Kiremba - Ottobre 2018

Page 1

SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERçUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVII - N° 4 ottobre 2018 - BIMESTRALE - ABBONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI BRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA

Vivere la Missione con gioia

Ottobre 2018


SPEDIZIONE A.P. - 45% - ART.2 COMMA 20/B - LEGGE 662/96 - FILIALE DI BRESCIA - TAXE PERçUE (TASSA RISCOSSA) - ANNO XLVII - N° 4 OTTObRE 2018 - bIMESTRALE - AbbONAMENTO EURO 12 IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE ALL’UFFICIO P.T. - C.M.P. DI bRESCIA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TASSA

Sommario

Primo piano Saluto a don Carlo Tartari

4-9

Vivere la Missione con gioia Ottobre 2018

Bimestrale dell’Ufficio Missionario Diocesano, via Trieste 13/B - Brescia Tel 030.3722350 - Fax 030.3722360 Direttore don Adriano Bianchi Direzione e redazione Via Callegari, 6 – 25121 Brescia Tel. 030.3754560 Fax 030.3751497 e-mail redazione: kiremba@diocesi.brescia.it e-mail Ufficio Missionario: missioni@diocesi.brescia.it web: www.diocesi.brescia.it/missioni

Chiesa & missione Lettera Pastorale Giornata missionaria mondiale

I missionari raccontano Don Raffele Donneschi

Esperienze estive: Congo Esperienze estive: Burundi Esperienze estive: Albania Premio Cuore Amico 2018

Grafica e impaginazione Andrea Burato

Orizzonti

KIREMBA - ISSN 2533 -3062 (versione cartacea) KIREMBA – ISSN 2533 -3054 (versione digitale)

14-15

Animazione missionaria

Redazione don Carlo Tartari: carlotartari@diocesi.brescia.it Andrea Burato: andrea.cm@diocesi.brescia.it Claudio Treccani: claudiotreccani@diocesi.brescia.it Chiara Gabrieli: chiaragabrieli@diocesi.brescia.it Don Francesco Pedrazzi : frapedro73@gmail.com Francesca Martinengo: fra.martinengo@gmail.com don Roberto Ferranti:robertoferranti@diocesi.brescia.it

Autorizzazione del tribunale di Brescia N. 269 del 11.07.1967 Imprimatur Curia vescovile di Brescia Stampa LITOS – Gianico (BS) Editrice Fondazione opera diocesana San Francesco di Sales, via Callegari, 6 - 25121 Brescia

10-11 12-13

Abbiamo aspettato il suo sorriso

16 17 18-19 20-21

22-23

Formazione & spiritualità Solidarietà e impoverimento La preghiera missionaria dei santi

24-25 26

Abbonamento ANNUALE 12,00 euro ORDINARIO 50,00 euro sostenitori PER LE POSTE ITALIANE CONTO CORRENTE N° 389254. INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA VIA TRIESTE, 13 25121 BRESCIA CON CAUSALE: “ABBONAMENTO KIREMBA 2017” BONIFICO BANCARIO: IBAN: IT79F0311111205000000007463

IL TUO AIUTO PER LE MISSIONI UBI BANCA - AGENZIA N. 5 IBAN: IT79F0311111205000000007463 INTESTATO A: DIOCESI DI BRESCIA - UFFICIO PER LE MISSIONI BANCA POP. ETICA VIA V.VENETO, 5 - 25128 BRESCIA C/C N. 102563 - ABI 5018 CAB 11200 IBAN IT 51 K050 1811 2000 0000 0102 563 INTESTATO A: UFFICIO MISSIONARIO - DIOCESI DI BRESCIA kiremba ottobre 2018 2

Blocknotes

Agenda 27

NOVITÀ PER ACCEDERE AI CONTENUTI MULTIMEDIALI, INQUADRA CON IL TUO SMARTPHONE DOTATO DI LETTORE, IL CODICE QR PRESENTE IN ALCUNE PAGINE DI KIREMBA. CON QUESTA MODALITÀ DESIDERIAMO INTEGRARE SEMPRE MEGLIO LA RIVISTA CON LA POSSIBILITÀ DI VISIONARE FILMATI, GALLERIE FOTOGRAFICHE, SITI WEB DEL MONDO MISSIONARIO ED ECCLESIALE. QUI A SINISTRA TROVATE IL CODICE QR CHE RIMANDA AL SITO DEL CMD DI BRESCIA DELL’UFFICIO PER LE MISSIONI


editoriale

Permesso, scusa, grazie don carlo tartari carlotartari@diocesi.brescia.it

P

apa Francesco nella sua straordinaria capacità di comunicare con semplicità e profondità, con un linguaggio comprensibile, schietto e quotidiano ci ha insegnato a ridare valore e senso alle parole, anche a quelle dimenticate o ritenute superate. Tra queste Papa Francesco ne richiama tre: “permesso”, “scusa”, “grazie”. Sono parole che fanno bene a chi le riceve e soprattutto a chi le pronuncia, perché non sono solamente segno di buona educazione, ma aprono alla bellezza della relazione e guariscono le piccole ferite quotidiane. Papa Francesco le raccomanda e le affida al lessico famigliare, proprio per questo vorrei rivolgerle alla grande famiglia che sette anni fa mi ha accolto all’Ufficio per le Missioni. Permesso. Sono arrivato così all’ufficio: con un po’ di timore, con molte attese, carico di curiosità e un pizzico di apprensione. Non sono stato “fidei donum”, non conoscevo molti missionari e missionarie, venivo da una normalissima (e bellissima) realtà di parrocchia e oratorio. Portavo con me un bagaglio leggero, forse non del tutto adeguato, ma anche il desiderio di far bene e di entrare il prima possibile nel grande orizzonte della missione. Il mio carissimo parroco Mons. Giambattista Targhetti mi incoraggiò molto a vivere quella parola del Vangelo che dice: “non temere”. Ho chiesto “permesso” e ho trovato accoglienza, condivisione, ho trovato fratelli e sorelle che con gradualità e serenità hanno aperto un credito di fiducia incoraggiante ricco di speranza. Ho chiesto “permesso” ai fidei donum visitandoli nei loro luoghi

di servizio e meravigliandomi per la bellezza di scoprire il Vangelo declinato in culture, linguaggi e esperienze di vita diversissime, ma tutti convergenti sull’Unico. Scusa. È una parola dolce e faticosa, perché chiede di essere detta laddove qualcosa non è andato bene, laddove non si è dato il meglio. Vorrei ripeterla ora, senza esibirla, a chi non ho saputo accogliere e ascoltare, qualche volta per la fretta che contraddistingue i tempi, altre volte per i limiti e il peccato che ognuno porta dentro di sé. Vorrei chiedere scusa perché è la parola che apre al perdono e quindi apre alla possibilità di stabilire rapporti ancora più saldi e veri perché impreziositi dalla riconciliazione. Grazie. È la parola che aiuta a riconoscere che davvero “tutto è grazia”. La vorrei dire ai missionari e alle missionarie che in questi anni mi hanno onorato della loro amicizia e condivisione, alle comunità cristiane incontrate in Africa, America Latina, Nord America, Europa; vorrei ripeterla alle nostre parrocchie e ai confratelli che sono capaci di non fermarsi ai confini della propria parrocchia, ma mantengono aperto l’orizzonte della missione “fino agli estremi confini della terra”. Vorrei estenderla alle associazioni, i gruppi, le ONG, le fondazioni che in forma articolata, competente e intelligente hanno cercato di operare per il bene di tutti i popoli. Vorrei dire grazie perché ho avuto il privilegio di lavorare gomito a gomito ogni giorno con un equipe fraterna e profondamente impegnata per la missione di annuncio e testimonianza del Vangelo: Maurizio, Claudio, Chiara, Andrea hanno condiviso passo passo gli obiettivi, le proposte i progetti aiutandomi a vivere un autentico discernimento. Con loro ho incontrato e

apprezzato i volontari e le volontarie che con passione e dedizione ci hanno fatto il dono prezioso del loro tempo. Dico Grazie al Vescovo Luciano che ha avuto fiducia in me e con il quale ho intrapreso confronti stimolanti e ho vissuto incontri indimenticabili in Uruguay e in Brasile. Grazie al Vescovo Pierantonio che mi chiede di proseguire in una forma e con un servizio nuovo alla chiesa diocesana l’impegno per la Missione che Gesù affida ai discepoli. Nel dire grazie esprimo anche la richiesta di un ricordo reciproco nella preghiera e l’invocazione di una benedizione speciale per don Roberto Ferranti che condurrà l’Ufficio per le Missioni nel contesto più ampio della Pastorale per la mondialità. Il prossimo Novembre parteciperò all’incontro dei fidei donum di Brescia a Castanhal in Brasile, sarà l’occasione per salutarli e rinnovare l’impegno nella direzione che il Signore saprà indicarci.

