Kiremba - Ottobre 2016

Page 1

SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERçUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVI - N° 4 ottobre 2016 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA

Nel nome della Misericordia

90a Giornata Missionaria Mondiale

Ottobre 2016


SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERçUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVI - N° 4 OTTObRE 2016 - bIMESTRALE - AbbONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI bRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA

Sommario

Primo piano Nel nome della Misericordia

Giornata Missionaria Mondiale 4-5

90a Giornata Missionaria Mondiale ottobre 2016

Bimestrale dell’Ufficio Missionario Diocesano, via Trieste 13/B - Brescia Tel 030.3722350 - Fax 030.3722360 Direttore don Adriano Bianchi Direzione e redazione Via Callegari, 6 – 25121 Brescia Tel. 030.3754560 Fax 030.3751497 e-mail redazione: kiremba@cmdbrescia.it e-mail Ufficio Missionario: info@cmdbrescia.it web: www.cmdbrescia.it Kiremba su facebook: Kiremba Magazine Redazione don Carlo Tartari: doncarlo@cmdbrescia.it p.Mario Toffari: mario.toffari@davide.it Andrea Burato: andrea@cmdbrescia.it Claudio Treccani: claudio@cmdbrescia.it Chiara Gabrieli: chiara@cmdbrescia.it don Francesco Pedrazzi : frapedro73@gmail.com p. Marcello Storgato: marcello@saveriani.bs.it Francesca Martinengo: fra.martinengo@gmail.com

Chiesa & missione Laici e Missione : si può fare

6-7

I missionari raccontano Argentina 8-9 Albania 10-11 Gussago 12-13

Animazione missionaria Esperienze estive: Grecia Esperienze estive: Etiopia Esperienze estive: Perù Premio Cuore Amico 2016

14-15 16-17 18-19 20-21

Grafica e impaginazione Andrea Burato Autorizzazione del tribunale di Brescia N. 269 del 11.07.1967 Imprimatur Curia vescovile di Brescia Stampa Tipografia Camuna Editrice Fondazione opera diocesana San Francesco di Sales, via Callegari, 6 - 25121 Brescia

Abbonamento ANNUALE 12,00 euro ORDINARIO 50,00 euro sostenitori PER LE POSTE ITALIANE CONTO CORRENTE N° 389254. INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA VIA TRIESTE, 13 25121 BRESCIA CON CAUSALE: “ABBONAMENTO KIREMBA 2015” BONIFICO BANCARIO: IBAN: IT75S0350011205000000007463

IL TUO AIUTO PER LE MISSIONI BANCO DI BRESCIA AGENZIA N. 5 C/C N. 7463 - ABI 3500 CAB 11205 IBAN IT 75 S 03500 11205 0000 0000 7463 BANCA POP. ETICA VIA MUSEI, 31 - 25122 BRESCIA C/C N. 102563 - ABI 5018 CAB 11200 IBAN IT 51 K050 1811 2000 0000 0102 563INTESTATO A: UFFICIO MISSIONARIO DIOCESANO. kiremba ottobre 2016 2

Orizzonti Il dialogo: un mezzo privilegiato

22-23

Formazione & spiritualità La gioia del Vangelo Pregare Insieme

24-25 26

Blocknotes

Agenda 27 NOVITÀ PER ACCEDERE AI CONTENUTI MULTIMEDIALI, INQUADRA CON IL TU SMARTPHONEM DOTATO DI LETTORE, IL CODICE QR PRESENTE IN ALCUNE PAGINE DI KIREMBA. CON QUESTA MODALITÀ DESIDRIAMO INTEGRARE SEMPRE MEGLIO LA RIVISTA CON LA POSSIBILITÀ DI VISIONARE FILMATI, GALLERIE FOTOGRAFICHE, SITI WEB DEL MONDO MISSIONARIO ED ECCLESIALE. QUI A SINISTRA TROVATE IL CODICE QR CHE RIMANDA AL SITO DElL’UFFICIO PER LE MISSIONI DI BRESCIA


editoriale

Cenerentola don carlo tartari doncarlo@cmdbrescia.it

T

orno a casa un po’ deluso, non mi capita spesso, anzi quasi mai, ma la delusione ogni tanto bussa e ti dice che ciò che ti aspettavi non si è realizzato, che le attese maturate non hanno trovato riscontro. Il progetto era davvero bello e innovativo: presentare insieme le proposte per l’anno pastorale. Insieme: è una scelta non scontata, né spontanea, ma voluta, cercata, preparata. Quante situazioni cambiano e migliorano quando si è insieme! Immediatamente l’individualismo, l’egocentrismo, la pretesa di essere autosufficienti subisce una sconfitta radicale. Insieme è bello, ma si fa fatica; si fa fatica perché tutto si coniuga non con “io”, ma con “noi”, si fatica perché è necessario modulare il passo con chi ti è prossimo. Venerdì 9 settembre scorso i tre coordinamenti (per “evangelizzazione e l’educazione”, per “evangelizzazione e carità”, per “evangelizzazione e dialogo”) che assommano e organizzano tutti gli uffici impegnati nella pastorale, hanno promosso una presentazione unitaria e coordinata di tutte le proposte del cammino diocesano. Davvero le unità pastorali necessitano di una pastorale sempre più integrata, sinergica, dialogante, aperta. La proposta è piaciuta, tant’è che le presenze sono state significative e propositive. Durante la serata ci si poteva liberamente suddividere nei tre ambiti per ascoltare e proporre, conoscere e intervenire in merito alla possibile declinazione dell’Evangelii Gaudium nella pastorale ordinaria delle parrocchie… gli austeri saloni del Centro Pastorale Paolo VI si sono riempiti di presenze (tantissimi laici, alcune religiose e presbiteri) tranne il luogo nel quale si discuteva di evangelizzazione e dialogo. Eravamo pochi, troppo pochi… Poi ci ho pensato: “quante volte ho detto che il criterio numerico non è né l’unico criterio

di valutazione né il più importante” però ho vissuto la serata come una ennesima occasione perduta. Tornando a casa, dopo le parole illuminanti del Vescovo Luciano a tutti i presenti, ripensavo ad un’espressione un po’ ingenua: la dimensione missionaria è davvero la “Cenerentola” della pastorale. Man mano che procedevo sono passato più volte dalla tentazione perenne di trovare un colpevole, all’autodifesa acritica, alla giustificazione superficiale (non sono importanti i numeri, non abbiamo fatto conoscere bene l’evento, etc); mentre cercavo di uscire da valutazioni meramente psicologiche e umorali rivedevo i saloni gremiti ad ascoltare le proposte circa la catechesi, la liturgia, gli oratori, la Caritas, la scuola: sorridendo pensavo tra me “non sono le sorellastre cattive di Cenerentola e il vicario della pastorale non è la matrigna”; riandavo alla favola non ricordandone precisamente la storia, ma avevo ben chiaro l’esito: alla fine, perché tutte le fiabe hanno un lieto fine, Cenerentola diventa principessa! Senza accorgermene sono passato dal broncio al sorriso! Perdonerete l’ingenuità, ma mi piace pensare che la pastorale missionaria, l’evangelizzazione e il dialogo si confrontano ogni giorno con tante vicende umane nascoste, silenziose, poste a servizio degli altri, come la povera Cenerentola, ma l’esito è un ribaltamento inaspettato. Non sto inseguendo favole: di ben altra statura e profondità sono le parole di Maria nel Magnificat quando contempla già la grande opera di Dio che si dipana lungo la storia umana. Tutto ciò accade perché Maria porta con sé, annuncia, testimonia la presenza di Gesù andando in fretta a trovare la cugina Elisabetta. L’icona della missione è questa! Il Magnificat è chiamato a diventare ogni giorno più visibile fino alla fine dei tempi. Con buona pace di Cenerentola… P.S. Ma la volta prossima saremo un po’ di più? kiremba ottobre 2016

3


Primo piano

giornata missionaria mondiale

predicate il vang elo a tutti GEROLAMO FAZZINI fazzini.gerolamo@gmail.com

G

uar dar e a lla m issio n e ad gentes come una grande, immensa opera di misericordia sia spirituale che materiale”. A mia memoria, è la prima volta che un Papa dipinge così questo compito ineludibile della Chiesa: lo ha fatto papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale missionaria di quest’anno. Lo trovo un modo insolito e molto bello, che fa intuire la specificità del Dio cristiano e, di conseguenza, lo stile proprio di chi è chiamato ad evangelizzare. Quale è allora il punto? Papa Francesco spiega: “In forza del mandato missionario, la Chiesa si prende cura di quanti non conoscono il Vangelo, perché desidera che tutti siano salvi e giungano a fare esperienza dell’amore del Signore”. Il Dio di Gesù vuole che tutti siano salvi. Trovano qui risposta tutte le obiezioni di coloro che considerano oggi la missione ad gentes un optional

4

kiremba ottobre 2016

papa francesco riconosce che le donne hanno una marcia in più nell’essere vicine ai poveri

o, quasi, un lusso che non possiamo più permetterci. “Ma perché andare all’altro capo del mondo, quando l’Europa è scristianizzata e c’è tanto da fare qui?”. O ancora: “Perché mai destinare uomini, donne, risorse alla missione quando qui in Italia siamo ormai così scarsi di clero? Non abbiamo già i nostri guai?”. Infine: “Oggi il mondo ce l’abbiamo in casa, gli immigrati che sbarcano da noi appartengono a tante religioni, molti non sono cristiani: la missione è qui”… Mi viene in mente una celebre e provocatoria espressione del cardinale Giacomo Biffi; Gesù ci ha detto: “Predicate il Vangelo a ogni creatura”. Non ci ha detto: “Predicate il Vangelo a ogni creatura tranne gli ebrei, i musulmani e il Dalai Lama”. Papa Francesco insiste: “Ogni popolo e cultura ha diritto di ricevere il messaggio di salvezza che è dono di Dio per tutti”. Forse dovremmo tener conto di questo aspetto anche

nell’accoglienza dei migranti qui in Italia: se la prima cosa da dar loro è sicuramente un tetto, un letto, un pasto, per noi cristiani una vera accoglienza dovrebbe comprendere, ovviamente a tempo debito, anche la proposta di un incontro con Cristo. D’altra parte, un amico è colui che dialoga con l’altro, ne rispetta le convinzioni e, tuttavia, non si sottrae al dolce compito di condividere ciò che di più bello ha e di ciò in cui crede. Il Papa non ci chiede, però, di insegnare a chi non conosce il Vangelo (almeno in prima istanza) i dieci comandamenti o l’Atto di dolore, ma far sì che l’altro possa “fare esperienza dell’amore del Signore”. In questo consiste la salvezza: poter incontrare – tramite la Chiesa missionaria – un Dio che è amore e misericordia, un Dio talmente affascinante che diventa interessante seguirlo. Papa Bergoglio si premura di precisare i contorni di


