Dicembre 2017

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Povera Chiesa Passato o futuro? Dicembre 2017


SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERçUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVII - N° 5 DICEMBRE 2017 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA

Sommario

Primo piano Povera Chiesa

A quale prezzo?

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Passato o futuro? Dicembre 2017

Bimestrale dell’Ufficio Missionario Diocesano, via Trieste 13/B - Brescia Tel 030.3722350 - Fax 030.3722360

Chiesa & missione

Convegno missionario giovanile

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Direttore don Adriano Bianchi Direzione e redazione Via Callegari, 6 – 25121 Brescia Tel. 030.3754560 Fax 030.3751497 e-mail redazione: kiremba@diocesi.brescia.it e-mail Ufficio Missionario: missioni@diocesi.brescia.it web: www.diocesi.brescia.it/missioni Redazione don Carlo Tartari: carlotartari@diocesi.brescia.it Andrea Burato: andrea.cm@diocesi.brescia.it Claudio Treccani: claudiotreccani@diocesi.brescia.it Chiara Gabrieli: chiaragabrieli@diocesi.brescia.it don Roberto Ferranti: donrobertoferranti@gmail.com don Francesco Pedrazzi : frapedro73@gmail.com Francesca Martinengo: fra.martinengo@gmail.com

I missionari raccontano Raccontare il festival della missione Mali Mozambico Sud Sudan

Animazione missionaria

Esperienze estive: Argentina Esperienze estive: Mozambico

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Grafica e impaginazione Andrea Burato Autorizzazione del tribunale di Brescia N. 269 del 11.07.1967 Imprimatur Curia vescovile di Brescia Stampa LITOS – Gianico (BS) Editrice Fondazione opera diocesana San Francesco di Sales, via Callegari, 6 - 25121 Brescia

Orizzonti Dialogo interreligioso

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Formazione & spiritualità Abbonamento ANNUALE 12,00 euro ORDINARIO 50,00 euro sostenitori PER LE POSTE ITALIANE CONTO CORRENTE N° 389254. INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA VIA TRIESTE, 13 25121 BRESCIA CON CAUSALE: “ABBONAMENTO KIREMBA 2017” BONIFICO BANCARIO: IBAN: IT79F0311111205000000007463

IL TUO AIUTO PER LE MISSIONI UBI BANCA - AGENZIA N. 5 C/C N. 7463 - ABI 3500 - CAB 11205 IBAN: IT75S0350011205000000007463 INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA - UFFICIO PER LE MISSIONI BANCA POP. ETICA VIA V.VENETO, 5 - 25128 BRESCIA C/C N. 102563 - ABI 5018 CAB 11200 IBAN IT 51 K050 1811 2000 0000 0102 563 INTESTATO A: UFFICIO MISSIONARIO - DIOCESI Kiremba - Dicembre 2017 DI BRESCIA 2

Scheda di formazione La preghiera missionaria dei Santi

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Blocknotes Agenda 27

NOVITÀ PER ACCEDERE AI CONTENUTI MULTIMEDIALI, INQUADRA CON IL TUO SMARTPHONE DOTATO DI LETTORE, IL CODICE QR PRESENTE IN ALCUNE PAGINE DI KIREMBA. CON QUESTA MODALITÀ DESIDERIAMO INTEGRARE SEMPRE MEGLIO LA RIVISTA CON LA POSSIBILITÀ DI VISIONARE FILMATI, GALLERIE FOTOGRAFICHE, SITI WEB DEL MONDO MISSIONARIO ED ECCLESIALE. QUI A SINISTRA TROVATE IL CODICE QR CHE RIMANDA AL SITO DELL’ UFFICO PER LE MISSIONI DELLA DIOCESI DI BRESCIA


editoriale

Chiesa povera o Povera chiesa? don carlo tartari carlotartari@diocesi.brescia.it

P

apa Francesco dice:”La p o v e r t à per noi non è una categoria sociologica o filosofica o culturale: no, è una categoria teologale. Direi, forse la prima categoria, perché quel Dio, il Figlio di Dio, si è abbassato, si è fatto povero per camminare con noi sulla strada. E questa è la nostra povertà: la povertà della carne di Cristo, la povertà che ci ha portato il Figlio di Dio con la sua incarnazione. Una Chiesa povera per i poveri incomincia con l’andare verso la carne di Cristo”. La povertà ci provoca, ci scomoda, ci interpella: il coinvolgimento è non solo personale, ma anche comunitario. Quella sorta di sottile disagio che proviamo incontrando un povero ha un riverbero non solo individuale, ma soprattutto sociale ed ecclesiale. Il rischio è parlare della povertà in termini astratti, teorici, per certi versi poetici senza mai sfiorarla, incontrarla: la povertà non esiste come concetto, come astrazione, ma si incarna nel vissuto e nelle vicende di uomini e donne con un nome, un volto, una storia. Incontrare la povertà è un conto, avvicinarsi ad un povero è molto più provocatorio e destabilizzante. Spesso i missionari e le missionarie sono associate immediatamente, nell’immaginario collettivo, all’aiuto ai poveri: ce lo ricorda anche quel piccolo salvadanaio di cartone un po’ “vintage” che in qualche angolo della nostra casa o della nostra parrocchia ci domanda un gesto di generosità. Ma i missionari non sono in modo semplicistico “quelli che aiutano i poveri”, sono uomini e donne che hanno sentito l’appello a camminare, a vivere, a stare con i poveri: a farsi essi stessi poveri per condividere una condizione nella quale gran parte dell’umanità cerca

di progredire verso un miglioramento della propria condizione. Questo passaggio, tante volte teorizzato, non ha ancora mutato i nostri stili e le nostre scelte; siamo ancora propensi ad aiutare i missionari e le missionarie, la generosità non è venuta meno, ma condividere la condizione di povertà è lontano dai nostri orizzonti ed evoca in noi paure e angosce. Papa Francesco indica i poveri come luogo di incontro con il Signore, ne fa addirittura una “categoria teologale”: vuoi capire, comprendere, incontrare, servire il Signore? Stai vicino ai poveri! Una via scomoda, scandalosa, inedita. Non è un’invenzione originale di Papa Francesco, è una rivelazione che a partire dal Vangelo si rivolge ad ogni uomo, di ogni tempo, di ogni latitudine: forse avevamo dimenticato questo passaggio essenziale, forse ci eravamo concentrati molto sulla povertà e meno sui poveri, forse abbiamo pensato che fosse sufficiente aiutare chi, in vece nostra, si fa prossimo ai poveri. Non so se torneremo ad essere una Chiesa povera, ma talvolta forse rischiamo di essere una povera Chiesa: questa affermazione sembra un gioco di parole, ma non vuole esserlo, almeno nelle intenzioni. Siamo una povera Chiesa quando inaridiscono le sorgenti di vita che alimentano la vita di una comunità cristiana: la preghiera, l’Eucaristia, l’invocazione dello Spirito che converte i cuori e “fa fiorire il deserto”. Siamo una povera Chiesa quando ci chiudiamo sui nostri problemi organizzativi e gestionali, quando ci soffermiamo sui numeri e le statistiche e non incontriamo più la novità del Vangelo. Forse qualche passaggio da una povera Chiesa ad una Chiesa povera potrà rinnovarci, cambiarci, ringiovanirci. I missionari del Vangelo sono una risorsa preziosa per imparare questa conversione scomoda, ma decisiva. Kiremba - Dicembre 2017

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Primo piano

BUSINNESS ARMATO

a quale prezzo? PIERGIULIO BIATTA piergiulio.biatta@gmail.com

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’è un settore in forte crescita a livello mondiale, europeo e anche in Italia. É quello degli armamenti. É una questione preoccupante: solo un terzo dei sistemi militari esportati dall’Italia è diretto ai paesi alleati della Nato e dell’UE, mentre la gran parte (quasi il 60%) è rappresentata da forniture di armamenti ai paesi del nord Africa e del Medio Oriente, cioè alle zone di maggior tensione del mondo. Tra i principali paesi destinatari figurano le monarchie assolute saudite, regimi autoritari come Egitto e Algeria e quasi tutti i paesi del Golfo, i cui governi sono noti per le gravi violazioni dei diritti umani. Nella provincia di Brescia, oltre alle aziende produttrici di armi sia militari che comuni della Val Trompia, vi sono diverse imprese del settore militare tra cui la RWM Italia. Questa azienda, che fa parte del gruppo tedesco

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in aumento costante la vendita di armi

Rheinmetall, ha a Ghedi la sua sede amministrativa, mentre la fabbrica è a Domusnovas in Sardegna. Proprio da questa azienda sono partite e continuano a partire forniture di bombe aeree per l’aeronautica militare saudita. Nel marzo del 2015, l’Arabia Saudita è intervenuta militarmente, senza alcun mandato internazionale, nel conflitto in Yemen causando più della metà delle 10mila morti tra i civili, bombardando scuole, ospedali, mercati e contribuendo alla catastrofe umanitaria che sta devastando quel paese. Nonostante le reiterate richieste al governo da parte della Rete italiana per il Disarmo, di cui il nostro Osservatorio è membro, e di numerose altre associazioni, di sospendere l’invio di forniture militari all’Arabia Saudita, lo scorso anno la RWM Italia ha ricevuto dal Ministero degli Esteri l’autorizzazione a fornire all’Arabia Saudita 19.675 bombe

Il SIPRI, l’autorevole Istituto di ricerche per la pace di Stoccolma, riporta a partire dal 2001 un tendenziale e costante aumento nel commercio mondiale di armamenti. Pochi sanno però che uno dei maggiori incrementi è rappresentato proprio dall’Italia: dal 2014 al 2016 le autorizzazioni all’esportazione di armamenti italiane sono sestuplicate e hanno segnato la cifra record di 14,6 miliardi di euro.