L’ équipe del Centro Missionario desidera esprimere a don Carlo i migliori auguri per l’incarico che il Vescovo Pierantonio gli ha affidato. Accogliamo con gioia don Roberto, a cui è stata affidata la guida dell’intera Area della Pastorale per la Mondialità. kiremba ottobre 2018

3


Primo piano

saluto a don carlo tartari

TUTTO PER LA MISSIONE don carlo con don michele autuoro durante il festival della missione

don MICHELE AUTUORO m.autuoro@chiesacattolica.it

P

er la Fondazione Missio e, con essa, per l’Ufficio C E I per l a Coope ra zio n e Missionaria tra le Chiese e per la Direzione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie, don Carlo Tartari è sempre stato un punto di riferimento per una fattiva e concreta collaborazione. Come direttore di Missio in questi anni ho avuto modo di lavorare con lui gomito a gomito in varie circostanze, in particolar modo nell’ideazione, la preparazione e la realizzazione del Festival della Missione, che la città di Brescia ha ospitato e promosso nell’ottobre dello scorso anno. Per questo evento don Carlo e l’intero Centro missionario diocesano da lui diretto hanno dimostrato la più totale disponibilità, convinti

4

kiremba ottobre 2018

dell’importanza che una kermesse come un festival potesse giovare alla missione, per suscitare interesse, attrarre giovani, avvicinare i non addetti ai lavori. Facendo sua sin da subito la proposta di scegliere Brescia come sede del Festival, don Carlo ha visto crescere questo grande evento giorno dopo giorno, seguendo passo passo la lunga preparazione e sapendo coinvolgere tutta la diocesi e la città con le sue istituzioni. Conoscendo don Carlo come una persona di comunione, capace di creare relazioni e fare rete intorno a sé, sono certo che nel suo nuovo servizio possa continuare a portare quello stile di fraternità e relazione che è certamente ecclesiale e prettamente missionario: il suo essere positivo e la sua capacità

di incoraggiare e dare fiducia lo aiuteranno certamente a svolgere al meglio l’incarico di Vicario episcopale per la Pastorale e i Laici che gli è stato recentemente affidato. A lui un grazie sincero e pieno di stima da tutta la Fondazione Missio e l’augurio rinnovato di un proficuo servizio nella Chiesa.


don carlo in benin con don mario neva

don mario neva mario.neva@hotmail.it

H

o conosciuto don Carlo durante il corso di filosofia in Seminario. Il gruppo era davvero singolare e don Carlo, dotato di solida formazione, faceva gruppo, un intellettuale. Mi sono meravigliato infatti che non sia stato spinto a continuare gli studi, cui è decisamente portato. Ho rincontrato don Carlo negli anni successivi in occasione della sua nomina a Direttore del Centro Diocesano Missionario. Parlava con entusiasmo della sua esperienza a Leno, e non mancava di citare con affetto e ammirazione il suo parroco, pioniere dei centri missionari. Organizzatore impeccabile e capace di tenere le persone insieme con una idea forte, un leader di fatto, paziente, umile, senza fronzoli, ironico e ricco di humor. Da allora la collaborazione è stata

fitta, ricca di decisioni, di incontri e di viaggi. Insieme abbiamo costruito l’esperienza del Benin, partita con don Raffaele, esperienza che gli amici africani sono destinati a continuare, l’Africa infatti, per l’appunto, agli africani… Il Centro Studi CERET, Il pozzo di Amontika, la Parrocchia di Nadota. Di tutto questo don Carlo, con i suoi collaboratori, ha seguito le mosse, con entusiasmo, determinazione, sacrificio, supporto economico e, sempre, tessendo una fitta relazione spirituale ed intellettuale. Abbiamo insieme coltivato il sogno della nuova evangelizzazione, partendo dai poveri, dalla capanna al web, aiutando tutti ad essere protagonisti. Tornato dall’Africa è arrivata la proposta dal Canada decisamente suggestiva vista da via Trieste (dove c’è l’Ufficio per le Missioni e dove io ho abitato per anni). Don Carlo mi ha accompagnato nel primo viaggio. Come per l’Africa

desideravo che conoscesse di persona la situazione in cui avrei vissuto questi anni (per ora due) del mio servizio. Abbiamo scorrazzato in su e in giù per Montreal in bicicletta valutando una situazione, quella del Canada, davvero singolare, soprattutto in rapporto alla mondialità e all’intercultura. Ci siamo resi conto ben presto della situazione depressa e precaria delle parrocchie italiane e in genere canadesi. Ricordo sempre don Carlo visibilmente preoccupato quando ricevemmo dal predecessore alcuni dettagli italo canadesi. “Davvero sei disponibile a stare qui?” “Non preoccuparti”, gli risposi, “è il Vescovo che mi ha mandato, l’età serve a qualcosa”, penso infatti di compiere in Canada i settant’anni. Credo molto nella missione di don Carlo e credo che la scelta fatta dal Vescovo sia davvero ottima. Quando si occupano ruoli importanti occorre annullare l’ambizione. Non tutti sono adatti. kiremba ottobre 2018

5


animazione PRIMO PIANOmissionaria

 Federica e Andrea - Missionari in Togo Ci ha dato fiducia e sostegno Sappiamo bene come, la distanza, separi le persone da un punto di vista fisico e non sicuramente affettivo o spirituale. La notizia che il nostro don Carlo fosse stato nominato Vicario per la Pastorale e dei Laici si è infilata in uno di questi due fili conduttori (chissà quale?!) fino a raggiungerci anche qui, nel piccolo stato del Togo. Il cuore l’ha accolta trovandoci felici per i meriti riconosciutigli, fieri come ci si potrebbe sentire per il proprio fratello maggiore che sale sempre più in alto pur rimanendo estremamente umile, commossi pensando all’abbraccio scambiato lo scorso marzo all’Ufficio per le Missioni dove, ancora una volta, ci ha fatto sentire pecorelle amate del suo ovile. Fin dalla nascita della comunità missionaria di cui faccio parte, don Carlo ha saputo darmi fiducia e sostegno. Da allora, si è instaurato un rapporto di amicizia vera che ho avvertito attraverso un accompagnamento

costante, una cura attenta alla mia persona e alla mia sensibilità, un’attenzione a tenere vivi i contatti nonostante fusi orari o stagioni nettamente opposte. Si è rivelato un compagno di strada capace di metterti in guardia, senza però spaventarti, qualora intravedesse un pericolo o una situazione in grado di trasformarsi in un fardello troppo pesante. Anche quando la mia vocazione missionaria ha visto sbocciare al suo fianco quella matrimoniale, quando ero nella confusione più assoluta, quando le persone su cui contavo erano intimorite dall’ idea che mi sarei potuta sbagliare, anche in quell’occasione si è fatto prossimo ed ha accolto me e Andrea come avrebbe fatto un papà. Nonostante l’agenda fitta di impegni ci ha ascoltati, consigliati, consolati ed infine pure esauditi, rimettendo la nostra barchetta in mare, sotto la guida del Cielo e delle Sue stelle, per una rotta che ci avrebbe portato a

federica e andrea il giorno delle loro nozze, celebrate in peru’

6

kiremba ottobre 2018

crescere come coppia e a capire se la famiglia fosse davvero alla base di quanto avremmo voluto costruire insieme. Così siamo partiti come fidanzati per il Perù, dopo otto anni di Africa per me, cinque mesi per Andrea, culminati col nostro incontro proprio là. E lui sapeva bene che sarebbe stato traumatico per noi, ce l’aveva detto, ci aveva proposto anche i corsi prematrimoniali che fanno in diocesi per farci prendere tempo, ma il nostro desiderio di partire e di “testarci” in territorio di missione era troppo forte. Da bravo padre ci ha accompagnati per tutto il tempo attraverso messaggi, videochiamate, mail. Ci è stato vicino nei momenti ilari e soprattutto in quelli difficili, valutando con noi le decisioni da prendere per risolvere il problema. Infine, l’ultimo regalo: la sua benedizione per il ritorno in Togo. Grazie don Carlo. Grazie per tutto quello che hai fatto per noi e per come l’hai fatto.


 Paolo Romagnosi - Presidente SVI L’uomo al centro Colto, attento alle mutazioni costanti della nostra società, organizzatore capace e sacerdote vero, perché uomo prima che sacerdote. Così, semplicemente così, mi viene da descrivere don Carlo Tartati, con il quale ho avuto la fortuna di condividere qualche anno di impegno nello Svi. La cooperazione internazionale, o se preferiamo, il volontariato internazionale, è una cosa seria. Difficile. Non si scherza con il sud del mondo. Non ci si improvvisa creatori e realizzatori di progetti. E se lo si fa, si rischia solo di innescare processi di assistenzialismo becero, che non portano da nessuna parte, peggiorando, semmai, situazioni già drammatiche. Per Carlo tutto questo è chiaro, chiarissimo. L’uomo al centro di qualunque tipo di azione. Il Vangelo, carta viva da cui apprendere ogni nostro “movimento”.

don carlo tartari con paolo romagnosi durante un convegno

 Don Michele Tognazzi Ex fidei Donum

Profonda attenzione ai missionari Non esiste una missione astratta, senza cristiani che partono per il vangelo lontano dalla propria casa, fuori dalla diocesi che li ha resi figli di Dio. Esistono solo i missionari, laici o consacrati, in luoghi che grazie a loro vengono definiti “missioni”. Ecco don Carlo con il suo lavoro, fatto anche di sguardi silenziosi ed esplosive risate, si è sempre mostrato attento prima di tutto ai suoi missionari. Nonostante abbia guidato l’Ufficio nel tempo del mio rientro in diocesi, il direttore mi ha sempre considerato uno dei suoi. Così ho capito che la fecondità della tua esperienza non la misuri solo dalla narrazione del passato, ma dai frutti che la fiducia in Colui che ti ha sempre accompagnato continua a donarti. Grazie don Carlo, per ora Panda resterà il saluto gioioso che ci scambieremo ad ogni nostro incontro.

