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Diocesi di Pistoia Ufficio Catechistico Diocesano

Giovanni: il Vangelo dell’Amore che salva Per incontrare il Signore nella Parola e imparare a credere e amare come Lui

Samaritana e Nozze di Cana (mosaici del V sec. d. C.) – Battistero di S. Giovanni in fonte (Na)

Sussidio Diocesano per i Gruppi di Ascolto della Parola di Dio Anno del Signore 2013/2014


Sussidi per i Gruppi di ascolto della Parola di Dio 2013-2014

DALLA LETTERA ENCICLICA Di Papa Francesco

“LA LUCE DELLA FEDE” “La Chiesa non presuppone mai la fede come un fatto scontato, ma sa che questo dono di Dio deve essere nutrito e rafforzato, perché continui a guidare il suo cammino” (LF 5) “La fede non è un fatto privato, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio” (LF 22) “La fede si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma. I cristiani nella loro povertà, piantano un seme così fecondo che diventa un grande albero ed è capace di riempire il mondo di frutti” (LF 37)

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Indice delle schede INTRODUZIONE

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I Scheda “E il verbo di Dio si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,1-18) L’incarnazione di Dio (Sua ecc.za Mons Mansueto Bianchi) II Scheda Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,19-42)

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La testimonianza del Battista e la chiamata dei primi discepoli (Annalisa Frosini)

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Gesù incontra Natanaele (Cristiano D’Angelo)

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Le nozze di Cana. Il primo dei segni del Signore (coniugi Marco Sali – Silvia Bonti)

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La prima Pasqua (Luca Carlesi)

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III Scheda “Vieni e vedi” (Gv 1,43-51).

IV Scheda “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,1-12).

V Scheda “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,13-25)

VI Scheda “Se uno non nasce dall’alto non può vedere il Regno di Dio” (Gv 3,1-21) Il colloquio di Gesù con Nicodemo (Timoteo Bushishi) VII Scheda “Chi berrà dall’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno” Gesù incontra la samaritana (Gv 4,1-42) (Cristiano D’Angelo) VIII Scheda “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (Gv 4,43-54) Gesù guarisce - l secondo dei Segni del Signore (Enrica Tabani) IX Scheda “Alzati, prendi la tua barella e cammina” (Gv 5,1-18) Gesù guarisce un infermo alla piscina di Betzatà (Timoteo Bushishi) X Scheda “Come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri?” (Gv 5,19-46) Gesù parla della sua opera (Armando Bartolini) BREVE BIBLIOGRAFIA

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Introduzione Un cammino lungo sei anni

È il sesto anno che in Diocesi sono stati avviati i Gruppi di Ascolto della Parola di Dio nelle famiglie, un’esperienza che nel tempo si mantiene stabile, con gruppi che cessano e altri che nascono. Circa 1200 persone tutti i mesi, e qualcuno anche più spesso, si riuniscono per ascoltare la Parola di Dio, interrogarsi sulla propria vita e sul mondo alla luce di quella Parola.

La Fede nasce dall’ascolto

La fede nasce dall’ascolto di Dio che parla, così questi gruppi sono una grande occasione di incontro con il Signore attraverso quella speciale manifestazione della sua Parola attraverso le S. Scritture e in modo particolare il Vangelo. È chiaro che il termine “Parola di Dio” indica molto di più della Bibbia, perché Dio parla nella storia, nel creato, parla negli uomini e nelle donne, parla nel cuore. Tuttavia le S. Scritture sono un luogo concreto, oggettivo, dove Dio ci parla attraverso l’esperienza di uomini e donne che prima di noi hanno creduto, imparando a riconoscere nelle vicende della propria vita la presenza e la guida di Dio. È confrontandoci con quelle storie che si impara a guardare la nostra storia con gli occhi di Dio, si matura la consapevolezza della sua misericordia, si conosce la sapienza di Dio che aiuta a vivere bene nella verità e nella giustizia in comunione con gli altri. In modo particolare i Vangeli ci mettono in contatto con l’esperienza umana del Signore Gesù, con quello che di lui hanno ascoltato, veduto, sperimentato gli apostoli e i cristiani della prima generazione. Nei Vangeli, pertanto, più forte è la vicinanza al Signore Gesù quale si manifestò durante la sua vita terrena, e questa vicinanza ci permette di attingere, come a una fonte di acqua viva, alle sue parole, al suo modo di vivere e giudicare le cose, al suo modo di mettersi in relazione con le persone e con le vicende della vita. È questa vicinanza che ci permette di maturare non solo una conoscenza di lui, ma anche, come ci ricorda il Papa, “una partecipazione al suo modo di vedere” (la Luce della Fede, 18).

Dall’ascolto alla Sequela

L’esperienza dell’ascolto, quando è profondo, tocca le fibre del nostro essere e feconda il nostro modo di vivere, rendendolo più simile a quello del Signore Gesù, non tanto nella ripetizione delle cose che Egli fece finchè visse tra noi, quanto nello stesso Spirito con cui egli le fece, quando questo accade allora si diventa persone nuove, siamo trasformati dalla fede e si diventa luminosi dell’Amore di Dio. L’ascolto dunque non è solo conoscenza intellettuale del Vangelo, ma esperienza vitale della sua forza vivificante.

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Il Vangelo di Giovanni

Il Vangelo di Giovanni che quest’anno leggeremo ci introduce in quel processo complesso che va dalla conoscenza della Parola, dall’ascolto e dall’incontro con il Signore, alla sequela e alla vita nella Carità. Nel Vangelo di Giovanni infatti, ci sono alcuni dei dialoghi più belli di Gesù con personaggi come Nicodemo o la Samaritana, che rappresentano l’umanità e le sue varie situazioni. Sono dialoghi e incontri che non si trovano negli altri Vangeli e che pertanto ci aiutano a capire lo


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specifico del Vangelo di Giovanni che vuole aiutare le persone a credere, cioè a vivere un incontro con il Signore e a lasciarsi trasformare, convertire da quell’incontro diventando a sua volta annunciatori e portatori della luce che viene dall’aver accolto e seguito il Signore nella vita. Giovanni è un Vangelo molto profondo, e certo non si può ridurre solo a questo il suo contributo all’intelligenza dei credenti, perché in Giovanni troviamo molto altro, come ad esempio la radicale alternativa tra il bene e il male, tra l’accogliere Dio o il mondo. In Giovanni troviamo lunghi discorsi dove egli raccoglie insegnamenti del Signore su alcuni temi fondamentali della vita credente e della comunità cristiana, come il discorso della vera vite, o quello del buon pastore, o come il grande discorso d’addio. Questa ricchezza può a volte lasciare disorientato il lettore non molto abituato a leggere la Parola o che si aspetta sempre dal vangelo risposte facili o immediate. Per questo leggiamo Giovanni dopo aver dedicato gli ultimi quattro anni ai Vangeli Sinottici. Lo leggeremo facendone una lettura quasi continua, per permettere di meglio apprezzare e amare le sue profondità spirituali e teologiche. Quest’anno leggeremo i primi cinque capitoli suddivisi in dieci incontri, con il progetto di leggere, nei prossimi anni, il resto del vangelo. L’augurio è che come i discepoli del Battista anche noi “sentendo parlare” di Gesù impariamo a seguirlo come loro fecero quel giorno, perché anche noi possiamo conoscere dove egli abita e così andare e rimanere con Lui. “Vieni e seguimi” sono le parole che devono accompagnare la lettura di questo vangelo che ci invita a seguire il Signore nella Parola scritta nella storia, in quella quotidianità delle nostre giornate dove dobbiamo concretamente seguire il Signore, vivendo l’Amore di Dio che risplende nella vita bella, misericordiosa e giusta dei suoi figli.

don Cristiano D’Angelo

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Scheda I

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“E il verbo di Dio si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” L’incarnazione di Dio (Gv 1,1-18)

In principio era il verbo e il verbo era presso Dio e il verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. 4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5 la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. 6 Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7 Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8 Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. 9 Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 10 Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. 11 Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. 12 A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13 i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. 14 E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. 15 Giovanni gli dà testimonianza e proclama: “Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me”. 16 Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. 17 Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18 Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

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Accostarci al “prologo” del Vangelo di Giovanni, vuol dire incontrare uno dei testi più alti e più belli di tutta la Bibbia: occorre farlo dunque con molta “intensità” spirituale, liberandoci da banalità, distrazioni, livelli di lettura puramente informativi. In un testo come questo il lettore percorre la vicenda cristiana, la nostra personale vicenda di fede, dalla valle alla vetta, dal picco all’abisso. Davvero non possiamo essere percorritori distratti o disinvolti di un brano come questo! Il prologo del Vangelo di Giovanni si configura come un testo poetico che introduce a tutto il resto del libro. È un preludio nel quale si anticipano i grandi temi teologici, le stesse parole decisive che nel libro verranno dipanandosi, componendosi o confliggendo. Sono le “grandi parole” che Dio ci ha donato e diventano come codici, come alfabeti per interpretare la nostra esperienza e la nostra vita.


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Vorrei ricordarne solo alcune: la Parola, la creazione, la vita, la luce, le tenebre, il mondo, la verità, la gloria, la testimonianza, la fede, la carne, la nascita da Dio, la tenda, la rivelazione di Dio. Sono come le note ritornanti di quella poderosa sinfonia che è il quarto Vangelo. Al centro del Prologo vi è un termine, per noi un po’ difficile: “il Verbo”. È la Parola, generata da Padre nella eternità, ed a Lui vincolata da quell’inscindibile amore che è lo Spirito. Il “Verbo” è il Figlio stesso di Dio, la seconda persona del Dio cristiano che è un Dio-Trinità di persone. Che il Vangelo di Giovanni chiami “Verbo” cioè “Parola” il Figlio, significa che Dio non è un’eterna silente solitudine, Dio non è il gelo dell’unico, ma è dialogo di persone ed intensità di amore fino ad essere perfetta unità. Chiamare “Parola” il Figlio di Dio significa dire che noi siamo creati e chiamati all’ascolto di Lui, al dialogo con Lui. Una vita, di persone, di Chiesa, di popolo, che non entri, pur con plurità di modi e di esperienze, in questa logica di ascolto, di accoglienza, di dialogo, cioè di relazione con la Parola, è una vita amputata, sminuita, condannata alla banalità ed all’insignificanza. Dobbiamo chiederci perciò se e quanto ascoltiamo questa “Parola” che è il Signore Gesù, se l’accogliamo, se le permettiamo di trasformarci la vita, se entriamo in quel dialogo con Lui che è la preghiera, e, ancor più profondamente, la fede e l’amore, che ci fa partecipare alla vita stessa della Trinità. Il testo, nel suo centro, afferma che “la Parola divenne carne e pose la sua tenda in mezzo a noi” (v. 14) E’ la strada che il Dio cristiano, la Trinità, ha compiuto nel Figlio perché ad ogni persona potesse essere aperta la via della speranza e della Salvezza. Il testo ci dice che il Figlio di Dio è sceso dentro la nostra umanità, facendo sue le nostre povertà, le nostre ferite, fino ad assumere quella radicale fragilità che ci conduce alla morte. Si è fatto compagno del nostro viaggio, segnato da fatica e da stento, ponendo la Sua tenda accanto alla nostra. Così nella povera e debole umanità di Cristo, Dio ha velato, come sotto una tenda, la sua gloria. La gloria di Dio si è avvolta di poveri panni, si è fatta mendica, come mendicante di significato, di vita, di felicità è ogni persona. Dentro quella tenda che è la “carne” del Figlio fatto uomo, la Sua risposta accompagna il cammino della nostra domanda, la speranza incontra l’esaudimento, al gemito è donata quella consolazione che genera il sorriso. Dio e l’uomo camminano insieme. Occorre accorgecene, occorre leggere con gli occhi della Fede e con l’alfabeto del vangelo, la nostra vita, le nostre aspirazioni, le nostre necessità, anche le nostre ferite, perfino i nostri peccati. Allora nella povertà della “carne” del “verbo”, nel Figlio di Dio fatto uomo, da Betlemme fino al Calvario, noi riconosciamo la “tenda”, i poveri panni, con cui Dio ha velato la sua gloria in mezzo a noi e ci accorgiamo che la gloria di Dio è l’amore. La sua potenza, il suo dominio, la sua vittoria è tutta nel gesto di chi dona la vita, di chi serve e dona per amore. E questa diventa la nostra strada, il percorso di noi Cristiani, il cammino delle nostre parrocchie e comunità: siamo i discepoli della Parola fatta Carne, del Signore che pone la sua tenda di viandante in mezzo alle nostre, di un Dio che avvolge la Sua gloria nei poveri panni del servire e del donare, poiché Egli ha voluto che l’unica sua gloria fosse l’amare. È l’impegno e la sfida di ogni nostro giorno.

