SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERÇUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVII - N° 2 MAGGIO 2017 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA
Esodo: il Popolo di Dio in cammino
Maggio 2017
SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERçUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVII - N° 2 MAggIO 2017 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEgNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA
SOMMARIO
Primo piano Burundi: Perchè amore chiama amore
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Esodo: il Popolo di Dio in cammino Maggio 2017
Chiesa & missione Bimestrale dell’Ufficio Missionario Diocesano, via Trieste 13/B - Brescia Tel 030.3722350 - Fax 030.3722360
LabMissio 2017 I° Festival della Missione Cara parrocchia quale Popolo vuoi essere?
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Direttore don Adriano Bianchi Direzione e redazione Via Callegari, 6 – 25121 Brescia Tel. 030.3754560 Fax 030.3751497 e-mail redazione: kiremba@diocesi.brescia.it e-mail Ufficio Missionario: missioni@diocesi.brescia.it web: www.diocesi.brescia.it/missioni Redazione don Carlo Tartari: carlotartari@diocesi.brescia.it Andrea Burato: andrea.cm@diocesi.brescia.it Claudio Treccani: claudiotreccani@diocesi.brescia.it Chiara Gabrieli: chiaragabrieli@diocesi.brescia.it Don Francesco Pedrazzi : frapedro73@gmail.com P. Gabriele Bentoglio: gabrielebentoglio@gmail.com Francesca Martinengo: fra.martinengo@gmail.com
I missionari raccontano Brasile 12-13 Mozambico 14-15 Albania 16-17
Animazione missionaria Il Festival della missione a Brescia Nuovi stili di viaggio
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Grafica e impaginazione Andrea Burato Autorizzazione del tribunale di Brescia N. 269 del 11.07.1967 Imprimatur Curia vescovile di Brescia Stampa LITOS – Gianico (BS) Editrice Fondazione opera diocesana San Francesco di Sales, via Callegari, 6 - 25121 Brescia
Orizzonti Fidarsi di Dio conviene
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Formazione & spiritualità ABBONAMENTO ANNUALE 12,00 EURO ORDINARIO 50,00 EURO SOSTENITORI PER LE POSTE ITALIANE CONTO CORRENTE N° 389254. INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA VIA TRIESTE, 13 25121 BRESCIA CON CAUSALE: “ABBONAMENTO KIREMBA 2017” BONIFICO BANCARIO: IBAN: IT79F0311111205000000007463
IL TUO AIUTO PER LE MISSIONI UBI BANCA - AGENZIA N. 5 C/C N. 7463 - ABI 3500 - CAB 11205 IBAN: IT75S0350011205000000007463 BANCA POP. ETICA VIA MUSEI, 31 - 25122 BRESCIA C/C N. 102563 - ABI 5018 CAB 11200 IBAN IT 51 K050 1811 2000 0000 0102 563INTESTATO A: UFFICIO MISSIONARIO DIOCESANO. kiremba maggio 2017 2
No ell’inequità che genera violenza Pregare Insieme
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Blocknotes
Agenda 27
NOVITÀ PER ACCEDERE AI CONTENUTI MULTIMEDIALI, INQUADRA CON IL TU SMARTPHONE DOTATO DI LETTORE, IL CODICE QR PRESENTE IN ALCUNE PAGINE DI KIREMBA. CON QUESTA MODALITÀ DESIDRIAMO INTEGRARE SEMPRE MEGLIO LA RIVISTA CON LA POSSIBILITÀ DI VISIONARE FILMATI, GALLERIE FOTOGRAFICHE, SITI WEB DEL MONDO MISSIONARIO ED ECCLESIALE. QUI A SINISTRA TROVATE IL CODICE QR CHE RIMANDA AL SITO DEL CMD DI BRESCIA
EDITORIALE
Incontro con Gesù Risorto DON CARLO TARTARI CARLOTARTARI@DIIOCESI.BRESCIA.IT
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ancano pochi giorni a Pasqua. Anche noi, come i discepoli, saliamo a Gerusalemme; percorriamo questo tratto di strada in salita con il carico delle attese, della fatiche, delle speranze e delle paure con le quali i dodici hanno seguito Gesù. Sappiamo bene che loro non reggeranno il peso, non avranno forza, saranno deboli, rinunciatari, paurosi e fuggiaschi. Un gruppo fallibile, debole, fragile, ma così profondamente umano e simile a noi! Mi colpisce sempre constatare che Gesù non li scarta, non li rifiuta, non si rivolge ad altri, ma proprio a loro consegnerà la Missione: come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi! C’è un “di più” di fiducia in Gesù e l’incontro con il Risorto trasforma la vita dei discepoli. Andiamo verso questo incontro: non con il “Gesù della storia”, ma con il Signore Risorto. La Missione della Chiesa nasce da qui, da questo incontro, da questa scelta fedele di Gesù. La continuazione della Missione ha bisogno di ripartire ora e sempre da questo mandato del Risorto ai discepoli: questi se ne stavano a guardare il cielo laddove Gesù è salito, ma poi il loro sguardo e i loro passi si sono rivolti alla terra, al mondo, alla vita dei fratelli. La fatica più grande non sarà “salire a Gerusalemme”, ma scendere laddove l’uomo soffre, grida, dispera, invoca aiuto. I discepoli lo hanno compiuto, questo pellegrinaggio, e con loro generazioni e generazioni di credenti: è l’itinerario della missione di sempre, da Gesù ai fratelli, dai fratelli a Gesù. Il popolo di Dio si arricchisce di giorno in giorno di presenze, volti,
vissuti e si amplia raggiungendo culture e linguaggi diversi e variegati. Dal popolo ai popoli: la missione si allarga oltre la cerchia iniziata nell’Alleanza antica e comincia a interagire con sistemi di pensiero inediti. I pagani incontrano Gesù: lo conoscono perché i missionari del Vangelo battezzano e annunciano, testimoniano e raccontano. L’incontro con i pagani arricchisce la Chiesa perché la “costringe” a rinnovarsi costantemente nella capacità di “dare ragione della speranza” che è nei discepoli di Gesù. La Chiesa di oggi è posta in continuo dialogo e confronto con mondi e culture altre, con linguaggi e mezzi nuovi, con domande dubbi attese inedite. Per questo c’è bisogno di missionarie e missionari capaci di ri-andare sempre all’incontro con il Risorto e affascinati dall’idea di scendere fin là dove Gesù si inoltra per essere certi che la Missione non è dei discepoli, ma è di Gesù, il Figlio inviato dal Padre. Il 13 Maggio nel contesto del Laboratorio Missionario potremo accogliere e raccontare questa storia che diviene sguardo sul presente e progetto per il futuro della Missione. L’invito è rivolto ai discepoli di oggi, alle parrocchie, ai gruppi missionari, ai giovani, agli animatori, a tutti coloro che sentono di non voler essere spettatori, ma coinvolti e inviati in questo cammino di salvezza compiutosi con la Resurrezione. Ci sentiamo costantemente uniti nella preghiera perché il ricordo reciproco incoraggia e accompagna, libera dalle paure e da uno scoraggiante senso di inadeguatezza: il discepolo è sempre inadeguato, ma proprio per questo ad emergere, a trasparire è l’azione del Signore Risorto. Buona Pasqua kiremba maggio 2017
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Primo piano
BURUNDI
PERCHÉ AMORE CHIAMA AMORE CHIARA GABRIELI CHIARAGABRIELI@DIOCESI.BRESCIA.IT
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uanti ricordi, immagini e parole affollano la mente, svuotano e riempiono il cuore. Sono appena rientrata da un viaggio in missione in Burundi ma parte di me è ancora là. È rimasta là la parte più fragile, ma vi è rimasta non per frantumarsi ancora di più, anzi, per rimettersi insieme, ricomporsi ancor più di prima. L’Africa ti regala anche questo. Si pensa sempre di partire forti, sicuri e con l’ambizione di portare qualcosa in un paese lontano e povero, e invece accade esattamente l’opposto. Il Burundi, l’Africa tutta, ti divide, ti spezza in due: da una parte capisci di avere nulla nel tutto e dall’altra di avere tutto nel niente. Noi “occidentali” abbiamo tutto, ma non siamo capaci di tenercelo stretto, di viverlo appieno, perché smaniosi di avere di più, incapaci di sostare a vedere e assaporare il momento offerto. Siamo continuamente alla
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I SORRISI DEL POPOLO BURUNDESE SONO CONTAGIOSI
ricerca di qualcosa di meglio. In Burundi, invece, ho imparato che nel poco può stare il tutto, che ciò che ho oggi è meglio di quanto potrò avere domani perché il domani non so cosa mi offrirà, mentre l’oggi lo sto vivendo e toccando. Se penso ai miei dieci giorni in missione, il momento che prende spazio nelle mia mente è l’ultimo passaggio, in particolare, quando ho lasciato la storica missione bresciana a Kiremba, dove da quasi 60 anni la Diocesi di Brescia, insieme alla Diocesi di Ngozi, gestisce l’Ospedale. Sono sulla Toyota Miva, insieme ai miei compagni di viaggio, la strada rossa e sterrata che lascio alle mie spalle sta per terminare per iniziare quella asfaltata che ci porta alla capitale Bujumbura: chiudo per un attimo gli occhi, respiro a fondo per trattenere il più possibile l’odore di terra rossa, ascolto l’acciottolio delle ruote su quella terra e poi mi
Quante volte mi sono commossa passando tra i letti dell’Ospedale intitolato a Mons. Monolo, incrociando lo sguardo di alcuni bambini, spesso abbandonati dai loro familiari perché gravemente segnati da malattie e infermità. Quante manine di neonati ho accarezzato mentre erano stretti tra le braccia della loro mamma, la maggior parte delle volte ancora minorenne; in quelle carezze ho pregato perché quella nuova vita fosse il più possibile serena, lunga e felice.