Osservatorio

Opal Brescia Opal (Osservatorio permanente sulle rami leggere) da anni esegue un monitoraggio sul commercio delle armi in Italia. Da tempo si pensa che sia molto importante aprire il dialogo con le altre chiese su questo tema. Ci sono esperienze molto positive in questo senso soprattutto in Germania: la Conferenza Congiunta Chiese e Sviluppo, che raduna le chiese cattoliche e protestanti e le principali associazioni tedesche pubblica annualmente delle analisi molto importanti, e spesso fortemente critiche, riguardo alle esportazioni di sistemi militari. Sarebbe importante che anche in Italia si formasse un simile comitato: la pace è un bene prezioso che necessita del contributo di tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

aeree del valore di 411 milioni di euro: è la maggior esportazione di bombe mai effettuata dall’Italia. Questi ordigni vengono utilizzati dalla Royal Saudi Air Force per bombardare lo Yemen: gli esperti delle Nazioni Unite ne hanno documentato il ritrovamento e l’utilizzo anche in zone abitate da civili e affermano che questi bombardamenti possono costituire crimini di guerra. Non solo: dalle informazioni che si possono ricavare dalla Relazione inviata dalla Presidenza del Consiglio al Parlamento si può rilevare il ruolo di una banca del territorio bresciano: si tratta di Banca Valsabbina che proprio ed in particolare della sua filiale di Ghedi di cui l’azienda RWM Italia si serve per operazioni di incasso per le esportazioni di bombe e materiali militari. Nei mesi scorsi, i direttori delle tre riviste che dal 2000 hanno promosso la Campagna di pressione alle “banche armate” con

una “lettera aperta” hanno chiesto alla banca bresciana di fare chiarezza e sospendere i servizi disposti per la produzione e l’esportazione di materiali militari e di armi comuni verso paesi in conflitto armato ed i cui governi siano responsabili di gravi violazioni dei diritti umani. Banca Valsabbina ha risposto ai tre direttori, ma senza assumere alcun impegno specifico oltre a quelli già definiti dalla legislazione italiana che la banca, come ogni altro istituto di credito, è tenuta ad osservare. Papa Francesco, durante la recente Settimana Sociale, ha parlato dell’immoralità del lavoro che produce armi: “Ci sono lavori – ha detto il papa – che umiliano la dignità delle persone, quelli che nutrono le guerre con la costruzione di armi, che svendono il valore del corpo con il traffico della prostituzione e che sfruttano i minori”. Il papa non parla della produzione di armi generale,

ma punta l’attenzione su un fatto specifico: la costruzione di armi che nutrono le guerre. Credo sia venuto il tempo anche per le associazioni sindacali e dei lavoratori, a cominciare da quelli cattolici, di riaprire una riflessione su questo tema. Sappiamo che è difficile, soprattutto in tempo di forte precarietà economica, ma è un tema che va affrontato per delineare insieme un modello di sviluppo sostenibile e anche per mettere in campo seri programmi di riconversione. Oggi l’industria militare italiana ed europea è sovradimensionata e per potersi sostenere punta sulle esportazioni: è una politica che non contribuisce affatto alla sicurezza dei nostri paesi, ma che invece alimenta guerre e tensioni le quali, tra l’altro, favoriscono il terrorismo internazionale che tutti dicono di voler contrastare, e i fenomeni migratori di cui poi molti si lamentano. Kiremba - Dicembre 2017

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Chiesa & missione COnvegno missionario giovanile 2018

il coraggio di credere GIOVANNI ROCCA g.rocca@missioitalia.it

ALCUNI GIOVANI CHE HANNO PARTECIPATO ALLO SCORSO FESTIVAL DELLA MISSIONE

Brescia, dal 12 al 15 ottobre scorsi, si è celebrato il “Festival della Missione”. Con un programma ricco di testimonianze, spettacoli, mostre ed eventi, questo evento, ha suscitato l’interesse di centinaia di giovani. Giunti dai Centri Missionari Diocesani e dagli Istituti Religiosi, i giovani hanno percorso le vie della città alla riscoperta di un mondo fatto di incontri, di storie, dal sapore di terre lontane e vicine, la Missione. Proprio per loro, nel contenuto e nello stile, sono state pensate diverse iniziative. In più, un intero spazio dedicato, lo “Youth Village”. Luogo di scambio, di conoscenza, di ascolto. Missio Giovani, settore giovanile della Fondazione Missio, ha curato questo spazio riportando al suo interno l’annuale Assemblea Nazionale, ritrovo dei giovani missionari referenti delle diocesi e punto di partenza per l’animazione

missionaria dell’anno pastorale. La “ricerca di Dio” e la “ricerca di sé”, hanno rappresentato il filo conduttore dei diversi momenti. L’obiettivo: tornare a casa con una sola consapevolezza: “Mission is possible”, la Missione è possibile. In questa occasione Missio Giovani ha presentato la Missio Giovani Dashboard, la proposta per l’animazione missionaria di adolescenti e giovani per l’anno pastorale 2017-2018. Una piattaforma online attraverso la quale ci si può preparare a vivere il Sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” (per saperne di più www.mgd.missioitalia.it). Altro importante avvenimento, il lancio del Convegno Missionario Giovanile 2018. Ogni tre anni la Fondazione Missio, in collaborazione con gli Istituti missionari presenti in Italia, offre la possibilità ai giovani

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 Dal 28 Aprile al 1Maggio 2018

Incontro a Sacrofano  Dal messaggio del Papa, l’organizzazione del Convegno missionario giovanile , ha tratto spunto per proporre il tema del prossimo convegno. Un forte stimolo per tutti i giovani che sono vicini al mondo missionario.

Il CoMiGi giungerà nel 2018 alla sua quinta edizione. Negli anni queste giornate hanno rappresentato non solo la formalità del ritrovo, ma soprattutto il rilancio dell’entusiasmo missionario tra i giovani, che le hanno vissute in piena comunione, riuniti intorno alla Parola e stretti da forti ideali.

missionari italiani di ritrovarsi in questo importante momento di analisi, riflessione e confronto sulle scelte dell’animazione missionaria giovanile, in questa edizione, appunto, in vista del Sinodo. Il CoMiGi giungerà nel 2018 alla sua quinta edizione. Negli anni queste giornate hanno rappresentato non solo la formalità del ritrovo, ma soprattutto il rilancio dell’entusiasmo missionario tra i giovani, che le hanno vissute in piena comunione, riuniti intorno alla Parola e stretti da forti ideali. Dal 28 aprile al 1 maggio, il Convegno si svolgerà a Sacrofano, nei pressi di Roma. La scelta del luogo non è stata affidata al caso. In questo anno così importante per i giovani, si vuole ripartire dal “centro” per ritrovare il coraggio e la gioia di andare verso le periferie, quel moto in uscita al quale papa Francesco continua ad invitarci. Il tema scelto è “Sulla Tua Parola

getterò i miei sogni”. Partendo da una nota espressione di San Pietro, abbiamo voluto porre l’accento su un tema caro al mondo giovanile: i sogni. Oggi più che mai i giovani si trovano di fronte una difficile sfida, credere nei propri sogni. In una società che non li accompagna, non li comprende, non facilita il loro inserimento nel mondo del lavoro, dello studio, che non ripone fiducia nella famiglia, le aspettative calano e sempre più spesso le ambizioni vengono abbandonate di fronte al primo ostacolo. Che ruolo può avere la nostra Chiesa in tutto ciò? Come può farsi compagna di viaggio delle nuove generazioni? Per noi la risposta sta nella riscoperta dell’entusiasmo missionario. Francesco, nell’Udienza Generale del 24 aprile 2013 , rivolgendosi ai giovani diceva: “A voi, che siete all’inizio del cammino della

vita, chiedo: avete pensato ai talenti che Dio vi ha dato? Avete pensato a come potete metterli a servizio degli altri? Non sotterrate i talenti! Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. La vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché la doniamo. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose grandi!”. Per noi queste parole sono diventate un vero monito. Vorremmo che i giovani riacquistassero fiducia in loro stessi, nella loro famiglia, nella comunità, nelle istituzioni. Il CoMiGi rappresenterà sopratutto questo, una spinta, una presa di coscienza e l’occasione per ritrovare il coraggio di credere nel bene. Siamo convinti che un altro mondo sia possibile. Negli occhi e nel cuore dei giovani troviamo una speranza repressa, dei sogni chiusi a chiave in un cassetto, la voglia di riscatto e la necessità di sentirsi parte attiva della società. Crediamo che tutto ciò aspetti solo il momento giusto per balzare fuori e riempire il mondo di un’energia nuova. Come organismo pastorale abbiamo il dovere di creare le giuste occasioni perché ciò avvenga. Solo così potremo affermare di averci realmente provato. Di aver compiuto un tentativo, un passo in avanti verso un mondo più giusto, senza barriere, in cui le periferie esistenziali siano portate al centro. I giovani sono il presente e saranno i protagonisti di questo cambiamento. Al CoMiGi incroceremo gli sguardi e ci diremo a vicenda che i nostri sogni sono già realtà. Kiremba - Dicembre 2017

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I missionari raccontano RACCONTARE IL FESTIVAL DELLA MISSIONE/1

comunione e laboratorio di idee DON MICHELE AUTUORO m.autuoro@chiesacattolica.it

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a gioia, la partecipazione e i momenti di comunione vissuti dal 12 al 15 ottobre scorsi a Brescia durante il primo Festival della Missione hanno dato risposta al tema “Mission is possible”. Il successo dell’iniziativa promossa da Missio, Organismo pastorale della Cei, dalla Conferenza degli Istituti Missionari in ItaliaCimi e dalla Diocesi di Brescia, ha dimostrato che la missione non solo è possibile ma è l’anima stessa di quella “Chiesa in uscita” che sempre papa Francesco ci esorta ad essere. Una scommessa riuscita ma anche un’esperienza straordinaria di comunione, dal Sud al Nord dell’Italia. Comunione che abbiamo sperimentato anche con i circa 15mila partecipanti venuti da tutta Italia e da Paesi di missione per incontrarsi, confrontarsi e arricchirsi reciprocamente di esperienze e storie scritte nel grande libro della missione. Celebrazioni eucaristiche,

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il concerto del coro elikya in piazza paolo VI durante il festival della missione

tavole rotonde, spettacoli teatrali, concerti di piazza mostre, eventi culturali, artistici, ma soprattutto spirituali, che ci hanno fatto respirare aria di Vangelo: di quella Parola comunicata con la vita ad ogni uomo e ad ogni donna, invitati ai crocicchi delle strade a partecipare al banchetto da cui nessuno è escluso. Grazie alla sinergia tra organismi pastorali, missionari e diocesani, e sotto la direzione artistica di Gerolamo Fazzini, giornalista e scrittore, il Festival è stato uno strumento di comunione e un laboratorio di idee. Proprio a Brescia, la libertà della Chiesa che spalanca le sue porte si è sentita come mai prima d’ora: non più steccati ideologici tra i cosiddetti “vicini e lontani”, categorie superate in un’ottica inclusiva di tutto il genere umano, chiamato a godere del Vangelo senza privilegi. Dedicare alla missione un Festival è stata una scelta innovativa, mirata ad incontrare e coinvolgere il numero

Il successo dell’iniziativa promossa da Missio, Organismo pastorale della Cei, dalla Conferenza degli Istituti Missionari in Italia- Cimi e dalla Diocesi di Brescia, ha dimostrato che la missione non solo è possibile ma è l’anima stessa di quella “Chiesa in uscita” che sempre papa Francesco ci esorta ad essere. Una scommessa riuscita ma anche un’esperienza straordinaria di comunione, dal Sud al Nord dell’Italia.