† Mons. Mansueto Bianchi Vescovo di Pistoia

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DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Quando il Vangelo parla del “verbo” parla di Gesù Cristo, di lui come “Parola”. La Parola con cui Dio ha creato il mondo e che fa esistere il mondo. Significa che il “codice genetico” del mondo è al profondo Cristo. Significa che il significato più profondo della vita è il Signore Gesù, è Dio, e che Gesù, Dio e la Fede ci aiutano a capire il mondo. Fai questa esperienza, della fede come una “luce” che illumina il mondo? 2) Gesù è il verbo che si è fatto carne ma anche il verbo che era da sempre presso il padre. È il modo con cui il Vangelo afferma la piena umanità e la piena divinità di Gesù Cristo. Hai difficoltà a capire questa affermazione della fede cristiana in un Dio che si fa uomo, in Gesù “vero uomo e vero Dio”? Cosa significa per noi che Dio si è fatto uomo? 3) “Per permetterci di conoscerlo, accoglierlo, seguirlo, il Figlio di Dio ha assunto la nostra carne” così Papa Francesco nell’enciclica “Lumen Fidei, 18” ci ricorda i motivi dell’incarnazione del verbo. Che vuol dire conoscere, accogliere e seguire Gesù? Egli ci ha cioè mostrato come vivere da umani con lo spirito di Dio, un vivere che conduce alla vita, all’amore, all’eternità, perché come ci ricorda ancora il Papa “la fede non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere” (LF 18). In che senso noi dobbiamo partecipare “al modo di vedere di Gesù?” 4) Come applicheresti questo Vangelo alla tua vita? Su cosa ti fa riflettere, su cosa ti corregge, a cosa ti sprona? Che sentimenti suscita in te la lettura del prologo di Giovanni?

Da Siracide 24

(preghiera a cori alterni)

La sapienza fa il proprio elogio, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. 2 Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria: “Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo e come nube ho ricoperto la terra. 4 Io ho posto la mia dimora lassù, il mio trono era su una colonna di nubi. 3

Ho percorso da sola il giro del cielo, ho passeggiato nelle profondità degli abissi. 6 Sulle onde del mare e su tutta la terra, su ogni popolo e nazione ho preso dominio. 5

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Fra tutti questi ho cercato un luogo di riposo, qualcuno nel cui territorio potessi risiedere. 8 Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe 7


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e prendi eredità in Israele”. Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno.

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Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. 11 Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. 10

Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità. 12

Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti, 20 perché il ricordo di me è più dolce del miele, il possedermi vale più del favo di miele. 19

Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno ancora sete. 22 Chi mi obbedisce non si vergognerà, chi compie le mie opere non peccherà”. 21

PADRE NOSTRO PREGHIERA O Padre che tutto hai creato con Sapienza e Amore, aiutaci ad ascoltare la Parola che risuona nel creato e nella storia. Fa che sappiano riconoscere le tue impronte nel mondo e negli uomini perché ti accogliamo con tutto noi stessi e viviamo la nostra vita nello Spirito del tuo Cristo che si è fatto uomo per insegnarci ad essere più uomini. Egli vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. AMEN

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Scheda II

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“Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”

La testimonianza del Battista e la chiamata dei primi discepoli (Gv 1,19-42) Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: “Tu, chi sei?”. 20Egli confessò e non negò. Confessò: “Io non sono il Cristo”. 21Allora gli chiesero: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?”. “Non lo sono”, disse. “Sei tu il profeta?”. “No”, rispose. 22Gli dissero allora: “Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?”. 23 Rispose: “Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia”. 24 Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: “Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”. 26Giovanni rispose loro: “Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo”. 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando. 29 Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele”. 32Giovanni testimoniò dicendo: “Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”. 35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli 36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. 37E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì - che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?”. 39 Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” - che si traduce Cristo - 42 e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa” - che significa Pietro. 19

10 Fin dall’inizio il brano dell’Evangelista Giovanni cattura la nostra attenzione generando in noi la fretta di scorrere velocemente il testo e leggere in cosa consista questa testimonianza di Giovanni Battista, annunciata dal Prologo, da parte di un “uomo mandato da Dio, come testimone, per rendere testimonianza alla luce… alla luce vera” (Gv 1,6-7). Ma la nostra curiosità non è immediatamente soddisfatta perché il racconto ci pone dentro una prima scena di interrogatorio che


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ha per oggetto Giovanni Battista, ad opera di sacerdoti e leviti mandati dai Giudei; essi qui non rappresentano tanto il popolo, quanto le autorità costituite, chiuse e indurite di fronte alle realtà di Dio che gli vengono e gli verranno annunciate nel corso dell’intero Vangelo e che sfocerà nell’ostilità contro Gesù. Essi hanno bisogno di sapere esattamente chi è questo uomo che battezza al di là del Giordano, in questo paese che non sembra coincidere con Betania vicino a Gerusalemme ma con Betabara (alcuni lo identificano con questo luogo che tra l’altro significa ‘luogo del passaggio, ricordando il passaggio del Giordano alla fine dell’Esodo che introduce gli Israeliti nella Terra Promessa; altri invece preferiscono parlare di un paese sulla riva sinistra del Giordano la cui localizzazione è incerta, cfr. la nota di Gv 1,28 della Bibbia di Gerusalemme). I Giudei in realtà conoscono Giovanni Battista e la sua autorevolezza derivante dalla vita austera e di penitenza vissuta nel deserto. Poiché predica un battesimo di penitenza non sarà lui il profeta Elia che secondo Ml 3,22 doveva tornare alla vigilia del giudizio finale per un’ultima esortazione penitenziale? Oppure non sarà lui ‘il Profeta’ degli ultimi tempi la cui attesa si era diffusa in diversi ambienti sulle parole di Dt. 18,15: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli, un profeta pari a me; a lui darete ascolto”? Nel corso del Vangelo questo interrogatorio che adesso è rivolto sul Battista, sarà più volte compiuto su Gesù, sia da parte delle autorità che da parte della gente del popolo. Paradossalmente però è proprio questo bisogno di accertare, chiarire, identificare, avere prove della presenza di Dio in mezzo a noi, che ci porta fuori, che ci indurisce e ci acceca. È difficile infatti riconoscere nella realtà che stiamo vedendo e toccando, a volte così scontata o povera Dio che si fa carne; Giovanni non per niente dirà poco più avanti nel brano che stiamo leggendo: “in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”. Il Battista risponde ai suoi interlocutori negando completamente ciò che essi pensano di lui e solo dopo rivela la sua identità che naturalmente non sono in grado di capire perché rappresentano quel ‘mondo’ che per l’Evangelista Giovanni è sinonimo di ‘tenebre’, ‘rifiuto di Dio’, ostilità alla luce’, quel mondo che pur “essendo stato fatto per mezzo di lui, non lo riconobbe” (Gv 1,10). Essi non lo capiscono quando egli di se stesso dice: “Io sono voce”, perché non conoscono l’Io sono di Dio (cfr. Es 3,14), non conoscono il silenzio di Dio che precede la voce di Dio, non fanno parte di quel gregge di pecore che “seguono il pastore perché conoscono la sua voce” (Gv 10,4). In fondo quei Giudei e anche noi tutti, siamo un po’ come Zaccaria, chiuso nel mutismo e nella sordità generata dall’ incredulità all’annuncio della nascita di Giovanni (cfr. Lc 1,20). Si delinea già da queste prime parole del Vangelo di Giovanni uno dei temi centrali di tutto il suo lavoro: si tratta dell’incapacità di credere a Gesù, al Figlio di Dio, che si è incarnato ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. È una incredulità radicata che si nasconde dietro al nostro bisogno, che poi è una tentazione, di volere delle certezze, accumulando segni su segni, prove su prove, che mentre ci fanno rimandare la nostra conversione, rendono ancora più rigidi e pesanti i nostri schemi e sbagliata l’idea che ci creiamo di Dio. Invece Egli non può essere confinato dentro i limiti delle nostre sicurezze e anzi il Vangelo ci insegna che dobbiamo diffidare di coloro che: “Vi diranno: eccolo qui o eccolo qua. Non andateci, non seguiteli perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno” (Lc 17,23). E per cogliere il guizzo del lampo occorre essere svegli e attenti, non appesantiti e con lo sguardo rivolto verso ciò che è alto e al di là di noi. In Giovanni Battista troviamo queste caratteristiche per cui egli è ‘voce’, 11 è ‘lampada’ (Gv 5,35), è “l’amico dello Sposo” (Gv 3,29), del Signore che annuncia. La vita nel deserto e il contatto prolungato con Dio lo hanno affinato nello sguardo, nell’ascolto, nella consapevolezza della propria piccolezza per cui non si ritiene degno nemmeno di slegare il laccio del sandalo di Gesù, compito che era riservato allo schiavo. Al contrario di quei farisei che lo stanno interrogando egli non assume nessun ruolo; essi sono mandati dagli uomini, invece lui è mandato


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da Dio e la leggerezza e la libertà che da ciò gli derivano gli permettono di riconoscere i segni chiari della presenza di Dio. Così il giorno dopo, di questa settimana inaugurale del ministero di Gesù, dove è inserito il nostro testo, usciamo dalla scena dell’interrogatorio e entriamo nel pieno della manifestazione del Figlio di Dio a Israele. Se nei Vangeli sinottici il Battesimo di Gesù è descritto come un evento in cui la voce viene dal cielo e riconosce il Figlio, l’amato in cui Dio ha posto il suo compiacimento (cfr. Lc 3,22 e p.), qui in Giovanni è il Battista che è l’Io sono voce, che riconosce e testimonia l’Eletto, colui sul quale scende e rimane lo Spirito di Dio, confermando l’Elezione. Siamo partiti da una lettura incuriosita di questa pagina di Vangelo dalla quale volevamo arrivare subito a conoscere in cosa consisteva la testimonianza di Giovanni Battista sul Cristo. Abbiamo visto che le sue risposte appaiono enigmatiche almeno ad un certo tipo di uditorio. Allo stesso modo per comprendere la portata di tale testimonianza-manifestazione di Gesù a Israele non è facile se non ci poniamo sulla sua stessa lunghezza d’onda; si tratta non di assumere l’atteggiamento di coloro che indagano a partire da se stessi ma di divenire come quei piccoli del Vangelo a cui sono svelati i segreti del regno (cfr. Mt 11,25). A Giovanni che è il più piccolo tra i nati di donna (cfr. Mt 11,11 e p.), viene rivelata l’identità di Gesù che gli viene incontro, è una intuizione che raccoglie con prontezza: “Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo”. Tale immagine è il risultato di una sintesi che proviene da una esperienza di fede e solo la fede è capace di ricomporre tutti i pezzi di un mosaico così grandioso. Il Vangelo di Giovanni che è scritto più tardi dei vangeli sinottici, intorno al 100 d.C., parla a persone probabilmente credenti e già avanti nell’esperienza e nella comprensione dell’evento del Gesù terreno. Essi dovrebbero essere anche in grado di poter capire l’immagine dell’Agnello di Dio aprendosi a tale verità che per alcuni può diventare fonte di irrigidimento, ostilità o chiusura e per altri invece ‘buona notizia’, ‘annuncio’ che smuove alla sequela, come per Andrea e Simone. Tale immagine avrebbe bisogno di un commento a parte. È possibile qui solo ricordare quei principali passi biblici che ci possono bastare per contemplare la ricchezza di significati che da essi vengono fuori e che lo stesso Giovanni rielabora e contempla nelle sue pagine. Seguendo l’ordine dei racconti così come li troviamo nella Bibbia e non l’ordine temporale di composizione, il primo testo a cui andare è quello del Sacrificio di Isacco (Gen. 22,2.6-9); questi è il figlio unigenito di Abramo, è il figlio della promessa, che Abramo è chiamato da Dio a offrire al posto dell’agnello consueto per l’olocausto. Forse, dice la nota della Bibbia di Gerusalemme, “la tradizione giovannea conosceva l’interpretazione targumica della legatura di Isacco e vede in lui una figura del Cristo”. Il secondo è l’Agnello pasquale dell’Esodo (Es12,1ss): tale agnello è immolato al tramonto. Il suo sangue servirà da segno sulle porte delle case dove esso verrà mangiato; il Signore che nella notte passerà per la terra d’Egitto non colpirà quelle famiglie segnate dal sangue che invece saranno guidate fuori dall’Egitto e dalla schiavitù verso la Terra Promessa. Altro elemento importante è che ad esso non dovrà essere spezzato alcun osso (cfr. Gv 19,36). Il terzo è l’Agnello messianico di Isaia: il servo sofferente è paragonato a un agnello condotto al macello (Is 53,7) che “si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori (…); è stato trafitto per le nostre colpe (…) per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53, 4-5). Infine l’Agnello dell’Apocalisse, un Agnello, in piedi, come immolato (Ap 5,6) vittorioso e trionfante sul potere delle tenebre (cfr. Gv 18,28). Gesù è dunque per l’autore di questo Vangelo, l’Agnello crocifisso che ‘toglie’, ‘porta’ il ‘peccato del 12 mondo’ che in Giovanni è fondamentalmente l’incredulità dell’uomo: base dalla quale deriva la molteplicità di tutti gli altri peccati. L’assenza di Dio dal cuore dell’uomo che non crede, genera il male e la violenza della croce a cui Gesù si è sottomesso; dalla stessa croce è sconfitta e non ha più potere. Anzi per Gesù e per tutti coloro che credono in lui il peccato proprio e altrui è trasformato in una esperienza di dono e di amore perfetto.


