Kiremba - Maggio 2018

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SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERçUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVIII - N° 2 MAGGIO 2018 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA

Dalle idee alla vita

La missione è possibile

Maggio 2018


SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERÇUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVIII - N° 2 MAGGIO 2018 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA

Sommario

Primo piano Perchè noi? 4-5 Dalle idee alla vita La missione è possibile Maggio 2018

Chiesa & missione Bimestrale dell’Ufficio Missionario Diocesano, via Trieste 13/B - Brescia Tel 030.3722350 - Fax 030.3722360

È la fiducia che deve portarci all’Amore I poveri (quelli autentici) al primo posto

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Direttore don Adriano Bianchi Direzione e redazione Via Callegari, 6 – 25121 Brescia Tel. 030.3754560 Fax 030.3751497 e-mail redazione: kiremba@diocesi.brescia.it e-mail Ufficio Missionario: missioni@diocesi.brescia.it web: www.diocesi.brescia.it/missioni Redazione don Carlo Tartari: carlotartari@diocesi.brescia.it Andrea Burato: andrea.cm@diocesi.brescia.it Claudio Treccani: claudiotreccani@diocesi.brescia.it Chiara Gabrieli: chiaragabrieli@diocesi.brescia.it Don Francesco Pedrazzi : frapedro73@gmail.com Francesca Martinengo: fra.martinengo@gmail.com

I missionari raccontano Brasile 10-11 Dal Perù al Togo 12-13 Memorie di un parroco all’ equatore 14-15

Animazione missionaria Cara acqua, acqua cara... Con tanta voglia di partire Complimenti, Congratulazioni!

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Grafica e impaginazione Andrea Burato Autorizzazione del tribunale di Brescia N. 269 del 11.07.1967 Imprimatur Curia vescovile di Brescia Stampa LITOS – Gianico (BS) Editrice Fondazione opera diocesana San Francesco di Sales, via Callegari, 6 - 25121 Brescia KIREMBA - ISSN 2533 -3062 (versione cartacea) KIREMBA – ISSN 2533 -3054 (versione digitale)

Orizzonti Comunità Migranti

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Formazione & spiritualità Dalle idee alla vita. PPM dove sei? Pregare insieme

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Abbonamento ANNUALE 12,00 euro ORDINARIO 50,00 euro sostenitori PER LE POSTE ITALIANE CONTO CORRENTE N° 389254. INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA VIA TRIESTE, 13 25121 BRESCIA CON CAUSALE: “ABBONAMENTO KIREMBA 2018” BONIFICO BANCARIO: IBAN: IT79F0311111205000000007463

IL TUO AIUTO PER LE MISSIONI UBI BANCA - AGENZIA N. 5 IBAN: IT79F0311111205000000007463 INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA - UFFICIO PER LE MISSIONI BANCA POP. ETICA VIA V.VENETO, 5 - 25128 BRESCIA C/C N. 102563 - ABI 5018 CAB 11200 IBAN IT 51 K050 1811 2000 0000 0102 563 INTESTATO A: UFFICIO MISSIONARIO - DIOCESI DI BRESCIA kiremba maggio 2018 2

Blocknotes

Agenda 27

NOVITÀ PER ACCEDERE AI CONTENUTI MULTIMEDIALI, INQUADRA CON IL TUO SMARTPHONE DOTATO DI LETTORE, IL CODICE QR PRESENTE IN ALCUNE PAGINE DI KIREMBA. CON QUESTA MODALITÀ DESIDERIAMO INTEGRARE SEMPRE MEGLIO LA RIVISTA CON LA POSSIBILITÀ DI VISIONARE FILMATI, GALLERIE FOTOGRAFICHE, SITI WEB DEL MONDO MISSIONARIO ED ECCLESIALE. QUI A SINISTRA TROVATE IL CODICE QR CHE RIMANDA AL SITO DELL’UFFICIO PER LE MISSIONI


editoriale

Dalle idee alla Vita don carlo tartari carlotartari@diocesi.brescia.it

M

i capita spesso di ascoltare alcune critiche circa la presunta astrattezza e idealità della proposta di fede. Non di rado qualcuno mi dice “voi preti dovreste essere più concreti”, “scendete nella vita delle persone”, “non raccontateci sempre i massimi sistemi sui quali siamo (forse) tutti d’accordo”. Mi pare di cogliere dentro queste voci, in questi volti incontrati, il desiderio che la vita di fede sia appunto “vita” e non semplice enunciazione di valori, principi, dogmi, insegnamenti. Si intuisce che le persone affrontano situazioni e vissuti bisognose di risposte significative ed esaustive rispetto al carico di incognite e domande che la vita presenta. Per questo forse le nostre omelie e catechesi suonano un po’ fredde, astratte, distanti, forse teologicamente ineccepibili, ma scarsamente ancorate alla vita. Mi colpisce verificare come papa Francesco abbia dedicato un consistente capitolo dell’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” proprio alla predicazione, all’omelia: l’attenzione del Papa mette in luce l’importanza della preparazione dell’omelia; una preparazione che si sviluppa non solo sullo studio e l’approfondimento teologico, ma soprattuto nell’interpellare la propria vita a partire dalla Parola. In EG leggiamo: “Rinnoviamo la nostra fiducia nella predicazione, che si fonda sulla convinzione che è Dio che desidera raggiungere gli altri attraverso il predicatore e che Egli dispiega il suo potere mediante la parola umana. San Paolo parla con forza della necessità di predicare, perché il Signore ha voluto raggiungere gli altri anche con la nostra parola” e poco più oltre: “La sfida di una predica inculturata consiste nel trasmettere la sintesi del messaggio evangelico, e non idee o valori slegati. Dove sta la tua sintesi,

lì sta il tuo cuore. La differenza tra far luce sulla sintesi e far luce su idee slegate tra loro è la stessa che c’è tra la noia e l’ardore del cuore. Il predicatore ha la bellissima e difficile missione di unire i cuori che si amano: quello del Signore e quelli del suo popolo.” Il cuore della sfida è proprio questa sintesi tra la vita e il Vangelo: l’uomo, ogni uomo, è il luogo ove questa sintesi può avvenire. Incontrando, anche in questo periodo, alcune comunità cristiane interessate ad approfondire le linee per un progetto pastorale missionario, colgo un certo smarrimento quando si affronta il “metodo” per intravedere le mete alle quali il Signore ci chiama e le tappe per giungervi, ovvero il “discernimento spirituale comunitario”. Colgo una certa incomprensione circa ciò che a prima vista appare un po’ vago, evanescente, fragile, impalpabile proprio perché appunto “spirituale”. Ma è proprio lo Spirito che ha reso possibile l’incarnazione del Verbo, ovvero la radicale decisione di Dio di rivelarsi all’uomo: non c’è nulla di più concreto dell’incontro con Gesù, il Figlio di Dio, il Messia, il Cristo. La concretezza e decisività di questo incontro ci è testimoniata da chi “si è alzato ed è andato, spinto dallo Spirito, ad annunciare l’incontro con il risorto”. In questa affermazione troviamo le vicende umane uniche e irripetibili dei missionari e delle missionarie del Vangelo, la storia di chi, avvinto dallo Spirito, si è lasciato attrarre per poi obbedire all’invito: “andate in tutto il mondo”. È proprio la Missione della Chiesa a eliminare dai nostri pensieri quella patina di astrazione e idealità disincarnata che rischia di dividere il nostro cuore in una tensione tra “idealità belle” e “fragilità concrete”. Percepire l’invito ad “alzarsi e andare” rinnova in noi l’entusiasmo di un incontro che davvero può far ardere il cuore. Il passaggio che ci attende è proprio dalle idee alla vita! kiremba marzo 2018

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Primo piano

PERCHÉ NOI? lino trentini trentini.lino@gmail.com

L

a proposta ci aveva lasciati un po’ perplessi. Perché noi? Che c’entriamo noi con le missioni? Sì, d’accordo ,ognuno di noi è missionario, ma teoricamente. N o, anche praticamente. Cioè. No. Sì insomma … eravamo in confusione! Però la proposta ci piaceva. Ci stuzzicava. Ci stuzzicava l’idea di metterci alla prova. Le sfide ci fanno venire prurito alle gengive, ci stuzzicano. Più ci rendiamo conto che siamo ignoranti, che siamo mancanti, più ci scatta dentro quella cosa lì. Rovistiamo dentro di noi, cerchiamo di interrogarci con onestà. E poi fa capolino l’imperativo, del quale hai paura ma dal quale, a volte, non puoi sottrarti: quello di sporcarti le mani. Di entrare nel fango. Di cercare di entrare nel fango. Ed è stato uno sporcarsi, un lacerante sporcarsi. Almeno con la nostra coscienza.È stato uno scendere dentro noi stessi. Provare a guardare in faccia le nostre brutture. Solo

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kiremba maggio 2018

i giovani di ghedi durante una rappresentazione in cattedrale

così riesci a vedere l’altro e a capire chi tu sei. “Non vedo. Non ti vedo […] Si sceglie di vedere? Si sceglie di non vedere? […] Non vedere è sempre un non vedersi […]Chi non sa vedere in se stesso, nelle proprie profondità, nel proprio inferno, nella propria merda che fa? Non potrà che lapidare […] Non potrà che lapidare l’immagine di sé che è nell’altro […] Non potrà che lapidare le proprie prostituzioni nell’altro.” (Dal testo della riflessione/preghiera per il convegno missionario 2017). Ci rendiamo conto che serve qualche informazione in più. Giusto per farci capire. L’ufficio missionario diocesano ha chiesto ai giovani dell’oratorio di Ghedi di preparare una preghiera/riflessione, diciamo “teatralizzata”, per il convegno del maggio scorso. Dopo qualche telefonata, ci si è incontrati, ci è stata comunicata l’architettura della giornata, si sono condivise le tematiche da sviscerare e su cui pregare, poi… appuntamento al

La missione alla fine non era più il luogo lontano e un po’ mitico dell’Africa o delle Americhe o dell’Asia. Non erano più quei tanti volti persi o sorridenti. Meglio, non solo e non sempre. E allora la risposta a quella prima domanda “Perché noi?” è venuta da sé. E a noi che ci abbiamo lavorato, ci si è impressa. La missione siamo noi. Noi siamo i mandati. La missione è attorno a noi.


