SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERçUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVII - N° 5 DICEMbre 2018 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA
Operai nella sua messe
Dicembre 2018
SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERçUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVII - N° 5 DICEMbRE 2018 - bIMESTRALE - AbbONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI bRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA
Sommario
Primo piano
Il Vescovo incontra i fidei donum 4-5 Operai nella sua messe Dicembre 2018
Bimestrale dell’Ufficio Missionario Diocesano, via Trieste 13/B - Brescia Tel 030.3722350 - Fax 030.3722360 Direttore don Adriano Bianchi Direzione e redazione Via Callegari, 6 – 25121 Brescia Tel. 030.3754560 Fax 030.3751497 e-mail redazione: kiremba@diocesi.brescia.it e-mail Ufficio Missionario: missioni@diocesi.brescia.it web: www.diocesi.brescia.it/missioni
Chiesa & missione
Facciamo brillare la nostra luce La missione continua
I missionari raccontano
Roncadelle 10-11 Mozambico 12-13 Senegal 14-15
Redazione don Carlo Tartari: carlotartari@diocesi.brescia.it Andrea Burato: andrea.cm@diocesi.brescia.it Claudio Treccani: claudiotreccani@diocesi.brescia.it Chiara Gabrieli: chiaragabrieli@diocesi.brescia.it Don Francesco Pedrazzi : frapedro73@gmail.com Francesca Martinengo: fra.martinengo@gmail.com don Roberto Ferranti: robertoferranti@diocesi.brescia.it
Animazione missionaria
Grafica e impaginazione Andrea Burato
Orizzonti
Autorizzazione del tribunale di Brescia N. 269 del 11.07.1967 Imprimatur Curia vescovile di Brescia Stampa LITOS – Gianico (BS) Editrice Fondazione opera diocesana San Francesco di Sales, via Callegari, 6 - 25121 Brescia
Formazione & spiritualità
Esperienze estive: Togo Esperienze estive: Argentina Esperienze estive: Mozambico
La fede nelle seconde genrazioni
KIREMBA - ISSN 2533 -3062 (versione cartacea) KIREMBA – ISSN 2533 -3054 (versione digitale)
Una santità che attrae Pregare Insieme
Abbonamento ANNUALE
Blocknotes
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Agenda 27
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editoriale
Il mio “battesimo” don ROBERTO FERRANTI robertoferranti@diocesi.brescia.it
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redo che non potesse esserci un “battesimo” migliore per questo mio servizio nell’Area per la Mondialita’, e per cui anche all’Ufficio per le Missioni, che quello di un viaggio missionario insieme al Vescovo Pierantonio. Così il “battesimo” si è realizzato nella veloce visita in Albania a fine agosto e ancora di più si è realizzato in questa visita in Brasile dal 14 al 26 Novembre dove avevamo invitato tutti i nostri fidei-donum. Ho iniziato il mio cammino incontrando missionari appassionati del loro sevizio come “operai” in una messe che ha confini più grandi della nostra diocesi; missionari appassionati e fedeli a quella Parola che ha trasformato la loro vita. Ascoltando le loro testimonianze e riflessioni insieme al Vescovo, ci siamo sentiti davvero chiamati a continuare questa storia affascinante di missione che caratterizza da sempre la nostra chiesa. Sono cambiati forse i tempi rispetto alle prime partenze dei nostri fidei-donum, è importante che ci lasciamo interrogare dalle nuove situazioni in cui viviamo questo mandato missionario... ma è importante che questo slancio non si affievolisca. Non è solo questione di contare quanti missionari partono per le chiese del sud del mondo ma è soprattutto questione di chiederci cosa noi abbiamo imparato dal cammino
di queste chiese con le quali siamo uniti dal vincolo del servizio dei nostri missionari. Oggi è questione di vedere come la missione ci insegna ad essere capaci di diventare Popolo di Dio insieme ai fratelli e sorelle che sono arrivati dal sud del mondo a noi, allo stesso modo con cui i missionari si sono fatti Popolo con coloro a cui sono stati inviati. Oggi si tratta di riscoprire che la missione è anzitutto cooperazione tra chiese che camminano insieme e che si scambiano non solo progetti di sostegno ma soprattutto una identità di fedeltà al Vangelo incarnata. Personalmente sento la responsabilità di camminare in questa storia missionaria attraverso il servizio a cui il Vescovo mi ha chiamato, sento l’urgenza che la missione, anche ad-gentes, resti una delle caratteristiche forti della nostra identità ecclesiale, sento però anche la necessità di attualizzare tutto questo nel contesto odierno. Cercherò di camminare insieme ai nostri missionari perché ci aiutino a vivere quella fraternità universale che è uno stile missionario di cui abbiamo bisogno, uno stile che ci fa guardare al mondo per amarlo, uno stile che ci fa guardare ai popoli e alle altre religioni per scoprire in loro dei fratelli e delle sorelle. Iniziamo tutti allora questo cammino consapevoli che ognuno di noi è chiamato ed invitato ad essere “operaio nella sua messe”.
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Primo piano
brasile
il vescovo incontra i fidei donum don adriano bianchi direttore@lavocedelpopolo.it
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i sono occasioni in cui davvero l’incontro vale più di mille parole. É stato questo ciò che il nostro Ve s c o v o P i e r a n t o n i o h a p o t u t o sperimentare visitando i missionari fidei donum.
Eccellenza, che impressione le ha lasciato questo primo viaggio missionario in Brasile? Si incontra un mondo che è davvero molto diverso dal nostro di cui non si ha idea. Abbiamo incontrato quella parte del Brasile che è l’Amazzonia. Mi hanno colpito per esempio, in particolare, i frutti che non conoscevo in maniera così diretta. Ci dà la chiara percezione della vastità del mondo e di come sia importante non rimanere chiusi nel nostro. La dimensione missionaria in questa maniera davvero si tocca con mano. E l’esperienza della natura e dell’ambiente in cui siamo 4
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il gruppo di fidei donum e sacerdoti bresciani con il vescovo pierantonio durante l’incontro in brasile
però incrocia immediatamente le persone che abbiamo incontrato. C’è una disparità sociale visibile anche per chi incontra per la prima volta questa realtà. Si ha l’impressione del peso della storia. Le popolazioni che abbiamo incontrato portano il segno della storia dei secoli. Delle popolazioni che abbiamo incontrato mi ha colpito in particolare la semplicità della vita, il rapporto con la natura e il grande rispetto per l’ambiente in cui vivono, e di conseguenza mi ha anche ancor più preoccupato invece questo modo di procedere almeno da parte di alcuni che tende invece a sottovalutare o addirittura ad annullare questo rapporto. Mi preoccupa l’impatto con una società completamente diversa, troppo esposta alle regole del consumo, alle regole dell’utilizzo delle risorse e secondo fini che non sempre sono positivi.
I nostri fidei donum stanno facendo e hanno fatto sinora una collaborazione molto preziosa e colgo l’occasione per ringraziarli. Quando si viene qui e si sta con loro, ci si accorge di che cosa significa il ministero presbiterale, il farsi carico del cammino delle proprie comunità cristiane, il voler bene alla propria gente ed essere amati dalla propria gente.
Intervista
Esperienza di comunione
Delle popolazioni che abbiamo incontrato mi ha colpito in particolare la semplicità della vita, il rapporto con la natura e il grande rispetto per l’ambiente in cui vivono, e di conseguenza mi ha anche ancor più preoccupato invece questo modo di procedere almeno da parte di alcuni che tende invece a sottovalutare o addirittura ad annullare questo rapporto.
Tornando invece all’aspetto positivo mi ha molto colpito l’ospitalità, l’accoglienza che abbiamo incontrato nelle varie comunità lungo le rive del Rio delle Amazzoni. Che cosa l’ha colpita di questa Chiesa giovane? La diversità rispetto alla nostra situazione, rispetto anche alla nostra esperienza di Chiesa. Ci sono alcuni dati che risultano evidenti: una parrocchia è costituita da 30, 50 o 70 comunità. Queste comunità si trovano sparse su un territorio vastissimo, magari lungo le rive del fiume. Il parroco le deve raggiungere attraverso un percorso di giorni in barca. È chiaro che la sua visita avviene quando è possibile, ma poi le comunità continuano con la loro vita e allora c’è bisogno di qualcuno che lì porti avanti la vita della chiesa. Mi ha colpito molto la scelta fatta, soprattutto nella diocesi di Castanhal
e di Macapà, sul primato della Parola di Dio: è un forte investimento sulla forza della Parola nel costituire la chiesa e nel creare una mentalità di fede. Mi sembra molto importante. Anche questo mi fa molto pensare e mi convince ancora di più del fatto che anche noi dobbiamo prendere questa strada. Quali possono essere le ricadute pastorali di questa esperienza? I nostri fidei donum stanno facendo e hanno fatto sinora una collaborazione molto preziosa e colgo l’occasione per ringraziarli. Quando si viene qui e si sta con loro, ci si accorge di che cosa significa il ministero presbiterale, il farsi carico del cammino delle proprie comunità cristiane, il voler bene alla propria gente ed essere amati dalla propria gente. Questo è veramente confortante. C’è una condivisione di vita che diventa poi parte integrante del proprio essere
Il Viaggio in Brasile è stata un’occasione, sia per il Vescovo che per tutta la delegazione bresciana che lo ha accompagnato, di incontro e scoperta di una parte del mondo missionario così lontano dalla nostra realtà quotidiana ma anche così vicino a noi, grazie al lavoro dei missionari bresciani che operano. Attraverso questo codice Qr si accede al video, realizzato durante il viaggio, in cui il Vescovo esprime il suo pensiero in merito all’operato dei missionari, a quanto la prossimità della chiesa possa essere feconda nelle comunità in cui è presente.