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“Egli venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue, né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1,11-12). DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Siamo fondamentalmente credenti, ma in noi è radicata anche una certa incredulità che emerge spesso con vari interrogativi. Ne fai esperienza? Quali conseguenze genera in te e che tipo di riposte ricerchi? 2) Come credenti abbiamo una responsabilità: testimoniare con la nostra vita la verità del Vangelo e la presenza di Dio in mezzo a noi. Quanto nei sei consapevole e quali limiti emergono? 3) Quanto tempo dedichi della tua giornata al silenzio e alla preghiera? Chi è Dio nella tua vita e dove dimora? 4) Con la redenzione operata da Cristo nella sofferenza della croce egli ha portato e tolto il peccato del mondo con le sue conseguenze: che significa concretamente nella tua esperienza di umanità debole e fragile? Salmo 29

(a cori alterni)

Date al Signore, figli di Dio, date al Signore gloria e potenza. 2 Date al Signore la gloria del suo nome, prostratevi al Signore nel suo atrio santo. 3 La voce del Signore è sopra le acque, tuona il Dio della gloria, il Signore sulle grandi acque. 4 La voce del Signore è forza, la voce del Signore è potenza. 5 La voce del Signore schianta i cedri, schianta il Signore i cedri del Libano. 6 Fa balzare come un vitello il Libano, e il monte Sion come un giovane bufalo. 7 La voce del Signore saetta fiamme di fuoco, 8 la voce del Signore scuote il deserto, scuote il Signore il deserto di Kades. 9 La voce del Signore provoca le doglie alle cerve e affretta il parto delle capre. Nel suo tempio tutti dicono: «Gloria!». 10 Il Signore è seduto sull’oceano del cielo, il Signore siede re per sempre. 11 Il Signore darà potenza al suo popolo, il Signore benedirà il suo popolo con la pace.

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PADRE NOSTRO PREGHIERA Signore tu stai in mezzo a noi, noi però spesso non siamo capaci di riconoscerti. Lo desideriamo ma non vi dedichiamo il tempo che sarebbe necessario per imparare a conoscere e a distinguere la tua voce e i segni inconfondibili della tua presenza; così finiamo per catalogarti e rinchiuderti nel nostro piccolo mondo di conoscenze già acquisite. Preservaci da questa tentazione che riduce il nostro campo visivo e oscura la nostra vita rendendola triste. Donaci invece la prontezza di Andrea e Simone che in un’ora qualunque ma precisa della loro vita ti hanno riconosciuto e seguito e donaci anche la libertà del Battista per essere ‘voce’ che rende dritta la via all’incontro con te. Per Cristo nostro Signore. AMEN

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“Vieni e vedi”

Gesù incontra Natanaele (Gv 1,43-51) Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea; trovò Filippo e gli disse: “Seguimi!”. 44 Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro. 45 Filippo trovò Natanaele e gli disse: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret”. 46 Natanaele gli disse: “Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?” Filippo gli rispose: “Vieni e vedi”. 47Gesù intanto, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: “Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità”. 48Natanaele gli domandò: “Come mi conosci?”. Gli rispose Gesù: “Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi”. 49 Gli replicò Natanaele: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!”. 50 Gli rispose Gesù: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!”. 51 Poi gli disse: “In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo”. 43

Scheda III

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L’episodio di Natanaele conclude la chiamata dei primi discepoli iniziata in Gv 1,35, dove il Battista indica ai suoi discepoli il Signore che si mettono a seguirlo. Tutto il racconto di Gv1,35-51 costituisce una riflessione che l’evangelista fa su come si incontra Gesù e si diventa suoi discepoli. Una riflessione e una risposta a noi, uomini di oggi, che ci domandiamo dove si incontra Dio? come si fa per conoscere Gesù? Che cosa spinge un uomo a diventare suo discepolo? Il punto di partenza è Giovanni Battista che fissa lo sguardo. Tutto inizia dal fissare lo sguardo (Gv 1,36), il che significa da una vita vissuta con attenzione e interiorità. Si tratta di vivere riflettendo sulla vita, di orientare lo sguardo dal profondo, da ciò che si sente profondamente, da ciò che dentro al cuore di ogni uomo gli parla e gli fa desiderare il bene e la felicità. Giovanni Battista ha imparato a guardare con la preghiera, con una vita vissuta nella sobrietà, con lo studio della Parola di Dio, con la consapevolezza che la conversione e la misericordia sono atteggiamenti necessari per chi vuole trovare Dio. Lo sguardo di Giovanni ci insegna che bisogna desiderare di incontrare Dio, l’Agnello di Dio, cioè l’amore di chi perdona e dà la sua vita per gli altri. Lo sguardo di Giovanni cerca segni d’amore, di un amore come quello dell’agnello sacrificale che indica la presenza di Dio, perché l’Amore è Dio. Dunque se vogliamo incontrare Dio dobbiamo domandarci come viviamo la nostra vita, quanto tempo dedichiamo alla riflessione, alla preghiera, alla cura dell’interiorità, e alla ricerca dell’amore vero, quello che si riconosce dalla sua gratuità, dal dono che fa di sé per il bene degli altri. Chi cerca questo amore si prepara ad incontrarlo e ad accoglierlo. Come Giovanni Battista dobbiamo curare anzitutto lo sguardo, imparare cioè a giudicare il mondo a partire dall’amore, e allora quando Dio passerà, lo riconosceremo. Perché Dio passa, sta a noi essere pronti a riconoscerlo. Chi ha trovato il Signore, diventa un segnale per gli altri, come il Battista che parla di Gesù e, sentendolo parlare, i suoi discepoli iniziano a seguire Gesù. Si diventa discepoli perché si sente qualcuno che con passione e autenticità ci parla di Gesù, ci mostra con la sua vita, 15 con le sue parole, con le sue scelte e la sua umanità, che il Signore è bello, che il Signore è amore, che vivere seguendo il Signore riempie la nostra vita, dà senso a quello che siamo e facciamo. Il Battista rappresenta la Chiesa, noi che siamo credenti e battezzati. In concreto si diventa credenti perché qualcuno ci parla del Signore Gesù, ce lo fa conoscere, ci invita a seguirlo. Può essere il catechista, il parroco, sono i genitori per i figli, sono gli amici, coloro che incontriamo e che at-


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traverso il loro amore per Gesù e la testimonianza della loro vita ci mettono in contatto con Dio. Ma non basta, bisogna anche mettersi in cammino, vincere la pigrizia e le abitudini, i pregiudizi e la vergogna, per cominciare a leggere il vangelo, a pregare, a vivere di carità. Bisogna avere l’umiltà di cominciare, di fare delle piccole scelte. Non importa capire tutto subito, basta iniziare e andare dietro a quello che il Signore ci dice e che di lui ci colpisce leggendo il vangelo. Si tratta di “andare e vedere”, come dice Gesù ai discepoli, cioè di iniziare e di aver fiducia che poi le cose si faranno sempre più chiare. Anzi, c’è un vedere, una comprensione delle cose, che si farà chiara solo se cominceremo a camminare. È cominciando a stare con Gesù, a vivere con lui, cioè a provare a vivere secondo il suo vangelo, che il vangelo ci apparirà sempre più per quel che è, una parola di vita, che aiuta a vivere nell’amore la nostra esistenza, e ci salva, aprendoci le porte di una vita che non finisce. Il racconto di Natanaele (Gv 1,43-51) ci presenta un ulteriore esempio di chiamata di discepolo. Tutto inizia con Gesù che ci viene incontro. Il Signore, prima o poi, viene sempre nella nostra vita, anzi più volte, ripetutamente, ogni giorno ci offre l’occasione di incontrarlo, perché egli “vuole” venire verso di noi, dove noi abitiamo, nella nostra storia quotidiana, nelle nostre situazioni di vita ordinaria. Egli ci viene incontro, parlandoci nella voce della coscienza, nelle proposte di bene, verità e giustizia, che gli incontri quotidiani ci danno l’occasione di fare o di ascoltare. Dio ci viene incontro e ci trova, e ci invita a seguirlo, come fece con Filippo. Filippo si sentì dire “seguimi”, evidentemente l’evangelista vuol far riflettere sul fatto che ad un certo punto bisogna cominciare a “seguire” Gesù, non si può essere solo ammiratori esterni della sua opera o dei suoi insegnamenti, non si può pensare che essere cristiani sia solo apprezzare i comandamenti, perché essere cristiani è “seguirlo”, iniziare a camminare, cioè a vivere e a comportarsi come lui viveva e si comportava. Essere cristiani vuol dire essere discepoli, cioè persone che imparano a vivere da Gesù, che stanno con lui attraverso l’ascolto della sua parola e vivono come lui. Solo quando si comincia a seguire Gesù, e ci si comincia a domandare come lui avrebbe fatto in questa concreta situazione della mia vita, per cercare anche noi di fare le cose con il suo spirito, solo allora siamo discepoli, e solo allora si potrà sperimentare la forza sanante del vangelo, la sua sapienza di vita che ci aiuta a scegliere tra il bene e il male. Seguire Gesù vuol dire ascoltare il suo insegnamento e dare forma alla nostra vita secondo il suo Spirito, significa diventare uomini spirituali, che vivono secondo lo spirito di Gesù. In concreto significa semplicemente cominciare a leggere il Vangelo, a domandarsi cosa c’entra con la mia vita, significa pregare, lasciare che la dolcezza della sua presenza ci riempia e ci motivi, significa provare a vivere come Egli ci ha detto. Filippo segue Gesù e quando “trova” Natanaele, lo chiama. Spesso la chiamata è il frutto di una catena di chiamate, della comunicazione da parte di altri di quello che vivono e di un invito. Filippo ci rivela, nelle parole a Natanaele, che non ha iniziato a seguire Gesù alla cieca, ma che lo segue perché “abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i profeti” (Gv 1,44). L’evangelista ha voluto segnalare con l’imperativo di Gesù a Filippo, “seguimi”, l’inizio del cammino, ma in realtà esso era preparato dalla conoscenza della S. Scrittura, di Mosè e dei Profeti. Non solo Gesù ha trovato Filippo, ma anche Filippo ha trovato Gesù, ha trovato che le parole di Gesù e la sua persona sono il compimento di quanto diceva la S. Scrittura, cioè in Gesù l’Amore di Dio manifestatosi nella storia di Mosè e del popolo di Israele si compie. Filippo può dire di “aver trovato”, cioè di aver sperimentato in Gesù un amore come quello di Dio che libera, che perdona, 16 che crea, che sostiene, che riprende e incoraggia. Filippo “ha trovato”, così anche noi possiamo trovare, sia a partire dalla conoscenza delle Scritture, sia a partire dalla sapienza scritta nel creato e nel cuore di ogni uomo, perché in Gesù si compiono le aspirazioni al bene, alla verità, alla giustizia, all’Amore che sono scritte nel codice genetico del mondo e nell’animo di ogni umano. Quando uno comincia a seguire Gesù si accorge di aver trovato ciò che cercava nella vita, ciò che rende la


