Kiremba - Marzo 2018

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SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERçUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVIII - N° 1 febbraio 2018 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA

Nulla è impossibile a Dio

Pasqua Missionaria

Marzo 2018


Sommario

Primo piano Ricordando i Missionari Martiri 4-5

Chiesa & missione Bimestrale dell’Ufficio Missionario Diocesano, via Trieste 13/B - Brescia Tel 030.3722350 - Fax 030.3722360

Pollicino: un prete missionario 6-7

Direttore don Adriano Bianchi

I missionari raccontano

Direzione e redazione Via Callegari, 6 – 25121 Brescia Tel. 030.3754560 Fax 030.3751497 e-mail redazione: kiremba@diocesi.brescia.it e-mail Ufficio Missionario: missioni@diocesi.brescia.it web: www.diocesi.brescia.it/missioni Redazione don Carlo Tartari: carlotartari@diocesi.brescia.it Andrea Burato: andrea.cm@diocesi.brescia.it Claudio Treccani: claudiotreccani@diocesi.brescia.it Chiara Gabrieli: chiaragabrieli@diocesi.brescia.it Don Francesco Pedrazzi : frapedro73@gmail.com Francesca Martinengo: fra.martinengo@gmail.com Grafica e impaginazione Andrea Burato Autorizzazione del tribunale di Brescia N. 269 del 11.07.1967 Imprimatur Curia vescovile di Brescia Stampa LITOS – Gianico (BS) Editrice Fondazione opera diocesana San Francesco di Sales, via Callegari, 6 - 25121 Brescia

Uganda 8-9 Pakistan 10-11

Quaresima Missionaria Nulla è impossibile a Dio I progetti missionari

Animazione missionaria Chi non arde non incendia Gussago: una pastorale basata sui legami

22-23

Formazione & spiritualità 12,00 euro ORDINARIO 50,00 euro sostenitori PER LE POSTE ITALIANE CONTO CORRENTE N° 389254. INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA VIA TRIESTE, 13 25121 BRESCIA CON CAUSALE: “ABBONAMENTO KIREMBA 2018” BONIFICO BANCARIO: IBAN: IT79F0311111205000000007463

IL TUO AIUTO PER LE MISSIONI UBI BANCA - AGENZIA N. 5 C/C N. 7463 - ABI 3500 - CAB 11205 IBAN: IT75S0350011205000000007463 INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA - UFFICIO PER LE MISSIONI BANCA POP. ETICA VIA V.VENETO, 5 - 25128 BRESCIA C/C N. 102563 - ABI 5018 CAB 11200 IBAN IT 51 K050 1811 2000 0000 0102 563 INTESTATO A: UFFICIO MISSIONARIO DIOCESI DI BRESCIA kiremba marzo -2018 2

18-19 20-21

Orizzonti Dobbiamo conoscerci

Abbonamento ANNUALE

12 13-17

La Missione: il cuore ella pastorale Pregare insieme

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Blocknotes

Agenda 27

NOVITÀ PER ACCEDERE AI CONTENUTI MULTIMEDIALI, INQUADRA CON IL TUO SMARTPHONE DOTATO DI LETTORE, IL CODICE QR PRESENTE IN ALCUNE PAGINE DI KIREMBA. CON QUESTA MODALITÀ DESIDERIAMO INTEGRARE SEMPRE MEGLIO LA RIVISTA CON LA POSSIBILITÀ DI VISIONARE FILMATI, GALLERIE FOTOGRAFICHE, SITI WEB DEL MONDO MISSIONARIO ED ECCLESIALE. QUI A SINISTRA TROVATE IL CODICE QR CHE RIMANDA AL SITO DEL CMD DI BRESCIA


editoriale

Passaggi don carlo tartari carlotartari@diiocesi.brescia.it

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el cuore del tempo quaresimale lo sguardo si volge alla passione, morte e resurrezione di Gesù. Papa Francesco, rivolgendosi ai credenti, sottolinea un atteggiamento di grande vigilanza interiore per evitare il grande rischio di “avere uno stile di Quaresima senza Pasqua” cedendo ad una tristezza individualista. Mi pare ovvio che Papa Francesco non voglia eludere, evitare, aggirare l’austero cammino quaresimale contrassegnato da severità, serietà e compunzione, ma questo percorso ha un orizzonte luminoso, nuovo, radioso: la luce della Pasqua di resurrezione. Per questo la Quaresima è tempo di profondo rinnovamento interiore, è occasione provvidenziale di conversione e cambiamento, è passaggio a condizioni di vita diverse. Ogni anno il Centro Missionario ha l’onore e l’impegno, in collaborazione con l’ufficio per gli oratori, di preparare un percorso di preghiera destinato alle famiglie e ai più piccoli. Ci siamo lasciati guidare dai passaggi che il Signore rende possibile nella nostra vita: sono cambiamenti e novità che ci dicono che il Regno di Dio non è di là da venire, non è una teoria o una espressione allegorica; il Regno di Dio c’è! Abbiamo bisogno di occhi, cuore e intelligenza per vederlo, accoglierlo, comprenderlo. Abbiamo chiesto ad alcuni testimoni di narrarci l’esperienza di questi passaggi, la bellezza, lo stupore e la meraviglia nati nella percezione che davvero il Signore sta conducendo l’umanità alla salvezza, alla vita. Mostrare il Regno di Dio non necessita di dotte disquisizioni, richiede invece di sapersi spendere perché venga accolto da chi ancora vive le tenebre del peccato, soffre le ingiustizie, patisce la sofferenza, indugia nell’ignoranza: la preghiera è potente nel generare questo cambiamento perché la preghiera è prima di tutto opera dello Spirito e non dell’uomo. Quando cogliamo l’opera dello Spirito lo sguardo si allarga e si approfondisce, per questo nasce la gratitudine verso coloro che sono capaci di narrarci l’opera salvifica di Dio. Tra pochi giorni celebreremo la memoria dei missionari martiri, la mera intelligenza umana ci indurrebbe a pensare e ad affermare che il dramma di una vita persa in modo cruento e drammatico sia da annoverare esclusivamente nella cronaca nera: lo Spirito ci aiuta a comprendere che quelle vite, quelle esistenze uniche e irripetibili hanno espresso una scelta, una predilezione, si sono orientate verso Gesù che patisce e muore in Croce fino a riviverne il doloroso Calvario. Ma così come le strade dei martiri arrivano ad una terribile morte ingiusta e cruenta così pure si orientano a quella luce, a quella resurrezione che il Signore Risorto apre per tutti gli uomini. La missione trae forza, ispirazione, direzione dalla testimonianza di questi fratelli e sorelle che nei luoghi più martoriati e sofferenti della terra aprono squarci di salvezza e di luce. La comunione e la conformazione a Gesù ci sono proposti come motivo determinante e interpellante per rispondere alla chiamata a “fare discepoli”, ad “essere testimoni di Lui”, ad “annunciare la venuta del Regno di Dio”. Il passaggio da una “pastorale di conservazione” ad una pastorale decisamente missionaria (EG 15) non è dunque una riorganizzazione aziendale, è un desiderio, una mozione interiore che ringiovanisce la Chiesa e la pone a servizio di tutti perché tutti sono destinatari dell’annuncio di salvezza che risuonerà ancora una volta nella notte di Pasqua

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Primo piano

ricordando i missionari martiri stefano femminis stefano.femminis@gmail.com

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ell’estate scorsa papa Francesco ha introdotto una novità che ha ricevuto meno enfasi e attenzione di altri suoi gesti inediti, ma non vi è dubbio che si tratti di una decisione che lascerà il segno. L’11 luglio 2017 il pontefice ha pubblicato il motu proprio Maiorem hac dilectionem, con il quale ha aperto la strada alla beatificazione di quei fedeli che hanno donato se stessi per il prossimo, accettando liberamente e volontariamente una morte certa e prematura. Se papa Wojtyla aveva introdotto, canonizzando Massimiliano Kolbe, il “martirio della carità”, Francesco è andato oltre: “l’offerta della vita” si aggiunge così alle fattispecie del martirio classico e dell’“eroicità delle virtù” dalle quali finora è partito il procedimento della Chiesa per dichiarare una persona santa. L’espressione missionari “martiri”, già in uso in modo informale per

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UN’ICONA BRUCIATA, SIMBOLO DELLE VIOLENZE SUI CRISTIANI

descrivere i casi di chi perde la vita in modo violento in terra di missione a causa del proprio servizio di apostolato, diventa dunque sempre più pertinente ed efficace. Anche se, per non ingenerare confusioni, in alcuni documenti e statistiche ecclesiali si utilizza la più generica espressione di “testimoni”. Che il martirio non sia per nulla “fuori moda” ce lo ricorda l’agenzia vaticana Fides, che pubblica ogni anno un dettagliato report, con nomi e storie troppo spesso ignorate dai cosiddetti “grandi media”. Scopriamo così che sono 1.135 gli “operatori pastorali cattolici” (ovvero sacerdoti, religiosi, suore, laici consacrati, catechisti e tutti coloro impegnati in un’attività missionaria in senso lato) uccisi dal 1990 al 2017. L’anno scorso sono stati 23 i missionari uccisi (5 in meno dell’anno precedente): 13 sacerdoti, 1 religioso, 1 religiosa, 8 laici. Secondo la ripartizione continentale, per

A tutte le latitudini sacerdoti, religiose e laici condividono con la gente comune la stessa vita quotidiana, portando il valore specifico della loro testimonianza evangelica come segno di speranza: come dire che la morte violenta, per tanti missionari che scelgono di condividere la vita del “popolo di Dio” anche alle latitudini più difficili, è un’eventualità che viene consapevolmente messa in conto.