don carlo tartari con don michele tognazzi Durante un viaggio in burundi

kiremba ottobre 2018

7


PRIMO PIANO

Suor Stefania Rossi - Missionaria in Ruanda

Una presenza fraterna

Abbiamo percorso un tratto di strada insieme in questi ulimi cinque anni, nella ripresa di un’opera voluta, sostenuta e tanto amata dalla Chiesa bresciana: la missione a Kiremba in Burundi. Non ho avuto bisogno di molto tempo per sentire in te una presenza fraterna, un sostegno missionario competente e intelligente, nato da una visione di Chiesa di un uomo appassionato di Dio e del Suo Regno. Hai dato tanto di tutto questo, e qualcosa di più, all’ATS (Associazione Temporanea di Scopo nata da cinque anni per sostenere l’ Ospedale di Kiremba). Ora sei chiamato a servire su altri orizzonti ma sempre eccelsiali e di questo ne sono felice. Alla fine niente si perde di ciò che si fa con responsabilità nell’obbedienza ad un mandato, ma tutto si transforma in amore e credibilità verso l’Unico Dio che ci ha chiamati a servirlo in ogni luogo e tempo.

don carlo tartari con suor stefania rossi a kiremba

 Giuseppe Lombardi - ATS Kiremba Una grande capacità di ascolto Conosco don Carlo da pochi anni, soprattutto per la presenza che condividiamo nell’Associazione Temporanea di Scopo “Terimbere Kiremba” e in molte occasioni ho avuto modo di apprezzare in lui la capacità di ascoltare. Operare insieme, “in rete”, non è facile ma è sicuramente utile ed arricchisce chi vi partecipa: don Carlo ha saputo favorire questo processo. Non ha peccato di protagonismo, anche se gli studi e la preparazione glielo avrebbero consentito, ma è sempre stato aperto e cortese, favorendo il dialogo, il confronto e la comprensione. Il non avere vissuto in prima persona un mandato missionario (come fidei donum) consente invece a don Carlo di avere una mente aperta su tutti i paesi, senza rimanere, naturalmente e logicamente, legato al “proprio” luogo di apostolato. 8

kiremba ottobre 2018

don carlo tartari con il vescovo pierantonio ed alcuni membri del consiglio di ats kiremba


Tanti ricordi dei momenti vissuti nel mondo missionario... Con l'equipe dell’Ufficio per le Missioni

In Burundi

Con i Fidei Donum

Durante il LabMissio

Con l’equipe del Festival della Missione

In Benin kiremba ottobre 2018

9


Chiesa & missione lettera pastorale

la santitÁ e i sui volti Mons. gaetano fontana gaetanofontana@diocesi.brescia.it

I

l nostro Vescovo Pierantonio ha donato alla Chiesa bresciana la sua prima lettera pastorale, che porta il titolo: “Il bello del vivere. La santità dei volti e i volti della santità”. Il significato La scelta di questo argomento nasce da un desiderio che Mons. Pierantonio sente ed ha sentito profondamente dentro di sé, e che ha espresso quando è stato nominato Pastore nella Diocesi di Brescia: “Vorrei, Signore, che noi, io e questi miei fratelli e sorelle nella fede, potessimo, nei giorni che ci darai, conoscere meglio il tuo volto; vorrei che il nostro sguardo si fissasse sempre più su di Te, per lasciarci conquistare dalla tua rivelazione amorevole e liberante. E vorrei che ti assomigliassimo sempre più nei sentimenti e nelle

10

kiremba ottobre 2018

i volti della santitÁ vissuta nel quotidiano acompagnano la lettera pastorale

azioni, che diventassimo con te e in te una cosa sola, per essere così veramente la tua Chiesa. In una parola, vorrei che camminassimo insieme nella santità” (p.3). Questa lettera pastorale non vuole indicare degli obiettivi e neppure far diventare la santità un tema o un argomento da illustrare, ma vuole far cogliere che la santità è l’orizzonte nel quale possiamo e dobbiamo collocarci tutti. “La santità vorrebbe essere la prospettiva nella quale camminare insieme come Chiesa. Il fine a cui tendere ed anche lo spazio vitale in cui muoverci. La santità conferisce alla vita dei credenti la sua forma piena, unitaria e armonica. Diversi sono gli elementi e gli aspetti che intervengono a scaturirla: di anno in anno mi piacerebbe che li mettessimo meglio in evidenza, per dare al nostro cammino di Chiesa una forma sempre più chiara.

Il Vescovo ha voluto rendere il contenuto della lettera pastorale, anche nel suo fluire, fruibile ed accessibile a tutti, particolarmente vivibile nella quotidianità di ciascuno di noi. Ecco perché nella lettera si trovano presenti alcuni volti che testimoniano la loro esperienza di vita nella semplicità e bellezza


Esempi concreti

Mons. Pierantonio ha desiderato affiancare la Lettera con alcuni video clip, l’intento è di mostrare che esiste il bello nel vivere quotidiano, perché in una vita, vissuta nella carità, che ha la forma del bene, si scorge il volto di Cristo e, nell’esperienza dell’incontro con chi vive nell’amore e con amore, si è stimolati a fare e portare il bene, a trasmettere la presenza di Gesù, a vivere le relazioni in autentica santità. I video sono disponibili sul canale Youtube de La Voce del Popolo.

In sostanza la santità è la carità e la carità si manifesta nella bellezza che è la santità. Tutto questo riguarda ogni persona, perché ogni persona è chiamata alla santità.

Il primo che vorrei sottolineare quest’anno è la preghiera, ma mi sta molto a cuore che non venga perso di vista l’insieme” (p.5). “La santità è l’attuazione piena di quel disegno sull’umanità che il Creatore ha fin dall’inizio”, spiega il Vescovo, sottolineando che è suo desiderio coniugare il binomio luce e amore: le due qualifiche di Dio, espresse e sottolineate nella prima lettera di Giovanni, in modo da mettere in risalto la costante connessione tra il buono e il bello, che diventa il vero. Quando si parla di Dio – continua il Vescovo – si parla dell’amore che è splendore e di uno splendore che è quello dell’amore. In sostanza la santità è la carità e la carità si manifesta nella bellezza che è la santità. Tutto questo riguarda ogni persona, perché ogni persona è chiamata alla santità. Il Vescovo ha voluto rendere il

contenuto della lettera pastorale, anche nel suo fluire, fruibile ed accessibile a tutti, particolarmente vivibile nella quotidianità di ciascuno di noi. Ecco perché nella lettera si trovano presenti alcuni volti che testimoniano la loro esperienza di vita nella semplicità e bellezza, volti di persone che tendono alla santità con le proprie caratteristiche, i propri pregi e difetti e le proprie storie: un anziano, una madre, moglie e medico, una coppia, una suora e un prete. Un modello a cui ispirarsi Il Vescovo ha evidenziato in modo specifico la figura di un santo, che ci è caro e che attira in questo momento la nostra attenzione ed il nostro interesse: Paolo VI, che, il 14 ottobre prossimo, verrà dichiarato santo, in forma solenne, da Papa Francesco.

Qui il Vescovo si sofferma per dipingere e dare colore, con le parole, al volto di un papa che merita di essere riscoperto e sempre più valorizzato. Concludo, riportando le parole del Vescovo, presenti nell’ultima parte della Lettera pastorale, che diventano il mio augurio affinché questo nuovo anno pastorale sia ricco di frutti spirituali: “nella prospettiva del Vangelo, a tutti coloro che vi operano (nella chiesa bresciana), è chiesta un’unica cosa: fare della propria esistenza l’occasione della propria santificazione, dare alla propria vita la forma che Dio da sempre ha pensato, lasciare che la grazia vi infonda la bellezza che merita. Nella potenza dello Spirito Santo, la santità diventi davvero il desiderio del nostro cuore e l’impegno della nostra volontà. Sia luce dei nostri volti e il volto della nostra salvezza” (p.80). kiremba ottobre 2018

11


chiesa e missione

giornata missionaria mondiale

“Insieme ai giovani portiamo il Vangelo a tutti” Eleonora Borgia e.borgia@missioitalia.it

I

giorno in cui abbiamo saputo della volontà di Papa Francesco di dedicare un Sinodo interamente ai giovani, una grande gioia ci è sussultata nel grembo. Se ci è stata rivolta questa speciale attenzione fino a diventare protagonisti di un Sinodo dei vescovi, fino ad incentrare un anno pastorale sull’importanza dei giovani nella Chiesa, non possiamo far altro che gioire e rimboccarci le maniche insieme a tutto il popolo di Dio. Come giovani missionari, allora, desideriamo proprio partire dal messaggio che il Santo Padre, nel giorno di Pentecoste, ha consegnato alla Chiesa Universale per la Giornata Missionaria Mondiale del prossimo 21 ottobre 2018. “Insieme ai giovani portiamo il Vangelo a tutti” è il titolo di questo invito speciale del Santo Padre: tutti i fedeli, in qualunque parte del

12

kiremba ottobre 2018

i giovani: protagonisti dell’annuncio del vangelo

mondo, prendano il vigore tipico dei giovani per continuare la missione evangelizzatrice cui ciascuno di noi è stato chiamato nel momento in cui ha ricevuto il Battesimo. Come cristiani, cattolici e praticanti ci ripieghiamo spesso sulla scarsa partecipazione dei giovani alla liturgia domenicale: perché allora il Papa invita la Chiesa a ripartire proprio a fianco di quei giovani, quasi latitanti dalle chiese? Se è vero che dobbiamo sentirci sempre più Chiesa in uscita allora andiamo a ricercare quei giovani che vivono la propria fede in ogni circostanza della vita quotidiana, con fervore e convinzione, per recuperare l’entusiasmo che spesso, come chiesa istituzionale, abbiamo lasciato da parte. “Essere attratti ed essere inviati sono i due movimenti che il nostro cuore, soprattutto quando è giovane


Mese missionario

in età, sente come forze interiori dell’amore che promettono futuro e spingono in avanti la nostra esistenza. Nessuno come i giovani sente quanto la vita irrompa e attragga”. Queste parole del Santo Padre suscitano quasi l’esperienza dell’amore: quando ci innamoriamo di una persona, il pensiero costante della giornata è rivolto a lei: in qualunque gesto compiamo, tutto fa riferimento a colui o colei che ci fa battere il cuore; e abbiamo una tale smania di raccontarlo a tutti che non riusciamo a tenerlo per noi. E’ davvero sottile il passaggio: se riscoprissimo di essere talmente innamorati di Gesù e del Regno come lo siamo del nostro amato, allora saremmo ferventi testimoni dell’amore di Dio in questo mondo perché non saremo in grado di contenerne la gioia: “all’amore non è possibile mettere limiti”.