Proposta

Noi siamo i mandati

13 maggio 2017 ore 9 Gran Teatro Morato ovvero il Palatenda. È incominciato il masticamento, il ruminamento, lo scrostarsi di dosso abitudini e luoghi comuni, il denudarsi. Il tema era il dolore dell’uomo che grida a Dio. Quella mattinata, in uno stretto, claustrofobico quadrato buio, a tratti tagliato dalla luce fredda dei telefonini, stavano, spaesati e forse un po’ attoniti, i convenuti. Dentro quel buio, tra quelle persone, si è tentato di dare voce e consistenza ad altre persone. Ad altre storie. Al dolore che dalla terra urla verso il cielo. “Dio Dio. Perché non ti fai vedere. Dove sei?”. Ed ecco risuonare le voci di prostitute. Delle piccole nigeriane. Le voci delle loro storie. Delle loro aspirazioni. Delle loro disillusioni. Delle loro angosce. E di contro la stridente arrogante ipocrisia di chi si sente a posto. Di noi. Più sono marcio più avrò il bisogno di vomitare addosso all’altro quel marcio che io non posso

 Che dire ancora? 12 maggio 2018. Convegno missionario diocesano. Vieni! Nessuno è esente dall’annunciare. Nessuno è esente dal cercare il fratello, dal prendersene carico e cura. Questo almeno adesso l’abbiamo capito. E non solo con la testa. Quel testo terminava così: “Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in

comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. E così sia allora! Sia nel nome del Padre. Sia nel nome del Figlio. Sia nel nome dello Spirito Santo. Su, andiamo adesso, per il nostro popolo!” Dove l’ultima frase sono le parole di Edith Stein alla sorella, mentre usciva dal Carmelo di Ecth, diretta al campo di concentramento.

tollerare in me. Ma che è me. E poi la ribellione di una madre che ha perso un figlio che lottava per la giustizia. Chiudi la porta della chiesa. Vuoi qui, prima di ascoltare ciò che avviene di là, che chiami a rassegna il dolore del mondo? Mi è morto anche prima quel figliolo. Aveva allora pochi anni. Non capisci? A qualcuna è morto. E vi sono guerre e devastazioni e stragi. Morte sulla terra. Dolore senza speranza. Forse non basta morire per la libertà? Per la giustizia? Forse che non sono salvi costoro per il dolore delle madri? Ora, fratelli, non basta amare la giustizia se non si è puri di cuore e non basta essere puri di cuore se poi non si ama la giustizia. A seguire il monologo del trafficante di armi e l’interrogativo “Perché un uomo si fa crescere la barba? Chi sono i barboni? Quale la loro condizione? Cosa grida il loro silenzio?” E infine il grande interrogativo: “No Signore no. Taci. Non andare oltre, ti prego. Lo so cosa vuoi. Dai Signore lasciami

stare. Io sono un tuo povero servo. Figlio di una povera disgraziata tua serva. Che vuoi che sappia fare io? Lo so... la storia di Caino. Sono forse io il custode di mio fratello?” Tacete! La conosco da me la risposta! “Sì Nicola. Tu sei il custode di tuo fratello. E non possiamo tacere. Sì caro il mio Andrea. Anche tu sei il custode di tuo fratello. Sì Anna, Sì Davide, Sì Armando, Sì. Sì.” E sempre sì. Questo è il nostro destino. Questa è la nostra Grazia! È stata un’esperienza forte. Molto forte. Almeno per noi. Di quelle che lasciano il segno. Di quelle che si ricordano. La missione alla fine non era più il luogo lontano e un po’ mitico dell’Africa o delle Americhe o dell’Asia. Non erano più quei tanti volti persi o sorridenti. Meglio, non solo e non sempre. E allora la risposta a quella prima domanda “Perché noi?” è venuta da sé. E a noi che ci abbiamo lavorato, ci si è impressa. La missione siamo noi. Noi siamo i mandati. La missione è attorno a noi. A Ghedi da decenni prima della funzione del Venerdì Santo non si fa più la processione. I giovani preparano una sacra rappresentazione. Tempo addietro abbastanza folkloristica, con ricostruzione di fatti e personaggi della Passione, da un po’ di anni a questa parte invece la rappresentazione ha assunto le forme di un “atto penitenziale comunitario”. Quest’anno, nel buio della chiesa, quegli stessi giovani che hanno portato la riflessione al convegno diocesano, la sera del Venerdì Santo, hanno proposto alla loro comunità quella stessa riflessione/preghiera. Sono stati missionari nella loro comunità. kiremba maggio 2018

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Chiesa & missione

È la fiducia che deve portarci all’Amore Sr Erika Guaragni srerika81@gmail.com

C

’est la confiance et rien que la confiance qui doit nous conduire à l’Amour” st. Therèse de l’Enfant

Jesus. Due anni fa, ho letto questa frase sul muro della chiesa di Lisieux, nel mese in cui studiavo il francese per prepararmi al Burundi. È una cosa semplice, quasi scontata, ma da quel giorno me la porto dentro come una rivelazione: è soltanto la fiducia che ci può portare all’Amore. Keny è un bambino vispo e simpatico, quando mi vedeva arrivare a scuola mi correva incontro e mi chiedeva di poter salire in macchina per fare qualche metro, come se fosse una giostra. Ma cosa ci faceva un bambino di 7 anni nella nostra scuola professionale? Cercava un posto sicuro dove mangiare e dormire, perchè mamma e papà lo avevano abbandonato. Un giorno l’abbiamo trovato addormentato

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SUOR ERIKA GUARAGNI

nella toilette degli ospiti: abituato a dormire nei boschi e a mangiare manioche crude, non amava le troppe cure altrui. Le famiglie che hanno cercato di accudirlo hanno rinunciato, lui non sa stare alle regole e scappa. La sua fiducia è stata tradita all’età di due anni, come fidarsi ancora? Ma un bambino, può vivere senza fiducia? No che non può, nessuno può, non fidarsi equivale a morire. Ma siccome Keny è vivo, dopo vari tentativi è riuscito a fidarsi di una famiglia che lo ama e anche se ogni tanto scappa ancora nei campi, cresce bene. Jean-Marie è un ragazzotto vivace e orgoglioso che nei mesi scorsi ha fatto la bravata di prendere parte della retta scolastica e, letteralmente, mangiarsela. Raccontava menzogne alla famiglia per avere altri soldi e a noi suore per aspettare la somma mancante. Cosa fare? La nostra fiducia era tradita, ma non cancellata.

Ma cosa ci faceva un bambino di 7 anni nella nostra scuola professionale? Cercava un posto sicuro dove mangiare e dormire, perchè mamma e papà lo avevano abbandonato. Un giorno l’abbiamo trovato addormentato nella toilette degli ospiti: abituato a dormire nei boschi e a mangiare manioche crude, non amava le troppe cure altrui. Ad accudirlo hanno rinunciato, lui non sa stare alle regole e scappa. La sua fiducia è stata tradita all’età di due anni, come fidarsi ancora?


 Testimonianza Una storia che continua  Da 50 anni in Burundi, le Suore Operaie sono di stanza a Muyinga con una piccola comunità, a Mutega con una scuola professionale alberghiera e un centro di formazione di taglio e cucito, a Ngozi e a breve anche a Mugamba. Fioriscono le vocazioni, basti pensare che ci sono settanta suore burundesi, di cui 14 missionarie in Italia, tre in Brasile, tre in Mali e tre in

In ogni angolo di mondo, le persone vivono tra fiducia e paura, diffidenza e confidenza. Qui in Burundi le guerre passate e l’instabilità presente accompagnate da povertà di ogni genere, hanno ferito i cuori; la Chiesa ci invita a percorrere la via della riconciliazione, pellegrinaggio di fiducia lungo e doloroso, puntellato di ostacoli e dove è facile cadere. La meta però è certa, la comunione con Dio, con tutti gli uomini, con tutto il creato.

Per dare possibilità di vivere, bisogna correggere e perdonare e andare avanti. Jean-Marie continua la scuola con impegno. Elyssa è timida, sta ripetendo il primo anno della scuola alberghiera ed ha delle grosse difficoltà ad esprimersi in francese. Ha sempre più paura di ottenere dei risultati negativi e forse anche per questo si ammala spesso. Si sente un po’ etichettata come “stupida”, ma noi cerchiamo sempre di darle fiducia. Sono felice di vedere che ogni tanto alza la mano con coraggio e dà la risposta quasi sempre giusta! Quello che vedo ogni giorno sono i piccoli miracoli che avvengono dove la fiducia è data e ricevuta. Quando insegno, quando lavoro con le mie consorelle o con i professori miei colleghi, quando incontro i poveri, quando vivo nella mia comunità, scopro che è la fiducia che ci fa camminare ed andare avanti.

Rwanda. Molte giovani si avvicinano a questa famiglia religiosa perché affascinate dalla sfida della comunione e dalla possibilità di vivere una vita semplice, condividendo la quotidianità e il lavoro della gente. In questo video Sr Erica si racconta.