Il Film

“Uomini di Dio” - Preghiera e martirio

l’ottavo anno consecutivo il numero più elevato si registra in America Latina, dove sono stati uccisi 11 operatori pastorali (8 sacerdoti, 1 religioso, 2 laici); seguono l’Africa (10 vittime) e l’Asia (2). Come sottolinea il sussidio preparato sul tema da Missio Italia, «molti operatori pastorali sono stati uccisi durante tentativi di rapina o di furto, in contesti di povertà economica e culturale, di degrado morale e ambientale, dove violenza e sopraffazione sono assurte a regola di comportamento, nella totale mancanza di rispetto per la vita e per ogni diritto umano. A tutte le latitudini sacerdoti, religiose e laici condividono con la gente comune la stessa vita quotidiana, portando il valore specifico della loro testimonianza evangelica come segno di speranza»: come dire che la morte violenta, per tanti missionari che scelgono di condividere la vita del “popolo

 Negli anni 90, in un villaggio isolato tra i monti dell’Algeria, otto monaci cistercensi di origine francese vivono in armonia con i loro fratelli musulmani. Tuttavia quando un attacco terroristico sconvolge la regione, la pace e tranquillità che caratterizzavano la loro vita sono in procinto di essere cancellate. Man mano che la violenza e il terrore integralista della guerra civile si diffondono nella regione, i

monaci si ritrovano davanti ad un bivio: decidere se rimanere o ritornare in Francia. Nonostante anche l’invito delle autorità ad andarsene, i monaci decidono di restare al loro posto pur di aiutare la popolazione locale, mettendo così in grave pericolo la loro stessa vita.

di Dio” anche alle latitudini più difficili, è un’eventualità che viene consapevolmente messa in conto. Un’altra sottolineatura importante è quella relativa ai martiri senza volto: «Agli elenchi dell’agenzia Fides spiega il documento di Missio - deve sempre essere aggiunta la lunga lista dei tanti di cui forse non si avrà mai notizia o di cui non si conoscerà neppure il nome, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano con la vita la loro fede in Gesù Cristo». La piccola schiera di martiri del 2017 è eterogenea per età, famiglia religiosa di appartenenza e ambito di impegno pastorale: si va dalla 26enne polacca Helena Agnieszka Kmiec, volontaria laica dei Missionari Salvatoriani, accoltellata a morte il 24 gennaio a Cochabamba (Bolivia) durante un tentativo di furto, al 71enne sacerdote messicano Luis Lopez Villa, trovato morto nella sua abitazione in luglio, legato e con ferite da arma da taglio. Tra le tante storie, segnaliamo ancora quella di Domingo Edo, laico, ucciso il 20 agosto mentre si recava a guidare una liturgia della Parola in un villaggio sull’isola di Mindanao (Filippine), nell’area della miniera del Tampakan. Domingo era noto per il suo impegno per la difesa dei diritti della terra delle popolazioni indigene, minacciate dall’espansione della miniera. Abbiamo ricordato questo caso perché negli ultimi anni numerosi omicidi hanno una forte connotazione “ambientale”: persone uccise perché difendevano il diritto alla terra, le popolazioni indigene, la biodiversità, quasi sempre opponendosi a mega

progetti dell’industria estrattiva. Una concreta conferma di quanto dice il Papa nella Laudato si’, a proposito della stretta connessione fra cura della casa comune e promozione della giustizia. Su questo sfondo arriva, come ogni anno, la Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, celebrata il 24 marzo in ricordo dell’uccisione di monsignor Oscar Arnulfo Romero, in El Salvador, durante la celebrazione della Messa. E a rendere ancora più attuale e densa di significati la ricorrenza ci ha pensato papa Francesco, che il 27 gennaio ha di fatto aperto la strada alla beatificazione del vescovo di Orano, mons. Pierre Claverie, e di altri 18 compagni, sacerdoti, religiosi e suore, martirizzati in Algeria negli anni 1994-1996. Tra loro anche i sette monaci trappisti del monastero di Tibhirine, rapiti nel marzo 1996 e ritrovati morti il 21 maggio successivo, la cui vicenda ha ispirato il celebre film Uomini di Dio. Un ulteriore “segno” con cui papa Bergoglio ci ricorda ciò che ebbe a dire il 24 aprile 2017: «La Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri. E i martiri sono coloro che[…] hanno avuto la grazia di confessare Gesù fino alla fine, fino alla morte. Loro soffrono, loro danno la vita, e noi riceviamo la benedizione di Dio per la loro testimonianza l’eredità viva dei martiri dona oggi a noi pace e unità. Essi ci insegnano che, con la forza dell’amore, con la mitezza, si può lottare contro la prepotenza, la violenza, la guerra e si può realizzare con pazienza la pace”. kiremba marzo 2018

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Chiesa & missione

Pollicino: un prete missionario don giuseppe ghitti DONBEPPEGHITTI@YAHOO.COM.BR

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o scorso 10 Novembre Don Felice Bontempi, missionario bresciano in Brasile, è tornato alla casa del Padre. Nato a Marone l’11 dicembre 1937, fu ordinato a Brescia il 23 giugno 1962. Nella diocesi di Brescia è stato Vicario cooperatore a Roè Volciano (19621966), Parroco a Moerna (1966-1967) e Vicerettore del Seminario (19701976). Dal 1976 Don Felice è stato fidei donum in Brasile presso Itaobim, nella diocesi di Araçuai. Con l’aiuto di volontari italiani ha realizzato molte opere nella missione a Itaobim, città dello stato brasiliano di Minas Gerais. Abbiamo chiesto a Don Giuseppe Ghitti, altro missionario bresciano che ha condiviso tanto con Don Felice, di raccontarci qualche aneddoto della missione vissuta insieme. I miei primi ricordi di don Felice, di cui sono compaesano, risalgono a quando, con l’età di sette anni, andai per la prima volta durante

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DON FELICE BONTEMPI, per gli amici era “pollicino”

l’estate, nella casa colonia di Saviore, gestita dalla parrocchia di Marone. Il parroco di allora, Mons. Andrea Morandini, mandava insieme alle suore dell’asilo anche i suoi seminaristi per prendersi cura di noi bambini. Don Felice, che noi chiamavamo semplicemente Lice, era quello che più ci era simpatico, sia perché non era molto più alto di noi, sia per la gioia che riusciva a trasmetterci con le sue storie e barzellette. Nei giorni di pioggia non si poteva uscire in cortile a giocare o andare a passeggio in pineta. Pigiati in un piccolo salone il chierico Lice riusciva a farci stare quieti contando la storia di Pollicino, inventando particolari che naturalmente nella favola ufficiale non ci sono e lasciandoci con la curiosità di sapere il seguito quando interrompeva il racconto perchè ritornava il sole e si usciva all’aperto. Don Felice, sia in Italia

Don Felice, sia in Italia come in Brasile, è sempre riuscito a creare un legame di simpatia e di empatia con i bambini in qualsiasi posto o parrocchia si trovasse a svolgere il suo ministero di prete.


Testimonianza

Video intervista  In una delle sue ultime visite a Brescia, Don Felice è passato dalla sede di Cuore amico ed ha raccontato la sua vita e della sua attività missionaria, passata interamente in Brasile, dove ha operato per circa 40 anni in contesti poverissimi e con un quadro politico difficile. Consideriamo che il video di questa intervista a don Felice sia un documento prezioso; anche perché don Felice era una persona che

È stato per me amico e esempio di prete dedicato alla sua gente, preoccupato soprattutto di aiutarli a vivere con dignità e come protagonisti della loro storia. Aveva ancora sogni da realizzare quando il Signore l’ha chiamato a vivere per sempre con Lui, con i suoi santi e i suoi angeli.

come in Brasile, è sempre riuscito a creare un legame di simpatia e di empatia con i bambini in qualsiasi posto o parrocchia si trovasse a svolgere il suo ministero di prete. Anche persone con problemi di depressione o psicologici ne giovavano e uscivano dall’incontro più animati. Quando nel luglio del 1982 sono arrivato in Brasile, nella diocesi di Araçuaì, dove era stato nominato vescovo il bresciano Mons. Enzo Rinaldini e dove già lavoravano vari preti bresciani, il mio primo “allenamento” al nuovo mondo di missione l’ho trascorso con don Felice, allora parroco nella parrocchia di Padre Paradiso. Andando con lui nelle varie comunità ho imparato dal suo esempio a stare vicino alla gente semplice, ad ascoltarla, a prenderla sul serio, a scoprire in loro la gioia di vivere e di lavorare insieme, a incentivare in

faceva tanto, ma non amava molto parlare di se stesso. Don Felice cerca di raccontare quanto è riuscito a fare nei tanti anni di opera missionaria in terra sudamericana insieme agli altri missionari bresciani.

