanità che soffre, che lotta e che grida giustizia, amore, perdono. La gioia del Vangelo è il segno di un’umanità che, seppur consapevole di essere peccatrice, sperimenta il perdono del Padre attraverso la riconciliazione. Parola della Chiesa 1. La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si
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kiremba dicembre 2015
lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni. 2. Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e
Per una gioia diffusa Preghiera finale Se sarete colmi di gioia, la gioia risplenderà nei vostri occhi e nel vostro aspetto, nella vostra conversazione e nel vostro appagamento. Non sarete in grado di nasconderla poiché la gioia trabocca. La gioia è assai contagiosa. Cercate, perciò, di essere sempre traboccanti di gioia dovunque andiate. La gioia dev’essere uno dei cardini della nostra vita. E’ il pegno di una personalità generosa. A volte è altresì un manto che avvolge una vita di sacrificio e di donazione di sé. Una persona che possiede questa dote spesso raggiunge alti vertici. Splende come un sole in seno a una comunità. Che Dio vi renda in amore tutto l’amore che avete donato o tutta la gioia e la pace che avete seminato attorno a voi, da un capo all’altro del mondo (Madre Teresa di Calcutta)
permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito che sgorga dal cuore di Cristo risorto. 3. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore». Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte. Questo è il momento per dire a Gesù Cristo: «Signore, mi sono lasciato ingannare, in mille maniere sono fuggito dal tuo amore, però sono qui un’altra volta per rinnovare la mia alleanza con te. Ho bisogno di te. Riscattami di nuovo Signore, accettami ancora una volta fra le tue braccia redentrici». Ci fa tanto bene tornare a Lui quando ci siamo perduti! Insisto ancora una volta: Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia. Colui che ci ha invitato a perdonare «settanta volte sette» (Mt 18,22) ci dà l’esempio: Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra. Nessuno potrà toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurre-
zione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Nulla possa più della sua vita che ci spinge in avanti! (EG 1-3) Parola di Dio Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: “State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio. Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre”. Gv 16,19-28
sonale e delle nostre comunità, per essere stanchi e delusi; eppure quando diciamo Vangelo esprimiamo una buona notizia! Che cosa ci impedisce di guastare la gioia del nostro essere cristiani? Forse una fede debole e una umanità impoverita di relazioni e motivazioni? Recuperare la gioia del Vangelo è il primo passo da fare, se si vuole dare volto a una chiesa capace di una testimonianza credibile. Una gioia profonda, non l’ebrezza di qualche esperienza emotivamente forte, che poi passa; una dimensione interiore che diviene modalità serena di stare dentro la vita, anche nei momenti difficili. Probabilmente l’abbiamo sperimentata, si tratta di recuperarla dentro e condividerla fuori, così aumenta. Allora ci aspettano cammini, percorsi e processi di conversione nella gioia e per la gioia affinché ci possiamo contagiare gli uni agli altri ,trascurando un po’ di pessimismo e rafforzando le silenziose ma numerose esperienze positive. Per condividere 1) Raccontiamoci le nostre esperienze che possano esprimere gioia 2) Cosa dovremmo cambiare nel nostro quotidiano per accogliere e trasmettere la gioia del Vangelo? Puoi mandare le tue risposte-riflessioni al CMD: missioni@diocesi.brescia.it kiremba maggio 2014 25
Per riflettere Ci sono molti motivi, nella vita perkiremba dicembre 2015
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formazione & spiritualità
Che intenzioni hai?