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vita degna di essere vissuta e la fa più bella e vera, ciò che salva la propria vita dall’egoismo che divide, che crea conflitti e sofferenze, ingiustizie e violenze. Non si tratta che di cominciare, perché Gesù è un maestro di vita e la vita si impara vivendo! Bisogna anche noi andare per vedere! Il vedere, cioè il comprendere e diventare discepoli, comincia dal mettersi in gioco. Natanaele è un uomo serio, un israelista senza falsità, cioè un uomo di fede autentica, onesto e sincero. Natanaele è sotto l’albero di fichi, luogo dove i rabbini a volte insegnavano all’ombra per difendersi dalla calura, o forse albero simbolo della conoscenza e della Legge di Mosè, o ancora simbolo dei tempi messianici e della pace (Mic 4,4; Zc 3,10). Quel che è decisivo è che Natanaele è sorpreso dal fatto che Gesù lo conosce senza averlo mai incontrato prima: “come mi conosci?” (Gv 1,48). La domanda di Natanaele rivela come l’esperienza del sentirsi conosciuti ci fa scoprire di essere amati. L’essere visti, il sentirsi riconosciuti negli occhi dell’altro ci fa prendere coscienza di noi stessi, ci fa scoprire il valore della nostra vita. Solo chi ama vede l’altro in profondità e lo coglie nella sua verità. È questa l’esperienza che Natanaele fa con lo sguardo di Gesù. Molte volte annunziare Gesù, fare discepoli del Vangelo, significa imparare a guardare gli altri con gli occhi di Gesù, cioè guardarli con amore e riconoscere il bene e il bello che c’è in loro. Questo non significa che si deve guardare solo chi è buono, o che le persone sono sempre e tutte buone, ma che si deve imparare a guardare il bene che c’è, sempre, in ogni persona. Questo attiva le energie positive che ci sono dentro le persone, le fa incontrare con Dio che abita già dentro di loro. Per guardare così però bisogna essere liberi, miti e pieni di amore come il Signore, bisogna cioè guardare l’altro come all’amato per cui dare la vita. Se si è preoccupati di sé o se si cerca il proprio interesse, o se l’egoismo o la paura albergano nel nostro cuore sarà difficile guardare e amare l’altro e dunque farlo incontrare con Dio. Non dobbiamo scoraggiarci pensando che non ci riuscirà mai amare così, dobbiamo capire, capire che l’amore produce altro amore, che vedere il bene favorisce il bene, e cominciare a vivere, esercitarsi, mettersi in cammino, appunto “andare e vedere”. Natanaele è folgorato dal sentirsi visto da Gesù e subito fa la sua professione di fede in lui. L’amore suscita la fede e la fedeltà e la voglia di iniziare un cammino. Così Natanaele diventò discepolo del Signore. Ai discepoli del Signore poi è promesso di vedere cose ancora più grandi, è promesso la visione del cielo aperto, e degli angeli di Dio che salgono e scendono sopra il Figlio dell’uomo (Gv 1,51). Quest’ultima frase è probabilmente un detto del Signore che si riferisce a Gesù come il Figlio dell’uomo, cioè come la figura messianica di cui parla il profeta Ezechiele. Gesù dunque sta confermando a Natanaele che egli è il Messia, e che la fede in lui ci apre il cielo, cioè ci fa comprendere le cose del cielo. Ma più probabilmente l’evangelista ha voluto con questa frase farci capire che il vero discepolo è colui che coglie nella croce di Gesù la scala che collega il cielo e la terra. Gesù è quella scala, la scala che il patriarca Giacobbe aveva sognato, come raccontato nell’episodio biblico di Gen 28,10-17. Gesù dunque fa capire che se si inizia un discepolato perché ci si sente amati dal Signore, ci sono però grandi cose che attendono il discepolo, e queste grandi cose sono la scala che collega il cielo e la terra, cioè la persona di Gesù e in particolare la sua croce, che apre ai misteri di Dio e feconda la terra. Un vero discepolato dunque inizia da un incontro, da una chiamata, da un appello interiore, dall’esperienza del sentirsi amati, ma poi deve crescere verso cose più grandi, verso i cieli aperti di cui il discepolo, come il suo maestro, deve diventare una scala per il mondo.

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DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Cosa ti colpisce di più di questo vangelo? 2) Come giovanni Battista e come Filippo anche noi dobbiamo trasmettere la nostra fede. Cosa significa secondo te nella tua vita concreta essere evangelizzatore? Da piccolo i tuoi genitori ti raccontavano di Gesù ti insegnavano a pregare? Da chi hai imparato a credere? Ti vergogni a parlare di Dio o di Gesù in famiglia o al lavoro? 3) Natanaele diventa discepolo perché si sente visto e conosciuto da Gesù. Come si può fare a maturare anche noi uno sguardo d’amore come quello del Signore? Salmo 139

(a cori alterni)

Signore, tu mi scruti e mi conosci, 2 tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, 3 mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie; 4 la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, gia la conosci tutta. 5 Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano. 6 Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta, e io non la comprendo. 7 Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? 8 Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti. 9 Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, 10 anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra. 11 Se dico: «Almeno l’oscurità mi copra e intorno a me sia la notte»; 12 nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce. 13 Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. 14 Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo. 15 Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, 18 intessuto nelle profondità della terra. 16 Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno.


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Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio; 18 se li conto sono pi첫 della sabbia, se li credo finiti, con te sono ancora. 19 Se Dio sopprimesse i peccatori! Allontanatevi da me, uomini sanguinari. 20 Essi parlano contro di te con inganno: contro di te insorgono con frode. 21 Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano e non detesto i tuoi nemici? 22 Li detesto con odio implacabile come se fossero miei nemici. 23 Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri: 24 vedi se percorro una via di menzogna e guidami sulla via della vita. 17

PADRE NOSTRO PREGHIERA Signore Ges첫 che ci chiami a diventare tuoi discepoli, aiutaci a vincere in noi le timidezze, le paure, le pigrizie che ci tengono attaccati a noi stessi e ci impediscono di vivere il Vangelo in pienezza. Per Cristo nostro Signore. AMEN

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Scheda IV

“Qualsiasi cosa vi dica, fatela”

Le nozze di Cana – il primo dei Segni del Signore Gesù (Gv 2,1-12) Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. 4 E Gesù le rispose: “Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora”. 5Sua madre disse ai servitori: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. 6 Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le anfore”; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: “Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto”. Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua - chiamò lo sposo 10e gli disse: “Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora”. 11 Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. 12 Dopo questo fatto scese a Cafàrnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli. Là rimasero pochi giorni. 1

Il testo proposto ci mette subito di fronte ad una situazione di vita concreta e reale che ci presenta un incontro. Ciò che subito cattura la nostra attenzione è che, in un momento di festa così importante come un matrimonio, manchi l’elemento essenziale alla gioia: Il vino. La mancanza del vino rischia di compromettere l’esito della festa e di non permettere di gustare pienamente la bellezza di questo giorno. A partire da questo problema contingente l’evangelista ci apre all’incontro con il messaggio di novità che Gesù è venuto a portare. Tutto ciò accade nel “terzo giorno”, e questo ci proietta già oltre ciò che sta per accadere, ci mette immediatamente in contatto con l’evento della resurrezione, il momento centrale del Vangelo, come se l’evangelista ci volesse dire che il testo può essere compreso solo se lo leggiamo immersi in questo mistero. A questa festa di nozze è invitata la madre di Gesù. È lei che precede la venuta del figlio e come madre Sua, ma anche nostra e di tutta l’umanità, lo accompagna nella sua rivelazione e indica a noi la strada per conoscerlo e seguirlo. Con lei è invitato anche Gesù, il vero sposo della Chiesa che con il suo sangue rimedierà alle nostre mancanze indicandoci il percorso che conduce all’amore. Così come accade spesso nella nostra esperienza, era dunque venuto a mancare il vino, il vino della speranza e della gioia di cui la nostra vita talvolta è priva e che andiamo a cercare lontano da Gesù. 20 È la madre di Gesù che interviene e che attira l’attenzione del figlio sulla scarsità del vino. Maria è la donna che non si disinteressa degli altri. La sua è una semplice constatazione: non esige nulla e non si impone. Il suo intervento avviene in modo assai discreto e si concretizza nel farsi carico della difficoltà degli sposi presentandola con piena fiducia al figlio. Probabilmente Maria non si immaginava come Gesù sarebbe intervenuto, ma era ben consapevole


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che, qualsiasi risposta avesse dato, sarebbe stata nella prospettiva del compimento della Sua missione alla quale fin dal suo primo “Si”, si era considerata al servizio. Si rivolge dunque ai servitori con la frase “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” suggerendo loro di mettersi agli ordini di Gesù e di obbedirgli senza indugio, nella certezza che questo atteggiamento di fede in Lui non renderà vana la loro fatica. Da questo siamo invitati, a partire da una lettura attenta della nostra situazione umana e dalla consapevolezza delle nostre mancanze, al recupero di una relazione autentica con Gesù che permetta al vino dell’amore di sovrabbondare. I servi rispondono, senza alcun cedimento, all’invito di Gesù, che dice loro di riempire le giare di acqua, mettendo a Sua disposizione tutto quello che potevano offrire. Questa loro disponibilità permette al segno di compiersi. Questo è un richiamo a tenersi pronti a rispondere a un Dio che cerca ognuno di noi per realizzare il proprio progetto e ci chiede di offrire quelle piccole cose che siamo in grado di donare ogni giorno. Credere vuol dire vedere nei segni che ci vengono offerti, la persona di Cristo, la sua origine dal Padre, il suo totale abbandono a Lui e il suo cammino verso quell’ora in cui si rivelerà totalmente e il suo sangue diverrà il vino delle nozze. Allora potremo affermare di aver visto la sua gloria La richiesta di Maria: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” è valida per ognuno di noi e ci esorta ad una fiducia senza esitazione, anche quando non si comprendono il senso e l’utilità di quanto Gesù ci domanda. DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Siamo capaci di accogliere il comando che Maria rivolge ai discepoli riguardo al Figlio: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela»? 2) Quali sono gli atteggiamenti che mi impediscono di vivere l’obbedienza alla Parola di Dio? 3) Abbiamo la percezione lucida di quanto sia fragile e instabile la nostra felicità se basata solo sulle nostre forze? 4) Siamo disposti a mettere a disposizione del Signore e del suo Vangelo i nostri piccoli tesori perché Lui possa manifestare la sua gloria e suscitare il miracolo della fede? Salmo 4

(a cori alterni)

Quando ti invoco, rispondimi, Dio, mia giustizia: † dalle angosce mi hai liberato; * pietà di me, ascolta la mia preghiera. Fino a quando, o uomini, sarete duri di cuore? * Perché amate cose vane e cercate la menzogna? Sappiate che il Signore fa prodigi per il suo fedele: * il Signore mi ascolta quando lo invoco. Tremate e non peccate, * sul vostro giaciglio riflettete e placatevi. Offrite sacrifici di giustizia * e confidate nel Signore.

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Molti dicono: « Chi ci farà vedere il bene?» . * Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto. Hai messo più gioia nel mio cuore * di quando abbondano vino e frumento. In pace mi corico e subito mi addormento: * tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare. PADRE NOSTRO PREGHIERA Signore Gesù, che a Cana hai cambiato l’acqua in vino e continuamente ti doni a noi trasformando il pane e il vino, nel tuo corpo e nel tuo sangue, rendici capaci di servirti nei fratelli e di accogliere l’invito di Maria, che ci chiama a seguirti e a compiere il tuo volere. Per Cristo Nostro Signore. AMEN

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“Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” La prima Pasqua (Gv. 2,13-25)

Scheda V

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Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16e ai venditori di colombe disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”. 17 I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. 18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. 19 Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. 20Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 23 Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. 24Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti 25e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo. 13

La rivelazione di Gesù nel quarto vangelo è inquadrata nelle maggiori feste giudaiche, anzi quest’opera sembra strutturata in base alle solennità liturgiche ebraiche: la prima pasqua di Gesù a Gerusalemme (Gv 2,13ss), la pasqua della moltiplicazione dei pani e del discorso sul pane di vita (Gv 6,1ss), la festa delle capanne (Gv 7,2ss), la festa della dedicazione del tempio (Gv 10,22ss), l’ultima pasqua di Gesù, quella della sua morte (Gv 11,55ss). In occasione di questo suo primo viaggio a Gerusalemme, salito al tempio Gesù non trova gente che cerca Dio, ma s’imbatte in mercanti di bestiame e cambiamonete che curavano i loro affari in vista della imminente festa di Pasqua. Essi cambiano ai pellegrini, dietro compenso, denaro impuro recante l’effige dell’imperatore romano con l’unica moneta corrente nell’area del tempio: il siclo di Tiro. Questo denaro serviva per pagare la tassa annuale del tempio e per l’acquisto degli animali per il sacrificio. Lo scandaloso commercio permesso dalle autorità religiose e dallo stesso sommo sacerdote Caifa, in concorrenza con il mercato gestito dal Sinedrio fuori dal tempio, nei pressi del torrente Cedron, scatena la dura reazione di Gesù, che constata amaramente il carattere profano assunto dalla festa di Pasqua. Egli, dice l’evangelista, confeziona una frusta di cordicelle e scaccia il bestiame dal tempio, dissemina le monete sul lastricato e rovescia i tavoli del commercio. Al di là della pittoresca e viva descrizione dell’episodio, Giovanni intende presentarci non un Gesù violento, acceso d’ira incontrollabile-se così fosse non avrebbe perso tempo a costruirsi un flagello, ma avrebbe scacciato animali e venditori a mani nude-quanto piuttosto come fustigatore di vizi e azioni malvage. Il gesto di Gesù è 23 chiaramente messianico e va letto alla luce di quanto dice il profeta Malachia: “Ecco io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate” (Ml 3,1) e della profezia di Zaccaria: “In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore degli eserciti” (Zc 14,21). Esso richiama anche i testi profetici, dove Dio non gradisce un culto esteriore fatto di sacrifici e basato sull’interesse personale (cfr. Am 5,21-24; Is 1,11-17; Ger