loro e a sviluppare i doni di mente e di cuore che possedevano. Con Don Felice, parroco di Itaobim ed io parroco di Medina, abbiamo organizzato corsi e incontri con le varie comunità di base sparse nel territorio delle nostre parrocchie, con il tema: Fede e Politica, proprio per aiutare contadini e lavoratori a prendere coscienza e ad attuare nell’ambito sociale, sindacale e politico, per diventare protagonisti della loro storia. Di tanto in tanto noi preti bresciani, molte volte con la presenza del vescovo Dom Enzo,passavamo un giornata insieme per parlare in dialetto, mangiare qualcosa di “bresciano” e scambiarci le nostre esperienze. Don Felice riusciva sempre a creare un clima di allegria tra noi. Don Felice inventava sempre cose nuove da fare, ma non sempre trovava gente capace di stare al suo passo e ne soffriva. In questi ultimi anni gli ho dato una mano quando era parroco di Catujì e andavo spesso a visitarlo quando si è ritirato nel Centro Santa Luzia, da lui fondato ad Itaobim. È stato per me amico e esempio di prete dedicato alla sua gente, preoccupato soprattutto di aiutarli a vivere con dignità e come protagonisti della loro storia. Aveva ancora sogni da realizzare quando il Signore l’ha chiamato a vivere per sempre con Lui, con i suoi santi e i suoi angeli. Chissà, forse, anche in Paradiso c’era bisogno di qualcuno che contasse con creatività la storia di Pollicino e qualche bella barzelletta. Se c’era bisogno, ora c’è don Felice! kiremba marzo 2018

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I missionari raccontano UGANDA

parola d’ordine: accoglienza GIULIANO CONSOLI giulianotiyan@gmail.com>

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ono trentaquattro anni che servo Dio in Uganda, nella regione del Karamoja. Ancora oggi ringrazio la mia famiglia e la comunità di Roncadelle per aver alimentato questa mia vocazione. Sono arrivato in Uganda nel 1984 come volontario SVI. Dopo vent’anni di volontariato nel progetto di sviluppo agricolo nella regione ho continuato la missione che mi era stata affidata come famiglia. Infatti, per chi non mi conosce, sono sposato con Anna Lomise (Ugandese Karimojong) con due figli che io chiamo ufficiali e adottati altri (circa venti) di cui ci prendiamo cura. La nostra “famiglia allargata” ha iniziato a formarsi circa vent’anni fa. Durante una visita ai villaggi un uomo si presenta con un piccolo bimbo di due settimane. La mamma deceduta al parto. Portiamo il piccolo a casa, ma purtroppo tornerà alla casa del padre. Questo segna l’inizio di una lunga

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momento di festa tra ragazze ugandesi

serie di bambini che accoglieremo in casa praticamente dalla nascita. A Paolo seguiranno Pasquale, Lochughe e tanti, tanti altri. Pian piano la nostra famiglia, diventata una casa di accoglienza, si allarga. Nel 2004 dopo aver lasciato lo SVI sono diventato laico missionario, continuando la missione in questa regione meravigliosa dell’Uganda. La Karamoja si trova al nord est dell’Uganda, una regione abbandonata per anni da molti governi, e lasciata o tenuta come zoo umano al tempo del protettorato inglese. È abitata dagli omonimi Karimojong, una popolazione proveniente dagli altipiani etiopici, tradizionalmente pastori e guerrieri. La zona è stata per anni considerata insicura e molto arretrata. Attualmente stiamo vivendo un periodo nuovo di sicurezza. Oggi sono solo un ricordo le grosse razzie di bestiame e degli atti di “bracconaggio” lungo le strade, a

volte purtroppo con fatti tragici che riportano noi bresciani al ricordo di Sr. Liliana Rivetta e Padre Mario Mantovani, uccisi entrambi nella regione durante un viaggio. Sicuramente il loro sangue non è stato sparso invano e dal paradiso sicuramente pregano per la pace non solo nel Karamoja ma nel mondo. Nel 2004 il cambio di ruolo ha anche coinciso con il ambio di residenza, così la nuova casa al momento dell’ apertura sarà chiamata Nakiriamet, cioè luogo di incontro. La nostra testimonianza e il coinvolgimento come coppia ci vede giornalmente impegnati nella parrocchia di Namalu, dedicata ai martiri dell’Uganda, accompagnando altre coppie nei cammini di preparazione al sacramento del matrimonio, nella preparazione al battesimo e in tutto ciò che può essere pensato per la pastorale. La nostra casa Nakiriamet è un punto di riferimento per molti. Non solo per


Il Karamoja

Popolazione di nomadi  Il Karamoja è una regione situata nel nordest dell’Uganda, al confine con Sudan e Kenya; è un altopiano che occupa una superficie di 21.905 Kmq., con altitudine tra 1356 e 1524 metri s.l.m.. La temperatura varia fra i 21 e i 36 gradi centigradi, con una media annua superiore ai 30°C. La popolazione secondo un censimento effettuato nel 2002 era di circa 1.217.700

abitanti, con un aumento di circa il 3,5% annuo, secondo le ultime stime. La densità degli abitanti è comunque tra le più basse dell’Uganda. Il Karamoja è tra le aree a più basso Indice di Sviluppo Umano del Pianeta. Gli abitanti del Karamoja si dedicano alla pastorizia seminomade, a differenza della maggior parte degli altri ugandesi, che sono fondamentalmente agricoltori stanziali.

coloro che vi sono cresciuti ma anche per coloro che per vari motivi hanno bisogno di un momento di serenità e di preghiera. Per questo giornalmente abbiamo “ospiti” che riceviamo e con cui abbiamo momenti di condivisione, di preghiera, consiglio e coinvolgimento nelle nostre attività agricole. Accoglienza, apertura sono quasi delle parole d’ordine per noi. Inevitabilmente questo porta anche problemi: non sempre chi viene accolto ha buone intenzioni, anzi. Ma essendo parte della missione e non potendo e non volendo discriminare nessuno, ci affidiamo totalmente allo Spirito Santo. Di sicuro, mia moglie Anna è molto più attiva di me, sia per la conoscenza della realtà, che nella capacità di saper ascoltare le storie di vita di chi bussa alla nostra porta. Ringraziamo Dio per tutti coloro che ci sostengono, permettendoci di continuare la missione sia in Karamoja che ad Alito, nella regione Lango, dove cerco di dare una mano al vescovo Franzelli attraverso il sostegno all’IOA nel progetto di formazione e agricoltura di Alito. Terminato il periodo di servizio con lo SVI, per sostenerci e sostenere le attività del movimento, abbiamo iniziato a dedicarci all’agricoltura. Questo mi ha permesso di continuare l’attività di sviluppo agricolo della zona, lavoro che avevo iniziato con lo SVI. La gente del posto apprezza notevolmente questo tipo di attività che ci vede compartecipi della realtà. Per gli agricoltori locali siamo un punto di riferimento per la scelta delle tecniche da utilizzare, ma anche per i servizi che offriamo. L’ attività

agricola ha sicuramente un impatto nell’economia locale, avendo un giro di cinquanta famiglie che di volta in volta coinvolgiamo nelle lavorazioni. Cerchiamo di commercializzare tutti i prodotti a livello locale, favorendo i programmi della Diocesi e di singole parrocchie o missionari. La nostra missione verte su due aspetti: l’ evangelizzazione e seconda ma non secondaria agricoltura. Due aspetti che si integrano bene essendo ogni attività legata e connessa a momenti di preghiera. Nella preghiera e nell’apostolato troviamo la forza per continuare la nostra testimonianza di famiglia missionaria aperta e integrata nella realtà locale. Presenza che noi riteniamo sia diventata credibile proprio perché abbiamo condiviso con la popolazione sia momenti felici che pericolosi. Mai ci siamo tirati indietro quando durante le attività militari avremmo potuto rientrare. Nel 1992, per sentirmi sempre più parte anche culturalmente dei Karimojong, ho fatto l’iniziazione (Uccisione del bue) e da allora faccio parte del consiglio degli anziani. Per questo pensiamo che come coppia integrazione e credibilità sia nella pratica che nella fede testimoniata siano il traino che ci rende punti di riferimento per la popolazione locale, missionari inclusi. Ringraziamo Dio per tutti questi anni di missione e la forza che ci dà per continuarla soprattutto attraverso coloro che ci sono da sempre vicini. Glorifichiamo Dio e chiediamo che ci seguiate nella preghiera che ci dia la forza per continuare la missione che ci è stata affidata. kiremba marzo 2018

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i missionari raccontano

testimonianze

una vita in difesa delle donne Giulia Cananzi twitter@cananzigiulia

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l sari coloratissimo, la treccia nera, il sorriso aperto. Non diresti mai che la donna gentile che hai di fronte vive sapendo di essere nel mirino dei fondamentalisti. Si chiamava Razia Joseph, dal Pakistan,ed è stata uno dei personaggi più amati e odiati di Faisalabad (nel Nord) e forse dell’intero Paese. Ha combattuto un nemico più grande di lei: la discriminazione nei confronti delle donne e delle minoranze, passata come rispetto per la tradizione. R a zi a er a l a Pre side n te d e lla Women Shelter Organization, un’organizzazione fondata nel 1987 per prendersi cura delle donne che, specie nelle aree rurali, hanno subito violenze domestiche e abusi sessuali, e di quante sono costrette ai matrimoni forzati. Viaggiava per far conoscere la realtà pakistana e sensibilizzare le associazione cattoliche e laiche sul tema scottante della discriminazione

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razia joseph, al centro della fotografia, durante la sua ultima visita al centro missionario diocesano

che le donne vivono nel suo paese. Riceveva spesso donazioni, che utilizzava per pagare un piccolo stipendio alle sedici persone che combattono in prima linea con lei ogni giorno per aiutare e proteggere le donne in difficoltà , specie le reiette, quelle condannate dalle leggi feudali o quelle che hanno avuto il coraggio di ribellarsi. Ha per questo istituito un rifugio per ragazze (Women shelter organization), l’unico luogo per chi non ha più speranze. Mostra una lettera eloquentissima, una delle tante: «Signora Joseph, conosciamo bene lei e le sue attività. La seguiamo. Se finora è riuscita a salvarsi è solo perché ha fortuna. Questo è un Paese islamico. Per la nostra tradizione, le donne non hanno capacità intellettive né coscienza dei propri diritti. La sua opera in loro favore non è bene per noi e se lei non la smette la uccideremo». In calce alla missiva, una firma illeggibile.

