Kiremba - Maggio 2019

SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERÇUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLIV - N° 2 MAGGIO 2019 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA

Si! Insieme si può

Maggio 2019

SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERÇUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVIII - N° 2 MAGGIO 2018 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA

SOMMARIO

Primo piano

Come un’unica famiglia

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Si! Insieme si può Maggio 2018

Bimestrale dell’Ufficio Missionario Diocesano, via Trieste 13/B - Brescia Tel 030.3722350 - Fax 030.3722360 Direttore don Adriano Bianchi Direzione e redazione Via Callegari, 6 – 25121 Brescia Tel. 030.3754560 Fax 030.3751497 e-mail redazione: kiremba@diocesi.brescia.it e-mail Ufficio Missionario: missioni@diocesi.brescia.it web: www.diocesi.brescia.it/missioni Redazione don Roberto Ferranti: robertoferranti@diocesi.brescia.it Andrea Burato: andreaburato@diocesi.brescia.it Claudio Treccani: claudiotreccani@diocesi.brescia.it Chiara Gabrieli: chiaragabrieli@diocesi.brescia.it don Francesco Pedrazzi : frapedro73@gmail.com Ilaria Marchi: ilaria996@tiscali.it

Grafica e impaginazione Andrea Burato Autorizzazione del tribunale di Brescia N. 269 del 11.07.1967 Imprimatur Curia vescovile di Brescia Stampa LITOS – Gianico (BS) Editrice Fondazione opera diocesana San Francesco di Sales, via Callegari, 6 - 25121 Brescia KIREMBA - ISSN 2533 -3062 (versione cartacea) KIREMBA – ISSN 2533 -3054 (versione digitale)

ABBONAMENTO ANNUALE 12,00 EURO ORDINARIO 50,00 EURO SOSTENITORI PER LE POSTE ITALIANE CONTO CORRENTE N° 389254.

INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA VIA TRIESTE, 13 25121 BRESCIA CON CAUSALE: “ABBONAMENTO KIREMBA” BONIFICO BANCARIO: IBAN: IT79F0311111205000000007463

IL TUO AIUTO PER LE MISSIONI UBI BANCA - AGENZIA N. 5 IBAN: IT79F0311111205000000007463 INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA - UFFICIO PER LE MISSIONI BANCA POP. ETICA VIA V.VENETO, 5 - 25128 BRESCIA C/C N. 102563 - ABI 5018 CAB 11200 IBAN IT 51 K050 1811 2000 0000 0102 563 INTESTATO A: UFFICIO MISSIONARIO - DIOCESI DI BRESCIA kiremba maggio 2019 2

Chiesa & missione

Costruiamo la chiesa dalle genti In cammino verso il sinodo

I missionari raccontano

Brasile - Le persone prima di tutto Uganda - Una grande sfida per Moroto Albania - Cerchiamo di seminare speranza

Animazione missionaria

SVI: Un servizio con 50 anni di vita Quando l’incontro si fa missione É ancora Festa dei popoli

Orizzonti

La comunità filippina di Brescia

Formazione & spiritualità Parrocchie in uscita missionaria In ascolto di S.Paolo VI

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Blocknotes

Appuntamenti 27

NOVITÀ PER ACCEDERE AI CONTENUTI MULTIMEDIALI, INQUADRA CON IL TUO SMARTPHONE DOTATO DI LETTORE, IL CODICE QR PRESENTE IN ALCUNE PAGINE DI KIREMBA. CON QUESTA MODALITÀ DESIDERIAMO INTEGRARE SEMPRE MEGLIO LA RIVISTA CON LA POSSIBILITÀ DI VISIONARE FILMATI, GALLERIE FOTOGRAFICHE, SITI WEB DEL MONDO MISSIONARIO ED ECCLESIALE. QUI A SINISTRA TROVATE IL CODICE QR CHE RIMANDA AL SITO DELL’UFFICIO DEL CMD DI BRESCIA PER LE MISSIONI

EDITORIALE

Tocca a noi!

DON ROBERTO FERRANTI ROBERTOFERRANTI@DIOCESI.BRESCIA.IT

A

ncora una volta mi trovo a scrivere queste righe che introducono la nostra rivista Kiremba, questa volta mentre sono in aereoporto, ad Addis Abeba, in attesa di arrivare in Burundi; altra visita missionaria che rende vivo e concreto il nostro legame con questo pezzo di chiesa dove tante cose sono nate dalla nostra tradizione missionaria.

Anche questa volta, le pagine che potremo sfogliare, ci aiuteranno a viaggiare per il mondo attraverso il racconto di chi vive la missione in modo diretto ma ci lasceremo anche contagiare dallo stile con cui Papa Francesco sta viaggiando nel mondo come Pellegrino, come missionario e come uomo di fede che desidera costruire una fraternità universale. In questi mesi abbiamo assistito al viaggio ad Abu Dhabi, in Arabia Saudita, con la firma del documento sulla fraternità universale; è seguito poi il viaggio in Marocco e la visita in Bulgaria e Macedonia con il motto “Pacem in terris”, visitando luoghi dove le religioni sanno vivere nella concreta fraternità.

Sono tutte testimonianze che ci dicono che “Insieme si può” costruire con la fede un mondo bello dove ci si vuole bene anche attraverso le diversità!

Mi piace pensare che questo stile di Papa Francesco dia voce a tutto quel mondo di missionari che, da sempre, nel silenzio, hanno vissuto questo stile imparando da culture e chiese diverse dalla nostra, diventandone parte integrante. Come ho già detto altre volte, ora tocca a noi vivere questa esperienza di fraternità con le diversità, imparando

dalla missione e da Papa Francesco.

Dobbiamo anche noi testimoniare che “insieme si può”! Proveremo a vivere anche la prossima Festa dei Popoli come occasione per rendere concreto questo messaggio; “L’integrazione non è «un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini”, così scriveva il Papa nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 2018, e così vogliamo provare noi a costruire la nostra comunità diocesana e la nostra società bresciana.

Facciamo tesoro di tutto questo viaggiare e incontrare che la missione ci insegna, che Papa Francesco vive…e proviamo a viverlo alle nostre latitudini; sarà una bella testimonianza che rende ragione della storia missionaria della nostra chiesa. Tutto questo ci preparerà anche al prossimo Mese Missionario Straordinario di Ottobre 2019 che ci servirà a mettere nuovamente al centro la validità del mandato missionario che oggi, ancora più di ieri, si deve tradurre nella cooperazione tra chiese sorelle che possono scambiarsi doni, non solo attraverso i missionari inviati ma anche attraverso lo stile di vita che ciascuna chiesa, in modo diverso, vive per essere fedele al Vangelo. Buon viaggio a tutti, attraverso le pagine di questa nostra rivista missionaria.

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Primo piano

COME UN’UNICA FAMIGLIA ANTONIO SPADARO INFO@LACIVILTACATTOLICA.IT

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al 3 al 5 febbraio 2019 papa Francesco si è recato negli Emirati Arabi Uniti.

L’occasione di questa visita del Papa è stata offerta dal «Convegno Internazionale sulla Fratellanza», promosso dal Consiglio islamico degli anziani.

In questa circostanza il Papa e il Grande Imam hanno firmato insieme un Documento «sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune». Prima della storica firma, il Grande Imam di alAzhar Ahmad al-Tayyib e Francesco hanno tenuto i loro discorsi. In particolare, il discorso di Francesco non si è limi­tato al rapporto tra cristiani e musulmani. La sua portata è stata universale, e il messaggio rivolto a un mondo lacerato. «Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le

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IL MOMENTO DELLA FIRMA DEL DOCUMENTO DELLA FRATELLANZA UMANA PER LA PACE MONDIALE E LA CONVIVENZA COMUNE

culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con corag­g io e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace».

La lettura del Documento richiederà specifici approfondimenti. Intanto si può dire che esso segna un punto di svolta, perché sostanzialmente supera la logica stessa del «dialogo», cioè il solo discutere su temi impor­ tanti. I firmatari partono dall’espe­ rienza del loro incontro e dal fatto che varie volte hanno condiviso «le gioie, le tristezze e i problemi del mondo contemporaneo». Per questo si leveranno certamente voci dissonanti. E tuttavia non si può più tornare indietro: il processo è aperto.

Il testo della storica dichiarazione rappresenta un passo di grande importanza nel dialogo tra cristiani e musulmani in quanto è firmato da

Il Papa e il Grande Imam hanno fatto insieme un passo decisivo per superare risentimenti e trappole ideologiche. Hanno abbattutoi muri costruiti da quanti bramano lo scontro di civiltà, grazie ad un riduzionismo ideologico delle religioni.

Il fondamento di tutto è una frase “La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenre ed amare”.

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Come fratello

Il discorso di Papa Francesco  “[...]Ho accolto l’opportunità di venire qui come credente assetato di pace, come fratello che cerca la pace con i fratelli. Volere la pace, promuovere la pace, essere strumenti di pace: siamo qui per questo. [...] Il punto di partenza è riconoscere che Dio è all’origine dell’unica famiglia umana. Egli, che è il Creatore di tutto e di tutti, vuole che viviamo da fratelli e sorelle, abitando la casa comune del creato

che Egli ci ha donato. Si fonda qui, alle radici della nostra comune umanità, la fratellanza, quale «vocazione contenuta nel disegno creatore di Dio»[...].

Queste sono alcune delle parole utilizzate dal papa nel suo discorso durante il Convegno Internazionale sulla Fratellanza.

riduzionismo ideologico delle religioni. Il fondamento di tutto è una frase “La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenre ed amare”.

Il riconoscimento della fratellanza cambia la prospettiva, la capovolge e diventa un forte messaggio dal valore religioso, ma anche politico.

Il giorno successivo, 5 febbraio, il Papa si è recato alla St. Joseph Cathedral, una delle due sole chiese cattoliche nell’E­mirato di Abu Dhabi e poi ha ripreso il cammino per recarsi allo stadio per la celebrazione della Messa.

Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro. Le religioni, in particolare, non possono rinunciare al compito urgente di costruire ponti fra i popoli e le culture. È giunto il tempo in cui le religioni si spendano più attivamente, con corag­gio e audacia, senza infingimenti, per aiutare la famiglia umana a maturare la capacità di riconciliazione, la visione di speranza e gli itinerari concreti di pace».

«Al-Azhar al-Sharif – con i musulmani d’Oriente e d’Occidente –, insieme alla Chiesa Cattolica – con i cattolici d’Oriente e d’Occidente».

Il Documento è un vibrante appello a rafforzare il dialogo interreligioso e a promuovere il rispetto reciproco per sbarrare la strada a quanti soffiano sul fuoco dello scontro di civiltà. Esso affronta, chiamandoli per nome, i temi più urgenti del nostro tempo sui quali chi crede in Dio è esortato a interrogare la propria coscienza e ad assumere con fiducia e decisione la propria responsabilità. Di fronte a un’umanità ferita e divisa i due leader religiosi firmatari mostrano che promuovere la cultura dell’incontro non è un’utopia.

Il Papa e il Grande Imam hanno fatto insieme un passo decisivo per superare risentimenti e trappole ideologiche. Hanno abbattutoi muri costruiti da quanti bramano lo scontro di civiltà, grazie ad un

Una Messa in un luogo pubblico, all’aperto, cosa che normalmente è impossibile fare: anche questa è una novità storica. Palpabili sono stati l’emozione e il clima di festa, fuori e dentro lo stadio, dei 180.000 presenti, migranti cattolici – che costituiscono il 10% della popolazione – venuti negli Emirati per lavorare e sono divenuti manodopera insostituibile: il volto nuovo della Penisola arabica. Di riti, lingue e 100 nazionalità diverse, essi sono uniti dalla fede. Il Papa ha voluto proprio ringraziare per questa peculiare e intensa cattolicità: «Voi qui conoscete la melodia del Vangelo – ha detto – e vivete l’entusiasmo del suo ritmo. Siete un coro che comprende una varietà di nazioni, lingue e riti; una diversità che lo Spirito Santo ama e vuole sempre più armonizzare, per farne una sinfonia.

Questa gioiosa polifonia della fede è una testimonianza che date a tutti e che edifica la Chiesa». kiremba maggio 2019

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Chiesa & missione

COSTRUIAMO UNA CHIESA DALLE G ENTI MONS. LUCA BRESSAN LBRESSAN@DIOCESI.MILANO.IT

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l 2 febbraio, festa di Gesù p r e s e n t a t o a l Te m p i o , luce e salvezza delle genti, l’Arcivescovo di Milano ha approvato con un suo decreto il lavoro sinodale compiuto nello scorso anno, promulgando di conseguenza le costituzioni sinodali.

Il testo mostra le ragioni di questo cammino, proprio come il corpo ecclesiale è riuscito a farle sue grazie al percorso sinodale attivato: i flussi migratori che hanno interessato la diocesi negli ultimi trent’anni sono a un tempo causa ed evidenza paradigmatica dei processi di trasformazione che hanno sempre più palesemente globalizzato e internazionalizzato le terre ambrosiane.

Questi cambiamenti interrogano e sfidano tanto la Chiesa ambrosiana quanto la società; in particolare, spingono tutte le istituzioni ad apprendere la capacità di

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IL VESCOVO DI MILANO, MON. DELPINI, CON ALCUNI FEDELI

rigenerarsi attraverso l’immissione e la “contaminazione” con nuove esperienze e visioni del mondo (fenomeno che la diocesi ambrosiana ha imparato a designare con il termine di meticciato di civiltà e di culture). Sono cambiamenti che non coincidono soltanto con fenomeni di “aggiunta”, ma si presentano come vere e proprie trasformazioni del corpo ecclesiale.

Alle sfide generate dalle migrazioni, il Sinodo ne ha colta infatti una ulteriore, rappresentata da coloro che, pur abitando da sempre nelle terre ambrosiane, oggi vivono come “stranieri nella fede”: sono i tanti battezzati la cui fede pare inaridita e che faticano a custodire la propria interiorità. In una Chiesa che si sente in cammino, la loro presenza non può non provocare una rinnovata cura pastorale.

Il Sinodo è stato lo strumento grazie al quale abbiamo scelto

volontariamente di vedere questi mutamenti, abitarli, per continuare ad incarnarvi la fede cristiana. Si tratta di scoprire come queste trasformazioni interrogano le nostre esistenze, chiedendoci di rideclinare la grammatica della fede, perché sia capace di generare la vita nuova dello Spirito anche in questa situazione.

Chiesa in uscita, Chiesa dalle genti Il cammino sinodale ha permesso a tutto il corpo ecclesiale di scoprire quanto siano numerosi i luoghi dentro i quali il cristianesimo ambrosiano sta rinnovando la sua forma, lasciando che i cambiamenti rileggano la tradizione e l’identità ambrosiana, generando nuove esperienze e nuove forme di cristianesimo.

La presenza dei cattolici di altre nazioni e continenti, in alcune delle nostre parrocchie già organizzata

 Scelte pastorali Responsabilità e prospettive  Una Chiesa dalle genti, una Chiesa

vita quotidiana trasmettere serenità e capacità di futuro anche al resto del corpo sociale.

In questo video le considerazioni di don Mario Antonelli, vicario episcopale.

in comunità, oltre che strutturata nelle varie cappellanie, si presenta come una risorsa che chiede di essere ben evidenziata e valorizzata.

L’ascolto sinodale ha evidenziato che in parecchi casi le storie e la vita di fede procedono in modo parallelo, pur condividendo gli stessi spazi e vivendo gli stessi tempi liturgici.

Con molto realismo il cammino sinodale ha mostrato il modo ancora primordiale con cui in molte realtà diocesane viviamo la sfida del pluralismo religioso.

di differenti tradizioni linguistiche e culturali, queste comunità fungono da laboratori di convivenza interculturale, testimoniando la bellezza e la ricchezza, oltre che l’inevitabile impegno – e talvolta la fatica – che richiede la convivenza quotidiana tra persone diverse.

maggiormente consapevole della propria cattolicità grazie al processo sinodale attivato, può ora tradurre questa consapevolezza in scelte pastorali condivise e capillari sul territorio diocesano. E con la propria

Riforma come stile Dopo decenni in cui, anche grazie a tutto il processo di ascolto e recezione del concilio Vaticano II, la diocesi si è immaginata impegnata in progetti attivi di riforma delle proprie azioni e del proprio corpo, il sinodo minore che stiamo chiudendo ci ha permesso di portare alla luce luoghi in cui il mutamento di forma è già in atto, e chiede di essere ascoltato e portato a maturazione.

Uno di questi luoghi maggiori è l’universo della vita consacrata: la sua presenza nella Chiesa ambrosiana assume sempre più una connotazione internazionale.

Da una parte, antichi istituti sorti in Europa vengono a formare nella Chiesa locale comunità in cui vivono insieme persone di culture diverse, condividendo lo stesso carisma; dall’altra parte, già sul territorio diocesano sono presenti e operanti istituti di vita consacrata fondati in altri continenti, formati interamente da persone non italiane e altri stanno inserendosi. Composte da persone

Chiesa ambrosiana, Chiesa dalle genti Ci aspetta ora, chiusa con la promulgazione la fase sinodale, il momento della ricezione.

Il percorso fatto chiede alla diocesi di immaginare un intenso e significativo cammino di educazione.

Secondo questa prospettiva sono state pensate, redatte, emendate e votate le norme e gli orientamenti che l’Arcivescovo ha promulgato il 2 febbraio.

Volutamente costruito come percorso ecclesiale, e di conseguenza tenuto al riparo da incroci con l’attualità sociale e politica che sul tema delle migrazioni si trova sovraesposta, il Sinodo vissuto dalla diocesi di Milano intende sin dall’inizio avere valore culturale.

Grazie al sinodo infatti ha maturato strumenti per leggere e abitare con maggiore spessore e profondità quella situazione sociale e culturale molto complessa che spesso definiamo in modo già linguisticamente riduttivo come “fenomeno delle migrazioni”.

Una Chiesa dalle genti: una Chiesa in sinodo che ha inteso vivere questo cammino proprio per restare fedele alla sua identità ambrosiana.

Come ai tempi di sant’Ambrogio, in continuità con il suo spirito. kiremba maggio 2019

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CHIESA E MISSIONE

BRASILE

IN CAMMINO VERSO IL SINODO MARCO DAL CORSO DALCORSOMARCO@TISCALI.IT

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i svolgerà a Roma il prossimo mese di ottobre il sinodo delle comunità dell’Amazzonia, indetto dal papa ancora nell’ottobre del 2017. Per provare a presentare l’evento si rende necessario indicare una breve storia dell’Amazzonia, del suo territorio così come della presenza ecclesiale nella regione, suggerire i temi ecclesiali, dopo quelli socio-ecologici, che il contesto amazzonico chiede di discutere (seconda parte) ed infine provare ad indicare i possibili nuovi cammini per le comunità locali, ma anche per la chiesa universale (terza parte).

Breve storia dell’Amazzonia e del suo territorio Il bacino amazzonico rappresenta per il nostro pianeta una delle maggiori riserve di biodiversità (dal 30 al 50% della flora e fauna del mondo), di acqua dolce (20% dell’acqua dolce

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GLI INDIOS E L’AMAZZONIA SARANNO IL CENTRO DEL PROSSIMO SINODO PANAMAZZONICO

non congelata di tutto il pianeta); possiede più di un terzo dei boschi primari del pianeta e, benché i maggiori serbatoi di carbonio siano in realtà gli oceani, non per questo si può ignorare il lavoro di raccolta di carbonio in Amazzonia. Si tratta di più di sette milioni e mezzo di chilometri quadrati, con nove Paesi che si spartiscono questo grande bioma (Brasile, Bolivia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela, includendo la Guyana Francese come territorio d’oltremare). Date le sue proporzioni geografiche, l’Amazzonia è una regione in cui vivono e convivono popoli e culture diverse, con differenti stili di vita. L’occupazione demografica dell’Amazzonia precede il processo colonizzatore di molti anni, talvolta migliaia di anni. Fino alla colonizzazione la popolazione si concentrava soprattutto sulle rive dei grandi fiumi e laghi, per una questione di sopravvivenza che abbracciava le

La crescita smisurata delle attività agricole, estrattive e di disboscamento dell’Amazzonia non solo ha danneggiato la ricchezza ecologica della regione, della sua foresta e delle sue acque, ma ha anche impoverito la realtà sociale e culturale. Ha obbligato a uno sviluppo umano non “integrale” né “inclusivo” del bacino amazzonico.