 Papa Francesco

Dal Messaggio per la Gmm

Chi ha fatto esperienza dell’amore di Gesù non ha bisogno di corsi di formazione o di “coach” motivatori per diventare annunciatore, a sua volta, della bellezza unica del Dio cristiano. Quando si fa esperienza dell’amore vero, se ne resta indelebilmente contagiati.

questo amore, fatto di tenerezza, fedeltà, vicinanza a tutti, perché lui è il Dio che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi. Scrive il Papa: “La sua grandezza e la sua potenza si rivelano proprio nella capacità di immedesimarsi con i piccoli, gli scartati, gli oppressi”. Con tutti i loro limiti e difetti, ma i missionari e le missionarie questo fanno: causa comune con l’oppresso, condivisione col povero, solidarietà con i più vulnerabili. Non di rado pagando un prezzo altissimo – a volte anche la vita – perché difendere i diritti e dar voce a chi non ha voce disturba i potenti. In questo “essere vicini ai poveri”, scrive il Papa, le donne hanno una marcia in più e occorre che tutti, per una volta, lo riconosciamo: “Le donne e le famiglie comprendono spesso più adeguatamente i problemi della gente e sanno affrontarli in modo opportuno e talvolta inedito: nel prendersi cura della vita, con una

spiccata attenzione alle persone più che alle strutture e mettendo in gioco ogni risorsa umana e spirituale nel costruire armonia, relazioni, pace, solidarietà, dialogo, collaborazione e fraternità”. Padre Piero Gheddo, decano dei missionari-giornalisti, nella sua recentissima autobiografia, ammette: “In missione le donne riescono ad evangelizzare in un modo impossibile per gli uomini”. Per finire. Chi ha fatto esperienza dell’amore di Gesù non ha bisogno di corsi di formazione o di “coach” motivatori per diventare annunciatore, a sua volta, della bellezza unica del Dio cristiano. Quando si fa esperienza dell’amore vero, fa capire il Papa, se ne resta indelebilmente contagiati. “Siamo tutti invitati ad “uscire”, come discepoli missionari, ciascuno mettendo a servizio i propri talenti, la propria creatività, la propria saggezza ed esperienza nel portare il messaggio della tenerezza e della compassione

 Parlare di missione come di “una immensa opera di miser icordia spirituale e materiale” dà fondamento a quella preoccupazione costante della Chiesa che, nel testimoniare il Vangelo di Gesù, sa bene come annuncio e promozione umana vadano inscindibilmente insieme. Una Chiesa che puntasse solo sul pur decisivo annuncio del Kerygma non sarebbe credibile, perché la spiritualità cui Cristo ci educa è una spiritualità incarnata, che si fa carico della storia. D’altro canto, una missione che si riducesse alle pur necessarie “opere di misericordia corporali” renderebbe la Chiesa una sorta di Ong e ne darebbe un’immagine incompleta, e in ultima analisi falsa.

di Dio all’intera famiglia umana”. Già, ma che fatica uscire. Siamo attaccati alle nostre abitudini, abbarbicati alle nostre certezze. Uscire è operazione scomoda, anche un po’ pericolosa. Chi ce lo fa fare? Qui mi sovviene il ricordo di un altro grande pastore, quel don Tonino Bello che, a proposito della “Chiesa del grembiule”, diceva: “Dalla Messa alla domenica dovrebbe sprigionarsi una forza centrifuga così forte che noi siamo scaraventati fuori sulle strade del mondo per andare a portare Gesù Cristo. (…) Alzatevi da tavola; restate troppo tempo seduti. È un cristianesimo troppo sedentario il vostro, troppo assopito, un tantino sonnolento”. L’augurio è che la celebrazione della Giornata missionaria funzioni come un “buttafuori” che ci scaraventi fuori dalle sacrestie, ci faccia vincere le pigrizie e osare – anche oggi, in tempi di nostalgia per le “piccole patrie” orizzonti grandi come il mondo. kiremba ottobre 2016

5


Chiesa & missione ATTUALITÁ

laICI E MISSIONE : SI PUò FARE don luigi guerini gueriniluigi@libero.it

É

anzitutto doveroso ringraziare il Signore che ci arricchisce dell’esperienza di tanti fratelli e sorelle che scommettono sulla Missione per il Regno. C’è da inchinarsi davanti a tanti di loro e da imparare tanto ascoltando. Le nostre chiese locali, sulla spinta del Concilio, si sono aperte al servizio missionario e questo ha permesso non solo la crescita di una chiesa che si dona, ma ha dato un bel contributo anche alla trasformazione del mondo. Le nostre Diocesi, si sono messe in discussione offrendo la loro disponibilità sia di sacerdoti (missionari e fidei donum) sia di laici riuniti in organizzazioni o mandati dalla chiesa locale. Come dei vasi comunicanti, in questi anni non si è solo partiti, ma si è anche rientrati portando novità ed acqua più fresca. Il giovamento è stato quindi doppio: prima la gioia dell’invio e poi la ricchezza di esperienze pastorali in luoghi molto distanti.

6

kiremba ottobre 2016

alessandro manciana, laico bresciano in missione tra le ande

A Firenze, nel convegno decennale della Chiesa Italiana, si è stati invitati ad “uscire”. Nel discorso di apertura Papa Francesco ci ha detto: “Voi uscite per le strade e andate ai crocicchi, tutti quelli che troverete, chiamateli, nessuno escluso. Soprattutto accompagnate chi è al bordo della strada, zoppi, storpi, ciechi e sordi… Dovunque voi siate, non costruite mai né muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo. Possiamo dire con franchezza che chi ha vissuto la Missione ha messo in pratica tutto ciò…prima che Papa Francesco lo dicesse a Firenze alla Chiesa Italiana, forse ancora un po’ sopita. Chi ha vissuto la Missione ha il cuore sul mondo! E il laico vive nel mondo, dentro le dinamiche del mondo anche al di là dei suoi confini. Il secondo ambito di Firenze è stato l’annuncio: cosa annuncia un laico missionario? Anzitutto uno stile di vita vissuto nella gratuità e

nell’attenzione ad accompagnare con un esempio di vita: valori come la famiglia, la formazione, l’inculturazione e la ricerca della giustizia fanno parte del suo stile. Ed abitare, il terzo ambito, diventa la realtà più concreta e più forte. Là dove nessuno arriva, il laico ha facilità di accostarsi, di mettere radici. Quel farsi popolo (vi ricordate Romero, un Vescovo fatto popolo?) che significa essere fino in fondo con loro, uno di loro. Anche l’educare, che è il quarto ambito, fa parte degli impegni di un laico: quante ore dedicate per questo all’azione sociale, alla coscientizzazione, alla cittadinanza attiva, con pazienza, come si fa quando si cerca di far crescere una piantina. E con la capacità di ricominciare quando tutto sembra perduto. E alla fine, Firenze pone l’ambito del trasfigurare: certo, il laico missionario che ha veramente incontrato Cristo e si mette al


Un medico tra le Ande  Attraverso questo codice Qr, si può accedere alla storia di Alessandro Manciana, chirurgo pediatrico bresciano di nascita. In Bolivia dal 2006, è medico itinerante a El Alto, a 4.100 metri di altitudine, dove gira per i villaggi dell’altopiano per curare piccoli e grandi. É vincitore della XXII edizione del Premio del Volontariato Internazionale.

Come dei vasi comunicanti, in questi anni non si è solo partiti, ma si è anche rientrati portando novità ed acqua più fresca. Il giovamento è stato quindi doppio: prima la gioia dell’invio e poi la ricchezza di esperienze pastorali in luoghi molto distanti. Chi ha vissuto la Missione ha il cuore sul mondo! E il laico vive nel mondo, dentro le dinamiche del mondo anche al di là dei suoi confini.

servizio si lascia trasfigurare dal suo popolo, dalla gente semplice che incontra, dagli analfabeti che diventano per lui maestri di vita. Il laico in una esperienza del genere diventa altro, proprio come Mosè che sceso dal Monte ha una luce splendida; e questa luce l’ha ricevuta accompagnando e soffrendo con il suo popolo. Vorrei raccontarvi la storia dei due amici Alessandra e Marcello che hanno fatto il Corso con me al CUM nel ‘94. Mandati dallo SVI nella stessa diocesi di Bragança do Parà per un progetto di sviluppo e di accompagnamento. Si sono sposati durante il corso. Lui muratore, lei operaia. A Paragominas, in Amazzonia, sostituendo Mario Sberna e la moglie Egle, continuarono il lavoro con i contadini, con i negozi a prezzi calmierati, con la pastorale dei bambini che segue le mamme dalla gravidanza fino a quando il bambino ha 5 anni (soprattutto per aiutare a superare la denutrizione e la malnutrizione e per accompagnare la parte femminile, molto debole e fragile). Dopo due anni nasce un bel biondino, Pedro Carlos, che si chiamerà poi Pedrinho. Dopo tre anni il progetto è terminato. Io avevo una parrocchia vasta circa 4000 kmq con 55 comunità e il mio parroco in quel periodo è nominato Vescovo Ausiliare di Belém, là dove sfocia il Rio delle Amazzoni. La mia diocesi non mi manda un aiuto e i due si mettono a disposizione più su un progetto pastorale che di sviluppo. Lo SVI, anche se non è nei suoi intenti, accetta questa sfida. É l’inizio di una bella avventura, ma voglio sottolineare un episodio molto difficile ed impegnativo per i due laici. Alessandra è incinta di

sei mesi, a Viseu stiamo costruendo l’Ospedale, e per uno spavento durante la festa della città, la vita di Pedrinho era stata messa a rischio. Di notte Alessandra sta male, accompagnata all’Ospedale di Bragança, 120 km di distanza (strada sterrata fine stagione delle piogge) viene dimessa subito. Ritornata a Viseu il bimbo nasce prematuro e senza nessuna struttura medica muore subito dopo. Alessandra ha tenuto il corpicino nel suo armadio tutta la notte e il mattino seguente, all’alba accompagnati da suor Lucia, siamo andati al cimitero per seppellirlo. Giordano è il suo nome, scritto ancora oggi su una croce posta sopra la piccola tomba. Perché ho ricordato questa storia? Non vi dico il dramma e la crisi che ne è seguita. Avevo ricordato Romero, un Vescovo fatto popolo: qui è un’esperienza vissuta fino in fondo, come tante famiglie che perdono uno,due a volte tre figli. Una mamma e un papà che diventano popolo anche in questo modo, con questa sofferenza, con questo dolore. Qualche mese fa andai a casa loro nella bassa bresciana e Pedrinho, che ora ha 19 anni, ha un tatuaggio molto evidente. Io lo rimprovero e lui mi risponde: “ non vedi che è il nome del mio fratello?”…ci sono rimasto proprio male! Voglio ricordare un nodo che vivono i laici quando rientrano: noi preti abbiamo dei punti di riferimento: ma loro? A volte oltre che spaesati si sentono soli, manca per loro l’accompagnamento del rientro come fare perché trasformino la “saudade” (nostalgia) in contributo per cambiare e trasformare questa nostra società inebetita? kiremba ottobre 2016