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7,21-26). Il significato del gesto di Gesù è rivelato anche dalle sue parole: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”. Gesù non abolisce il culto e nemmeno lo pone in discussione. Mette in crisi, invece, un certo modo di intendere il culto, vissuto come tentativo di tirare Dio dalla propria parte, piegarlo alla propria volontà con l’offerta di “cose” o con la ripetizione di riti e cerimoniali senz’anima. Il tempio non è mercato dove si può comprare il silenzio di Dio sulle ingiustizie commesse a danno del prossimo. Il tempio è “casa” del Padre. In una casa tutto è comune, tutto appartiene a tutti. Nella casa si celebra unicamente la liturgia della gratuità e dell’amore fraterno. Gesù, in questa sua prima Pasqua a Gerusalemme, non esita a dichiarare il tempio “casa del Padre suo” e quindi a rivelare se stesso come Figlio di Dio. Per lo zelo di questa “casa”, cioè dell’intima relazione di obbediente amore al Padre, Gesù si è lasciato divorare, ha offerto se stesso come sacrificio. Alla domanda posta dai giudei sul segno che fonda la sua autorità per compiere i gesti che ha fatto nel recinto del tempio, Gesù risponde: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Si tratta di un velato annuncio pasquale: “Egli parlava del tempio del suo corpo”. L’evangelista ci aiuta a cogliere nelle parole di Gesù una profonda rivelazione: il Cristo morto e risorto è il vero, ultimo e definitivo tempio, il santuario, la casa dell’alleanza e della comunione tra Dio e gli uomini, luogo del culto “in Spirito e Verità”. La fede nella sua risurrezione, e non quella fondata su segni esteriori o sui miracoli, dischiude le porte del nuovo tempio per la celebrazione del vero culto, quello della vita: “Molti vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù non si fidava di loro. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo”. La fede affidabile è quella di chi accetta di consegnarsi al suo Signore fino a perdere la propria vita, fino a consumarsi per amore. Il cristiano offre a Dio il culto a lui gradito santificando il Signore nel suo cuore, dunque nella sua relazionalità, nella sua corporeità, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo e dalla Verità del Vangelo (cfr. SC 48). E sarà lo Spirito, consegnato sulla croce da Gesù, a condurci alla pienezza della Verità facendo ricordare tutto ciò che riguarda il Cristo: “I suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù”. L’eucarestia è il perenne ricordo di Gesù, il memoriale del suo corpo dato e del suo sangue versato, della sua vita divorata dal fuoco della carità.

DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Il tuo rapporto con Dio passa attraverso le “cose” da fare, precetti da osservare per avere in cambio protezione e prosperità, oppure è mosso dall’obbedienza alla sua parola? Come vivi la preghiera? 2) La parola di Gesù non è parola di pura contestazione o di distruzione fine a se stessa, ma parola di risurrezione e di vita. Essa mette a nudo ciò che è nel cuore dell’uomo. Perché Gesù non si fida di coloro che credono in lui per i segni, le guarigioni o i miracoli da lui compiuti? Come vivi la fede in Cristo morto e risorto? 3) Come vivo la celebrazione eucaristica domenicale? Che significa per te, “partecipare” alla messa? Sei cosciente di offrire, insieme con Cristo, tutta la tua vita, il tuo corpo, le tue relazioni, il 24 tuo lavoro?


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Dal salmo 83 (a cori alterni) Quanto sono amabili le tue dimore, Signore degli eserciti! L’anima mia anela e desidera gli atri del Signore. Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente. Anche il passero trova una casa e la rondine il nido dove porre i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, mio re e mio Dio. Beato chi abita nella tua casa: senza fine canta le tue lodi. Beato l’uomo che trova in te il suo rifugio e ha le tue vie nel suo cuore. Signore degli eserciti, beato l’uomo che in te confida. Gloria…

PADRE NOSTRO PREGHIERA O Padre, che prepari il tempio della tua gloria con pietre vive e scelte, effondi sulla Chiesa il tuo Santo Spirito, perché edifichi il popolo dei credenti che formerà la Gerusalemme del cielo. Per Cristo nostro Signore. AMEN.

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Scheda VI

“Se uno non nasce dall’alto non può vedere il Regno di Dio” Il colloquio con Nicodemo (Gv 3,1-21)

C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. 2Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui”. 3Gli rispose Gesù: “In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio. 4Gli disse Nicodèmo: “ Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?”. 5Gli rispose Gesù: In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. 7Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto. 8Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito. 9Replicò Nicodèmo: Come può accadere questo?. 10 Gli rispose Gesù: Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? 11In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. 12Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? 13Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo.14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo,15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. 1

Nicodemo compare sulla scena all’improvviso: è un fariseo purosangue, un capo dei giudei e parla con autorevolezza. Va di notte da Gesù, non necessariamente per paura, ma perché la notte secondo la concezione giudaica, era la più indicata per lo studio della legge, e, nel contesto della teologia giovannea, per far sottilmente capire che questo influente personaggio viene dalle tenebre della notte alla luce, che è Cristo. L’andare a Gesù in Gv indica la fede. Nicodemo quindi, andando da Gesù, dimostra di avere già una fede iniziale che esprime a nome, sembra, di un gruppo, qualificando Gesù come un maestro venuto da Dio, perché altrimenti non potrebbe compiere i segni che compie. Proprio dai segni risale intelligentemente alla missione da parte di Dio. Per quanto bene intenzionato, non arriva che ad una comprensione ancora “terrena” di Gesù, considerandolo 26 un maestro distinto e carismatico, inviato ad insegnare la via per entrare nel Regno di Dio. La fede iniziale di Nicodemo è modellata sullo schema della sua mentalità di fariseo. La sua disponibilità sincera lo fa pervenire alla prima e più logica conseguenza dei “segni”, ma non al loro senso più profondo, alla realtà della persona di Gesù. Per questo Gesù sconvolge il ragionamento lineare e logico di Nicodemo e lo mette subito in difficoltà per fargli capire il mistero, incomprensibile per


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l’uomo naturale, della sua persona e di coloro che partecipano, per mezzo suo, del dono di Dio. Le parole di Gesù, che iniziano con la formula solenne di rivelazione “In verità, in verità ti dico, se uno non è generato dall’alto, non può vedere il regno di Dio” sono un forte invito a Nicodemo a collocarsi su un livello superiore: sperimentare una nuova nascita. Giovanni, che fa spesso ricorso a questo gioco letterario, intende parlare di un duplice livello di comprensione: quello “terreno” di Nicodemo, e quello “spirituale” di Gesù. L’uomo, per approdare alla fede adulta e aderire così a Cristo, deve fare un salto di qualità, deve lasciarsi generare da Dio, perché la vita viene “dall’alto”, attraverso una nuova nascita. Nicodemo, se vuole sperimentare una vita nuova e possedere il Regno, deve affrancarsi da una realtà passata.“Vedere il Regno” significa in concreto fare ora l’esperienza della Persona – Gesù, aderendo con fede alla sua rivelazione. Rinascere dall’alto, dal Cielo, da dove il Signore è disceso per riconquistare al suo Regno tutti noi rapiti dalle menzogne del demonio. In Lui, attraverso le acque del battesimo che si rinnovano ogni giorno attraverso la liturgia e i sacramenti, la Parola e la comunione della Chiesa suo Corpo, si apre per noi la possibilità di vivere una vita davvero nuova, proprio laddove avevamo fallito. I luoghi delle nostre esistenze segnati dal peccato non sono più spazi dove erigere tristi lapidi alle speranze infrante, ma momenti dove sperimentare l’impossibile che si fa possibile, la risurrezione della carne, del pensiero, delle parole, degli atteggiamenti. Lo stupore incredulo di Nicodemo circa la nuova nascita dimostra la sua incapacità di comprendere e di elevarsi al livello di Gesù. Il mistero davanti al quale Gesù lo ha posto, lo supera di troppo: “Come può essere generato un uomo quando è vecchio?” Gesù approfitta di questa incomprensione per chiarire ulteriormente il senso spirituale delle sue parole con una nuova rivelazione: “In verità, in verità ti dico, se uno non è generato da acqua e Spirito non può entrare nel Regno di Dio”. In questa affermazione Gesù introduce due novità. La prima: non dice più “vedere”, ma “entrare nel Regno”. Le due espressioni indicano che l’uomo, se non è rigenerato, non ha gli occhi per vedere e neppure la forza per entrare nel regno di Dio. La seconda: la formula “dall’alto e di nuovo” si trasforma nella formula “da acqua e da Spirito”. Viene così introdotto un nuovo personaggio: lo Spirito, il protagonista della rigenerazione, Colui che dona all’uomo la luce per vedere il Regno e la forza per entrarvi. Senza lo Spirito Santo l’uomo resta chiuso nel cerchio dell’incomprensione e dell’impotenza. Due cose sono, dunque, necessarie per entrare nel Regno: l’acqua, cioè il Battesimo e lo Spirito che permette di far sbocciare in noi la fede. Gesù poi approfondisce ancora la spiegazione riguardo al mistero della rinascita. “Ciò che nasce dalla carne è carne” significa che l’uomo è incapace di vedere, di capire, di andare oltre l’apparenza e la materialità delle cose, e la sua lettura del mondo e della storia, soprattutto dell’evento di Gesù, è necessariamente superficiale e riduttiva. “Ciò che è nato dallo Spirito è Spirito”: l’uomo diviene capace di una lettura “spirituale” del mondo e dell’evento di Gesù e il suo sguardo riesce a penetrare nel profondo della realtà che si vede (“carne”), cogliendovi la “gloria” di Dio. Naturalmente la rigenerazione operata dallo Spirito è invisibile. A Nicodemo, che continua a pensare la rinascita come un evento fisico, visibile, Gesù spiega la natura dello Spirito e delle realtà spirituali che Egli opera, utilizzando il termine “pneùma” (che significa “vento” o “Spirito”). Il vento lo riconosci non perché lo vedi e lo afferri, ma per il rumore e gli effetti che produce. Ci si aspetterebbe: così è lo Spirito: E invece Gesù conclude il paragone diversamente: “Così è di chiunque è nato dallo Spirito”. La rigenerazione dall’alto è evento miste27 rioso, come è misteriosa la forza dello Spirito che la compie. Non vedi come avviene, però puoi vedere i suoi effetti: la gioia, la pace, l’equilibrio, la donazione, il servizio generoso… un modo nuovo di guardare, di ragionare, di vivere. Gesù vuole aprirgli lo sguardo su una realtà nuova, a lui che è immerso talmente nei problemi teologici da divenire incapace di scoprire il regno nella vita che gli sta intorno. La vita non si identifica


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con l’osservanza delle leggi, che per l’ebreo potevano rigenerare l’uomo, ma con la Sapienza divina che scruta in profondità la “verità” di ogni cosa. Occorre lo Spirito che è vita e che apre a risposte nuove, sconosciute, imprevedibili: la pienezza consiste nel vivere non solo come Dio vuole ma nel vivere la stessa vita di Dio La testimonianza di Gesù - La risposta del credente e il mistero dell’incredulità (vv.9-21). Nicodemo è disorientato e scettico di fronte alle parole di Gesù e, ancora una volta, ripropone la difficoltà dell’uomo terreno: “Come può avvenire questo?” Gesù allora ribatte: “Tu sei maestro in Israele e non conosci queste cose?” La conoscenza dei profeti (cfr. Ger 31,31-34; Ez 36, 26…) avrebbe dovuto introdurre Nicodemo alla comprensione della nuova nascita dallo Spirito. Al v. 11 il dialogo tra Gesù e Nicodemo si trasforma in un monologo di grande respiro. Gesù si presenta come testimone autentico e rivelatore dei misteri di Dio: “In verità, in verità ti dico, noi parliamo di ciò che conosciamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto…” L’uso del plurale “noi parliamo…”, mette in luce che Gesù rivela agli uomini quello che ha visto e contemplato “rivolto verso Dio” (1,1-2) per cui la sua parola è vera, risultato dell’esperienza personale e diretta. Ma “voi non accogliete la nostra testimonianza” (v.11) è l’amara constatazione di Gesù. Gli uomini non gli credono, nonostante la sua autorità abbia la sua sorgente in Dio. La “rigenerazione” è possibile perché c’è il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo e che al cielo salirà mediante il suo “innalzamento” sulla croce”. È il primo annuncio della passione del quarto Vangelo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così è necessario che il Figlio dell’uomo sia innalzato, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (vv.14-15). Gli uomini potranno comprendere l’evento sconcertante della salvezza mediante la croce e guarire dal peccato, come gli ebrei un tempo nel deserto guarirono dai morsi velenosi guardando il serpente di bronzo innalzato da Mosè quale segno di vita (Num 21,4-9). Il confronto sull’esempio che Giovanni propone, non va posto tra Gesù e il serpente di bronzo, ma sul fatto dell’elevazione e della salvezza (vedi Sap 16,6) che segue per coloro che sanno oltrepassare le apparenze del segno e guardano nella fede alla misericordia e potenza di Dio. La salvezza consiste nel sottomettersi a Dio, nel rivolgere lo sguardo al Cristo crocifisso, vero atto di fede che comunica la vita eterna (cfr. 19,37). La rinascita spirituale dell’uomo che vive “nel deserto” della vita, minacciato dalla morte, è legata alla croce, perché questo è il luogo dove Gesù manifesta al mondo la sua obbedienza radicale al Padre e rivela, con il sacrificio della sua vita, l’amore che Dio nutre per ogni uomo. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chi crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna” (v. 16). È l’Unigenito innalzato, che incarna la vita di Dio e può comunicarla all’umanità. Questa allora è la scelta fondamentale dell’uomo: accettare o rifiutare l’amore di un Padre, che si è rivelato in Cristo. Questo amore, però, non giudica il mondo, anzi lo illumina: “Dio non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (v. 17). Tuttavia la venuta di Cristo opera un giudizio. Non è Dio che giudica, ma è l’uomo che si giudica con la propria scelta di credere o non credere. Con il suo rifiuto o con la sua accoglienza del dono di Dio, si costruisce salvato o condannato, luce o tenebra. Ciò che non può fare è rimanere indifferente e non scegliere.