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Per una ecologia integrale

Un Sinodo per gli indios e l’Amazzonia  Il 15 ottobre, 2017, Papa Francesco ha convocato un Sinodo Speciale per la regione Panamazzonica, indicando che l’obiettivo principale è quello di “trovare nuove vie per l’evangelizzazione di quella porzione del popolo di Dio, in particolare le persone indigene, spesso dimenticate e senza la prospettiva di un futuro sereno, anche a causa della crisi della foresta amazzonica,

polmone di fondamentale importanza per il nostro pianeta “.

In questo video l’intervista al Cardinale Baldisseri, segretario generale del sinodo, in cui indica il perché di un Sinodo per gli indios e l’Amazzonia.

Date le sue proporzioni geografiche, l’Amazzonia è una regione in cui vivono e convivono popoli e culture diverse, con differenti stili di vita. L’occupazione demografica dell’Amazzonia precede il processo colonizzatore di molti anni, talvolta migliaia di anni. Fino alla colonizzazione la popolazione si concentrava soprattutto sulle rive dei grandi fiumi e laghi, per una questione di sopravvivenza che abbracciava le attività della caccia, della pesca e della coltivazione delle terre inondabili.

si aggiunge il narcotraffico, che, sommato a quanto detto, mette a repentaglio la sopravvivenza dei popoli che dipendono delle risorse animali e vegetali di questi territori. La crescita smisurata delle attività agricole, estrattive e di disboscamento dell’Amazzonia non solo ha danneggiato la ricchezza ecologica della regione, della sua foresta e delle sue acque, ma ha anche impoverito la realtà sociale e culturale. Ha obbligato a uno sviluppo umano non “integrale” né “inclusivo” del bacino amazzonico.

La gente di Amazzonia

attività della caccia, della pesca e della coltivazione delle terre inondabili.

Con la colonizzazione e con la pratica diffusa della schiavitù indigena, molti popoli dovettero abbandonare quei luoghi e rifugiarsi all’interno della foresta. Al tempo stesso, nella prima fase della colonizzazione, si ingenerò un processo di sostituzione della popolazione, che determinò una forte concentrazione demografica sulle sponde dei fiumi e dei laghi.

Oggi, tuttavia, la ricchezza della foresta e dei fiumi amazzonici si trova minacciata dai grandi interessi economici che si concentrano in diversi punti del territorio. Tali interessi provocano, fra le altre cose, l’intensificazione della devastazione indiscriminata della foresta, la contaminazione di fiumi, laghi e affluenti (per l’uso incontrollato di prodotti agrotossici, spargimento di petrolio, attività mineraria legale e illegale, dispersione dei derivati della produzione di droghe). A ciò

Nei nove Paesi che compongono la regione pan-amazzonica si registra la presenza di circa tre milioni di indigeni, che rappresentano quasi 390 popoli e nazionalità differenti. Inoltre esistono nel territorio, secondo dati delle istituzioni specializzate della Chiesa (per esempio il Consiglio Indigeno Missionario del Brasile) e altre, fra i 110 e i 130 Popoli Indigeni in Isolamento Volontario (PIAV) o “popoli liberi”. In aggiunta, negli ultimi tempi, sta facendo la sua comparsa una nuova categoria costituita dagli indigeni che vivono nel tessuto urbano, alcuni dei quali restano riconoscibili mentre altri in quel contesto tendono a dissolversi e per questo sono chiamati “invisibili”.

Ognuno di questi popoli rappresenta un’identità culturale particolare, una ricchezza storica specifica e un modo peculiare di guardare la realtà e ciò che li circonda, nonché di rapportarsi con tutto questo a partire da una visione del mondo e da un’appartenenza territoriale specifiche. (continua nel prossimo numero) kiremba maggio 2019

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I missionari raccontano BRASILE

LE PERSONE PRIMA DI TUTTO ANDREA BURATO ANDREABURATO@DIOCESI.BRESCIA.IT

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on Giuseppe, nato a Marone nel 1946 e prete dal 1971. Nel 1982 è partito per il Brasile come Fidei Donum, dove ha vissuto per 36 anni, in particolare nella Diocesi di Conceição do Araguaia e di Araçuaí, nella quale è rimasto fino alla fine dell’anno scorso.

Cosa le è rimasto di questi anni di missione in Brasile?

Tante cose. Quello che sono oggi, in fondo, è il frutto dei 36 anni che ho passato in Brasile. Ho fatto 11 anni qui in Diocesi, 4 anni a Roma, come studente, e poi sono stato curato di Santa Maria in Calchera. Gli ultimi 4 anni, prima della partenza in Brasile, sono stato, invece, assistente dell’Azione Cattolica, sezione adulti, e assistente dell’Università Cattolica.

La mia esperienza di prete consiste nei 36 anni in Brasile, dove mi sono sentito bene, come persona

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DON GIUSEPPE GHITTI, MISSIONARIO FIDEI DONUM.

umana, come prete e dove ho fatto quello che ho potuto attraverso il mio impegno nelle parrocchie, ad Araçuaí, e soprattutto attraverso il mio impegno formativo dei laici, chiamati da noi “animatori”, cioè quelli che lavoravano nella pastorale, nel sindacato, nelle associazioni.

Che peso ha avuto l’incontro con i più poveri e con una cultura totalmente diversa rispetto alla nostra?

Siccome ero partito con un certo entusiasmo, all’inizio l’incontro con i più poveri, che poi era la maggioranza della gente, è stato bello. Erano per lo più contadini, tipo mezzadri. Ecco, all’inizio usavo la parola “poveri”, ma ad un certo punto loro mi hanno detto: “Guarda che noi non siamo poveri!

Siamo senza mezzi, non abbiamo risorse economiche, finanziarie o siamo senza lavoro, ma non siamo poveri”. Quindi non si identificavano

con questa parola, perché per loro non aveva un significato positivo: “Poveri sono quelli che non hanno il Signore. Noi siamo persone semplici, umili, ma il Signore è con noi”. Per loro povero, quindi, era qualcuno che magari aveva tante cose, che però non aveva Dio nel cuore o la disponibilità di sentirsi famiglia e comunità.

Da quel momento in poi non ho più usato quella parola, utilizzata molto anche in Italia. Tale scelta l’ho fatta anche per la parola “laico”: all’inizio, siccome venivo dall’Azione Cattolica, insistevo molto, girando nelle Parrocchie, sulla valorizzazione dei laici. Ho percepito che anche la parola “laico” non era giusta: “Laico per noi vuol dire ignorante, nel senso che non mi intendo della Parola di Dio; non so leggere, perché non ho studiato; non sono capace di fare certi mestieri”. Per questo si preferivano altre parole, come “discepoli”, “fedeli”, “seguaci di Gesù Cristo”. E’ stato un cambiamento di mentalità che mi ha

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Il senso di ritornare

Capire la Chiesa

 ”Sono tornato non per portare qualcosa in particolare, ma per capire di nuovo come funziona il cammino della Chiesa di Brescia.

Mi sento bene nei rapporti, un po’ meno negli schemi: vedo i preti preoccupati nel preparare tutto per i laici. E’ vero, in certe parrocchie il laico non si muove perché dice: “Se non me lo dice il parroco, non lo faccio”. Ecco, io cerco di aiutare ad essere un po’ più liberi e

ad essere più creativi e responsabili, in modo da dire: “insomma, non occorre che il parroco prepari tutto”, anche a partire dai foglietti per pregare, ma la preghiera dovrebbe venire dal cuore, in certe parrocchie i catechisti fanno fare le preghiere ai bambini stessi e questa è già una cosa bella. In Brasile, invece, è una cosa normale: il Signore ascolta tutte le preghiere, anche con strafalcioni”.

aiutato ad entrare nel loro mondo e ad usare lo stesso linguaggio.

gente. Per me era un miracolo la loro sopravvivenza, umanamente parlando, anche senza molte disponibilità economiche, senza lavoro e questo riuscivano a farlo attraverso una forma di condivisione.

Era abbastanza facile che una famiglia aiutasse l’altra, anche spendendo tutto il poco che si aveva: magari era poca cosa, però era una condivisione ed era fatto per la comunità. Anche come questa gente riusciva ad essere serena, contenta, ecco, per me questo era un segno della presenza del Cristo vivo dentro questa realtà.

Che insegnamenti ha tratto da questa esperienza missionaria?

Questa esperienza mi ha insegnato a valorizzare, prima di tutto, i rapporti umani, la cortesia, l’accoglienza, la condivisione dei momenti di festa, di sofferenza, di lavoro: era un modo bello di essere un cristiano e di essere prete, insomma. Mi ha insegnato, inoltre, ad imparare dal vangelo a convivere in una forma molto semplice, umana e senza tanti schemi: cercavo di valorizzare quello che sentivano nel cuore.

Io stesso condividevo quello che sentivo, vedevo e sognavo: era, perciò, una forma di comunicazione di un cammino che volevamo fare insieme. Mi sono sentito molto libero,anche da certe strutture che magari qui c’erano, e ci sono ancora.