7


I missionari raccontano argentina

mISERICORDIA dA VIVERE don dario guerra dariovalentin.guerra@gmail.com

S

tiamo vivendo un tempo di grazia e di misericordia! Questo sotto l’ispirazione di Papa Francesco che ha voluto dedicare tutto quest’anno alla Misericordia. Ce ne ha parlato fin dall’inizio del suo ministero petrino, continua a parlarci in ogni suo intervento, in ogni suo gesto, in ogni sua proposta. Si può rinnovare la vita della Chiesa solo se contagiati della misericordia di Dio verso ognuno di noi. Per questo siamo invitati a fare esperienza di questa nella nostra vita; esperienza possibile quando apriamo il nostro cuore, quando di fronte al Dio misericordioso abbiamo umiltà (da humus) per lasciare che la misericordia prenda posto nel nostro cuore. Se è vero che l’Amore cambia la vita delle persone e da senso a quello che viviamo e facciamo, vuol dire che se scopriamo e sperimentiamo l’amore

8

kiremba ottobre 2016

don dario, ultimo a destra, con la sua comunitÁ

di Dio possiamo viverlo come Lui ci insegna: aprendoci agli altri. L’essenza del cristianesimo la troviamo appunto nella Misericordia di Dio “che ha tanto amato il mondo da inviare il suo Figlio perché il mondo si salvi per mezzo dei Lui”. Questa Misericordia trova il suo centro e la sua potenza nel grande Atto di fede che è la Liturgia Eucaristica, testimone lungo i secoli della Grande Misericordia, con due gesti ben precisi trasmessi dagli evangelisti: nei sinottici con l’istituzione della Eucaristia ma che non può essere dissociata dal racconto che ci fa Giovanni nel quarto Vangelo: la lavanda dei piedi. La donazione di Gesù con il suo Corpo ed il suo Sangue ha il suo compimento pratico nell’inginocchiarsi davanti ai suoi amici per servirli. In questo permanente far memoria di Gesù troviamo il fondamento ed il senso della nostra partecipazione e della

nostra vita: “essere misericordiosi come il Padre”. Una moderna testimonianza della Misericordia di Dio, espressa umanamente, l’ abbiamo vissuta con la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta lo scorso 3 settembre in Piazza San Pietro. Una Santa dei nostri tempi, una donna che ha vissuto la quotidianità con lo sguardo nei più piccoli dei piccoli, creando nella misura del possibile i mezzi per aiutare ed essere “prossimo” dei più deboli. In questi giorni se ne è parlato molto di tutto ciò. Sappiamo che i Santi sono offerti a noi per dirci che la santità è possibile nella misura nella quale ognuno si impegna con la Grazia di Dio a vivire i doni che il Signore elargisce. Non tutti saremo come Madre Teresa, ma tutti possiamo cogliere l’essenziale per costruire un’umanità nuova o come ci ha insegnato il Beato


  Riflessioni

L’invito di Papa Francesco

Se è vero che l’Amore cambia la vita delle persone e da senso a quello che viviamo e facciamo, vuol dire che se scopriamo e sperimentiamo l’amore di Dio possiamo viverlo come Lui ci insegna: aprendoci agli altri.

 “Siate sempre pronti nella solidarietà, forti nella vicinanza, solerti nel suscitare la gioia e convincenti nella consolazione. Il mondo ha bisogno di segni concreti, di segni concreti di solidarietà, soprattutto davanti alla tentazione dell’indifferenza, e richiede persone capaci di contrastare con la loro vita l’individualismo, il pensare solo a sé stessi e disinteressarsi dei fratelli nel bisogno. Siate sempre contenti e pieni di gioia per il vostro

servizio, ma non fatene mai un motivo di presunzione che porta a sentirsi migliori degli altri. Invece, la vostra opera di misericordia sia l’umile ed eloquente prolungamento di Gesù Cristo che continua a chinarsi e a prendersi cura di chi soffre”. L’amore, infatti, «edifica» (1 Cor 8,1) e giorno dopo giorno permette alle nostre comunità di essere segno concreto della comunione fraterna.

Paolo VI “la Civiltà dell’Amore”. Diceva Madre Teresa di Calcutta: “Cerchiamo di riempire l’unica valigia che porteremo con noi oltre la morte: la valigia della carità” Vorrei riportare due testimonianze della mia parrocchia, nella periferia di Buenos Aires, che non hanno nulla di spettacolare, ma sono testimonianze semplici e molte volte non riconosciute. Sicuramente le troviamo in tutte le comunità perché fanno parte della quotidianità. E’ importante comprendere che, come dice Santa Teresa del Bambino Gesù: “la felicità non consiste nel fare cose straordinarie, ma fare straordinariamente bene le cose ordinarie” Queste due testimonianze che propongo vogliono essere due esempi della quotidianità. Nella Caritas parrocchiale della comunità sono rimaste solo due persone (Beatrice e Giuseppina). Anni addietro c’erano più volontarie, ora alcune sono andate alla casa del Padre, altre hanno preso altre strade. Queste due persone non sono di giovane età però si mantengono fedeli all’impegno con i più poveri, non preoccupandosi soltanto dell’aspetto umano, ma anche di quello spirituale, ascoltando, consolando, interessandosi dei loro problemi. “Ascoltare” è una delle virtù da coltivare visto l’andamento della cultura moderna che viaggia a grande velocità, come il sacerdote ed il levita del “buon samaritano”. Queste donne sono esempio di misericordia anche se, sempre a causa della cultura individualista ed egoista, non si oano imitate nel vivere gli impegni. Non

sempre è facile essere perseveranti negli impegni. Troppo spesso siamo schiavi dell’esito e, quando questo non arriva, ci viene la voglia di abbandonare il nostro impegno. L’altra testimonianza di Misericordia è una famiglia della comunità: il marito Roberto, ragioniere, ora Diacono Permanente e sua moglie Graziella, casalinga, impegnata nell’accompagnare il marito e dedicata alla prima evangelizzazione verso persone che sono sempre state ai margini della Chiesa. Questa coppia ha due figli ora sposati. Anni fa hanno accolto un bambino piccolo ospite di una struttura di protezione. All’inizio lo ricevevano solo per i fine settimana, nel tempo hanno deciso di adottarlo. Quando ancora era piccolo, al bambino venne diagnosticata la S.L.A., una malattia neuro degenerativa. Roberto e Graziella non si sono fatti fermare dalla malattia, sapendo che la vita del bambino non sarebbe stata ne facile ne avrebbe avuto una lunga durata. Posso testimoniare questa vita di misericordia perché essendo della mia parrocchia li ho seguiti e il ragazzo, Luisito, è morto l’anno scorso mentre io ero qui in Italia in vacanze all’età di vent’anni. Oggi Roberto oltre al suo normale lavoro, ed il servizio in una parrocchia vicina, segue una struttura diocesana che si occupa di persone abbandonate, in situazione di strada, senza fissa dimora. Roberto e Graziella, in silenzio e col cuore in mano, sono un bell’esempio di misericordia, di apertura e di servizio concreto verso gli altri. kiremba ottobre 2016

9


i missionari raccontano

ALBANIA

UN GESTO senza BARRIERE don roberto fearranti donrobertoferranti@gmail.com

S

e uno vive per servire, non serve per vivere. Con la sua vita rinnega Gesù Cristo”…queste parole di Papa Francesco pronunciate nella Via Crucis durante la Giornata Mondiale della Gioventù in Polonia questa estate, sono parole che ci provocano, parole che mi hanno colpito, parole che ci aiutano a dare un volto concreto alla “Misericordia” di cui tanto parliamo in questi mesi ma che rischia di restare una gran bella teoria. Sono certo che il volto più bello della Misericordia è quello che si vede quando concretamente ci mettiamo a servire gli altri, anche nelle cose più concrete. Io devo ringraziare l’Albania perchè mi ha aiutato a capire questo passaggio fondamentale dell’essere cristiani, mettersi al servizio per poter amare ed essere volto di un amore che è libero e non cerca meriti. Tante volte ho raccontato e detto che la missione in Albania è diversa da altre destinazioni geografiche, perchè ti provoca proprio su questo punto, su quanto siamo disposti a servire senza stancarci, è una missione silenziosa… dove paradossalmente

10

kiremba ottobre 2016

don roberto durante una celebrazione

non conta nemmeno quanti battesimi o sacramenti celebriamo… ma dove ciò che conta è riuscire a parlare al cuore ferito di questa gente…al cuore di questi giovani che sognano un futuro senza avere strumenti per costruirlo e rischiano fughe che faranno loro solo del male. La missione in Albania è stare con questo popolo, senza chiedere la religione, ma amando e servendo perché possa essere un popolo felice tra le braccia dell’Unico Grande Dio! Ecco, questa è la Misericordia: poter far del bene e stop. Servire per vivere…stop. Tante volte mi chiedo cosa posso fare qui in Albania per essere fedele al mio mandato missionario; programmiamo incontri, celebrazioni, attività… e poi di colpo delle semplici situazioni di singole persone ci ribaltano i programmi: qualcuno da accompagnare in ospedale perché non ha la macchina, qualcuno che cerca medicine perché non ha soldi, qualche giovane che ha bisogno di

Il volto più bello della Misericordia è quello che si vede quando concretamente ci mettiamo a servire gli altri, anche nelle cose più concrete. Devo ringraziare l’Albania perchè mi ha aiutato a capire questo passaggio fondamentale dell’essere cristiani, mettersi al servizio per poter amare ed essere volto di un amore che è libero e non cerca meriti.