In ogni angolo di mondo, le persone vivono tra fiducia e paura, diffidenza e confidenza. Qui in Burundi le guerre passate e l’instabilità presente accompagnate da povertà di ogni genere, hanno ferito i cuori; la Chiesa ci invita a percorrere la via della riconciliazione, pellegrinaggio di fiducia lungo e doloroso, puntellato di ostacoli e dove è facile cadere. La meta però è certa, la comunione con Dio, con tutti gli uomini, con tutto il creato. Oggi è la domenica delle Palme, a messa abbiamo ascoltato il racconto della Passione di Gesù. Noi tradiamo, Dio è fedele, noi andiamo lontano, Dio ci cerca, noi aggrediamo, Dio si lascia uccidere tra le nostre mani. Perchè ci dà fiducia? Per farci vivere. E la Vita non muore, risorge e dà vita nuova. Guardo Gesù crocifisso, penso a come si fida di me senza nessun buon motivo e come questo amore mi tiene in vita. Sarò capace di fare così almeno un po’, dare la vita senza troppo pensare a difendere la mia? Ricominciare da capo con quell’alunno che mi snerva, sorridere ancora a quella sorella che ho fatto arrabbiare, dare ancora la mano a quel professore poco serio, aiutare ancora quel povero che ci ha mentito... certamente sono grazie da chiedere per noi, per questo popolo, per tutta la famiglia di Dio dispersa in tutta la terra e che vive ancora tra rabbia e paura. Dio ci darà cieli nuovi e terra nuova e già da ora ci dona un cuore nuovo per vivere nella fede e nella fiducia il nostro pellegrinaggio su questa terra ferita e redenta. kiremba maggio 2018

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chiesa e missione

I poveri ) ici t en t u a i l l e u q ( al primo posto LUIGI AZIANI gigi.aziani@gmail.com

N

on sarà una novità, ma ogni tanto è bene ribadirlo: quello di Kiremba, in Burundi, è un Ospedale anzitutto per i poveri. Perché così è stato voluto, cinquanta e più anni fa. Un Ospedale costruito in una zona isolata, di difficile accesso e abitata da una fascia della popolazione che non ci vuole molto a capire quanto sia indigente. Dopo oltre cinquant’anni la musica – almeno per questo aspetto – non è cambiata. Tra gli stessi infermieri che lavorano in Ospedale, alcuni guadagnano ad oggi poco più di un euro al giorno. E loro sono quelli “fortunati” perché almeno hanno un lavoro! E gli altri? Per comprare una medicina sono costretti a vendere una delle quattro gallinelle che razzolano attorno alla loro misera catapecchia. E se devono farsi ricoverare, allora bisogna sacrificare una capra, sempre che ce l’abbiano… Appunto. Perché non è detto che tutti abbiano la capretta o la gallinella da

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LUIGI AZIANI CON SUOR STEFANIA ROSSI

tenere lì come “capitale” per far fronte agli imprevisti. La gente qui vive alla giornata. Quando ci si ammala (cosa nemmeno troppo difficile), si va comunque all’Ospedale confidando nel “buon cuore” di Kiremba, dove è risaputo che non si rimanda a casa nessuno senza avergli dato almeno qualche pastiglia di paracetamolo. Ecco perché a Kiremba arrivano anche malati che vengono da lontano anche se, a rigor di logica, dovrebbero farsi curare in ospedali ben più vicini ai loro villaggi d’origine. Ma in questi ospedali non li vogliono. Però anche a Kiremba bisogna andarci piano, perché se si accolgono “oves et boves” solo per non tradire la propria vocazione di “Ospedale per i poveri”, in primo luogo si rischia il collasso, e in secondo luogo si finisce per prosciugare in un baleno quelle casse dell’Ospedale dalle quali bisogna attingere ad ogni fine mese per pagare quasi duecento dipendenti!

Questo è un dato di fatto: a Kiremba medici e infermieri non si tirano mai indietro. A differenza di quasi tutti gli altri ospedali del paese, dove quando si presenta un malato per prima cosa non gli si chiede: “Che cosa ti fa male?” ma piuttosto: “Quanti soldi hai in tasca?”. E se il poveraccio confessa di non avere il becco d’un quattrino e magari di non mangiare da due giorni, lui e la sua nidiata di marmocchi, tanto peggio per lui. Regolarmente quello che si sente dire è: “Se non hai soldi non possiamo curarti”.


Testimonianza

Piccolo contributo  Per chi non vive in situazioni di estrema povertà è d’obbligo contribuire alle spese per le cure ricevute, spese peraltro proporzionate alle loro reali possibilità. Poco più di dieci centesimi di euro al giorno per il ricovero (queste le tariffe!) non è un prezzo da sanguisughe. Ma a qualcuno non si può chiedere nemmeno questo. E se non dispone di una somma così irrisoria, immaginatevi

Individuare chi vive in assoluta povertà è un lavoro difficile e delicato, perché il vero povero di solito non è che abbia piacere a sbandierarlo ai quattro venti, mentre quelli che vogliono approfittare del “buon cuore” di Kiremba si arrampicano sui vetri pur di far credere che vivono di stenti.

Per questo da qualche tempo è stato messo in piedi un “Ufficio Caritas”, presieduto da una suora delle Ancelle della Carità, col compito di capire, fra tutti quelli che si dichiarano poveri, chi sono realmente gli indigenti, ai quali garantire le cure gratuite. Ora i frutti del lavoro dell’Ufficio Caritas iniziano a vedersi. I poveri – quelli veri! – ci sono, forse più ancora di cinquant’anni fa. A loro le cure vengono assicurate grazie al sostegno economico dall’Italia, che ha definito l’aiuto agli indigenti come prioritario. La storia strappalacrime di un povero “autentico” è quella che vi racconto. Jerome è uno dei troppi bambini che arrivano all’Ospedale di Kiremba con le gambe martoriate da piaghe profonde, che sono già arrivate ad intaccare l’osso. Il nome tecnico di questa malattia che toglie ai più piccoli la possibilità di correre e saltare è “osteomielite”. A Kiremba abbiamo fortunatamente

come deve vivere… Attraverso il codice QR si può accedere ad una intervista, realizzata lo scorso anno, in cui Gigi racconta la sua missione a Kiremba e, sopratutto, gli sforzi compiuti per rendere l’ospedale una risorsa per tutti.

un bravo chirurgo ortopedico congolese che è ormai abituato a questo tipo di interventi, dovendone eseguire almeno tre o quattro al mese. Ma per la gente comune l’Ospedale è l’ultimo ricorso, al quale spesso si arriva troppo tardi, quando le condizioni di salute sono ormai gravemente compromesse. Jerome arriva accompagnato dal padre (la mamma è a casa con cinque fratelli più piccoli…) con le gambe ridotte a due esili canne piagate che non sono più in grado di reggerlo. Il villaggio da cui proviene si trova ad un paio d’ore di strada da Kiremba, e anche solo per trovare chi potesse portarlo fin qui su una moto ha dovuto tribolare non poco. Sta di fatto che le sue povere gambe sono talmente malconce che, anche sdraiato sul letto, non è capace di distenderle completamente. Per questo il medico ha stabilito che prima di operarlo gli si mettano dei pesi e delle trazioni per riportare gli arti alla loro normalità. La degenza si prospetta piuttosto lunga, e la fattura è destinata di conseguenza ad aumentare, il che preoccupa il povero papà, che confida alla suora le sue difficoltà economiche. “Ho pensato – le dice – per pagare le cure mediche di mio figlio di vendere la camicia… Però al mercato mi hanno offerto solo mille franchi (meno di cinquanta centesimi di euro!)”. Il papà è sconsolato, ma la suora lo rincuora, assicurandogli che suo figlio sarà curato senza bisogno di vendere quell’unica camicia che ha addosso. Una camicia senza prezzo, perché in quel pezzo di stoffa consunto c’è il valore di tutto l’affetto di un padre verso il figlio malato. kiremba maggio 2018

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I missionari raccontano BRASILE

un prog etto costruito passo a passo GABRIELLA ROMANO GabriellaRomano@an.gob.ve

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ono oramai sette anni che vivo nella città di Viseu, Parà, Brasile, come missionaria. Abito in una casa che se potesse parlare racconterebbe tante storie… le vicende dei tanti volontari italiani che 30 anni fa andarono a Viseu per costruire l’Ospedale, o la storia di coppie dello SVI che poi diventarono famiglie e che svolsero un servizio prezioso nella Parrocchia e nella società di Viseu. Tanto tempo fa qui c’erano i sacerdoti italiani e la comunità ancor oggi ricorda con affetto don Raffaele, don Carlo e don Gigi. Nella memoria dei “giovani” quarantenni ci sono i momenti di gioco e di allegria passati con i gruppi di giovani che venivano a trascorrere un mese missionario accompagnati dai loro curati; facevano giocare i bambini nella piazza, dormivano nelle case delle famiglie povere e condividevano i momenti di vita quotidiana di quelle famiglie, storcevano il naso alla vista

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GABRIELLA DURANTE UN MOMENTO DI ANIMAZIONE CON I RAGAZZI DELLA PARROCCHIA

della manisoba (un piatto del posto) e si accontentavano di un po’ di riso. Quante volte ancor oggi mi fermo con Travanca, Reinaldo, Nivia e Axiliadora a ricordare queste bellissime esperienze da loro vissute. Ora a Viseu c’è un Parroco brasiliano, giovane e bravo, c’è la comunità cristiana e dentro questa comunità ci sono anch’io, semplice missionaria della nostra diocesi di Brescia. Confesso che i primi anni non sono stati facili… da sola in una cultura che conoscevo solo sui libri e una lingua che balbettavo con timore. I brasiliani sono persone molto accoglienti e subito mi hanno fatto sentire bene e così piano piano è cominciata la mia avventura missionaria. Io sono partita senza un vero progetto… il progetto si è fatto strada sul posto vedendo le necessità. All’inizio, per inserirmi, sono diventata responsabile del coretto parrocchiale dei bimbi, visto che so

strimpellare la chitarra; eravamo un pochino stonati ma le esperienze fatte con questi bimbi sono indimenticabili. Le prove si facevano nella mia casa avendo una sala ampia e ci incontravamo tre volte la settimana… ma non erano solo prove, a volte si giocava, a volte si guardava un film insieme e si facevano i pop-corn Con loro ho imparato a parlare correttamente il portoghese, perché i bambini al contrario dei grandi, mi hanno sempre detto: A SENHORA ESTA FALANDO ERRADO … cioè STAI PARLANDO SBAGLIATO. Le mie imperfezioni nella lingua diventavano motivo di grandi risate e i bimbi ancor oggi ridono. Ogni tanto facevamo piccole gite all’interno della foresta dove esistono sorgive che formano piccoli laghetti e lì facevamo il bagno. Attraverso questa esperienza mi sono resa conto che in città non c’erano strutture o spazi per bambini


Viseu

Il mio contributo

 Nel mio piccolo cerco di aiutare, aprire gli occhi e denunciare… lo faccio anche attraverso la radio comunitaria dove collaboro con due programmi: Buongiorno Bambini e Invecchiare bene nella vita. Quest’ anno nel programma dedicato ai bimbi ho cominciato, in collaborazione col “Consiglio tutelare dei bambini e adolescenti

di Viseu” una campagna contro l’abuso sessuale sui bambini, una realtà cruda e sconcertante. Il lavoro in radio è di sensibilizzare perché la gente trovi il coraggio di indignarsi, scandalizzarsi e non rassegnarsi, invitiamo a non avere paura di denunciare ricordando loro che l’abuso sui minori equivale a uccidere dentro un bambino.