L’anno scorso hanno incendiato la casa di Razia, saccheggiato il rifugio delle donne, e dopo gli attacchi ai cristiani andare avanti è ancora più faticoso. “Ho tante pecche agli occhi di un fondamentalista - raccintava Razia con un filo di amara ironia - sono donna, single, cristiana, lavoro per i diritti umani e per il dialogo tra le religioni”. Per lei la condizione della donna è il termometro dello sviluppo sociale nel suo Paese: “In Pakistan la donna povera non ha diritti, non va a scuola, non può difendersi né prendere decisioni. Lavora come schiava, non riesce a dare il minimo necessario ai propri bambini. Da noi un figlio fuori dal matrimonio si paga con la vita e persino chi subisce stupro è una vergogna per la famiglia. Una vergogna da far pagare alla vittima”. Da lei arrivavano indistintamente cristiane e musulmane, sul volto il terrore dell’ostracismo.


Discrimanzione radicata

Il primo crimine

 Nella società pakistana essere donne è “il primo crimine”, ma essere anche non musulmane è ancora peggio. È quanto affermato da Mehboob Khan, consulente legale della Commissione per i diritti umani del Pakistan. “Donne, bambini e altre minoranze religiose – ha sottolineato – sono tra i gruppi più svantaggiati. I cristiani in particolare preferiscono rimanere in silenzio quando si tratta di parlare di giustizia sociale.

Razia era la Presidente della Women Shelter Organization, un’organizzazione fondata nel 1987 per prendersi cura delle donne che, specie nelle aree rurali, hanno subito violenze domestiche e abusi sessuali, e di quante sono costrette ai matrimoni forzati.

Razia raccontava di Musarrat, 17 anni, musulmana, promessa sposa a un settantenne: «È scappata dalla famiglia ed è arrivata pregandoci di salvarla. L’abbiamo accolta, ha studiato, è rimasta da noi fino a quando ha trovato un ragazzo che amava e si è sposata». Quel giorno le ragazze del Women shelter l’hanno vestita a festa, erano emozionate perché quella sorella che se ne andava per la sua strada era una luce nel loro destino. Ayesha era incinta, fuori dal matrimonio: «È arrivata terrorizzata. L’ho nascosta da me fino al momento del parto. L’ho portata da un’ostetrica amica, il bambino è nato morto ma lei si è salvata. Una cosa così può costare la vita a ognuna di noi». Cambiare la mentalità, costruire ponti tra uomini e donne, tra cristiani e musulmani, tra ricchi e poveri, tra moderati e fondamentalisti è la chiave del futuro. «È la mia vocazione». Razia

Esistono varie forme di violenza basata sul genere, per le quali bisogna incolpare la società”. Secondo l’ultimo rapporto annuale della Commissione, ogni due ore una donna viene stuprata in Pakistan, ogni otto ore subisce una violenza di gruppo. Meno del 4% dei casi di violenza sessuale terminano con una condanna. Più di 3mila donne sono morte per un omicidio d’onore dal 2008 a oggi.

lo faceva in vari modi: organizza va incontri e manifestazioni, realizzava una rivista, ma soprattutto investiva ogni energia nell’educazione della donna povera. «Innanzitutto bisogna restituire dignità , formare la persona al senso del giusto e dell’ingiusto, guarire le ferite del passato: chi è stato sottomesso fatica a costruire la sua identità». La seconda fase è la formazione professionale: corsi di ricamo e cucito, di «bellezza» - una via di mezzo tra estetista e parrucchiera e di informatica. Il rifugio delle donne accoglieva le ragazze più in difficoltà , erano quarantacinque, ma ne seguiva alcune centinaia, organizzando corsi in dieci villaggi dell’entroterra. Importantissimo il lavoro nelle carceri: qui finiscono le donne più povere, condannate per futili motivi, senza possibilità di pagarsi un avvocato. Vivono in trenta in un unico stanzone, molte hanno figli neonati, alcuni bimbi sono nati lì tra la sporcizia e lo squallore. Al carcere Razia è approdata gradualmente, conquistandosi sul campo la stima del direttore, un musulmano sensibile e intelligente: «I fondamentalisti mi attaccano dicendo che io insegno alle donne in carcere per convertirle alla mia religione, lui mi protegge perché sa che non è vero e perché capisce l’importanza del nostro lavoro. Ma so che i fondamentalisti aspettano un mio passo falso». Razia è passata più volte dal Centro Missionario di Brescia. La vogliamo ricordare attraverso queste pagine, nella speranza che tutto quanto ha costruito possa continuare a vivere e a dare speranza alle donne che vivono la difficle realtà pakistana. kiremba marzo 2018

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Quaresima missionaria

nulla É impossibile a dio chiara gabrieli chiaragabrieli@diocesi.brescia.it

O

gni anno l’Ufficio per le Missioni in collaborazione con il COB propone alle parrocchie della Diocesi un cammino quaresimale per accompagnare il percorso spirituale delle famiglie e dei bambini. Questo percorso è provvidenziale anche per poter segnalare alle comunità cristiane alcuni progetti di solidarietà che diverranno realizzabili grazie ai “fioretti” quaresimali. Il titolo generale del sussidio per la Quaresima 2018 è “Fa fiorire il deserto” il sottotitolo è “Nulla è impossibile a Dio”. È stato scelto questo titolo perché anche un deserto arido e privo di vita con la presenza, l’amore e l’azione di Dio può trasformasi in un giardino ricco di piante: variegate e rigogliose come gli uomini che lo popolano. Il percorso quaresimale si articola su sei passaggi che il Signore rende possibili: ogni settimana un autorevole testimone ci aiuta, in forma di testimonianza, a narrare

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l’immagine del fiore che cresce nell’asfalto simboleggia che tutto É possibile agli occhi di dio

la bellezza dell’opera di Dio. L’introduzione “Dalla morte alla vita” è affidata al nostro Vescovo Pierantonio. Il suo intervento indica il cammino della Quaresima ossia il prepararci attraverso il digiuno e la preghiera alla salvezza eterna, la resurrezione. Sr. Rosemary Nyirumbe, religiosa ugandese delle Suore del Sacro Cuore di Gesù, che da anni si dedica a dare conforto alle vittime della violenza della Lra, milizia che dal 1987 semina morte in Africa centrale, ci introduce al tema della prima settimana: “Dalla schiavitù alla libertà”. La seconda settimana è affidata a Don Marco Marelli, fidei donum bresciano che dal 2012 è missionario in Messico e si occupa in particolare dell’animazione giovanile in una parrocchia di Città del Messico. La terza settimana “Dalla corruzione alla giustizia” è introdotta da Padre Gianni Criveller, missionario del Pime che per 28 anni ha prestato il suo servizio nella grande area cinese.

A Francesco Castelli, professore ordinario di malattie infettive e direttore della Clinica di Malattie Infettive e Tropicali agli Spedali Civili di Brescia è affidata la quarta settimana “Dalla malattia alla guarigione” . La quinta settimana “Dall’abbandono all’incontro” è introdotta dalla testimonianza di Luisa Lorenzini, laica missionaria bresciana che dal 2013 presta servizio in missione nella diocesi di Marracuene in Mozambico. Suor Elisa Kidané, eritrea e suora comboniana, ci introduce alla settimana Santa. La sua testimonianza “Dal Peccato alla salvezza” mette in risalto come la salvezza non sia la fine di un percorso bensì una compagna di viaggio. Il peccato, la debolezza e la fragilità sono sempre lì, che tentano di farci desistere, ma se la salvezza è la nostra compagna di viaggio quest’ultima continua ad infonderci il coraggio necessario per proseguire l’avventura della vita.


Burundi

progetto

Una necessità impellente garantire le cure appropriate a chi ne necessita e preservare dal contagio gli altri ammalati. Nella storia bresciana della Missione e delle Missioni, Kiremba da più di cinquant’anni riveste un ruolo tutto particolare: per il periodo storico in cui fu concepita e realizzata questa presenza, per i personaggi coinvolti, da Mons. Renato Monolo al Vescovo Luigi Morstabilini; dal Sindaco Bruno Boni a tutti gli Amministratori che di Kiremba si sono interessati; per la capacità di coinvolgimento di tutta una Diocesi, una Provincia, di credenti e non credenti. Kiremba è il segno che il Regno di Dio è sempre all’opera e si serve di tanti, di tutti coloro che, consapevolmente o meno, a favore o contro, fanno camminare la Storia nella direzione giusta, che è poi la direzione che ci è stata tracciata dal Signore della Storia, il Cristo Risorto. Il nostro aiuto può continuare a rendere feconda la nostra presenza in Burundi.