sacerdoti. Ho visto il desiderio di valorizzare ciò che appartiene alla vita di queste persone, la fatica anche di spogliarsi di qualcosa per poter comunicare il Vangelo in una realtà diversa e il desiderio di riconoscere ciò che il Vangelo sta già operando. Gli incontri sono stati di grande arricchimento. Abbiamo prima pregato insieme e ascoltato il racconto della loro esperienza. Qui abbiamo toccato con mano che la dimensione missionaria della Chiesa è un elemento costitutivo. Adesso si tratta di capire come potremmo continuare in questa direzione. I fidei donum (laici e sacerdoti) sono un elemento originale e molto prezioso della storia della Chiesa bresciana. Mi preme che tutto questo possa proseguire, però occorre capire bene in che modo e secondo quali criteri, certo nella prospettiva di una comunione tra Chiese che oggi è ancora più importante. kiremba dicembre 2018
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Chiesa & missione testimonianze
e r a l il r b o m ia c fac la nostra luce Giacomo Baronchelli progetti@oratori.brescia.it
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tarlight, così la vostra luce! Questo il titolo dell’evento che si è tenuto in città, a Brescia, sabato 20 ottobre 2018 e che ha coinvolto cinquecento adolescenti, con i loro sacerdoti ed educatori, provenienti dagli oratori della diocesi. L’iniziativa, dedicata alla canonizzazione di Paolo VI, ha avuto inizio in Cattedrale con la Veglia Missionaria, appuntamento diocesano con il quale si ricordano tutti coloro che operano nel mondo missionario e che quest’anno, in linea con i contenuti della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, ha avuto il titolo “Giovani per il Vangelo”. In questo primo momento di preghiera, caratterizzato dal mandato ai missionari partenti, il vescovo Pierantonio ha commentato i l Va n g e l o d i M a t t e o ( 5 , 1 6 ) invitando i ragazzi ad “essere luce” e consegnando loro alcune parole che potessero essere d’aiuto in questa
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grande presenza di giovani durante la celebrazione in duomo
missione. Al termine della Veglia alcuni adolescenti, in rappresentanza dei loro coetanei, hanno ricevuto dal vescovo Pierantonio il libretto contenente delle riflessioni di Paolo VI sulla santità e sulla missione e le indicazioni necessarie per proseguire la serata per le vie del centro cittadino. Impostata come una caccia al tesoro giocata tra indizi ricevuti sullo smartphone e i classici bigliettini con gli indicazioni dei luoghi da trovare, la seconda parte dell’evento intervallava la ricerca di monumenti e aneddoti storici di Brescia a tre tappe vere e proprie nelle quali riflettere sul proprio impegno nel mondo, nel proprio territorio (comune o quartiere) e nella vita interiore. Tre passaggi indispensabili per mostrare alcune dimensioni peculiari della vita di San Paolo VI che, fin dalla sua giovinezza, aveva imparato a dedicarsi con altruismo ed impegno alla cura della propria spiritualità,
I ragazzi sono stati accolti in una basilica completamente buia, illuminata dalla sola luce di alcune candele poste sopra dei secchi disposti ai lati del corridoio della navata centrale e dai braccialetti fluorescenti (gli starlight), consegnati ai gruppi all’inizio della serata. “Viene forse accesa la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro?”: queste le parole del Vangelo che vibravano nei giochi di buio e luce della veglia.
Esperienza nuova La veglia missionaria di sabato 20 ottobre, in compagnia dell’entusiasmo di Starlight, sulle tracce di Paolo VI, ha visto la partecipazione di tantissimi giovani. Una celebrazione molto diversa dalle edizioni delle veglie missionarie degli altri anni. Attraverso questo codice qr si può accedere al video realizzato dalla redazione de La voce del Popolo.
L’iniziativa, dedicata alla canonizzazione di Paolo VI, ha avuto inizio in Cattedrale con la Veglia Missionaria, appuntamento diocesano con il quale si ricordano tutti coloro che operano nel mondo missionario e che quest’anno, in linea con i contenuti della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, ha avuto il titolo “Giovani per il Vangelo”.
delle sue relazioni più care e più prossime per arrivare, infine, ad assumere un compito di grande responsabilità, quello di Papa, e a guidare il mondo intero. Tanti sono stati gli input e le provocazioni offerti ai ragazzi: nella tappa sul proprio impegno nel mondo, tenutasi nel teatro del chiostro di San Giovanni Evangelista, hanno assistito ad una performance teatrale e ad un momento di testimonianza di alcuni giovani richiedenti asilo, accompagnati dalla Cooperativa Kemay. All’interno dell’oratorio di San Faustino, gli adolescenti sono stati coinvolti in un lavoro di “tessitura”: hanno potuto riflettere su ciò che fanno per la propria comunità e per il proprio paese, sui valori che il loro fare veicola e trasmette arricchendo anche gli altri; infine, nella chiesa del Carmine, sono stati accompagnati nell’analisi di un’opera artistica dell’antica Chiesa – il rapimento di Elia in cielo - per
approfondire la propria spiritualità. L’evento si è concluso a mezzanotte, nella basilica di S. Maria delle Grazie: santuario caro a S. Paolo VI perché è lì che ha celebrato la sua prima messa, con una suggestiva veglia di preghiera, che è diventata anche occasione di sintesi dei molti contenuti offerti nella serata. I ragazzi sono stati accolti in una basilica completamente buia, illuminata dalla sola luce di alcune candele poste sopra dei secchi disposti ai lati del corridoio della navata centrale e dai braccialetti fluorescenti (gli starlight), consegnati ai gruppi all’inizio della serata. “Viene forse accesa la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro?”: queste le parole del Vangelo che vibravano nei giochi di buio e luce della veglia. Dopo la rilettura del brano evangelico di riferimento, don Claudio Laffranchini, che ha animato la veglia, ha invitato i ragazzi ad essere luce, a non nascondersi sotto il moggio, a fare come chiede il Vangelo: “così, non di meno, sia la vostra luce! Perché chiunque veda le vostre opere buone e renda gloria al Padre vostro che è nei cieli”. Starlight, oltre ai contenuti appena richiamati, ha dato la possibilità a quasi quaranta gruppi di adolescenti di essere accompagnati dalle proprie guide attraverso la città, scoprendone sì la bellezza, ma anche apprezzando il senso di un cammino condiviso che apre a riflessioni, dialogo, opportunità di porre domande e cercare risposte per crescere insieme nella santità. kiremba dicembre 2018
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i missionari raccontano
ECUADOR
la missione continua
MONS. LORENZO VOLTOLINI lorenzoarzobispo@gmail.com
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ver vissuto in seminario il tempo del “ante, durante e post Concilio”, ha dato a molti seminaristi di quel tempo, fatti poi sacerdoti, un impulso missionario realmente forte. Fummo molti quelli che chiesero di fare una esperienza missionaria ad gentes. Dei miei compagni di ordinazione (1974) ben sette fummo inviati: uno in África, uno in Brasile, due in Uruguay, uno in Venezuela e due in Ecuador. Di tutti questi due sono giá in paradiso e due siamo ancora in missione. A me é toccato in sorte l’Ecuador con don Angelo e don Giorgio. Siamo stati inviati alla diocesi di Latacunga (1 Nov. 1979) e dispersi nella non facile geografia di una regione che va dai mille metri di alcune parrocchie (montuvie) ai quattromila di altre comunitá indigene ed ai quasi seimila metri del vulcano Cotopaxi.
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mons. lorenzo voltolini
Ci siamo letteralmente innamorati dell’Ecuador e, nonostante l’impegno di tornare dopo dieci anni alla diocesi di Brescia tutti e tre siamo rimasti piú di venti e, nel caso di don Giorgio e mio, ormai abbiamo ricordato il 39mo anniversario di missione. Don Giorgio, dopo 14 anni di parroco in una nuova parrocchia tra i mille e i duemila metri, zona calda e piovosa, é stato lunghi anni in Latacunga con varie mansioni importanti. Ha svolto l’incarico di Segretario Nazionale di Caritas della Conferenza Episcopale Ecuatoriana e ora é parroco di una popolosa e importante parrocchia della diocesi di Latacunga. A me é toccata una esperienza molto diversa ma ugualmente affascinante, che ora sta prendendo una svolta particolare. Dopo quattordici anni di parroco in una parrocchia nuova del sud
Una scelta sincera “Non lascio questa Chiesa, la vivrò solo da un’altra prospettiva”. Cosi Mons. Voltolini racconta la sua scelta di lasciare l’incarico di Vescovo, con il permesso del Papa, per entrare a far parte della comunità eremitica dei monaci trappisti. Attraverso questo video si può accedere all’intervista che Mons. Voltolini ci ha concesso.