Mi sono sentito sempre bene, con tutte le difficoltà e i problemi che poi c’erano, nel capire sempre meglio questa gente o trovare il cammino per aiutarli a migliorare la loro situazione sociale ed economica. Qui mi sono dedicato soprattutto alla sanità, tramite l’ampliamento dell’ospedale a Itaobim, in modo da aiutarli per lo meno ad avere una salute migliore e ad avere una struttura dove potessero curarsi, dato che il Signore vuole che stiamo bene anche fisicamente.

Ci sono state situazioni in cui ha avvertito maggiormente la presenza di Dio? Dio lo vedevo tutti i giorni in questa

In che modo l’esperienza missionaria potrebbe aiutare la formazione dei giovani sacerdoti?

Credo li aiuterebbe parecchio, perché è un altro modo di essere Chiesa: è un’altra realtà, un’altra cultura.

Inoltre, almeno dove sono stato io, i sacerdoti sono pochi, quindi il coinvolgimento dei laici è molto grande attraverso le piccole comunità e i gruppi di formazione. Per un seminarista penso sia un’esperienza positiva, ma sarebbe necessario rimanere almeno per un anno, sia per imparare un po’ la lingua, sia per capire la situazione e cercare di inserirsi, in modo da ritornare con un cuore più libero e meno strutturato.

Nel mio rientro vedo come la Chiesa sia molto strutturata e programmata, anche sui riti, sulle celebrazioni, mentre mi sembra che il Maestro Gesù ci proponga di essere un po’ più alla mano, di essere persone umane in mezzo a persone umane, soprattutto quelle che soffrono di più e si sentono abbandonate. kiremba maggio 2019

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I MISSIONARI RACCONTANO

UGANDA

UNA GRANDE SFIDA PER MOROTO ILARIA MARCHI ILARIA996@TISCALI.IT

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i dice che andare in missione sia anche ritornare, dalla missione: mi ritrovo qui dopo qualche anno, di nuovo al Centro Missionario di Brescia, per raccontare un po’ l’esperienza bella della costruzione della nuova cattedrale che abbiamo in corso a Moroto. Tre anni fa chiesi al centro di darci una mano per iniziare quest’opera e i lavori stanno proseguendo. La Chiesa adesso è come un gigante all’interno di questo paesino”. Cosi ci racconta Mons. Damiano Guzzetti, vescovo di Moroto (Uganda).

“Il Karamoja, fino a dieci anni fa, era una terra quasi da dimenticare: violenze, razzie di bestiame, morti sulle strade, però da zona da dimenticare è diventata, ora, una zona molto appetibile dal punto di vista minerario, soprattutto per le multinazionali, che stanno lentamente arrivando ad arraffare quello che c’è da prendere. Prima

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MONS. DAMIANO GUZZETTI, DURANTE UN’ORDINAZIONE DIACONALE

impiegavo quasi 12 ore ad arrivare dalla capitale in diocesi. Adesso ci si arriva comodamente in 6: perché?

Perché i cinesi stanno costruendo delle bellissime strade di accesso al Karamoja. Ovviamente l’interesse è quello di avere viabilità per poter portare via il più in fretta possibile il materiale che viene estratto.

Attualmente sono aperte due grosse miniere a cielo aperto e la cosa peggiore è che, purtroppo, la manodopera locale viene sfruttata all’inverosimile: la gente, pur di avere qualcosa per sopravvivere, accetta tutte le condizioni. Ho visitato più volte queste miniere e la cosa che più mi ha fatto male è vederli come schiavi, tutti quanti: giovani, donne mentre rompono queste pietre e le caricano su questi camion. La Chiesa sta aiutando molto nella creazione di comunità e cooperative per cominciare a dare il minimo dei diritti indispensabili che si possano

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Come uno specchio

Una scuola di fede

“ Andare in missione è anche ritornare, dalla missione: mi ritrovo qui dopo qualche anno, di nuovo al Centro Missionario di Brescia, per raccontare un po’ l’esperienza bella della costruzione della nuova cattedrale che abbiamo in corso a Moroto. Tre anni fa chiesi al centro di darci una mano per iniziare quest’opera e i lavori stanno proseguendo. La Chiesa adesso è come un gigante all’interno di questo paesino”.

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La missione aiuta un po’ come uno specchio: uno specchio molto limpido che, fissato intensamente, fa smettere di giudicare, di criticare, di lamentarsi e che riflette un poco quella che è la mia realtà, il mio cuore, la mia fede.

Chiedo al Signore sempre: “Aiutami e aiutaci a crescere nel tuo amore, nella tua misericordia, nel tuo perdono”.

Quindi è come una scuola che aiuta veramente a camminare nella fede. Molte volte noi pensiamo che sia così perfetta, così immacolata, però non è sempre così: le povertà della gente, i loro limiti, le loro cadute e ricadute, le loro piccole speranze, mi incoraggiano a continuare e a dirmi che anche io non sono molto diverso da questa realtà, da queste persone.

avere in una situazione così, ma abbiamo ancora dei contrasti, anche dalle autorità locali, che, ovviamente, hanno i loro tornaconti. Purtroppo, io dico sempre alla gente, sono arrivati tre nuovi fucili: prima avevamo tanti kalashnikov e li abbiamo tirati via per gli interessi economici che le miniere stavano suscitando.

Come se n’è andato via uno, però, ne sono arrivati altri tre: il primo è lo sfruttamento della gente locale, il secondo è l’alcol. La gente, prima che iniziassimo certe iniziative di contrasto, veniva pagata con l’alcol e questo ha portato ad un peggioramento della situazione: già lì, siccome è una zona con precarietà, la gente, da sempre, tende a sfamarsi con la birra locale e a dipendere da essa. Il passaggio dalla birra ai superalcolici, come i distillati di canna da zucchero, è stato spontaneo. Il fatto è che, non essendo controllata la distribuzione, arriva spesso anche roba con alcol etilico e per questo molta gente ha perso la vista, per non parlare dei numerosi morti per le cirrosi epatiche.

Se non mettiamo un freno a questo alcol illegale, fra 20 anni avremo una situazione veramente disastrosa.

Il governo ha iniziato ad introdurre l’alcol legale: sono quelle bustine di plastica che davano ai militari, per resistere al freddo. Ecco, ora ne stanno arrivando fiumi e i minatori, anche se adesso vengono pagati, tendono a comprare e a ubriacarsi di questa robaccia. Stiamo facendo delle campagne e progetti per la prevenzione, ma nessuno ci aiuta, siamo solo noi praticamente, ma qualcosa otterremo.

Il terzo fucile, invece, è il degrado

dell’ambiente: al limite del deserto si continua a disboscare, a portare via roba, senza ripiantare e senza un minimo di rispetto. Questi tre fucili sono un po’ le tre spine che ora abbiamo e che stiamo cercando in tutti i modi di combattere e di distogliere. Ci riusciremo, se collaboreremo insieme e se qualcuno ci aiuterà, non solo con i mezzi materiali, ma anche con la preghiera, perché è quella che aiuta le persone a trovare la forza anche di tirarsi fuori da certe dipendenze. La cosa bella della costruzione della Chiesa è che adesso siamo arrivati alla fase della costruzione dei mattoni, a circa il 50% dei lavori: è stato un lavoro molto grosso e, nonostante le grandi fatiche date dal terreno sfavorevole, ora ci sta dando le soddisfazioni più belle. Ovviamente non è soltanto il muro fisico che cresce, ma anche la collaborazione della gente locale, al cui aiuto materiale si unisce anche lo spirito nuovo nel vedere la nuova costruzione.

Ad esempio ho lanciato questa sfida alla comunità diocesana: tutti quanti possono collaborare con un mattone e speriamo che la risposta sia positiva, in modo da continuare senza troppi intoppi alla realizzazione di questa cattedrale. In quella vecchia almeno la metà dei cristiani rimaneva fuori la domenica, quindi il vedere la nuova struttura che sta crescendo li sta rincuorando e sta in qualche modo rinnovando anche la loro fede. Dopo tanti anni di violenza, morte e strage, si arriverà, così, ad avere un luogo che possa essere veramente un posto di riconciliazione, di perdono e di misericordia. kiremba maggio 2019

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I MISSIONARI RACCONTANO

ALBANIA

CERCHIAMO DI SEMINARE SPERANZA

SR. CHIARA PIETTA CHIARAPIETTA@VIRGILIO.IT IL GRUPPO DI SUORE CHE OPERA A SUÇ

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a presenza delle suore dorotee di don Luca Passi in Albania nasce da una scelta del 27° capitolo generale dell’Istituto che nel 2002, a conclusione dei lavori, prevedeva l’apertura di una comunità nell’Europa dell’Est come frutto del giubileo e spinta dello Spirito Santo, mediante la Chiesa, ad uscire dai propri orizzonti.

Dopo un lavoro attento di discernimento, di incontri a diversi livelli si arriva alla scelta dell’Albania, nazione, nell’Europa dell’Est, tra le più povere tanto che il santo Giovanni Paolo II, nella sua visita in Albania il 25 aprile del 1993 si espresse dicendo: “Quanto è avvenuto in Albania, carissimi Fratelli e Sorelle, mai era stato registrato nella storia. Lo Stato ha cercato di annientare qualsiasi espressione religiosa in nome di un ateismo radicale, assurto a sistema universale e totalizzante. Tutto ciò succedeva senza che nessuno potesse

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intervenire a difesa della dignità di uomini privati di tutto, spogliati persino della loro stessa “umanità”, della loro libertà”.

Così, dopo un’adeguata preparazione, il 18 settembre del 2006 le prime tre religiose hanno potuto raggiungere l’Albania per vivere a Suç, un piccolo villaggio della diocesi di Rreshen nella regione del Mat (una delle quattro regioni che costituiscono la diocesi di Rreshen) dove dal 2003 vivevano, in un centro pastorale costruito nel 2000 dalla Conferenza Episcopale Italiana e in parte dalla diocesi di Brescia, due sacerdoti fidei donum di Brescia: don Gianfranco Cadenelli e don Marco Domeneghini.