e che i campetti di calcio sparsi qua e là erano usati dagli adulti e i bambini erano solo spettatori e costretti sempre a giocare in strada. Così ho pensato di iniziare con un piccolo progetto: costruire un luogo tipo i nostri oratori… ma più piccolo e più modesto, un luogo dove i bambini potessero giocare con la presenza di un adulto e dove potessero anche fare merenda, sapendo che molti di loro sono malnutriti. Dopo sette anni il sogno si è realizzato, questo luogo è stato costruito e sta funzionando grazie all’aiuto di molte persone semplici e sensibili che hanno donato denaro attraverso ad alcune associazioni e al Centro Missionario Diocesano. Il mio GRAZIE per questo dono ma anche il mio invito a venirmi a trovare… nella mia casa siete sempre i benvenuti!!! La gente di Viseu ora guarda a questo luogo che ha soprannominato “il CASTELINHO” con speranza e riconoscenza. Ogni giorno circa 60 bambini giocano e fanno merenda, altri sono iscritti alle attività gratuite che offriamo: doposcuola di portoghese e matematica, corso di chitarra e pianola, corso di cucito per donne, corso di computer per bambini e adulti e corso di disegno. Anche gli anziani trovano accoglienza e una volta al mese ne riuniamo circa una quarantina, ci troviamo per un momento di formazione e svago, parliamo loro dell’importanza dell’alimentazione nell’età senile e chiariamo dubbi su alcune patologie, durante gli incontri proviamo la pressione a tutti e la glicemia e poi

alla fine concludiamo con danze e merenda. La città di Viseu è situata su un bellissimo fiume, il GURUPI. La pesca è una delle attività principali, e la maggior parte dei pescatori non la fa per vendere ma semplicemente per sfamare le proprie famiglie. Il lavoro è poco, non ci sono imprese o industrie, solo piccoli negozi, un fiume e una foresta bellissima ma difficilissima da coltivare se non si possiedono risorse. La maggior parte della gente è semplice, accogliente e generosa, assisto spesso a solidarietà tra poveri che mi commuovono e mi fanno riflettere… ma assisto anche a violenze e ingiustizie che mi amareggiano e mi sconcertano. So che quello che sto facendo è solo una piccola goccia nell’oceano ma non perdo la speranza. Io so che devo fare la mia parte e poi affido nelle mani di Dio il tutto. L’esperienza di queste povertà, vedere da vicino le persone che subiscono ingiustizie e violenze, all’inizio erano pugni nello stomaco e non sapevo come muovermi o cosa fare. Ho cominciato ad ascoltare, capire, soffrire con loro nella loro impotenza. Poi con umiltà ho cominciato a pensare a cosa potevo fare. Ho capito che si diventa missionari camminando umilmente dentro questi strati di società dimenticati; dentro storie reali di sofferenza. Mi sono sentita impotente ma ho trovato la forza, ho capito che posso donare speranza se mi abbandono e mi lascio guidare dalla Parola di Dio e dalla fede. kiremba maggio 2018

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i missionari raccontano

testimonianze

ripartiamo insieme dall’africa FEDERICA MAIFREDI capitanfede.fm@gmail.com

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l 15 febbraio si è chiusa la nostra esperienza in America Latina, una parentesi durata poco più di due anni in cui siamo stati catapultati in un mondo nuovo rispetto a quello del villaggio africano in cui ci eravamo conosciuti. Io e Andrea ci siamo infatti incontrati in Togo (Africa Occidentale) dove avevo iniziato la mia vita da laica missionaria nel 2009. Quando ormai credevo di sapere quale fosse il modo di amare che Dio mi chiedeva di dimostrare a Lui attraverso il prossimo, il mio cuore ha avuto un sussulto e ho realizzato che ne avevo di più! Andrea era un volontario a breve termine passato di lì nella missione; ci siamo innamorati ma io avevo bisogno di conoscerlo veramente bene, di “verificare” se il suo desiderio di stare con me sposava anche quello di vivere per sempre in missione. Per questo siamo finiti in Perù: per rispondere al bisogno di una figura di coppia di cui

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federica e andrea durante la loro permanenza in peru’

necessitava la casa famiglia in quella squallida periferia di Lima e, allo stesso tempo, per testare la nostra unione e lo slancio missionario di entrambi, lontano dal nostro mondo, quasi in isolamento. Lo shock è stato gelido nonostante le elevate temperature estive che ci hanno investiti quella settimana prenatalizia in cui abbiamo messo piede a Huaycan. Tutto sembrava stato messo lì apposta per noi, volutamente, per ricreare quel clima di povertà, di montagne desolate e casette di legno abbarbicate ovunque, di uomini e donne dai vestiti colorati che salgono e scendono per sentieri invisibili… poi cani, branchi di cani randagi e magri che circolavano indisturbati e si azzuffavano per un sacco di immondizia o per una cagnetta impaurita. Poi le raccomandazioni di chi ci ha accolto circa il porre attenzione a borse, zainetti e tasche in generale, al non estrarre per


Fiducia

Esperienze profonde

La domenica della Divina Misericordia la celebreremo in Togo, dove la comunità missionaria Cuori Grandi è pronta ad accoglierci nuovamente. Non saranno più Federica e Andrea a tornare, ma sarà una coppia di sposi che il sigillo del matrimonio ha unito per sempre in Perù. Siamo felici e ansiosi di rientrare nell’ ingranaggio della vita comunitaria, consapevoli allo stesso tempo che non sarà semplice e scontato ma un cammino da fare insieme agli altri membri presenti.

 Non dimenticheremo la strada percorsa lasciata dietro le nostre spalle, non possiamo dimenticare il deserto e la sete sofferta nella traversata. Non si può negare la presenza del Signore che ti accompagna pur rimanendo nascosto, forse coperto dalla tua stessa ombra nel momento in cui pensi di farcela da solo. Con il cuore carico di tutto quello

che le nostre ragazze ci hanno regalato in questi ultimi due anni, il sostegno dei nostri amici di sempre, la fiducia di chi è pronto ad accoglierci in Africa e l’amore senza eguali di Dio Padre, siamo pronti per rimetterci al servizio come famiglia cristiana nella terra d’ oltre oceano dove i nostri fratelli neri hanno ancora molto da insegnarci.

nessun motivo il telefono cellulare o qualsiasi apparecchio tecnologico in strada, al non andare soli sulle moto taxi – almeno all’inizio che non conoscevamo le strade, al non uscire dopo il calar del sole. Il paesaggio da presepe cominciò a cambiare e mano a mano che ci si metteva dentro le storie dei suoi personaggi; pareva assomigliare sempre più ad uno strato di gironi dell’inferno dantesco. Dopo un breve periodo di rodaggio, arrivarono le nostre prime tre figlie adolescenti: Estefany di 12 anni, Aracely di 13 e Katherine di 14. Il nostro obbiettivo era quello di aiutarle a vedere una realtà di famiglia diversa rispetto a quella cui erano abituate e in cui erano cresciute. Non è stato per niente facile guadagnarsi la loro fiducia e il loro rispetto, soprattutto all’inizio, quando faticavamo con la lingua e ci bevevamo qualsiasi loro scusa. La casa “hogar” (cioè focolare, inteso come famiglia) era gestita da una missionaria italiana, in Perù da 38 anni, che aveva diviso la struttura in due parti: in una le bambine e nell’altra le adolescenti. Il criterio di ingresso era deciso da lei e si basava sul grado di pericolo che le ragazzine correvano vivendo a casa loro e di conseguenza in strada. Dopo qualche mese sono diventate cinque, poi sei, poi qualcuna ha mollato ed è uscita quindi ancora quattro, poi di nuovo sei… Il secondo anno abbiamo chiuso con sette ragazze, di cui una con un grave disturbo mentale. Il denominatore comune era per tutte loro la violenza e l’abuso sessuale all’interno delle mura domestiche e, come se non bastasse, in parecchi casi la madre nascondeva e difendeva

l’orco di turno che si era scelta come compagno per non rimanere sola a sfamare gli altri bimbi che aveva avuto dallo stesso. La menzogna, il rancore, la vendetta, l’odio, i sensi di colpa e la bassa autostima sono stati i nemici contro cui abbiamo dovuto combattere tutti i giorni per dimostrare alle nostre ragazze che non è così che si cresce, che si vive, che si può essere felici! Ma è difficilissimo se non impossibile parlare di qualcosa che uno non ha mai vissuto, non ha mai provato né visto fare. La sola arma che avevamo nelle mani era quella della nostra testimonianza, il nostro esempio, credere e vivere la parola data. Questo è servito a loro come spunto di riflessione e a noi per gettare le basi di una vita insieme nel rispetto, nella verità e nella fedeltà. Le nostre giornate trascorrevano tra la sala da pranzo sommersa da libri, quaderni e penne colorate e le loro stanze da letto dove le inseguivamo per parlare, discutere o anche litigare tutte quelle volte che c’era da mettere le mani in un problema esistenziale, affettivo o “semplicemente” adolescenziale. Non è stato per niente facile dirsi addio, separarsi “dopo tutto quello che c’è stato tra di noi”, per usare una loro espressione frequente. Fin dal nostro primo mese insieme, abbiamo cercato di far capire loro quanta grazia c’era in quelle relazioni di amicizia, di famiglia, di amore gratuito tra persone che, non per caso, si ritrovavano a vivere situazioni difficili insieme. Quel tempo non sarebbe durato per sempre, ma avrebbe portato molto frutto a ciascuno di noi se valorizzato proprio nell’ istante in cui veniva vissuto. kiremba maggio 2018

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i missionari raccontano

testimonianze

memorie di un parroco all’ equatore stefano bertoni padre.estevao@yahoo.com.br

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gni lingua possiede parole che esprimono stati d’animo e che sono poi difficilmente traducibili nelle altre lingue, se non perdendo una parte del loro significato. Così è, per il portoghese brasiliano, la parola saudade. In italiano la potremmo tradurre con nostalgia, aggiungendo però un senso di mancanza e una forza silenziosa che ti attrae, senza strattoni ma con continuità. Sono rientrato solo da pochi giorni dal Brasile, dove ho vissuto nove anni, a servizio sempre della stessa parrocchia, nella periferia di Macapà. Un’area urbana in espansione, che prosegue poi all’interno del territorio per un centinaio di chilometri, abitati da piccole comunità. È là che l’equatore incrocia il Rio delle Amazzoni, il sole te lo trovi all’apice del cielo e di notte la falce di luna è distesa come un sorriso.