Ci siamo letteralmente innamorati dell’Ecuador e, nonostante l’impegno di tornare dopo dieci anni alla diocesi di Brescia siamo rimasti piú di venti e, nel caso di don Giorgio e mio, ormai abbiamo ricordato il 39mo anniversario di missione.
La scelta di andare in monastero non é stata determinata dal desiderio di fuggire il mondo, ma dalla volontá di servire il mondo e fecondare la missione con la preghiera e la ricerca di Dio La missione non termina qui, la missione continua e completa e sostiene quanto il Signore ha giá fatto attraverso di noi. Servi inutili, ma efficaci nelle mani del Padre, nella oblazione del Cristo e sulle ali dello Spirito.
oriente della cittá di Latacunga, di cui cinque con l’impegno di segretario dell’area di Liturgia della Conferenza episcopale, sono stato chiamato a fare il Vescovo Ausiliare a Portoviejo per quattordici anni e poi l’Arcivescovo della stessa diocesi per undici anni. Quattordici anni da parroco e venticinque di episcopato, compiendo missioni che mi hanno messo a contatto con realtá diverse tra gli indios della Sierra prima, animando la nascita di comunitá cristiane ben strutturate e poi tra i montuvios, i pescatori, gli abitanti della costa ecuatoriana, con un milione e mezzo di abitanti sparsi in un territorio grande come la Toscana. Penso che il lavoro piú bello ed affascinante sia stato quello di essere animatore, guida, formatore del clero con una presenza costante nel seminario e nelle riunioni e incontri
formativi del clero sul territorio. L’amicizia, la fiducia reciproca, l’ascolto attento, le correzioni fraterne, la gioia di passare momenti di allegria sana e costruttiva, hanno fatto sí che i momenti di prova e di dolore siano stati di vera pienezza sacerdotale. Quattordici anni di missionario tra gli ultimi e venticinque da responsabile e guida di una Chiesa locale non hanno spento in me il desiderio di cercare qualcosa di nuovo che potesse coronare il lavoro fatto. La scelta di andare in monastero non é stata determinata dal desiderio di fuggire il mondo, ma dalla volontá di servire il mondo e fecondare la missione con la preghiera e la ricerca di Dio. Una ricerca di autenticitá che non passa dalla raccolta di molti frutti, ma dal desiderio che i processi iniziati possano continuare a trasformare la Chiesa ed il mondo in un momento di grandi cambi ed enormi sfide che i giovani sanno capire ed affrontare meglio di chi ha piú anni sulle spalle. Chi continuerá il cammino – i cammini – iniziati potrá contare sul sostegno orante, non meno importante di quanti lasciano le distrazioni del mondo per concentrarsi in ció che é piú importante. La missione non termina qui, la missione continua e completa e sostiene quanto il Signore ha giá fatto attraverso di noi. Servi inutili, ma efficaci nelle mani del Padre, nella oblazione del Cristo e sulle ali dello Spirito. La missione non è finita continua a fecondare la Chiesa dalle sue radici invisibili ma necessarie. kiremba dicembre 2018
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I missionari raccontano RONCADELLE
perchÉ missionario? P.LUCA VINATI vinati.luca@gmail.com
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ari amici e amiche di Kiremba, mi chiamo Luca Vinati, Padre Luca, “sacerdote novello” del PIME (Pontificio Istituto per le Missioni Estere), ordinato lo scorso 16 giugno nella parrocchia “San Bernardino da Siena” di Roncadelle, dal nostro vescovo Pierantonio. Nato a Brescia il 14 dicembre del 1974, ho vissuto il tempo della mia fanciullezza, adolescenza e giovinezza a Roncadelle. Nel 2004 e nei tre anni successivi ho iniziato a vivere delle esperienze missionarie in America latina (Guatemala e San Salvador) presso le missioni delle suore della sacra Famiglia di Spoleto, le suore presenti a Roncadelle (altre pescatrici che mi hanno fatto compagnia sulla mia barca), che si aggiungevano a quella fatta in Brasile nel 2001. Queste esperienze hanno iniziato a questionarmi e pungolarmi,
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p.luca riceve la benedizione da parte del vescovo monsignor Padro Zilli
mostrandomi la possibilità di una vita dedicata alla missione e all’annuncio: iniziato, come capita spesso, per un’intuizione, un moto interno del cuore, un desiderio generico di fare del bene, un sentimento o un’emozione a cui non riuscivo neppure a dare il nome, con il passare degli anni, con la maturità umana e cristiana che poco a poco si raggiunge, è divenuta qualcosa di più chiaro e definito, pur mantenendo sempre quella parte di mistero, perché si tratta pur sempre delle “cose di Dio” che vanno al di là di noi stessi e a cui dobbiamo aderire con la fede. Iniziato così un periodo di discernimento con don Osvaldo Resconi, oggi parroco a Fiumicello (altro pescatore!), ho incontrato il PIME attraverso internet (a Brescia questa realtà missionaria è infatti assente e ai più sconosciuta). A giugno sono stato ordinato sacerdote; ora mi trovo qui in Italia
per un periodo di vacanza, alternato a qualche servizio in parrocchia e al PIME, in attesa del mio ritorno in Guinea Bissau, il giorno 4 ottobre, destinato alle isole Bijagos, un arcipelago nell’Oceano Atlantico, al largo della costa guineense, dove, insieme ad un altro confratello, P. Roberto (altro pescatore?) mi occuperò principalmente di primo annuncio nei villaggi sparsi per le varie isole: marinaio e pescatore, quindi non solo in senso metaforico. Perché questa scelta? Perché sacerdote? Perché missionario? Tante volte, a buon diritto mi sono state fatte queste domande. Se guardo la mia vita, il mio passato (posso serenamente dire, come ho detto, che mi trovo oggi in un punto privilegiato e abbastanza oggettivo per poterlo fare) non posso non riconoscere la presenza di un “filo conduttore” che mi ha guidato, che si è rivelato nelle scelte fatte, nei
Dal 1850
Il PIME
Nella mia storia posso leggere un “disegno” che poco alla volta si è manifestato e che ha saputo guidarmi fino al passo fatto con l’ordinazione sacerdotale, e a cui ne seguiranno altri ancora, lungo tutto l’arco della mia esistenza, perché, prendendo a prestito le parole del cardinale Carlo Maria Martini “la vocazione del cristiano, qualunque essa sia, non è altro che un camminare verso il dono totale di sé al Padre, sulla croce.”
Il Pontificio Istituto Missioni Estere (PIME) è una comunità di preti e di laici che dedicano la loro vita all’annuncio del Vangelo e alla promozione umana presso altri popoli e culture. Due sono le sue radici storiche. La prima, e più antica, risale al 1850 e all’intuizione di mons. Angelo Ramazzotti, allora sacerdote milanese, poi vescovo di Pavia, quindi patriarca di Venezia. In quegli anni, infatti, n o n o s t a n t e l ’e c c e z i o n a l e f i o r i t u r a d i
congregazioni e di iniziative missionarie in varie regioni d’Italia, mancava un istituto esclusivamente missionario non religioso. Perciò, chi voleva partire per le missioni non poteva far altro che entrare in un ordine o congregazione religiosa, oppure cercare un accordo personale con i vescovi di missione. L’atto di nascita di quello che sarà il «Seminario Lombardo per le Missioni Estere» reca la data del 10 dicembre 1850 e, in calce, la firma di tutti i vescovi lombardi.
consigli ricevuti, nelle esperienze ed incontri fatti, nelle amicizie e anche negli errori e nelle cadute che immancabilmente ci sono nella vita di ognuno di noi (pesci, pesci e ancora pesci!). Posso non leggervi un “disegno” che poco alla volta si è manifestato e che ha saputo guidarmi fino al passo fatto con l’ordinazione sacerdotale, e a cui ne seguiranno altri ancora, lungo tutto l’arco della mia esistenza, perché, prendendo a prestito le parole del cardinale Carlo Maria Martini “la vocazione del cristiano, qualunque essa sia, non è altro che un camminare verso il dono totale di sé al Padre, sulla croce.” Perché sacerdote? Perché missionario? Essenzialmente sono due i motivi a cui sono giunto, dando una risposta di fede, due ragioni che hanno la stessa importanza e si completano l’uno con l’altro: conversione e testimonianza. Mi spiego.Ho scelto, o meglio, sono stato scelto (chiamata a cui rispondo quotidianamente con il mio debole “si”, “con timore e tremore”) perché questa rappresenta la via per me, adatta a me, per “convertirmi”, per far convergere e centrare tutta la mia vita in Cristo (“per Lui ho lasciato perdere tutte le cose, per guadagnare Cristo ed essere trovato in Lui”, ci dice san Paolo nella sua lettera ai Filippesi, 3,8b), per divenire, giorno dopo giorno, suo apostolo, compagno, amico e fratello, in una parola “santo”. Ognuno di noi ha il suo proprio cammino scelto da Dio; il mio è quello della vocazione sacerdotale ad gentes.