In questa parte della diocesi la popolazione è in prevalenza di tradizione musulmana e i pochi cattolici presenti si trovano soprattutto nei villaggi. Gran parte della popolazione è povera, senza lavoro e vive dei prodotti della terra.

In questa parte della diocesi la popolazione è in prevalenza di tradizione mussulmana e i pochi cattolici presenti si trovano soprattutto nei villaggi. Gran parte della popolazione è povera, senza lavoro e vive dei prodotti della terra.

La comunità religiosa trascorre il primo anno nel villaggio dove, accompagnata dai sacerdoti e da alcuni laici inizia ad inserirsi gradualmente nel contesto culturale, ad apprendere le prime parole in albanese e a lasciarsi interpellare dalla vita che la circonda.

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Una storia di convivenza tra i fedeli di due religioni

La collaborazione con il comune  Due anni fa, proprio mentre le suore stavano cercando un locale più ampio, il sindaco musulmano, colpito dalla qualità del servizio da loro garantito, ha proposto una collaborazione e ha offerto una grande sala, all’interno di una scuola statale, quale sede del Centro. «Abbiamo accettato. Siamo liete che il Comune abbia voluto sostenere la nostra iniziativa educativa e soddisfatte

La comunità religiosa trascorre il primo anno nel villaggio dove, accompagnata dai sacerdoti e da alcuni laici inizia ad inserirsi gradualmente nel contesto culturale, ad apprendere le prime parole in albanese e a lasciarsi interpellare dalla vita che la circonda.

Ai primi vespri della Beata Vergine Maria del Rosario, il 6 ottobre del 2007, la comunità si trasferisce nella città di Burrel piccola cittadina con 12.000 abitanti a 10 kilometri da Suç. La vita è semplice ed è impegnata, oltre che nello studio continuo della lingua, nella visita delle poche famiglie cattoliche della città e, insieme ai sacerdoti e ai laici, all’evangelizzazione nei villaggi cattolici.

Visitando le famiglie della città e vedendo le varie situazioni di povertà, non solo materiale ma anche morale e sociale, sorge piano piano l’esigenza di raggiungere anche quei bambini e

giovani, di tradizione musulmana per offrire loro un’opportunità educativa che nasce dal rispetto della dignità di ogni persona e dal bello che porta in sé, segno di quell’impronta di amore, Presenza di Dio in ogni persona.

Il nostro fondatore, don Luca Passi, diceva in una delle sue lettere: “Non potrete darvi pace finchè ci sarà anche una sola fanciulla che abbia bisogno di voi”.

E così, spinte dal desiderio di poter raggiungere bambini, giovani “nasce il primo saloncino” nella città per svolgere, nel corso dell’anno, piccole e semplici attività di doposcuola, danza e poi ancora, con giovani ragazze Rom, un piccolo laboratorio di cucito e lavori manuali e nell’estate del 2007 la prima attività estiva aperta alla città.

Sono passati 13 anni da quel 18 settembre 2006. Ora la comunità, costituita da quattro religiose, vive nuovamente nel villaggio di Suç.

della cooperazione avviata con i membri del consiglio comunale (tutti di fede islamica). Sappiamo di avere la loro stima e la loro fiducia: sono venuti diverse volte e trovarci e hanno compreso quanto ci stia a cuore la formazione delle giovani generazioni.

In tutta l’Albania, le relazioni tra cristiani e musulmani sono caratterizzate da benevolenza, stima e rispetto reciproci.

Ci sentiamo di poter dire che i nostri passi hanno conosciuto case, sentieri, strade ma soprattutto i cuori di tante persone che ancora oggi ci invitano a stare insieme a loro con ancora più passione e amore.

Continua l’evangelizzazione nei villaggi cattolici e il piccolo saloncino oggi sta diventando un Centro diurno nella città di Burrel grazie anche alla collaborazione con il comune che ci ha offerto un ambiente per poter svolgere le attività.

Da tre anni è stata avviata anche un’attività estiva nella città musulmana di Klos e alcuni percorsi formativi e di catechesi per le donne e le giovani famiglie dei villaggi e delle città. Una risorsa preziosa sono i collaboratori laici, cattolici e musulmani, che quotidianamente lavorano insieme a noi. Con loro abbiamo potuto sperimentare realmente “la fratellanza umana, segno di quella fede in Dio che porta il credente a vedere nell’altro un fratello da amare perché tutti uguali per la sua misericordia”.

Ancora, un dono grande sono i numerosi giovani volontari che nel periodo estivo ci raggiungono dall’Italia per vivere un’esperienza di condivisione e di servizio.

Siamo contente di poter condividere la nostra vita con i tanti volti che ogni giorno incontriamo e che ci parlano di gioia gli occhi dei bambini, di speranza quelli dei giovani, di sofferenza e di dignità quelli degli adulti e degli anziani.

In questi anni ci siamo davvero rese conto che non ha importanza il tanto che si fa, ma il piccolo che viene seminato. kiremba maggio 2019

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Animazione missionaria SVI BRESCIA

UN SERVIZIO CON 50 ANNI DI VITA LIA GUERRINI L.GUERRINI@SVIBRESCIA.IT

Lo SVI – Servizio Volontario Internazionale, è una ong che opera nei paesi del sud del mondo, in progetti di cooperazione internazionale, e che è anche presente sul territorio italiano, con attività rivolte alla sensibilizzazione e all’educazione.

Oggi è presente in Brasile, Venezuela, Kenya, Mozambico, Uganda, Zambia.

Quest’anno lo SVI compie 50 anni, vissuti intensamente, sono stati 50 anni fatti di volti, di incontri, di storie, di sbagli e di successi... 50 anni fatti di vita!

Dal 1969 a oggi il nostro percorso è stato caratterizzato da ogni singolo incontro, avvenuto qui e dall’altra parte del Mondo, alcune persone continuano a camminare con noi anche oggi, altre no, nuove ne verranno: tutte sono state e sono fondamentali, tutte hanno reso possibile essere ciò che oggi siamo.

Abbiamo pensato di condividere 16

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UNA DELLE PRIME RIUNIONE DEI FONDATORI DELLO SVI

alcuni ricordi di questi nostri primi 50 anni, facendolo attraverso le parole di alcuni dei presidenti che in questo cammino hanno guidato il nostro organismo, da quel 22 giugno 1969; una testimonianza corale, perché “lo SVI non è mai stato di qualcuno ma di molti, diversi fra di loro per sensibilità, carattere, istruzione, capacità, professionalità… accomunati però da medesimi ideali, quelli che avevano radici nel Concilio appena concluso e nella Populorum Progressio fresca di stampa”. (Aldo Ungari – presidente dal 1970 al 1976 e dal 1991 al 1999).

“Le origini dello SVI sono nate da una matrice cristiana ben definita e condivisa. Questa qualificante matrice è sempre stata oggetto di approfondimento all’interno dell’organismo anche con riflessioni e dibattiti molto impegnativi e sempre vista come un’ispirazione di qualità che era fondamentale tenere viva e sempre da riscoprire.

Non bisogna dimenticare che lo SVI è stato “in gestazione” durante gli anni sessantottini e partorito poi come Ong nel 1969.

Il terreno di coltura dei primi volontari era stato il mondo giovanile parrocchiale con l’associazionismo cattolico aperto al vento profetico dell’allora recente Concilio.

E se lo Spirito soffia dove vuole ecco trovarsi, come compagni di strada e volontariato, amici non credenti o ancora in fase di ricerca anche sul cammino della fede.

Il corso di formazione dello SVI si è quindi frequentemente trovato di fronte a persone in ricerca di senso o di fede. La lungimiranza di animatori come don Franco Benedini, tanto per citarne uno, ma non da solo, perché aveva saputo raccogliere attorno a sé una buona schiera di animatori ricchi di competenze e con capacità di ascolto ed approfondimento, ha portato ad approfondire seriamente le motivazioni che ognuno portava

L’occasione dei cinquant’anni non sia un’autocelebrazione ma un sereno e severo esame di coscienza. Non guardiamo nello specchietto retrovisore, piuttosto nel cannocchiale rivolto all’orizzonte senza però chiudere gli occhi sui muri, sui sovranismi, sui cieli oscurati dai fumi, sulle ferite di madre Terra”.

Ecco perché oggi i progetti che stiamo sviluppando si occupano con sempre maggiore attenzione alle tematiche dell’ambiente, dei cambiamenti climatici, della lotta alla desertificazione ecc

in sé e cosa andavano cercando in questo voler fare una esperienza di volontariato internazionale.

Si dovevano preparare e costruire dei giovani motivati e responsabili delle proprie scelte. C’erano pure degli aspiranti con motivazioni velleitarie e che guardavano a queste esperienze quasi esotiche senza un serio costrutto della propria consapevolezza e responsabilità.

L’ispirazione cristiana dell’organismo, pur se non confessionale in senso stretto, doveva servire ad orientare il futuro volontario a ben riflettere sulle motivazioni che stavano all’origine delle sue scelte. Trarre ispirazione dal Vangelo significava comprendere e prestare attenzione a tutto l’uomo e ad ogni uomo nella sua essenza più vera e pregnante.

Tale ispirazione è servita anche ad affrontare dei momenti di difficoltà e conflitto che spesso si presentavano operando in equipe o con interlocutori diversi che collaboravano nei vari

progetti di autosviluppo. Era come una cartina tornasole che aiutava a riscoprire motivazioni e finalità del nostro operare.” (Fausto Lonati – presidente dal 1979 al 1981).

Ancora oggi, dopo cinquant’anni, continuiamo a interrogarci su come rispondere al meglio alle sfide del presente, ai modi nuovi di fare cooperazione internazionale, cercando di costruire reti e partenariati solidi ed efficaci sia nei paesi del Sud dove siamo presenti, che qui in Italia con altri enti, ong e associazioni con cui ci troviamo a collaborare.