  I “progetti segno” del Festival

Una Chiesa per Timor

 Nella periferia della capitale di Timor Est, vive una piccola comunità, seguita dalle Suore Ancelle Eucaristiche. La comunità locale ha realizzato la scuola per i bambini della zona e iniziato i lavori per la chiesa. Intanto celebrano la messa e le altre funzioni religiose in una capanna di lamiere e canne che però nella stagione delle piogge è sempre allagata. La struttura è stata già realizzata, manca la rifinitura: pittura, porta,

più ampio possibile di giovani, famiglie, persone semplicemente in giro per la città che hanno avuto modo di ascoltare le esperienze dei missionari. Ma anche una occasione per fermarsi a riflettere, pregare e ritrovare l’anima vera dell’ “andare alle genti”: durante le giornate bresciane una chiesa del centro è stata aperta all’adorazione eucaristica permanente, ad indicare il primato di Dio che rende possibile la missione anche quando essa appare impossibile. Nella città che ha dato i natali a san Daniele Comboni, alla beata Irene Stefani e al beato papa Paolo VI, il Festival ha trasmesso un messaggio forte anche ai “non addetti ai lavori” che si sono trovati di fronte ad un universo ricco di energie e speranza, ma anche di coraggio e capacità di rischiare la vita in prima persona. Un viaggio a 360 gradi punteggiato di lectio divine e di protagonisti della storia della missione universale che

ci ha portato ad approfondire l’opera del gesuita Matteo Ricci nella prima evangelizzazione nella Cina del XVI secolo; ad ascoltare il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas Internationalis; ad incontrare suor Rosemary Nyirumbe, la religiosa ugandese che ha salvato oltre duemila ragazze rapite dai miliziani di Joseph Kony insegnando loro a cucire; a partecipare l’impegno e il coraggio di padre Alejandro Solalinde, messicano, perseguitato dai narcos per il suo impegno contro i cartelli ; ad ascoltare il cardinale Ernest Simoni, albanese, unico sacerdote sopravvissuto alla persecuzione comunista, invitato a consegnare il Premio Cuore Amico. Al centro del Festival il dibattito sul futuro della missione ad gentes, animato dal cardinale prefetto di Propaganda Fide, monsignor Fernando Filoni, da monsignor Francesco Beschi, vescovo di Bergamo e presidente

finestre, pavimento, banchi. Grazie a questo progetto sostenuto da Fondazione Missio, la chiesa, oltre che luogo di culto, diventerebbe anche un centro di aggregazione per una popolazione che vive isolata sulle montagne, in condizioni di povertà economica e culturale.

della Commissione Cei per l’Evangelizzazione dei popoli e la Cooperazione tra le Chiese, suor Luigina Coccia, Madre generale delle suore Comboniane e padre Stefano Camerlengo, superiore dei missionari della Consolata. Tavole rotonde con testimoni ed esperti hanno affrontato diversi temi di attualità: il ruolo dei laici nell’annuncio evangelico con la testimonianza di persone del CMD di Brescia, di associazioni di volontariato e di coppie fidei donum; si è parlato anche di tutela salute tra Nord e Sud del mondo attraverso esperti e associazioni impegnate in questo campo come Medicus Mundi e Cuam-Medici con l’Africa; è stato affrontato anche il tema di una corretta informazione attraverso giornali, agenzie di stampa, case editrici, perché le notizie in ombra del Sud del mondo possano emergere nella grande macchina dell’informazione globale. E ancora, due tavole rotonde sono state dedicate al dramma della tratta di esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione (raccontato da religiose che operano per salvare le ragazze e da una giovane nigeriana) e al rapporto tra economia, diritti umani e missione, attraverso il dialogo tra un missionario come padre Alex Zanotelli e l’economista Luigino Bruni. Si è parlato anche di migrazioni e missione a “km 0”, una delle sfide del nostro tempo che impongono aperture culturali e revisioni di stili di vita. Tutto questo e di più abbiamo avuto il dono di vivere nelle giornate di Brescia. Portandoci a casa nuovi spunti e tematiche da approfondire. Kiremba - Dicembre 2017

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i missionari raccontano

RACCONTARE IL FESTIVAL DELLA MISSIONE/2

IL SORRISO DI IRENE ILLUMINA L’AFRICA Miela Fagiolo D’Attilia m.fagiolo@missioitalia.it

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a scena è spoglia. Due sedie, un tavolo, un attaccapanni, un lenzuolo. E una valigia con i ricordi di un vita. Quella della beata Irene Stefani, missionaria della Consolata in Africa, è una storia di ordinaria santità raccontata dalla intensa e originale pièce teatrale “Irene” , ideata dalla Compagnia teatrale Controsenso appositamente per il Festival della Missione, e rappresentata al teatro S. Afra di Brescia, presso l’Oratorio di vicolo dell’Ortaglia, con la regia di Massimiliano Grazioli. Solo due attori in scena, bravissimi, Alberto Branca e Francesca Grisenti, a raccontare con semplicità e passione la storia di una ragazzina piena di vita, Mercede Stefani, nata nel 1891 in una famiglia di Anfo nella Val Sabbia, in provincia di Brescia, quinta di 12 figli. La famiglia è segnata da molti lutti: in pochi anni muoiono i fratelli

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gli attori Alberto Branca e Francesca Grisenti in un momento dello spettacolo

maschi e la madre. Mercede ha solo 13 anni ma è già la mamma delle sue sorelle, del padre rimasto vedovo e solo a condurre la locanda, dei malati e dei poveri del suo paese a cui dedica ogni momento libero della giornata. Per lei era naturale essere così: generosa, infaticabile, piena di una gioia particolare che l’attrice Francesca Grisenti esprime sul palcoscenico con passi di danza. Così naturale per la giovanissima Stefani dare sempre tutta sé stessa agli altri che nel 1911, a soli 20 anni entra nella Congregazione delle suore della Consolata di Torino col nome di Irene, e quattro anni dopo parte come missionaria per il Kenya. “Chissà come è lontana l’Africa… bisogna attraversare il mare. E chi l’ha mai visto il mare?” si chiede l’attore Alberto Branca nei panni del padre rimasto solo nella casa di Anfo, soffrendo per la partenza dell’adorata figlia. Ed ecco Irene che inizia con entusiasmo la nuova vita: con quel

Irene abbraccia l’Africa con le sue povertà, un oceano di bisogni rispetto al laghetto della sua Val di Sabbia natia. Irene non molla, è sempre sé stessa, umile e generosa fino alla consunzione di sé. Sempre serena e senza mai lamentarsi, muore a 39 anni a Gekondi, sfiancata dalla peste che aveva contratto dai malati che non aveva voluto abbandonare. Fino a condividerne la fine.


Teatro Controsenso

Una santità vissuta nel quotidiano

Quella della beata Irene Stefani, missionaria della Consolata in Africa, è una storia di ordinaria santità raccontata dalla intensa e originale pièce teatrale “Irene”, ideata dalla Compagnia teatrale Controsenso appositamente per il Festival della Missione con la regia di Massimiliano Grazioli.

suo visetto giovane e aperto, rimasto come icona delle prime generazioni di missionarie italiane in Africa. Irene impara l’inglese e i dialetti africani, si trova nelle retrovie della prima guerra mondiale a curare i carriers, i portatori di materiale bellico indigeni, portati a morire nell’ospedale di Mombasa. Mancano medicine, assistenza, Irene non ha che sé stessa da dare a moribondi che cura con amore di madre. “Quando si ama veramente non si prova fatica e tutto diventa possibile” ripete spesso, mantenendo sempre la serenità di una scelta di vita piena e totale. Dopo la fine della guerra, Irene si sposta nella zona di Gekondi e percorre chilometri a piedi da un villaggio all’altro, consumando i suoi scarponi tra le lezioni scolastiche ai bambini, l’assistenza ai più poveri e soprattutto la cura dei malati. Irene abbraccia l’Africa con le sue povertà, un oceano di bisogni rispetto al laghetto della sua Val Sabbia

“La sua è una santità vissuta nel quotidiano, nei piccoli gesti, nell’amore per gli altri fatto attraverso le piccole cose, giorno per giorno.” Così Massimiliano Grazioli, ideatore e regista dello spettacolo “Irene” racconta la figura della beata bresciana che sin da bambina non si è mai risparmiata per dedidcare tutta se stessa agli altri. Una testimonianza di vita missionaria in uno spettacolo che, ci auguriamo, possa arrivare presto in numerosi teatri .