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Don stefano con la sua comunitÁ

Non so ancora se soffrirò di saudade, anche se qualcuno comincia già a sospettarlo. Dopo tutto anche quando si rientra dopo anni di Africa si parla di mal d’Africa, intendendo più o meno la stessa situazione. Sono sacerdote e il momento principale della giornata sarà sempre la celebrazione dell’Eucaristia e da una parte all’altra del mondo il rito liturgico è più o meno lo stesso ...ma dall’altare delle chiesette della Parrocchia Nossa Senhora de Nazaré, quando si celebra tu vedi il mondo passare. La porta e le finestre, sono necessariamente spalancate alla ricerca di un po’ di vento che mitighi il calore equatoriale e l’umidità. E la porta è sempre grande e di finestre ce ne sono tante. In questi nove anni ho visto di tutto dall’altare della celebrazione eucaristica e questo tutto entrava


Voglia di partecipare

Differenze

 Non ci crederete, ma in nove anni non mi è mai capitato che qualcuno avesse fretta durante la Messa o che guardasse l’orologio. È importante stare con Dio senza fretta. Un’altra cosa: non ho mai dovuto preoccuparmi di intonare i canti o di preparare la chiesa, le comunità sono preparate e responsabili, sanno che spetta a

Anche quando si era in pochi attorno all’altare, è sempre stata una emozione celebrare la forza dell’Eucaristia, il potere di trasformazione attraverso l’oblazione di sé, la legge dell’amore che dà vita. Ci sono ancora comunità dove questo avviene solo ogni sei mesi, così quando ci arrivi ed inizi la celebrazione, ne capisci ancor più l’importanza: rendere presente la forza dell’Amore che tutto rinnova anche lì, fra quelle famiglie. Senza Eucaristia non possiamo vivere.

nella preghiera che saliva al Padre, per mezzo dell’offerta del Figlio, a cui noi, sacerdote e comunità, cercavamo di unirci. Ricordo di avere pregato per quel giovane che correva e dietro erano in tre con il terçado (ha una lama di 40 cm), pregato per quelli che rientravano dal lavoro e per chi il lavoro non l’aveva e aveva bevuto, per i bambini che correvano dietro agli aquiloni, lo sguardo al cielo e le grida che si univano alle preghiere. Pregato per le donne che soddisfatte portavano pacchi a casa, per quelli che andavano senza sapere bene dove, per chi per un momento si fermava e guardava dentro la chiesa, per quelli che non potevano guardare perchè la loro setta evangelica diceva che loro erano superiori. Solo poche volte è capitato che qualcuno chiudesse la porta, quando fuori la violenza diventava

eccessiva. Ma non sono mai stato io a farlo: questione di fiducia in Colui che ha già donato la propria vita e con il proprio sangue versato ha messo in condizione di salvezza anche l’assassino più disperato. La porta deve stare aperta e grazie a Dio (e al caldo) là è così. Anche quando si era in pochi attorno all’altare, è sempre stata una emozione celebrare la forza dell’Eucaristia, il potere di trasformazione attraverso l’oblazione di sé, la legge dell’amore che dà vita. Ci sono ancora comunità dove questo avviene solo ogni sei mesi, così quando ci arrivi ed inizi la celebrazione, ne capisci ancor più l’importanza: rendere presente la forza dell’Amore che tutto rinnova anche lì, fra quelle famiglie. Senza Eucaristia non possiamo vivere. Delle quarantadue chiese della parrocchia una parte sono ancora in legno, costruite a palafitta, e

loro e lasciano che il sacerdote abbia tempo per ascoltare le persone e per confessare. E quanti giovani! Una volta qui a Brescia ho sentito dire che è normale che i giovani vadano poco in chiesa. Di là posso dire: è normale che i giovani vadano tanto in chiesa. La metà di quelli che incontravo nelle chiese della parrocchia erano giovani e adolescenti.

dall’altare vedi il fiume che scorre. Bellissimo. Sono le cappelle delle comunità ribeirinhas, sulla riva di uno delle migliaia di fiumi che attraversano l’Amazzonia. Quando la cappella è sulla riva del fiume, la natura fa la sua parte alla grande, con il canto degli uccelli e l’intensa vegetazione che arriva ovunque. Fra il portone spalancato e le tante finestre, la vista è di 180 gradi e ti trovi immerso nel creato. Non so se avete letto la Messa sul mondo di Teilhard de Chardin: c’erano giorni che mi tornavano in mente più o meno le parole di quel testo, in cui gli elementi del mondo diventavano strumenti della celebrazione. Probabilmente avrò saudade di questo, ma proverò anche a ricordare e rivivere quanto ho imparato nelle celebrazioni in cui la liturgia entrava nella vita delle persone, anche di quelli che non venivano in chiesa. E senza necessità di cambiare il rito, ogni volta la celebrazione sembrava nuova, ricca di un presente che irrompeva nella liturgia, invadendola senza offenderla. Certo, ci sono anche centinaia di loro che sono sprofondati nella droga e nell’alcolismo, ma questo fa parte del peccato del mondo. Ecco, ora lo sapete: sono a rischio saudade! Ma cercherò di trasformare questo sentimento in un agire pastorale che non si limiti a ricevere la situazione per come è, ma a guardarla con speranza, immergendola in una celebrazione senza confini, dove la forza straordinaria dell’Eucaristia non cessa di trasformarci. Fidei donum dopo tutto è questo. kiremba maggio 2018

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Animazione missionaria bresciamondo

CARA ACQUA ACQUA CARA... CLAUDIO TRECCANI CLAUDIOTRECCANI@diocesi.brescia.it

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li studenti della 3 A e B liceo scientifico dell’I.I.S. Don Lorenzo Milani - Montichiari, hanno partecipato ad una serie di incontri riguardo alla delicata questione della gestione delle acque e della loro distribuzione. Ecco le principali domande e risposte emerse nel corso del dibattito. Quanto è importante l’acqua al giorno d’oggi? Possiamo considerarla un bisogno o un diritto? L’acqua è la principale fonte di vita, per cui teoricamente sarebbe un diritto universale, ma non è veramente accessibile a tutti: infatti, ogni sei secondi nel mondo muore una persona per cause idrico-sanitarie. Ciò dimostra come l’acqua, a causa della sua ineguale distribuzione, sia diventata un bisogno mercificato. Quante persone rischiano di non avere più accesso all’acqua? Entro il 2025 circa metà della

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l’acqua sarÁ inevitabilmente al centro di molti interessi nei prossimi anni

popolazione mondiale non avrà più accesso all’acqua potabile; di conseguenza il XXI secolo viene considerato il secolo delle guerre per l’acqua tra chi può accedervi e chi no, tra chi potrebbe conquistarne la gestione privata e chi subirebbe le conseguenze economiche di un bene gestito in modo capitalistico. Quali sono i punti deboli dell’attuale politica gestionale dell’acqua? È meglio una gestione privata o pubblica di questo bene? Ci sono notevoli differenze tra le due tipologie di gestione: in primo luogo l’obiettivo di un gestore privato è l’incremento dei profitti derivante dalla mercificazione di un bene comune come l’acqua; l’azienda pubblica invece ha come obiettivo principale garantire l’efficienza del servizio al cittadino, senza teoricamente fini di lucro. Inoltre l’azienda a capitali privati non invita i suoi consumatori a risparmiare,

bensì sollecita un utilizzo sfrenato di un bene in continua diminuzione, al fine di aumentare il proprio profitto. È più sicura l’acqua del rubinetto oppure quella in bottiglia? Innanzitutto, bisogna distinguere l’acqua terapeutica, che viene commercializzata in bottiglia ed è nata come prodotto farmaceutico grazie alla presenza di minerali, da quella potabile. Oggigiorno la prima contiene livelli maggiori di sostanze tossiche come Arsenico, Manganese, Cadmio e Nichel rispetto a quella del rubinetto. Di conseguenza l’acqua in bottiglia è meno salutare di quella del rubinetto. Costa di più l’acqua o il petrolio? Tutti pensano erroneamente che sia il petrolio ad essere il più costoso poiché è considerato un bene prezioso per la produzione di energia. Facendo un semplice confronto possiamo notare come una bottiglia di 50 cl di acqua possa costare 0,50 €, quindi 1 €/lt mentre la stessa quantità di petrolio


Entro il 2025 circa metà della popolazione mondiale non avrà più accesso all’acqua potabile; di conseguenza il XXI secolo viene considerato il secolo delle guerre per l’acqua tra chi può accedervi e chi no, tra chi potrebbe conquistarne la gestione privata e chi subirebbe le conseguenze economiche di un bene gestito in modo capitalistico.

costi 0,49 €. È evidente che l’acqua sia un bene mercificato che costa di più rispetto al petrolio. Esistono davvero le guerre per l’acqua? Anche se sembra inverosimile le guerre causate dall’acqua esistono veramente. Un esempio può essere quello del conflitto avvenuto nel 1999 in Bolivia oppure quello nelle Filippine nel 2003. Si potrebbe pensare che questa sia una realtà lontana dalla nostra vita quotidiana, poiché siamo convinti che l’acqua sia reperibile con estrema facilità e sia una risorsa inesauribile. In realtà da essa dipende la vita di tutti gli esseri umani e controllarla comporta l’acquisizione di potere economicopolitico e sociale. L’acqua è un bene comune? L’acqua è fonte di vita. Essa costituisce un bene comune dell’umanità, è un diritto inalienabile: dunque l’acqua non può essere proprietà di nessuno, bensì una risorsa condivisa equamente tra tutti.