Chi opera sul campo
Incontri
volto e guardo dal lunotto il marè (vallata), dalle mille sfumature di verde che mi ha accolta e mi ha fatto conoscere, e incontrare persone meravigliose, povere ma sempre sorridenti. In quei pochi istanti, come dei piccoli flashback, scorrono momenti, rivivono incontri, emozioni e scendono lacrime. Quante volte mi sono commossa passando tra i letti dell’Ospedale intitolato a Mons. Monolo, incrociando lo sguardo di alcuni bambini, spesso abbandonati dai loro familiari perché gravemente segnati da malattie e infermità. Quante manine di neonati ho accarezzato mentre erano stretti tra le braccia della loro mamma, la maggior parte delle volte ancora minorenne; in quelle carezze ho pregato perché quella nuova vita fosse il più possibile serena, lunga e felice. All’ospedale ho avuto anche il
ll viaggio mi ha dato la possibilità di incontrare numerosi italiani e bresciani che operano presso la missione: Luigi Aziani, coordinatore locale presso l’Ospedale che quotidianamente con professionalità e amore visita ogni reparto, incontra e dialoga con medici, infermieri e pazienti. Elide Colombi, bresciana di Lograto, infermiera professionale che con pazienza e brio forma
infermieri e operatori affinché possano dare il loro meglio all’interno della struttura. Sr. Stefania Rossi, Ancella della Carità, che con la sua dolcezza ed attenzione, insieme alle sue consorelle, allevia la sofferenza dei malati preparando loro, ogni giorno, una colazione ed un pasto caldo. Luciano Rangoni, ex postino in pensione di Villa di Erbusco, che da 15 anni ha fatto di Kiremba la sua casa.
grande dono di poter assistere ad un parto: l’unico momento in cui da una grande sofferenza e da un grande dolore nasce la vita, esplode la gioia. Volevo viverlo non più da protagonista, dopo aver dato alla luce due splendidi bambini, ma a fianco di chi sta partorendo e da quel travaglio di una madre sedicenne è nata una bellissima bambina che ho soprannominato Celestine. Luciano Rangoni un volontario da molti anni in Burundi, ci ha accompagnato tra i bananeti ad incontrare i Batwa: una popolazione che vive una condizione di vera e propria miseria. Bambini di 7 o 8 anni che tengono perennemente sulle spalle i loro fratellini più piccoli, a piedi scalzi, in costante contatto con la terra umida quando piove e arida nel periodo di siccità. Indossano magliette donate dai mzungu (i bianchi) a volte di taglie quattro o cinque volte superiori. Queste magliette diventano la loro seconda pelle: logore, di un colore ormai indefinito e piene di buchi fino a quando consumate si staccano dai loro corpi esili. Il nostro arrivo nelle loro case, capanne fatte di foglie di banane e arbusti, ha destato in loro una grande curiosità; ci seguivano osservando e “studiando” ogni nostra mossa. Bastava dire loro “amahoro” (che in lingua kirundi significa pace ed equivale ad un nostro “ciao”) e i volti inizialmente guardinghi si trasformavano in grandi sorrisi e occhi luminosi. Quanto mi ha fatto tenerezza questa popolazione così umile che incontrando tanti mzungu ricchi di
tecnologia non domandavano nulla se non il desiderio di rivedersi nel piccolo schermo della fotocamera come fosse la prima volta allo specchio. Nei dieci giorni trascorsi in Burundi abbiamo avuto la possibilità di visitare diverse missioni dove prestano servizio suore bresciane, alcune delle quali, da decine di anni, hanno fatto del Burundi la loro missione di vita. Sr. Bruna Chiarini, Missionaria Marista, che ha fondato il Centro Giriteka a Ngozi e, da più di 40 anni, con dedizione e tenerezza, accoglie, educa e forma bambini e giovani orfani e senza tetto come se fossero figli suoi. Sr. Adelia, Missionaria Marista di Sarezzo, a Rwarangabo, che insieme alla sue consorelle gestisce u n a m b u la to ri o p e r bamb i n i malnutriti e una scuola professionale di sartoria e falegnameria. Sr. Ignazia e Sr. Erika, Suore Operaie, rispettivamente da 45 anni e da 9 mesi a Gitega, dove gestiscono vari corsi professionali e al centro della loro missione pongono i giovani e la loro educazione. Sr. Iolanda e Sr. Vittoria, Suore Dorotee da Cemmo da decenni a Murayi, che hanno negli occhi e nel cuore una comunità forte e ben strutturata di giovani e adolescenti. Tutte queste figure di donne mi hanno trasmesso in modo chiaro e forte l’amore per il bene, per il prossimo, per l’Africa. Nei loro occhi traspare tutta la gioia e il mettersi a servizio del prossimo. Questo è stato il mio viaggio, il mio Burundi che mi ha portato a dire Amore chiama Amore…sempre. kiremba maggio 2017
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Chiesa & missione
LABMISSIO 2017 I L O P O P I A D : O D O S E AL POPOLO DI DIO SR.GRAZIA ANNA MORELLI GRAZIANNASMSM@GMAIL.COM
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erché parlare di Esodo nel LABMISSIO di quest’anno? La scelta è evidentemente fondata su una lettura della realtà che stiamo vivendo, quella di popoli che si mettono in cammino verso una Terra Promessa, dove sperano trovare la vita che è loro negata nei Paesi di residenza. Quotidianamente siamo confrontati con questa realtà, dura da vivere e non semplice da condividere. Noi del CMD pensiamo che una riflessione comune delle forze missionarie della Chiesa bresciana sull’Esodo, non solo come storia passata di un popolo particolare, come è stato il popolo d’Israele, ma come PARADIGMA del cammino e della storia di tutti i popoli e quindi anche della nostra, possa aiutarci a discernere i passi di Dio nel nostro oggi. Cosa vuole dirci il Signore in questo tempo storico, con gli avvenimenti
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IL LABMISSIO: GRANDE ENERGIA E COINVOLGIMENTO
che viviamo, attraverso le migrazioni di popoli interi e numerosi verso un luogo che per loro diventa Terra di speranza? Cosa vuol dire a noi come Chiesa ormai “invecchiata” nel suo modo di accogliere e di annunciare la gioia del Vangelo? Come l’esodo di questi popoli diventa per noi chiamata ad “uscire”, dai nostri schemi ecclesiali, da una pastorale di conservazione verso una pastorale di missione, da una fede scontata e non più incidente sulla nostra vita, verso una fede che cambia l’esistenza e diventa risposta alla chiamata di Dio, percepita come realtà sempre nuova? Questo vorremmo ripensare insieme nel LABMISSIO 2017. Insieme ripercorreremo l’esodo del popolo di Israele, dal suo grido a Dio, fino all’ingresso nella Terra. Un esodo, un’uscita da sé per seguire il Dio del cammino, che ascolta, accompagna, guida, rimprovera, libera. Un invito
Cosa vuole dirci il Signore in questo tempo storico, con gli avvenimenti che viviamo, attraverso le migrazioni di popoli interi e numerosi verso un luogo che per loro diventa Terra di speranza? Cosa vuol dire a noi come Chiesa ormai “invecchiata” nel suo modo di accogliere e di annunciare la gioia del Vangelo?
Testimonianza
Famiglia Missionaria Al Labmissio 2017 ci saranno anche Chiara e Giovanni Balestreri, tornati in Italia nel gennaio del 2013 dopo due esperienze di missione in Sri Lanka e in Perù come missionari Fidei donum legati alla diocesi di Milano. A chi chiede come vivano la loro vocazione, rispondono così: “Pensiamo che la famiglia missionaria dovrebbe essere la prerogativa di
tutte le famiglie cristiane se intendiamo come missionario colui che testimonia il vangelo nella vita quotidiana. Quindi più che sentirci vogliamo continuare a cercare di essere una famiglia missionaria. L’aver accettato poi la proposta di abitare in una casa parrocchiale ci aiuta a continuare a vivere con una certa precarietà evangelica che favorisce questa nostra ricerca”.
Dai popoli al Popolo (il titolo del Labmissio di quest’anno) vuole proprio dire questo: un cammino di unità che non è certo uniformità, ma processo di rinnovamento di ognuno intorno e attraverso Cristo, Parola di Dio. Ecco perché un esodo continuo, una storia che continua. L’unità è la fine e il fine di un cammino in cui ogni passo è possibilità di trasformazione.
a provare questa uscita, a tentare un discernimento delle vie più valide per il cammino, ad imparare ad affidarsi a un Dio che è presente lungo tutto il percorso, ma che chiede anche abbandono, presa di responsabilità, obbedienza alla sua voce. Durante l’Esodo le varie tribù di Israele diventano popolo di Dio, riunito intorno alla sua Parola. L’esodo è dunque anche un cammino di unità fra i popoli. Dai popoli al Popolo (il titolo del LABMISSIO di quest’anno) vuole proprio dire questo: un cammino di unità che non è certo uniformità, ma processo di rinnovamento di ognuno intorno e attraverso Cristo, Parola di Dio. Ecco perché un esodo continuo, una storia che continua. L’unità è la fine e il fine di un cammino in cui ogni passo è possibilità di trasformazione. Mi ha sempre colpito un passaggio della lettera di Paolo agli Efesini:
Questi (Gesù), infatti, è la nostra pace, colui che ha fatto di entrambi (Giudei e pagani) una cosa sola, abbattendo il muro di mezzo che li divideva . (Ef. 2,14) Ciò che si mette in evidenza in questo testo è che le genti, i pagani, non sono stati incorporati nel popolo d’Israele, ma che questo stesso è diventato altro rispetto a ciò che era. In Cristo i due non diventano un popolo solo ma una cosa sola, cioè una unità che non si basa sull’assimilazione ma su una nuova creazione. Il cammino di unità dei popoli diventa quindi un nuova creazione che suppone un cambiamento della Chiesa stessa nell’accoglienza e nel dialogo con gli altri popoli. Qualcosa di nuovo come Dio solo lo sa creare quando ognuno si lascia plasmare da lui. Dopo l’esperienza positiva dell’anno scorso, abbiamo pensato
di declinare i diversi momenti del Labmissio utilizzando alcuni linguaggi. Inizieremo con un momento di preghiera drammatizzato che ci porrà in ascolto delle grida dell’umanità, guidati dal gruppo teatrale Oratorio di Ghedi. Seguiranno poi le testimonianze di Giovanni e Chiara Balestrieri e di Padre Gerardo Sanchez, che ci racconteranno come il Signore è intervenuto nella loro vita. Sarà poi il Vescovo Luciano Monari a raccontarci come Dio accompagna e protegge il suo popolo. Chiuderà la mattinata Antonella Mattei che, attraverso un reading musicale, ci introdurrà al tema della terra promessa. Verso le 12.30 pranzo a buffet offerto ai partecipanti e alle ore 14.00 inizieranno i laboratori tematici. Contiamo su una massiccia presenza. Ne vale la pena. kiremba maggio 2017
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CHIESA E MISSIONE
A BRESCIA IL PRIMO FESTIVAL DELLA MISSIONE GEROLAMO FAZZINI FAZZINI.GEROLAMO@GMAIL.COM
BRESCIA SI PREPARA AD ACCOGLIERE ANCHE QUESTO IMPORTANTE EVENTO MISSIONARIO
uando - nell’estate 2014, a Pesaro - per la prima volta ho presentato alla Cimi (Conferenza istituti missionari italiani) l’idea del Festival della missione, maturata insieme ad alcuni amici, non potevo immaginare che quella palla di neve sarebbe diventata una valanga. A distanza di oltre due anni, dopo che la macchinaFestival si è messa formalmente in moto agli inizi del 2016, devo dire che la sensazione è di un positivo movimento in atto: all’interno del mondo missionario, il progettoFestival pare abbia risvegliato un po’ di entusiasmo sopìto e messo in circolo energie nuove. Ciò detto, nessuno, dai promotori in giù, è così ingenuo da immaginare che un Festival di tre giorni possa essere una bacchetta magica in grado di risolvere questioni annose e tutt’altro che semplici.