natia. Irene non molla, è sempre sé stessa, umile e generosa fino alla consunzione di sé. Sempre serena e senza mai lamentarsi, muore a 39 anni a Gekondi, sfiancata dalla peste che aveva contratto dai malati che non aveva voluto abbandonare. Fino a condividerne la fine. “E ora che abbiamo finito di raccontare la storia?” si chiede l’attore in scena. Risponde Francesca Grisenti, chiudendo la piccola valigia dei ricordi: “Irene era così. Era una che apriva la strada e così concludeva la sua”. Fuori dal palcoscenico, nella storia della missione Irene Stefani, malgrado la sua umiltà, resta una figura di primo piano: una donna che ha vissuto la frontiera del suo tempo, facendo delle periferie del mondo la sua ultima e definitiva terra. Prima del cielo. Nel 2015, per decreto di papa Francesco, è stata proclamata beata a Nyeri, in Kenya, davanti a trecentomila persone. Kiremba - Dicembre 2017

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i missionari raccontano

MALI

In veritÁ l’avete fatto a me Sr. Erminia APOSTOLI suorerminia@suoreoperaie.it

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a gioia dell’incontro con Gesù avvenuto negli anni della mia giovinezza è stata una spinta a partire, a uscire dal mio mondo, per condividere il dono della fede con altri fratelli, soprattutto i più poveri. La Parola, che da sempre ha risuonato nel mio cuore e mi ha sostenuta ed incoraggiata a partire per paesi a me sconosciuti, è la stessa che ancora oggi sento rivolta a me con la stessa forza e attrattiva con cui mi spingeva a partire per il Burundi, nel lontano 1976: “Andate in tutto il mondo, proclamate il Vangelo ad ogni creatura… Io sarò con voi, sempre! “ e ancora: “Non voi avete scelto me ma io ho scelto voi”. La chiamata alla missione in terra d’Africa non è stata una mia scelta personale, ma piuttosto una risposta ad una chiamata, che sentivo viva e profonda, a seguire Gesù, ad amarlo e a servirlo nei più poveri, a

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Suor erminia con alcune ragazze della missione

farlo conoscere ai popoli che ancora non lo conoscono. È la normale conseguenza del mio “Eccomi, Signore” detto tanti anni fa, il giorno della mia Prima Professione e che si ripete nel tempo e nello spazio, ogni giorno. Dopo i miei primi 20 anni di missione in Burundi, fui richiamata in Italia per un servizio alla Congregazione, che svolsi per 15 anni. Ma il fuoco della missione “ad gentes” rimase sempre vivo nel mio cuore. Quando la mia Famiglia religiosa decise, su richiesta insistente e perseverante del defunto Vescovo Georges Fonghoro, Vescovo di Mopti, di aprire una missione nella sua diocesi, nel Nord del Mali, mi fu rivolta la proposta di partire con tre sorelle del Burundi per dare inizio ad una nuova esperienza missionaria in terra musulmana. Non esitai a dare la mia disponibilità. Insieme alla gioia e alla gratitudine

al Signore e ai miei Superiori per questa seconda chiamata alla missione in terra africana, c’era tanto timore e trepidazione, perché ero cosciente dei miei limiti, delle mie povertà e della mia non più giovane età. Partire per un paese che non conoscevo affatto, dove c’erano lingue nuove da imparare, un paese desertico dal clima non facile, era come se mi buttassi nel buio più profondo, eppure come altre volte mi sono fidata e ho ripetuto a Gesù il mio sì. Ed eccomi in terra maliana, a maggioranza musulmana (nella mia diocesi i cristiani raggiungono lo 0,7%), a vivere e testimoniare con la mia vita semplice l’Amore di Dio Padre per ogni suo figlio. Mi incoraggia la parola del Papa che ci invita ed invita ogni cristiano ad uscire verso le periferie della città, del mondo, là dove l’uomo è solo, povero, escluso, abbandonato, là


 Un’attenzione particolare Sr Erminia Apostoli è una delle suore Operaie che dal 2013 collabora alla pastorale della parrocchia, segue la catechesi nelle scuole e la promozione femminile nei villaggi soprattutto attraverso la fabbrica del sapone e i corsi di maglieria e cucito per aiutare le donne nella ricerca del lavoro.

Questo Vangelo lo vedo incarnato in tanti miei fratelli musulmani, molto accoglienti e disponibili ad aiutarti se sei nel bisogno. Più volte lo hanno fatto anche nei miei confronti perché straniera, perché del Signore.

dove Gesù non è ancora conosciuto. Spesso qui la parola “Gesù” non viene pronunciata con le labbra, ma il fatto di essere vicina ai poveri di questo quartiere visitando le famiglie, gli ammalati e gli anziani, ponendomi in ascolto e interessandomi ai loro problemi e difficoltà, il fatto di condividere momenti di gioia e di sofferenza, di porre piccoli gesti di solidarietà e accoglienza, testimonia l’amore che viene da Lui. Sostenere con piccole iniziative la crescita umana, come l’alfabetizzazione per le ragazze non scolarizzate, accogliere e promuovere la dignità delle tante ragazzine che lasciano i loro villaggi, le loro famiglie, per venire in città in cerca di lavoro, visitare regolarmente i prigionieri e pregare e condividere la Parola con quelli che fra loro sono cristiani è per me annunciare il Vangelo in questa terra, testimoniando con la mia vita e accoglienza materna che c’è Qualcuno che li ama. Annunciare il Vangelo è anche condividere con i pochi cristiani la gioia di credere in Gesù Cristo Figlio di Dio che ha dato la vita per noi, per ogni uomo anche musulmano; condividere con coraggio la preghiera serale e domenicale cercando di approfondire insieme il nostro credo e incarnarlo in questa società musulmana; è testimoniare in una società divisa da lotte intestine che si può vivere una vita fraterna di comunione anche tra sorelle di cultura, lingua e generazioni diverse, che la pace e riconciliazione è possibile, perché Gesù è vivo in mezzo a noi; è coltivare un

rapporto di amicizia, di accoglienza, di collaborazione con i fratelli musulmani per costruire insieme una società attenta e aperta ai più poveri. Tutto è Vangelo. Penso spesso e prego la nostra Mamma Maria (così qui è invocata), mi ispiro a Lei, Madre dell’Evangelizzazione, la prima missionaria, lei che, mossa dallo Spirito, dopo aver accolto in lei il Verbo della Vita, si affretta ad uscire, ad attraversare monti e difficoltà per raggiungere la cugina Elisabetta. Maria porta in grembo Gesù, nessuno lo sa e lei non lo dice. Sarà lo stesso Gesù che si rivelerà a Giovanni Battista e a sua madre. Vorrei fosse così anche per me. Il Gesù che porto in cuore, che cerco di far crescere in me e di amare nei più poveri, si rivelerà lui a questi fratelli quando e come vorrà. L’importante per me essere un docile e umile strumento nelle sue mani, disponibile a rischiare la vita per Lui, a morire come un piccolo seme perché Lui porti frutti per il suo Regno. Mi piace poi pensare come tanti di questi nostri fratelli musulmani vivono il Vangelo pur non conoscendo Gesù. In Matteo leggiamo: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito?». E il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Kiremba - Dicembre 2017

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i missionari raccontano

MOZAMBICO

MISSIONARI SIN DAL BATTESIMO DON PIEtRO PARZANI parzani.pietro@libero.it

S

to scrivendo dall’Africa, in Mozambico, nella missione di Morrumbene, nella diocesi Inhambane. Sono qui per conoscere la realtà che presto servirò come “fidei donum”, con don Piero Marchetti Brevi che dal 2006 è presente e serve questa parrocchia. Quest’anno il nostro Vescovo Luciano, Giovedì Santo 13 Aprile, ha chiesto a tutti noi sacerdoti diocesani di Brescia, presenti nella chiesa Cattedrale per la messa Crismale, di accogliere la richiesta di aiuto da parte di due diocesi: quella di Inhambane in Mozambico e quello di Rrëshen in Albania, che attraverso una domanda esplicita dei loro vescovi richiedevano alcuni sacerdoti. Come immediata reazione mi sono detto tra me “ma non mancano anche a Brescia i preti? Perchè il nostro Vescovo accetta e propone a noi queste richieste?”. Ma subito come risposta Monari ha detto: “É vero che anche

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don pietro con i bambini di morrumbene

Brescia ha difficoltà con il numero di sacerdoti, ma la Chiesa non finisce con Brescia”. É vero, la Chiesa è Grande, è universale e come in ogni singola famiglia le difficoltà del singolo si risolvono con tutti i membri della famiglia. I problemi e le difficoltà delle singole diocesi vengono condivisi e vissuti insieme. Queste riflessioni mi hanno accompagnato nella preghiera e nel confronto con i miei superiori fino a decidere di rendermi disponibile alla richiesta di vivere il mio sacerdozio in un’ altra diocesi. La Chiesa di Gesù è grande e io semplicemente mi metto al servizio, è un impegno che mi sono preso già sei anni fa, quando sono diventato sacerdote. La scelta di continuare la mia missione battesimale in questa bellissima terra africana nasce dunque dal desiderio di vivere il Vangelo, mettendomi al servizio ma soprattutto vivendo il mio Battesimo con questi fratelli. Anche perchè

Non è il luogo che mi rende missionario , ma l’essere in Cristo, vivendo ogni giorno la mia vocazione. Viviamo insieme questa Missione nella preghiera vicendevole e nel nostro impegno quotidiano a vivere il nostro battesimo e la nostra vocazione.