 La Giornata Missionaria Mondiale, così come tutto il mese di ottobre, rappresentano un’occasione speciale per rimboccarci subito le maniche e metterci al lavoro: cari giovani, c’è bisogno di noi e delle nostre forze, nel mondo che viviamo. E anche se queste dovessero esser considerate “forza lavoro”, non saranno

state spese invano: le avremo messe a servizio del Regno di Dio. Attraverso questo codice QR si può accedere al sito missioitalia.it dove si può trovare il materiale per vivere appieno l’ottobre missionario e che potrà essere da spunto per l’animazione missionaria.

Come cristiani, cattolici e praticanti ci ripieghiamo spesso sulla scarsa partecipazione dei giovani alla liturgia domenicale: perché allora il Papa invita la Chiesa a ripartire proprio a fianco di quei giovani, quasi latitanti dalle chiese? Se è vero che dobbiamo sentirci sempre più Chiesa in uscita allora andiamo a ricercare quei giovani che vivono la propria fede in ogni circostanza della vita quotidiana.

che incontriamo nelle periferie delle nostre città e dell’esistenza umana: la solitudine degli anziani, come di tanti giovani; la povertà materiale e valoriale di tante famiglie che ci abitano accanto e da cui siamo così distanti. Sono tante le occasioni in cui molti giovani, nelle forme più varie, mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie forze per chi ne ha più bisogno: le brevi esperienze in terra di missione, il servizio civile, il volontariato sociale; sono segni importanti di una generazione, spesso sottovalutata agli occhi degli adulti, che ha molto da dare e molto da cercare in quel discernimento vocazionale di cui, proprio nel Sinodo si parlerà. E continua il Papa sul mondo digitale: gli estremi confini della terra, cari giovani, sono per voi oggi molto relativi e sempre facilmente “navigabili”. É vero: la nostra generazione ha accompagnato un passaggio importante nel mondo della comunicazione; molti di noi faticano a sfogliare una rivista ma conoscono le migliori tecniche per leggere le stesse cose online. Siamo la generazione che fatica a trovare un lavoro fisso, ma ha una grande capacità di inventarsi un lavoro dietro ad un pc. Siamo la generazione che, a detta degli adulti, non ha più grandi valori… ma che invece ha solo cambiato i canali di trasmissione. E allora, anche gli strumenti di cui oggi disponiamo, ormai quasi in ogni angolo della terra, siano mezzi per testimoniare la gioia del Vangelo.

Il Santo Padre scrive nel messaggio che nella Chiesa si trova il tesoro che riempie di gioia la vita; è là che noi giovani dobbiamo tornare: anche nella Chiesa di muri, ma soprattutto in quella Chiesa fatta di uomini e donne assetati di quella Parola che dona gioia, serenità, forza e vigore per affrontare le fatiche quotidiane: sentirci parte di una comunità gioiosa che predica e mette in pratica la gioia del Vangelo, che testimonia con la vita, personale e comunitaria, gli insegnamenti di Gesù con coerenza e convinzione, mettendoci la faccia…anche fino al martirio! Accanto a chi, con fatica, porta da sempre avanti la vita delle comunità parrocchiali, diocesane, spesso ripiegate su se stesse. E’ là allora che la nostra forza, la nostra vitalità possono essere messe a servizio del Vangelo, accanto ad ogni forma di povertà

kiremba ottobre 2018

13


I missionari raccontano DON RAFFAELE DONNESCHI

IL PERCHÉ DI UNA ‘RIPARTENZA’ don raffaele donneschi raffado@alice.it

H

o compiuto 66 anni lo scorso diciotto agosto; dal primo di giugno di quest’anno sono ufficialmente ‘in pensione’ per l’INPS (nel senso che prendo la pensione del clero, anche se lo stipendio a fine mese è rimasto pressoché uguale…) Per la maggioranza degli italiani, quindi, sono in quel periodo della vita dove si pensa al meritato riposo, alle vacanze prolungate, al viaggetto sempre sognato e mai realizzato, al ‘godersi’ i nipotini e badare ai bisnonni... “E tu, mi -ha detto qualche parrocchiano- a questa età, cosa pensi di andare a fare in Brasile?” Qualcun altro, più impegnato pastoralmente e, magari, che vive di più la Parrocchia o l’Oratorio, la mette sul piano della carenza di sacerdoti che stiamo vivendo in questo periodo: “con tutto quel che c’è da fare qui nelle parrocchie…!” Oppure

14

kiremba ottobre 2018

don raffaele durante una visita ad una missione in argentina

si invoca il fatto che “la missione, oggi, è qui… non c’è bisogno di partire per annunciare il Vangelo”. Sono tutte osservazioni legittime e che seguono una logica molto umana sì, ma ahimè, senza voler giudicare nessuno, non troppo evangelica. Cerco di farmi capire meglio. Per quanto riguarda l’età mi sovviene l’episodio del Vangelo, dopo la Risurrezione, quando Gesù sembra quasi chiedere conto a Pietro, per tre volte, del suo amore per lui e termina in questo modo: “quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi». (Gv 21,18-19).” Gesù sembra quasi dire a Pietro che non ci sono tempi adatti

o meno adatti, più opportuni o meno opportuni per seguirlo: quel comando finale al modo imperativo (non l’hanno abolito dalla sintassi italiana… o mi sbaglio…): “Seguimi” non lascia molto margine al dubbio o semplicemente al ‘meritato riposo’, che ci deve essere in termini lavorativi ma che non è previsto per quanto riguarda l’essere discepoli di Gesù e, per quanto mi riguarda, l’essere prete. È logicamente segno di un po’ di umiltà ammettere che a una certa età non si può ‘rendere’ come quando si è giovani ma è altrettanta umiltà fare quel che è possibile e per il resto lasciar fare alla Provvidenza… del resto la Salvezza ce l’ha già meritata Gesù Cristo: a noi il compito di annunciarlo ricordando quello che ci dice San Paolo “mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Quando sono debole è allora che sono forte” (2 Cor 12,9-10).


  Tesimonianza

Una missione non mia

Per la maggioranza degli italiani, sono in quel periodo della vita dove si pensa al meritato riposo, alle vacanze prolungate, al viaggetto sempre sognato e mai realizzato, al ‘godersi’ i nipotini e badare ai bisnonni... “E tu, mi ha detto qualche parrocchiano, a questa età, cosa pensi di andare a fare in Brasile?”

 Quando abbiamo incontrato don Raffele ci ha confidato di essere sereno nella sua scelta. “Parto, quindi, fiducioso, perché la Missione non è la mia ma ne sono un umile e inadeguato strumento; ma parto anche speranzoso, confidando che i fratelli e sorelle con cui ho percorso un tratto del cammino nella Chiesa bresciana continuino a lavorare nella Vigna del Signore affinché Lui possa far crescere buoni frutti.”

É possibile visualizzare un’intervsita realizzata con Don Raffaele utilizzando il seguente codice QR. La redazione di Kiremba si aggiunge a alle tantissime persone che vogliono essergli vicinio in questo momento così importante della sua vita sacerdotale.

Passiamo alla seconda obiezione: la carenza di preti e il fatto che la missione è sempre più necessaria anche qui da noi…Qui lasciamo che siano i numeri a parlare, perché di solito ognuno è portato a vedere la propria realtà e non sempre può conoscere le situazioni degli altri. Diocesi di Brescia: 1.152.000 abitanti; Cattolici 83%; preti 735, uno ogni 1.027 cattolici. Diocesi di Macapà (Stato dell’Amapà, Brasile, dove andrò come Fidei Donum): 750.000 abitanti; Cattolici 65%; 50 preti, uno ogni 8.900 cattolici. Non è così complicato fare due conti e notare come una situazione, la nostra, che a noi pare carente di sacerdoti, in altra parte del mondo possa essere considerata esageratamente sovrabbondante. Del resto quando il Vescovo di Macapà, Monsignor Piergiuseppe Conti, di cui sono compagno di Ordinazione e amico con cui ho condiviso la prima esperienza di Fidei Donum più di trent’anni fa nella Diocesi di Bragança do Parà, mi ha fatto presente la situazione della sua Diocesi, il fatto che il clero locale sia composto solo da quindici unità e che i religiosi, ormai invecchiati, stessero per consegnare varie parrocchie per non avere più i ricambi… mi sono sentito chiamato in causa e, forte della mia debolezza, ho lasciato la decisione nelle mani del nostro Vescovo Pierantonio, il quale mi ha piacevolmente sorpreso precedendo la mia richiesta e aderendo volentieri alla richiesta del confratello Vescovo Dom Pedro.