Martiri beati in Albania

 Saranno presto beati i 38 martiri albanesi trucidati in odium fidei dal regime comunista. Sono due vescovi Vincent Prennushi e Fran Gjini, i sacerdoti diocesani e i religiosi (francescani e gesuiti), un seminarista, tre laici e la ventiduenne Maria Tuci, aspirante stimmatina.

parlare della propria vita perché non riesce a intravedere un futuro, semplici cose che ci riportano a servire concretamente. E questo mi fa bene, e ringrazio l’Albania che mi fa fare questo esercizio di concretezza. Come ho già raccontato quest’anno abbiamo avuto un permesso per entrare ogni settimana, senza restrizioni, per fare delle attività con i detenuti del carcere di Massima Sicurezza di Burrel. Ogni martedi, insieme a uno degli educatori della nostra missione che si chiama Ghenti, oltreppasiamo la prima grande cancellata di ferro, poi il portone, poi passiamo alle perquisizioni, poi un altro grande cancello, altre perquisizioni, un cancello con altri lucchetti che si aprono e chiudono e poi un lungo corridoio. Bussiamo all’ultima porta di ferro, una guardia ci apre ed entriamo in un altro mondo, il cortile delle celle dei detenuti ordinari. E qui comincia l’esperienza. Ti senti

osservato, ti senti diverso, trovi sguardi curiosi, seri, gente che cammina freneticamente sfrutando il tempo all’aperto (il resto del giorno lo passano in cella), gente che si lava, altri che lavano i pochi vestiti che hanno. E noi? Cosa possiamo fare? Come comportarsi? Se mi fermassi a pensare perchè loro sono lì, non ti verrebbe voglia di avvicinare nessuno ma qui arriva la provocazione, la cosa che mi ha fatto tanto bene in questi mesi: lasciar da parte ogni pregiudizio e fermarti a stringere la mano, a salutare, a chiedere come stanno. Gli sguardi si rasserenano e le loro vite iniziano a parlare indipendentemente dal motivo per cui sono lì. I primi giorni avevo la percezione di entrare nella gabbia dei leoni, pensando che la maggioranza sono uomini che hanno compiuto reati molto gravi. Oggi invece aspettiamo sempre con ansia che si apra l’ultimo cancello per entrare in quel cortile, per poter parlare con loro, per stringere le mani, abbracciare e dare anche qualche carezza che strappa loro un sorriso. Poi possiamo passare nelle celle singole della massima sicurezza per quelli che non potremo incontrare insieme agli altri. Veloci saluti e strette di mano, brevi parole a volte dette tra i denti per non farsi sentire dalle guardie e per raccontare qualche pezzo di vita. Poi la possibilità di un incontro con un gruppo di cattolici, una condivisione a partire dal Vangelo e una chiaccherata per seminare nel cuore qualche parola forte di bene. Tra questi cattolici mi ha colpito proprio questa mattina un giovane, che mi ha avvicinato alla fine dell’incontro; alla fine possiamo incontrarli personalmente se hanno

delle richieste come avere un po di riso, pasta, olio, zucchero o dei vestiti perchè alcuni di questi non possono sempre vedere la famiglia. Il giovane che mi ha avvicinato, mi ha chiesto se potevo aiutare un suo compagno di cella anche se è musulmano perchè la famiglia non ha da mangiare e vivono abbandonati in un villaggio sulle montagne a causa delle traversie che la famiglia ha vissuto. Per sè questo ragazzo non ha chiesto nulla. Mi ha colpito e mi ha fatto bene, e mi ha fatto cadere tante barriere di giudizio. Entrare in carcere mi sta insegnando a essere essenziale, a servire: anche quando entro non posso portarmi niente perchè è proibito, solo il Vangelo. Lascio parlare quelle parole che, lette dentro, credetemi, hanno tutto un altro sapore. E anche questo giovane, che non aveva niente, mi ha chiesto di aiutare qualcun’altro. Sono cose che fanno pensare. Vi assicuro che a volte è difficile dire: “Ok, adesso usciamo”. Le prime volte avevamo paura ad entrare, adesso ci fa soffrire dover uscire e aspettare una settimana per tornare. Non facciamo grandi cose, ma ho imparato a incontrare delle persone, ad amarle senza giudicare, senza nemmeno conoscerle; sono già tanti che giudicano; ma chi di noi si preoccupa di avvicinare e ascoltare? Ecco la Misericordia che dobbiamo tornare a vivere è proprio questa: preoccuparci di incontrare delle persone, di amarle, di servirle anche spendendo tutto quello che abbiamo e che siamo alla faccia dei nostri programmi, forse quando torneremo a servire cosi gli altri, torneremo a vivere un pò di più la bellezza del nostro credere. kiremba ottobre 2016

11


i missionari raccontano

gussago

benedire la nostra quotidianitÁ don adriano dabellani donadriano@davide.it

N

oi crediamo in un Dio che non condanna i peccatori. Li cerca, li incontra, li ascolta, li perdona e siede a tavola con loro. «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano» (Luca 5,27-32) . Vivere di misericordia significa permettere che le mani calde di Dio accarezzino le rughe della nostra stanchezza. «Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi!» (Evangelii gaudium, n. 274). In quest’anno santo straordinario ho vissuto e vivo l’impegno di donare misericordia vivendo tre normalissime esperienze. La prima: benedire la quotidianità, insieme di ore e di giorni sempre

12

kiremba ottobre 2016

don raffaele donneschi, don adriano dabellani, don piero minelli, mons. gianfranco mascher e don bruno mores

uguali, ma sicuramente abitati da una presenza che ci veste di luce divina e di vitalità santa. “ Il Signore parlò a Mosè e disse: «Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: «Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace». (Dt 6, 22-26). Quotidianità abitata dall’amore di Dio è: acquisire sguardi profondi che vanno oltre il velo delle sconfitte, è possedere occhi di fiducia e di scoperta che ci salvino dall’abitudine, è desiderare un cuore puro che veda le cose invisibili agli occhi. Invisibili soprattutto in quelle prove che ci sembrano senza uscita, anche in quello che ci pare un lamentarsi inutile, anche quando ci sembra di camminare verso nessun luogo, senza vedere né la strada né la meta. Nello scorrere del tempo, il Signore continua a generare ancora il nostro futuro su una croce, dove


Il tema

Esperienza feconda  L’Anno della Misericordia volge al termine. In questa fine è presente un inizio. Termine. Un seme fresco di vita è stato deposto nel solco di questo anno santo. Il seme cade e porta una energia di vita dentro la terra. La terra a sua volta lo avvolge e lo nutre, cede al seme i suoi elementi chimici inerti e il seme li trasforma in una dimensione superiore: dal freddo oscuro della terra estrae colore, profumo e sapore, per il più piccolo

Siamo chiamati non a salvare le nostre comunità, lo ha già fatto e lo farà il Signore. Nel nome del Signore salviamo creando relazioni di conoscenza e di amicizia, storie di dono e di amore. Lo Spirito non ci chiede di convertire i fedeli, ma di abbracciarli. E mentre vivremo l’emozione dell’abbraccio, è il Signore Dio che stringeremo fra le braccia.

schi

già si respira la risurrezione, come il seme che attende nel buio il richiamo della primavera. Imperativo di fede e di morale è: Benedire. Benedire è entrare in un eremo interiore, dove emergono quelle che sono le domande del cuore, quelle che decidono della vita, quelle che stanno in piedi da sole, che riguardano la felicità, le cose che danno gioia vera, gioia che duri. Eremo dove accogli il vangelo non per leggerlo, ma per abitarlo. Benedire è essere creativi d’incontri, di dinamismi, è vivere di amicizia. Siamo chiamati non a salvare le nostre comunità, lo ha già fatto e lo farà il Signore. Nel nome del Signore salviamo creando relazioni di conoscenza e di amicizia, storie di dono e di amore. Lo Spirito non ci chiede di convertire i fedeli, ma di abbracciarli. E mentre vivremo l’emozione dell’abbraccio, è il Signore Dio che stringeremo fra le braccia. La seconda: vivere una vita umana e cristiana impregnata di sano

ottimismo e di sereno realismo. Non lamentiamoci. Ci si lamenta di tutto, si è sempre insoddisfatti, si è quasi convinti che, se il mondo fosse retto secondo i nostri consigli, sicuramente andrebbe meglio. C’è un’insofferenza che si trasforma in scontentezza, in frustrazione e irrequietezza. Si misconoscono le virtù della pazienza, della tranquillità, della sopportazione e si vive in uno stato di sostanziale infelicità. Ecco, allora, l’altro nodo, quello della fiducia: «Sia fatta la tua volontà» (Matteo 13,4-8). E’ l’invocazione presente nel Padre nostro che non è rassegnazione inerte, sottomissione sconsolata a un potere superiore, ma è il sereno abbandono a un progetto superiore, forse anche con perimetri incomprensibili, ma non destinato a tormentarci e ad annientarci. Lamentarsi è una reazione spesso immediata e quasi istintiva espressa di fronte al verificarsi di una situazione per noi negativa. Se una qualsiasi circostanza assume una

fiore o per l’albero secolare. Inizio. E’ un’ascensione verso l’Amore. “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4,16). Ogni nostro passo non è una meta ma un inizio per un altro percorso, da inizio in inizio, di luce in luce, senza che mai ci sia una stasi, una stanchezza, una noia. Questa è la vita missionaria: non una fissità inerte, ma una scoperta “in-finita” dell’Infinito di Dio, in meraviglie sempre nuove.

piega a noi sfavorevole, abbiamo la tendenza impulsiva a lamentarci, ad elaborare pensieri negativi e rimanervi invischiati, maledicendo la nostra cattiva sorte. Lamentarsi non aiuta a risolvere i nostri problemi, non ci spinge ad assumerci in pieno le nostre responsabilità e non ci induce a reagire per cercare di migliorare la nostra condizione. Probabilmente siamo tutti consapevoli che lamentarsi può solo rappresentare nulla più di una valvola di sfogo, ma nonostante ciò abbiamo la tendenza a indugiarvi a lungo, perdendo spesso la possibilità di riprendere in mano i fili delle nostre azioni e reagire in modo efficace, positivo di fronte a una situazione sfavorevole. La terza: annunciare e testimoniare il vangelo con gioia e umiltà. “ Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino!” (Filippesi 4,4-7) Gioire, aprirsi alla gioia, come una porta si spalanca al sole. Dio parla il linguaggio della gioia per questo seduce ancora. Essere missionari significa annunciare che il Signore, se è accolto, non ruba libertà, ma offre invece felicissime possibilità di riuscita. Con coraggio si deve correggere l’immagine sbagliata di Dio, che fa nascere la paura delle paure: Dio non toglie non impoverisce, Dio dona e arricchisce. Purtroppo per troppo tempo abbiamo annunciato un vangelo impastato di paura, di colpa e di castigo. Il Padre non chiede rimorsi o penitenze, a lui non interessa giudicare ma aprire un futuro di vita. Non è la paura che libera dal male, ma un «di più» di vita, un disequilibrio gioioso, la fiducia, l’abbraccio e la festa di un Padre più grande del nostro cuore. kiremba ottobre 2016

13


Animazione missionaria esperienze estive: grecia

torni domani vero? SARA TADDEI sarataddei97@gmail.com

P

rima di partire avevo già in mente ciò che avrei fatto una volta tornata, ma tutto cambia. Quest’estate la meta del mio viaggio è stata Atene. Se ho avuto modo di poter attuare quest’esperienza, che così tanto mi ha toccata, è stato grazie al Centro Missionario di Brescia, il quale mi ha suggerito, tra le varie attività di volontariato disponibili, proprio questa. Una volta arrivata ad Atene, io ed altri tre ragazzi siamo stati accolti, per tutta la durata della nostra permanenza, dalla chiesa armena del quartiere di Neos Kosmos, in collaborazione con la Caritas. Lì ho potuto vivere numerosissime esperienze a contatto con persone rifugiate, tutte con una triste e drammatica storia alle spalle che, se sono arrivate fino a dove sono ora è stato solamente grazie alla loro forza di volontà e al loro coraggio.