Questo mi conferma e aiuta nel mio morire a me stesso per rinascere con Cristo, per far sì che, detta con le parole di San Paolo, “crocifisso con Cristo, non sia più io che viva, ma Cristo viva in me” (Gal 2,19b -20), divenendo così quell’uomo nuovo, che vive il suo quotidiano nella pienezza di Amore e di Felicità cui tutti noi desideriamo e a cui tutti tendiamo. Il secondo motivo, che integra e completa il primo, è quello della testimonianza e dell’annuncio del Vangelo, la Buona Novella incarnata, Gesù. Il cristiano, sappiamo tutti, è missionario e testimone in virtù del battesimo ricevuto. Come battezzati tutti noi viviamo la missione ognuno in ambienti, situazioni e luoghi differenti: famiglia, lavoro, con gli amici e parenti, in Italia, America o Africa. Tutti siamo chiamati a evangelizzare il luogo in cui ci troviamo. Io mi trovo qui, in terra d’Africa per essere testimone di Gesù, attraverso il mio quotidiano, a persone e popoli che non lo conoscono o che lo conoscono poco e per sentito dire, fedele al comandamento di “andare in tutto il mondo e annunziare il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). Per carattere, disposizione, personalità e storia (i pesci raccolti e i pescatori amici), la missione ad gentes è quella che ho scoperto la più adatta, avendo sempre presente che l’orizzonte rimane la conversione personale, che diviene a sua volta annuncio e testimonianza di un Amore che trasborda l’umano e che è sempre pronto ad accoglierti e abbracciarti. kiremba dicembre 2018
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i missionari raccontano
MOZAMBICO
sono mamma i ie m n o n i l ig f i d LUISA LORENZINI banach001@hotmail.it
S
ono Luisa Lorenzini, gussaghese anche se da cinque anni vivo a Marracuene, província di Maputo, in Mozambico. A Marracuene collaboro con i Religiosi della Sacra Famiglia di Martinengo che proprio in quest’anno 2018, festeggiano 20 anni di presenza in Mozambico. Durante questi 5 anni ho svolto varie mansioni, dipendendo dalle necessitá della missione, ma da due anni la mia attivitá principale, accanto al lavoro nella segreteria della Scuola “Comunitária Secundária Sagrada Família”, é nell’orfanotrofio São José, praticamente sono diventata mamma di 58 bambini/ragazzi. Quest’anno stiamo accogliendo 58 ragazzi, 33 bimbi e 25 bambine con una etá compresa dai 6 ai 20 anni. Ciascuno di loro proviene da una situazione familiare difficile o perché sono orfani di uno o di entrambi i genitori o perché in situazione
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luisa con i bambini dell’orfanotrofio di marracuene
di estrema povertá o altri tipi di problemi familiari. Insieme a Padre Osvaldo, direttore dell’orfanotrofio (che piú frequentemente chiamiamo Collegio) e Carlo, altro laico missionario, ci occupiamo della crescita e soprattutto dell’educazione di questi ragazzi che sono carenti di tutto. La giornata inizia presto, alle 5.30 sveglio le ragazze che hanno cosí il tempo di prepararsi e lasciare le camerate in ordine prima della colazione delle 6.15 (preparata dai piú grandi). Alle 6.45 i piú grandi vanno a scuola fino alle 12.05 mentre i piccoli rimangono in Collegio e giocano fino alle 7.30 momento in cui iniziano, divisi per classe, due ore di studio accompagnati da un professore che aiuta nello svolgimento dei compiti e a chiarire eventuali dubbi. Dopo lo studio hanno una merenda e poi un altro momento di gioco seguiti da giovani animatori e verso le 11.10 pranzano per poter poi andare a
Nelle mie fragilitá e nei miei limiti cerco di amare questi ragazzi che mi sono stati affidati, dando loro non solo cose materiali ma attraverso il dialogo farli sentire accolti e trasmettere valori che a volte entrano in conflitto con quelli proposti dalla societá nella quale vivono, una societá molto in crisi con l’avvento della globalizzazione.
Per i più piccoli
Da due anni l’attivitá principale di Luisa, accanto al lavoro nella segreteria della Scuola “Comunitária Secundária Sagrada Família”, é nell’orfanotrofio San José. Attraverso questo video, realizzato per la scorsa Quaresima Missionaria, Luisa racconta la sua realtà in Mozambico: la scuola, i bambini e le strutture che hanno bisogno di continua manutenzione.
scuola fino alle 17.00. I grandi invece hanno lo studio nel pomeriggio dalle 14.00 alle 16.00. La famiglia finalmente si riunisce dopo le 17.00 quando finiscono gli impegni della giornata, alle 18.00 la cena e dopo cena alcune attivitá ricreative, quali danza, teatro, capoeira, calcio, fino alle 20.30 quando ci riuniamo tutti in refettorio per le preghiere della sera e poi finalmente nelle camerate per l’igiene personale e il riposo. Le giornate trascorrono sempre ricche di novitá e imprevisti, tra un pianto e una gioia ma l’entusiasmo e l’allegria dei ragazzi sono lo stimolo e il carburante di ogni giornata. Le loro richieste sono sempre tante anche se ció di cui hanno veramente bisogno é amore e attenzione. Molti di loro non hanno conosciuto l’abbraccio di una mamma o di un papá, un ambiente familiare e cercano ogni occasione per essere coccolati o per sentirsi al centro della nostra attenzione, a voltre attraverso una marachella a volte con dolori o malattie immaginarie. Sentirsi mamma e tentare di accompagnare questi ragazzi é impegnativo, perché ognuno ha il suo carattere e la sua storia e a volte servirebbero competenze specifiche per affrontare alcune problematiche personali e comunitárie. Santa Paola Elisabetta Cerioli, la Fondatrice della Congregazione della Sacra Famiglia, diceva che é necessario fare di tutto per questi ragazzi, é necessario dare loro una seconda creazione, dopo quella biologica affinché crescano come uomini e donne maturi e con valori morali e religiosi.
Certamente é un arduo compito, senza contare il contesto culturale e tradizionale nel quale mi trovo. Nelle mie fragilitá e nei miei limiti cerco di amare questi ragazzi che mi sono stati affidati, dando loro non solo cose materiali ma attraverso il dialogo farli sentire accolti e trasmettere valori che a volte entrano in conflitto con quelli proposti dalla societá nella quale vivono, una societá molto in crisi con l’avvento della globalizzazione. Una delle sfide grandi, secondo me, é vivere il valore della veritá e della sinceritá infatti é molto facile per i ragazzi, di qualsiasi etá, dire una bugia o il falso per poter raggiungere i loro obbiettivi o nascondere alcuni fatti. Ma la cosa che piú mi fa riflettere é che non sentono il peso delle loro azioni, una falsitá é considerata come la via normale per ottenere ció che si vuole cosí come é normale appropriarsi di qualsiasi cosa semplicemente perché se ne ha bisogno senza preoccuparsi a chi appartiene. Sono sfide educative grandi che richiedono molta pazienza e molto accompagnamento ma soprattutto molto amore affinché i ragazzi percepiscano l’importanza di questi valori e riescano a viverli non solo come obbligo imposto da altri ma con convinzione personale. Ringrazio il Signore per questo percorso di accompagnamento a questi bambini e giovani é per me una grande occasione di crescita personale e spirituale ed é un esercizio quotidiano ad aprire il cuore ai piú fragili e bisognosi senza aspettarsi nulla in cambio. kiremba dicembre 2018
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i missionari raccontano
SENEGAL
La mia libertà nelle mani di G esù SUOR GRAZA ANNA MORELLI graziannasmsm@gmail.com
M
i rendo conto che scrivere un articolo con un titolo di questo genere in una società come la nostra, in cui l’idea di fondo è che la tua libertà ti appartiene e DEVE appartenerti!... altrimenti non sei te stessa, ma solo una pedina nelle mani di altri... e di altri che ti muovono solo per i propri interessi e non certo per i tuoi..., debba fare un certo effetto. Suppongo che abbia un effetto shock... eppure questa è l’UNICA VIA POSSIBILE per trovare la felicità vera e la vera libertà. Sì, perché con Gesù non è come con gli altri. Mettere la propria libertà nelle Sue mani significa davvero diventare LIBERI, SICURI che Lui, facendo i propri interessi ne fa i tuoi... perché TU SEI il Suo PRIMO INTERESSE. La tua felicità, la tua gioia, la tua vita sono il Suo primo interesse. Sono una Suora Missionaria Marista
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sr. grazia anna , con alcune suore BARUNDI, durante la scorsa veglia missionaria
da 26 anni. Intendo dire che da 26 anni ho messo la mia libertà nelle mani di Gesù, perché Lui conduca la mia vita e faccia di me quello che desidera. In quanto missionaria, in questi anni, sono partita e ripartita per vari luoghi e varie culture, prima inviata ad annunciare la Sua Buona Notizia ai popoli dell’Oceania (Vanuatu e Nuova Caledonia) e poi chiamata ad una responsabilità nella mia Congregazione, che mi ha portata a “fermarmi” a Brescia dal 2011 al 2018, avendo anche l’opportunità di visitare le nostre comunità in Italia, in Francia, in Inghilterra, in Senegal, in Burundi, in Rwanda, in Tanzania e in Madagascar, oltre che la gioia di collaborare con alcune realtà missionarie bresciane, come per esempio l’Ufficio Missionario con la cui équipe abbiamo collaborato per 3 anni. In questi 26 anni ho vissuto
esperienze sempre molto ricche di incontri, di gioie e anche di difficoltà... quelle che la vita inevitabilmente ti mette davanti. Sono stati tempi di ricerca, di scoperte, di collaborazione, di conoscenze, di studio, di approfondimento, di intimità. Tempi da non dimenticare, quelli che il Signore ti offre nella vita, per dirti che Egli è presente ed è pronto a darti il MEGLIO. Il prossimo gennaio riparto... questa volta per il Senegal. Un paese che conosco solo perché ci sono stata di passaggio. Niente di più. Nel dire il mio sì alla proposta fattami di partire, ho messo ancora una volta la mia libertà nelle mani di Gesù. Insieme a Lui vado ad incontrare un popolo ricco della Sua presenza, ma anche a condividere quello che io sono e i doni di cui Lui mi ha arricchita. Parto per iniziare un cammino nuovo con il popolo senegalese, un cammino che ci
Un “grazie” sincero Per tre anni Suor Grazia Anna ha collaborato stabilmente con l'équipe del Centro missionario diocesano di Brescia. Pubblicamente la ringraziamo per quanto ha saputo portare all’interno del nostro gruppo, accompagnamo con la preghiera questa nuova tappa del suo cammino.