Quali misure si potrebbero adottare per ridurre lo spreco d’acqua? Il nostro stile di vita andrebbe sicuramente modificato, per esempio adottando semplici, ma efficaci soluzioni: si potrebbe preferire una doccia rispetto a un bagno in vasca con il conseguente minor consumo di acqua oppure chiudere il rubinetto mentre ci si lava i denti. Cos’è il Servizio Idrico Integrato? Il SII è l’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione d’acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue. L’acqua è un diritto o un bisogno? Durante il secondo Forum mondiale sull’Acqua tenutosi nel 2000 in Olanda all’Aja si è deciso che l’acqua è un bisogno e non più un diritto, inoltre nel marzo del 2003 a Kyoto si è stabilito con il terzo Forum mondiale sull’Acqua che questa risorsa è una merce. Come influisce l’acqua nei paesi in via di sviluppo? Nei paesi in via di sviluppo più di 2,2 milioni di persone, in maggioranza bambini, muoiono ogni anno per delle malattie la cui insorgenza è associabile alla mancanza di acqua potabile, a degli impianti fognari inadeguati e a un’igiene scadente. E a Brescia? Il referendum per l’acqua pubblica slitta a ottobre e potrebbe costare meno del previsto: circa un milione di euro invece che i quattro preventivati grazie al voto elettronico e alla riduzione dei componenti dell’ufficio dei seggi. Il dato certo è che la consultazione ci sarà, prima della fine del 2018 quando sarà individuato l’operatore privato al fianco del gestore pubblico Acque Bresciane. kiremba maggio 2018

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animazione missionaria

nuovi stili di viaggio

con tanta voglia di partire CLAUDIO TRECCANI CLAUDIOTRECCANI@diocesi.brescia.it il gruppo “nuovi stili di viaggio”

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lcuni giovani, che frequentano il corso del Centro Missionario “nuovi stili di viaggio”, raccontano come stanno vivendo la preparazione per un’esperienza in missione quest’estate. Roberta Sciola: l’inverno scorso ho deciso di partecipare al corso di formazione con il centro missionario della diocesi, perché ho sempre avuto un forte desiderio di vivere un’esperienza di missione. L’entusiasmo della testimonianza di un’amica, che è stata in Africa, mi ha convinta a provare e così ho iniziato questo percorso che si è rivelato fin da subito una bellissima esercitazione di confronto e di conoscenza di persone, alcune delle quali verranno con me in Mozambico ad Agosto, ma anche di temi che ci accompagnano tutti i giorni e che ci servono per essere più consapevoli dell’importanza di alcune risorse, del non spreco, 18

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della povertà che affligge alcuni paesi. Penso che sia fondamentale avere questa possibilità di crescita e di condivisione di aspettative con altri ragazzi che hanno il mio stesso desiderio. Il corso mi hanno aiutata a “leggere” questo desiderio e a comprenderne la direzione e ovviamente ad accrescere la voglia di partire! Mi piace dire che questa missione è già iniziata, ora manca solo il viaggio. L’Africa mi aspetta!! Marta Sabattoli: Ho iniziato il corso di formazione a dicembre ed è stato molto utile per comprendere a pieno ciò a cui andavo incontro. All’interno di questo corso ho conosciuto delle persone vere e belle con cui sto condividendo momenti spirituali, di comunione e attività. Ogni incontro inoltre presentiamo uno dei 17 obiettivi dell’agenda 2030 ed è interessante analizzare i dati per comprendere al meglio il mondo che ci circonda. Voglio poter vedere e toccare con mano quella terra, quelle

Voglio poter vedere e toccare con mano quella terra, quelle folle, quella povertà, quella speranza di un futuro migliore e quella fede. Vado in missione anche per me stessa, non lo nego, per imparare a vivere in condizioni differenti, per raccogliermi in silenzio e meditare sulla mia vita e sulle cose importanti, per crescere a livello umano e, perché no, anche spirituale. (Marta)


Occasioni

Uno stile semplice  Da qualche anno l’Ufficio per le Missioni della Diocesi propone un’esperienza di viaggio che fa tornare più ricchi, non solo di ricordi e di fotografie, ma anche di incontri con realtà e culture diverse, di esperienze autentiche, di amicizie nuove. Lo spirito d’avventura si unisce al desiderio di spingersi oltre i confini con uno sguardo aperto verso le persone e le comunità che si incontrano. Partire con un “bagaglio”

Ho tanto desiderio di iniziare questa esperienza della missione in un posto così lontano e così diverso da quello dove vivo, ma in realtà penso che l’esperienza sia già iniziata qui… con i miei compagni di corso e con chi ci sta guidando verso l’obiettivo finale. (Maria) Penso che un’esperienza del genere cambi le persone nell’animo, non vedo l’ora di cambiare il mio. (Monica)

folle, quella povertà, quella speranza di un futuro migliore e quella fede. Vado in missione anche per me stessa, non lo nego, per imparare a vivere in condizioni differenti, per raccogliermi in silenzio e meditare sulla mia vita e sulle cose importanti, per crescere a livello umano e, perché no, anche spirituale. Maria Seidita: è stato molto utile ascoltare le testimonianze di quanti hanno già vissuto la stessa esperienza e sono riusciti a trasferirci tutto il loro entusiasmo, con la gioia negli occhi e nel cuore sono stati per noi preziose guide, fornendo anche utili informazioni. Credo che sarà un’esperienza forte, un entrare in una dimensione che sicuramente ci cambierà e che ci porterà a vedere la nostra realtà con occhi diversi, ad apprezzare di più la nostra vita, il nostro essere e non il nostro avere. Benedetta Nassini: inizialmente ero un po’ incerta se partire, ma gli incontri sono stati utili e molto

essenziale per lasciarsi accogliere da popoli che ci fanno dono di abitudini e gusti diversi dai nostri, ma anche dei loro problemi, ci costringe a fare un viaggio anche dentro noi stessi e nello stesso tempo a “guardare le nostre vite da lontano”. Lo stile è improntato alla semplicità, all’essenzialità e all’ascolto. Le destinazioni possono essere alcune missioni in Africa, America Latina, Est Europa, Asia.

interessanti per prepararci al viaggio e per riflettere sulla nostra vita quotidiana, inoltre permettono di rimanere focalizzati sull’obiettivo in quanto spesso il viaggio mi sembra ancora molto lontano. Non so con esattezza cosa aspettarmi da questa esperienza, sono sicura che sarà profondamente toccante e cambierà il mio modo di vedere il mondo, per questo sono veramente impaziente di partire. Federica Ghitti: un giorno, credo proprio per caso, mi capitò di leggere una frase che dice così: “Centinaia di voci per formare una voce sola. “Voce” sarà il luogo di tutti, in cui ognuno potrà esaltare le proprie caratteristiche e dedicarle al prossimo in uno splendido esperimento di condivisione”. Mi aveva davvero colpita e questi termini (condivisione, voce, caratteristiche, esperimento) mi sono piaciuti tanto e durante questi mesi posso dire di aver capito che questa frase, in qualche modo, descrivesse il percorso che io, insieme ad una decina di corsisti, abbiamo deciso di intraprendere in vista dell’esperienza che vivremo questa estate. Monica Lauro: ho la fortuna di partire con una mia amica e compagna di corso e durante il nostro viaggio svolgeremo la nostra attività di ostetriche presso un centro di sanità in un ospedale dove vedremo e sperimenteremo in prima persona l’assistenza alla gravidanza, al parto, in un paese così diverso per cultura e possibilità del nostro. Dal punto di vista spirituale sto frequentando degli incontri che mi stanno aiutando a solidificare la mia fede. Più scrivo queste parole e più mi rendo conto che non vedo l’ora di partire. kiremba maggio 2018

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animazione missionaria

testimonianze

complimenti congratulazioni

P. Alessandro Garbagnati alessgarb@hotmail.com

S

ono un Missionario Comboniano rientrato dal Brasile nel 2012 per un servizio di animazione missionaria in questa chiesa di Brescia. Ora che mi accingo a ripartire per la missione, qualcuno mi ha detto: “C’è tanto bisogno anche qui!”. É vero, non si può negare che c’è bisogno anche qui, ma se mettiamo a confronto le necessità di qui e le carenze della missione, il confronto non regge. Altra osservazione: sono decenni, quasi secoli, che in Brasile mancano sacerdoti, suore e consacrati a tempo pieno per il lavoro pastorale. I cristiani di là se ne sono resi conto da un pezzo e sapendo che il prete o la suora arrivano solo qualche volta, essi stessi si rimboccano le maniche: dalla costruzione materiale (là non c’è l’8 per mille) all’organizzazione della comunità, passando attraverso la liturgia, la catechesi, la carità, fino all’amministrazione delle (poche)

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padre alessandro pronto a ripartire per il brasile

risorse, fanno (quasi) tutto loro: sì, i laici! Sentono la chiesetta o cappella come “la loro comunità”, frutto del loro lavoro, sforzo, impegno, sudore, fatica. In questo senso mi piace sottolineare come noi missionari abbiamo lasciato la missione, ma la missione non ci ha lasciato. Portiamo nel cuore la vitalità di queste chiese giovani nel sud del mondo, la loro fede in mezzo a tante prove (ingiustizie, violenze, persecuzioni), e tante altre avversità, ben maggiori dei nostri problemi; viene spontaneo ringraziare il buon Dio per la loro perseveranza! Negli anni trascorsi in mezzo a loro il Signore ci ha fatto conoscere uomini, donne, giovani e anche adolescenti seri, impegnati, la loro gioiosa e giustamente orgogliosa testimonianza: gente che cammina a testa alta senza falsa timidezza o vergogna di essere cristiano. Arrivando dal Brasile ho conservato in

Complimenti, congratulazioni sembra voler dire ancora una volta quella pagina degli Atti degli Apostoli: La chiesa non è del Papa, dei Vescovi o dei preti! Così pure per noi: la missione non è dei missionari, ma della chiesa! A proposito: è la chiesa che fa missione o è la missione che ci fa chiesa? Avvertiamo qui in Italia e in Europa il peso, la fatica di una chiesa un po’ stanca e triste... Avremo l’umiltà di metterci in ascolto delle giovani chiese in missione, dell’entusiasmo che sanno trasmetterci?