“Vorrà proprio dire che doveva essere proprio questa la storia che la Provvidenza vuole scrivere per me e con me”, mi sono detto. Resta un’ultima questione che, forse, in ordine di importanza, dovrebbe essere messa al primo posto: siamo anche noi ‘terra di missione’; abbiamo sempre più bisogno di missionari del Vangelo qui, nulla nostra terra; siamo chiamati a vivere uno stile di vita cristiana, di pastorale, di essere Chiesa… in Missione! Non posso che concordare con queste vere, forti e importanti affermazioni, che però non fanno altro che ribadire la convinzione, spero condivisa da tanti fratelli e sorelle, che tutti noi battezzati ci dobbiamo fare carico della Missione; se fossero davvero più numerosi e preparati i laici che vivono nelle varie realtà della società... non staremmo a lamentarci perché ci sono pochi preti ma ci daremmo da fare per avere un laicato sempre più cosciente della propria dignità e della propria responsabilità nei confronti del Regno di Dio che deve essere testimoniato non tanto in chiesa o in Oratorio, troppo facile ma nel mondo del lavoro, della politica, della cultura, della scuola, dello sport, della comunicazione… terreni propri, questi, dei laici. E allora occorre sempre che ci sia qualcuno che parta per ricordare a chi resta le proprie responsabilità, la propria missione, il proprio ‘dovere’ di cristiano nei confronti del Vangelo e del mondo a cui esso deve essere annunciato. kiremba ottobre 2018

15


Animazione missionaria esperienze estive: congo

resta una grande gioia linda e monica lindamarini1@gmail.com

É

difficile scrivere qualcosa con il vortice di emozioni che abbiamo nel cuore; quella che abbiamo vissuto è un’esperienza unica e speciale alla quale, ora lo sappiamo, non si è mai preparati fino in fondo. Una persona può immaginare, sperare, credere, ma vedere, vivere, sorridere, piangere, annusare ed assaggiare è diverso. Nel nostro mese in Africa, nella Repubblica Democratica del Congo, nella città di Bukavu, si sono alternate tantissime emozioni dentro di noi, anche contrastanti, non è stato sempre tutto facile, ma certamente bello e quello che ci portiamo nel cuore è una grande gioia. E’ sicuramente l’esperienza più grande, più vera che noi abbiamo fatto nelle nostre vite e siamo contente ed onorate di avere avuto la possibilità di viverla. Abbiamo avuto la fortuna di fare

16

kiremba ottobre 2018

linda e monica con alcune ragazze congolesi

un tirocinio di due settimane come ostetriche al centro di sanità di Cimpunda e due settimane nel reparto maternità dell’ospedale di Bukavu; entrambe le esperienze ci hanno arricchito moltissimo sia umanamente che professionalmente. Il primo impatto con queste realtà, molto diverse dalle strutture sanitarie a cui siamo abituati qui, ci ha spiazzato un pò ma la gentilezza e l’accoglienza delle suore, dei professionisti e delle donne che abbiamo assistito ci ha aiutato molto e in pochissimo tempo siamo riuscite ad inserirci, tanto che alla fine del viaggio non e’ stato facile salutare. Giorno dopo giorno abbiamo imparato ad apprezzare sempre di più le piccole cose: il saluto di uno sconosciuto, una stretta di mano, il sorriso timido di un bambino, la bontà di un frutto e l’importanza dell’acqua, che lì scarseggia, così come la corrente elettrica.

Abbiamo incontrato molte persone fantastiche che ci hanno aiutato a vivere al meglio questa esperienza. Nelle due comunità in cui abbiamo alloggiato, così come nel centro di sanità e in ospedale, ci hanno fatto sentire le benvenute, ci hanno creato il nostro spazio in modo da farci sentire parte della loro grande famiglia. Cureremo il ricordo di ognuno di loro per non far sbiadire dalla nostra memoria nessun viso, nessun sorriso, nessun gesto gentile verso quelle due “musungu” (bianche in swahili) un po’ spaesate. Vi portiamo e vi porteremo nel nostro cuore per sempre. Grazie.


Destinazione Matongo

Benedetta e Lorenzo  La nostra destinazione è stata Matongo, un piccolo villaggio del Burundi vicino alla foresta. Ci hanno molto colpito la gioia nel sorriso dei bambini e la loro curiosità nel vedere persone bianche, la solidarietà delle persone nel condividere quel poco che hanno e la bellezza di salutarsi scambiandosi la pace. Fin da subito ci hanno accolto calorosamente con canti e danze non

facendoci mai sentire isolati; magnifica era l’animazione di prima mattina in cerchio intorno a un tamburo. Ciò che ci ha colpito è il fatto che i bambini non si aspettavano grandi cose da noi ma sorridevano anche del nostro più piccolo gesto. Incredibile poi è la visione un po’ distorta che le persone hanno dei bianchi, quasi come se fossimo esseri superiori, questo ci ha colpito molto e ci ha fatto profondamente riflettere.

esperienze estive: burundi

emozioni e contrasti marta e maria mariaseidita@tiscali.it

É

da poco terminata per noi una meravigliosa esperienza di missione in Burundi e siamo proprio contente di aver finalmente realizzato quello che da tanto tempo era un nostro desiderio. L’intensità delle emozioni e sensazioni vissute è stata tale che a parole temo di non riuscire ad esprimerla pienamente. É un’esperienza che va assolutamente vissuta in prima persona ed arricchisce l’anima e il cuore. Io e Marta abbiamo intrapreso questo viaggio con tanto entusiasmo, che non ci ha lasciato durante tutta la nostra permanenza in Africa, anzi è cresciuto giorno dopo giorno, perché alimentato dall’amore che abbiamo ricevuto, già a partire dai primi momenti, con una calorosa accoglienza al nostro arrivo e con una sintonia sempre maggiore con la comunità di Murayi. Abbiamo sperimentato l’incontro

marta e maria con due suore a murayi

con un popolo lontano da noi per cultura, usi e abitudini e soprattutto per il livello di povertà; una realtà che spesso nel nostro quotidiano non riusciamo neanche ad immaginare. Gente che pur non avendo nulla è davvero in grado di dare tanto. Resteranno per sempre impressi nella mente e nel cuore gli sguardi dei bambini, così profondi ed espressivi, sguardi che sanno darti emozioni forti e contrastanti, da un lato la gioia di aver donato loro un momento piacevole e dall’altro l’amarezza nel constatare le loro reali condizioni di vita. Un’emozione spesso è dettata da quella che potrebbe sembrare una cosa piccola e banale, per noi scontata, ma che nei Burundesi, sia bambini che adulti, suscita stupore… come lo stupore che provano nel vedere la loro immagine nello smartphone dopo che gli hai scattato una foto… lo stupore nel vederti accanto a loro

a “zappare” la terra in un campo lavoro… o semplicemente lo stupore nel toccare i capelli e la pelle di un “muzungu” (uomo bianco); si è proprio così: la gente per strada a volte è contenta semplicemente per il fatto di aver incontrato un muzungu o perché hai regalato loro un sorriso, una stretta di mano o hai condiviso un momento, un calcio ad un pallone, un canto, una lezione di francese o di italiano. Abbiamo sperimentato l’amore di Gesù attraverso gli occhi di quei bambini e della gente che abbiamo incontrato lungo questo cammino. Avevano proprio ragione coloro che prima di partire dicevano: “è più quello che riceviamo da un’esperienza di missione rispetto a quello che riusciamo a dare”. Ed è per questo che ringraziamo tutti coloro che ci hanno accompagnato nel percorso di preparazione e chi in Burundi ci ha accolto con tanto affetto. kiremba ottobre 2018

17


animazione missionaria

esperienze estive albania

incontro CON LA CHIESA albanese carolina danesi scdanesi@tiscali.it

L

e esperienze più belle avvengono sempre attraverso incontri significativi tra persone. Così è avvenuto anche per noi. Nella nostra Parrocchia del Divin Redentore, abbiamo avuto la gioia di incontrare don Roberto Ferranti, fidei donum in terra d’Albania per 10 anni, tornato in Italia e incaricato, tra mille altre cose, di lavorare nell’unità pastorale Don Vender. Attraverso i suoi racconti, pieni di affetto e di passione, abbiamo cominciato a scoprire una nazione povera, giovane, dal doloroso passato, a cui stanno rubando il futuro. Cosi, con gli amici dell’AC di Brescia si decide il viaggio: sei soli giorni, ma ricchi di incontri, riflessioni ed emozioni di grandissima intensità. Anche il luogo dove siamo ospitati, il convitto per gli alunni che frequentano l’istituto tecnico creato e gestito dai Padri Somaschi a Rreshen,

18

kiremba ottobre 2018

visita ai malati accompagnati da suor dafina

parla di un modo significativo di fare missione. Padre Michele, ci ha spiegato che la scuola professionale è una realtà importante per la vita della città, perché molti, troppi giovani cercano di lasciare il paese non avendo prospettive di lavoro. È facile comprenderlo, se si tocca con mano la durezza del vivere e la grande povertà diffusa, si constata la mancanza di infrastrutture, di fabbriche, di imprese, l’arretratezza dell’agricoltura e si ascolta dalla viva voce di chi si incontra come la classe politica sia spesso corrotta e la gestione della cosa pubblica sia inadeguata a risolvere i problemi essenziali delle persone. Nel nostro itinerario siamo stati accompagnati da alcuni giovani di cui non potremo mai dimenticare i volti e le storie. Storie molto belle di vita e di incontro con Gesù. Genc, Gjergj, Harlen, Jurgen, Marjan nella missione italiana e nella chiesa hanno trovato

C’è la riconoscenza per l’incontro con questi giovani amici e il desiderio di poter essere loro di aiuto e la domanda sul come fare. E poi la certezza di avere il compito di condividere, nelle nostre comunità parrocchiali e in associazione, le riflessioni maturate attraverso l’esperienza. La più urgente di tutte, questa: i cristiani non possono innalzare muri e chiudere porti.