Nel dire il mio sì alla proposta fattami di partire, ho messo ancora una volta la mia libertà nelle mani di Gesù. Insieme a Lui vado ad incontrare un popolo ricco della Sua presenza, ma anche a condividere quello che io sono e i doni di cui Lui mi ha arricchita.
Il distacco, spesso vero sinonimo di sofferenza e di dolore, è anche l’elemento che permette di trasformare le relazioni perché esse diventino, TUTTE, più profonde e più vere, più vicine e più significative, più libere e più gioiose. L’ho sperimentato ormai tante volte. È proprio così.
rinnoverà reciprocamente e che, spero, porterà, nonostante le mie debolezze, dei frutti di libertà, di pace, di entusiasmo, di vita per tutti quelli che incontrerò. Non so ancora concretamente quale lavoro andrò a svolgere, ma questo fa anche parte della nostra vita missionaria: andare, osservare e capire quale tipo di collaborazione è importante dare, in base anche ai propri doni e alle proprie possibilità... e in questo modo cercare di annunciare il Vangelo, che si può fare in molti modi ma soprattutto vivendo la propria vita secondo questa Buona Notizia e diventando Buona Notizia per gli altri. La gioia di questo mio ripartire è nella possibilità, ancora una volta, di seguire Gesù dove e come Lui desidera; di rimettermi nelle Sue mani come un vaso d’argilla nelle mani di un vasaio, perché anche in questa partenza Lui continui a
plasmare la mia vita secondo il Suo progetto. Come sempre... partire è un po’ morire. Partendo lascio dietro di me le persone incontrate in questi anni e con le quali ho tessuto legami di amicizia e di collaborazione, lascio i miei genitori anziani e non in salute e che non sono sicura di rivedere, lascio le persone che mi hanno aiutata nel cammino e che nel tempo mi sono diventate care... Partire non è facile, ma fa parte della vita e di ciò che siamo chiamati a sperimentare per crescere come persone e per maturare una vera libertà. Il distacco, spesso vero sinonimo di sofferenza e di dolore, è anche l’elemento che permette di trasformare le relazioni perché esse diventino, TUTTE, più profonde e più vere, più vicine e più significative, più libere e più gioiose. L’ho sperimentato ormai tante volte. È proprio così. Mettere la mia libertà nelle mani di Gesù... è così che desidero continuare a vivere la mia vita. Che cosa? State dicendo che ci vuole forza e coraggio? Vi rispondo con questa frase: Tutto posso in Colui che mi dà la forza (Fil 4,13); il 25 marzo del 1992 l’ho scelta come Parola guida nella mia relazione con Gesù ed essa continua ad accompagnarmi quotidianamente. La offro a tutti voi con l’augurio che su di essa possiate appoggiare con fiducia la vostra esistenza. Non abbiate paura! Non abbiate paura!!! kiremba dicembre 2018
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Animazione missionaria esperienze estive: TOGO
la felicitÁ nelle piccole cose emilio bergamelli emilio.bergamelli.v@gmail.com]
E
sistono tanti motivi per partire. La voglia di staccare la spina, allontanarsi dallo stress della città o semplicemente affacciarsi per un breve attimo a nuove realtà. Ci sono però viaggi diversi, partenze dalle quali non sai cosa aspettarti, ma in grado di cambiare tutta una vita. La mia storia è proprio una di queste. Poche settimane per decidere che fare dell’estate, quando per una serie di coincidenze mi viene proposto qualcosa di diverso, un’altra tipologia di viaggio: destinazione Togo. Poche idee, ma superato lo smarrimento iniziale mi decido a prendere il biglietto dell’aereo. Guardo le foto e i video dei volontari, mi informo in rete su lingua, moneta, tradizioni e dopo poco mi ritrovo sul volo, per uno stato che a difficoltà sapevo collocare sulla cartina. Atterro vero le due di
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emilio mentre effettua una visita medica ad alcuni bambini
notte, ad aspettarmi all’aeroporto Suor Patrizia, unico volto familiare in un mondo totalmente diverso. Salgo in macchina, una jeep che ha visto tanti chilometri ma che ancora sa il fatto suo. Strada sterrata, pioggia fitta, dopo un’ora circa arriviamo alla missione. Penso che per quanto ci si possa preparare, non si potrà mai esser pronti ad esser catapultati in un mondo così diverso dal nostro. Ancora adesso trovo difficoltà a descrivere tutto quello che ho visto e vissuto in questa esperienza, i ricordi si accavallano ed è impossibile capire da dove iniziare il mio racconto. Ho deciso di non parlarvi delle loro abitudini, del loro modo di vivere o di pensare. Vi parlerò dei sorrisi, dell’accoglienza di chi pur non avendo nulla non ha dimenticato che la felicità risieda nelle cose piccole. È la loro gioia che più di ogni altra cosa mi ha sorpreso. Persone che
Un paese agricolo L’e c o n o m i a t o g o l e s e d i p e n d e p e s a n t e m e n t e d a l l ’a g r i c o l t u r a , s i a commerciale sia di sussistenza, che impiega il 65% della forza lavoro locale. I proventi di cacao, caffè e cotone, in particolare, costituiscono da soli il 30% dei guadagni dovuti alle esportazioni. Oltre all’attività agricola rimane un settore fondamentale la pesca, praticata sia nel mare sia nei fiumi e laghi, e l’allevamento, principalmente di sussistenza.
Il Togo è stato anche un viaggio interiore, una scoperta della parte più intima e profonda di sé. Un’occasione per stringere legami forti, sinceri, non solo con la popolazione locale, ma anche con i membri della missione.
Ancora adesso trovo difficoltà a descrivere tutto quello che ho visto e vissuto in questa esperienza, i ricordi si accavallano ed è impossibile capire da dove iniziare il mio racconto. Ho deciso di non parlarvi delle loro abitudini, del loro modo di vivere o di pensare.