Fidei Donum

Vivere la propria vocazione

La scelta di continuare la mia missione battesimale in questa belissima terra affricana nasce dunque dal desiderio di vivere il Vangelo, metttendomi al servizio ma soprattutto vivendo il mio Battesimo con questi fratelli. Anche perchè anche loro sono missionari nei miei confronti, mostrandomi una Chiesa viva, gioiosa e giovane.

anche loro sono missionari nei miei confronti, mostrandomi una Chiesa viva, gioiosa e giovane. É da poco che sono in Africa e sono già affascinato dalle celebrazioni ben preparate e gioiose, dalla presenza di catechisti che gestiscono la vita religiosa delle loro comuinità e con grande responsabilità portano avanti la loro missione. Che bello sentirsi dentro la Missione della chiesa dove ognuno è missionario del fratello. Chiedo al Signore l’umiltà e la semplicità di accogliere il Suo Vangelo da chi si farà mio missionario e la capacità di annunciarlo ai fratelli che mi metterà vicino. Ma vi domanderete: “Chi è questo sacerdote, missionario già dal battesimo?” Sono don Pietro Parzani, sacerdote diocesano. Dal 2011 ho svolto il mio servizio come curato nelle parrocchie di Plemo, Esine, Berzo Inferiore, Bienno e Prestine, insieme ad altri sacerdoti. Sono originario

di Nigoline Bonomelli, frazione di Cortefranca in Franciacorta. Come tanti di voi, in verità non ricordo il giorno del mio battesimo (se non la data, il 7 aprile del 1985) perchè troppo piccolo per comprendere e memorizzare un evento così importante nella vita di un credente. Però questo sacramento, grazie soprattutto all’educazione avuta in famiglia, è cresciuto in me. Ho ammirato la bellezza dell’essere cristiano quando i miei genitori aiutavano persone in difficoltà che suonavano il campanello donando loro anche solo un panino o da bere. Ogni volta che in parrocchia veniva un missionario a raccontare come viveva e quali cure e attenzioni aveva con la gente povera, questo sempre mi affascinava. Nella mia adolescenza ho conosciuto e sono cresciuto con l’OMG, Operazione Mato Grosso, che coinvolge i ragazzi italiani in vari lavori per ricavare soldi per le missioni in America

Don Pietro Parzani, ultimo in ordine temporale del gruppo dei fidei donum bresciani all’estero, commenta così la scelta di rendersi disponibile a partire per l’Africa: ”Essere missionari con il Battesimo ci aiuta a vivere la missione che è quella che è stata di Gesù: annunciare l’amore del Padre, in ogni relazione ed ad ogni persona. Continuo allora a vivere da missionario perchè battezzato in un’altra terra e sicuramente con altre difficoltà, ma anche con altre ricchezze. Non mi sento un eroe, ma continuo e vivo semplicemente la mia vocazione cristiana. “

Latina. Anche solo il pensiero che la mia fatica e il mio impegno aiutassero altre persone mi rendeva felice e parte di una realtà piu grande di me. Nel cammino del seminario ho però vissuto questo mio desiderio e attenzione missionaria nel prepararmi al servizio sacerdotale. Ho compreso cammin facendo che la chiamata che il Buon Dio fa ci permette di vivere il nostro Battesimo e la nostra Missione. Questo mi ha aperto l’orizzonte: pensare che tutta la mia vita, perchè inserita in Cristo, può essere missionaria, proprio perchè ogni giorno risponde positivamente alla chiamata del Signore. Non è il luogo che mi rende missionario, ma l’essere in Cristo, vivendo ogni giorno la mia vocazione. Viviamo insieme questa Missione nella preghiera vicendevole e nel nostro impegno quotidiano a vivere il nostro battesimo e la nostra vocazione. Kiremba - Dicembre 2017

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i missionari raccontano

SUD SUDAN

la scelta dei piÙ poveri come prioritÁ SUOR ERMINIA PETROGALLI erminiapetrogalli1945@gmail.com

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’Africa, il Sudan, terra dei miei sogni, perchè lì San Daniele Comboni, fondatore del mio Istituto, ha vissuto, ha sofferto, ha donato tutto sé stesso fino alla morte per amore degli africani, per la loro salvezza. Lì fu sepolto e come seme sotto terra continua a portare frutti. Sono partita per il Sudan nel 1974 con tanto entusiasmo e desiderio di seguire le sue orme e vi sono rimasta inizialmente per 28 anni. Mia prima destinazione fu Khartoum, capitale del Sudan, dove noi suore comboniane fin dal 1953 avevamo aperto una maternità. Non nego un pò di disapprovazione iniziale, avrei preferito andare nel Sud Sudan, ma ho dovuto subito ricredermi sull’importanza di tale missione a beneficio della donna africana così sfruttata, ma il mio desidero fu presto esaudito. Dopo l’indipendenza del Sudan, avvenuta nel 1956, si è verificata una serie di colpi di stato,seguiti poi

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suor erminia nel reparto maternitÀ dove vengono accolte mamme cristiane e musulmane

da una guerra civile con tutte le sue conseguenze di distruzione, fame, malattie, morte. Il conflitto avveniva quasi sempre al sud, zona petrolifera, e la gente per sopravvivere fuggiva continuamente verso il Nord del paese, il quale si è popolato di sudisti nelle periferie desertiche delle città. La Chiesa, unica speranza di questa popolazione, apriva cappelle, dispensari e scuole di fango o paglia nei numerosi villaggi. Alla maternità venivano numerose donne, senza distinzione di religione e nazionalità. Mamme musulmane e cristiane del nord e del sud, oltre alle rifugiate dell’Eritrea e dell’Etiopia. Un lavoro estenuante ma molto remunerante, un posto di dolore ma anche di grande gioia. Assistere una mamma nel momento di dare alla luce un figlio era come partecipare all’opera di Dio creatore, o come essere accanto a Gesù che muore per dare a noi la vita. Molto importante pure la nostra presenza

Sono ritornata in Africa nel 2014 dopo tanti anni, ed è stata una sfida non indifferente. Sono entrata in punta di piedi ma ho ritrovato me stessa fra il popolo con il quale ho condiviso gioia e dolore, che mi ha amata ed è diventata parte di me. E che ora più che mai continua a lottare per la giustizia, la pace e la libertà.


tra i musulmani. L’accoglienza e il rispetto, il servizio e la dedizione amorosa verso mamma, bambino e familiari, sono il nostro dialogo interreligioso che tutti capiscono. Considerando il bisogno, il servizio era sempre limitato, quello che si poteva fare lo si faceva con gioia, ma era sempre una sofferenza quando bisognava dire: “Non c’è più posto”. Nel 1988 sono stata trasferita a Renk, grosso centro di collegamentotra tra Nord e Sud sulla sponda del Nilo Bianco. Lì era zona coltivabile, grandi piantagioni di durra (cereale loro cibo base), cotone e sesamo. Tanta gente che fuggiva dalle zone di guerra si rifugiava anche lì dove poteva trovare lavoro anche se stagionale e mal retribuito, ma che permettesse loro di sopravvivere. Lì a motivo di quei fratelli noi suore comboniane abbiamo aperto una comunità. La diocesi non disponeva di un sacerdote ma un catechista funzionava da responsabile della

parrocchia. In quella zona c’erano già molti cristiani provenienti dalle numerose missioni del Sud rimasti senza assistenza religiosa dopo l’espulsione in massa del 1964 di tutti i missionari\e, ma i catechisti e gli anziani mantennero viva la fede nei loro fratelli. Ci siamo stabilite lì perché la scelta dei più poveri continuava ad essere una priorità ed esigenza di fedeltà al nostro carisma comboniano. È emersa subito la necessità di una scuola per la promozione umana e l’evangelizzazione. Si è iniziato subito: due capannoni in paglia con 50 bambini per classe. Nel giro di 8 anni avevamo circa 800 alunni in una scuola in muratura con insegnanti tutti sudanesi, e più tardi si proseguì ad aprire una scuola superiore. “Salvare l’Africa con l’Africa!”, era il motto di Comboni. Nel frattempo arrivarono 2 sacerdoti sudanesi, si aprirono nuove cappelle nei villaggi circostanti con rispettivi asili e scuole e si è formata una

comunità cristiana giovane, bella, attiva e gioiosa. Con catecumenati, gruppi di preghiera, liturgia, canto, scout e qualche giovane chiedeva di entrare in seminario. La chiesa africana si stava aprendo al mondo missionario e aveva tanto da dare anche a noi. Beh, noi stesse eravamo meravigliate di tutto questo che con l’aiuto di Dio, benefattori e tanta fatica siamo riuscite a vedere in un angolino di terra sudanese. Erano piccoli segni di risurrezione in un campo doloroso! La chiesa è sempre stata la forza più credibile nel campo dell’assistenza, dello sviluppo e della speranza per questo popolo. Nel 2002 sono stata chiamata in Italia per assistere le nostre Sorelle ammalate ed anziane reduci della missione e vi rimasi fino al 2014. Dopodiché espressi il desiderio di ritornare in Sudan. Ritornarvi dopo tanti anni è stata una sfida non indifferente. Sono entrata in punta di piedi, ma ho ritrovato me stessa fra il popolo con il quale ho condiviso gioia e dolore, che mi ha amata ed è diventato parte di me. E che ora più che mai continua a lottare per la giustizia, la pace, la libertà. L’esultanza del ritorno del popolo del SUD nella sua nuova patria, dopo l’indipendenza avvenuta nel 2011, è fallita completamente quando nel 2013 scoppiò una violenta guerra civile che piombò “la nuova nazione del Sud Sudan” in una situazione catastrofica incontrollabile. Il popolo che doveva gustare la pace nel suo paese natio ha fatto ritorno al Nord ma ora in veste di rifugiato... Signore fino a quando? Noi non sappiamo, ma cetamente la pace arriverà. Kiremba - Dicembre 2017

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Animazione Missionaria esperienze estive: ARGENTINA

cosa posso fare con i miei doni? Francesca Appiani francesca.appiani@gmail.com

È

difficile dare risposta a chi ci chiede com’è l’Argentina. Considerazioni storicopoliticche, economicosociali sono i pilastri di un discorso lungo e complicato, di cui più volte abbiamo chiesto delucidazioni. La disarmante realtà con cui siamo entrati in contatto è strutturata su profonde disuguaglianze sociali che paralizzano l’intero paese. L’architettura e l’urbanistica del luogo ne sono lo specchio: il centro della città, che presenta caratteristiche simili a quelle a cui siamo abituati, contrasta nettamente la realtà dei barrios (le periferie), dove spesso le condizioni essenziali di sussistenza non sono presenti. Gli abitanti del medesimo luogo convivono in situazioni profondamente differenti, che generano grandi disparità sotto diversi punti di vista. Ma nonostante l’indubbia importanza di tutto ciò, non è

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alcuni giovani di manerbio che hanno partecipato all’esperienza in argentina

di questo che vogliamo parlarvi. Vogliamo raccontarvi piuttosto di chi, spesso senza grandi possibilità, si spende per rendere la quotidianità migliore, di chi non guarda a ciò che è stato, ma costruisce verso il futuro. Chi tutti i giorni, instancabilmente, si fa accogliente verso povertà e difficoltà per trasformarle in opportunità. Tutto questo l’abbiamo trovato nei membri della Casa della Gioventù, un gruppo di laici che condividendo la fede in Gesù quotidianamente giocano la loro vita al servizio dei fratelli. Nella città di Santiago del Estero, una delle più povere dell’Argentina, hanno messo a disposizione i loro spazi trasformandoli nella nostra casa e attraverso la loro incessante presenza, ci hanno guidato nella conoscenza di un mondo totalmente diverso dal nostro. Abbiamo incontrato le “periferie esistenziali”, comprendendo il lato più profondo della povertà, quella

Ci sono domande dentro di noi che ancora non hanno trovato risposta, pensieri che ci frullano nella testa e che lentamente si sveleranno nella quotidianità della realtà che ci è dato vivere, ma di certo una cosa ci è chiara: vivere un’esperienza di missione vuol dire ricevere un dono che non si può tenere solo per sé. Aspettatevi i frutti che siamo pronti a portare!