Ancora Aldo Ungari afferma: “Non so se lo SVI abbia un “glorioso passato”, mi interessa di più abbia un buon futuro e che continui, come ha fatto periodicamente, ad interrogarsi in modo semplice ma sincero: “E’ ancora utile il volontariato internazionale? Lo SVI ha fatto il suo tempo?”. .

Al tempo stesso in Italia, cerchiamo di dare il nostro contributo alla costruzione di una società dialogante, impegnandoci in attività di educazione nelle scuole e nei gruppi e collaborando in azioni di accoglienza con le persone che giungono in Italia sfuggendo da guerre e da situazioni invivibili.

Concludiamo quindi con l’auspicio del nostro attuale presidente, Paolo Romagnosi: “essere eredi di questa importante storia è un onere pesante: ne siamo consapevoli. Ma siamo altrettanto consapevoli che il nostro dovere sia quello di dare continuità e futuro a questa esperienza straordinaria. Questa è l’unica ragione per cui ci siamo. Questa è l’unica ragione per cui vogliamo continuare ad esserci”. kiremba maggio 2019

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ANIMAZIONE MISSIONARIA

NUOVI STILI DI VIAGGIO

QUANDO L’INCONTRO SI FA MISSIONE SIMONE MARCAZZAN SIMONE.MARCAZZAN@GMAIL.COM UN MOMENTO DELL’INCONTRO “GIOVANI IN MISSIONE”

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e ultime parole del Card. Luis Antonio Tagle, pronunciate a stento per l’emozione, sfumano dolcemente nella musica posta alla fine dell’intervista.

Poi, il video si interrompe: anch’io, nonostante sia già la seconda volta che lo vedo, mi ritrovo (di nuovo!) con gli occhi lucidi. Mi volto: dietro di me una cinquantina di giovani provenienti dai più disparati angoli della diocesi di Brescia, mostrano negli occhi l’impronta viva delle reazioni appena provate.

C’è chi è emozionato, come me, fin quasi alle lacrime, chi magari è un po’ assonnato e non ha prestato particolare attenzione, salvo poi essere stato improvvisamente “svegliato” dal crescendo patetico finale. Qualcuno guarda gioioso il telo bianco, altri sembrano assorti in una pensierosa contemplazione impenetrabile. A farla da padrone, tuttavia, è lo stupore. “Ma come?”

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si chiedono più di un centinaio di occhi contemporaneamente “Come è possibile che un cardinale (non l’ultimo prete ordinato, insomma!), in un’intervista promotrice dell’organizzazione di cui è presidente (“Caritas Internationalis”), riesca ancora ad emozionarsi empaticamente con i più bisognosi al punto da giungere egli stesso alle lacrime?”. Eppure, quel che è ancora più straordinario, è che è stato quello stesso sentimento di empatia e vicinanza nei confronti del prossimo a riunire me ed altri cinquanta giovani della diocesi bresciana presso il Centro Pastorale Paolo VI la scorsa domenica (31 marzo), in occasione dell’incontro “Giovani in Missione”.

O, perlomeno, è stata la curiosità comune verso un’esperienza che, almeno a priori, si presenta come qualcosa di “diverso” e “forte”.

Come sottolineato durante l’incontro, che si inserisce in più percorsi finalizzati alla preparazione

Estate, tempo di crescita

Esperienza unica 

Molti giovani ogni estate vivono esperienze di conoscenza e di servizio presso luoghi del sud del mondo. Il percorso che l’Ufficio per le Missioni propone è una occasione per preparare questa esperienza.

Saranno più di un centinaio i giovani bresciani che andranno in missione questa estate. Alcuni gruppi accompagnati dal Centro Missionario andranno in Burundi, Argentina, Mozambico, Thailandia con

Ognuno di noi ha varie motivazioni che lo spingono ad intraprendere questa Strada e diverse sono anche le destinazioni verso le quali siamo diretti. La mia scelta, come può darsi sia stato anche per molti altri, è stata dettata da un’esigenza personale di cambiamento, una necessità stringente di ribaltare il mio punto di vista: “Quale modo migliore” mi sono detto “che cambiare effettivamente l’oggetto del mio sguardo, per riuscire ad avere “occhi nuovi” anche verso la realtà che mi circonda?”.

dei giovani che vivranno una breve esperienza missionaria la prossima estate, è incredibile e semplicemente bello constatare come ci siano così tanti giovani che scelgono di “rinunciare alla propria estate” (o almeno a parte di essa) per incamminarsi sulla Via della Missione.

Ognuno di noi ha varie motivazioni che lo spingono ad intraprendere questa Strada e diverse sono anche le destinazioni verso le quali siamo diretti. La mia scelta, come può darsi sia stato anche per molti altri, è stata dettata da un’esigenza personale di cambiamento, una necessità stringente di ribaltare il mio punto di vista: “Quale modo migliore” mi sono detto “che cambiare effettivamente l’oggetto del mio sguardo, per riuscire ad avere “occhi nuovi” anche verso la realtà che mi circonda?”. Così, una sera qualsiasi di fine novembre, dopo una giornata spossante di studio e lavoro

ed emotivamente molto difficile, ho deciso estemporaneamente, su invito di una cara amica, di provare a cambiare qualcosa. La prima parte del mio percorso di preparazione l’ho vissuta con il gruppo “Nuovi Stili di Viaggio” organizzato dal Centro Missionario Diocesano di Brescia: fra cene al sacco condivise, giornate passate in compagnia di qualcuno che gli “ultimi” li vede e li vive davvero nel quotidiano (e senza banalizzarli o ridurli a mero calcolo statistico!), momenti più leggeri di gioco e divertimento ed altri più impegnativi di preghiera e riflessione, individuali e comunitari, sono riuscito a riassaporare il gusto della solidarietà disinteressata e della “Preghiera Semplice”. Un gusto che, detto sinceramente, mi mancava da un po’.

Fra tutte le esperienze intense che ho condiviso con “Nuovi Stili di Viaggio” ce n’è una che in particolare mi ha colpito nel profondo e che mi

Missiogiovani, un gruppo con le suore Poverelle in Malawi, il CSI di Bienno in Congo, gli oratori di Castenedolo in Burundi, Passirano in Haiti, Travagliato in Perù, Caionvico in Mozambico, Lovere in Perù e san Paolo in Romania. Già da ora li aspettiamo per ascoltare i loro incontri, per condividere il loro entusiasmo, per restituire ai nostri oratori una nuova carica di missione, anzi, della Sua Missione.

porterò nel cuore: la visita presso la sede dei Missionari Comboniani di Brescia. Lì sono ospitati diversi profughi e rifugiati provenienti dai più svariati paesi del mondo, in particolare dall’Africa. Alcuni ci hanno raccontato in prima persona la loro storia di emigrati politici, ma innanzitutto di ragazzi, con tutte le lacrime, le paure e le cicatrici visibili ed invisibili che accompagnano ognuno di loro. Essi vengono aiutati da alcune cooperative ad ottenere il permesso di soggiorno e ad inserirsi socialmente e culturalmente in un Paese, l’Italia, che al momento sta facendo più di un passo indietro a livello politico dal punto di vista dell’accoglienza.

Personalmente, ho avuto la fortuna di ripetere quest’esperienza di incontro (universale, ma al contempo sempre molto intimo) anche con il gruppo dell’Oratorio Pio X di Castenedolo, con cui vivrò effettivamente la mia esperienza di Missione, quest’estate, in Burundi, e che ringrazio molto per l’accoglienza ricevuta fin qui.

Forse è stato proprio in occasione di questo secondo incontro con i ragazzi della cooperativa che ho ricevuto lo spunto per capire che veramente certe storie riescono a toccarti profondamente ogni volta che ti metti in ascolto con il cuore predisposto per riceverle. Mi tornano di nuovo in mente ancora le parole, rotte dall’emozione, del Card. Tagle: “Io ascolto la tua storia, incontro un essere umano. E ascoltandoti, guardandoti, inizio a capire… che potrebbe essere anche la mia storia.

Non è la storia di un’altra persona, è anche la mia storia, perché tutti noi siamo migranti in questo mondo”. kiremba maggio 2019

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ANIMAZIONE MISSIONARIA

BRESCIA

É ANCORA FESTA DEI POPOLI ANDREA BURATO ANDREA BURATO@DIOCESI.BRESCIA.IT

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’integrazione non è «un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il “segreto”, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca. È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini». Con queste parole papa Francesco, esprime il suo pensiero all’interno del Messaggio per la 104ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.

Parole che indicano una prospettiva in cui inserirsi, per essere parte attiva di una società in cui ognuno può essere attore, indipendentemente dal paese d’origne o dal proprio credo.

“Sì! Insieme si può” è il titolo che l’équipe organizzativa ha deciso di utilizzare per questa edizione della

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TANTI VOLTI COLORERANNO LA NUOVA EDIZIONE DELLA FESTA DEI POPOLI

Festa dei popoli che si svolgerà i prossimi 18 e 19 Maggio a Brescia.

All’interno di questo titolo c’è la ferma volontà di continuare il cammino fin qui intrapreso: un percorso fatto di incontri e di confronti, ma anche di strette di mano e di allegria. É un cammino che le tante comunità migranti presenti nella nostra diocesi stanno percorrendo, non senza difficoltà, ma convinte che solo “insieme” si debba necessariamente continuare.

La Festa dei Popoli è un’occasione preziosa per conoscere, condividere e apprezzare espressioni culturali e linguistiche diverse dalla nostra.

Collaborano alla realizzazione della manifestazione diverse comunità straniere (circa 40) attive nel territorio bresciano. L’obiettivo della Festa è quello di far “vivere la diversità culturale non come un qualcosa che divide e crea barriere nella comunicazione e nella

La Festa dei Popoli è un’occasione preziosa per conoscere, condividere e apprezzare espressioni culturali e linguistiche diverse dalla nostra.

Collaborano alla realizzazione della manifestazione diverse comunità straniere (circa 40) attive nel territorio bresciano. L’obiettivo della Festa è quello di far “vivere la diversità culturale non come un qualcosa che divide e crea barriere nella comunicazione e nella relazione, ma come un’opportunità di arricchimento reciproco e una possibilità di convivenza pacifica”.

relazione, ma come un’opportunità di arricchimento reciproco e una possibilità di convivenza pacifica”.