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quaresima

Anche in un piccolo ospedale africano come quello di Kiremba, in Burundi, esistono casi di malattie contagiose. Le più comuni vanno dal tifo al colera, dalla tubercolosi alle gastroenteriti batteriche. La maggior parte degli africani, per le condizioni igieniche precarie in cui vive, non ha un’idea molto chiara di cosa significhi “malattia contagiosa”, né di come si trasmetta e delle conseguenze cui va incontro chi non si “protegge” da tali malattie. L’Ospedale di Kiremba si appresta ora a ristrutturare alcune sale del reparto di Medicina Interna perché siano finalmente destinate ai degenti che soffrono di malattie infettive. Sarà quello che viene chiamato “Reparto Isolamento”, per isolare e curare convenientemente i casi contagiosi evitando che altri malati vengano a loro volta contagiati. Sostenere il Reparto Isolamento dell’Ospedale di Kiremba è importante per

un nuovo reparto per gli ammalati

 Dove? Kiremba- Burundi

 Chi? Ospedale Mons. Monolo

Perchè? Preservare gli ammalati dal contagio

Obiettivo € 20.000

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quaresima

progetto

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un aiuto per le comunitÁ cristiane

 Dove? Nord est del Brasile

 Chi? Due Vescovi bresciani

Perchè? Per sostenere l’impegno dei missionari bresciani

Obiettivo € 10.000

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 Brasile

Mon. Verzeletti e Mons. Conti Nel nord del Brasile, da molti anni sono presenti i nostri presbiteri fidei donum, nelle diocesi dell’Amazzonia nella regione del Parà e dell’Amapà. È una terra bisognosa di presbiteri generosi e dediti all’evangelizzazione. Sono guidate da due Vescovi originari della Diocesi di Brescia. Mons. Carlo Verzeletti, originario di Trenzano, dal 2004 è Vescovo della Diocesi di Castanhal. Ci racconta: “La nostra Chiesa deve fare ancora molti sforzi per organizzare la vita e la pastorale, con un minimo di strutture a servizio dell’evangelizzaizone: cappelle e luoghi di incontro. Siamo coscienti che non potremmo mai dimenticarci dei poveri, che sono la maggioranza e premono alle nostre porte. L’evangelizzazione deve andare di pari passo con la promozione umana ed il soccorso alle

numerose urgenze.” Mons. Piero Conti,originario di Brescia, nel 2004 ha iniziato ad essere il Vescovo della Diocesi di Macapà. “La maggior sfida, racconta, è dettata dall’estensione del territorio e la difficoltà di organizzare nello stesso tempo una pastorale urbana e accompagnare le piccole comunità sparse all’interno, di contadini, o lungo il fiume, i pescatori.” Tra un anno il Vescovo Pierantonio incontrerà tutti i missionari bresciani proprio nella città di Castanhal. Ci pare un segno di condivisione poter aiutare queste diocesi sorelle, relativamente ai progetti di aiuto e vicinanza soprattutto ai poveri. In queste chiese sono presenti: don Renato Soregaroli, don Pierino Bodei, don Giovanni Magoni, don Lino Zani, don Stefano Bertoni e don Paolo Zola.


 Albania

 Pensare al futuro dei giovani è il dovere di cui ogni società deve farsi carico. Accompagnare e sospirare per il futuro dei propri figli è il battito del cuore di ogni mamma, il pensiero e la preoccupazione di ogni famiglia. Perciò si affidano i propri figli a quei luoghi di istruzione e a quelle persone delle quali si conoscono l’affidabilità e la tenacia nel perseguire la formazione dei giovani, di ogni giovane, giacché si tratta di trasmettere l’amore per la vita, il rispetto per essa, intanto che faticano e sbuffano sui banchi di scuola. Sono p. Michele Leovino, della Congregazione dei Padri Somaschi, missionario nel nord est dell’Albania, terra povera, montuosa, dura e difficile. Non offre futuro ai giovani, li spinge a emigrare. Per chi resta, la fatica penosa di non poter sperare qualcosa di meglio. Con la

minaccia, ogni giorno più forte, di arrendersi all’ineluttabile: “È così e niente mai cambierà...”. Nel 2004 sorse per dare speranze di futuro attraverso l’educazione e la formazione professionale la Scuola San Giuseppe lavoratore di Rrëshen, felice intuizione del vescovo Palmieri. Continuiamo su quella strada, tante famiglie credono in noi e da anni ci affidano i loro figli, anche quest’anno oltre 300, affinché imparino non solo un mestiere ma anche ad avere la forza di non partire, di restare per lavorare nella loro terra, di migliorare qualcosa con la professione appresa sui banchi e nei laboratori della Scuola. Vorremmo fare passi nuovi aprendo possibilità di stage presso le aziende, un modo per legare la formazione al mondo del lavoro; e per liberare le energie dei giovani.

progetto

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quaresima

L’importanza della formazione

una possibilitÁ per i giovani

 Dove? Rreshen - Albania

 Chi? Congregazione dei Padri Somaschi

Perchè? Per dare un futuro ai ragzzi

Obiettivo € 10.000

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quaresima

progetto

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un luogo per tutti i fedeli

 Dove? Lira - Uganda

 Chi? Mons. Franzelli, Vescovo bresciano

Perchè? Per ampliare la Cattedrale

Obiettivo € 10.000

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Uganda

Una Cattedrale più grande S o n o P. G i u s e p p e F r a n z e l l i , missionario comboniano bresciano, da 12 anni vescovo a Lira in Uganda. In mezzo a tante difficoltà, il sogno di Comboni di “salvare l’Africa con l’Africa” si sta avverando. Anche la crescita numerica dei cattolici ne è la prova. Ho finalmente avuto conferma ufficiale che su una popolazione di 2.123.000 abitanti nel territorio lango, i cattolici sono 1.200.000, più del 50%! Naturalmente, la fede non si misura solo coi numeri. La sfida per la Chiesa che si appresta a celebrare la Giornata Missionaria Mondiale è sempre quella: se la missione è “al cuore della fede cristiana”, come ci ricorda Papa Francesco, quanto è missionaria di fatto la Chiesa di Lira dopo 50 anni di esistenza? E quella delle nostre diocesi in Italia? Con una diocesi grande più di metà della Lombardia e una popolazione di oltre due milioni

di abitanti, sono spesso in giro in visita pastorale alle 18 parrocchie, suddivise in 1200 cappelle. Ogni tanto celebro la Messa anche in cattedrale. È sempre un’esperienza che mi riempie il cuore di gioia e di... preoccupazione. A qualsiasi delle quattro messe domenicali, la chiesa è strapiena, con quasi altrettanta gente obbligata a seguire la celebrazione al di fuori della cattedrale. Costruita nel 1968, la chiesa ha urgente bisogno di essere rinnovata. C’è da sostituire il tetto, che lascia filtrare la pioggia; ma soprattutto la chiesa è diventata troppo piccola! Ci stiamo dando da fare, ma abbiamo bisogno di aiuto. Per questo non mi vergogno di stendere la mano alla mia diocesi di origine. Potete darci una mano?


 Mozambico

 progetto

Dopo numerose insistenze della Direzione Distrettuale i religiosi della Sacra Famiglia aprono la “Escola Secondária Comunitária Sagrada Família (E.Co.Sa.F)”, una collaborazione tra Stato e Congregazione, nel senso che la Congregazione mette a disposizione l’edificio e la sua manutenzione e lo Stato manda e paga i professori e i funzionari. Nel 2017 abbiamo avuto 1.090 iscritti, 790 nel 1º Ciclo (8ª, 9ª, e 10ª Classe) e 300 nel 2º Ciclo (11ª e 12ª Classe), divisi su due turni, il turno del mattino e quello del pomeriggio. Il motto della Scuola é “Educare è dare vita” e la nostra missione è promuovere la crescita globale di ogni alunno in relazione a se stesso, agli altri, all’ambiente e a Dio. La struttura è molto grande e necessita sempre di molta manutenzione ordinaria

e straordinaria. La nostra preoccupazione principale in questo momento è sostituire una parte di tetto di alcune aule (8 aule su 14) e dei gabinetti e delle docce perché quando piove si allagano e con il sole diventano dei forni: in alcuni momenti queste difficoltà impediscono il normale svolgimento delle lezioni. Kanimanbo (grazie) per il vostro aiuto... Così Luisa Lorenzini, laica missionaria bresciana che dal 2013 presta servizio in missione nella diocesi di Marracuene in Mozambico, racconta questo progetto. Luisa ha sperimentato che il chicco di grano deve morire per portare frutto, che le strade mostrano spesso abbandoni e povertà ma è proprio su quelle strade che scopriamo Gesù il quale ci chiede di vivere l’incontro con i nostri fratelli sopratutto i più poveri.