La testimonianza del Vescovo Pierantonio

 Vi sono esperienze che restano fortemente impresse. I due giorni che ho trascorso in Albania sono stati così. Ho incontrato a Scutari la testimonianza struggente e tremenda dei martiri albanesi, nel tempo della dittatura comunista. Ho avuto la gioia di conoscere un’esperienza di Chiesa che con coraggio e tenacia porta il Vangelo dentro la vita di un popolo desideroso di rialzarsi. Ho conosciuto il giovane e dinamico vescovo di Reshen; i padri somaschi che investono sulla scuola e preparano al lavoro i giovani albanesi di una regione particolarmente povera; il nostro don

Nel nostro cuore sono rimasti il sorriso, la forza e l’entusiasmo giovanile di suor Dafina, kosovara, che, invece di seguire la propria famiglia benestante negli Stati Uniti, ha trovato la sua Africa in Albania: lavora all’ospedale, cura a domicilio i malati terminali, serve alla mensa dei poveri, incontra i giovani e canta come un angelo.

Gianfranco Cadenelli che, con la pacatezza che lo contraddistingue, sta compiendo un’opera di amorevole promozione umana mentre annuncia la salvezza del Signore. Con lui ho visitato il carcere di Burrell, al nord dell’Albania, sono entrato con lui in alcune case, piccole e povere, ma assolutamente dignitose, ho conosciuto i suoi collaboratori e amici, uniti dall’unica fede nel Signore e dal desiderio di servire nella Chiesa. Un passato buio e doloroso; un presente incerto ma ricco di attese e di speranza; un futuro che è tutto da costruire. Sale spontanea al Signore la preghiera per questo popolo, per il suo futuro, mentre si rinnova la riconoscenza per quanti, nel nome di Cristo, lo stanno aiutando a costruirlo nella verità.

una possibilità di crescita umana autentica. Uno per tutti, Genc: studia farmacia all’Università di Tirana e contemporaneamente, con la Caritas diocesana, cura esperienze di formazione per i più piccoli e si dedica al servizio ai poveri, con una dedizione ed un impegno che ci hanno affascinati e ci hanno portati a riflettere nuovamente sul nostro ruolo di laici nella chiesa. Con la guida del francescano padre Luigi abbiamo conosciuto la storia dei martiri albanesi. Tra gli anni ’50 e ’90, mentre noi vivevamo un cammino di Chiesa libero e segnato dalla novità del Concilio, a poca distanza, migliaia di cristiani sono stati perseguitati per la loro fede e molti di loro portati alla morte dopo indicibili torture e sofferenze. Abbiamo potuto visitare i luoghi del loro martirio, ora custoditi dalle Clarisse, e pregare sulla tomba della beata Maria Tuci, morta a soli 22 anni in seguito al carcere e alle torture. Abbiamo poi incontrato a Rreshen le suore vincenziane. Nel nostro cuore sono rimasti il sorriso, la forza e l’entusiasmo giovanile di suor Dafina, kosovara, che, invece di seguire la propria famiglia benestante negli Stati Uniti, ha trovato la sua Africa in Albania: lavora all’ospedal, cura a domicilio i malati terminali, serve alla mensa dei poveri, incontra i giovani e canta come un angelo. Lei ci ha portato dai suoi amici poveri, facendoci varcare la porta delle loro case per incontrarli e pregare con loro. A Fanë abbiamo incontrato suor Teresa, italiana ottantenne piena di vita, e suor Elda,

plurilaureata, che non viene assunta nella scuola pubblica perché suora e così gestisce, con impegno e fantasia, la piccola scuola materna cattolica. A Burrel, abbiamo incontrato Genti, un giovane che vive il suo essere cristiano con l’impegno politico nel consiglio comunale testimoniando la fede attraverso una radicale attenzione ai bisogni dei poveri. A Ulez abbiamo incontrato don Gianfranco. Ci ha fatto riflettere su ciò che la missione ha da dire alla nostra chiesa bresciana: la priorità va data all’incontro con le persone e con la loro vita. Il vescovo di Rreshen, il più giovane del mondo, ci ha portato il a riflettere sulle difficoltà di una chiesa locale povera di strumenti e di persone, ma comunque abitata dalla forza creativa dello Spirito Santo. Partendo dall’Albania, ci risuonano nella mente e nel cuore motivi di grazie, domande e desideri. Su tutto, la riconoscenza per l’incontro con questi giovani amici, il desiderio di poter essere loro di aiuto e la domanda sul come fare. E poi la certezza di avere il compito di condividere, nelle nostre comunità parrocchiali e in associazione, le riflessioni maturate attraverso l’esperienza. La più urgente di tutte, questa: i cristiani non possono innalzare muri e chiudere porti. I nostri fratelli che si allontanano da situazioni di povertà estreme e di disagio assoluto vengono a chiedere giustizia, non carità. Abbiamo il compito di cercare insieme soluzioni che siano buone per tutti ma, mentre le cerchiamo, dobbiamo dividere il nostro pane con chi non ce l’ha. kiremba ottobre 2018

19


animazione missionaria

 Repubblica Democratica del Congo

Suor Evelina Mattei

XXVIII premio cuore amico La consegna dei premi missionari si terrà Sabato 20 ottobre alle ore 9.30 nell’Auditorium dell’Istituto Paolo VI, situato in Via G. Marconi 15 a Concesio, presso la casa natale di Papa Paolo VI

I premiati

In loro c’è solo la logica dell’Amore  «Quanto meno abbiamo, più diamo. Sembra assurdo, però questa è la logica dell’Amore». I candidati al Premio Cuore Amico 2018 hanno fatto proprio questo suggerimento di Santa Madre Teresa di Calcutta, mettendo a rischio la propria vita per salvare quella degli altri. Come padre Gianpietro Carraro che, con la sua discesa agli inferi delle favelas di San Paolo, condivide ciò che ha con il popolo della strada. Guidato solo dalla logica dell’amore sottrae bambini, giovani e adulti dall’inferno materiale e spirituale in cui vivono. Come suor Evelina Mattei, da 43 anni in Africa dove ha vissuto i periodi tragici delle guerre in Burundi e in Repubblica Democratica del Congo. In questi Paesi falcidiati da conflitti cruenti ha aiutato a venire al mondo centinaia di bambini. Come Carla Magnaghi che lavora in Sud Sudan, terra dove ancora oggi infuria un conflitto civile che miete vittime innocenti. Ciò nonostante la missionaria continua le sue attività di riabilitazione con i bambini disabili della società sudanese.

20

kiremba ottobre 2018

È una Suora Maestra di Santa Dorotea di 70 anni, più della metà dei quali trascorsi in Africa, Burundi prima e Rep. Dem. del Congo dopo. Nel 1975, conseguito il diploma di infermiera e ostetrica, parte da Concesio (BS) per il continente nero. A Rukago e a Matara, in Burundi, accoglie nei due dispensari delle missioni tantissimi bambini. Soprattutto assiste e incoraggia le mamme, offrendo loro nozioni di igiene e alimentazione. La guerra costringe la comunità delle suore a rifugiarsi nell’ex Zaire, oggi Repubblica Democratica del Congo. A Kaniola, nel cuore della foresta equatoriale, apre una nuova comunità insieme ad alcune consorelle. La situazione nella zona è allarmante: una grande quantità di donne muore durante il parto per mancanza di assistenza. Si decide di costruire un centro

di maternità, e suor Evelina si dona con tutto il cuore di cui è capace. Tante vite hanno potuto così vedere la luce, tante donne hanno potuto trovare una mano amica per risollevarsi e superare le difficoltà. Nel 2009 la missionaria giunge a Bukavu. È il periodo della guerra più cruenta scoppiata in Zaire. Sono anni drammatici e suor Evelina vede la morte in faccia, con i soldati armati di machete pronti a mutilare adulti e bambini. Si dà allora da fare nel campo profughi allestito in città. Oggi è a Burhiba dove, nel carcere sovraffollato e privo di medicine porta la sua competenza medica e il suo sorriso agli ammalati. Con la sua vita, suor Evelina è testimone di Gesù e raccoglie in pieno l’eredità spirituale del fondatore della sua congregazione, il Beato don Luca Passi, il cui motto era: «Bisogna dare la vita anche per la salvezza di una sola persona».


Sud Sudan

 Brasile

Carla Magnaghi

Padre Gianpietro Carraro

Originaria di Càrdano al Campo (VA), insegue il sogno di diventare missionaria e, a 18 anni, entra a far parte dell’Istituto Secolare delle Piccole Apostole della Carità che si occupa di disabili. Da insegnante si appassiona alla riabilitazione dei bambini con disabilità e si specializza in psicomotricità e logopedia.

Originario di Sandon di Fossò (VE), è stato ordinato sacerdote a Chioggia nel 1987. Nel 1994 arriva in Brasile, a Belo Horizonte, e qui opera nella diocesi.

Dopo molti anni trascorsi professionalmente fra Como e Varese, nel 1988 le viene chiesto di recarsi a Juba in Sud Sudan, dove l’Istituto vuole aprire una nuova sede, il Centro Usratuna (la nostra famiglia in arabo). Juba all’epoca è un villaggio fatto per lo più di capanne, immerso in un ambiente arido e in un’estrema povertà. A cinque mesi dal suo arrivo scoppia, nel 1991, la guerra: il villaggio è preso d’assalto dai ribelli e il Centro Usratuna viene invaso da più di tremila civili che vi si rifugiano per sfuggire alle mitragliate. Diventata esperta nel linguaggio dei segni segue anche i bambini con sordità. Oggi in Sud Sudan infuria nuovamente una guerra tra due gruppi tribali, i Dinka e i Nuer. Nel Paese si registrano 2 milioni di rifugiati e una gravissima crisi economica: la popolazione è ridotta allo stremo, affamata e terrorizzata da scontri continui e sciacallaggio. Carla è là e continua ad adoperarsi per il popolo Sud Sudanese offrendo al Signore tutte le sue sofferenze, sperando in un futuro migliore.