Pregare insieme Ogni mese il Papa indica due intenzioni: una di carattere generale e una più di intento missionario
DON DIEGO FACCHETTI - dondiegofac@gmail.com
Questi mesi ci riportano i periodi dell’Avvento e del Natale, la Giornata mondiale della pace, l’Epifania (Giornata dell’infanzia missionaria), la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la Giornata per i malati di lebbra... Senza dimenticare che l’8 dicembre inizia il Giubileo della Misericordia e si va verso la conclusione dell’anno della Vita consacrata. Momenti propizi per la crescita e per “respirare” a pieni polmoni l’amore di Dio e dei fratelli. Un buon aiuto ci viene offerto dalle intenzioni “per l’evangelizzazione”(già“intenzioni missionarie”) che il Papa propone mensilmente all’Apostolato della Preghiera. Nel mese di dicembre è offerta l’intenzione di pregare perché le famiglie, in modo particolare quelle che soffrono, trovino nella nascita di Gesù un segno di sicura speranza. Tutta la Chiesa è chiamata all’opera impegnativa e gioiosa dell’evangelizzazione, iniziando dalla“Chiesa domestica”, la famiglia. La vita familiare presenta momenti felici, ma anche difficoltà e dolori. Pensiamo alle famiglie che vivono in paesi in guerra, a quelle che emigrano, a quelle colpite da povertà, malattie, lutti, ma anche incomprensioni e divisioni. La venuta del Figlio di Dio nella carne è segno di sicura speranza. Ha scelto lui stesso di “abitare” in una famiglia a Nazaret e con la sua vita e la sua Pasqua ha voluto fare di tutti una sola famiglia. Gesù, Maria e Giuseppe, la cui Santa Famiglia festeggiamo il 27 dicembre sostengano le famiglie in difficoltà e stimolino tutti a maggior misericordia e condivisione. Nel mese di gennaio il Papa invita a pregare ed offrire le proprie giornate perché mediante il dialogo e la carità fraterna, con la grazia dello Spirito Santo, si superino le divisioni tra i cristiani. Il desiderio di Gesù nell’Ultima Cena è che tutti i suoi discepoli formino “una cosa sola” (Ut unum sint). Purtroppo la storia ha portato molteplici divisioni tra i cristiani. Come noto, dal 18 al 25 gennaio si snoda la “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”. Può essere questo un momento ideale per rinnovare la preghiera e l’impegno concreto in favore della conoscenza, del confronto e dell’arricchimento reciproco tra cristiani. L’unità è dono che viene da Dio, dal suo Spirito, ma è anche responsabilità: che ognuno possa camminare e crescere nell’ecumenismo, per offrire al nostro tempo – segnato da violenze e conflitti – segni autentici di unità, amore e pace. don Diego Facchetti, assistente diocesano AdP Le iniziative AdP - compreso il pellegrinaggio in giugno in Polonia - sono ben presentate in rete. Per conoscerle, basta digitare: Apostolato della Preghiera - Brescia. Intenzioni missionarie Mese di Dicembre Perché, le famiglie, in modo particolare quelle che soffrono, trovino nella nascita di Gesù un segno di sicura speranza. Mese di Gennaio Perché mediante il dialogo e la carità fraterna, con la grazia dello Spirito Santo, si superino le divisioni tra i cristiani
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Blocknotes
6 Gennaio : Giornata Infanzia Missionaria Storicamente, il 6 gennaio, oltre ad essere il giorno dell’Epifania, è anche la Giornata Missionaria dei Ragazzi (GMR). La lettura del Vangelo in questo giorno ci presenta le figure dei Magi, personaggi misteriosi, difficili da identificare, questi “camminatori”al seguito di una stella, questi cercatori venuti da lontano per trovare il Messia. Uomini che fermano i loro passi e si mettono in adorazione davanti a Gesù, mossi da domande profonde e da una speranza che palpitava nei loro cuori. Hanno visto un segno, una stella: si sono messi in cammino e in ricerca. Hanno trovato! Tante persone nel mondo di oggi vivono la ricerca e l’attesa! È compito della Chiesa essere segno, “essere stella”, per condurre a Cristo ogni fratello e sorella!. Ecco perchè nella festa dell’Epifania i Ragazzi Missionari dei cinque continenti celebrano il loro impegno per la Missione. La prossima GMR avrà come tema: Poveri come Gesù, in riferimento al titolo della Giornata Missionaria Mondiale 2015.
14ma°Edizione della Mostra dei Missionari Saveriani
“Kayapò Il popolo che venne dal cielo “ I Kayapò vivono nella maggiore riserva amazzonica del Mato Grosso, lungo il fiume Xingu ed i suoi affluenti. Sono famosi in Brasile per avere sempre difeso la loro identità culturale ed il loro territorio invaso e sfruttato dai“colonizzatori”dopo la scoperta dell’America. Centinaia di martiri hanno pagato con la vita il loro impegno verso le popolazioni ed i diritti umani calpestati, i soprusi delle autorità economiche e politiche ed il risultato, alla fine, è stato il riconoscimento della loro comunità come patrimonio dell’umanità. Il messaggio di questa mostra è che “OGNI NOSTRO GESTO DECIDE COME SARA’ LA TERRA IN FUTURO”. Ognuno di noi deve maturare la consapevolezza che la Terra va difesa rispettandone gli eterni e perfetti ritmi, altrimenti cosa resterà del nostro mondo? Accanto alla mostra saranno allestiti laboratori tematici diversificati. Per ogni informazione: Missionari Saveriani - Via Piamarta 9 • 25121 BRESCIA - tel. 030 3772780 • fax 030 3772781 kayapo@saveriani.bs.it
kiremba dicembre 2015
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