Il Festival è in programma a Brescia dal 13 al 15 ottobre prossimo e avrà come scenario le piazze e gli spazi del centro città. In vista dell’evento, la risposta di Brescia, intesa sia come comunità ecclesiale che come istituzioni civili, è stata a dir poco positiva. C’era da aspettarselo, da una città vivace e multiculturale com’è la Leonessa; c’era da immaginare, inoltre, che una Chiesa dinamica come quella bresciana, segnata da figure importanti (il gesuita Giulio Aleni, primo biografo di Ricci, san Daniele Comboni, la beata Irene Stefani, per finire col Papa missionario Paolo VI), reagisse con entusiasmo all’appello. Ma, ripeto, sin qui le risposte sono state persino superiori alle attese. Da subito, a dar man forte ai missionari e a Brescia, è scesa in campo la Cei, grazie a Fondazione Missio. Il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, presidente della
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l Festival è in programma a Brescia dal 13 al 15 ottobre prossimo e avrà come scenario le piazze e gli spazi del centro città. In vista dell’evento, la risposta di Brescia, intesa sia come comunità ecclesiale che come istituzioni civili, è stata a dir poco positiva. C’era da aspettarselo, da una città vivace e multiculturale com’è la Leonessa; c’era da immaginare, inoltre, che una Chiesa dinamica come quella bresciana, segnata da figure importanti, reagisse con entusiasmo all’appello.
Vescovo Luciano
Rinnovare lo slancio per l’annuncio
Commissione episcopale per la cooperazione missionaria tra le Chiese, ha dato il suo convinto appoggio e lo ha ribadito negli incontri del Comitato scientifico svoltisi negli ultimi mesi. Tutte ottime premesse, insomma, per la riuscita dell’iniziativa, anche se non sufficienti, da sole, a garantire il successo dell’impresa. Perché è di questo che parliamo. Il Festival è un’impresa da tanti punti di vista: culturale, comunicativa e organizzativa. E pure economica, posto che serviranno un po’ di soldini per fare le cose per bene. La domanda, allora, sorge spontanea: ne vale la pena? Per rispondere occorre riandare alle motivazioni individuate nel mettere a fuoco il progetto. La prima, fondamentale: la sensazione di un’insufficiente capacità del mondo missionario di “esserci” nel panorama mediatico e, più in generale, nella società e nella cultura
Il Vescovo di Brescia, Luciano Monari ritiene che il Festival sia un’occasione per la Diocesi di Brescia e accoglie con gioia l’invito ad ospitare il prossimo Festival della Missione. La Chiesa bresciana è grata al Signore per i missionari e le missionarie che con la loro vita ogni giorno rendono testimonianza al mandato di Gesù ai discepoli «Andate in
tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura». Il festival sarà un’occasione significativa per rinnovare la passione e lo slancio per l’annuncio del Regno di Dio: quella passione che ha animato la vita del Beato Paolo VI, di San Daniele Comboni, della Beata Irene Stefani e di tanti figli e figlie di questa terra.
di oggi. I missionari continuano a godere di “buona stampa”, ma il messaggio di cui sono portatori e che testimoniano con la vita – l’annuncio del Vangelo “agli estremi confini” – non scalfisce abbastanza le coscienze, non si traduce in scelte coraggiose, non mette in discussione un sistema e stili di vita che risentono del consumismo e della secolarizzazione. E, purtroppo, quello missionario non pare più un ideale capace di contagiare i giovani. Certo, la missione è cambiata e continua a cambiare. Ma l’imperativo della missione “ad gentes”, seppure da rivisitare costantemente, non è esaurito. Si tratta, semmai, di riformularlo. In altri termini: il mondo missionario italiano è chiamato a trovare nuove vie per comunicare il Vangelo, evitando di cedere all’autoreferenzialità, ma anche alla tentazione di diluire la propria identità per rendersi più “accettabile” dalla mentalità comune. Dentro questa cornice, allora, il Festival della Missione vuol essere innanzitutto un’occasione con la quale il mondo missionario si propone positivamente per quello che è. E lo fa in piazza, nei luoghi della vita quotidiana di una città. Non si tratta di esibizionismo né di trionfalismo, ma di servizio. Anche oggi in giro per il mondo ci sono bellissime e provocatorie esperienze di vita missionaria: sarebbe un peccato di omissione non provare a renderle eloquenti per l’uomo di oggi. Inoltre, vorremmo condividere le “buone pratiche”: proposte culturali e di animazione, iniziative,
campagne di sensibilizzazione, libri (e non solo) che le varie componenti del mondo missionario hanno realizzato. Una cosa è certa: tutto questo deve avvenire in un contesto laico, per evitare di parlarci addosso. Non quindi l’ennesimo convegno dove, a porte chiuse, si parla in ecclesialese, ma in piazza, provando a sperimentare linguaggi nuovi. Ancora: vogliamo provare a fare un Festival insieme, vivendo questa opportunità come una palestra di comunione, dove le differenze vengono esaltate in quanto ricchezza da condividere a beneficio di tutti. Se l’evento-Festival e la sua comunicazione saranno frutto di un lavoro di squadra dove ogni carisma è valorizzato – e stiamo lavorando perché sia così – potrà diventare una testimonianza significativa e già “missionaria” in sé. Per finire, una battuta sul titolo della prima edizione, che suona “Mission is possible”. Scegliendo questo slogan, solo all’apparenza goliardico, il mondo missionario si è costretto a mettersi allo specchio, ma non – come spesso capita – per farsi un selfie impietoso e sconfortante («Siamo sempre meno, con i capelli più grigi e la gente ci dà meno ascolto di un tempo…»). Bensì per riacquistare la consapevolezza che (per fortuna!) la missione non è “cosa nostra”, ma opera Sua. E lo faremo tenendo come riferimento imprescindibile quanto Papa Francesco scrive in “Evangelii Gaudium”, il documento che egli stesso ha additato come bussola alla Chiesa italiana per i prossimi anni. kiremba maggio 2017
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CHIESA E MISSIONE
IA H C C O R R A P A R CA QUALE POPOLO VUOI ESSERE? CLAUDIO TRECCANI CLAUDIOTRECCANI@DIOCESI.BRESCIA.IT
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apa Francesco parla di “chiesa in uscita” e la intende come “la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano”. Prendere l’iniziativa non è un diritto, ma un dovere del credente. Questo stile pastorale è da coniugare con una chiesa in uscita capace di raggiungere le diverse “periferie” sociali, culturali, economiche, antropologiche [EG 30]. Le periferie non sono altro che le realtà che hanno “bisogno della luce del Vangelo” [EG 20]; sono le persone considerate come “scarto”, gli “sfruttati e gli avanzi” [EG 53]; sono le “periferie urbane e delle zone rurali – senza terra, senza tetto, senza pane, senza salute – violate nei loro diritti” [EG 191]. La periferia è un compito della pastorale missionaria ma anche una prospettiva o un criterio e priorità pastorale, perché
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LE PARROCCHIE SONO CHIAMATE A NUOVE SFIDE DI RINNOVAMENTO
la missione si comprende meglio guardandola non dal suo interno, ma dalla periferia. Indica il punto di vista del diverso, ma anche quello degli ultimi e dei poveri. In concreto è il punto di vista del Vangelo e della gioia stessa nel suo annuncio. Oggi, nella rielaborazione dei progetti di pastorale missionaria delle nostre parrocchie e unità pastorali, è fondamentale attuare processi inclusivi dei poveri, degli ultimi, inclusivi degli stessi operatori pastorali che ancora troppo spesso si mantengono esclusi dai processi decisionali, non responsabilizzati, non coinvolti, dove è ancora troppo debole lo stile di una valutazione condivisa delle scelte pastorali. Solo attraverso un processo di ascolto, nella comunicazione con l’altro, la capacità del cuore rende possibile la prossimità, senza la quale non esiste un vero incontro spirituale (EG 171). Solo a partire da
Oggi, nella rielaborazione dei progetti di pastorale missionaria delle nostre parrocchie e unità pastorali, è fondamentale attuare processi inclusivi dei poveri, degli ultimi, inclusivi degli stessi operatori pastorali che ancora troppo spesso si mantengono esclusi dai processi decisionali, non responsabilizzati, non coinvolti, dove è ancora troppo debole lo stile di una valutazione condivisa delle scelte pastorali.
Rinnovamento
La casa aperta del Padre
questo ascolto rispettoso e capace di accogliere e valorizzare l’altro, il fratello, si possono trovare le vie per un’autentica crescita, a questa “condizione” si può risvegliare il desiderio dell’ideale cristiano, l’ansia di rispondere pienamente all’amore di Dio e all’anelito di sviluppare il meglio di quanto Dio ha seminato nella propria vita. La comune responsabilità della missione non può che essere affidata anche al servizio di animazione dei nuovi soggetti evangelizzatori (EG 7). I poveri, oltre a partecipare al senso stesso della fede, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. Chiediamoci piuttosto cosa abbiamo da ricevere da loro e sforziamoci in questo esercizio. Il popolo di Dio rende presente nel mondo il Regno di Dio (EG 176). Il Regno di Dio non è un aspetto
Il Vangelo non può essere annunciato con tristezza, ma con nuovi modi creativi e con il coraggio di lasciare le nostre comodità per raggiungere le periferie in cui è necessaria la luce del Vangelo. La Pastorale deve aprirsi a questa nuova visione di missione vera, a partire dalle parrocchie fino a raggiungere tutti i battezzati. Papa Francesco invita, così,
tutte le strutture ecclesiali a un profondo rinnovamento. Perché questo avvenga, bisogna concentrarsi sull’essenziale: la bellezza dell’amore di Gesù Cristo morto e risorto. La Chiesa, deve essere “la casa aperta del padre”, aperta a tutti piuttosto che condannare. Anche i Sacramenti non devono essere un premio per i migliori, ma un aiuto per i più deboli.