avrebbero tutte le ragioni del mondo per lamentarsi, affrontano la vita con una speranza e una serenità che noi oggi, in questo vivere frenetico, sempre alla rincorsa e alla ricerca del futile, dell’immagine e dell’apparire, abbiamo dimenticato. Il Togo è stato anche un viaggio interiore, una scoperta della parte più intima e profonda di sé. Un’occasione per stringere legami forti, sinceri, non solo con la popolazione locale, ma anche con i membri della missione. Suor Patrizia, Mariastella, Federica, Andrea, i quattro missionari che hanno deciso di dedicare la loro vita al prossimo sono stati per me un esempio di fede vera, sincera, la prova che ci sono ancora persone disposte ad aiutare e a donarsi senza chiedere nulla in cambio. Ho visto ogni loro giorno speso per cercare di costruire prima ancora che scuole, pozzi, edifici per gli indigenti, la speranza e la fiducia nel
cuore delle persone che aiutavano. Corse contro il tempo in ospedale, per cercare di strappare dal braccio della morte la vita di tanti piccoli bambini, la cui unica colpa era quella di esser nati in un posto dove niente è facile, e crescere non è per nulla scontato. Solo toccando con mano certe situazioni si può capire come tutto sia difficile, dal semplice procurarsi dell’acqua potabile al riuscire a raggiungere il villaggio, la scuola o l’infermeria più vicina. In questo viaggio anche io nel mio piccolo mi sono impegnato per cercare di aiutare e migliorare la vita di queste persone, ma sono sicuro che nonostante tutto l’aiuto che possa aver dato, il regalo più grande l’hanno fatto loro a me, mostrandomi come anche nelle difficoltà, non ci si debba mai scordare quanto possa essere facile sorridere ed avere una ragione per cui essere felici. kiremba dicembre 2018
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animazione missionaria
esperienze estive: ARGENTINA
semplicitÁ come stile di vita annamaria bazzoli annamaria.96@virgilio.it
S
ono Annamaria, ho 22 anni e sto studiando per diventare assistente sociale. Ho deciso di fare un mese in missione perché era un’esperienza che da sempre sognavo di fare in quanto sentivo il desiderio di aiutare gli altri, in particolare i più poveri, i più fragili. Quando mi han chiesto se preferivo andare in America Latina o in Africa ho risposto la prima, senza un motivo particolare, così, a sentimento. Da qui una domanda: siamo noi a scegliere il viaggio o è il viaggio a scegliere noi? Così, a Marzo ho saputo che sarei andata in Argentina, in particolare a Santiago dell’Estero, una delle provincie più povere della nazione. Da qui è iniziato il mio percorso di formazione per conoscere meglio la realtà che avrei incontrato, la Casa della Juventud, della quale ho visitato le 5 scuole che ha costruito. Che dire, prima di partire ero
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annamaria, al centro, con alcuni ragazzi che frequentano la “casa de la juventud”
consapevole che sarebbe stata un’esperienza forte e profonda, niente che ti stravolga la vita però in qualche modo te la cambia, ti lascia un segno indelebile. Ti insegna quali sono le cose essenziali dell’esistenza e di come tutto il resto sia superfluo. Come molte volte diamo peso alla superficialità, mentre ci allontana dalle cose importanti. Santiago del Estero per me non è stato solo conoscere qualcosa di nuovo ma molto, molto di più. È stato un viaggio alla scoperta di me stessa, ho potuto vedere la mia vita da un punto di vista esterno e rendermi conto di quanto sia fortunata, per un milione di ragioni. A partire dalla mia famiglia, e dai miei amici. Mi sono resa conto che tutto quello che sono come persona e la vita che ho potuto vivere fin ora è grazie a loro, al loro affetto, alla loro presenza, in qualsiasi momento. Pensavo che vedere le persone vivere
È stato un viaggio alla scoperta di me stessa, ho potuto vedere la mia vita da un punto di vista esterno e rendermi conto di quanto sia fortunata, per un milione di ragioni. A partire dalla mia famiglia, e dai miei amici. Mi sono resa conto che tutto quello che sono come persona e la vita che ho potuto vivere fin ora è grazie a loro, al loro affetto, alla loro presenza, in qualsiasi momento.
Dal 1986
Una proposta attiva in quattro paesi E’ stata avviata nel 1986 a Santiago del Estero da suor Saveria Menni con un gruppo di giovani universitari come luogo di discernimento dei doni personali in una proiezione di servizio alle piccole e grandi necessità locali. La Casa della gioventù è formata da comunità di laici che inseriti nella realtà, animati dai valori evangelici, assumono un progetto educativo con e per i giovani in una formazione integrale e con spirito missionario. Punti di forza del cammino delle comunità sono: la preghiera, la formazione permanente, il ser vizio e la missione. Operano in Argentina, Bolivia, Perù e Uruguay con scuole di formazione professionale, cooperative di lavoro, centri di formazione culturale e attività pastorali.
E ti senti ricca, e piena di amore che l’unica cosa che ti senti di fare è cercare di restituire questa gioia cercando di far star bene chi ti circonda. Rappresenta un motore che ti spinge ad aiutare chi è meno fortunato.
in condizioni povere e umili mi avrebbe colpito ma quello che mi ha fatto riflettere maggiormente è stato constatare come quei bambini, quei ragazzi, come ogni persona in fondo, ciò di cui ha bisogno è l’amore. È l’affetto, l’attenzione, il sentirsi parte di qualcosa, di qualcuno. È questo che determina la nostra felicità, il nostro stare bene. Quando vedi che questi bambini a casa hanno solo un genitore, o vivono con la nonna perché è l’unico parente rimasto, quando sono costretti a scappare dalla famiglia, a non andare a scuola perché devono accudire gli altri fratelli, quando sono picchiati, o molte volte non considerati allora ti rendi conto che è questa la vera povertà, quella dell’amore, dell’affetto, delle relazioni. Nonostante ciò essi sanno trasmetterti una tenerezza, un amore incondizionato che ti fa sentire vivo, che ti fa venire voglia di abbracciarli
tutti quanti per poter trasmettere loro l’affetto e la gioia che tu ricevi triplicati. Santiago è una delle provincie più povere dell’Argentina e la maggior parte della gente vive in situazioni umili dove la semplicità è uno stile di vita. Penso il migliore che abbia mai provato. Le persone sono super accoglienti, disponibili, generose, ti coinvolgono in tutto e ti offrono tutto ciò che hanno, nonché il loro tempo, il loro affetto. E ti senti ricca, e piena di amore che l’unica cosa che ti senti di fare è cercare di restituire questa gioia cercando di far star bene chi ti circonda. Rappresenta un motore che ti spinge ad aiutare chi è meno fortunato. Impari a condividere ciò che hai e a dare ad ogni cosa la giusta importanza, perché nessun oggetto materiale è importante quanto l’attenzione e l’amore che doni. Ho imparato a non dare per scontato niente,
perché avrei potuto essere io nata là, in una casa sporca, con se va bene due genitori, andare a scuola se riesco a permettermelo.. ma se nessuno me ne da la possibilità, se nessuno si interessa di me, come posso sognare in grande? Come posso sognare o anche solo pensare un futuro diverso? Questa tranquillità interiore, questo modo di vivere la vita dando peso alle cose più importanti è ciò che l’ esperienza mi ha trasmesso e che, in un mondo frenetico e moderno come il nostro, è difficile da portare avanti. per questo motivo, quando sono un po’ giù di morale o quando mi imbatto in situazioni critiche penso a Santiago, alle persone incontrate, ai bambini, ai ragazzi, e riaffiora quella memoria del cuore che cura ogni cosa, mi fa sorridere, dare il giusto peso alle cose, e voglia di aiutare nel mio piccolo a far star bene gli altri. Grazie vita! kiremba dicembre 2018
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animazione missionaria
esperienze estive: MOZAMBICO
piccolo seme piantato nel cuore marco meazzini marco.meazzini85@libero.it
A
di accogliere, “A” di Africa. Sembra strano raccontare un’esperienza condivisa, dove la missione diventa il pretesto per accompagnare, un’altra “A”, nuove persone alla scoperta di nuovi stili di viaggio. Quasi un mese per scoprire, con un gruppo di rumorosi 17enni, il continente nero, il Mozambico e le terre di missioni bresciane. Una sfida importante per capire cosa resta, come vivono e come assimilano la missione, la missione però vissuta da giovanissimi che hanno accettato di tradurre le loro ore scolastiche di alternanza scuola lavoro in giorni di missione. Partiti da Milano, transitando per Lisbona, i ragazzi hanno scoperto due diverse realtà nell’ex colonia portoghese del Mozambico, con una settimana nel centro-nord del paese e oltre 15 giorni a Marracuene, nella prima periferia della capitale di Maputo. Periferia per modo di 20
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i ragazzi che hanno partecipato all’esperienza in mozambico con alcuni bambini della parrocchia
dire. Il piccolo paesino ammassato sul bivio delle uniche due strade asfaltate della nazione, conta un estensione territoriale pari alla provincia di Bergamo. Nel sud la realtà missionaria era ed è affidata ai padri della Sacra Famiglia di Martinengo, che a Brescia, da anni svolgono un attività pedagogica ed istruttiva nella storica scuola orceana, mentre nella settimana di esperienze a Morrumbene, la comitiva bresciana ha vissuto gomito a gomito con i fidei donum diocesani. Don Pietro e don Piero, Marchetti Brevi e Parzani, l’anima giovane e le radici storiche della diocesi in Mozambico. Nel mezzo una traversata on the road sui pickup, da oltre 600 chilometri, tra palme, villaggi, coste mozzafiato e paesaggi assolati. Per me era la terza esperienza di missione, dopo l’America Latina con Lima e il Perù, e la visita in Albania con don Gianfranco Cadenelli. Per alcuni dei ragazzi invece, l’incontro
Missionari
La nostra presenza In Mozambico la Diocesi di Brescia è presente attraverso due fidei donum: Don Piero Marchetti Brevi, originario di Roccafranca e D o n Pi e t ro Pa r z a n i , d e l l a parrocchia di Nigoline . Entrambi seguono da vicino la Parrocchia di Morrumbene, nel sud-est del paese.