Questa esperienza è stata davvero incredibile. Siamo stati immersi in una realtà che in ogni sua essenza parla di contraddizioni, semplicità, ingiustizia, solidarietà. Abbiamo conosciuto persone molto diverse tra loro che ci hanno aperto gli occhi sulla loro realtà, condividendo diversi punti di vista, pensieri, problemi e talvolta anche le loro soluzioni.

non tanto materiale, ma che priva di valori e dignità umana. Ed è proprio in queste occasioni che abbiamo scoperto non solo professori, ma veri e propri educatori, in grado di guardare i propri alunni con lo sguardo della speranza. Una fiducia nel futuro che spesso appare incomprensibile, ma che con la forza dell’amore riesce a sanare le ferite più profonde. E così l’educazione si trasforma in qualcosa di molto più grande: nella possibilità di uscire dalla spirale di dipendenza, abuso, disperazione, delinquenza, per sognare di essere qualcosa di più, di essere qualcuno. La passione e l’impegno che alimenta quest’importantissimo motore di cambiamento trova le sue radici in una profonda condivisione dello spirito evangelico e della fede cristiana, alimentata attraverso la preghiera e la testimonianza, ed incarnate perfettamente nella fondatrice di questa grandissima

opera: Suor Saveria. Con lei abbiamo condiviso pochi giorni, precisamente quelli prima e dopo l’esperienza di Santiago, ma la sua forza e il suo carisma ci hanno conquistato nel giro di poche ore. L’accoglienza che ci ha riservato è stata totale, provvedendo a rispondere ai nostri bisogni ancora prima che potessimo esprimerli. Assicurandosi sempre che avessimo mangiato a sufficienza e che prendessimo uno spuntino per il viaggio, ci ha più volte fatto dimenticare la stanchezza degli spostamenti e delle serate concluse a notte inoltrata, incantandoci con la forza delle sue parole. Prima di partire per il viaggio di ritorno, alla domanda “Come si fa a fare tutto quello che hai fatto tu partendo dal niente?” ci ha consegnato alcune perle che vorremmo condividere con voi: “Conoscete profondamente voi stessi, ma non rimanete chiusi in quello che siete. Piuttosto domandatevi: cosa posso fare io

con i miei doni? Ed infine sognate il futuro con cuore universale!!”. Gli incontri di questi giorni ci hanno infiammato il cuore: a volte dalla rabbia, per l’incomprensione di come possano esistere certe ingiustizie; altre dalla gioia nel vedere come l’amore possa trasformare anche le ferite più grandi. Ma soprattutto per l’irriducibile consapevolezza che in ogni parte del mondo, in qualunque situazione, farsi strumenti dell’amore di Dio permette di rendere possibile ciò che si fatica anche ad immaginare. Ci sono domande dentro di noi che ancora non hanno trovato risposta, pensieri che ci frullano nella testa e che lentamente si sveleranno nella quotidianità della realtà che ci è data vivere, ma di certo una cosa ci è chiara: vivere un’esperienza di missione vuol dire ricevere un dono che non si può tenere solo per sé. Aspettatevi i frutti che siamo pronti a portare! Kiremba - Dicembre 2017

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animazione missionaria

esperienze estive: MOZAMBICO

Per fare bene il bene Elisa Mele mele-elisa@virgilio.it

S

iamo un gruppo di dieci giovani della parrocchia Santa Maria della Vittoria di Brescia che ha vissuto un’esperienza da occhi nuovi: abbiamo avuto l’opportunità di vivere tre settimane in una missione africana, in Mozambico, a Mocodoene. La Missione di Mocodoene della diocesi di Inhambane è stata ricostruita da don Pietro Minelli, sacerdote “Fidei Donum” della Diocesi di Brescia, con la collaborazione di volontari italiani che sono scesi con lui in Africa e di altre persone che hanno dato il loro appoggio dall’Italia. Successivamente è stata affidata alle cure della Congregazione Sacra Famiglia di Nazareth di San Giovanni Battista Piamarta. Il nostro sogno di andare in Africa è nato molti mesi prima, quando ridendo e scherzando si era lanciata l’idea di partire in missione dapprima in Angola, poi

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amicizia e condivisione sul campo da calcio di mocodoene

in Mozambico. Quando il sogno ha iniziato a concretizzarsi, abbiamo intrapreso una serie di attività di autofinanziamento in oratorio: vendita di torte e di piantine, lavaggio auto, babysitting, animazione a festine, concerti, pranzi. Grazie all’impegno di tutti e alla generosità di molti, in primis delle nostre famiglie, il sogno è diventato realtà e il 7 agosto siamo partiti. Sono state tre settimane intense, contraddistinte da diverse attività. Siamo partiti con un programma generale di ciò che avremmo potuto fare, ma in corso d’opera abbiamo capito che non era possibile seguirlo e che ciò che veramente serviva era da scoprire giorno dopo giorno. Per questo ci siamo cimentati nella falegnameria, costruendo e sistemando banchi di scuola, librerie e scaffali, nell’informatica, riparando i tanti computer distrutti dal ciclone che ha colpito la missione a febbraio,

nella riorganizzazione dei libri della biblioteca e nell’aiuto compiti. Abbiamo dato un piccolo supporto ai muratori, sia per ricostruire un muro di una cucina che per riparare un tetto, e un contributo nella riparazione della linea elettrica, che spesso e volentieri saltava. Abbiamo avuto anche l’opportunità di collaborare con gli animatori locali nell’animazione di Mocofeliz, il grest di Mocodoene. È un grest diverso dal nostro: innanzitutto è organizzato solo per il pomeriggio ed è esteso a tutte le fasce d’età, da 1 a 14 anni. Il numero di bambini era variabile, nel momento dei giochi erano la metà rispetto al momento della merenda, durante il quale inspiegabilmente comparivano da tutte le parti! L’ultimo giorno abbiamo organizzato una grande caccia al tesoro al termine della quale dopo la proclamazione delle squadre vincitrici del grest, abbiamo donato loro cancelleria e


Gratitudine

Persone speciali rivolgerlo a due persone: a Giovanna, una ragazza in servizio civile con lo Scaip, che ci ha accompagnati e guidati per tutti i nostri giorni africani, e a padre Benedetto, il nostro ormai ex curato. Ha voluto fortemente fare quest’esperienza con noi, ha lottato con tutto sé stesso, superando anche gli ostacoli più grandi, come un’operazione che per poco gli impediva la partenza.

Lo ringraziamo per averci accompagnati e supportati in ogni minima situazione. Non poteva salutarci in un modo migliore. Siamo certi che la sua fantastica gioia di essere sacerdote e di dedicare la sua vita ai giovani lo contraddistinguerà anche nella sua nuova avventura a Remedello. Infine, il ringraziamento più grande va al Signore. Grazie Signore per aver preso le nostre mani e per averle portate a chi ne aveva bisogno.

magliette, che avevamo raccolto in Italia. L’ostacolo principale, almeno inizialmente, è stato la lingua. I ragazzi parlavano portoghese, ma noi oltre ai saluti non conoscevamo altro. Inoltre i bambini più piccoli parlavano solo il dialetto locale Chitwa. In realtà, già alla fine del primo pomeriggio, grazie al semplice modo di comunicare dei bambini, ai sorrisi e alla fantasia, quest’ostacolo è stato superato e nei giorni seguenti riuscivamo a coinvolgerli nelle attività, ci cercavano per una coccola, per fare magie con i bastoncini o semplici disegni sulla sabbia. La collaborazione con gli animatori locali è stata a volte difficil, ma senz’altro arricchente e abbiamo potuto constatare piacevolmente che avevamo in comune molti giochi e alcune canzoni: anche dall’altra parte del mondo i bambini giocano a mosca cieca, a cimberlina, a cieloterra e cantano “Se sei felice tu lo sai, batti le mani” e “Jack in cucina con Tina”. Dopo una settimana dal rientro, sentiamo ancora vivide le emozioni che abbiamo provato, così come i ricordi. Di certo, non è facile raccontare in poche righe un’esperienza così grande, che è stata in grado di cambiare i nostri pensieri, i nostri cuori e la nostra vita, facendoci diventare persone più mature e consapevoli. Ci ha dato la possibilità di vivere concretamente l’amore disinteressato verso gli altri, verso i più bisognosi; abbiamo sperimentato cosa vuol dire la “Chiesa in uscita” di Papa Francesco, capendo che si può uscire dal guscio ed andare incontro agli altri e farsi

carico delle loro difficoltà. Gesù ci ha insegnato ad amare il prossimo, non importa quanto sia lontano dalla nostra realtà, non bisogna aver paura di alzare lo sguardo e guardare oltre. Ci siamo soffermati più volte a chiederci chi fossero i missionari tra noi e loro. È vero il tipico stereotipo dell’africano povero e del bianco ricco? Cosa rende davvero ricca una persona? I beni materiali o quelli interiori? Ci sarebbe ancora tanto da raccontare. Avremmo bisogno di un bambino di Mocodoene per aiutarci a scrivere cosa significa sorridere e godere delle piccole cose. Avremmo bisogno di Muccine, la mascotte della missione, per cercare di spiegarvi quanto nella povertà più profonda si riesca a trovare l’esempio di gioia più grande. Avremmo bisogno dell’anziana sola della Planicia per trasmettervi la tristezza della solitudine insieme alla forza di un sorriso nonostante tutto! Avremmo bisogno del silenzio di chi si accontenta e di un pallone bucato per spiegarvi cos’é l’entusiasmo. Avremmo bisogno delle stelle, del cielo, del fuoco, dell’acqua e della natura per condividere con voi la meraviglia di ciò che ci circonda. Avremmo bisogno di quell’uomo che senza neanche una capanna per dormire finiva ogni frase con “Graças a Deus” per ricordare prima di tutto a noi che dove non arrivano gli occhi dei potenti il Buon Dio posa il suo sguardo. Avremmo bisogno delle nostre mani strette ai ragazzi di Mocodoene mentre pregavamo il “Padre Nostro” per donarvi la gioia di avere un Padre, un Padre nostro, nostro e loro, di tutti.