marginale e opzionale nella dottrina e nella teologia cattolica (non lo era per Gesù) e proprio per questo il popolo oggi è invitato soprattutto ad evitarne il rifiuto, la rimozione. Il popolo di Dio che evangelizza annunzia prima di tutto un Regno, il Regno di Dio, il quale è tanto importante, rispetto a lui, che tutto il resto diventa “altro”, che è “dato in aggiunta”. Solo il Regno è dunque assoluto e rende relativa ogni altra cosa. Il Signore si compiace di descrivere, sotto innumerevoli forme diverse, la felicità di appartenere a questo Regno, felicità paradossale fatta di cose che il mondo rifiuta. Un popolo non diviso in classi ma sicuramente popolo in qualche modo organizzato, popolo consapevole e corresponsabile della propria storia, della propria missione, dei propri doni e carismi ricevuti gratuitamente, un popolo che conosce la propria funzione nella società e per la società. Le comunità cristiane, come popolo di Dio, popolo di battezzati, sono soggetto di accoglienza di un messaggio, di discernimento al suo interno e nel suo territorio, di annuncio e condivisione di una gioia, di una tenerezza e di una compassione. È necessario però ridefinire i ruoli e le articolazioni decisionali. Un popolo che coniuga la propria spiritualità ai propri stili di vita oltre a quelli dei singoli operatori pastorali. La conversione personale sembra essere la chiave prioritaria della conversione delle comunità. La parola “comunità” o l’aggettivo “comunitario” sono collegati ad una parola di sapore personale e individuale quale la
nostra vita personale. È ancora evidente che la vita quotidiana del “credente praticante” sia oggi divisa tra la vita sociale, civile e la partecipazione attiva nelle strutture e nelle iniziative della sua comunità religiosa di appartenenza. Una spiritualità personale integrata, e non dissociata o incoerente, chiama ad un’attenzione vigile sulle due diverse “appartenenze”. È come dire che un “buon” popolo è il frutto di “un insieme di buone persone” che condividono, custodiscono e fanno crescere la propria coerenza personale. Ma, al di là di una comunità formata da brave persone impegnate nella propria conversione, quale “struttura” di comunità favorisce la medesima educazione, conversione e promozione della vita dentro e fuori la comunità? L’EG suggerisce l’idea di vivere insieme, tutti, l’esperienza del discernimento circa le scelte, le strategie operative e le forme di vita comune e di testimonianza. Nel popolo di Dio il cristiano adulto oggi, prima ancora di prendere il volto di un’opposizione a qualcosa (il clero, la generazione precedente, la tradizione, le élite dominanti, le lobby del sapere e del potere) si oppone al concetto di un’autorità e rivendica una certa autonomia. In termini giuridici è il passaggio dalla soggettività piena solo di alcuni verso la soggettività diffusa almeno di tutti i membri adulti di una comunità. La relazione “padre-figli” declinata nelle diverse forme di relazione della vita sociale, civile e religiosa: padrone-lavoratore, maestro-allievo, ecc. impedisce e rallenta ancora oggi l’attualizzazione del Suo popolo. kiremba maggio 2017
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I missionari raccontano BRASILE
UN POPOLO IN CAMMINO MONS. PEDRO CONTI DPJCONTI@GMAIL.COM
A
questa gente piacciono le processioni – con queste parole l’allora vescovo di Bragança del Pará, dove ero appena arrivato, mi accolse, prima di mettermi in fila com gli altri nella grande festa della Madonna. Col passare degli anni, ho dovuto ammettere che quanto mi aveva detto Dom Miguel era vero. Ho cercato, però, di capire il perché di questa partecipazione in massa. C’è un canto che è molto ripetuto nelle processioni, al di là del Santo o della Santa che è festeggiato, e che mi ha aiutato a riflettere. Le parole suonano così: Il popolo di Dio andava nel deserto, ma davanti a lui qualcuno camminava. Questo “qualcuno” è, appunto, il buon Dio che, sappiamo dalla Bibbia, non abbandona mai il suo popolo. Penso proprio che la nostra gente abbia capito l’essenziale dell’essere “popolo di Dio”. In
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MONS. CONTI DURANTE UNA PROCESSIONE TRA LE VIE DI MACAPÁ
fondo, si riconoscono in quell’antico popolo liberato dalla schiavitù dell’Egitto e in marcia verso la Terra Promessa. Dal punto di vista spirituale quest’immagine è sempre attuale: abbiamo sempre qualche situazione infelice da lasciare e sempre cerchiamo qualcosa di meglio. Cambiano le circostanze, le persone, ma quella della ricerca di una Terra Promessa è una parabola della stessa vita umana e anche della nostra fede. Nel cammino della vita ci sono momenti favorevoli e momenti difficili, momenti di entusiasmo e momenti di solitudine e tristezza. Per questo quel canto continua ricordando la fame e le infedeltà della gente, ma anche la gioia di credere in un Dio che alimentava il suo popolo e lo perdonava nonostante gli errori. L’ultima strofa è un’esclamazione di lode e di speranza per la visione della Terra Promessa ancora lontana, ma
Cambiano le circostanze, le persone, ma quella della ricerca di una Terra Promessa è una parabola della stessa vita umana e anche della nostra fede. Nel cammino della vita ci sono momenti favorevoli e momenti difficili, momenti di entusiasmo e momenti di solitudine e tristezza. Per questo quel canto continua ricordando la fame e le infedeltà della gente, ma anche la gioia di credere in un Dio che alimentava il suo popolo e lo perdonava nonostante gli errori.
Macapà
Territorio vastissimo
già possibile da sognare e desiderare. Solo poesia, potremmo pensare? Non mi sembra. Soprattutto quando chi canta cammina in processione magari a piedi scalzi, caricando sulle spalle un’esistenza difficile, dove la fame, la sete, la disoccupazione, le malattie e l’incertezza del domani sono esperienze quotidiane. Certo, quest’immagine del popolo di Dio può sembrare molto dell’Antico Testamento. È vero, ma anche Gesù, nei Vangeli ha sfamato col pane, i pesci, e con la sua parola coloro che erano “come pecore sperdute, senza pastore” (Mc 6,34). C’è un altro particolare che sempre mi fa pensare. È quasi impossibile mettere in fila le persone e molti insistono nel camminare nonostante il visibile sforzo che fanno. Ho rinunciato a sbraitare per metterli in ordine o per dire a qualcuno di riposare. Ormai li lascio fare: camminino come vogliono, come si
Il il 20 Febbraio 2005 Mons. Conti è nominato Vescovo di Macapà, unica Diocesi dello Stato di Amapà a nord del Rio delle Amazzoni, che ha una superficie pari alla metà del territorio italiano ed una popolazione di circa mezzo milione di abitanti, di cui oltre 280.000 vivono nella capitale Macapà. La diocesi ha un territorio comunale molto vasto e forma un’unica conurbazione con
il limitrofo comune di Santana grazie al quale la popolazione totale dell’intera area metropolitana raggiunge i 500.000 abitanti. L’attività mineraria rappresenta la principale voce dell’esportazione locale, con ferro e manganese come principali minerali estratti. Altre attività importanti sono la pesca, la lavorazione del cuoio e quella della gomma legata all’estrazione del caucciù.
sentono capaci, come suggerisce il loro cuore. Quando la processione è molto numerosa, per motivi di sicurezza, mi mettono accanto qualcuno per evitare spintoni o cose del genere, ma il più delle volte mi sento bene in mezzo alla gente, cantando e pregando con loro. Non mi sento né Mosè e, meno ancora, Gesù. Sono io e basta, in cammino, come qualsiasi essere umano, cristiano o no, in questa vita. Forse con la differenza di non essere solo, di credere insieme agli altri, di sapere che altri hanno camminato prima di me e che altri verranno dopo. So anche che per camminare bene ci vuole una meta, ci vogliono esempi, pazienza, coraggio, speranza. È molto vero quello che Papa Francesco ha scritto: qualche volta i pastori stanno davanti al loro popolo perché lo devono guidare; altre volte, stanno in mezzo, camminano insieme. Altre volte, infine, restano indietro ed è la gente a spingerli e a ridargli la forza di resistere. Molte volte, il percorso della processione è lungo e faticoso. Anche in questo caso ho rinunciato a criticare o a suggerire qualche scorciatoia. Tanto non mi ascoltano. Hanno ragione, fanno bene, perché, dopo la fatica, la gioia di arrivare è davvero grande e ci fa dimenticare il sacrificio sofferto. Dopo la processione, comunque, c’è sempre la benedizione e la festa. Bisogna mangiare insieme, cantare e magari giocare a tombola o a pallone. È molto bello vedere le persone abbracciarsi sorridendo. Molte volte io lo dico: è possibile essere in tanti
e non litigare, non parlare male degli altri, sentirsi piccoli, a piedi, senza privilegi, come tutti. Qui le processioni fanno bene, fisicamente e spiritualmente. Ci aiutano, tutti, a sentirci più umani, più fratelli, più uguali. Sì, uguali, nonostante le diversità. In processione ci sono i bambini e gli anziani, i papà e le mamme, con i più piccoli in braccio, per mano o sulle spalle. Ci sono i giovani. Tutti facciamo fatica a camminare. C’è sempre qualcuno che forse pensava di andare a una sfilata di moda, ma poi suda come tutti gli altri e qui il calore del sole equatoriale non perdona nessuno. Io mi commuovo quando vedo qualcuno in carozzella, perchè c’è sempre un altro che la spinge. Vuol dire che chi non cammina, ma che non voleva perdere la processione, ha chiesto e convinto quell’altro a camminare. Così sono in due. Mi fermo. Credo di aver parlato di più delle processioni in Amazzonia che del Popolo di Dio o, magari il contrario. Non so. Il Popolo di Dio, la Chiesa, noi battezzati, alla fine non siamo idee o trattati di teologia, siamo solo e sempre un popolo in cammino; gente che esiste davvero, in carne e ossa, con gioie e lacrime, sentimenti, compassione e ...tanti peccati. Ringraziamo il Signore se facciamo parte di questo Popolo benedetto, se sappiamo dove andiamo, se ci sentiamo meglio con gli altri che non da soli, se non vogliamo perdere nessuno lungo la strada. Camminiamo. Un giorno arriveremo, tutti, e la festa sarà grande. Potete crederci. kiremba maggio 2017
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I MISSIONARI RACCONTANO
MOZAMBICO
UN UNICO GRANDE DISEGNO DI DIO
DON PIERO MARCHETTI BREVI DONPIEROBREVI@GMAIL.COM
“T
u infatti sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti ha scelto per essere il suo popolo privilegiato fra tutti i popoli che sono sulla terra” (Deut. 7,6-8). Un popolo scelto non per meriti particolari, ma solo per amore e fedeltà di Chi l’ha scelto. Se questo è vero per il popolo dell’Antica Alleanza, il popolo di Israele, quanto più lo è per il popolo della Nuova Allenza, quello generato dal sacrificio di Cristo Gesù sulla croce, il cui sangue versato, estremo dono di amore verso tutta l’umanità, manifesta il sogno di Dio di fare di tutta l’umanità un solo popolo, libero da ogni schiavitù e da ogni potere del male, un popolo scelto per amore e amato da Dio. Per questo il nuovo popolo convocato da Dio non conosce confini di razza, di lingua, di nazionalità... vi appartengono tutti coloro che, raggiunti dalla misericordia e
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DON PIERO CON I RAGAZZI DI MORRUMBENE
dall’amore incondizionato di Dio, vivono in questo mondo consapevoli che non appartengono piùà ad esso e alle sue logiche di potere, di ricchezza, di violenza, di ingiustizia, di esclusione, di separazione, di odio, di vendetta, di guerra... vivono in questo mondo ma sognano un altro mondo e ce la mettono tutta perché questo altro mondo diventi una realtà per tutti. Ogni domenica lo incontro quando si ritrova per ascoltare il suo Dio che ha sempre parole speciali da offrire al suo popolo, parole che riaccendono i cuori, che illuminano il cammino da percorrere, disperdono le tenebre del male e riaprono alla fiducia e alla speranza; e per essere nutriti da quel Pane che da la forza per continuare ad amare e servire la vita. E sempre la domenica, con la danza e col canto, manifesta la sua allegria e la gioia di appartenere a un popolo che, seguendo Colui che nella croce e
nella Resurrezione ha vinto sull’odio e sulla morte, porta in sé i germi di questa umanità nuova che sa vincere il male con il bene. È tra questa gente con cui vivo, qui a Morrumbene, che vedo e sperimento la presenza del popolo di Dio. Lo vedo in tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e si preoccupano della vita degli altri e cercano di servirla con amore, di dare ad ogni persona la dignità che le è propria. Anche qui da noi ci sono molte forme di esclusione, a volte legate a tradizioni ancestrali ma molto presenti nel costume locale. Tra queste merita ricordare l’esclusione di donne anziane, vedove, accusate di “feticeria” (mandano malefici), escluse dalla famiglia dal clan e allontanate da tutti perché considerate pericolose (come i lebbrosi del vangelo). Queste donne nel popolo di Dio trovano accoglienza perché in questo popolo non possono esistere esclusi o stranieri o ospiti, ma tutti
Un popolo tra i popoli
Solo con Dio si può popoli della terra, ne conosce gli usi e i costumi, ma non può essere identificato con nessun popolo, la sua identità viene dall’alto, non ha una propria nazione, un proprio stato, anche se vive in molti stati, ogni terra è la sua casa, è un popolo dalle molte lingue, ma comunica con la stessa lingua, quella che ogni uomo può comprendere, la lingua
dell’amore. Anche qui in Mozambico dove mi trovo da alcuni anni, incontro ogni giorno questo popolo di Dio. È un popolo povero di cose del mondo, ma ricco dei doni di Dio; spesso li sento dire: “il poco con Dio è molto, e il molto senza Dio è nulla”. É una grande testimonianza di fede ed un grande insegnamento.