14

kiremba ottobre 2016

è bello poter fare l’esperienza di vivere momenti di gioia con i bambini di atene

Insieme ai miei tre compagni di viaggio, abbiamo fatto animazione nei campi profughi e nei centri di accoglienza profughi, grazie alle nostre abilità da giocolieri, abbiamo avuto modo di intrattenere tutti, sia grandi che piccini, durante la nostra permanenza, con le più svariate attività. Nonostante la difficoltà della lingua con i bambini è sempre facile comunicare e capirsi. È bastato un pallone ed un sorriso per creare un legame che è riuscito a far dimenticare loro, almeno momentaneamente, la loro situazione, facendoli viaggiare in un mondo differente, più “gioioso”. Nonostante tutto quello che hanno passato sono e rimarranno sempre dei bambini, con la loro voglia di giocare, disegnare, cantare e scherzare. Ciononostante è visibile, in ognuno di loro, quello che hanno passato, attraverso i loro disegni ad esempio,

É bastato un pallone ed un sorriso per creare un legame che è riuscito a far dimenticare loro, almeno momentaneamente, la loro situazione, facendoli viaggiare in un mondo differente, più “gioioso”.


Situazione al limite  Lontano dai monumenti e dagli stereotipi di Atene, negli edifici abbandonati dell’ex aeroporto internazionale vivono circa 4.000 richiedenti asilo afghani. La possibilità di un futuro migliore è un sogno lontano. Quelli che sono arrivati ​​d opo l ’a c c o r d o t r a l ’ U n i o n e Europea ed Ankara dovranno tornare in Turchia.

nei quali sono talvolta raffigurati barconi pieni di persone, alcune delle quali sono cadute in mare e stanno annegando, o anche tante case, che forse simboleggiano la voglia di avere una sicurezza e un conforto nella propria vita. Questo mese passato con loro ha messo a dura prova me ed i miei sentimenti, non ero abituata a vedere certe situazioni, ho cercato di vivere questa esperienza profondamente, cercando di dare tutto quello che potevo e la cosa che più mi ha sorpreso è stato il fatto che più io donavo il mio tempo, dedicandolo a loro, e più io ricevevo da loro un qualcosa che non può essere quantificato, ma che rimarrà per sempre dentro di me: il sorriso dei bambini che mentre stavi andando via ti fermavano e ti chiedevano: “Torni domani vero?” era la motivazione, la mia ricompensa che mi spingeva ad

andare avanti giorno dopo giorno. Ogni volta che qualcuno mi chiede dove ho fatto volontariato io rispondo in Grecia, mi sembra quasi di mentire, perché la Grecia l’ho vissuta per un terzo dell’esperienza, mi è sembrato di stare in Siria, Afghanistan, Iraq, Iran. Queste persone si ritrovano nei campi profughi o in strutture da ormai più di sette mesi, nella speranza di poter raggiungere un luogo sicuro, per ricostruirsi una “casa”, nella speranza che un giorno tutto possa ritornare come “prima”. Ritornare nella propria terra è il desiderio più grande di queste persone, non possiamo neanche immaginare cosa stanno passando, una volta magari erano come noi. Vorrei dire a tutte quelle persone che nei loro discorsi usano slogan come “tornatevene al vostro paese” che quello, effettivamente, è davvero il loro desiderio, che tuttavia non possono realizzare. Piuttosto di dire queste cose è meglio che si risparmi il fiato e si pensi che magari al posto di quelle persone ci saremmo potuti essere noi: ci farebbe piacere sentirci dire frasi simili? Pur avendo vissuto poco la realtà greca abbiamo avuto modo, durante quest’esperienza, di osservare anche quella che è la ormai tristemente nota “crisi” che affligge tutto lo stato: girando per alcune zone della città, attraverso un’attività che prevedeva la consegna di un bicchiere di thè e di uno snack, abbiamo avuto modo di parlare con alcuni senzatetto che abitano queste zone; questi ci hanno raccontato la loro storia, e di come fossero finiti per strada.

Inoltre a chiarirci la situazione ci ha aiutato una ragazza greca che collabora con la Caritas, dalla sua testimonianza è uscito che da un po’ di anni se uno deve elencare i problemi della Grecia, il principale è quello dei migranti. Non si parla spesso invece dei greci, che da dopo la crisi economica, perdendo il lavoro e non riuscendo più a pagare di conseguenza mutui o prestiti, si sono dovuti adattare improvvisamente ad uno stile di vita basso. Ad alcuni è stata portata via la casa o gli arredamenti, altri non lavorando hanno perso il diritto alle cure mediche, e dato il basso stipendio mensile, di fatto non gli è più possibile recarsi dal medico o andare in ospedale. I più fortunati che sono riusciti a mantenere un lavoro, prendono in media sui 300 euro al mese lavorando otto ore giornaliere. Considerando che il costo della vita è poco più basso dell’Italia si capisce il livello di povertà generale che è presente in Grecia. Nonostante la crisi e la povertà, non vengono comunque a mancare i valori dell’accoglienza, ospitalità e non è presente nemmeno un partito che sia contro i migranti. In Grecia sono presenti ad oggi un gran numero di migranti alloggiati nei vari campi profughi allestiti dallo stato o autogestiti da volontari e migranti stessi. Iniziano a nascere anche associazioni di volontariato, prima totalmente assenti, gestite interamente da gente greca. Il popolo greco ci ricorda sempre che chi è in difficoltà va aiutato. E non è poco. kiremba ottobre 2016

15


animazione missionaria

esperienze estive: etiopia

basta mettersi in gioco Elisa Betta zapy@hotmail.it

M

a noi, cosa abbiamo fatto tre settimane in Etiopia?? Semplicemente, abbiamo condiviso la vita della missione con le sorelle e dei ragazzi del posto, sia nelle difficoltà che nelle gioie di ogni giorno. Ci siamo messi al servizio, dando ”una mano” per quel poco che potevamo, svolgendo dei compiti molto semplici come pitturare le pareti della scuola professionale, verniciare dei mobili e catalogare i libri della biblioteca della Comboni School. Al nostro ritorno qualcuno mi ha detto: ”tu, sei andata fino in Etiopia per fare cose che avresti potuto benissimo svolgere a casa?! Cosa ci sei andata a fare?” Ammetto che la domanda mi ha provocato e infastidito. È vero che non sono andata in Etiopia a salvare vite o sfamare gente, ma per me era logico che non mi sarei occupata di questo. Davo per assodato che l’andare in missione

16

kiremba ottobre 2016

la bellezza del panorama nell’entroterra etiope

non significa stravolgere il mondo, ma è un bellissimo momento di condivisione con una cultura diversa e un importante momento di crescita personale. Questo è stato. Ciò che porto a casa da questa esperienza, non sono situazioni incredibili all’Indiana Jones o azioni da supereroi da raccontare agli amici, ma sono i volti di tutte le persone incontrate, i momenti di vita condivisi. La bellezza del tempo vissuto in Etiopia, è stata il poter condividere la vita di tutti i giorni con le missionarie, in casa, e con le tante persone conosciute a scuola, tutti coloro con cui dividevamo il tempo lavorativo e le pause. Il mio incontro con un’altra cultura, in parte molto diversa dalla mia, è ciò che mi ha permesso di “crescere” a livello umano. Vivendo e lavorando fianco a fianco con i locali e con le missionarie, ho concretizzato che quello che per me è stata

un’esperienza di vita, per molti è la vita reale, quella di tutti i giorni. Capisco che quello che sto scrivendo possa sembrare una cosa banale, ma fidatevi, non è così scontata. Questo vivere lo stile di vita di “altri” con loro, giorno dopo giorno, è ciò che rende diverso un viaggio da un’esperienza missionaria. Solo ora che sono a casa, mi accorgo di questo. Noto che, oltre ad elencare le miriadi di cose belle e brutte che ho incontrato, magari lungo la strada per tornare in hotel, il condividere la quotidianità, mi permette di descrivere le gioie e le difficoltà che ho vissuto con e grazie agli amici incontrati. Dai meravigliosi colori del mercato, all’euforia della messa, con tanto di canti e offertorio con una capra e una mucca per la festa della Madonna. Ma anche le difficoltà non sono mancate, nonostante spesso siamo riusciti a ridere dei problemi superati.


 Nell’incontro quotidiano

Presenza viva  Durante il viaggio mi ha

Ogni tanto ci vuole un bello scossone che ci riporta con i piedi per terra, che ci aiuta a non vivere sempre da bambini viziati, dando tutto per scontato, ma imparare a ringraziare per ciò che abbiamo la fortuna di avere, ad esempio la possibilità di studiare.

Ogni tanto ci vuole un bello scossone che ci riporti con i piedi per terra, che ci aiuti a non vivere sempre da bambini viziati, dando tutto per scontato, ma imparare a ringraziare per ciò che abbiamo, per la fortuna di avere, ad esempio, la possibilità di studiare. Pensando a tutto questo, non posso che affermare che è proprio la condivisione della vita di tutti i giorni con i miei compagni di viaggio, con le missionarie e i ragazzi del posto che ha dato “sale” a questa esperienza, perché ognuno di loro, a modo suo, ha contribuito a renderla speciale. Innanzitutto le Comboni Sister, sempre disponibili a rispondere alle nostre mille domande e ad un sincero confronto. Loro ci hanno accompagnato in questa Etiopia così bella e talvolta incomprensibile. Ci hanno aiutati a rileggere le esperienze vissute, a smontare alcuni nostri schemi

mentali, a capire, o perlomeno provare a capire, le situazioni che ai nostri occhi apparivano assurde. Loro, più di ogni altra cosa, mi hanno spiegato l’importanza di essere meno impulsivi e più osservatori, perché il nostro modo di fare, agire, pensare per noi più logico, scontato, per una serie di motivi, non è detto che lo sia per un altro. Siamo sempre pronti a voler “dire la nostra”, fatichiamo a metterci nei panni dell’altro per provare a capire il significato dei suoi gesti, delle sue frasi. Questa è una delle difficoltà che abbiamo incontrato: provare a capire immedesimandosi nell’altro prima di giudicare. Non è cosa semplice! Mentre scrivo, il tempo scorre velocemente. Mi suona il telefono, leggo la notifica di un messaggio di Facebook da Tsegaab, un semplice “Hey Eli, what are you doing? it’s me Tsegaab”… per un secondo la mente percorre i bei momenti passati

accompagnato in modo molto profondo la riflessione di P. Almir Azevedo, missionario del Pime: “Essere missionari oggi significa riscoprire ed attualizzare la passione che Gesù aveva per le persone, una passione che il Cristo manifestava nella quotidianità come uomo itinerante e libero. Credo che il missionario nel nostro tempo debba riscoprire anche il senso della casualità e degli incontri spontanei perché era così che Gesù viveva la sua missione. E le persone che incontrava uscivano trasformate dopo il loro incontro.»