La Festa vuole inoltre essere un’occasione in cui incontrare i diversi gruppi di immigrati presenti in città; sensibilizzare le istituzioni, le associazioni e i gruppi sul fenomeno globale dell’immigrazione; sviluppare e mantenere una rete stabile con il mondo delle associazioni e delle istituzioni civili ed ecclesiali che lavorano per i migranti.

Per diversi anni la Festa si è svolta nel Teatro Palabanco,ora Gran Teatro Morato, per l’edizione del 2019 abbiamo pensato di riproporre la stessa sede dello scorso anno, la Parrocchia di S. Angela Merici a S. Polo; un modo per avvicinarci ancora di più alle persone.

In questa nuova edizione abbiamo coinvolto gli amici della Cooperativa Kemay che, nel pomeriggio di Sabato 18 Maggio, ci faranno viaggiare attraverso il gioco “OKA. È in gioco

la vita”. Proprio come in un gioco da tavolo, la vita delle persone che si spostano dalla propria patria per richiedere asilo politico in altri Paesi sembra sia condizionata solo dalla fortuna. Non ci sono certezze né stabilità di alcun tipo. Chi arriva in Italia, passando attraverso le terre africane e partendo via mare dalla Libia, non sa quasi mai a cosa andrà incontro. OKA è un gioco in cui si dispiegano sul tabellone le numerose tappe cui va incontro chi approda in Italia, giungendo da Paesi africani della zona sub-sahariana. Le caselle, dai contenuti diversi, rispecchiano non solo il viaggio dei migranti, ma anche gli ostacoli che si presentano sul cammino: proprio come nella vita vera, il migrante viene derubato, ingannato, picchiato. Nel gioco di OKA, come nella vita vera, si può morire in ogni momento, in ogni casella. Anche una volta approdati in Italia, il gioco non è finito: inizia l’iter burocratico che può avere una buona fine o meno.

Nella giornata di Domenica, parteciperemo alla celebrazione eucaristica, presieduta dal nostro vescovo Pierantonio e animata dal coro di una delle comunità migranti.

A seguire stand culturali, pic-nic etnico, canti e balli dai diversi paesi.

Per iscriversi al gioco e visionare il programma completo: www.diocesi. brescia.it/migranti.

Sarà bello solo se saremo in tanti, se cercheremo di fare del nostro meglio, se porteremo una grande dose di voglia di stare insieme e se riusciremo a fare nostro il titolo della festa: ”Si! insieme si può”. kiremba maggio 2019

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Orizzonti COMUNITÀ MIGRANTI

UNA PRESENZA SILENZIOSA E RISPETTOSA P.DOMENICO COLOSSI COLOSSIDOMENICO@YAHOO.IT

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e Filippine sono un arcipelago di settemila isole di cui undici coprono il 94% dell’ intera superficie di 300 mila metri quadri a sud della Cina. Alle migrazioni malesi ed indonesiane, le prime ad insediarsi nel territorio, hanno poi fatto seguito migrazioni provenienti dalla Cina e da popolazioni musulmane provenienti dal Borneo. Alla colonizzazione spagnola nel 1565 fece seguito quella britannica e dal 1898 al 1946 passò sotto il controllo degli Stati Uniti d’ America definendo la loro presenza come tutela per la preparazione ad una indipendenza delle Filippine.

I residenti a Brescia provengono quasi interamente da Mabini Batangas tanto che uno dei quartieri viene chiamato Little Italy L’ immigrazione filippina, nella realtà socio-economica bresciana, si è

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UNA SENTITA CELEBRAZIONE EUCARISTICA DELLA COMUNITÃ FILIPPINA

caratterizzata per il suo inserimento silenzioso e discreto. La percezione e il giudizio che i bresciani si sono fatti di questa etnia è di persone affabili e rispettose diventando così quasi una immigrazione invisibile se non fosse per le loro caratteristiche somatiche.

Situazioni di irregolarità furono per i primi flussi migratori la normale realtà vissuta dai più. “ A Milano – racconta un’immigrata - appena arrivati alla stazione ferroviaria, fummo fermati dalla polizia e portati in Questura. Io rimasi in prigione solo un giorno, perché un avvocato, assunto da uno dei miei amici, mi aiutò ad uscire, mentre i miei compagni vi rimasero per tre giorni. Poi li fecero uscire.

Poi ci dettero il foglio di via. Per non farmi prendere, trovammo alloggio presso amici ma solo la sera, mentre trascorremmo tutta la giornata in chiesa, luogo dove sapevamo che la polizia non ci avrebbe preso. Dopo

solo tre settimane trovai lavoro come domestica sostituendo un mio parente, poi presso un avvocato a Brescia. L’ avvocato fu molto gentile con me, mi anticipò sette milioni di lire con cui potei saldare il debito con “ l’ agenzia “ che mi aveva fatto arrivare clandestinamente in Italia.

La decisione di emigrare , come per molti altri gruppi etnici, nasce non tanto da una scelta personale dell’ individuo ma programmata dal gruppo familiare e in funzione di esso.

“Il motivo per cui si decide di emigrare dalla Filippine è uguale per tutti: trovare lavoro per far uscire la propria famiglia dalla povertà. Mio padre è ammalato e nelle Filippine non c’è assistenza medica. Tutto deve essere pagato. Cosa sono riuscita a metter via per me stessa dopo otto anni che sono qui? Nulla. Mando tutto alla famiglia.” Da qui si comprende come ai suoi inizi questa è stata stata

tendenza a ributtare l’ individuo nella sua situazione di partenza. Se uno accresce i propri beni materiali, questi vanno divisi con il gruppo familiare. Il tempo è vissuto come una realtà che si muove lentamente: ci si deve adattare alla realtà in cui si vive più che cambiarla.

principalmente una emigrazione femminile perché più facilitata nell’ inserimento del mercato del lavoro.

I residenti a Brescia provengono quasi interamente da Mabini Batangas tanto che uno dei quartieri viene chiamato Little Italy. L’ immigrazione filippina, nella realtà socio-economica bresciana, si è caratterizzata per il suo inserimento silenzioso e discreto. La percezione e il giudizio che i bresciani si sono fatti di questa etnia è di persone affabili e rispettose diventando così quasi un’ immigrazione invisibile se non fosse per le loro caratteristiche somatiche. Situazioni di irregolarità furono per i primi flussi migratori la normale realtà vissuta dai più.

Percezione di sé: la persona si percepisce e si riconosce entro l’ambito familiare. L’ educazione tende a creare un senso di dipendenza e di sottomissione dove il punto di riferimento è l’autorità del più anziano in famiglia come pure a sentirsi obbligati verso il gruppo familiare allargato (extended family).

La dipendenza non è vissuta in forma negativa come fosse una violazione della propria dignità perché mantiene salda le relazioni tra le persone.

Percezione della realtà, delle cose e del tempo: la proprietà pubblica può passare in mani private senza grossi sensi di colpa.

C’ è un’ unica quantità di beni che possono essere divisi e ridivisi ma difficilmente accresciuti. C’ è la

Le relazioni interpersonali: c’è un continuo cambiamento da una posizione superiore ad una inferiore a seconda delle persone con cui ci si relaziona. Il confronto, più che essere diretto, avviene tramite una terza persona e questo evita di perdere la faccia. Tutti i ruoli sono ricoperti dal leader.

I ricongiungimenti familiari avvenuti in questi anni hanno radicata questa etnia sul territorio ed entro il tessuto socio-economico italiano. Il problema si pone non tanto in relazione al loro grado di integrazione quanto in riferimento ai figli che, pur entro l’ ambito familiare, vivono in un contesto culturale che si diversifica non poco da quanto esposto.

Se la cultura è l’insieme di valori che guidano e qualificano l‘azione umana, si comprende come i figli degli immigrati si ritrovano in situazioni non facili nel processo di costruzione della propria identità in quanto viene a mancare quella necessaria continuità che rende possibile tale processo.

Lo sviluppo dell’ identità dei figli degli immigrati emergerà per il futuro immediato come sfida nel contesto educativo sia scolastico che religioso. kiremba maggio 2019

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Formazione & spiritualità

PARROCCHIE IN USCITA MISSIONARIA COMUNITÁ DI VILLAREGIA POSTA.LO@CMV.IT

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urante uno degli incontri dei “Giovedì della missione: mai neutrali, sempre profetici” è stato trattato il tema delle parrocchie “in uscita” missionaria, attraverso testimonianze e riflessioni di un parroco, don Nandino Capovilla e di un teologo, don Marco Campedelli, sulle sfide che il mondo di oggi rivolge all’azione missionaria della Chiesa e al laicato cristiano.

Sfide che diventano un richiamo all’autenticità della vita evangelica e agli esordi carismatici della Chiesa.

Queste sfide, se accolte, possono portare ad una trasformazione positiva della vita delle nostre comunità, ma richiedono di prendere la decisione di uscire.

La testimonianza di don Nandino Capovilla, parroco a Marghera( VE), è il racconto del cammino di uscita intrapreso dalla sua comunità, oggi composta da italiani e da una grossa percentuale di immigrati cristiani.

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kiremba maggio 2019

ESSERE CHIESA IN USCITA É TESTIMONIARE IL VANGELO NEL NOSTRO QUOTIDIANO

La prima “uscita” è stata quella di ritrovarsi fuori della chiesa, in un fazzoletto di terra, l’orto di quartiere, dove vivere momenti di incontro e di festa ai quali partecipano anche immigrati di altre fedi religiose.