Durante una visita tra le baracche della favela della città, padre Gianpietro incontra una famiglia estremamente povera, una mamma con tre bambini: uno di loro stava succhiando un corno di bue, gli altri piangevano per la fame, ma la mamma non aveva nulla per sfamarli. Dopo un momento di sconcerto, padre Gianpietro percepisce una forza nuova nascere in lui, si avvicina e li accarezza, li prende in braccio. Sente dentro una voce che gli dice: «Io sono qui dove sei tu, dove vuoi andare?» La risposta di padre Gianpietro è: «I poveri sono la mia famiglia, non devo cercare più! Da qui non uscirò più». Questo episodio segna l’avvio di un percorso di evangelizzazione del missionario nei bassifondi dell’umanità. Dopo qualche anno è a San Paolo, e qui si addentra nelle favelas arrivando a passare settimane intere, giorno e notte, sui marciapiedi, sotto i ponti, dormendo assieme al “popolo della strada”: meninos de rua (ragazzi di strada), anziani e disabili senza tetto, drogati e prostitute. In questo viaggio è accompagnato da suor Calcida, con cui fonda nel 2005 la Missione Belém.

kiremba ottobre 2018

21


Orizzonti MIGRANTI

“Abbiamo aspettato il suo sorriso” Stefania Cingia s.cingia@kemay.it

A

l Villaggio Prealpino vive una famiglia di origine eritrea arrivata in Italia a giugno grazie ai corridoi umanitari. Un progetto chiamato “Protetto. Rifugiato a casa mia” che punta ad accogliere fino a 500 persone nelle parrocchie delle Caritas diocesane, promosso da Caritas Italiana in collaborazione con il governo italiano ed etiope, la Comunità di Sant’Egidio, l’UNHCR e l’ong Ghandi Charity di Fessah Alganesh. Oggi raccontiamo questa storia da chi l’ha vissuta in prima persona. La casa è stata messa a disposizione dalla Parrocchia di Santa Giulia e oggi accoglie una mamma, un papà e quattro figli minori. Quando entriamo in casa, T., il padre, si appresta a portarci delle sedie per farci accomodare. I quattro bambini intorno giocano, escono, rientrano, ci guardano. Non ci interrompono mai. Cominciamo da quando sono arrivati in Italia. “Il momento che mi ha emozionato è stato quando dall’aeroporto siamo partiti verso casa”, ricorda Giuditta, che il 27 giugno era ad attenderli all’aeroporto 22

kiremba ottobre 2018

dietro ogni volto si nasconde una storia da ascoltare

di Fiumicino insieme ad altre colleghe. “Tanti furgoni e automobili delle Caritas italiane in movimento, al momento di dividerci sentivamo i clacson e noi operatori salutavamo gli altri colleghi, ma loro salutavano i connazionali con cui avevano vissuto e viaggiato. Lì capisci di essere un pezzettino dentro a una comunità locale e nazionale.” T. racconta che “prima di partire, la Sig.ra Alganesh ci aveva preparati, dicendoci che c’erano delle persone che ci aspettavano. Eravamo entusiasti, ma il giorno della partenza eravamo molto spaventati: andavamo in un paese che non conoscevamo e di cui non sapevamo la lingua. Qui abbiamo incontrato delle persone solidali, che sono come una famiglia. Ogni tempo di queste persone è dedicato a noi, c’è solidarietà e tanto affetto. Quando devono venire, noi le aspettiamo volentieri. Quello che ho trovato qui è speranza e affetto.” M., la madre: “Sono d’accordo con mio marito, sono molto contenta dell’educazione domestica che riceviamo, è bello che ci insegnino ogni cosa, perché lo fanno con il cuore.

“...eravamo entusiasti, ma il giorno della partenza eravamo molto spaventati: andavamo in un paese che non conoscevamo e di cui non sapevamo la lingua. Qui abbiamo incontrato delle persone solidali, che sono come una famiglia. Ogni tempo di queste persone è dedicato a noi, c’è solidarietà e tanto affetto. Quando devono venire, noi le aspettiamo volentieri. Quello che ho trovato qui è speranza e affetto.”


“ Quando siamo arrivati, la più piccola dei nostri figli che ha solo tre anni, continuava a ripetere ‘Quando andiamo a casa?’. Adesso per scherzare le diciamo che torniamo a casa, ma lei risponde che non vuole tornare a dormire sul pavimento duro e che vuole stare qui. Una bambina di tre anni che fa questo tipo di riflessione per noi è una risposta.”

Quando sono partita ero malinconica, con la faccia scura, perché lasciavo in Etiopia una figlia. Ero molto triste, ma oggi la nostalgia si è attenuata, sono più tranquilla e so che un giorno la rivedrò. Qui ho trovato gesti di accoglienza e solidarietà.” All’invito di raccontare la propria esperienza ci sono anche tre volontarie: Loretta, Mariangela e Marta. Nell’ascolto del vissuto di questa esperienza, sorridono perché per loro uno dei crucci era di essere invadenti o arroganti. “Tutto quello che facciamo, lo facciamo con il cuore”, confermano. M. sorride quando ascolta la traduzione delle parole delle volontarie: “Mi dispiace che rubiamo il tempo alle famiglie di queste persone, ma quando arrivano qui io poi resto felice tutto il giorno.” T., alla domanda come stanno vivendo i bambini questa esperienza, mi risponde: “Quando siamo arrivati, la più piccola dei nostri figli che ha solo tre anni, continuava a ripetere ‘Quando andiamo a casa?’. Adesso per scherzare le diciamo che torniamo a casa, ma lei risponde che non vuole tornare a dormire sul pavimento duro

e che vuole stare qui. Una bambina di tre anni che fa questo tipo di riflessione per noi è una risposta. I più grandi sono felici di andare a scuola, c’è molto entusiasmo. Se i nostri figli sono entusiasti e felici, a noi non serve altro.” Non è un’intervista, è una conversazione amichevole di grande effetto. “L’ospitalità che ho trovato in loro è un tratto tipico,” continua Marta. “Credo che sia significativo di come adesso si sentano a casa qui. Quando veniamo a trovarli, la prima cosa che fanno è spostare la sedia o andare a prenderla per farci accomodare.” Yodith, la mediatrice che aiuta nella comunicazione, sottolinea che “la carta vincente di queste volontarie e volontari è che si chiedono sempre se i gesti sono rispettosi verso la famiglia e se quello che fanno è costruttivo. È importante questo: non si pongono con arroganza, ma con rispetto. Ci vuole molta pazienza per capire che ognuno ha il proprio tempo per aprirsi. A volte è difficile anche dare e aiutare senza ricevere mai un grazie o un sorriso.” Loretta: “Noi abbiamo aspettato il sorriso di M. E’ un dare senza aspettare di ricevere.” “Hanno detto che i corridoi umanitari sono un’opera segno”, conclude Giuditta, “Dal punto di vista politico, sono certamente un simbolo. É un’opera reale e vera, perché a questa famiglia ha cambiato la vita: ai genitori, perché possono da oggi vivere più sereni, ancora di più ai bambini, perchè saranno salvaguardati e protetti.” kiremba ottobre 2018

23


Formazione & spiritualità

i giovedi della missione

SOLIDARIETÁ O T N E IM R E V O P IM E Mario RUBAGOTTI mRUBAGOTTI@gmail.com l’impoverimento sta interessando anche alcuni paesi economicamente sviluppati

U

n a delle serate della scorsa edizione dei “giovedì della missione” (padri Comboniani di viale Venezia, a Brescia), è stata dedicata al tema della “solidarietà internazionale”, strettamente connesso all’altrettanto importante tematica dell’“impoverimento”. Le relazioni specifiche sono state affidate a relatori qualificati: il prof. Carlo Borzaga, Direttore Vicario del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento, nonchè profondo conoscitore del mondo della cooperazione a livello nazionale e il dr. Francesco Petrelli, responsabile delle relazioni internazionali di OXFAM ITALIA e attuale portavoce di CONCORD Italia, la branca italiana della confederazione delle ONG europee per l’aiuto e lo sviluppo dei popoli. Il prof. Borzaga ci ha aiutato a

24

kiremba ottobre 2018

“leggere” il contesto globale nel quale viviamo oggi, quando la preoccupazione principale che condiziona il nostro agire è quella dell’impoverimento, un concetto che si aggiunge a tutta una serie di terminologie (Paesi in via di sviluppo, Paesi sottosviluppati, Paesi impoveriti, …), ma che ha un significato particolare. Con impoverimento si intende, non soltanto la presenza o la permanenza di situazioni di povertà all’interno di un Paese o di un’area, ma una situazione piuttosto nuova, che è quella di arretramento (in senso assoluto, non solo relativo) del reddito disponibile e soprattutto delle condizioni di vita. Il fenomeno dell’impoverimento sta interessando quasi tutti i Paesi (non più soltanto quelli poveri o in via di sviluppo), ma soprattutto alcuni degli stati più economicamente sviluppati,

a partire dai Paesi anglosassoni (Stati Uniti ed Inghilterra), seguiti a quelli i dell’Europa meridionale (Spagna, Portogallo, Grecia, Italia), e in misura minore anche dai Paesi dell’Europa continentale. L’impoverimento è un fenomeno che va di pari passo con l’aumento della diseguaglianza, ma sono due dinamiche profondamente diverse. Sono fenomeni che prendono avvio negli anni ‘80, a seguito non soltanto della globalizzazione, ma di una serie di fattori e di riforme che riguardano sia le relazioni interne ai vari Paesi (per esempio la sconfitta del sindacato e la sua quasi scomparsa in tanti contesti), sia le relazioni tra le istituzioni internazionali: questa forma nuova coinvolge anche la filosofia con la quale i governi operano e con cui destinano i fondi, così pure coinvolge la cultura che si esprime nei rapporti e nelle attività Dobbiamo prendere atto che i