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DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Essere docili all’azione dello Spirito: lasciare che il vasaio crei un’opera d’arte dalla creta con le sue mani: cosa comporta questa docilità, dove si concretizza? 2) Lo Spirito è novità di vita: guardo al mio vissuto. Posso dire di essere aperto a questa novità. Capace di accogliere ciò che mi viene offerto come dono di Dio per la mia crescita anche se questo comporta un distacco e un cambiamento? 3) “Dio a tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito”. E per mondo si intende “il mondo umano con tutte le sue contraddizioni, con tutte le sue cattiverie e le sue tenebre.., conoscendo l’amore che Dio ha per noi, quanto siamo capaci di lodarlo e ringraziarlo con una vita coerente al Vangelo? Dal Salmo 1 Beato l’uomo cha non entra nel consiglio dei malvagi, 4non così i malvagi non resta nella via dei peccatori ma come pula che vento disperde; 5 e non siede in compagnia degli arroganti, perciò non si alzeranno nel giudizio 2 ma nella legge del Signore trova la sua gioia, né i peccatori nell’assemblea dei giusti 6 la sua legge medita giorno e notte poiché il Signore veglia sul cammino dei 3 E come un albero piantato lungo corsi d’acqua, giusti, mentre la via dei malvagi va in Che da frutto a suo tempo; le sue foglie non rovina. appassiscono e tutto quello che fa, riesce.

PADRE NOSTRO PREGHIERA FINALE O Dio, nostro Padre, donaci di accogliere con cuore puro e docile la parola di vita che ci hai rigenerati come tuoi figli per diventare instancabili operatori di verità e portare abbondanti frutti di fraterno amore. Per Cristo nostro Signore. Amen.

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Scheda VII

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“Chi berrà dall’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno” Gesù incontra la donna Samaritana (Gv 4,1-42)

Gesù venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: “Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni” - 2sebbene non fosse Gesù in persona a battezzare, ma i suoi discepoli -, 3 lasciò allora la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. 4Doveva perciò attraversare la Samaria. 5 Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: “Dammi da bere”. 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9 Allora la donna samaritana gli dice: “Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10 Gesù le risponde: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. 11Gli dice la donna: “Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?”. 13Gesù le risponde: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”. 15“Signore - gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. 16Le dice: “Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui”. 17Gli risponde la donna: “Io non ho marito”. Le dice Gesù: “Hai detto bene: “Io non ho marito”. 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. 19Gli replica la donna: “Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. 21Gesù le dice: “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità”. 25Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa”. 26Le dice Gesù: “Sono io, che parlo con te”. 27 In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: “Che cosa cerchi?”, o: “Di che cosa parli con lei?”. 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29“Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?”. 30Uscirono dalla città e andavano da lui. 31 Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbì, mangia”. 32Ma egli rispose loro: “Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete”. 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: “Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?”. 34 Gesù disse loro: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico:


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alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica”. 39 Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: “Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo”. Questa storia è il racconto di un incontro che cambia di una donna, la Samaritana e degli abitanti del suo villaggio, chiamato Sicar. All’inizio infatti la donna è diffidente e ironica nei confronti di Gesù che quasi sfida chiedendogli di darle l’acqua di cui parla, così che non avrà più bisogno di andare ogni giorno al pozzo, alla fine del racconto invece essa diventerà evangelizzatrice, andando a raccontare quello che le è accaduto e portando così anche gli abitanti del villaggio al Signore, abitanti che crederanno per la parola di Gesù che essi riconoscono come “il salvatore del mondo” (Gv 4,42). Per capire l’importanza di questo episodio bisogna aver chiaro che i Samaritani, cioè gli abitanti della regione che sta nel mezzo tra la Galilea e la Giudea, erano considerati con disprezzo dai Giudei. I Samaritani infatti avevano un proprio tempio sul monte Garizim, vicinissimo a Sicar dove è ambientato il racconto, che un sommo sacerdote ebreo aveva fatto distruggere nel 128 a.C. I Samaritani non riconoscevano tutte le scritture dei Giudei, ma solo il Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Bibbia, e ritenevano che il messia che doveva venire non era un re, ma un profeta legislatore sul tipo di Mosè. I Samaritani dunque hanno una religione simile, ma allo stesso tempo distinta dal giudaismo, anzi si considerano, perché esistono ancora oggi, i veri discendenti di Mosè e consideravano il tempio di Gerusalemme e i suoi rappresentanti religiosi una deviazione dall’insegnamento originario di Dio al popolo di Israele attraverso Mosè. I Samaritani inoltre vivevano in una regione che era stata nei secoli popolata con forti immigrazioni forzate di non ebrei che avevano reso il panorama cultuale e culturale di quella regione1 fortemente sospetto al giudaismo di Gerusalemme. Questi ed altri motivi rendevano i rapporti tra Samaritani e Giudei estremamente tesi, il che spiega la meraviglia dei discepoli quando tornando vedono parlare Gesù con una donna samaritana. Eppure il vangelo insiste proprio su questo fatto, scandaloso agli occhi di un giudeo osservante, che Gesù, un rabbì, ovvero un maestro, si fermasse a parlare con una donna e per giunta samaritana. Gesù non si preoccupa della propria purità rituale né della propria immagine, perché ciò che a lui interessa è recuperare una donna, darle una nuova possibilità di vita, anzi darle l’acqua viva che disseti ogni sete umana, un’acqua interna alla donna stessa, perché Gesù non vuole creare una nuova dipendenza, ma vuole dare a questa donna la libertà e la dignità di vivere a partire da quello che ha dentro e che Gesù vuole donarle. Tutto inizia da una domanda di Gesù alla donna: “dammi da bere”. Siamo ad un pozzo, a metà del giorno, in un’ora insolita per andare ad attingere acqua, segnale forse di una volontà di nasconAlcuni studiosi pensano che il riferimento ai 5 mariti della donna siano un’allusione a 2 Re 17,24 dove si dice che i coloni stranieri deportati in Samaria dagli Assiri provenissero da 5 città pagane. Certamente quando l’evangelista Giovanni scrive conosce la missione cristiana in Samaria di Filippo e poi i battesimi ivi operati da Pietro e Giovanni (cfr. At 8,1ss). Quindi è possibile che l’evangelista alluda a questa situazione di conversione, ma questo non toglie la storicità di un incontro con una donna che certamente aveva avuto una vita difficile.

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dersi o di non mettersi troppo in mostra, visto che il pozzo era normalmente un luogo affollato frequentato all’inizio del giorno o a fine pomeriggio prima della notte, un luogo pubblico dove avvenivano incontri e dove la tradizione e le storie popolari collocavano scene di innamoramento (si pensi alle storie dei patriarchi es. in Gen 24,11ss; Gen 29,2 ss, o Es 2,15, ecc.). Gesù inizia con una domanda che segnala la sua attenzione a questa donna sola che in un’ora insolita si reca al pozzo. La donna capisce subito l’interesse dell’uomo e risponde chiedendo il perché di una tale domanda, rilevandone l’ambiguità: lei è samaritana, è donna, e pertanto l’interesse di quell’uomo, giudeo, è sospetto. Gesù parte dal linguaggio della donna, dalla sua situazione, e le fa una domanda che rivela il suo modo di guardare le cose e le persone, rivela la sua realtà e la sua storia di donna attenta a certi linguaggi, esperta e non ingenua. Gesù si mette al nostro livello e non è interessato a mettere in evidenza i nostri peccati o errori, egli vuole solo metterci in condizione di poter fare qualcosa per lui, perché la sua richiesta alla donna rivela che egli si affida alle sue cure e attenzioni, che egli si fida di lei, e che non cerca niente da lei se non un gesto di attenzione e di cortesia. Gesù mette la donna in condizione di un gesto di gratuità, parte da quello che tutti possono sempre fare, anche quando hanno sbagliato, anche dopo una vita sbagliata, perché tutti possono ancora amare. L’amore e la gratuità sono il punto di partenza sempre possibile di ogni storia, anche dopo il peccato e l’allontanamento. Gesù ci insegna che spesso per recuperare gli altri dobbiamo metterli in condizione di poter fare qualcosa per noi, di poter cioè rendere utile la loro vita facendo qualcosa per gli altri, qualcosa di gratuito, perché questo nutro il mistero profondo della nostra umanità che ha bisogno di amare e di dono per ritrovare se stessa. Per questo alla risposta della donna, diffidente e forse non abituata, non più alla gratuità, Gesù la invita a guardare più in profondità, a non limitarsi a trattare le persone e la vita come ha sempre fatto: “Se tu conoscessi…!”. La donna non conosce, è accecata dalla diffidenza di una vita impostata su altri valori, o semplicemente dalla non abitudine a incontrare la gratuità e la benevolenza. “Se tu conoscessi il dono di Dio”… queste parole di Gesù significano che la donna deve ritrovare la dimensione del dono nella sua vita, quello di Dio, cioè il dono divino della gratuità e dell’amore, deve ritrovare la fonte di tale gratuità che dà senso alla vita, che è Dio stesso. L’espressione “dono di Dio” è molto densa perché era un modo con cui si indicava la Torah, così come l’espressione “acqua viva” poteva indicare la Torah, cioè i primi cinque libri della Bibbia, il cosiddetto Pentateuco, che per gli ebrei erano i testi fondamentali per la loro vita religiosa. Ma tutto questo dono di Dio è Gesù stesso, presente lì davanti a lei, disponibile a parlarle e a darle fiducia e speranza. Gesù accoglie la domanda diffidente della donna e la apre ad un significato più profondo, invitandola a cercare ciò che disseta per sempre e non ciò che fa avere ancora sete. Gesù invita la donna a considerare e distinguere ciò che ci disseta per un attimo da ciò che può dissetarci sempre. È come se il Signore ci invitasse a discernere tra ciò che dà piaceri passeggeri da ciò che invece ci dà un bene profondo, duraturo, eterno. Dobbiamo impostare la nostra vita su ciò che disseta profondamente la nostra anima. Dobbiamo imparare a riconoscere i bisogni profondi del cuore, quello di cui abbiamo davvero bisogno per non essere più dipendenti dalle cose e dagli altri. Gesù vuole far prendere coscienza che la vera sete della donna è quella di un amore gratuito e autentico che dia stabilità alla sua vita. La donna risponde che vuole l’acqua di cui parla Gesù, per non andare più ogni giorno al pozzo, ma Gesù la invita ad andare a chiamare suo marito, mettendola in condizione di rivelare la sua situazione che Gesù conoscere. La sete di questa donna è quella che nasce dalla propria storia, 32 una storia difficile, segnata da 5 matrimoni e da una relazione con un sesto uomo. Una situazione difficile, complicata, ancora più in epoca come quella del Signore, dove tutto questo appariva sommamente scandaloso e sconveniente. Ma Gesù non si preoccupa di giudicare o condannare la donna, la vuole solo aiutare a ritrovarsi, vuole donarle l’acqua viva, dentro di lei, quella che la rende libera, quella che la salva dalle acque passeggere delle relazioni facili o di convenienza, o