sono considerati “famigliari di Dio”, “concittadini dei Santi”; c’è infatti la consapevolezza che nessuno deve sentirsi escluso dall’amore di Dio e ogni persona deve sentirsi accolta e amata. Così ci sono mamme che si preoccupano di loro, giovani che costruiscono per loro una capanna, ragazze che ogni settimana vanno a visitarle e a portare loro acqua e legna. Questo è il popolo di Dio in Mozambico. Lo vedo ancora in tutti coloro che, pur dentro un mondo di violenza, sanno compiere gesti di perdono e di pace aprendo orizzonti di speranza. È risaputo che il popolo di Dio che è in Mozambico ha contribuito non poco nella riappacificazione tra le due parti in guerra tra gli anni 1976 – 1992 fino al raggiungimento dell’accordo di pace. E anche in questi ultimi anni in cui si è riacceso il conflitto interno, il popolo di Dio continua a invocare da Dio il dono di una pace definitiva e con insistenza chiede ai potenti che ricerchino nel dialogo una soluzione ai conflitti. È un popolo anche che non tace di fronte alle ingiustizie, alla corruzione presente a tutti i livelli, e alza la voce, spesso a rischio della vita, in difesa dei più poveri, delle vittime di ingiustizia, degli emarginati. Ogni popolo ha i suoi eroi e anche il popolo di Dio ne ha, e non pochi: i suoi eroi sono i martiri. Non sono coloro che hanno combattuto per difendere dei confini o delle appartenenze, ma coloro che sono stati fedeli allo Spirito anche nei momenti più drammatici. Proprio in questi giorni, il 26 di Marzo, il popolo di Dio che
vive a Inhambane ha vissuto un pellegrinaggio a Guiúa, un luogo di martirio. Qui nel 1992 si è consumato un massacro: 24 persone, catechisti con alcuni figli, che qui si trovavano per iniziare due anni di formazione per essere poi catechisti e animatori di comunità, sono stati prelevati dalle loro case da uomini armati e poi brutalmente uccisi. Mentre venivano uccisi non ebbero parole di odio o di rabbia, non uscirono insulti dalla loro bocca, ma come raccontano i testimoni, si misero a pregare il Padre Nostro e a invocare nel canto lo Spirito Santo. Così muoiono quanti appartengono al popolo di Dio. A 25 anni dal massacro è iniziato ufficialmente il processo per la loro beatificazione. Mi piace ricordare quanto disse Benedito Penicela nel saluto alla comunità di Morrumbene prima di partire per il corso con sua moglie e i suoi 5 figli, lui che già era stato prigioniero con un figlio, poi ucciso durante la prigionia: “Io vado a Guiúa, ma son sicuro che non tornerò più, perché non è possibile sfuggire alla morte due volte”. “Non andare allora” gli dissero alcuni amici. “Se il Signore mi chiama non posso tirarmi indietro. Lui sa...”. Il 22 di Marzo del 1992 venivanmo uccisi lui e la moglie Isabel, mentre la figlia più piccola, dopo essere stata ferita ,venne lasciata libera. “Il Signore sa il perché!” Quante volte sento questa frase, soprattutto di fronte a grandi prove, una frase che esprime con quanta fede e con quale abbandono nelle mani di Dio vive il popolo di Dio in Mozambico.
Il popolo di Dio vive in mezzo ai tanti
Il nuovo popolo convocato da Dio non conosce confini di razza, di lingua, di nazionalità... vi appartengono tutti coloro che, raggiunti dalla misericordia e dall’amore incondizionato di Dio, vivono in questo mondo consapevoli che non appartengono più ad esso e alle sue logiche di potere, di ricchezza, di violenza, di ingiustizia, di esclusione, di separazione, di odio, di vendetta, di guerra... vivono in questo mondo ma sognano un altro mondo e ce la mettono tutta perchè questo altro mondo diventi una realtà per tutti.
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I MISSIONARI RACCONTANO
ALBANIA
UNA STRADA DA PERCORRERE INSIEME DON GIANFRANCO CADENELLI DONGIANFRANCO.CAD@GMAIL.COM
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i trovo sulle montagne dell’Albania ai confini con il Kossovo e la Macedonia. Mi vengono in mente due immagini a cui riferirmi: il popolo di Israele che cammina verso la terra promessa inseguito dai carri degli Egiziani e la scena finale del famoso film “Mission”, dove il popolo indio cammina dietro al Ss. Sacramento e non è fermato neppure dalle cannonate dei colonizzatori. Sì, proprio queste due immagini descrivono al meglio la situazione del “popolo di Dio” in cui mi trovo a vivere, a sperare, a camminare. Innanzitutto dovete sapere che qui “il popolo” non lo si trova in chiesa. È per le strade della città in cerca di lavoro o di qualcuno con cui passare il tempo, è sparso sulle colline tra le decine di case isolate, in cammino sulle strade polverose in terra battuta per andare a vendere una capra o
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DON GIANFRANCO TRA LA GENTE DI BAZ
a comprare un sacco di farina, e, qualche volta, è radunato in festa, a ballare per un matrimonio o a piangere nel cortile di una casa per la morte di qualcuno. È popolo di Dio! Anche se non lo si vede radunato in chiesa o in processione col Santissimo, è un popolo che ha fiducia in Dio. Ognuno a suo modo, ognuno secondo la fede che ha ereditato (qui da me sono in maggioranza musulmani, ma ci siamo anche noi cattolici - 5% - e qualche ortodosso). Ci sono anche degli atei, perché l’ideologia marxista propagandata durante la dittatura ha fatto il suo lavoro, ma non sono tanti. E anche quelli che dicono di esserlo, sono comunque dubbiosi! E questo popolo è in cammino! Sono usciti da quasi 50 anni di dittatura comunista (la più becera di qualsiasi altra dittatura del proletariato che c’è stata nei paesi dell’Est) e ancora stanno cercando di uscire da un
periodo di transizione (che dura ormai da 25 anni) caratterizzato da un capitalismo selvaggio, lasciato in mano ancora una volta ai boriosi e agli ignoranti, privi di qualsiasi valore etico e sociale. Lo stato, purtroppo, ancora non sa essere regolatore. Ma è un popolo che cammina! Fatica ogni giorno per andare avanti. Per andare verso la “terra promessa” che qui si chiama sviluppo economico, comunità europea, diritti civili, scuola, sanità, lavoro! Tutte cose che si vedono ancora lontane ma che non si smette mai di sognare. Ma i sogni, come si sa, spingono a camminare. Poi, sulla strada faticosa della liberazione ci sono i “carri” e i “cannoni” (per riprendere le immagini iniziali) che sbarrano il cammino. La crisi economica che ha colpito l’Europa qui è giunta “moltiplicata” e c’è una forte corruzione che tocca ogni aspetto della vita sociale, soprattutto l’affidamento del lavoro e la sanità, e
Popolo in cammino
Come lievito
Non c’è bisogno che tutti, in un solo momento, sappiano vedere la meta, sappiano sognare la libertà, sappiano correre verso la terra promessa. Ma c’è bisogno di qualcuno che sia lievito, che sia una lampada sopra il tavolo, che sia una piccola città sopra il monte! E questo c’è. Io lo vedo. Tante volte sono tentato di scoraggiarmi, ma, grazie a Dio, non ho mai ceduto a questo sentimento. Sì, qualche arrabbiatura sì. Qualche senso
Anche se non lo si vede radunato in chiesa o in processione col Santissimo, è un popolo che ha fiducia in Dio. Ognuno a suo modo, ognuno secondo la fede che ha ereditato (qui da me sono in maggioranza musulmani, ma ci siamo anche noi cattolici e qualche ortodosso). Ci sono anche degli atei, perché l’ideologia marxista propagandata durante la dittatura ha fatto il suo lavoro, ma non sono tanti. E anche quelli che dicono di esserlo, sono comunque dubbiosi.
poi c’è la politica, che è quasi sempre determinata dagli interessi dei singoli e non dal bene del popolo. I colpi che riceve la gente sono duri, senza pietà. E la gente umile non ha neppure la forza di rispondere, né la possibilità di ripararsi, di proteggersi dai soprusi e dai ricatti. Ma allora? Se ci sono tutti questi freni e ostacoli sulla strada della “liberazione”… questo popolo che cammino sta facendo, voi mi direte. In questo tempo di quaresima, ormai in dirittura verso la Pasqua ormai vicina, mi sentirei di dire che il cammino del popolo di Dio in Albania è un cammino di conversione. La meta è solo una: “Tornare a Dio con tutto il cuore”! Sono parole che pochi conoscono, ma il concetto è sentito. Mancano le pietre di appoggio per rialzarsi, ma la voglia c’è. Basta pensare che i partecipanti alla sia pur povera vita ecclesiale sono in grande maggioranza adolescenti e giovani.E
di impotenza pure. Ma rimango volentieri in Albania a camminare con questo popolo, perché credo nella sua liberazione. Perché è un popolo vivo, di grandi tradizioni, e la fede che è stata soffocata nel suo cuore negli anni della dittatura non è mai morta e non si è mai arresa. I 40 martiri Albanesi del periodo del comunismo, proclamati beati lo scorso novembre, sono i “testimoni viventi” di tutto questo.