me il grato ricordo per quella chiesa che là ho conosciuto. Ripartendo per il Brasile porto con me la memoria dei laici e laiche che qui ho incontrato e con i quali ho collaborato. Vorrei dire loro: “Complimenti!”. È il titolo che mi sembra più adatto per esprimere quello che ho pensato. Prendo spunto da una pagina degli Atti degli Apostoli. Siamo così abituati a sentir parlare così frequentemente dei consacrati, che i laici sembrano a volte rimanere in secondo piano. Ecco che gli Atti, con molta sapienza e realismo, parlano davvero molto ma molto bene dei laici. Il testo è tratto da Atti 11, 19-26. Vorrei intitolarlo con questa lode: Congratulazioni! È così che sembra voler dire Barnaba, ai discepoli di Antiochia, elogiando tutti loro. Barnaba, inviato da Gerusalemme, va in visita ad Antiochia: la chiesa ufficiale, se così si può dire, scopre la chiesa “popolare”; l’autorità di Gerusalemme riconosce la fede

della nuova comunità di Antiochia! Tutto per opera dei laici che là hanno annunciato il vangelo! Potremmo inserire un dettaglio importante: Barnaba, non conoscendo ancora quello che era successo ad Antiochia, poteva arrivare con pregiudizi, con critiche o rimproveri: “Chi vi ha autorizzato a far tutto questo, senza chiedere permesso a noi, chiesa di Gerusalemme?”. Niente di tutto ciò, anzi: “Vide la grazia di Dio e si rallegrò”. Proprio così: Barnaba ha elogiato quei discepoli laici per l’opera compiuta: complimenti, congratulazioni! C’è anche la spiegazione che lascia ammirati (versetto 24): “Barnaba, uomo virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede!”. È profondamente vero: chi è pieno di spirito Santo e di fede sa vedere il bello e il buono nell’operato degli altri, si rallegra e ne gioisce. Non c’è più posto per invidie, maldicenze, critiche! Così mi piace ringraziare il Signore ricordando le numerose persone che ho conosciuto nelle parrocchie e non solo: animatori, animatrici, catechisti e catechiste, partecipanti ai gruppi o commissioni missionarie zonali. Ho trovato in loro sensibilità, preoccupazione sincera e attiva per la missione, tradotti in azione concreta nella catechesi, nella liturgia: quante belle attività! Cuore appassionato e mente illuminata hanno suggerito; braccia e mani operose hanno portato avanti. Come non pensare a Papa Francesco e a quello che ha scritto nella “Evangelii Gaudium”? Dove arriva il Vangelo, arriva la gioia! In unione di preghiera, auguri missionari a tutti! kiremba maggio 2018

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Orizzonti COMUNITÀ MIGRANTI

cominciamo noi che siamo fratelli P. DOMENICO COLOSSI COLOSSIDOMENICO@YAHOO.COM

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e migrazioni, come hanno segnato la storia e il destino di molte società, stanno scrivendo in forma nuova anche il futuro delle nostre parrocchie, data la presenza sempre più significativa di cattolici immigrati nella nostra Diocesi di Brescia. La Chiesa bresciana fin dall’ inizio di questo fenomeno ha messo in atto una “ pastorale specifica” seguendo il grande insegnamento di Paolo VI che per primo ha intuito la necessità di un loro accompagnamento pastorale “fino a che ne sussista il bisogno”. Il problema di come la Chiesa locale è chiamata ad integrare e a dare ragione della propria fede all’ interno di ogni cultura non è nuovo. Ciò che è nuovo è come questo cammino di accoglienza viene oggi visto e vissuto nelle nostre parrocchie, dove certi giudizi provenienti dalla società civile non sembrano passare inosservati e contribuiscono a creare nel sentire dei

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alcuni membri delle comunitÀ MIGRANTI CATTOLICHE DELLA NOSTRA DIOCESI

cattolici un’immagine distorta anche in relazione alla vita parrocchiale. Il Vescovo Luciano Monari di fronte al fenomeno dell’ immigrazione che in quelli anni vedeva un incremento di presenza così si rivolgeva all’ intera Diocesi nella sua lettera del febbraio 2011, anno di maggior consistenza dei residenti stranieri in provincia di Brescia. L’andamento del numero dei residenti è in diminuzione sia in riferimento agli anni precedenti 2016/2017 sia al suo andamento storico. Rispetto alo 2016 i dati forniti dall’ ISTAT indicano una diminuzione della popolazione straniera presente in provincia di Brescia di circa 5 mila persone. Si nota inoltre che i flussi migratori in provincia di Brescia dall’essere prevalentemente maschili sono stati sostituiti da quelli femminili per ricongiungimenti familiari. Tale fenomeno indica pertanto che la realtà migratoria si

sta stabilizzando sul territorio e che l’aumento della popolazione straniera nel decennio 2002/2011 determina ora un proporzionale incremento dell’acquisizione della cittadinanza da parte degli immigrati. Non poche delle nostre realtà parrocchiali pertanto stanno assumendo un volto nuovo, quello di una comunità cristiana che si arricchisce di espressioni culturali e di fede proprie della popolazione che le compone. Da qui le indicazioni pastorali del Vescovo Pierantonio Tremolada in occasione della festa delle genti il 6 gennaio 2018, festa dell’ Epifania. “Cominciamo dunque noi, noi che condividiamo la stessa fede nel Signore Gesù Cristo. Offriamo al mondo globalizzato che ci guarda in ogni luogo in cui siamo l’immagine attraente di una famiglia di popoli, di una convivialità di culture. Mostriamo a tutti come in nome di


Si nota che i flussi migratori in provincia di Brescia dall’essere prevalentemente maschili sono stati sostituiti da quelli femminili per ricongiungimenti familiari. Tale fenomeno indica pertanto che la realtà migratoria si sta stabilizzando sul territorio.

Cominciamo noi, che siamo fratelli nel Signore e, pur provenendo da diversi nazioni e continenti, ci sentiamo uno in Cristo Gesù. Non separiamoci, non creiamo recinti, gruppi che semplicemente si affiancano ma mai si incontrano, ambienti ricostruiti a immagine di quelli lasciati per sentirsi a casa là dove ci sembra di essere soltanto degli stranieri. (Omelia del Vescovo Pierantonio durante la scorsa Messa delle Genti )

Cristo si possa stringersi la mano con simpatia, comunicare in una lingua che ci permette di comprenderci senza cancellare necessariamente la propria, sentirsi parte di una cultura che accoglie rimanendo fieri della propria e vedendola riconosciuta con rispetto e simpatia. Noi che preghiamo insieme nel nome del Signore, che celebriamo insieme i misteri di Cristo, che ascoltiamo insieme la Parola di Dio, che viviamo insieme la fraternità cristiana nella forma della stima reciproca, della reciproca solidarietà e prima ancora della reciproca conoscenza, possiamo rendere evidente il disegno di comunione che Dio ha pensato da sempre per l’umanità. Cominciamo noi, che siamo fratelli nel Signore e, pur provenendo da diversi nazioni e continenti, ci sentiamo uno in Cristo Gesù. Non separiamoci, non creiamo recinti, gruppi che semplicemente si affiancano ma mai

si incontrano, ambienti ricostruiti a immagine di quelli lasciati per sentirsi a casa là dove ci sembra di essere soltanto degli stranieri. Non è questa l’esperienza di Chiesa che il Signore si attende da noi. La Chiesa risplende della luce di gloria che è la carità stessa di Dio, il suo mistero di comunione. Nella potenza dello Spirito santo è divenuto possibile ai credenti in Cristo sentirsi uno senza essere tutti uguali. Uguali sì nella dignità ma non nella cultura, nello stile di vita, nelle tradizioni, nel modo di esprimersi.” La Chiesa locale pertanto è costituita non solo da fedeli ma anche dalle loro aspirazioni, ricchezze e limiti, dal modo di pregare e di relazionarsi, dalla visione della vita e del mondo che caratterizza questa o quella popolazione. Essa ha la missione di assimilare l’essenza del messaggio evangelico e di trasferirlo, senza mai tradirne la verità, nel linguaggio proprio di una popolazione. kiremba maggio 2018

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Formazione & spiritualità

Dalle idee alla vita. PPM dove sei? CLAUDIO TRECCANI CLAUDIOTRECCANI@diocesi.brescia.it

N

el numero precedente di Kiremba suor Grazia Anna ha già introdotto alcuni elementi fondamentali delle linee per un PPM (progetto di pastorale missionario): Missionari del Vangelo della gioia. Ora credo opportuno fare memoria dell’introduzione del Vescovo Monari al documento in esame, nella quale egli auspica che ogni CPP possa elaborare un proprio PPM. Lo stile quindi di un futuro, ma non troppo, PPM dovrà tener conto dell’annuncio esplicito del Vangelo ai non cristiani ovvero della missio ad gentes, soprattutto a partire dagli ultimi, dai più lontani, dai più bisognosi, dai più sofferenti. Come procedere? Si tratta di ripensare la comunità cristiana. Si tratta di inventare nuove forme di ministeri al servizio dell’unica missione locale-universale. Una formazione quindi sui temi della fede, della pastorale ma “impastati” con la mondialità, con la vita quotidiana, con le gioie e sofferenze

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una chiesa in uscita è quella che ascolta il grido dei poveri e si lascia trascinare da loro

delle persone. In questi 15 anni le scuole bresciane hanno invitato BresciaMondo a realizzare percorsi di educazione alla mondialità con gli studenti permettendo di incontrare dai 5 ai 6 mila studenti all’anno. Intercettare questa urgenza/esigenza nei nostri oratori è ancora un lontano sogno tranne qualche eccezione. Sembrano essere percepiti come temi “non nostri”. Si tratta inoltre, nell’elaborazione di un PPM, di far nascere, ove manca, un gruppo di animazione missionaria che abbia a cuore la dimensione missionaria della propria comunità cristiana. Un gruppo di adulti formati che accompagnino e mantengano viva la missione della propria comunità cristiana. Un gruppo che animi e promuova processi di crescita, di formazione e informazione, che dia voce alle chiese del sud del mondo, che ascolti il grido dei poveri e aiuti la comunità cristiana a tradurlo in azioni concrete che diventano testimonianza

Oggi nei “nostri ambienti” è ancora difficile coniugare espressioni come: “dare la giusta mercede agli operai” e “commercio equo e solidale”; sobrietà e decrescita; “avevo sete e mi avete dato da bere” e “la campagna per l’acqua”; “salvaguardia del creato” e “sostenibilità ambientale”; “la campagna della CEI cibo per tutti” e “il diritto al cibo”, e percepirne una proficua complementarietà. Ecco solo alcune sfide del PPM quando raccomanda la formazione alla mondialità.