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impostate sull’utilità, sulla sopravvivenza, sul piacere, o sulla necessità di riempire vuoti. Gesù vuole far nascere una fonte di acqua viva dentro di lei. Quella fonte che è lui stesso, che sono le sue parole, che è il suo Spirito, perché chi crede in lui, chi si affida a lui “fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo grembo” (Gv 8,38). Gesù mostra di conoscere la donna, che si sente scoperta e, meravigliata, corre al villaggio a raccontare l’accaduto. La donna si sente scoperta da un amore delicato, da uno sguardo che non la giudica, che certo non giustifica il male o il peccato, ma che è interessato solo a ridarle la freschezza di una vita irrorata dall’acqua viva. L’incontro con il Signore Gesù la salva, perché è l’incontro con un uomo che non l’ha guardata come un oggetto da usare, come una peccatrice da condannare o come una perduta senza speranza. Per Gesù la donna, come ogni donna e ogni uomo, è una persona da amare, da salvare amandola, perché si salva le persone amandole e mettendole in condizione di riamare. Gesù l’ha guardata e l’ha amata, la fa incontrare con la verità della sua vita, e la mette in condizione di dire quello che ha vissuto non più con vergogna, ma con la consapevolezza di essere nella possibilità di ricominciare, di dare di nuova vita alla sua esperienza. La donna riconosce dunque in Gesù un uomo di Dio, un profeta (Gv 4,19), riconosce che Gesù potrebbe essere il messia atteso, che per i samaritani era appunto un nuovo grande profeta, secondo il testo del libro del Deuteronomio al capitolo 18. Gesù alle domande della donna che le chiede se è Gerusalemme il luogo dove adorare Dio, come sostenevano i Giudei, o se invece è il monte Garizim, come pensavano i Samaritani, a questa domanda Gesù risponde che l’adorazione di Dio non è questione di luoghi o di templi, ma di Spirito e di Verità. Adorare Dio significa ricevere lo Spirito di Dio, significa farsi irrorare dalle sue acque vive che in noi diventano una sorgente di vita eterna, significa cioè ispirare la nostra vita alla Parola di Dio, alla Sapienza di Dio (cfr. Prv 13,14; 18,4; Sir 24,20 ecc.). La Parola di Dio è Gesù stesso che le parla e le rivela quanto ha fatto, e infatti la donna è colpita da questo, e vi riconosce un segno della sua provenienza da Dio. Di fronte a Gesù, come alla sua Parola, ci si sente conosciuti e amati. L’esperienza della samaritana la facciamo anche noi quando leggendo, ascoltando e meditando (non basta leggere occorre anche meditare!) la Parola di Dio ci sentiamo amati e conosciuti da qualcuno che ci parla di Dio. È un’esperienza capace di cambiare la vita, perché ti mostra che Dio ti conosce e vede in te la possibilità di un cambiamento, vede in te il bene. L’Amore di Dio vede in noi il bene e lo crea mentre lo vede, perché l’amore è creativo, sempre. Quest’esperienza non nasconde la vita della donna, anzi per adorare Dio bisogna farlo con spirito e verità, bisogna cioè riconciliarsi con la propria storia, da cui si può rinascere anche se è una storia di morte o di peccato. Adorare Dio in Spirito e Verità significa perciò che la vera adorazione, il culto che Dio chiede è quello che nasce da una vita irrorata dalle acque vive del suo amore, gli atti di culto a lui graditi sono il rinnovamento della nostra vita nell’amore, sono la verità di una vita che riconosce quello che è e si mette in cammino per vivere nell’amore e nella verità. Adorare Dio in Spirito e verità significa fare cambiare la nostra vita da Gesù che è la via, la verità e la vita, e dal suo spirito che si riceve nell’incontro con lui nella fede, e di cui i cristiani facevano esperienza sacramentale nel battesimo. I cristiani infatti, come dirà san Paolo sono coloro che sono stati “battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo” e che si sono “abbeverati a un solo Spirito” (1Cor 12,13). È questo incontro che cambia la vita della donna e la rende libera dai legami sbagliati che invece di irrorare la sua vita la prosciugavano della gioia, della dignità, dell’amore, della libertà. Così la 33 donna può lasciare la sua brocca e correre in città ad annunciare quello che le è accaduto. Una brocca, simbolo del vuoto che si sperimenta nella nostra vita, simbolo delle nostre ricerche sbagliate di beni e di cose che riempiano la sete che ci anima, una sete che le acque del mondo non riescono a vincere, perché solo le acque vive dell’amore di Dio, del suo bene gratuito e personale, che ci raggiunge attraverso la persona di Cristo e della Chiesa, solo queste acque possono spengere.


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DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Quale aspetto di questo episodio evangelico ti fa più riflettere o ti interroga? 2) Hai mai fatto l’esperienza di sentirti conosciuto e amato senza essere giudicato? Quando? Cosa ti ha lasciato? 3) Gesù non si fa condizionare dai pregiudizi e parla a questa donna con speranza. Come si può fare perché ci rapportiamo agli altri senza pregiudizi? 4) Qual è la sete della tua vita? Cosa ci motiva e ci spinge nel quotidiano? Hai fatto esperienza dello Spirito di Dio, della sua Parola come di acque vive? Salmo 42 (a cori alterni) Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?

3

Le lacrime sono il mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: “Dov’è il tuo Dio?”.

4

Questo io ricordo e l’anima mia si strugge: avanzavo tra la folla, la precedevo fino alla casa di Dio, fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa.

5

Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio.

6

In me si rattrista l’anima mia; perciò di te mi ricordo dalla terra del Giordano e dell’Ermon, dal monte Misar.

7

Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate; tutti i tuoi flutti e le tue onde sopra di me sono passati.

8

Di giorno il Signore mi dona il suo amore e di notte il suo canto è con me, preghiera al Dio della mia vita.

9

Dirò a Dio: “Mia roccia! Perché mi hai dimenticato? Perché triste me ne vado, oppresso dal nemico?”. 10

Mi insultano i miei avversari quando rompono le mie ossa, mentre mi dicono sempre: “Dov’è il tuo Dio?”. 11

Perché ti rattristi, anima mia, perché ti agiti in me? Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio. 12

PADRE NOSTRO

34 Preghiera Signore Gesù che conosci la nostra vita e sai ciò di cui abbiamo davvero bisogno, aiutaci a riconoscere ciò che davvero ci aiuta a vivere nell’amore e a vivere facendoci guidare sempre dalla luce del tuo Spirito. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. AMEN


“Se non vedete segni e prodigi, voi non credete” Gesù guarisce il figlio di un funzionario del re. Il secondo dei Segni del Signore (Gv 4,43-54)

Scheda VIII

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Trascorsi due giorni, partì di là per la Galilea. 44Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. 45 Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa. 46 Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. 47Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. 48Gesù gli disse: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. 49Il funzionario del re gli disse: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. 50Gesù gli rispose: “Va’, tuo figlio vive”. Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. 51Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: “Tuo figlio vive!”. 52Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: “Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato”. 53Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: “Tuo figlio vive”, e credette lui con tutta la sua famiglia. 54 Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea. 43

Nei primi dodici capitoli del Vangelo di Giovanni vengono presentati sette “segni” miracolosi, il secondo è la guarigione del figlio di un funzionario regio. C’è un rapporto stretto fra questa narrazione e il primo segno, quello delle nozze di Cana; questo secondo segno perfeziona e completa Cana. È lo stesso autore che lo colloca in questo contesto e crea come un doppio legame fra il segno compiuto a Cana e il segno della guarigione del figlio del funzionario nei vs. 46 e vs. 54. È dunque lo stesso autore che suggerisce al lettore di leggere assieme questi due racconti. Tra i due racconti, del resto, vi è una certa somiglianza stilistica e narrativa: in entrambi è presente il medesimo contesto geografico (Cana di Galilea), in entrambi abbiamo un’ambasciata che pone una necessità (Maria – padre), in entrambi Gesù esprime un dissenso (“se non vedete segni e prodigi, voi non credete”). In entrambi, però, subito dopo la richiesta Gesù opera e dà un ordine che dia fiducia alla sua parola; in questo passo: “Va’, tuo figlio vive”. In entrambi dopo il miracolo c’è una reazione: la fede. Ciascun episodio descrive un aspetto di una mancanza, nel segno della guarigione del figlio del funzionario c’è una mancanza di vita. Il funzionario del re, probabilmente un pagano, avendo saputo dei miracoli compiuti da Gesù gli va incontro. Questo episodio è come se fosse programmatico dell’attività di Gesù verso l’uomo da questo av35 venimento in poi: il funzionario è fuori dal mondo d’Israele, è, probabilmente, un pagano; non è un esperto della fede giudaica, non si nasconde dietro la sua dignità, l’autorità; accetta il rischio di essere considerato ridicolo; accetta il rischio dell’incontro. Per accogliere Gesù nella nostra vita non c’è bisogno di alcuna cittadinanza; basta aprire il cuore al Signore. Il funzionario aderisce alla parola di Gesù senza porre condizioni o esigere prove, va da Gesù spinto da un bisogno: il pericolo


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di morte per suo figlio (“si recò da lui…”, vs. 47); per incontrare Gesù deve recarsi a Cana. C’è qui anche una simbologia del salire/scendere, in quanto Cafarnao è più in basso di Cana, quindi il funzionario (che stava a Cafarnao) salendo per andare da Gesù (che si trovava a Cana) è come se mostrasse il suo interesse per il mistero della Rivelazione salvifica rappresentato dal Signore, anche se in realtà inizialmente non è spinto dalla fede ma solo dalla ricerca di una soluzione in Gesù, la cui fama era di un Messia potente. La risposta di Gesù è dura “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete” (vs. 48). C’è la paura per la morte insieme alla non-fede, ma si chiede di credere per avere la vita. La risposta di Gesù mette a nudo la mentalità di questo personaggio, e lo rende tipo, usando la 2apersona plurale, della categoria di appartenenza dei potenti o dei distanti dal giudaismo. In effetti il funzionario si rivolge a Gesù indipendentemente dalla fede, come un individuo potente che comprende solo la dinamica e il linguaggio del potere, “gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio”. Ma Gesù rifiuta di rimediare una debolezza dell’uomo nel modo in cui il funzionario vorrebbe, cioè non acconsente al desiderio di questi di scendere a Cafarnao; c’è un contrasto profondo fra le due mentalità. Il funzionario insiste “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Questa rinnovata richiesta confessa l’impotenza del potente di fronte alla morte e lascia aperta la risoluzione. Finalmente il funzionario si dispone ad accogliere il mistero, infatti i miracoli nel Vangelo di Giovanni non sono prodigi ma segni di rivelazione che richiedono l’apertura e la fede. Gesù non ha bisogno di scendere a Cafarnao, comunica la vita con la sua parola creatrice che giunge dappertutto. Gesù non parla di guarigione ma di vita, quindi supera la richiesta: è una vita di nuova qualità, piena, definitiva. La fede conduce alla vita, “beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29). Il funzionario presta fede alla parola detta da Gesù mettendosi in cammino. La fede inoltre permette a quest’uomo di giungere anche a una diversa conoscenza di sé stesso, cioè nell’incontro con il Signore la sua dignità cresce di pari passo con il crescere della sua fede: all’inizio viene chiamato “funzionario regio”; nel momento in cui si dimentica di se stesso per aderire alla parola di Gesù, diventa “uomo”; ma solo la pienezza della fede lo fa diventare “padre”. Nell’apprendere che il figlio era guarito nell’ora nella quale Gesù gli aveva parlato, il funzionario crede e con lui tutta la sua famiglia. La fede piena convince e coinvolge fino a diventare comunione per lui e per tutta la sua famiglia.

DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Riesco ad aderire a Gesù in maniera radicale, testimoniandolo ogni giorno, in tutta la mia vita, oppure è solo un aspetto marginale? 2) Sappiamo “affidarci”, anche per le grandi decisioni della nostra vita, completamente alla parola di Gesù, trovando appoggio nella preghiera? 36 3) Qual è la fede che sa rispondere nella prova, nel dolore e di fronte alla morte?