 Un ringraziamento speciale vogliamo

Auguriamo a tutti di sperimentare la gioia che abbiamo nel cuore in questo momento, di potersi staccare ogni tanto da quella che è la frenesia di tutti i giorni e, senza andare per forza in Africa, poter chiudere gli occhi e pensare cosa davvero conta, di trovare nei sorrisi e nella benevolenza il linguaggio con cui parlare a tutti in tutto il mondo.

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Orizzonti DIALOGO INTERREligioso

camminare con il passo dell’altro don roberto ferranti donrobertoferranti@gmail.com

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roprio nel campo del dialogo, specialmente interreligioso, siamo sempre chiamati a camminare insieme, nella convinzione che l’avvenire di tutti dipende anche dall’incontro tra le religioni e le culture […]. Tre orientamenti fondamentali, se ben coniugati, possono aiutare il dialogo: il dovere dell’identità, il coraggio dell’alterità e la sincerità delle intenzioni. Il dovere dell’identità, perché non si può imbastire un dialogo vero sull’ambiguità o sul sacrificare il bene per compiacere l’altro; il coraggio dell’alterità, perché chi è differente da me, culturalmente o religiosamente, non va visto e trattato come un nemico, ma accolto come un compagno di strada, nella genuina convinzione che il bene di ciascuno risiede nel bene di tutti; la sincerità delle intenzioni, perché il dialogo, in quanto espressione autentica dell’umano, non è una

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don roberto incontra la comunitÁ sikh

strategia per realizzare secondi fini, ma una via di verità, che merita di essere pazientemente intrapresa per trasformare la competizione in collaborazione” (Papa Francesco AlAzhar Conference Centre, Il Cairo 28 aprile 2017). Credo che queste parole possano essere davvero una buona bussola per tracciare uno stile concreto con cui ci poniamo, da cristiani, nel mondo del Dialogo con gli altri che con noi condividono la casa comune della nostra terra e con i quali possiamo costruire non solo una buona convivenza ma anche una vera fraternità ricordando la ricchezza spirituale che ciascuno di noi, in vario modo possiede. A volte abbiamo la percezione che per dialogare su temi religiosi si debba rinunciare a qualcosa di noi stessi, forse è frutto di quella errata percezione che il mondo dell’informazione falsamente ci veicola del sentirci “sotto invasione”,

Se accettiamo che esistono strade per costruire la fraternità che passano anche attraverso la spiritualità di ciascuno, sono abbastanza sicuro che dai semplici buoni rapporti di vicinato passeremo a una vera e propria accoglienza reciproca. Il Dialogo, come ricordava Papa Francesco, non è una strategia per realizzare secondi fini ma una strada per costruire la verità; nel nostro piccolo vogliamo continuare su questa strada favorendo l’incontro attraverso la fraternità. Val la pena provarci… sarà una occasione per riscoprire anche la bellezza della nostra Fede.


ma non è vero. Per dialogare serve essere pienamente se stessi, non in modo orgoglioso ma in modo condiviso; chi crede in modo diverso di noi ha bisogno di vedere chi siamo, ha bisogno di sentire il sapore della nostra fede nei gesti e nelle parole che usiamo, noi possiamo amare con ciò che siamo e non rinunciando a ciò che siamo. Questo non annulla le differenze ma ci aiuta ad affrontarle come una ricchezza, ci aiuta a metterci nei panni dell’altro senza percepirlo come un pericolo. Nella mia esperienza missionaria in Albania ho provato ad essere io lo “straniero”, quello che non capiva, quello che aveva bisogno dei documenti, quello che credeva in modo diverso… e si capisce cosa si prova a non essere capiti nonostante la sincerità delle intenzioni che ci muovono. Serve allora per dialogare saper mettere le scarpe dell’altro, camminare un po’

anche con il suo passo… ci rende più serenamente dei compagni di strada e non solo persone che camminano sulla stessa strada senza conoscerci. Infine, camminando sulla stessa strada, ci renderemo conto che quel vivere insieme da tutti auspicato non sarà solo frutto di processi culturali, ma potrà essere anche frutto della spiritualità di cui ciascuno di noi è portatore e che dobbiamo usare di più per volerci bene. Credo molto a questo stile di cammino che serve al dialogo interreligioso, ma può essere benissimo modello della vita della comunità cristiana che desidera diventare la casa comune per tutti gli uomini di buona volontà. È un po’ il cammino che stiamo cercando di vivere con i rappresentanti di altre comunità religiose presenti a Brescia, con cui ci incontriamo con l’obiettivo di imparare a volerci bene in nome

della nostra fede. È un cammino che si nutre delle conoscenze che la nostra pastorale missionaria e per i migranti aveva già instaurato nel tempo attraverso le rispettive attività e che ora diventa un patrimonio che condividiamo insieme. Questo stile ha portato, nel mese di Ottobre, a realizzare a Brescia un primo incontro tra la Chiesa Italiana e la comunità indiana Sikh, un’espressione religiosa fortemente presente nella nostra città e in alcuni paesi della Bassa in modo particolare. Su iniziativa dell’Ufficio della CEI e del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, ci siamo ritrovati ospiti dell’Oratorio di Flero e abbiamo vissuto una semplice esperienza di condivisione. Abbiamo brevemente presentato le nostre due espressioni religiose, abbiamo condiviso la cena e abbiamo insieme visitato il grande Tempio Sikh presente propria a Flero. Pur accettando tante diversità che contraddistinguono le nostre tradizioni, esistono anche punti su cui costruire insieme la vera esperienza della fraternità universale accettando la paternità di Dio che genera appunto fraternità tra gli uomini; possono essere significative al riguardo le parole del guru Granth Sahib che afferma che “Dio è il padre di tutta l’umanità e non solo di una comunità in particolare e nessuno può rivendicare il monopolio su di Lui perché Lui appartiene a tutti”, parole che trovano un’ eco profonda anche nella nostra Scrittura: “E sarò per voi come un padre, e voi mi sarete come figli e figlie, dice il Signore Onnipotente” (2 Cor 6,18). Kiremba - Dicembre 2017

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Formazione & spiritualità

DARE UNA NUOVA FORMA ALL’AZIONE REDAZIONE MISSIONI@DIOCESI.BRESCIA.IT

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a anni sosteniamo che la formazione missionaria a fianco dell’informazione e della spiritualità è un pilastro fondamentale per svolgere un servizio di animazione missionaria nelle comunità cristiane. Formazione, ovvero dare una nuova forma all’azione che andiamo a svolgere come catechisti, come gruppi di animazione missionaria, presbiteri, animatori pastorali … è oggi sempre più urgente in una società multimediale che viaggia alla velocità della luce. Fermarsi, leggere, riflettere, fare discernimento, pregare, e dare un nuovo colore all’animazione missionaria non è così scontato per tutti. Serve impegno, consapevolezza, autocoscienza, per questo serve la formazione ed è fondamentale perché

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diversamente non possiamo oggi essere testimoni credibili. Meglio diffidare da chi preferisce evitare momenti formativi. Chi di voi andrebbe in sala operatoria e si farebbe operare da un bravissimo volontario ma che di chirurgia sa ben poco? In questi ultimi anni abbiamo pubblicato su Kiremba, a partire dal 2014, una scheda di formazione missionaria per ogni numero della rivista. Partendo dalla parola di Dio, offrendo poi 4 schede consecutive sul diritto al cibo nel 2015. Dal 2016 abbiamo offerto chiavi di lettura e domande per la riflessione a partire dall’Evangelii Gaudium. Oggi sulla base di una nuova e straordinaria richiesta di molte parrocchie per promuovere serate di approfondimento sull’animazione missionaria sia partendo dall’EG, sia dalle “Linee per un progetto di pastorale

missionario” PPM e della lettera del Vescovo Monari “Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi” ci troviamo a vivere numerosi momenti di formazione missionaria in diocesi. Una strada diversa dalla scheda di formazione ma col medesimo obiettivo. Ci chiediamo quindi quale nuovo cammino proporre, in termini di strumento efficace, nelle nostre parrocchie e unità pastorali dato che il PPM ci invita a riflettere in modo particolare sulla nostra identità come chiesa locale. Sottolineiamo solo alcuni punti fondamentali delle linee per un PPM: - La Missione di Dio percepita dalla chiesa locale come dimensione intrinseca a tutta la pastorale ordinaria; - Dai missionari che partono per terre lontane ad una chiesa tutta missionaria che è il senso stesso


Cosa ne pensate?

Idee per migliorare  Chiediamo a tutti i nostri lettori di esprimere le proprie esigenze e di aiutarci a cogliere quale è la richiesta di formazione opportuna per un sano PPM. Vorremmo poter contare sulle vostre osservazioni per rispondere al meglio nelle prossime schede di formazione missionaria: quali temi? Come svilupparli? Quali riflessioni o testimonianze? Quali proposte? Le preziose risposte e proposte saranno determinanti per il futuro di questo spazio su Kiremba.