Dobbiamo prendere atto che i notevoli cambiamenti che sono intervenuti negli ultimi decenni ci dicono di un mondo che è sempre più un piccolo villaggio, dove le vicende dell’uno sono in relazione con il resto del pianeta. La globalizzazione ha portato all’apertura delle frontiere alle transazioni, agli scambi, ma attenzione, apertura delle “nostre” frontiere, le loro erano già aperte...

notevoli cambiamenti che sono intervenuti negli ultimi decenni ci dicono di un mondo che assomiglia sempre più ad un piccolo villaggio, dove le vicende dell’uno sono in relazione con il resto del pianeta. La globalizzazione ha portato all’apertura delle frontiere, alle transazioni, agli scambi, ma attenzione, apertura delle “nostre” frontiere, le loro erano già aperte, prendevamo tutto quello che volevamo, prima come colonialisti e poi attraverso politiche postcolonialiste, non è che andassero a dire “c’è il petrolio” e ce lo vendevano. Ce lo andavamo a prendere!

la domanda di professionalità. Infine c’è un crescente potere dei ricchi nel determinare le scelte politiche. Questo è un altro aspetto, che da noi, in Europa, si vede meno, ma c’è. Negli Stati Uniti d’America ormai è un fenomeno consolidato, non si può più essere eletti se non si è finanziati e quindi tutte le politiche in sostanza vanno in questa direzione. E allora siamo nella “poliarchia”, non sono più democrazie, sono società in mano ai ricchi. Ecco, diciamo che parlare di solidarietà internazionale oggi significa parlare all’interno di questo contesto, e su questa seconda parte dell’incontro è intervenuto il dr. Petrelli.

Altro fenomeno significativo e utile a comprendere il contesto attuale del pianeta, è l’evoluzione tecnologica (che poi si incrocia un po’ con le privatizzazioni), che ha modificato

La sua prima considerazione è che oggi abbiamo una grande necessità di cambiare gioco, di sparigliare, prima ancora di parlare di cooperazione internazionale dobbiamo riportare

al centro il tema dello sviluppo, della qualità, del senso, della ragione, della sostenibilità dello sviluppo, perché la globalizzazione ci pone in modo inedito rispetto a 30 anni fa. Oggi noi abbiamo a che fare con una grande questione sociale mondiale. E dobbiamo collocare la cooperazione dentro questo quadro, con le sue problematiche e con i suoi rischi, con le sue opportunità da valutare molto più criticamente di quanto abbiamo fatto anche in un recente passato. Dobbiamo provare a fare questo, altrimenti (detto provocatoriamente) noi rimarremo quelli del “progettino”, cioè di attività che hanno un grande valore in termini di testimonianza, ma non riescono ad incidere sul cambiamento globale necessario. Relativamente al tema della pace, al tema della giustizia, o noi riusciamo a ripensarli, a ricollocarli dentro i temi di una grande questione sociale mondiale e che diventa anche questione democratica, che è il tema delle lobby e del potere, oppure andremo verso un cortocircuito, verso l’insostenibilità. La concentrazione, folle, irragionevole della ricchezza produce un’aristocrazia perchè laddove 2.042 miliardari detengono la metà della ricchezza prodotta nel mondo, cioè quanto altri quasi 4 miliardi di persone. Quali passi , progetti e processi avviare nelle nostre famiglie, associazioni, parrocchie? Invia la tua risposta a missioni@diocesi.brescia.it kiremba ottobre 2018

25


formazione & spiritualità

La preghiera missionaria dei Santi Ogni santo, nelle piccole e grandi cose, ha dimostrato coraggio perché lo Spirito Santo abita dentro di lui e agisce in modo evidente, diceva San Paolo: «non sono più io che vivo ma è Cristo che vive in me».

 A cura di don Francesco Pedrazzi - frapedro73@gmail.com Beato Oscar Romero:

il pastore-martire che ha combattuto l’ingiustizia con la spada della Parola

In attesa della canonizzazione di Paolo VI, figura già presentata tra i nostri santi missionari, è utile considerare un suo contemporaneo, che verrà canonizzato lo stesso giorno, il prossimo 14 ottobre: Mons. Oscar Romero. Nato a Ciudad Barrios di El Salvador il 15 marzo 1917 da una famiglia modesta, viene ordinato sacerdote dopo aver conseguito la licenza in Teologia alla Gregoriana di Roma. Nel 1977 è nominato Vescovo titolare dell’Arcidiocesi di San Salvador, mentre nel paese infuria la repressione, con omicidi sommari e massacri di oppositori e contadini da parte di gruppi paramilitari, sostenuti dai latifondisti e dal regime governativo. In quel periodo, Romero aveva la fama di un moderato, appartenente all’ala ecclesiale conservatrice, anche perché aveva preso le distanze dalla lotta armata propugnata dalla teologia della liberazione. Eppure, a un certo punto decide di prendere posizione in maniera decisa contro le ingiustizie che dilaniavano il suo Paese. Molti cominciano a considerarlo un “vescovo guerrigliero”, mentre in realtà era semplicemente un uomo di Chiesa che annunciava (e viveva) il Vangelo di Cristo. Nelle sue omelie, trasmesse dalla radio della diocesi, condanna ogni forma di violenza e le ingiustizie ai danni dei contadini e invita tutti i fedeli, compresi i militari del regime, a prendere coscienza della propria responsabilità dinanzi a Dio e ai loro fratelli. Il regime decide perciò di farlo tacere. È il 24 marzo 1980 quando, mentre celebra l’Eucarestia, viene colpito da un cecchino. Da quel giorno diviene per i suoi fedeli “San Romero d’America”. Romero è stato un vero missionario e un vero martire, perché – pur minacciato di morte – ha continuato a contrastare il male e l’ingiustizia annunciando il Vangelo. Il martirio, giunto proprio mentre elevava il santo calice, è il sigillo su una vita donata totalmente ai fratelli, perché offerta al Padre in Cristo, attraverso una vita di preghiera intensa e un amore smisurato per l’Eucaristia. Non si potrebbe spiegare il suo impegno in campo sociale senza la sua profonda e robusta vita spirituale, il suo radicale amore per Cristo. Un mese prima della sua morte scriveva di aver rifatto la consacrazione al cuore di Gesù, devozione a cui era molto legato, e annotava: «Accetto con fede in Lui la mia morte per difficile che sia… Mi basta per essere felice e fiducioso sapere con sicurezza che in Lui, nel Signore, sta la mia vita e la mia morte». Sono parole che hanno il sapore di quelle di un altro innamorato di Cristo, san Paolo: «Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,20-21). Nell’omelia per il funerale di un prete assassinato, mons. Romero disse: «Dare la vita non significa solo essere uccisi; dare la vita, avere spirito di martirio, è dare nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; in quel silenzio della vita quotidiana; dare la vita a poco a poco? Sì, come la dà una madre, che senza timore, con la semplicità del martirio materno, concepisce nel suo seno un figlio, lo dà alla luce, lo allatta, lo fa crescere e accudisce con affetto. È dare la vita. È martirio». Il Signore conceda a ognuno di noi di “dare la vita a poco a poco”, di essere nel suo piccolo un “martire” di Cristo, in unione al suo sacrificio eucaristico d’amore, per“camminare insieme nella santità”(come ci invita a fare il Vescovo Pierantonio ¬nella sua Lettera pastorale).

26

kiremba ottobre 2018


Veglie Missionarie

Blocknotes

Lunedi 1 Ottobre - ore 20.30 • Monastero della Visitazione Via Versine, 9 - Salò Venerdi 5 Ottobre - ore 20.30 • Monastero del Buon Pastore, Via Lama, 83 - Brescia • Monastero Clarisse, Via F. Martinoli,3 - Lovere • Monastero S. Chiara Clarisse, Via san Pietro - Bienno Sabato 20 Ottobre - ore 20.30 Veglia missionaria diocesana in Cattedrale con mandato ai missionari Piazza Paolo VI - Brescia

Proposte formative per giovani Giovani in Missione Nuovi Stili di Viaggio Percorso di formazione per giovani dai 18 ai 35 che si preparano per vivere un’esperienza breve estiva in missione. Il corso si sviluppa in 7/8 giornate con due weekend

Missione e Carità a Brescia Proposta rivolta a tutti i giovani ed in modo par ticolare a chi ha vissuto un’esperienza in missione o desidera iniziare un cammino vocazionale missionario. 7/8 incontri per conoscere le realtà di Brescia dov’è possibile incontrare “gli ultimi” ed i poveri che vivono nel nostro territorio. Nel percorso è previsto un cammino spirituale per leggere la Parola di Dio e le realtà più bisognose nel nostro territorio Studenti in viaggio (Alternanza scuola lavoro) Percorso di formazione per studenti del quarto anno della scuola secondaria di secondo grado. Otto pomeriggi per preparare un breve viaggio estivo in missione

Per info: missioni@diocesi.brescia.it tel: 030.3722350

kiremba ottobre 2018

27


s arlight

cosĂŹ la vostra luce! (Mt 5,16)

A Brescia con Paolo VI Sabato 20 ottobre 2018 dalle ore 20.00 Chiesa Cattedrale (Piazza Paolo VI)

Un incontro di fede, di animazione e di aggregazione svolto, nella sua parte iniziale, con la presenza del Vescovo Pierantonio ed inserito nel contesto della Veglia missionaria che inizierĂ alle ore 20.30 Gli adolescenti presenti riceveranno il mandato missionario dal Vescovo


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.