insieme, dal mercato a comprare pomodori e cipolla, al tentativo di aggiustare delle vecchie cuffie con la colla. Sorrido tra me e me, il cuore mi si riempie di gioia per tutto quello che ho ricevuto. Ringrazio il Signore per avermi nuovamente dato la forza di mettermi in gioco in una simile avventura, nonostante la stanchezza di un anno pieno di impegni. Lo ringrazio per avermi dato la possibilità di poter vivere un’esperienza così travolgente da renderla indimenticabile. Lo ringrazio per avermi donato nuovi amici e lo ringrazio soprattutto per avermi dato l’ennesima opportunità per conoscermi meglio e crescere. Lui ha fatto si che io aprissi gli occhi ed iniziassi a provare a scorgere la bellezza delle piccole cose del quotidiano e mi accorgessi che non è così scontato percepire ciò che ci circonda e rende speciali le nostre vite. kiremba ottobre 2016

17


animazione missionaria

esperienze estive: perù

tutto assume un volto marco meazzini marco.meazzini85@libero.it

V

ivere la missione è un gesto unico, una scelta, uno stile di vita. Vivere un’esperienza di un mese in missione è un momento indelebile nella vita di chiunque provi questa opportunità, ma è un lampo, un assaggio, un aperitivo che ti bagna la bocca e ti fa assaggiare il gusto dell’altro. L’altro non ha un buon sapore, non sa di fresco o di pulito, non sa di sterilizzato o di preconfezionato. L’altro sa di bolgia, di sudore, di schifo, di polvere e di dolore. E Lima, la mia destinazione (agosto 2016), è un concentrato di questo, un casuale mix di sapori e di gente, di famiglie che occupano colline e deserto in cerca di un futuro, di nonni e nonne scappati alla violenza di un decennio terrorista (Sendero Luminoso), di persone che vogliono avvicinarsi alla capitale richiamati dal colore del capitalismo. Un deserto infestato di 18

kiremba ottobre 2016

marco, il secondo da destra, in visita ad una famiglia di lima

persone, una metropoli sconfinata, immensa, a perdita d’occhio, con più di dieci milioni di poveri che arrampicano nella loro quotidiana povertà, arrancano pendolari di una vita di stenti, faticano per costruirsi quattro mura e per difendere quel poco che hanno. Lima sembra a primo impatto un purgatorio dantesco, fatto di mattoni, legno, paglia e Eternit, luci abusive allacciate clandestinamente ai lampioni, un purgatorio arroccato su cenciose colline di terra, sabbia, detriti e guano. Spesso mancano acqua e gas. Spesso in strada bande di criminali regnano incontrastati nella non legge dell’oscurità. Cani randagi, bambini randagi, colonne di automobili in coda con un sottofondo di clacson e musica latina incessante. Ad un primo sguardo la periferia appare così lontana dalla pittorica cartolina commerciale e turistica

A primo sguardo la periferia appare così lontana dalla pittorica cartolina commerciale e turistica delle Ande, di Cuzco, dei lama, di Machu Picchu, della “Montagna dei colori” o del lago Titicaca. Lima è davvero spaventevole a chi è pronto a giudicarla solo con questi occhi, da turista, da disinfettato viaggiatore-spettatore, incapace di ascoltare e di dialogare.


Il muro della vergogna A Lima, capitale del Perù, da quattro anni un muro di cemento di dieci chilometri, ribattezzato ‘’el muro de la verguenza’’, il muro della vergogna, divide la baraccopoli di Vista Hermosa dal quartiere residenziale di Las Casuarinas. Da un lato la povertà estrema e dall’altro l’opulenza di chi si sente minacciato convivono sulla stessa collina.

Al povero peruviano interessi prima tu. Poi ovviamente anche il resto. E il grazie, detto a cuore aperto, non va alla rete di cose che hai costruito, stai costruendo o costruirai, ma va al tuo essere qui con lui, testimone di fede, di speranza e di carità.

delle Ande, di Cuzco, dei lama, di Machu Picchu, della “Montagna dei colori” o del lago Titicaca. Lima “La Fea” (la brutta) è davvero spaventevole a chi è pronto a giudicarla solo con questi occhi, da turista, da disinfettato viaggiatorespettatore, incapace di ascoltare e di dialogare. Ma, arrivando in questo caos di vite, diversamente, pronti all’incontro con l’altro, all’essere missione e non al fare missione, tutto cambia. O meglio, man mano tutto cambia, giorno dopo giorno. Le strade non sono più solo code rumorose di pendolari, i quartieri non sono solo più ammassi di gente e di case, ma tutto assume un volto. Il brutto diviene entità, prende forma e poco a poco lo si conosce. Avviene l’incontro con il popolo, con la gente con l’altro, e quello che succede e drammaticamente piacevole. Ti riempie. Chi parte

per la missione, spesso parte con l’idea del volontariato puro, dell’essere risolutore di problemi, di fare e vincere. La missione, in un tempo così breve invece non è propriamente così. È uno scambio reciproco in cui tu partecipi fisicamente, ma il vero protagonista è chi sta attorno a te. Povero, cencioso, malato, diverso, in difficoltà, spesso e sempre. Eppure il suo vivere, in una vita ai nostri occhi caotica e miserabile, è innaturalmente un vivere proiettato all’essere aperto agli altri, alla fede, all’incontro, alla condivisione e alla comunità. L’altro è alfiere (vestito di abiti scartati dall’Occidente negli anni Novanta) dignitoso e fiero del suo vivere. Nel suo vivere la fede. Non importa se il missionario si spacca la schiena per scaricare container di abiti e mobilio, se si ingegna a creare reti solidali e

sociali, a fare pastorale umanitaria per gli ultimi, a costruire mense pubbliche e centri medici, sportivi ed educativi. Al povero peruviano interessi prima tu. Poi ovviamente anche il resto. E il grazie, detto a cuore aperto, non va alla rete di cose che hai costruito, stai costruendo o costruirai, ma va al tuo essere qui con lui, testimone di fede, di speranza e di carità. E allora lo scambio non vale davvero più. Perché i sacchi scaricati pesano e pesano anche le ore in policlinico o nella mensa, pesano le visite casa per casa ai fedeli, ai malati, agli anziani. Pesa far giocare un intero asilo e ascoltare tutti coloro che bussano alla tua porta per chiedere conforto. Ma tutto questo peso, messo sul piatto della bilancia, pesa zero, meno di una piuma, se si arriva allo scambio con l’altro. Il suo saluto, il suo costante e presente sorriso, il suo abbraccio, la sua stretta di mano e la sua disponibilità cancellano lo sforzo del viaggio, della fatica, del lavoro e del sudore. L’incontro si fa missione, semplicemente così in un idea di condivisione con un popolo, con una famiglia ospitante (in questo caso la Comunità Missionari di Villaregia di Villa Maria del Triunfo) sempre presente e guida in questo cammino difficile, nato dal corso proposto dal Centro Missionari Diocesano. Se dovessi veramente recensire questo mese in Sud America non lo farei a parole, ma inviterei chiunque a provare, a lasciarsi immergere in questo mare, in questo oceano di diversità che sa di periferia e di umano. Nuovi stili di viaggio o di vita, che lasciano il segno ieri, oggi e domani. kiremba ottobre 2016

19


animazione missionaria

 Nell’Africa Centrale

Suore Missionarie della Carità

premio cuore amico Il Premio, di cui quest’anno si celebra la ventiseiesima edizione, si terrà il 22 Ottobre 2016 alle ore 9.30. Ogni anno vengono segnalate figure esemplari di missionari (sacerdoti e religiosi, suore e laici) per la loro opera di evangelizzazione, di promozione e sviluppo nel mondo. La sede di consegna sarà la Chiesa di San Cristo presso i Padri Saveriani in via G.Piamarta 9 a Brescia.

Da 26 anni

É considerato il “Nobel dei Missionari”  Si rinnova anche quest ’anno l’appuntamento con il Premio Cuore Amico, istituito 26 anni fa e, da tempo, definito il “Nobel dei missionari”. Sacerdoti e religiosi, suore e consacrate, laici e laiche, congregazioni e ordini religiosi dal 1991 sono stati premiati per la generosità dei benefattori di Cuore Amico. Un’apposita commissione li ha scelti guardando alla loro testimonianza di fede e di vita: uomini e donne impegnati nei territori dove si sono trovati a vivere in Africa, in America Latina, nell’Asia e nell’Oceania. Fede che si fa promozione umana rispondendo ai più svariati bisogni, rendendo possibili progetti significativi e urgenti. Tante sono le realtà coinvolte, e tante sono le persone che hanno potuto beneficiare, del valore concreto del premio “Cuore Amico”. Il premio consiste in una somma di denaro che permette alle realtà missionarie di poter proseguire l’opera iniziata nei contesti più diversi , per i quali i missionari e le missionarie hanno deciso di spendere la vita.

20

kiremba ottobre 2016

«Sono una matita nelle mani di Dio», ripeteva Madre Teresa di Calcutta, al secolo Anjeza Gonxhe Bojaxhiu (1910-1997), la suora albanese con il sari bianco e azzurro proclamata Beata il 19 ottobre 2003, Santa lo scorso 4 settembre. È lei ad aver fondato le Missionarie della Carità, un istituto religioso femminile di diritto pontificio, eretto in congregazione nel 1950 e approvato dal Papa nel 1965. Nel mondo sono 6 mila le Missionarie della carità: sono presentui in oltre 130 Paesi; 129 sorelle vivono e operano in 18 comunità presenti in Italia, di cui 5 a Roma. Le suore si dedicano a varie opere di assistenza morale e materiale ai poveri; esiste anche il ramo delle suore contemplative che, fatta eccezione di due ore al giorno in cui si dedicano al servizio della comunità, sostengono le altre suore

con la preghiera. Oltre ai tre voti comuni a tutti i religiosi (povertà, obbedienza e castità), le Missionarie della Carità emettono un quarto voto, di offrire se stesse per il servizio dei più poveri tra i poveri. Il progetto in Africa Lo scopo dell’apostolato delle “piccole matite” è lavorare per la salvezza e la santificazione dei poveri ovunque essi siano in tutto il mondo, trasformando l’amore per Dio in azioni concrete. Per questo la Provvidenza che verrà dal Premio Cuore Amico sarà utilizzata per sostenere materialmente e spiritualmente chi oggi è in difficoltà in alcuni Paesi dell’Africa Centrale. Siamo certi che gli ammalati, i mendicanti, i bambini e gli anziani soli e abbandonati che si trovano in queste zone riconosceranno nel servizio delle sorelle il conforto e la misericordia di Dio.


San Luis - Perù

 Aleppo - Siria

Enrico Rigosa

Custodia della Terra Santa

Originario della provincia di Brescia, Enrico Rigosa entra a far parte dell’Operazione Mato Grosso nel 1980. Marito di Elena e papà di Chiara, Maria e Giulia, nel 1990 parte come volontario per il Perù, con la famiglia al seguito. Destinazione, la missione di San Luis sulle Ande, a 3.100 metri. Qui Enrico si dedica soprattutto ai giovani, promuovendo l’istruzione e l’educazione, oltre a un laboratorio di arte per i ragazzi della parrocchia.Dal 1999 vive quotidianamente l’opera di misericordia nelle carceri del Paese; opera iniziata nel 1999 in risposta al martirio del volontario Giulio Rocca e dell’allora parroco padre Daniele Badiali.