io, nel mio servizio missionario, non faccio altro che questo: dare segni della presenza di Dio che salva, far sentire che lui cammina con noi e non ci abbandona mai, che anche quando noi ci fermiamo lui ci aspetta e ci incoraggia a rialzarci e a seguirlo nel cammino di libertà che lui stesso ci indica. Allora, si aprirà il mare per poter sfuggire alla schiavitù? Ci sarà un bambino che riprende da terra l’ostensorio e ostinatamente lo porta avanti? Io penso di sì. I segni positivi ci sono. Bisogna aver fede. Bisogna sperare e lottare ogni giorno senza mai rinunciare e stancarsi di andare avanti. Sicuramente il cammino del Popolo di Dio qui in Albania è affidato ai giovani, che sono tanti (l’Albania è il paese più giovane d’Europa). Perciò noi missionari lavoriamo soprattutto con le nuove generazioni, ci impegnamo nella catechesi e nell’educazione, sosteniamo i ragazzi e le ragazze che hanno capacità negli studi, cerchiamo di favorire nella ricerca del lavoro i giovani meritevoli Purtroppo, per tanti di loro, la tentazione di tornare alla “pentola delle cipolle” c’è. Tante sono le sirene attraenti che frenano il loro cammino. Dai soldi a poco prezzo (anche qui si diffonde l’inganno delle slot machine), a internet distruttivo, dalla droga scacciapensieri, all’emigrazione sfrenata e insensata che porta a finire nella delinquenza. Tuttavia qualcuno c’è. Qualcuno che dà un segno di direzione al popolo. Qualcuno che ha intuito la strada e si sforza di percorrerla con dedizione e sacrificio. È così, io credo, che si apre il cammino. kiremba maggio 2017
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Animazione missionaria AVVENIMENTI
LA MISSIONE (IM)POSSIBILE DON CARLO TARTARI CARLOTARTARI@DIOCESI.BRESCIA.IT
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a notizia finalmente comincia a circolare: Brescia ospiterà il primo Festival Nazionale della Missione. L’appuntamento è fissato per il prossimo Ottobre, nel cuore del mese missionario. Da circa un anno e mezzo un’equipe sta progettando, costruendo e programmando questo evento. Forse la parola festival ha bisogno di essere chiarita e decodificata perché ad una percezione immediata e istintiva sembrerebbe alludere ad una kermesse, ad una serie di fuochi d’artificio e ad eccessi di spettacolarità che poco o nulla hanno a che fare con la missione di annuncio e testimonianza del Vangelo. Il Festival non sarà un carnevale! Non sarà una autocelebrazione superficiale delle glorie del passato, non sarà una caricatura del mondo missionario. Esistono già numerose occasioni e opportunità di incontro, confronto, formazione
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IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL SARÁ PIENO DI AVVENIMENTI
nell’itinerario che afferisce a diversi livelli: il convegno nazionale, i percorsi formativi per i cmd, le giornate di spiritualità missionaria, gli approfondimenti proposti dal CUM, i convegni e le conferenze a livello diocesano, le iniziative dei singoli istituti missionari; forse per la prima volta la proposta del festival della Missione si rivolge non solamente all’interno del vasto e variegato complesso di sigle che compongono il panorama missionario italiano, ma si affaccia in modo unitario e complesso all’aperto: ecco perché un Festival. Le giornate e gli eventi si svolgeranno dal 12 al 15 ottobre nelle piazze e nei luoghi di vita della città di Brescia: fin da subito il comitato organizzatore ha cercato di relazionarsi in modo ampio e aperto per cercare alleanze, condivisioni, percorsi unitari, collaborazioni. Con tutte le fatiche che caratterizzano ogni novità il programma sta prendendo forma,
ma soprattutto sta prendendo forma il coinvolgimento ampio auspicato e cercato fin dall’inizio del percorso. Lavorare insieme è già un frutto estremamente positivo che il festival sta provocando: CIMI (Conferenza Istituti Missionari in Italia) e Fondazione Missio (l’Ufficio nazionale per la cooperazione tra le chiese della CEI) sono i promotori principali. Hanno scelto Brescia! Hanno individuato la nostra Diocesi come luogo significativo per osare questo passo. Il Centro Missionario Diocesano si è lasciato contagiare dall’entusiasmo della proposta, dall’opportunità di aprire i luoghi di vita e di fede del nostro territorio. A Brescia giungeranno decine di missionari, missionarie, delegati dei centri missionari provenienti dal mondo e da tutte le diocesi italiane, ma non si chiuderanno in un luogo per discutere degli annosi e intricati problemi del mondo missionario, si apriranno ad un confronto ampio
Le giornate e gli eventi si svolgeranno dal 12 al 15 ottobre nelle piazze e nei luoghi di vita della città di Brescia: fin da subito il comitato organizzatore ha cercato di relazionarsi in modo ampio e aperto per cercare alleanze, condivisioni, percorsi unitari, collaborazioni.
nelle piazze, nei teatri, anche negli ambienti informali della nostra città. Certamente alcune personalità di spicco del mondo ecclesiale e della cultura saranno ospiti al festival portando il loro contributo di idee e le loro competenze in dialogo e in una prospettiva di confronto: sicuramente ci saranno momenti di musica, teatro, canto, danza, indubbiamente troveremo la possibilità di visitare mostre e altri allestimenti, ma il festival sarà una grande opportunità di incontro tra persone portatrici di vissuti e mondi diversi che sapranno raccontare e annunciare quanto il vero e autentico autore della missione sia il Signore Gesù che invia, accompagna, precede la missione. Siamo nel luogo che diede i natali a San Daniele Comboni, alla beata Irene Stefani, al beato Paolo VI: con questa eredità, con questa consapevolezza accogliamo questo nuovo dono, sentendoci partecipi
e protagonisti e non meri spettatori distratti. Nella prima serata vivremo il dono dell’accoglienza e della testimonianza: i missionari provenienti da ogni parte del mondo troveranno accoglienza nelle parrocchie, nelle famiglie, negli istituti religiosi presenti sul territorio; animeranno - laddove sarà possibile - un momento di veglia e preghiera; le mattinate del Festival si apriranno con la proposta della lectio divina, animata e condotta da fratelli e sorelle di altre confessioni cristiane; ogni giornata sarà sostenuta dalla preghiera e dall’adorazione eucaristica permanente. I diversi linguaggi della musica e del teatro contribuiranno a narrare in modo coinvolgente e profondo le storie, i vissuti, le esperienze nei quali la missione si è espressa ad ogni latitudine e con carismi e doni diversi. Il comitato scientifico del Festival ha avuto il compito di indirizzare e approvare il programma esprimendo alcune linee guida e alcune priorità: in particolare si cercherà di coinvolgere i giovani non solo come destinatari, ma come protagonisti del Festival. L’esortazione apostolica Evangelii Gaudium costituisce il riferimento magisteriale fondamentale per l’individuazione dei contenuti e dei temi proposti. In questa presentazione sommaria del Festival si trova una serie infinita di verbi al futuro: sarà nostro compito renderli al presente in modo che non rimangano un programma auspicabile, desiderabile, futuribile, ma vuoto. Ci crediamo davvero che la Missione è possibile, necessaria, attuale, aperta ad un orizzonte nuovo. kiremba maggio 2017
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ANIMAZIONE MISSIONARIA
NUOVI STILI DI VIAGGIO
VOGLIAMO QUALCOSA DI PIÙ REDAZIONE MISSIONI@DIOCESI.BRESCIA.IT
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bbiamo chiesto a Sara e Lia, due ragazze che frequentano il corso di Nuovi Stili di Viaggio, di raccontare cosa c’è dietro la scelta di prepararsi per un’esperienza di missione in terre lontane. Sara: “Sono una ragazza di 23 anni, nata in Ruanda il 20 Giugno del 1993. Grazie all’associazione Museke sono sopravvissuta al terribile genocidio scoppiato nel mio paese nel 1994. In quell’anno, io e altri 40 bambini ruandesi ospiti come me nell’orfanatrofio di Rilima, un centro costruito e gestito dall’associazione bresciana Museke, siamo riusciti a sfuggire a quel terribile massacro grazie ai volontari che ci hanno portati in Italia, precisamente a Castenedolo, dove attualmente vivo. Dopo due anni vissuti insieme agli altri 40 bambini in una struttura che, grazie alla collaborazione di moltissimi volontari del paese, ci ha 20
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IL VIAGGIO PERMETTE DI CAMMINARE INSIEME, ANCHE NELLA DIVERSITÁ
accolti e accuditi, all’età di 3 anni sono finalmente potuta entrare in una famiglia: una bellissima famiglia italiana che da allora mi ha voluta ed amata come una figlia naturale. Oltre a una nuova mamma e a un nuovo papà ho trovato un fratello e una sorella maggiori. Crescendo, insieme ai principi e valori cristiani che i miei genitori non hanno mai smesso di trasmettermi, ho sperimentato quanto è importante dedicare parte del mio tempo e dell’amore agli altri, soprattutto a chi ne ha più bisogno. Sono sempre stata inserita nelle attività oratoriali del mio Paese come catechismo, musical, grest e gruppo missionario. La voglia di ritornare in Africa, credo estremamente naturale per chi come me è nato là, è sempre stata forte, a tal punto che, arrivata a 20 anni, ho deciso di entrare a far parte dell’associazione Gran Baobab, che opera da più di dieci anni nel Mali,
raccogliendo aiuti e fondi sia per costruire, sia per aiutare la gente e i bambini a svilupparsi nella loro realtà rispettando la diversa mentalità e cultura. Ho avuto la possibilità di recarmi in Mali per ben quattro estati consecutive per tutto il mese di Agosto collaborando nelle iniziative dell’associazione. Negli ultimi anni però è cresciuto in me anche il desiderio di vivere un’esperienza di volontariato in Africa più lunga e significativa. Per questo motivo a Settembre dello scorso anno mi sono rivolta al centro missionario per poter individuare una realtà di missione in Africa che potesse ospitarmi e farmi vivere questa esperienza di volontariato. Un’esperienza di questo tipo richiede certamente una preparazione spirituale e missionaria. Per questo motivo il centro missionario mi ha proposto degli incontri per riflettere sulle motivazioni che mi
Occasione
Partire per crescere Spesso, ai ragazzi che frequentano il corso di preparazione, si ricorda che non si parte per cambiare il mondo o con la pretesa che la loro presenza abbia delle ricadute significative sulla realtà locale. Forse, sulla vita di qualcuno, magari sulla propria. Chi riesce a scavare dentro di sé, decide di partire per sé stesso, per scoprire qualcosa in più sull’uomo e la donna che vorranno
Accanto alla voglia di partire e andarsene per il mondo, provavo il desiderio di fare qualcosa più arricchente di una semplice vacanza estiva. Credo sia qualcosa che difficilmente si può spiegare a parole, ma mi sono semplicemente chiesta “che cosa faccio io?”. Studio, lavoro, mi diverto, vivo. E poi? Ci deve essere dell’altro, mi sono detta.