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quaresima

Una scuola accogliente

un tetto nuovo per la scuola

 Dove? Mozambico:  Chi? Luisa Lorenzini, laica bresciana

Perchè? Educare è dare vita

Obiettivo € 7.000

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Animazione missionaria verso il labmissio 2018

chi non arde non incendia andrea burato andrea.cm@diocesi.brescia.it

Le occasioni, quelle belle e vere, vanno colte. Sopratutto se possono essere per noi fonte di crescita, maturazione e apertura mentale. L’equipe del Cmd da qualche anno elabora e sostiene l’appuntamento del Labmissio. Oltre a questo, nell’ultimo anno e mezzo ci siamo adoperati e per la realizzazione del priimo Festival della Missione; un evento che ha avuto grande risalto dentro e fuori i confini della nostra Diocesi. Abbiamo chiesto ad Alberto, uno dei tanti ragazzi che hanno lavorato con noi durante il Festival, che cosa è rimasto di quell’esperienza. “Sono finito al Festivaldella Missione quasi per caso - scrive Alberto - per aiutare un’amica che mi ha chiesto “qualche pomeriggio, rispondi alle mail e poco altro” e, incosciente, ho accettato. I pomeriggi sono diventati giornate intere, fino ad arrivare al 18

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alcuni dei volontari che hanno collaborato per la riuscita del festival della missione

festival quando non distinguevo più il giorno e la notte perché si lavorava sempre. Nessuno mi ha obbligato, ma una volta entrato nella squadra, non ho potuto fare a meno di dare il massimo, o almeno provarci. Perché ho conosciuto una straordinaria banda di matti che rendeva il lavoro un piacere, che sorrideva a ogni ora del giorno, che aiutava, consigliava, cantava, a volte sbagliava, chiedeva scusa e ricominciava a ridere. A ridere. Il Centro Missionario Diocesano è stata la mia casa per un mese. E per un mese non ho potuto far altro che ridere. Sembrerò retorico, ma il Festival della Missione è stato, per me, il Festival della Gioia. Davvero. Ho incontrato uomini e donne straordinari, ho ascoltato storie incredibili, spesso anche piene di buio e sofferenza. Ho visto platee attonite ascoltare testimonianze forti, in silenzio e a

volte anche in lacrime. Ma alla fine, sempre, tornava il sorriso. Perché la forza dei missionari, di quelli che ho ascoltato e di quelli di tutto il mondo, è la Speranza. Quella che dà loro la carica in mezzo ai problemi, quella che li fa andare avanti nonostante le difficoltà, quella che li rende luminosi quanto ti raccontano la loro storia. Ho incontrato la Gioia vera, al Festival. La gioia dei testimoni con i pass sempre al collo, la gioia dei volontari con i loro zainetti colorati, la gioia dei partecipanti che per qualche giorno hanno invaso pacificamente la città. La gioia persino agli aperitivi con i missionari nei locali più fighetti del centro: li credevamo un azzardo, si sono rivelati tra i momenti più riusciti. E poi la musica, da tutto il mondo, universale, potente. E le mostre anche, intense, autentiche. Grazie al Festival, per esempio, ho conosciuto Padre Alejandro


“Ho riscoperto il mondo missionario, la sua forza, il suo valore, la sua autenticità. Quanto prima, vorrei partire per conoscerlo da vicino. Nel frattempo, quando passo in via Trieste, so dove entrare per trovare un abbraccio, un sorriso, una nuova storia. E un caffè gratis, che non fa mai male.” (Alberto)

Solalinde, un uomo incredibile che in Messico difende gli ultimi, contro lo Stato, contro la sua stessa Chiesa, contro i Narcos che lo vogliono morto. Non ha soldi, non ha casa, non ha paura. Dopo un’ora di chiacchiere ti senti una nullità tanto è straordinario. Ma con lui mi sono ritrovato a cantare in macchina o a ballare sotto il palco del teatro, come fosse mio amico da sempre, e lo conoscevo da poche ore. Anche questo, in fondo, lo rende un uomo speciale. E così, grazie al Festival, ho riscoperto il mondo missionario, la sua forza, il suo valore, la sua autenticità. Quanto prima, vorrei partire per conoscerlo da vicino. Nel frattempo, quando passo in via Trieste, so dove entrare per trovare un abbraccio, un sorriso, una nuova storia. E un caffè gratis, che non fa mai male.” Ma dobbiamo aspettare il prossimo Festival della Missione per poter sentirci coinvolti in qualcosa di

bello e forte? Il Cmd, da qualche anno propone il Labmissio come occasione di incontro e confronto sulle tematiche missionarie e su come dobbiamo sempre di più inserirle nell’ordinarietà della nostra pastorale. L’appuntamento di quest’anno sarà organizzato in due momenti: Mercoledi 9 Maggio alle ore 19.00 presso l’Oratorio di Sant’Afra e Sabato 12 Maggio dalle ore 9.00 presso la Parrocchia di Sant’Angela Merici di San Polo a Brescia. Abbiamo voluto strutturare l’appuntamento del Labmissio in due step per poter colpire nel segno i destinatari della nostra proposta. Mercoldi sarà dedicato ai giovani delle parrocchie della Diocesi. L’incontro inizierà alle 19, in pieno orario di happy hour, con un aperitivo con il missionario. A seguire lo spettacolo “Irene”, già molto apprezzato durante le giornate dle Festival della Missione. In seguito un confronto tra i giovani, i missionari e i membri della compagnia teatrale sulle provocazioni nate durante la serata. Ci lasceremo guidare dalla frase “Chi non arde non incendia”, parole che ci invitano a vivere in pienezza e ad essere testimoni credibili negli ambiti in cui siamo chiamati a muoverci. Sabato 12 Maggio ci troveremo invece alla Parrocchia di Sant’Angela Merici di San Polo, a Brescia. Proveremo a confrontarci sulle modalità in cui poter inserire il Progetto di Pastorale Missionaria nell’ordinarietà delle nostre attività. Noi scommettiamo che sarà un’altra occasione da cogliere. Ci sarai? kiremba marzo 2018

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animazione missionaria

gussago

una pastorale basata sui legami don mauro capoferri maurocapoferri76@gmail.com

O

gni azione, di qualsiasi genere sia, prende avvio da una domanda. L’azione pastorale di un oratorio dovrebbe prendere avvio dalla domanda cruciale: come rendere possibile la vita buona del Vangelo per un giovane? E quale potrebbe essere la vita buona per un adolescente e per un giovane? La risposta non è semplice da trovare ma la si può intuire ascoltando e osservando i giovani d’oggi, i loro bisogni, le loro paure, i loro desideri. Chiediamoci dunque: qual e’ il bisogno più vero e profondo che i giovani esprimono? Oggi, forse il bisogno più autentico che essi esprimono e che si tramuta anche in desiderio, è il desiderio di LEGAMI gratuiti, autentici e duraturi che diventino casa accogliente, legami di fraternità solidale vera, legami che non nascono spontaneamente perché scritti nella natura dell’uomo come i

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i ragazzi di gussago durante il campo invermale

legami “naturali” di un’amicizia o di una relazione affettiva, ma legami che si instaurano grazie a un dono e ad un impegno di “grazia”. Tale bisognodesiderio è urgente perché realizza il sogno più arduo: quello di fuggire la solitudine. È un desiderio di legami solidi di appartenenza reciproca, di cura vicendevole, di sostegno certo nel momento di bisogno, legami costruiti su un dialogo formativo di cose vere oltre il gossip o le mode odierne. Legami costruiti da “parole” serie di vita. Secondo me ha torto chi accusa la generazione contemporanea di volersi liberare dal concetto di “eterno” o “per sempre”, perché anche se effettivamente inespresso, forse solo per paura di crederci e di investire in esso dopo tante delusioni del mondo adulto, tale bisogno rimane forte e chiaro con il suo richiamo di stabilità e bellezza. Le generazioni più social di sempre hanno inoltre bisogno e

Le generazioni più social di sempre hanno inoltre bisogno e alcuni coraggiosamente lo dicono, di relazioni frontali e non digitali, calde e non fredde, esponendosi e raccontandosi in prima persona. Questo bisogno è ancora più vero per quella fase della vita, l’adolescenza, dove si abbandonano, almeno in termini affettivi, le relazioni sicure della fanciullezza (famiglia, scuola, sport, e per molti l’oratorio)


Comunità e fraternità

Esperienze per rafforzare i legami  Una pietra miliare del cammino di educazione alla vita buona del Vangelo sono i campi invernali e estivi nella casa che la parrocchia gestisce in Val di Ledro (Tn). Una casa stabile (non si cambia ogni anno casa! Così la sento mia, la sento appunto come casa!) che per molti anni viene vissuta come la casa della condivisione, la pietra sicura, il punto fisso dove potersi ricaricare, dove riprendere speranza e fiducia nell’amicizia e

Ciò che resiste all’usura del tempo e all’inaridimento generale di oggi è proprio questo crescere in legami con Cristo e fra fratelli. Per essere più concreti l’idea è che in Oratorio nascano piccole comunità di vita nella fase della mistagogia, cioè quel biennio post celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana.

alcuni coraggiosamente lo dicono, di relazioni frontali e non digitali, calde e non fredde, esponendosi e raccontandosi in prima persona. Questo bisogno è ancora più vero per quella fase della vita, l’adolescenza, dove si abbandonano, almeno in termini affettivi, le relazioni sicure della fanciullezza (famiglia, scuola, sport, e per molti l’oratorio). In tale situazione cosa può dare il Vangelo, cosa può fornire la comunità cristiana? Una possibile risposta la possiamo trovare nell’azione di Gesù che contrasta ogni male con la proposta di una comunità di vita, che fonda una famiglia di fratelli che camminano insieme prendendosi cura uno degli altri. Oggi più che mai si ha sete di legami, legami di vita, veri, rispettosi, gratuiti, generosi, duraturi che possano sostenere la speranza e la voglia di vivere. Credo dunque che oggi sia finita una pastorale di eventi, di convocazioni, di proposte, ma sia iniziata o almeno sia più efficace una

nei fratelli. Non sono settimane di vacanza ma sono settimane di famiglia e di formazione, dove ovviamente la gioia è un ingrediente naturale e indispensabile. I campi sono indispensabili strumenti per far nascere e sostenere quei legami che fanno dell’oratorio non un insieme di stanze o di cortili ma di persone che sognano e si esperimentano nella più bella esperienza della vita: quella dell’amore tra fratelli.