Ente religioso internazionale dell’Ordine dei Frati minori, la Custodia è radicata in Medio Oriente e opera in special modo in Terra Santa. Carichi di evangelica speranza, i francescani coordinano l’accoglienza dei pellegrini, e si dedicano a un’intensa attività pastorale in una zona in cui il cristianesimo fatica ad affermarsi. Numerose le opere sociali, tra cui scuole, ambulatori, case per anziani. Non mancano l’attività ecumenica e il dialogo interreligioso. Il fondatore, san Francesco d’Assisi, all’inizio del secolo XIII si recò in Medio Oriente per “toccare” quei luoghi che fino ad oggi costituiscono una testimonianza insostituibile della rivelazione di Dio e del suo amore per l’uomo.

Il progetto in Perù Con l’ammontare del Premio Cuore Amico, Enrico vorrebbe proseguire l’opera di misericordia verso i carcerati, iniziata nel 1999 in risposta al martirio del volontario Giulio Rocca e dell’allora parroco padre Daniele Badiali. «Ho sentito l’urgenza di rispondere al male con il bene, come ci chiede di fare Gesù», spiega. «Così ho cominciato a visitare le carceri del Paese cercando di rivolgere, con l’aiuto della preghiera, l’attenzione ai bisogni delle singole persone». In particolare, Enrico vorrebbe sostenere i laboratori di arte, di pasticceria, di produzione di scarpe, aiutando nel contempo anche le donne incinte, i bambini e gli anziani dietro le sbarre.

Il progetto in Siria Grazie al Premio Cuore Amico la Custodia aiuterà gli abitanti di Aleppo, città della Siria dal 2012 divisa in due settori, governativo e ribelle. Da mesi è teatro di sanguinosi combattimenti che, nell’ultimo periodo, si sono intensificati. Secondo le Nazioni Unite sono oltre 600 mila le persone costrette a vivere sotto assedio, con scarsezza di cibo, medicine e altri generi di prima necessità. «Queste zone stanno vivendo uno dei periodi più gravi di violenza», racconta padre Francesco Patton, «i ribelli terroristi continuano a colpire i centri abitati, soprattutto le zone cristiane”.

kiremba ottobre 2016

21


Orizzonti MIGRANTI

il dialogo: un mezzo privilegiato P.MARIO TOFFARI MARIOTOFFARI@DAVIDE.IT

N

ella moderna società stanno venendo sempre meno le certezze e le sicurezze tranquille delle culture monolitiche e questo crea non poco disagio in chi, magari per una vita intera, è stato rassicurato, anche nella propria fede, da definizioni chiare e distinte. “Fuggi le cattive compagnie” è sempre stato il motto di un’educazione corretta, ma anche protezionistica. Nessun ombra di dubbio: non ci è mai lecito collaborare a fare il male; ma questo non comporta la paura di entrare in contatto con chi riteniamo peccatore o non credente o credente di altre religioni: la missionarietà implica necessariamente il dialogo con tutti, credenti di altre religioni, non credenti, gente che ha perso la fede: il dialogo è la condizione necessaria per il contatto con l’altro e per lo stesso annuncio. Parlando del dialogo con le altre religioni il Vescovo Monari scrive: “…Dobbiamo partire dalla convinzione che tutti gli uomini formano una famiglia unica, voluta e creata da Dio. C’è dunque un amore eterno e generoso di Dio che si rivolge verso ogni creatura umana; e se Dio ama ciascun uomo, lo

22

kiremba ottobre 2016

P.MARIO TOFFARI CON L’IMAM Amin El Hazmi

stesso amore aperto a tutti è chiesto a ciascuno di noi. Non possiamo disprezzare nessuno, non possiamo essere indifferenti all’esperienza di nessuno; siamo chiamati ad amare tutti e cioè a volere e difendere la vita di tutti. Su questo non ci sono dubbi o incertezze. L’unico atteggiamento personale davvero disprezzabile è quello inautentico, cioè quello che non si lascia guidare dalla verità conosciuta, ma che ‘bara al gioco’ e cioè rifiuta per interesse o per capriccio quello che pure sa essere vero; insomma, quello che non è pulito nella coscienza….Con tutti gli uomini i cristiani condividono l’esistenza, con tutti sono destinatari dell’amore di Dio; di conseguenza sono chiamati a collaborare insieme con tutti nelle cose che favoriscono il bene sociale: si pensi all’attività economica, alla vita politica, al volontariato, alle diverse iniziative che possono essere prese a favore della pace, della concordia tra i popoli, della difesa dell’ambiente e così via”. (L. Monari, Stranieri, Ospiti, Concittadini). Eppure, oggi, sia il privato cristiano benpensante, attento che nel dialogo non si tenga conto del dovere di annunciare la verità di Cristo ma si

cerchi la semplice amiconeria, sia note emittenti cattoliche, preoccupate del diavolo che si inserisce nel dialogo, riducendolo a sfoggio di scienze umane, sia eminenti uomini della Chiesa che ci ricordano le sottili o violente voglie di conquista dell’Europa da parte dei musulmani, sia “i puri” che condannano chi ha accolto i musulmani nelle Chiese, giudicando un tranello la loro missione di pace, rischiano di creare incertezza e seminano dubbi, senza proporre soluzioni. Forse allora è meglio tornare al Vangelo che ci raccomanda di essere semplici come colombe e prudenti come serpenti: il dialogo non è svendita a nessuno, ma nemmeno orgoglioso sfoggio di verità. Forse meglio tornare ai Padri della Chiesa, che di contatto con i non credenti ne sanno qualcosa. Ricordo San Giovanni Crisostomo, accusato di non scacciare dalla chiesa il perfido Eutropio, che rimaneva abbracciato all’altare, invocando il diritto di asilo. Ai benpensanti, preoccupati che il peccatore Eutropio potesse contaminare l’altare, il Crisostomo rispondeva: “Ma l’Impura (la peccatrice che abbracciò i piedi del Signore,) non rese impuro il


Il dialogo significa conversare, discorrere tra persone che ricercano insieme, che parlano e si ascoltano. Questo è un distintivo del cristiano. chiamato dal vangelo ad essere lievito, cioè ad agire all’interno della società in cui vive e a farla sviluppare, non a separarsi da essa

Puro, ma fu il Puro a rendere pura l’Impura”. Ma forse sarebbe meglio con umiltà rifarsi ai documenti della Chiesa che ci specificano cos’è il dialogo interreligioso. Il documento che ancora fa testo è “Dialogo ed annuncio” del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, che ci propone i quattro passi del dialogo interreligioso: a) Il dialogo della vita, che si ha quando le persone si sforzano di vivere con lo spirito aperto e pronto a farsi prossimo, condividendo le loro gioie e le loro pene, i loro problemi e le loro preoccupazioni umane. b) Il dialogo dell’azione, nel quale i cristiani e gli altri credenti collaborano per lo sviluppo integrale e per la liberazione del loro prossimo c) Il dialogo dello scambio teologico, nel quale gli specialisti cercano di approfondire la propria comprensione delle loro rispettive eredità spirituali, e di apprezzare, ciascuno i valori spirituali dell’altro. d) Il dialogo dell’esperienza religiosa, nel quale le persone, radicate nelle loro tradizioni religiose condividono le loro ricchezze spirituali, per esempio nel campo della preghiera e della contemplazione, della fede e dei modi

di ricercare Dio o l’Assoluto. (n. 42) Il dialogo dello scambio teologico è lasciato giustamente agli specialisti. Ma a noi, a tutti noi, è affidato il dialogo della vita. “Naturalmente il dialogo non esclude, ma anzi richiede l’annuncio: “Il dialogo interreligioso e l’annuncio, anche se si situano su livelli diversi, sono entrambi elementi autentici della missione evangelizzatrice della Chiesa. Sono entrambi legittimi e necessari. Sono profondamente correlati, ma non intercambiabili: il vero dialogo religioso presuppone, da parte dei Cristiani, il desiderio di conoscere meglio, riconoscere e amare Gesù Cristo; l’annuncio di Gesù Cristo deve essere portato avanti nello spirito evangelico del dialogo”. (Ib.77) In parole semplici: dialogo perché so di avere una grande ricchezza, che mi è stata donata gratuitamente, la fede in Gesù, e sento il bisogno di comunicarla, gratuitamente, senza tornaconti personali. Spacconeria e timidezza, paura e sventatezza non fanno parte del Vangelo. La prudenza, quella vera, non ci deve permettere di arroccarci in un piccolo gruppo, che deve “confrontarsi” con gli altri per

dimostrare di essere l’unico detentore della verità. Il “confronto” è un termine del ’68, quando forze politiche di ideologie marcatamente incompatibili (il marxismo dichiaratamente ateo e la democrazia marcatamente cristiana) decisero appunto di “confrontarsi” per trovare qualche punto di azione in comune. Il dialogo significa conversare, discorrere tra persone che ricercano insieme, che parlano e si ascoltano. Questo è un distintivo del cristiano. Infine, e questo è meraviglioso, il dialogo può contare sulla preghiera di Gesù: “Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me.” E’ veramente bello pensare che qualcuno ha creduto o crederà in Gesù perché qualcuno di noi lo ha fatto conoscere attraverso la sua parola. kiremba ottobre 2016

23


A Maria, Madre della Chiesa

Preghiera iniziale

Formazione & spiritualità

La preghiera, la formazione, la spiritualità sono l’anima di ogni azione autenticamente evangelica ed ecclesiale. Per questo in ogni numero cerchiamo di offrire spunti di riflessione, temi di approfondimento, proposte di preghiera personale e comunitaria.

 Aiutaci a guardare il mondo con simpatia e con l’audacia della fede. Vergine Santa, che guidata dallo Spirito, “ti mettesti in cammino per raggiungere in fretta una città di Giuda” (Lc 1,39), dove abitava Elisabetta, e divenisti così la prima missionaria del Vangelo, fà che, sospinti dallo stesso Spirito, abbiamo anche noi il coraggio di entrare nella città per portare annunci di liberazione e di speranza, per condividere con essa la fatica quotidiana, nella ricerca del

bene comune. Donaci oggi il coraggio di non allontanarci, di non imboscarci dai luoghi dove ferve la mischia, di offrire a tutti il nostro servizio disinteressato e guardare con simpatia questo mondo nel quale nulla vi è di genuinamente umano che non debba trovare eco nel nostro cuore. Aiutaci a guardare con simpatia il mondo, e a volergli bene. Come te, Vergine Santa, sacerdote, profeta e re, facci entrare nella città. Amen.

Formazione la gioia del vangelo claudio treccani

claudio@cmdbrescia.it

Video

https://www.youtube. com/watch?v=vxd6_ qSxZqg

Cosa ha suscitato in me questo video?