hanno spinta a fare questa scelta, a ritagliarmi degli spazi di preghiera e riflessione personale perchè , per poter vivere al meglio e trarre insegnamenti da tutto ciò che potrò vedere e incontrare attraverso questa esperienza, è essenziale affidarsi a Dio, alla preghiera.” Lia:“Iniziare a fare il corso di preparazione al Cmd di Brescia è stata una scelta di pancia, spinta dalla voglia di voler provare qualcosa di nuovo, di mettersi alla prova. Quando poi però sono stata chiamata a scegliere se partire, partire per andare davvero dall’altra parte del mondo, ho avuto bisogno di fare una bella riflessione, su me stessa, su cosa voglio, su cosa desidero mi porti quest’esperienza. Sono una ragazza di 22 anni, sto studiando comunicazione e quest’estate ho deciso di trascorrere un mese in Messico con la comunità missionaria di Villaregia. Il perché di questa scelta, che non tiene conto
diventare e spesso, aiutando gli altri, aiuteranno sé stessi a capirlo. Non sappiamo se questo “qualcosa” lo troveranno nelle diverse destinazioni in cui saranno chiamati ad essere testimoni; certo è che, stando a contatto con chi si trova in condizioni di povertà e vivendo un’esperienza forte, saranno esposti all’opera della Provvidenza e dello Spirito Santo.
di esami universitari e vacanze con gli amici? La voglia di sperimentarsi innanzitutto, di esplorare una realtà così profondamente diversa dalla mia, di fare qualcosa di irripetibile. Non nasconderò che amo viaggiare, assaporare l’entusiasmo di incontrare posti e persone differenti, scoprire i tratti caratteristici della cultura di un altro popolo. Però, accanto a questa voglia di partire e andarsene per il mondo, provavo il desiderio di fare qualcosa più arricchente di una semplice vacanza estiva. Credo sia qualcosa che difficilmente si può spiegare a parole, ma mi sono semplicemente chiesta “che cosa faccio io?”. Studio, lavoro, mi diverto, vivo. E poi? Ci deve essere dell’altro, mi sono detta. Il credere poi in una religione che mette il prossimo davanti a sé mi ha sempre portato a pensare che ogni cristiano sia chiamato non solo a credere tra le mura di una chiesa, ma anche a lanciarsi nel mondo per toccarlo con mano. Mi piace pensare anche che forse proprio quelli che considero bisognosi potranno aiutarmi a trovare una risposta. Andare ad assistere i missionari che operano a contatto con la periferia non solo materiale, ma anche spirituale, è stata sì un’occasione colta al volo, ma prima di tutto una scelta consapevole. Una decisione maturata in alcuni mesi grazie alla guida e alle testimonianze dell’équipe del Cmd. Capire che questo stato di necessità partiva innanzitutto da me non è stato semplice, ma è stato un percorso necessario per essere pronta, per un minima parte, alla mia prossima partenza.” kiremba maggio 2017
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Orizzonti MIGRANTI
FIDARSI DI DIO CONVIENE MAURO ZENONI ZENONIM@VIRGILIO.IT
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idarsi di Dio porta sempre a sorprese che vanno oltre la ragione. Puoi pensare, ragionare, programmare la tua vita, ma se non provi concretamente a fidarti di Dio la tua vita ti conduce a compiere solo casini. Guardando all’esperienza della mia vita, in questo tempo in cui sto accompagnando due ragazzi camerunensi richiedenti asilo politico al Battesimo che riceveranno la notte di Pasqua insieme alla Cresima ed all’Eucarestia, non posso non tornare con la mente al 2012. In quell’anno, durante i cicli di chemioterapia (sono leucemico) avevo molti pensieri: “Cosa sarà della mia vita? Ho 59 anni, andrò in pensione, vedrò i miei figli sposati, magari avrò dei nipoti. Dio avrà ancora un progetto sulla mia vita?” Eccome! Tre figli si sono sposati, ho una nipotina e a settembre ne arriverà un altro, sono in pensione ed il Signore si sta
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IL BATTESIMO COME INIZIO DI UN CAMMINO NUOVO
servendo di me, insieme a Giovanna, suora Comboniana, per aiutare questi ragazzi ad entrare nella Chiesa ed a diventare figli di Dio. Brice, 31 anni, e Victor, 19 anni, sono arrivati dal Camerun attraverso il deserto. Prigionieri e torturati in Libia, cacciati a forza sul barcone alla deriva fino all’approdo in Italia. Poi l’arrivo a Quinzano d’Oglio, sette mesi fa. Gestiti dalla Coop. Scalabrini Bonomelli, seguono un corso di italiano, e si stanno inserendo nella comunità parrocchiale, collaborando in oratorio, anche grazie alla sensibilità del parroco don Pietro. La preparazione ai sacramenti è nata da una loro richiesta; è stata girata al centro migranti della diocesi che attraverso padre Mario ed il direttore Tomasino si è attivato facendosi carico delle spese e della pastorale di preparazione. Il Centro Migranti opera attraverso tre dipendenti ed un gruppo di volontari, dando
Brice, 31 anni, e Victor, 19 anni, sono arrivati dal Camerun attraverso il deserto. Prigionieri e torturati in Libia, cacciati a forza sul barcone alla deriva fino all’approdo in Italia. Poi l’arrivo a Quinzano d’Oglio, sette mesi fa. Nel loro villaggio non era possibile diventare cristiani e che il viaggio attraverso il deserto e la prigionia in Libia hanno fatto sperimentare loro che Dio esiste e che provvede.
assistenza nell’espletamento di pratiche (rinnovo permesso soggiorno, residenze, ecc.) e nella assistenza pastorale ai migranti ed alle loro comunità. È all’interno appunto dell’assistenza pastorale che è nato il cammino per i ragazzi del Camerun. L’impegno non è da poco, pensando che dal lunedì al venerdì tutte le mattine vengono a Brescia al Centro Migranti per il catechismo di preparazione. A gennaio sono stati ammessi al Battesimo durante una S.Messa a Quinzano, presente il Vescovo Luciano. Il 5 marzo ritiro al centro Paolo VI e messa in duomo con il vescovo Luciano e con gli altri catecumeni della diocesi che riceveranno nelle loro parrocchie, la notte di Pasqua, il Battesimo. La terza, la quarta e la quinta domenica di quaresima hanno tre scrutini, la domenica delle palme altro ritiro al centro Paolo VI.
È certamente un cammino di catecumenato intenso che non si fermerà alla notte di Pasqua ma che continuerà. Brice (si farà battezzare Michele) e Victor non perdono un incontro, posso dire che si legge in loro il desiderio di diventare figli di Dio. Alla domanda “Perché?” rispondono che nel loro villaggio non era possibile diventare cristiani e che il viaggio attraverso il deserto e la prigionia in Libia hanno fatto sperimentare loro che Dio esiste e che provvede, e che hanno visto come il demonio si sia scatenato dopo che hanno chiesto il Battesimo. Sono grati alla comunità di Quinzano e a don Pietro perché si sentono accolti. Le malelingue insinuano che chiedano il Battesimo perché questo potrebbe aiutarli nel percorso di rifugiati richiedenti asilo...se fosse anche così, perché no? Suor Giovanna, missionaria Comboniana in Africa, parla correttamente il Francese (io lo comprendo e lo parlicchio) e questo ci ha aiutato molto anche se ormai l’italiano lo comprendono e cominciano a parlarlo. Fidarsi di Dio e del suo progetto ti aiuta a comprendere che Lui opera costantemente nonostante la miseria umana. Auguro a Brice(Michele) e a Victor di sperimentare questo Dio che è soprattutto Padre. kiremba maggio 2017
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Per la Pace dei cuori
Preghiera iniziale
Formazione & spiritualità
La preghiera, la formazione, la spiritualità sono l’anima di ogni azione autenticamente evangelica ed ecclesiale. Per questo in ogni numero cerchiamo di offrire spunti di riflessione, temi di approfondimento, proposte di preghiera personale e comunitaria.
Signore, oggi una violenza spietata continua a colpire i più deboli, creando esclusione, disuguaglianza, “avanzi umani”. Anche nostra sorella madre terra soffre a causa di un consumismo sfrenato che danneggia tutti. Signore, donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace, guidaci Tu verso la pace. Donaci il coraggio di dire: no alla disuguaglianza che genera i muri, odio, violenza, guerra, e che tutto distrugge. Ci hai creati per vivere da fratelli e sorelle, donaci la capacità di creare rapporti nuovi, e di compiere scelte di dialogo e di riconciliazione. Risana la nostra vita, affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo, affinché seminiamo bellezza e non inquinamento e distruzione.
NO ALL’INEQUITÀ CHE GENERA VIOLENZA P. FILIPPO ROTA MARTIR FILROMAR@GMAIL.COM
Video Cosa suscitano in me questi due video?
Disuguaglianza, squilibrio, inequità, che poi è la radice di una “economia che uccide”, come dice papa Francesco. Queste le parole chiave che emergono dal Rapporto OXFAM, pubblicato alla vigilia del Forum economico mondiale che si è concluso a Davos nello scorso gennaio. Il Rapporto denuncia il divario sempre più ampio che caratterizza oggi la distribuzione della ricchezza in Italia, concentrata nelle mani di pochi, anzi di pochissimi: nel 2016 la ricchezza dell’1% più ricco degli italiani, che oggi possiede il 25% della ricchezza kiremba ottobre 2013 nazionale netta, è oltre 30 volte la ricchezza detenuta dal 30% più povero del resto del Paese.