Molto più difficile sarebbe oggi per quel Maestro che cozzerebbe con il suo invito con la frenesia del comunicare tra i giovani. La fretta, la moda, le diversità dei linguaggi spesso rilegano la missione lontana dai propri mondi, nel terzo o nel quarto mondo a chilometri da ciò che mi tange e da ciò che mi è vicino.
con l’altro ha aperto nuove porte e anche gli occhi del loro cuore. Tre i diversi istituti da dove venivano gli studenti, non solo dalla città (il Liceo Arnaldo), ma anche dalla provincia (Don Milani a Montichiari e l’istituto Gigli a Rovato). Nella stagione fredda africana, per noi comunque gradevole e soleggiata, i ragazzi hanno visitato le case, i luoghi quotidiani, i mercati, le parrocchie, gli asili e le strade. Hanno mangiato con i ragazzi della loro età, hanno condiviso giochi, emozioni, lezioni in classe, balli, partite di calcio, messe, passeggiate e molto altro ancora. Il tutto all’insegna del trovarsi e dell’incontrarsi. Un incontro che per le ragazze del liceo cittadino, già era stato anticipato, lo scorso anno, con un’esperienza similare in Tanzania. A Marracuene il gruppo ha visto e vissuto l’esperienza comunitaria di affiancare il mondo della scuola, grazie al supporto di laici e religiosi della confraternita di Martinengo. Sui banchi di scuola, in mensa, negli spazi colorati delle scuole dell’infanzia, in cortile o nel giardino davanti a casa bresciani e mozambicani hanno condiviso il loro tempo e il tempo della missione. Il difficile è stato staccare la spina dell’emozione, raccogliere i bagagli (almeno ciò che restava visto che i giovani hanno donato scarpe e vestiti ai coetanei), cercare i biglietti aerei e partire. Partire lasciando un segno anche in chi ci ha ospitato, a Luisa, a Carlo, a padre Luca o a Osvaldo. Non è ordinario accogliere un gruppo misto, diverso di ragazzi, con sfumature di fede che vanno dal credente all’ateo. Ragazzi che prima
di allora si conoscevano poco, con poche ore trascorse al corso di formazione della Diocesi, e molte più ore a parlare in chat in Whatsapp. Un incontro anche di scambio di linguaggi e di visioni, da chi ha fatto della vocazione e della missione un dono di vita, a chi invece la missione l’ha vista per pochi giorni. Vezzo, estate diversa o seme che può crescere in un prossimo futuro? La sfida è sicuramente aperta. Facile portare un oratorio o una comitiva che vive quotidianamente la fede. Molto più aleatorio invece aprire le porte della missione a chi è oltre, a chi non entra in oratorio per mille motivi, a chi non crede. La missione non è solo l’invio tanto osannato dagli esempi tratti dalla Parola. Sembra tanto facile vedere il Maestro che dice ai discepoli prendete e andate, io vi mando. Molto più difficile sarebbe oggi per quel maestro che cozzerebbe con il suo invito con la frenesia del comunicare tra i giovani. La fretta, la moda, le diversità dei linguaggi spesso rilegano la missione lontana dai propri mondi, nel terzo o nel quarto mondo a chilometri da ciò che mi tange e da ciò che mi è vicino. Una piccola scommessa che vale tanto però. Piccolo è il seme di esempio e di testimonianza piantato nell’esperienza di chi ha vissuto questa opportunità, così come il soldo, l’unico, che la povera Vedova ha gettato nel Tempio. La missione deve capire che investire sul dialogo e l’esperienza è un tesoro. Una scelta consapevole, cosme lo è gettare un segno importante e unico in tutto ciò che abbiamo. kiremba dicembre 2018
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Orizzonti MIGRANTI
la fede nelle seconde g enerazioni Introini Fabio fabio.introini@unicatt.it
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entre la cronaca continua a diffondere l’immagine emergenziale di un fenomeno migratorio fatto di nuovi e costanti arrivi da contrastare o comunque “gestire”, movimenti più silenziosi e lenti stanno invece costruendo, soprattutto grazie alle “seconde” generazioni, il volto multiculturale e plurale del nostro Paese. Riuscire a mettere in evidenza questo processo è proprio uno dei tanti obiettivi che si propone la ricerca restituita dal volume “Di generazione in generazione. La trasmissione della fede nelle famiglie con backgroud migratorio” e promossa congiuntamente dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto G. Toniolo di Milano e da Fondazione Migrantes, con la collaborazione degli uffici per la pastorale dei migranti delle 10 diocesi lombarde. Il punto di vista che l’indagine sceglie come filo conduttore per esplorare la complessità della società plurale lombarda – la ricerca ha come suo campo il territorio delle diocesi della Lombardia – è quello della fede, della
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le seconde generazioni in italia sono la base della societÁ di domani
religiosità e della loro trasmissione da una generazione all’altra. Così, nell’economia complessiva di questo lavoro, anche la religione riceve uno sguardo particolare, in controtendenza rispetto a un’opinione pubblica spesso “allarmata” in proposito. L’indagine si colloca in ideale continuità con lo studio delle giovani generazioni e del loro rapporto con la fede, che nel corso degli ultimi anni è diventato un autentico “brand” dell’Osservatorio del Toniolo. E lo fa in maniera innovativa, estendendo il raggio della propria attenzione al di là del mondo cattolico italiano per abbracciare in un’unica panoramica tutte le principali religioni che hanno cittadinanza sul territorio lombardo: oltre ai cattolici, sono stati infatti raggiunti i giovani appartenenti ad altre confessioni cristiane – come gli evangelici e gli ortodossi – e quelli appartenenti a religioni non cristiane, come i musulmani, i sikh, gli induisti, i buddisti e gli ebrei. Essendo una ricerca sulla trasmissione della fede, quindi su un processo intergenerazionale, accanto ai giovani sono stati interpellati anche i genitori.
I risultati che emergono dal corpus delle 149 interviste complessivamente sono un autentico tesoro in termini di conoscenza sia dal più specifico punto di vista ecclesiale sia da quello sociologico, più generale. I racconti dei giovani, dei loro genitori e dei leader comunitari mettono infatti in luce la significativa vicinanza tra le esperienze dei giovani cattolici italiani e di quelli con background migratorio.
Infine, poiché pratiche, vissuti, esperienza religiosa trovano il proprio senso e la propria radice nella tradizione di una comunità di fedeli che a sua volta partecipa a questa stessa trasmissione, sono stati intervistati anche i leader religiosi anch’essi individuati entro le medesime confessioni religiose. I risultati che emergono dal corpus delle 149 interviste complessivamente sono un autentico tesoro in termini di conoscenza sia dal più specifico punto di vista ecclesiale sia da quello sociologico, più generale. I racconti dei giovani, dei loro genitori e dei leader comunitari mettono infatti in luce la significativa vicinanza tra le esperienze dei giovani cattolici italiani e di quelli con background migratorio. Da un lato la fede e l’universo simbolico del religioso rimangono dimensioni importanti nelle biografie giovanili in quanto espressione di una incomprimibile esigenza e ricerca di senso. D’altro canto, questo “individualizzarsi” della fede, che la porta a prescindere in molti casi
dal suo “coté” istituzionale e che il dibattito sociologico contemporaneo non a caso spesso legge come indicatore di secolarizzazione, appare trasversale alle culture e alle appartenenze religiose. Il rapporto significativamente più laico di tutti i giovani con le loro “comunità linguistiche” non si ritrova invece nelle “prime generazioni”, per le quali l’appartenenza religiosa continua ad essere uno dei principali catalizzatori di vita sociale e collettiva, vale a dire un’occasione per continuare a condividere, in maniera viva e attiva, il legame con le proprie tradizioni e con la propria cultura d’origine. D’altro canto tra le due generazioni regna, anche nella distanza delle posizioni, un autentico rispetto, sorretto dal fatto che per tutti la famiglia continua ad essere un fondamentale valore. E che un contesto di pluralismo religioso, che sollecita la riflessività e le domande sulle proprie radici e sulla propria identità, può portare anche le seconde generazioni a riscoprire, magari innovandole, le proprie tradizioni, religiose e non solo. Nel loro insieme, i risultati emersi costituiscono una preziosa risorsa per una Chiesa, locale e non, impegnata nel difficile compito di rendere nuovamente intellegibile un contesto in rapida trasformazione che le chiede un profondo lavoro di immaginazione e reinvenzione di sé stessa, orientato non solo alla elaborazione di una più efficace pastorale rivolta ai migranti ma, come ha sottolineato il Vicario generale della diocesi di Milano mons. Franco Agnesi, rivolta a tutti i suoi fedeli. kiremba dicembre 2018
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Formazione & spiritualità
giovedi della missione
una santitÁ che attrae claudio treccani claudiotreccani@diocesi.brescia.it
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n occasione dei “Giovedì della Missione: Mai neutrali, sempre profetici” è stato trattato, con Mons. Tremolada, il tema della santità. Di seguito alcuni stralci emersi nella serata ci possono aiutare a maturare alcune riflessioni per una pastorale missionaria sinodale. Se la missione è un modo di evangelizzare, Paolo VI, attraverso gesti ordinari, ci può provocare e attirare. La chiesa è per sua natura missionaria quindi ci chiediamo cos’è la missione? La missio ad gentes è superata? Cosa possiamo fare noi oggi nella nostra chiesa? Quale sguardo profetico oggi? Sappiamo osare come i missionari? Mons. Tremolada: oggi dobbiamo condividere insieme la riflessione. Non ci sono risposte. Dobbiamo abitare le domande. Cos’è la missione oggi? Le domande di fondo non cambiano mentre le risposte si perché cambia la vita in atto, cambiano i contesti, la
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s.paolo VI, esempio di santitÁ che attrae
realtà. La chiesa si chiede in che senso è missionaria. Gesù chiede ai discepoli di andare ad annunciare e battezzare. La missione oggi deve includere la capacità di annunciare il senso della vita. Il senso e il vivere relazioni sane tra le persone oltre che con Dio: relazioni di amicizia. La missione include la capacità di perdonarsi e di perdonare ma anche di accogliere il perdono. Che fare quando il perdono non viene accolto? Un perdono non si improvvisa, si costruisce insieme. Una carità che arriva al perdono, che è la forma più alta dell’amore, continua ad amare chi ti fa del male. La carità è augurare tutto il bene possibile a chi ti ha fatto un gran male. Questo diventa possibile perché Dio si è impastato con l’umano. La cura della povertà delle persone più deboli, il farsi carico con amore sincero delle fragilità umane
a cominciare dai bisogni primari è la via maestra dell’annuncio del Vangelo anche se non l’unica. Quando hai davanti qualcuno che si prende cura dei poveri, degli ultimi e intravedi il farsi carico dei più deboli è il segnale evidente che è un suo testimone, è missione. Noi siamo cristiani? Ci stiamo facendo carico dei più deboli? Queste sono fragilità che prendono forma a secondo dei tempi e dei luoghi oggi come la fame, la sete, il vestito, il lavoro … quando questo manca, la missione nel nome di Cristo deve essere presente e se non c’è questa presenza possiamo sentirci cristiani? Se non si sente che lì bisogna fare qualcosa non sei cristiano! Cosa può dire oggi Paolo VI al nostro modo di evangelizzare? Paolo VI merita un’attenzione molto seria ed approfondita: è il primo Papa che ha viaggiato. Perché si è chiamato Paolo? Prende il nome
di Paolo con uno stile missionario come l’apostolo Paolo. Viaggia, incontra, instaura un dialogo. Quando Montini arriva a Milano propone una missione alla città nel 1957. Una predicazione su vasta scala, individua i predicatori, ma con quale idea? Abbandonare il “risaputo; questo già lo so; ho sempre fatto così; …” riesci piuttosto a far capire agli altri ciò che noi chiamiamo Eucarestia? Che Dio è Trinità? Avrete tribolazioni dal mondo ma abbiate fiducia, Io ho vinto il mondo e nessuno vi toglierà la vostra gioia. Questa è la consegna che Gesù fa e che Paolo VI ha vissuto. Prima di decidere cosa dobbiamo fare come chiesa dobbiamo chiederci cosa dobbiamo essere come chiesa cioè santi. Essere vuol dire attingere a quella che è l’identità vera della chiesa. La chiesa prima di essere popolo è mistero inesauribile.