pastorale che aiuti a creare legami fraterni di cura reciproca fra educatori e ragazzi, fra educatori e don, fra educatori e comunità tutta. Questi legami devono poi condurre al legame più grande, fonte di tutto, il legame con Cristo. Ciò che resiste all’usura del tempo e all’inaridimento generale di oggi è proprio questo crescere in legami con Cristo e fra fratelli. Per essere più concreti, l’idea è che in Oratorio nascano piccole comunità di vita nella fase della mistagogia, cioè quel biennio post celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Innanzitutto vorrei spendere due parole a favore del progetto di Iniziazione Cristiana adottao dalla nostra Diocesi: è una buona occasione di evangelizzazione delle nostre famiglie e degli adulti. In questa fase mistagogica, accanto alle figure dei catechisti che pur superando il metodo scolastico e adottando approcci più esperienziali, dopo un accurato discernimento, si introducono, nel nostro oratorio, con un mandato comunitario i JOY MESSENGER , ragazzi e ragazze di IV e V superiore che hanno maturato e deciso il servizio pluriennale di spendersi nella catechesi, nell’accoglienza il sabato sera in oratorio, nei campeggi estivi e invernali, nelle feste di oratorio, nei ritiri spirituali, di piccole comunità di ragazzi e ragazze. Ogni educatore è consapevole che prima di buttarsi a capofitto in azioni impegnative di azione con i ragazzi deve curare la propria formazione umana e spirituale frequentando i due gruppi giovanili dell’oratorio, il corso di esercizi spirituali annuali e altre esperienze di formazione. kiremba marzo 2018

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Orizzonti dialogo interreligioso

DOBBIAMO CONOSCERCI DON ROBERTO FERRANTI DONROBERTOFERRANTI@GMAIL.COM

Tolleranza in fondo in fondo non è una bella parola: essa vuol dire che si vive e si lascia vivere, ma ognuno per sé, ciascuno nella propria cerchia, ognuno camminando per la propria via. Unità di spirito vuol dire amore fraterno, aiuto reciproco, tendenza a una comunanza di pensieri e intimità di sentimenti, sacrificio di se stessi per il bene dei propri fratelli»…parole che sembrano essere scritte per le nostre comunità che stanno vivendo sempre più la sfida affascinante dell’incontro nella diversità, e invece sono parole una serie di riflessioni scritte tra il 1931 e il 1935 proprio da un bresciano, nativo di Brozzo (Marcheno) e che si trovava a vivere la sua esperienza missionaria da Gesuita in Albania. Parole di un uomo, appassionato di Dio, figlio delle nostre valli (dove l’Islam era certamente ancora molto sconosciuto in quegli anni) e che attraverso la sua passione per Dio ha

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vista notturna di scutari - albania - in cui si notano la cattedrale cattolica, quella ortodossa e la moschea

trovato una strada per appassionarsi anche a chi questo Dio lo incontrava attraverso la fede islamica. In Albania, unico Paese europeo a maggioranza musulmana (il primo del vecchio continente a essere visitato da papa Francesco il 21 settembre del 2014), padre Fausti emerge dunque quale precursore del dialogo islamocristiano, così come poi indirizzerà anche il Concilio. I pezzi da lui firmati oltre ottant’anni fa rappresentano un capitale di sapienza che può aiutarci a vivere meglio il momento presente con tutte le sue tensioni e le sue sfide. Altro che scontro di civiltà, altro che strumentalizzazione delle religioni per fomentare i conflitti: musulmani e cristiani sono «figli dello stesso Padre». Alcuni pezzi furono commissionati a padre Giovanni (non uno studioso, ma un missionario sul campo) da Pio XI, convinto che fosse necessario studiarne lingua e religione, usanze e pensiero. A noi,

che spesso ci vantiamo della storia di santità della nostra terra, penso faccia bene rileggere queste parole permeate di brescianità, di fede e di apertura non ingenua all’altro. Gli scritti si trovano in un bellissimo volumetto edito dalla Civiltà Cattolica insieme alle edizioni Ancora con il titolo appunto “Islam e Cristianesimo, riflessioni di un testimone”; mi permetto di riportare di seguito una breve sintesi di un suo primo articolo per stimolare il desiderio di conoscere queste riflessioni che restano di straordinaria attualità; di certo la scrittura in italiano è quella di 80 anni fa, ma appartiene alla bellezza di questi testi. “Su quel lembo orientale dell’Europa, di cui la nobile nazione Albanese ne è come la porta d’ingresso, tempeste spaventose (tra cristiani e musulmani, ndr) si sono scatenate lungo i secoli […]. La bufera fu in parte spazzata via dalla moderna civiltà, ma non si può dire che sia finita: non c’è più la


“Finora si è fatto poco per avvicinarsi ai Musulmani. È necessario studiare a fondo la lingua, la religioni, i costumi, il loro modo di pensare; e quindi, per la via del bene rivolgersi a loro direttamente, procurando di acquistarne la stima e poi l’amore» (PIO XI)

scimitarra alzata sul capo del cristiano, né il fucile spianato dai greppi della montagna contro il soldato invasore; ma ci sono ancora, oltre le contrapposizioni dottrinarie e le ragioni politiche, molti pregiudizi che separano musulmani da cristiani e, se questi non si avversano ed odiano più come una volta, tuttavia non si amano ancora. Eppure, nonostante tutte le differenze profonde che separano queste due religioni, l’Islamismo è pur sempre quella religione che meno di quanto il popolo crede, si allontana dal Cristianesimo. […] Il Cattolico, senza rinunciare a nessuno degli articoli del suo Credo, può ben sentire una sincera affezione per i musulmani. E noi la sentiamo appunto in forza della fede cattolica, la quale c’insegna ad amare tutti gli uomini e tanto più amarli quanto più essi sono vicini a Dio. E chi potrà negare che, fra gli adoratori di Allah, ci sono delle anime vicine a Dio? I

due mondi, cristiano e islamico, di cui l’Albania si trova sul confine, si conoscono troppo poco e, per questo, sembrano stare l’un contro l’altro armati. […] Noi dobbiamo parlare dei popoli che vengono da oriente, non per insultarci; preferiremo perciò le pazienti fatiche di quei valorosi studiosi delle cose orientali e islamiche i quali, senza pregiudizi e senza partito preso ci possono dare la vera storia dell’Islam. […] Un famoso scrittore turco, Namiq Qemal, si lamentava nel secolo passato in questi termini: «Gli Europei, che sanno consacrare delle vite intere a studiare le specie degli insetti, quando si tratta dell’importante porzione dell’umanità che siamo noi (musulmani, ndr) danno prova di una ignoranza o di una mezza scienza strabilianti. Essi hanno contro di noi dei pregiudizi che li acciecano». Non vorremmo che i cattolici continuassero a meritarsi questo rimprovero. Il regnante Sommo Pontefice Pio XI, a cui talvolta guardò con simpatia il mondo musulmano, disse a un Vicario Apostolico: «Finora si è fatto poco (per avvicinarsi ai Musulmani). È necessario studiare a fondo la lingua, la religioni, i costumi, il loro modo di pensare; e quindi, per la via del bene facere rivolgersi a loro direttamente, procurando di acquistarne la stima e poi l’amore» (“Vita Missionaria”, Bergamo 1931). Siano queste auguste parole il nostro programma: dobbiamo conoscerci”. kiremba marzo 2018

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Formazione & spiritualità

la missione: il cuore e l a r o t s a p a l l e d suor graza anna morelli graziannasmsm@gmail.com

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ell’anno pastorale 20162017, il vescovo Luciano Monari lancia per la Diocesi di Brescia le linee per un Progetto Pastorale Missionario (PPM) frutto della riflessione e del lavoro del Consiglio Pastorale Diocesano durati due anni. Qual è l’intento di tali linee per una Diocesi come la nostra, aperta da sempre alla missione e legata da 50 anni alla missio ad gentes? Cerco di fare una rilettura delle intenzioni che possono aver spinto Monsignor Monari e il Consiglio Pastorale Diocesano a proporre il PPM a tutte le unità pastorali, a tutte le parrocchie e a tutti i gruppi cristiani bresciani. Nella vita della nostra Diocesi è evidente una certa stanchezza nel portare avanti la pastorale ordinaria delle parrocchie. La cartina di tornasole potrebbero essere i partecipanti alle tante riunioni proposte, partecipanti «molto conosciuti»... sono praticamente sempre e solo gli

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anche brescia É terra di missione

stessi: riunioni del consiglio pastorale, riunioni della commissione liturgica, riunioni dei catechisti, riunioni della caritas, etc. Siamo sempre gli stessi! Il tipo di pastorale che da anni portiamo avanti, eredi forse addirittura dei tempi della cristianità, è una pastorale che tende a conservare l’esistente e che, proprio per questo, fra poco non conserverà più nulla. È chiaro che da tempo la barca della nostra Chiesa sta sbagliando rotta. Il PPM vuole riorientare la barca verso la rotta giusta. Come? Monsignor Monari, nella presentazione del PPM lo dice chiaramente: dando alla Chiesa l’opportunità di ritrovare la sua identità e il suo scopo: rendere l’azione del Regno (cioè: di Dio stesso che dirige la storia) più evidente, più profonda, più diffusa. La Chiesa deve ridiventare consapevole del fatto che la missione non è una tra le tante azioni pastorali da mettere in atto, ma è il cuore stesso di tutta la pastorale. Il PPM invita dunque le unità pastorali, le

Brescia, dice il PPM, è oggi anch’essa terra di missione. Terra di missione perché ormai siamo lontani da quella che fu la «cristianità», cioè una società completamente basata su principi e orientamenti cristiani, e retta da leggi cristianamente ispirate. Terra di missione perché fra noi ci sono oggi altre culture e altre fedi, nonché una forte indifferenza al fatto cristiano. Siamo dunque tutti invitati a farci carico della Missione della Chiesa, quella che è di ogni battezzato.