Formazione, ovvero dare una nuova forma all’azione che andiamo a svolgere come catechisti, come gruppi di animazione missionaria, presbiteri, animatori pastorali … è oggi sempre più urgente in una società multimediale che viaggia alla velocità della luce. Fermarsi, leggere, riflettere, fare discernimento, pregare, e dare un nuovo colore all’animazione missionaria non è così scontato per tutti.

di ogni comunità cristiana; - L’annuncio del Vangelo ai non cristiani; - Il PPM propone una vera e propria conversione della pastorale di conservazione verso una pastorale missionaria; auspica che ogni UP possa elaborare quanto prima un proprio progetto di pastorale missionaria; ci fa notare una grave carenza in quanto manca una coscienza missionaria e sussiste uno scollamento tra fede e vita quotidiana; - L’annuncio del Vangelo non può essere offerto a tutti indistintamente, occorrono linguaggi nuovi, una pedagogia appropriata; - Occorre percepire che i poveri non sono solo destinatari della missione, ma protagonisti della Sua missione, ponendo i credenti al loro ascolto; - Una chiesa in uscita, un andare

verso le periferie, prendere l’iniziativa… si tratta davvero di un capovolgimento della pastorale; creare una nuova mentalità missionaria e nuova autocoscienza di chiesa a partire dal Suo Amore; - L’esercizio del discernimento sembra essere molto lontano dalla prassi normale. Partendo dalla vita, dalla realtà locale e mondiale e, in ascolto della Parola di Dio, dobbiamo chiederci cosa vuole oggi Dio per il suo progetto di Amore nei confronti dell’umanità intera; - Si suggerisce la nascita delle piccole comunità disperse sul territorio. La prima cosa da fare è una grande formazione a vari livelli. Formazione missionaria che genera nuovi modi e nuovi stili di essere chiesa di presenza missionaria nelle nostre realtà;

si tratta di inserire in tutte le forme di annuncio e di catechesi la dimensione missionaria come costitutiva della nostra identità, presso i cammini ICFR, degli adolescenti, dei giovani e adulti; Non solo il documento del 29° Sinodo diocesano “Comunità in cammino” al nr. 52 prevede che in ogni UP ci sia un gruppo missionario ma anche il PPM sostiene che potrebbe essere utile far nascere in ogni comunità il “Gruppo di animazione missionaria” (GAM), persone, cioè, che, avendo maturato una chiara ed esplicita appartenenza alla comunità cristiana, ne sentono forte lo spirito missionario e, di conseguenza, sostengono e alimentano la spinta centrifuga della comunità verso i dubbiosi, i rinunciatari, i post-cristiani e i non ancora cristiani. Il suo compito non è quello di gestire in proprio l’impegno missionario, che è tipico della vocazione ecclesiale di tutti i battezzati, ma di essere piuttosto espressione e strumento di tale corresponsabilità missionaria. (PPM 3.2.2) Come possiamo immaginare la nascita di GAM senza un’opportuna formazione? Ora ci chiediamo: quando parliamo di formazione cosa intendono i lettori di Kiremba? Come percepiamo e coniughiamo i valori del Regno di Dio e la mondialità oggi? Certamente si richiamano e illuminano a vicenda, ma come? Aspettiamo fiduciosi le vostre risposte presso missioni@diocesi.brescia.it Kiremba - Dicembre 2017

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formazione & spiritualità

LA PregHIERA MISSIONARIA DEI SANTI Ogni santo, nelle piccole e grandi cose, ha dimostrato coraggio perché lo Spirito Santo abita dentro di lui e agisce in modo evidente, diceva San Paolo: «non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me».

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Kiremba Dicembre - Dicembre2017 2017 kiremba

 San Giovanni evangelista: la preghiera del “discepolo amato” DON FRANCESCO PEDRAZZI - frapedro73@gmail.com

Il santo che nell’immaginario popolare è maggiormente associato alla solennità della Natività del Signore Gesù è santo Stefano, per il semplice fatto che in Italia il 26 dicembre è anche festa civile. Meno immediata è l’associazione del Natale con san Giovanni Evangelista, la cui festa cade nel giorno successivo, il 27 dicembre. Eppure si tratta di una delle figure più importanti del Nuovo Testamento, se non altro perché autore di quattro libri: un vangelo, tre lettere e l’Apocalisse. La sua festa è collocata poco dopo il Natale perché nessuno meglio di lui ha saputo penetrare – con gli occhi penetranti di un’aquila (suo simbolo iconografico) – il mistero insondabile dell’Incarnazione del Verbo di Dio. San Giovanni, fratello di san Giacomo (“il Maggiore”) è uno dei dodici Apostoli. “Apostolo” significa “inviato”, i dodici Apostoli sono i missionari per eccellenza, coloro a cui il Cristo ha affidato in modo autorevole il mandato di annunciare a tutti i popoli la Buona Notizia. Quindi essi rappresentano un parametro costante di riferimento per comprendere il significato della missionarietà ecclesiale. Possiamo cogliere alcuni tratti della spiritualità di san Giovanni a partire dai suoi scritti. Un primo tratto singolare: quando parla di sé nel quarto vangelo non impiega il suo nome, ma l’espressione: «Il discepolo che Gesù amava». Questo va associato a un secondo elemento: è l’unico evangelista che parla del “comandamento nuovo” di Gesù: «Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi» (ne parla anche nelle prime due lettere). Secondo un racconto agiografico, giunto a un’età avanzata, ripeteva continuamente questo comandamento. Quando i suoi discepoli gliene chiedevano la ragione, rispondeva: «Vi basta questo comandamento, se lo metterete in pratica avrete fatto tutto quello che Dio si aspetta da voi!». Per Giovanni di Zebedeo (nome del padre) il primo modo per essere missionari consiste nel vivere il comandamento nuovo, il comandamento che Gesù ha istituito la sera prima di morire, dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli. Nella stessa circostanza, il Signore disse: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Quanto è importante questo insegnamento anche per noi oggi! Ogni progetto missionario è destinato a fallire laddove non c’è il “segno della comunione fraterna”, laddove i discepoli di Gesù non si sforzano di amarsi come Gesù ci ha amati, cioè in forza del suo stesso amore che scaturisce dalla relazione con Lui. Il punto di partenza è sempre la relazione con Cristo: è un elemento che emerge con forza negli scritti di san Giovanni, ad esempio nell’allegoria della vite («Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla»; Gv 15,5), oppure laddove Gesù mette a tema il rapporto tra l’amore con Lui e la comunione trinitaria, sorgente della comunione ecclesiale: «Se mi amate (…) io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. (…) Se uno mi ama (…) il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,15.23). Si capisce da queste poche sottolineature perché Giovanni si presenti come «il discepolo Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto» (Gv 21,20). Egli aveva chiaramente compreso che questo è il tratto essenziale e irrinunciabile di ogni discepolo di Gesù, fino al suo ritorno (cfr. Gv 21,22); l’amore per Cristo permette di essere «una sola cosa» con gli altri fratelli, perché gli uomini possano credere che il Padre ha tanto amato il mondo da mandare suo Figlio perché il mondo abbia la vita eterna (cfr. Gv 20,21; 3,16). La testimonianza di san Giovanni ci ricorda che non c’è missione senza comunione ecclesiale e non c’è comunione ecclesiale senza comunione intima con Cristo.


Cina: Ieri e oggi

Blocknotes

Dall’ 11 Novembre al 4 Marzo una mostra interculturale presso i Missionari Saveriani Quest’anno si svolge la 16ª edizione della mostra annuale dei missionari saveriani di Brescia. Il tutto è possibile grazie all’intensa collaborazione di un gruppo di circa 50 volontari, che si dedicano con grande passione ed impegno all’organizzazione dell’evento. Quest’anno ricorre il 60º anniversario della presenza saveriana a Brescia. Si è pensato, quindi, di presentare, in una nuova edizione, la Cina. Nel 1899 fu la prima missione dei saveriani, fino all’inizio degli anni ‘50 quando, con l’avvento di Mao, tutti i religiosi furono espulsi. La mostra sarà aperta dall’11 novembre al 4 marzo 2018 (da mercoledì a sabato 9-12,30; domenica e festivi 15-18,30). La mostra (solo il mattino per le scuole) offre un laboratorio didattico per la conoscenza di come sono costruiti gli ideogrammi di alcune parole cinesi, con diversi gradi di apprendimento a seconda dell’età. Collaborerà la professoressa Liu Bin, insegnante di madre lingua cinese e presidente dell’Associazione culturale “HUA XIA”. La partecipazione al laboratorio prevede un contributo di € 2,50 per allievo. Si raccomanda di prenotare per tempo sia la visita alla mostra sia al laboratorio. Informazioni e prenotazioni al numero 349 3624217. Il ricavato della mostra sarà devoluto alle opere missionarie dei saveriani di Brescia, in occasione di quest’anno speciale di celebrazioni. Per informazioni: www.saveriani.it/brescia

MISSIO GIOVANI DASHBOARD www.mgd.missioitalia.it

Cari giovani, sono lieto di annunciarvi che nell’ottobre 2018 si celebrerà il Sinodo dei vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Ho voluto che foste voi al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore. (Papa Francesco, 13 gennaio 2017) È proprio nella lettera del Santo Padre ai giovani in occasione della presentazione del documento preparatorio del sinodo dei vescovi, di cui abbiamo riportato le prime righe, che è nata l’ispirazione di questo strumento di lavoro: MISSIO GIOVANI DASHBOARD, la proposta di Missio Giovani per l’animazione missionaria di adolescenti e giovani per l’anno pastorale 2017-18. Se i nostri pastori saranno chiamati a confrontarsi su temi così importanti per il mondo giovanile, se Papa Francesco ci ha scritto dicendoci quanto tiene a noi, non vogliamo far mancare la nostra voce, quella di giovani innamorati della vita, di Gesù e della Chiesa che siamo chiamati a servire. Attraverso la Missio Giovani Dashboard proveremo a mettere in pratica la tematica del Sinodo così da arrivare al prossimo ottobre con la consapevolezza reale del tema. Nelle diverse sezioni vengono proposti schemi per incontri di preghiera, singole preghiere, celebrazioni, veglie, via crucis di impronta missionaria o interculturale. Inoltre si può trovare materiale per l’animazione, la preghiera, brevi video che trattano argomenti di attualità nel loro aspetto eticamente nascosto… per andare al cuore della questione.

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RICORDI DEL FESTIVAL


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