Chiesa come popolo di Dio in cammino dentro l’umanità e in comunione con Dio. Questo è importante perché se non intuiamo che la missione fa riferimento a un’esperienza che poi gli altri fanno di qualcosa che se non ci appartiene e non è farina del nostro sacco rischiamo di identificarla con qualche cosa di diverso. Evangelizzare vuol dire far percepire il lieto annuncio del mistero della salvezza che nella chiesa si è attuato e si sta attuando. Il mistero della salvezza porta con sé una forma di vita autenticamente umana dove il senso della vita si coglie dove le relazioni sono fresche e sane di fraternità e amicizia; dove si arriva al perdono; dove si affrontano le povertà … ma tutto questo a partire dall’eucarestia. A partire dal riconoscimento di Gesù come figlio di Dio con un volto umano. Noi cristiani come stiamo vivendo il rapporto con Dio? Cosa significa per noi la preghiera? Come viviamo l’eucarestia? Cos’è l’Eucarestia? Cosa facciamo per favorire l’incontro tra culture diverse e l’integrazione? Quale incontro nelle nostre parrocchie? Quale accoglienza e integrazione nelle nostre scuole? Aspettiamo le tue riflessioni partendo dalle domande che già sono emerse dal Vescovo Tremolada. Inviale a missioni@diocesi.brescia.it kiremba dicembre 2018
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formazione & spiritualità
Pregare insieme Ripercorriamo insieme le esperienze missionarie che San Paolo VI ha compiuto durante i suoi incontri apostolici con le comunità del Sud del Mondo.
A cura di don Francesco Pedrazzi - frapedro73@gmail.com IN ASCOLTO DI SAN PAOLO VI «La vita cristiana, ricordatelo, è molto bella!» Nel 1969 Paolo VI compie un viaggio apostolico in Uganda il primo di un Papa in terra africana. In quell’occasione pronuncia alcuni discorsi e omelie di rara bellezza, dove è spesso presente la tematica missionaria. Riportiamo qui di seguito alcuni passaggi dell’omelia tenuta il 2 agosto nel santuario di Namugongo, in cui si rivolge in primis alla «gioventù cristiana», richiamando la testimonianza dei martiri ugandesi. «Voi mi domanderete: perché si devono onorare i martiri? Vi rispondo: perché essi hanno compiuto l’azione più eroica, e quindi più grande e più bella; essi hanno dato la loro vita per la loro fede […]. La fede, voi mi domandate, vale più della vita? Sì, la fede vale più della nostra vita presente, che è una vita mortale, mentre la fede è il principio della vita immortale e felice, cioè della vita di Dio in noi. […] Dunque, voi potete dire, è molto bello essere cristiani? Sì, figli carissimi, è molto, molto bello. Io vorrei che questo pensiero restasse impresso nella vostra memoria, anzi nella vostra coscienza, per sempre: è molto bello essere cristiani. Ma fate attenzione. È molto bello, ma non è sempre facile. Guardate i vostri martiri. Per la loro fedeltà a Cristo essi hanno dovuto soffrire. Chi è cristiano deve vivere secondo la propria fede; e allora può capitare che questa coerenza alla fede esiga sacrificio; alcune volte esige grandi sacrifici, ma più spesso esige solo tanti sacrifici piccoli e frequenti […]. Come si fa a vivere bene la nostra fede cristiana? Ecco, io riassumo così le tante cose che vorrei dirvi: Primo: amate molto Gesù Cristo; cercate di conoscerlo bene, state uniti a Lui, abbiate in Lui molta fede e molta fiducia. Secondo: siate fedeli alla Chiesa, pregate con lei, amatela, diffondetela, siate sempre pronti, come i nostri martiri, a darle franca testimonianza. Terzo: siate forti e coraggiosi; siate contenti, siate lieti e siate allegri, sempre! Perché la vita cristiana, ricordatelo, è molto bella! (cf. Phil. 4, 4)». La fede cristiana è talmente bella che vale più della vita stessa. Questo, in estrema sintesi, il messaggio che Paolo VI consegna ai fedeli riuniti nel santuario edificato in memoria dei santi martiri ugandesi. Il Papa ricorda che vale sempre la pena rimanere fedeli a Cristo e alla Chiesa, anche quando ciò comporta grandi sacrifici. Appare chiaro l’intento di ravvivare nel cuore dei fedeli, specialmente dei giovani, il fascino di una vita cristiana vissuta senza compromessi, secondo una misura alta, eroica. Troviamo qui un esempio luminoso dello stile montiniano volto a sollecitare l’impegno dei fedeli facendo leva non tanto su argomenti dottrinali o su un mero senso del dovere, ma sull’attrattiva di un’esistenza cristiana che incarna il vangelo di Gesù in tutta la sua bellezza. La recente esortazione di papa Francesco Evangelii gaudium sembra riecheggiare l’invito conclusivo di Paolo VI a diffondere e a testimoniare la fede della Chiesa con animo coraggioso, lieto e gioioso. In fondo è questo il perenne cuore dell’annuncio che conquista il cuore dei giovani e dei meno giovani: «Siate lieti e siate allegri, sempre! Perché la vita cristiana, ricordatelo, è molto bella!».
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Blocknotes
Adotta un seminarista La Pontificia Opera Missionaria di San Pietro Apostolo è l’organismo ufficiale della Chiesa cattolica, tramite il quale è possibile sostenere gli studi e la formazione dei seminaristi delle Chiese del sud del mondo. Sono oltre 70.000 i seminaristi e le novizie, di Africa, America, Asia e Oceania, che ogni anno beneficiano degli aiuti che vengono distribuiti attraverso le donazioni. L’adozione missionaria può essere dedicata al ricordo di persone care, al suffragio dei defunti, alla memoria di particolari circostanze (battesimi, prime comunioni, cresime, ordinazioni sacerdotali e vescovili, professioni religiose ecc.). Per maggiori informazioni 030.3722350 oppure missioni@diocesi.brescia.it
Letture “La nostra morte non ci appartiene” Centocinquantamila morti ammazzati tra il 1992 e il 2001. L’Algeria, stretta nel morso di una guerra civile tra islamisti ed esercito, ha visto cadere anche 19 religiosi cattolici, suore, consacrati, monaci, un vescovo. La vicenda della chiesa in Algeria è una delle pagine più evangeliche del Novecento. Una presenza semplice, spoglia, libera e fedele a Cristo, soprattutto durante il dramma del terrorismo islamista. In questa scelta di libertà, raccontata anche nel celebre film Uomini di Dio, si staglia la grandezza di questi religiosi, che avevano già donato la vita nel quotidiano. E perciò hanno accettato il rischio di una fine violenta, come testimonia la frase di Christian de Chergé che dà il titolo al libro. Queste storie di fede e umanità, raccontate dal postulatore della causa di beatificazione, continuano a parlarci con la forza inesauribile dei martiri di ogni epoca.
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Ti invitiamo alla Messa delle Genti 6 Gennaio 2019 - Ore 15.30 Cattedrale di Brescia