La Parola

La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. (EG 1)

24 kiremba ottobre 2013

24

kiremba ottobre 2016

La visita di Maria ad Elisabetta, per la presenza di Dio che Maria portava in se, fa sì che Giovanni salti di gioia nel grembo di sua madre. Anche noi cristiani portiamo in noi stessi, per il battesimo, la presenza di Dio. E’ questo il dono che suscita gioia profonda anche negli altri … nonostante i nostri limiti e debolezze. Il dono che porto è più grande di me. Lc 1, 39-45 La Visitazione In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore». • Credo veramente che il dono che porto è più grande di me?

Magistero Evangelii Gaudium – Esortazione apostolica Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere


Don Tonino Bello

Preghiera finale  Noi sacerdoti troviamo il culmine della nostra presenza presbiteriale nel giovedì santo, quando vien posto nelle nostre mani l’olio dei catecumeni, l’olio degli infermi e il sacro crisma. Fà che nelle nostre mani l’olio degli infermi significhi scelta preferenziale della città malata, che soffre a causa della debolezza propria o della malvagità altrui. Fà che l’olio dei catecumeni, l’olio dei forti, l’olio dei lottatori, esprima solidarietà di impegno con chi lotta per il pane, per la casa, per il lavoro. Solidarietà da tradurre anche con coraggiose scelte di campo. E fà che il sacro crisma indichi a tutti gli umiliati e gli offesi della nostra città, ma anche agli indifferenti e ai distratti la loro incredibile dignità profetica e regale. Amen.

la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta. Egli ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia. Non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada. Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua. Però riconosco che la gioia non si vive allo stesso modo in tutte le tappe e circostanze della vita, a volte molto dure. Si adatta e si trasforma, e sempre rimane almeno come uno spiraglio di luce che nasce dalla certezza personale di essere infinitamente amato, al di là di tutto. «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva». Solo grazie a quest’incontro – o reincontro – con l’amore di Dio, … giungiamo ad essere pienamente umani permettendo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. • Tutto questo capita davvero? • Raccontiamoci delle esperienze di come viviamo questo incontro con Gesù, fonte di gioia.

Eco della Vita

Una lunga missione d’amore. Le convinzioni profonde delle tre missionarie martiri Il 7 settembre 2014 a Kamenge, periferia di Bujumbura, sono state barbaramente assassinate le sorelle Lucia Pulici, Olga Raschietti e Bernardetta Boggian. Presentiamo alcuni cenni biografici delle tre saveriane martiri. Una lunga vita

di servizio e di amore missionario, al femminile, ispirato da profonde convinzioni, anche nelle debolezze legate agli acciacchi e all’età avanzata. La missione è una scelta per tutta la vita. Sorella Olga Raschietti Olga aveva da poco compiuto 83 anni. Era nata a Montecchio Maggiore (Vicenza). Nel 1968 era partita per lo Zaire (Congo RD). Con fede e coraggio aveva vissuto le vicende delle guerre che hanno insanguinato i Paesi dei grandi Laghi africani. Nel 2010 era stata inviata nella missione di Kamenge, in Burundi, in un quartiere popolare della periferia di Bujumbura. Raccontava nel luglio 2013: “Sono ormai sulla soglia degli ottant’anni. Nel mio ultimo rientro in Italia, le superiore erano incerte se lasciarmi ripartire. Un giorno, durante l’adorazione, pregai: «Gesù, che la tua volontà sia fatta; però tu sai che desidero ancora partire». Mi vennero limpidissime in mente queste parole: “Olga, credi di essere tu a salvare l’Africa? L’Africa è mia. Nonostante tutto, sono però contento che parti: va’ e dona la vita!». Da allora, non ho più dubitato”. Sorella Lucia Pulici Lucia avrebbe compiuto 75 anni l’8 settembre. Era nata a Desio (MI). Nel 1970 partì per il Brasile, dove svolse per dodici anni la sua professione di infermiera e ostetrica, soprattutto nei quartieri più poveri. Nel 1982 venne inviata in Zaire (Congo RD), dove rimase per venticinque anni, fino al 2007, continuando il suo servizio di ostetrica e infermiera. Era a Kamenge dal 2007. Nell’ottobre del 2013 diceva: “Sto tornando in Burundi, alla mia età e con un fisico debole e

limitato, che non mi permette più di correre giorno e notte come prima. Interiormente però credo di poter dire che lo slancio e il desiderio di essere fedele all’amore di Gesù per me concretizzandolo nella missione è sempre vivo. La missione mi aiuta a dirgli nella debolezza: «Gesù, guarda, è il gesto d’amore per te»”. Sorella Bernardetta Boggian Bernardetta aveva 79 anni. Era nata a Ospedaletto Euganeo (PD). Nel 1970 era partita per lo Zaire (Congo RD), dedicandosi con passione e amore al lavoro pastorale e in particolare alla promozione della donna, le scuole di alfabetizzazione e di formazione per ragazze e donne. Nel 2007 venne inviata a Kamenge, dove svolgeva attività pastorale con una capacità di incontro semplice e fraterno. Nel 2013 aveva scritto: “Occorre nutrire in noi uno sguardo di simpatia, rispetto e apprezzamento dei valori delle culture, delle tradizioni dei popoli che incontriamo. Questo atteggiamento, oltre che dare serenità al missionario, aiuta a trovare più facilmente il linguaggio per comunicare il vangelo. Nonostante la situazione complessa e conflittuale dei Paesi dei Grandi Laghi, mi sembra di percepire la presenza di un regno d’amore che si va costruendo, che cresce come un granello di senape, di un Gesù presente donato per tutti. A questo punto del mio cammino continuo il mio servizio ai fratelli africani, cercando di vivere con kiremba maggio 2014 25 amore, semplicità e gioia”. L’equipe formata da Tullio, Grazia Anna, Filippo e Claudio gradirebbe avere un riscontro sulla condivisione che questa proposta ha suscitato: puoi scrivere a: missioni@diocesi. brescia.it kiremba ottobre 2016

25


formazione & spiritualità

Pregare insieme Ogni santo, nelle piccole e grandi cose, ha dimostrato coraggio perché lo Spirito Santo abita dentro di lui e agisce in modo evidente, diceva San Paolo: «non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me».

 A cura di don Francesco Pedrazzi - frapedro73@gmail.com La preghiera missionaria dei Santi Santa Teresa di Gesù Bambino: la carmelitana con il cuore missionario «Le vite dei santi sono il vangelo messo in pratica. Fra il vangelo e le vite dei santi non passa maggior differenza di quella che passa tra la musica scritta e la musica cantata». Queste parole di san Francesco di Sales (Dottore della Chiesa) ci ricordano una verità forse non sempre adeguatamente considerata. Il Vangelo giunge a noi attraverso la “comunione dei santi”: cioè attraverso la relazione con volti, vite, storie, testimonianze di persone concrete, in carne ed ossa, che lo hanno accolto e vissuto. Il primo e per certi versi l’unico vero Santo è il Signore Gesù. Nessuno come Lui “incarna”il Vangelo della salvezza. Anzi, Gesù stesso è il Vangelo. Nondimeno le vite dei santi sono, lungo la storia, l’ininterrotto concerto di quella “musica divina” che è la Vita del Risorto. Intendiamo con la parola “santo” una persona docile all’azione dello Spirito Santo e che proprio per questo conduce i fratelli a Gesù. Non pensiamo solo ai“santi del calendario”. Pensiamo ai volti concreti che ci aiutano a incontrare il Risorto. Ciò precisato, in questo spazio accosteremo figure di santi riconosciuti come tali dalla Chiesa. Fisseremo l’attenzione su un aspetto: la preghiera; anzi, più precisamente la preghiera in quanto cuore della loro azione missionaria e del loro essere testimoni del Vangelo. Quale modo migliore per comprendere il rapporto tra preghiera e missionarietà se non quello di vederlo all’opera nella vita dei santi? In questa “prima puntata” la scelta non può che cadere sulla Patrona delle Missioni (memoria liturgica all’inizio del mese missionario: il 1° ottobre): santa Teresa di Gesù Bambino. Qui il rapporto tra preghiera e missionarietà è clamoroso se si considera che la piccola suora carmelitana non ha mai messo piede in una terra di missione, anzi non è mai uscita dal suo monastero. Proprio questo ci deve indurre a riflettere: qual’é l’essenza della missione e dell’identità del missionario? L’agire? Il fare? Il viaggiare? Tutti aspetti che possono esserci, ma anche no. Come nel caso di Teresa di Lisieux. C’è invece un aspetto che non può mai mancare, senza il quale non si può essere veri missionari e con il quale si può essere missionari in ogni situazione della vita (anche su un letto di ospedale): il“cuore missionario”, ovvero profondamente unito a Gesù mediante la preghiera in un atto di abbandono totale al Padre per la salvezza dei fratelli. Teresa di Lisieux aveva davvero un cuore missionario: aspirava ad «annunciare il Vangelo nelle cinque parti del mondo...». Realizza questa aspirazione anche prendendosi carico di un giovane seminarista che chiedeva che una suora «lo aiutasse con le sue preghiere e sacrifici quando sarebbe stato missionario». Sarebbe bello se provassimo anche noi un po’ di quella gioia che santa Teresina sentì quando le venne chiesto di “adottare” spiritualmente quel seminarista: «…il mio desiderio esaudito in un modo insperato fece nascere nel mio cuore una gioia che chiamerò infantile… mai da anni avevo gustato quel genere di felicità!».

26

kiremba ottobre 2016


Blocknotes

Veglie Missionarie Venerdi 30 Settembre ore 20.30 • Monastero del Buon Pastore, Via Lama,83 - Brescia • Monastero Clarisse, Via F.Martinoli,3 - Lovere Giovedì 01 ottobre ore 20.30 • Monastero S. Chiara Clarisse, Via san Pietro - Bienno Lunedì 03 Ottobre ore 20.30 • Monastero della Visitazione Via Versine,9 - Salò Sabato 22 ottobre ore 20.30 • Veglia missionaria diocesana in Cattedrale con mandato ai missionari partenti Piazza Paolo VI - Brescia

L’animazione missionaria in Parrocchia Il Centro Missionario, in collaborazione con tante realtà della Diocesi, propone una pubblicazione in cui si possono trovare tutte le occasioni di incontro e formazione sulle tematiche missionarie. É un opuscolo che offre un ampio panorama di proposte su tutto ciò che riguarda il mondo delle missioni, le tematiche ed suoi attori . Le proposte sono destinate a quanti desiderano affrontare o approfondire, oltre ai temi prettamente legati al mondo missionario, anche argomenti legati all’ educazione alla mondialità, o a coloro che desiderano essere promotori dell’animazione missionaria all’interno della propria realtà. Oltre ai corsi destinati a coloro che desiderano prepararsi ad un’esperienza in missione, in questa pubblicazione si possono trovare anche i nominativi di molti missionari che si rendono disponibili, a quanti ne facessero richiesta, a condividere e raccontare le loro esprienze pastorali in Diocesi lontane da Brescia. Per richiedere l’opuscolo, già distribuito negli incontri con i presbiteri della Diocesi, è sufficente contattare il Centro Missionario.

kiremba ottobre 2016

27



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.