Nel prossimo Labmissio del 12 maggio vorremmo davvero passare dalle idee alla vita e ci auguriamo di poterci reincontrare e camminare accogliendo il Suo Regno affinché la Sua missione, uno stile di corresponsabilità, di sinodalità nella chiesa, di comunione, di ministerialità non rimangano solo delle belle parole e slogan ma diventino vita e vita piena.

e annuncio. Un PPM ci educa e ci aiuta a guidare una comunità cristiana in una logica di chiesa ministeriale dove i doni dello Spirito Santo vengono valorizzati nella e per la chiesa locale ma mai messi nel cassetto. Uno stile di comunità cristiana dove la corresponsabilità di tutti è evidente e percepita da tutti i suoi membri. Oggi, nonostante le belle parole, viviamo ancora in una chiesa clero-centrica e gerarchica. Una chiesa locale nella nostra diocesi oggi deve tendere verso una costante prassi della sinodalità affinché non sia solo un moderno slogan ma sia comunicata con la testimonianza, sia vissuta nelle nostre realtà. Ecco solo alcuni esempi di conversione dalla pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria. Da una pastorale vecchia e ammuffita ad uno stile ringiovanito. Forse così la smetteremo di lamentarci dei giovani che non ci sono. Io credo che i giovani ci siano ma non abbiano lo spazio adatto per manifestare lo fede che è in

loro. Le linee del PPM ripropongono le indicazioni dell’Evangelii Gaudium per una chiesa in uscita, un ospedale da campo. La missio ad gentes deve diventare lo spirito della missione della chiesa nel mondo. Il che significa continuare ad inviare fuori dai nostri territori laici, consacrati, presbiteri. Ancora un richiamo forte nelle linee del PPM ci riconducono all’EG: una chiesa in uscita è quella che ascolta il grido dei poveri e si lascia trascinare da loro. Ma come essere attenti al grido dei poveri senza conoscerne le cause, i meccanismi, ed arrivare ad individuare la nostra corresponsabilità? Avviare processi di formazione è urgente! I poveri, gli esclusi non possono aspettare! Il PPM ci invita ad andare ancora oltre: mai come oggi è inevitabile una denuncia esplicita delle cause che creano e costruiscono la povertà nel mondo dove la distinzione geografica tra nord e sud è sempre meno visibile. Ed ancora, sempre nella linea della conversione, l’incontro personale

rappresenta la miglior testimonianza di vita, un dialogo fraterno ma soprattutto sincero, costruttivo. Relazioni umane di scambio, preghiera, conforto, sostegno. La logica di una presenza della chiesa locale come accoglienza del Regno di Dio al suo servizio è ancora ben lontana dalle nostre faccende domestiche. Prevale ancora “la nostra proposta” nell’attesa ma soprattutto speranza che molti possano aderire. Emerge ancora troppo la cultura dell’apparire e meno la verità delle relazioni personali, lasciando così spazio al male che cresce e distrugge. Al centro Missionario sono arrivate circa 40 richieste per presentare il PPM nelle parrocchie o unità pastorali e ci auguriamo di poterlo condividere ancora in tante altre occasioni. Sono in corso processi, cambiamenti anche se lenti, le comunità si stanno interrogando sul come testimoniare il vangelo oggi. Grazie per tutto questo lavoro, impegno, scambio, ricerca di nuove vie della missione. kiremba maggio 2018

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formazione & spiritualità

 La preghiera dei santi missionari DON FRANCESCO PEDRAZZI - frapedro73@gmail.com

Pregare insieme Suor Irene deve la sua fede granitica specialmente alla madre, morta mentre ha appena sedici anni.

Nella precedente tappa del nostro itinerario alla scoperta della preghiera dei santi missionari abbiamo incontrato un santo bresciano, il beato Paolo VI, che verrà canonizzato nel prossimo autunno. In questa tappa ricordiamo un’altra figura bresciana, elevata di recente alla gloria degli altari (il 23 maggio 2015): la beata Irene Stefani. Suor Irene Stefani, al secolo Mercede Stefani, nasce il 22 agosto 1891 ad Anfo in Val Sabbia. Nel 1911 entra nell’Istituto delle Missionarie della Consolata. Nel 1914 parte per il Kenya, dove si dedica all’assistenza dei malati negli ospedali militari, in ambienti fatiscenti, disorganizzati e privi delle più elementari norme igieniche. Trascorre le sue giornate lavando, medicando e fasciando piaghe e ferite. Successivamente, a partire dal 1920, si dedica all’insegnamento scolastico. Nel contempo continua anche ad assistere i malati, pur consapevole del rischio di essere contagiata dal morbo della peste. È ciò che avviene: contrae la terribile malattia e muore il 31 ottobre 1930, a soli 39 anni. Chi l’ha conosciuta ha osservato: «Suor Irene non è morta di un male: è stata uccisa dall’amore». In effetti, la sua morte corona pienamente un programma di vita racchiuso in poche parole formulate al momento della professione religiosa: «Gesù solo! Tutta con Gesù/Nulla da me/ Tutta di Gesù/Nulla di me/Tutta per Gesù/Nulla per me:/Hoc fac et vives! (Fai ciò e vivrai!)». Suor Irene deve la sua fede granitica specialmente alla madre, morta mentre ha appena sedici anni. Sin da allora vive la sua donazione totale a Gesù, dedicandosi alla cura delle sorelle più piccole e traendo forza dalla preghiera del rosario e dalla partecipazione quotidiana alla santa Messa. È sollecita, inoltre, nel divulgare l’Apostolato della preghiera, che in quel tempo ruotava attorno ai sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia.

Ogni santo, nelle piccole e grandi cose, ha dimostrato coraggio perché lo Spirito Santo abita dentro di lui e agisce in modo evidente, diceva San Paolo: «non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me».

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La fiamma della fede in Cristo si alimenta ulteriormente nella “seconda vita” in terra africana, dove suor Irene si prefigge di tenere vivo uno sguardo contemplativo anche in mezzo alla febbrile attività missionaria. La si vede girare per le capanne con la corona del rosario in mano, sempre con un sorriso luminoso, perché la sua gioia più grande è poter annunciare la bontà misericordiosa di Dio, mediante la materna sollecitudine per i poveri e i malati. Colpiti dalla sua testimonianza, molti si convertono e chiedono il battesimo. Viene soprannominata “Nyaata”, che significa “Madre misericordiosa”, perché davvero lo Spirito Santo ha fatto di lei uno strumento della “maternità” e della “tenerezza” di Dio, specialmente attraverso la generazione alla vita nuova per mezzo della fede in Gesù e dell’acqua battesimale. Dio stesso ha posto un sigillo sulla sua attività missionaria: il miracolo che ha consentito la sua beatificazione è la prodigiosa “moltiplicazione dell’acqua” di un fonte battesimale, che ha consentito a decine di persone asserragliate in una chiesa di sopravvivere all’assedio dei miliziani. Insieme avevano invocato l’intercessione di Nyaata. Un anziano disse di lei: «Noi abbiamo creduto alla sua parola perché abbiamo toccato il suo amore». Sarebbe bello si potesse dire questo di ogni cristiano…


FORMAZIONE MISSIONARIA

Blocknotes

Presso il Centro CUM di Verona - 24 -29 luglio: CO R S O D I F O R MA Z I O N E B I B L I CO MISSIONARIA La teologia del popolo nel I e nel II Testamento con il metodo della Lettura Popolare della Bibbia - 21 - 23 settembre MISSIONE 2.0: COMUNICARE LA MISSIONE CON I SOCIAL-MEDIA Il montaggio video: tecniche e soluzioni efficaci per brevi video da pubblicare sui social e sui siti per operatori di pastorale missionaria e equipe di Centri Missionari Diocesani - 29 settembre EDUCAZIONE ALLA MONDIALITÀ NELLE SCUOLE E NELLE PARROCCHIE per operatori di pastorale missionaria e equipe di Centri Missionari Diocesani Termine iscrizioni: 5 settembre 2018 Per maggiori informazioni Fondazione CUM - Tel. +39 045/8900329 Email: segreteria@fondazionecum.it

Giornate Nazionali di Formazione e Spiritualità missionaria Si terrà dal 26 al 29 agosto 2018 ad AssisiSanta Maria degli Angeli presso la Domus Pacis la 16ª Edizione delle Giornate Nazionali di Formazione e Spiritualità Missionaria, che ci introduce all’animazione missionaria del nuovo anno pastorale. Il tema delle giornate: riprende come sempre lo slogan della prossima Giornata Missionaria Mondiale 2018. L’invito è rivolto principalmente a direttori, équipe e animatori di Centri/ Uffici Missionari Diocesani, ad animatori parrocchiali oltre che ad appartenenti ad Istituti e Congregazioni maschili e femminili, seminaristi, a ONLUS e ONG di ispirazione cristiana impegnate nella missione, per qualificare meglio il proprio servizio missionario alla Chiesa e al mondo. Per informazioni: missioni@chiesacattolica.it - tel: 06 66398308

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DIOCESI DI

BRESCIA Ufficio per i Migranti Ufficio per le Missioni Ufficio per il Dialogo Interreligioso Ufficio per l’Impegno Sociale

PARROCCHIA STOCCHETTA BRESCIA

dei

MER

09 MAGGIO

MAGGIO

2018

Dalle idee alla vita

Chi non arde non incendia

VEN

11

MAGGIO

Marcia interreligiosa per la pace

Proposta per giovani dai 18 ai 25 anni

Fossa Bagni

Oratorio S. Afra - Vicolo dell’Ortaglia, 4 Goito

20.30

Partenza accanto alla chiesa di San Faustino

dalle ore 19.00

• Aperitivo con il missionario

Via S. Faustino, 74

Arrivo al Convento dei Francescani

• “Irene” spettacolo teatrale della compagnia Controsenso

Via S. Francesco d'Assisi, 1

psl@diocesi.brescia.it dialogointerreligioso@diocesi.brescia.it

DOM

13

• Dialogo e confronto

SAB

12

MAGGIO

Festa dei Popoli

MAGGIO

Oratorio S. Angela Merici - Via Cimabue, 271 Via Robusti S. Polo 9.00

LabMissio

Dalle idee alla vita

Accoglienza

Il progetto di pastorale missionaria MISSION IS POSSIBLE

10.30

Celebrazione della S. Messa presieduta dal Vescovo

Oratorio S. Angela Merici - Via Cimabue, 271 Via Robusti S. Polo

12.00

9.00

Degustazione di piatti tipici

Accoglienza

13.00

9.15

Spettacolo animato dalle comunità etniche

Saluto iniziale

18.00

11.00

Saluti finali

Intervento di Luca Moscatelli

Durante la giornata saranno aperti gli stand delle comunità migranti in cui si potranno ammirare oggetti artistici dei diversi Paesi.

(Ufficio Catechesi Diocesi di Milano)

13.00 - Pranzo comunitario www.diocesi.brescia.it/missioni

S. Faustino

030.41356  centromigranti@diocesi.brescia.it

Cmd Centro Missionario Brescia CON IL SOTEGNO

Centro Migranti


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