Nella vita della nostra Diocesi, è evidente una certa stanchezza nel portare avanti la pastorale ordinaria delle parrocchie. La cartina di tornasole potrebbero essere i partecipanti alle tante riunioni proposte, partecipanti «molto conosciuti» ... sono praticamente sempre e solo gli stessi...

parrocchie e ogni gruppo cristiano, a ripensare la pastorale alla luce dello Spirito di Dio che guida la Chiesa in situazioni storiche sempre nuove, e a dare ad ogni progetto pastorale un orientamento missionario, in modo che la dimensione missionaria arrivi ad ispirare e a dirigere ogni scelta. Brescia, dice il PPM, è oggi anch’essa terra di missione. Terra di missione perché ormai siamo lontani da quella che fu la «cristianità», cioè una società completamente basata su principi e orientamenti cristiani, e retta da leggi cristianamente ispirate. Terra di missione perché fra noi ci sono oggi altre culture e altre fedi, nonché una forte indifferenza al fatto cristiano. Siamo dunque tutti invitati a farci carico della Missione della Chiesa, quella che è di ogni battezzato. Ci è chiesta una conversione di mentalità. La pastorale di conservazione deve diventare pastorale di missione. Ma cosa possiamo fare concretamente? È necessario fermarsi e riflettere al fine di 1) prendere

coscienza criticamente di quanto oggi la dimensione missionaria sia effettivamente presente nella pastorale delle parrocchie (analisi della situazione); 2) ipotizzare il modo di cambiare o migliorare questa situazione (progettualità); 3) prendere i mezzi per passare da ciò che c’è, a ciò che vogliamo che ci sia, cioè i mezzi per trasformare la nostra pastorale (strategie di azione). Ma attenzione! In ognuno di questi momenti, dice il PPM, è necessario fare non solo una lettura sociologica della storia, ma anche teologica; chiedersi cioè: quello che analizziamo, progettiamo e cerchiamo di mettere in atto, è o no in accordo con ciò che lo Spirito di Dio suggerisce. Questo è il discernimento che deve permeare i vari momenti della ricerca. Un discernimento fatto non solo dal parroco e neppure solo dai parrocchiani. Ma INSIEME la comunità cristiana, APERTA ALLO SPIRITO, deve cercare il dove, il come e il quando lo Spirito la orienti.

La comunità cristiana deve imparare così ad avere una doppia fedeltà, allo Spirito e alla storia che si intersecano nella loro relazione. Ricapitolando questa prima parte del PPM: La Chiesa di Brescia, nella persona del suo vescovo, fa sua la riflessione del Consiglio Pastorale Diocesano e invita tutte le unità pastorali, tutte le parrocchie e tutti i gruppi cristiani bresciani a: - ripensare la pastorale perché la dimensione missionaria ispiri e diriga ogni scelta; -realizzare un discernimento comunitario alla luce delle scienze umane ma anche della teologia, perché all’ascolto dello Spirito riusciamo ad analizzare la situazione delle nostre parrocchie/unità pastorali; - a progettare un miglioramento/ cambiamento, intravedendo una meta da raggiungere; - ad avviare delle strategie che ci permettano di farlo. (continua) kiremba marzo 2018

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formazione & spiritualità

 La preghiera dei santi missionari DON FRANCESCO PEDRAZZI - frapedro73@gmail.com

Pregare insieme Beato Paolo VI: il Papa innamorato dell’Eucaristia che chiede di rievangelizzare l’Occidente

Ogni santo, nelle piccole e grandi cose, ha dimostrato coraggio perché lo Spirito Santo abita dentro di lui e agisce in modo evidente, diceva San Paolo: «non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me».

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Finalmente è arrivata la notizia che i fedeli bresciani attendevano da tempo: Paolo VI sarà proclamato “santo”; è stato, infatti, riconosciuto il miracolo attribuito alla sua intercessione: la guarigione di una bambina non ancora nata. Verrà canonizzato, probabilmente il prossimo 21 ottobre. C’è un rapporto profondo tra Paolo VI e il nostro itinerario dedicato alla preghiera dei santi missionari. Lo si intuisce già dal nome“Paolo”scelto da Giovanni Battista Montini in onore di San Paolo, “l’Apostolo delle genti”. La scelta del nome è da mettere in rapporto con una priorità del suo pontificato: trovare modalità nuove ed efficaci per annunciare il Vangelo agli uomini del nostro tempo. Per questo convocò un Sinodo dei Vescovi sull’«evangelizzazione nel mondo moderno» allo scopo di «cercare con ogni mezzo di studiare come portare all’uomo moderno il messaggio cristiano» (Discorso al sacro collegio, 22 giugno 1973). Da questo Sinodo è nato nel 1975 un documento epocale, definito da San Giovanni Paolo Il, la “magna charta dell’evangelizzazione”: l’Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi. Per Evangelii Nuntiandi i destinatari della missione non sono solo i“pagani”che non conoscono il Vangelo; occorre tornare ad evangelizzare anche i battezzati poiché è in atto il «dramma» di una «rottura tra Vangelo e cultura» (n. 20). Per “rievangelizzare” l’Occidente Paolo VI indica la strada della “testimonianza” di una vita santa e di comunione. Ecco un eloquente passaggio al riguardo: «È mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità» (n. 41). Papa Montini ritiene che questa testimonianza di santità sia possibile a condizione che sia «alimentata dalla preghiera e soprattutto dall’amore all’Eucaristia» (n. 76). D’altra parte, egli stesso, in prima persona, ha vissuto in modo esemplare questo insegnamento. Il suo segretario, mons. Pasquale Macchi, ha raccontato: «Posso affermare il suo grande amore per l’Eucaristia[…] Pregava sempre nella sua Cappella alla presenza di Gesù varie volte al giorno e di domenica pomeriggio, se non era impegnato in cerimonie, faceva un’ora di adorazione. Una devozione specialissima aveva per Maria Vergine, devozione appresa dai suoi genitori e coltivata in modo particolare nel Santuario della Madonna delle Grazie di Brescia. La sua devozione si manifestava nella recita quotidiana del Santo Rosario, anche quando era ammalato con la febbre» (C. Siccardi, Paolo VI. Il papa della luce, Paoline, Milano 2008, p. 394). Come il suo santo patrono, Paolo di Tarso, Paolo VI aveva ben chiaro che è necessaria la preghiera perché «la parola del Signore corra e sia glorificata» (cfr. 2Ts 3,1).


CORSO PER INSEGNANTI IRC

Blocknotes

Proposta dell’Ufficio per il Dialogo Interreligioso

L’Ufficio per il Dialogo Interreligioso e l’Ufficio per l’Ecumenismo della Diocesi di Brescia, in collaborazione con l’Ufficio per l’Educazione, la Scuola e l’Università della Diocesi di Brescia, propone a tutti gli Insegnanti di Religione cattolica il progetto “Incontrarsi per conoscersi”. Perfettamente in linea con quanto contenuto nella Dichiarazione Nostra Aetate (“La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo” nelle altre tradizioni religiose), l’iniziativa, che si articolerà in due pomeriggi: mira alla conoscenza diretta delle persone che, all’interno della nostra realtà cittadina, abitano e vivono i luoghi di culto rappresentativi del sikhismo, dell’islam e del cristianesimo ortodosso e protestante. Un’occasione questa, per poter costruire in futuro percorsi di approfondimento e incontri formativi per gli studenti, in base al proprio contesto scolastico sul tema del dialogo interreligioso. Per informazioni: dialogointerreligioso@diocesi.brescia.it

GIORNATA IN MEMORIA DEI MISSIONARI MARTIRI 24 Marzo 2018

Il tema della Giornata di quest’anno, è Chiamati alla vita. Alla vita vera naturalmente, la vita della Grazia secondo lo Spirito Santo, la vita di coloro che nel battesimo si immergono nella morte di Cristo per risorgere con lui come “nuova creatura”. Con il battesimo infatti siamo incorporati a Cristo e alla sua Chiesa, per sempre apparteniamo a Lui e con Lui partecipiamo alla vita divina trinitaria, come insegna il Catechismo della Chiesa cattolica. È la vita nuova di cui parla l’Apostolo Paolo nella sua Lettera ai Romani “O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. È la vita evocata dall’immagine che appare sulla copertina di questo opuscolo: i resti di un antico battistero, quello della chiesa di Shivta nel deserto del Negheb, che richiama il senso profondo della rigenerazione in Cristo attraverso l’immersione di tutta la persona nell’acqua battesimale.

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Progetti Quaresima 2018 - Reparto di isolamento per l’Ospedale di Kiremba in Burundi - Vicinanza alle Diocesi di Castnhal e Macapà in Brasile - La Scuola San Giuseppe operaio di Rreshen, in Albania -La Cattedrale di Lira, in Uganda - La Scuola di Mocodoene, in Mozambico


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