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Parola della Chiesa
EG 59: “Oggi da molte parti si reclama maggiore sicurezza. Ma fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società […] abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché
il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice. Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale.” Parola di Dio
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo
Per gli ultimi
Preghiera finale
Accogli Signore le nostre preghiere, affinché restiamo fedeli nella nostra missione in favore dei più deboli; per i cristiani, affinché siano sempre solidali con i fedeli di altre religioni, affinché si impegnino a vivere nella quotidianità gli insegnamenti del Vangelo; per le persone spogliate della propria dignità, affinché trovino il conforto e la speranza; per quanti vedono negati i propri diritti: perché scelgano la via della giustizia e della legalità per riaffermarli; per chi non ha nessuno: perché incontri donne e uomini di buona volontà che gli donino amore; per gli operatori di carità e di giustizia, in particolare chi opera lontano dalla propria terra: perché vivano con slancio sempre crescente il loro donarsi agli ultimi.
altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato». Eco della vita Suor Dorothy Stang, Missionaria, prima martire del Creato. Dayton, Stati Uniti, 7 giugno 1931 – Anapu, Brasile, 13 febbraio 2005
Dorothy Stang, missionaria di origine statunitense, della congregazione delle Suore di Notre Dame, era una presenza umile e solidale a fianco di contadini in cerca di terra. Ad Anapu, nell’Amazzonia brasiliana, Dorothy era punto di riferimento
per tante famiglie costantemente minacciate da chi, con arroganza, si contendeva ogni metro di foresta. Era diventata una voce per ricordare che la persona va difesa sempre, e che la terra e la foresta non vanno aggredite e devastate, ma rispettate, protette e amate perché patrimonio di tutti. Contrastò interessi importanti, e venne messa a tacere in una triste, piovigginosa mattina del 12 febbraio 2005. La notizia del suo assassinio lasciò di sasso molti brasiliani, che avevano cominciato da poco ad accorgersi delle battaglie portate avanti a 73 anni dalla piccola suora con la voce dolce e il sorriso luminoso. Quella mattina gli assassini incaricati di ucciderla l’avevano sorpresa da sola nel mezzo della foresta amazzonica. Aveva con sé la Bibbia e alcuni documenti con le istruzioni per il Sustainable Development Project (Pds), un progetto di sviluppo sostenibile che stava portando avanti con passione insieme alle consorelle della sua congregazione. Com’era sua abitudine, suor Dorothy stava andando a fare visita ad alcune famiglie nella foresta, famiglie che sostenevano il Pds. Suor Dorothy aveva già ricevuto minacce di morte e quando i giovani armati l’avevano fermata si era subito resa conto di essere in pericolo. Aveva anche cercato di dissuaderli, riuscendo a leggere alcuni brani del Vangelo, dicendo che la sua arma era quel libro. Ma i soldi offerti per l’assassinio per quella gente valevano di più: sei colpi sparati a bruciapelo la fecero cadere a terra nel mezzo della foresta. Un temporale tropicale scoppiato subito dopo intrise del
suo sangue la terra che lei tanto amava e che difendeva ogni giorno. Così l’hanno trovata le famiglie che lei voleva andare a trovare: erano tutti sconvolti, cominciarono a piangere e a pregare. “Quel giorno l’Amazzonia ha perso un’amica, ma ha avuto il dono di un angelo”. Suor Dorothy è stata uccisa per via dello scontro in atto tra la vita degli abitanti dell’Amazzonia e l’economia dell’industria agricola, nello Stato del Parà. Suor Dorothy, così come accaduto per Oscar Romero, è stata assassinata non “per odio verso la fede cattolica” ma “per odio verso la giustizia”, quella desiderata da Dio. Per condividere • La misericordia non è sentirsi padroni (i vignaioli), ma farsi carico, ascoltare il grido dei poveri, della terra. Contro il rischio della “assuefuazione”, chiediamoci: “Dov’è tuo fratello schiavo?” Rispondiamo, a questa domanda personalmente e con la nostra comunità. • Cosa fare, concretamente, per combattere l’inequità? Quale gesto semplice e quotidiano di solidarietà possiamo compiere, insieme ai cristiani e a tante altre persone “di buona volontà”? L’equipe formata da Tullio, Grazia Anna, Filippo, Patrizia e Claudio gradirebbe avere un riscontro sulla condivisione che questa proposta formativa ha suscitato. Puoi inviarlo a: missioni@diocesi. brescia.it kiremba maggio 2017
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FORMAZIONE & SPIRITUALITÀ
La forza missionaria della preghiera Santa Teresa di Calcutta
PREGARE INSIEME Ogni santo, nelle piccole e grandi cose, ha dimostrato coraggio perché lo Spirito Santo abita dentro di lui e agisce in modo evidente, Diceva San Paolo: «non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me».
DON FRANCESCO PEDRAZZI - frapedro73@gmail.com
Un anno fa, il 15 marzo 2016, papa Francesco firmava il decreto di canonizzazione di una delle figure ecclesiali più significative del XX secolo: Madre Teresa di Calcutta. Al secolo Anjezë (Agnese) Gonxhe Bojaxhiu, nata a Skopje (Macedonia) nel 1910 da una famiglia albanese, e morta nel 1997, è stata proclamata Santa lo scorso 5 ottobre. All’età di dodici anni Agnese avverte la chiamata a consacrare la sua vita al Signore. Si rivolge alle suore di Loreto e inizia il noviziato in Irlanda. In seguito, incantata dai racconti dei missionari gesuiti nel Bengala, dà la disponibilità per completare il suo il noviziato in India, a Darjeeling (ai piedi dell’Himalaya). Nel 1931, in occasione della professione temporanea, sceglie il nome “Teresa”, ispirata dalla mistica carmelitana santa Teresa di Lisieux, proclamata pochi anni prima“Patrona dei missionari”. Questa scelta lascia già intravedere i tratti della sua spiritualità missionaria: avrebbe abbracciato la “piccola via” della santa francese, abbandonandosi in Dio come una bambina, attraverso una preghiera continua, umile e fiduciosa. Apparentemente tanto distanti l’una dall’altra nel modo di vivere la propria consacrazione (l’una chiusa in un monastero, l’altra sulle strade polverose di Calcutta), le due piccole sante (in quanto a statura) sono state “giganti” nel divenire strumenti docili nelle mani del Signore, a tal punto da considerarsi l’una «la pallina di Gesù» (Teresa di Lisieux) e l’altra «la matita di Dio» (Teresa di Calcutta). Nel 1946, durante un viaggio in treno, Teresa avverte una voce distinta nel suo cuore: «Ho sete!». Riconosce le parole di Gesù crocifisso, assetato d’amore nei malati e nei poveri che incrociava negli slum di Calcutta, quando vi si recava a insegnare. Comprende che Dio le chiedeva di lasciare tutto, anche il suo ordine, per servire i più poveri tra i poveri. Inizia così una nuova fase della sua vita, che l’avrebbe portata a fondare una congregazione di suore: le Missionarie della Carità. In una popolazione a maggioranza induista, Teresa non annuncia il Vangelo con le parole, ma con la forza persuasiva della carità. Molti, conquistati dal suo sorriso e dalla sua bontà, si avvicinano alla fede cristiana. Alcuni chiedono il battesimo e un numero crescente di ragazze entrano nella sua congregazione. La missione di santa Teresa di Calcutta (insignita del Nobel per la Pace nel 1979) consisteva quindi nell’annunciare il Vangelo non tanto a parole ma con “la parabola” di una vita tutta spesa per servire i poveri per amore di Cristo. Allo scopo di tenere vivo questo carisma, inizia e conclude la sua missione tra i poveri sostando davanti a Gesù con un tempo prolungato di adorazione eucaristica. Questo aspetto è particolarmente significativo se si considera che (come emerge dalle lettere postume del 2007) ella ha vissuto per quasi cinquant’anni una condizione di profonda aridità spirituale. La preghiera non le permetteva di avvertire la presenza consolante di Dio ma le appariva nondimeno indispensabile per riconoscere la sua presenza nei derelitti di Calcutta e per accostarsi a loro con il cuore e lo sguardo di Gesù. In uno dei suoi scritti si legge: «Nel 1973 la nostra congregazione decise di fare adorazione un’ora ogni giorno. Da quel momento il nostro amore per Gesù è diventato più intimo, il nostro amore reciproco più comprensivo, il nostro amore per i poveri più misericordioso, e abbiamo visto raddoppiare il numero delle vocazioni. Abbiamo bisogno di cibo continuo. Per questo cominciamo la giornata alle quattro e mezzo del mattino… È questa una grande sorpresa per me: siamo infatti tutte e ciascuna molto occupate; abbiamo tante cose da fare per la nostra gente. Eppure quest’ora di adorazione non è un’ora sottratta al lavoro per i poveri». Figli come siamo di una cultura attivista ed efficientista, quanto abbiamo bisogno di meditare queste “sante parole” sulla forza missionaria della preghiera!
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15^ Giornata Nazionale di Formazione e Spiritualità Missionaria
Blocknotes
Assisi, 24-27 agosto 2017 Relatori e relatrici, liberi come sempre di dirci quello che hanno in fondo al cuore, ci aiuteranno a gettare uno sguardo più ampio possibile sulla realtà. Ad ascoltare Gesù, infatti, non c’è solo una messe di buon grano, ma è sempre anche molta. E’ per ristrettezza di prospettive e scarsità di itineranze che spesso il buon grano appare invece a noi troppo poco, quando non del tutto assente. Ma è mai possibile che il vasto mondo là fuori sia ridotto al deserto che vediamo noi? Sentiremo da loro come stanno le cose, e magari riusciremo perfino a rivedere alcuni dei nostri (pre)giudizi. Sarebbe meraviglioso se accadesse! L’invito a partecipare è rivolto alle équipe e agli animatori di Centri/Uffici Missionari Diocesani, ad animatori parrocchiali oltre che ad appartenenti ad Istituti e Congregazioni maschili e femminili, seminaristi, a ONLUS e ONG di ispirazione cristiana impegnate nella missione, per qualificare meglio il proprio servizio missionario alla Chiesa e al mondo. Per informazioni: missioni@chiesacattolica.it tel: 06 66398308
Abbiamo Riso per una cosa seria - Edizione 2017
La FOCSIV ha scelto il riso, 15 anni fa, come il veicolo della Campagna, un alimento tra i più consumati al mondo in particolare tra i più poveri. Un prodotto che permette, data la sua diffusione e produzione anche italiana, di promuovere un modello di sviluppo sostenibile attento alla qualità, alla sicurezza alimentare, all’ambiente ed ai territori, una visione questa condivisa dagli agricoltori del Nord e dai contadini dei Sud del mondo. L’agricoltura familiare è il modello per attuare un’ecologia integrale, secondo quanto indicato da Papa Francesco nella sua Enciclica “Laudato si’”, un paradigma di giustizia, in cui la preoccupazione per la natura, l’equità verso i poveri, l’impegno nella società risultano inseparabili; una vera e propria carta vincente per il futuro della famiglia umana e del Pianeta. Il 6 e 7 maggio 2017 prenderà ufficialmente il via la Campagna, giunta alla sua XV edizione. Altri banchetti si terranno per tutto il corso del mese di maggio. Per maggiori informazioni visitate il sito www.abbiamorisoperunacosaseria.it kiremba maggio 2017
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