“Quando ho pensato che forse avrei potuto costruire una parrocchia in uscita mi sono accorto che era uscita lei”, così don Nandino comincia a raccontare di questo movimento in uscita intrapreso insieme alla sua gente. Si tratta di un “uscire” non solo fisico, ma soprattutto relazionale costituito dall’andare incontro al diverso non per portarlo dentro la Chiesa, ma per incontrarlo lì dove si trova. Sono nati tanti rapporti buoni con fratelli e sorelle musulmani, con i senza fissa dimora che trovano ristoro la domenica mattina nel bar parrocchiale, con i cinesi che difficilmente si lasciano incontrare. La canonica è diventata un posto in cui ritrovarsi, per tanti immigrati, e trascorrere qualche

Quando parliamo di chiesa in uscita missionaria dovremmo pensare a qualcosa che ha a che vedere con l’uscita dei nostri pensieri, se pensiamo in modo diverso, se usciamo con idee o se invece ci vestiamo da uomini in uscita restando in entrata…

Cosa vuol dire chiesa, parrocchia?

Parrocchia voleva dire vicinato, essere vicini vuol dire ripensare le proprie relazioni, posizionarsi in modo diverso

serata mangiando e dialogando insieme. Le relazioni costruite attraverso questo movimento in uscita trovano eco nel n. 87 della EG e nella sfida che ne emerge: “questa chiesa in uscita deve trasmettere una mistica che ha un programma molto preciso: vivere insieme, mescolarci, incontrarci, prenderci in braccio, appoggiarci”. Per don Nandino “sono dei gesti, delle scelte tanto fisiche, tanto concrete e apparentemente poco spirituali… insomma partecipare a questa marea un po’ caotica, nel senso di confusione, di diversità, che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, che può trasformarsi in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio”.

L’esperienza della piccola comunità parrocchiale di Marghera stimola la riflessione alla quale contribuisce con provocazioni e domande don Marco Campedelli, sacerdote e teologo della diocesi di Verona. Le riflessioni e le domande aprono nuovi fronti.

Don Marco Campedelli, teologo della diocesi di Verona, esordisce con domande che provocano la riflessione e mettono in evidenza le sfide che chiedono un cambiamento: “Quando parliamo di chiesa in uscita missionaria dovremmo pensare a qualcosa che ha a che vedere con l’uscita dei nostri pensieri, se pensiamo in modo diverso, se usciamo con idee o se invece ci vestiamo da uomini in uscita restando in entrata… Cosa vuol dire chiesa, parrocchia? Parrocchia voleva dire vicinato, essere vicini vuol dire ripensare le proprie relazioni, posizionarsi in modo diverso. Vuol dire trasformare la vicinanza geografica in una prossimità di sentimenti, di sguardi, di atteggiamenti, di pensieri e questa è una rivoluzione profonda che investe la mente, il cuore, le mani. Cos’è oggi una parrocchia?

E’ un modo alternativo di vivere la vicinanza?”. Da queste domande

parte lo sguardo critico sulle nostre comunità parrocchiali, dove il pensare “cattolico” si identifica con un “non fare del male a nessuno” e perciò restare dentro i propri confini culturali e fisici, dentro il proprio recinto. In realtà la vicinanza potrebbe essere un’opportunità per abbattere gli steccati mentali, culturali, ideologici e accogliere il diverso che ha sempre qualcosa di nuovo da portare, una ricchezza da condividere. Ma in fondo questa non è una novità: lo testimonia la lettera a Diogneto, un documento del primo secolo della storia cristiana, in cui si dice che abitare da stranieri era la qualità più bella e più espressiva dell’essere cristiani: “I cristiani non si differenziano dagli altri uomini…

Abitano la propria patria, ma come stranieri”. “Oggi abitare da stranieri afferma don Marco Campedelli - vuol dire essere estranei, essere sopportati malamente. Questo documento ci dice che lo statuto di essere forestieri, in cammino, camminanti è lo statuto proprio del Vangelo. Significa essere “esodali” nel modo di pensare, di progettare, di sognare. Quindi essere chiesa in uscita vuol dire avere un progetto, una missione”. E questa missione non è solo quella “ad extra”, rivolta ai popoli “lontani e sottosviluppati”, ma è anche quella “ad intra”, quella da vivere nel nostro habitat ormai variegato di etnie, dialetti, lingue e religioni. Ecco allora la domanda che provoca una riflessione e una verifica del nostro essere “cattolici praticanti”: la missionarietà è veramente un modo di posizionarsi dalla parte dell’altro? kiremba maggio 2019

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FORMAZIONE & SPIRITUALITÀ

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IN ASCOLTO DI SAN PAOLO VI A cura di don Francesco Pedrazzi - frapedro73@gmail.com

PREGARE INSIEME Ripercorriamo insieme le esperienze missionarie che San Paolo VI ha compiuto durante i suoi incontri apostolici con le comunità del Sud del Mondo.

Paolo VI ai “campesinos” colombiani: «Voi siete Cristo per noi!»

Dal 21 al 25 agosto 1968, san Paolo VI compie un viaggio apostolico a Bogotà, capitale della Colombia. È il primo Papa che mette piede in Sud America. Rimane memorabile specialmente la sua omelia davanti a 250 mila “campesinos”, i braccianti più poveri, simbolo della negazione di quella «destinazione universale dei beni» auspicata l’anno precedente nella sua Populorum Progressio.

Paolo VI rivolge ai contadini colombiani un intenso annuncio di speranza, in relazione all’Eucaristia: il sacramento della «nascosta presenza viva e reale di Cristo». Con un’immagine audace e toccante, proclama: «Voi siete Cristo per noi!». Quel mare di vite umane “nascoste” al mondo, ma non agli occhi di Dio, unite dalla celebrazione eucaristica, sono il «segno» reale del Corpo umile e sofferente del Signore.

Per questo parla di «un’affezione preferenziale» per loro da parte sua e di tutta la Chiesa e promette di difendere la loro «causa», con particolare attenzione ai diritti: «all’equa retribuzione, alla conveniente abitazione, all’istruzione di base, all’assistenza sanitaria e alla partecipazione ai benefici e alle responsabilità dell’ordine sociale».

Ecco alcuni passaggi della sua omelia: Salute, salute a Voi, Campesinos colombiani! E salute a tutti i lavoratori della terra nell’America Latina! …Voi siete un segno, voi un’immagine, voi un mistero della presenza di Cristo. Il sacramento dell’Eucaristia ci offre la sua nascosta presenza viva e reale; mai voi pure siete un sacramento, cioè un’immagine sacra del Signore fra noi, come un riflesso rappresentativo, ma non nascosto, della sua faccia umana e divina…

Tutta la tradizione della Chiesa riconosce nei poveri il sacramento di Cristo…

Voi, Figli carissimi, siete Cristo per Noi! […] E Noi ci inchiniamo davanti a voi e vogliamo ravvisare Cristo in voi quasi redivivo e sofferente: non siamo venuti per avere le vostre filiali, e pur gradite e commoventi acclamazioni, ma siamo venuti per onorare Cristo in voi, per inchinarci perciò davanti a voi…

Noi vi amiamo con un’affezione preferenziale; e con Noi vi ama, ricordatelo bene, ricordatelo sempre, la santa Chiesa cattolica….

Noi continueremo a difendere la vostra causa. Noi possiamo affermare e riaffermare i principi, dai quali poi dipendono le soluzioni pratiche.

Continueremo a proclamare la vostra dignità umana e cristiana. La vostra esistenza è valore di primo grado. La vostra persona è sacra.

La vostra appartenenza alla famiglia umana deve essere riconosciuta senza discriminazioni sul piano della fratellanza. Questa, se pur ammette rapporti gerarchici ed organici nel complesso sociale, deve essere effettivamente riconosciuta, sia nel campo economico, con particolare riguardo all’equa retribuzione, alla conveniente abitazione, alla istruzione di base, all’assistenza sanitaria, e sia in quello dei diritti civili e della graduale partecipazione ai benefici e alle responsabilità dell’ordine sociale…

Ci fa bene, nel tempo che viviamo, ricordare, grazie alle parole di san Paolo VI, che non possiamo onorare Cristo sugli altari se non lo onoriamo anzitutto nei poveri.

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FORMAZIONE MISSIONARIA Presso il Centro CUM di Verona dal 29/07 al 04/08

Blocknotes

Un cammino eco-mistico-politico per il respiro dei poveri e della terra con il metodo della Lettura Popolare della Bibbia Destinatari: quest’incontro si inserisce nel percorso di formazione biblico missionaria che si realizza già da diversi anni, con il metodo della lettura popolare della Bibbia, ed è rivolto a Centri Missionari Diocesani, rete Nuovi Stili di Vita, Focsiv, istituti, ONG, parroci o preti/religiosi/religiose e laici impegnati in aree attigue e strategiche per il rilancio della missionarietà.

Obbiettivo: dare un contributo per fare un passo nella direzione della riforma auspicata della Chiesa e della Sua Missione.

Per informazioni ed iscrizioni: Segreteria del CUM Tel. 045 8900329 - Fax 045 8903199 segreteria.cum@missioitalia.it

GIORNATA NAZIONALE DI FORMAZIONE E SPIRITUALITÀ MISSIONARIA Dal 29/08/2019 al 1/09/2019 presso la Domus Pacis - Santa Maria degli Angeli Assisi Le Giornate Nazionali di Formazione e Spiritualità missionaria sono organizzate dall’Ufficio Nazionale per la Cooperazione missionaria tra le Chiese della Conferenza Episcopale Italiana.

Sono occasioni in cui tutti coloro che sono interssati e coinvolti nelle tematiche missionarie, possono incontrarsi e confrontarsi su diversi aspetti che coinvolgono quanti operano in questa parte della pastorale della chiesa.

Le relatrici e i relatori, liberi come sempre di dire quello che hanno in fondo al cuore, aiuteranno a gettare uno sguardo più ampio possibile sulla realtà. É possibile iscriversi on line registrandosi dal sito www.chiesacattolica.it/missioni oppure inviando l’apposita scheda d’iscrizione o via fax, o via mail, o via posta, con la ricevuta del versamento all’Ufficio Nazionale.

Per info: mail:missioni@chiesacattolica.it

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