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Dal Salmo 31

(a cori alterni)

In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò deluso; difendimi per la tua giustizia. Tendi a me il tuo orecchio, vieni presto a liberarmi. Sii per me una roccia di rifugio, un luogo fortificato che mi salva. Perché mia rupe e mia fortezza tu sei, per il tuo nome guidami e conducimi. Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, perché sei tu la mia difesa. Alle tue mani affido il mio spirito; tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele. Tu hai in odio chi serve idoli falsi, io invece confido nel Signore. PADRE NOSTRO PREGHIERA Donaci o Padre la fede che mette in cammino, che apre al futuro e alla speranza, perché possiamo diventare veri discepoli del tuo Figlio, e la nostra vita possa diventare un’immagine vivente della tua misericordia che salva. AMEN

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Scheda IX

“Alzati, prendi la tua barella e cammina” Gesù guarisce un infermo alla piscina di Betzatà (Gv 5,1-16)

Dopo questi fatti, ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 2A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, 3sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. [4] 5 Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. 6Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». 7Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». 8Gesù gli disse: «Alzati, prendi la tua barella e cammina». 9E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. 10Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». 11Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». 12Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». 13Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. 14Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». 15Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. 16 Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato. 17Ma Gesù disse loro: “Il padre agisce anche ora e anch’io agisco”. 18Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. 1

Gesù è salito a Gerusalemme per una delle tre feste alle quali i pii israeliti vi si recavano in pellegrinaggio: Pasqua, Pentecoste, Capanne. Non si dice di quale festa si tratti. Vi è una forte sottolineatura della salita a Gerusalemme da parte di Gesù: è nella città santa che si svilupperà per il nostro evangelista il conflitto tra Gesù e le autorità giudaiche. La piscina miracolosa era a nord est del Tempio, presso la “porta delle pecore”. Si tratta di un grande spazio: cinque portici! Un luogo di guarigione come erano ritenute nell’antichità alcune sorgenti. In questa infatti piscina avvengono guarigioni; e il particolare che esse avvengono da parte dell’”angelo del Signore” che muove l’acqua è forse uno sforzo di integrare nell’ortodossia una pratica pagana estranea alla religione ufficiale. Siamo disposti a tutti i riti e a tutte le pratiche, anche le più esoteriche, per possedere la vita. Attendiamo un “angelo” che venga a sanarci. Tutti attendiamo l’intervento miracoloso che venga a sanarci dalla nostra angoscia di vivere. Ciechi, infermi, zoppi, paralitici ecco la carrellata di situazioni umane che si ritrova lungo i portici della piscina. Sono tutti poveracci in canna. Lungo quei portici invece ritroviamo un’umanità sofferente senza speranza, allo sbando, in preda al suo dolore e alla sua disperazione. Ma l’atmosfera 38 che circola in quella piscina è tesa. Solo qualcuno di loro può essere guarito. La tradizione dice il primo che arriva all’acqua quando essa comincia a fluire. Il più debole difficilmente arriverà all’acqua per ottenere la guarigione. È una corsa, una lotta per la vita… a spese degli altri. Qualcuno avrà rinunciato alla sua guarigione, al suo primo posto, per lasciar spazio a chi questa possibilità non ce l’avrebbe mai avuta? È un’attesa estenuante… Tra gli ammalati ve ne è uno, senza nome, che lo è da trentotto anni. Tutta una vita (cfr Dt 2,14).


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Una situazione cronica ormai, che dice l’impossibilità del cambiamento. Dice invece rassegnazione. Quest’uomo senza nome si identifica con la sua malattia. Egli nel mondo è la sua malattia, e lui stesso si riconosce solo in questa sua triste e drammatica realtà. Non si specifica di che malattia si tratti: si dice solo che è disteso, incapace di reggersi in piedi, il che vuol suggerire la condizione umana, dell’uomo incapace di camminare, in senso biblico di vivere in comunione con Dio e con gli altri ed è incapace di rimettersi in piedi da solo. Gesù si trova lì, alla piscina. Perché è lì? Cosa vi fa? È di passaggio? Una cosa è certa: egli non disdegna, non teme, di entrare in contatto con questo mondo fatto di sofferenza, disperazione, povertà, speranza, superstizione. Ad un certo punto l’uomo malato disteso sul lettuccio colpisce l’attenzione di Gesù. Perché proprio lui? Cosa lo contraddistingue dagli altri? Probabilmente proprio la sua solitudine, il suo essere appartato lontano dal bordo della piscina dove tutti si accalcano. È disteso: è la posizione della morte, una postura fossilizzata, inamovibile. Questa sua presentazione dice la sua posizione rinunciataria nei confronti della vita. Sono questi gli indizi che dicono a Gesù della sua lunga malattia? Una malattia che non è solo fisica, ma spirituale che ha intaccato la sua coscienza di uomo di fronte alla vita. Gesù rivolge una domanda a quest’uomo? “Vuoi guarire?”. Una domanda che apparentemente appare insensata ed illogica. Risponderemmo a Gesù: ma perché allora sono qui? Ma questa domanda, così solo apparentemente scontata, intende invece andare molto più in profondità, vuole raggiungere il cuore e la coscienza di quell’uomo. Gesù desidera, vuole riuscire a strappare quell’uomo da quella situazione di “stagnazione”, ma lo può fare solo a condizione che riemerga il desiderio ormai sepolto nel cuore nei riguardi della vita, di fronte alla quale quell’uomo invece è in una situazione di rinuncia, di morte, di rassegnazione. Se non scatta il desiderio di rinascere, di rivivere il che comporta la presa di coscienza della propria situazione di morte come può operarsi un cambiamento nella nostra vita? Questa domanda, in verità, è un invito alla riscoperta della propria identità non di malato, ma di uomo chiamato a emergere, a “alzarsi” nella ricerca della propria identità non schiacciata né sepolta sotto cumuli di compromessi, atteggiamenti errati, convenienze, disperazioni, ripiegamenti. La stessa domanda è rivolta a ciascuno di noi: “Vuoi veramente guarire?”. Se ci ascoltiamo onestamente ci accorgeremo che dentro la nostra coscienza si muovono due risonanze: da un lato il desiderio vivo e vero della guarigione, dall’altro la paura, l’incertezza, la diffidenza. A quale risonanze generalmente diamo ascolto? Ma Gesù è sconosciuto all’uomo malato. Per lui è solo una persona fra le tante che si aggirano per i portici. Il malato perciò non ripone alcuna aspettativa nei suoi confronti. Da parte dello sconosciuto vi è solo quella parola che può apparirgli ironica, oppure che sia una parola che chiede fiducia e accoglienza. Gesù è veramente l’angelo che tutti lì attendono per essere sanati. Ma quest’uomo si rivela incapace di riconoscerlo… questo angelo infatti si manifesta in modo diverso dalle sue/nostre attese “religiose”. La risposta dell’uomo malato rivela molto della sua indole. Questa risposta è quanto mai ambigua. Infatti egli non dice né sì né no. Egli dribbla la domanda. E di che tipo è questa risposta ambigua? È una lamentela e condanna nei confronti del disinteresse e della prepotenza degli altri. Sono loro la colpa della sua situazione! Si lamenta di non avere nessuno, nessun “salvatore” che si occupi di lui (e in effetti è questa la sua esperienza). Gesù dinanzi a lui non esiste, esiste solo la sua disperazione. Le parole di quest’uomo dicono come ormai egli abbia scavato per sé una nicchia sicura in questo 39 mondo dal quale osservare criticando e condannando gli altri. Si è relegato in quest’angolo, e ormai gli va bene, e della possibilità di cambiare non se ne parla. In quest’uomo anche il desiderio della guarigione ormai è oscurato; è passivo dinanzi alla vita (oggi diremmo in preda alla “depressione”). È un escluso dalla vita. Quante volte l’uomo sta male, vive male, ma di fronte alla prospettiva del cambiamento può talmente essere attanagliato dalla paura, da rinunciarvi. “Ma ormai


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non posso più cambiare!”: è una frase che spesso ne sottintende un’altra: “Ho paura di cambiare… non ne ho voglia”. Sono risonanze che anche noi conosciamo: stiamo male, potremmo assumerci la responsabilità di un cambiamento, ma esso ci fa paura. Dobbiamo allora trovare qualcuno su cui scaricare la colpa del nostro malessere. Spesso ci vengono offerte possibilità di cambiamento, di miglioramento, ma noi svicoliamo. Preferiamo continuare a star male piuttosto che affrontare il rischio di stravolgere la nostra vita. Il vangelo sembra suggerire che Gesù sia immediatamente passato all’iniziativa di offrigli la guarigione, scavalcando in un certo senso l’elaborazione della coscienza. Ma questo “scavalcare la coscienza” del malato da parte di Gesù, se da un lato dice la gratuità del dono dall’altro dice il rischio che esso sia o rifiutato o usato male. Gesù questo rischio lo corre: gli preme ridonare la vita a quest’uomo. Gesù pronuncia una parola che è un comando. Una parola che non è accompagnato da alcun gesto: quindi efficace per se stessa. È la potenza della parola che opera la guarigione. Alzati! È il verbo della resurrezione, della rinascita, della vita nuova. Prendi il tuo lettuccio! Offri la tua testimonianza nei confronti del Dio della vita (un po’ come lo sarà la tomba vuota). Porta con te il segno della tua morte per manifestare che proprio in questo giorno si è compiuta per te la salvezza di Dio. Cammina! Apriti alla vita, all’incontro, non ripiegarti più. Assumi il tuo posto e il tuo ruolo nel mondo, con responsabilità. Cammina incontro alla promessa di Dio che hai sperimentato aprendoti alla comunione con Lui, con gli altri, con te stesso. Era sabato! Ma il giorno in cui avviene tutto questo è di Sabato. Nei vangeli sembra che Gesù faccia apposta a cogliere proprio di sabato le occasioni di operare segni di salvezza (cfr. Gv 9,1416). Non è il sabato il giorno del riposo, della gioia, della festa della vita. Gesù sa bene di chiedere all’uomo di infrangere i precetti della Legge (cfr. Gr 17,21-27). Ma è altrettanto consapevole che la Legge debba essere a servizio della vita e non viceversa: il sabato per l’uomo e non l’uomo per il sabato. Il suo comando all’uomo di prendere la sua barella è dato perché sia manifesta agli occhi di tutti la presenza della salvezza escatologica di cui la sua guarigione è segno. L’uomo viene fermato in mezzo alla strada in mezzo a tutti, si forma un capannello di curiosi. La risposta dell’uomo guarito è ancora emblematica e rivelatrice delle risonanze della sua coscienza. Egli scarica la responsabilità del suo gesto su colui che lo ha guarito ridonandolo alla vita: “È colpa sua, lui mi ha detto”. È questa una dinamica che conosciamo bene: scaricare sull’altro, esimerci dalla responsabilità, trovare un colpevole. È sempre la paura la risonanza profonda che provoca questo: paura della disapprovazione degli altri, paura di andare incontro al rifiuto degli altri. Questo anche al prezzo di rinunciare ad essere noi stessi, o, come in questo caso, facendo addirittura del male a coloro che ci fanno del bene. La persecuzione di Gesù è la conseguenza di tutta questa vicenda. Su Gesù si scarica tutto il male: da parte di chi è stato sanato e da parte di chi è detentore della Legge. Ma Gesù avverte quest’uomo che la grazia della guarigione lo impegna alla conversione: dimenticandolo rischierebbe peggio dell’infermità passata. La guarigione vuole essere solo un “segno” di una guarigione più profonda, la risurrezione.

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DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1. “Vuoi veramente guarire”. Se ci ascoltiamo onestamente ci accorgeremo che dentro la nostra coscienza (o che il più delle volte subiamo inconsciamente) si muovono due risonanze: da un lato il desiderio vivo e vero della guarigione, dall’altro la paura, l’incertezza, la diffidenza. A quale risonanze generalmente diamo ascolto? 2. L’atteggiamento di “Giudei”: Ci si aspetterebbe un atteggiamento da parte degli accusatori di stupore e di meraviglia dinanzi a una dichiarazione di guarigione miracolosa. Ma la grettezza umana è sconfinata. Agli accusatori che vi sia stata una guarigione non interessa. Quante volte non prendiamo atto dei fatti e continuiamo ad affrontare la realtà attraverso i nostri schemi mentali, le nostre ideologie politiche o religiose? Preghiera

(si recita tutti insieme)

Signore… Grazie per ogni parola intrappolata dentro che Tu sei riuscito a farmi dire. Grazie per ogni emozione congelata che Tu sei riuscito a farmi sentire. Grazie per ogni gesto d’amore paralizzato che Tu sei riuscito a farmi fare. Grazie per ogni verità nascosta nel buio che Tu hai portato alla luce. Grazie per ogni relazione inquinata dalla paura del giudizio che Tu hai purificato. Grazie per ogni sorriso spento che Tu hai riacceso. Grazie per ogni rifiuto di continuare a sognare per paura di fallire che Tu hai trasformato in coraggio di riprovarci PADRE NOSTRO PREGHIERA Signore Gesù, sia la tua croce, quale manifestazione di un amore sempre più grande, la bussola che indica la meta, affinché la nostra vita non solo non perda il suo orientamento, ma ritrovi continuamente il suo fulcro e le sue motivazioni più profonde. Immergici, te ne preghiamo, nella piscina del tuo amore, e lavaci da ogni timore di fronte alla sfida di una pienezza di vita. Amen.

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Scheda X

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“Come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio” Gesù parla della sua opera (Gv 5,19-46)

Gesù riprese a parlare e disse loro: “In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. 20Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. 21Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. 22Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, 23perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato. 24 In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. 25In verità, in verità io vi dico: viene l’ora - ed è questa - in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. 26Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, 27e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. 28Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce 29e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna. 30Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 31 Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. 32C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera. 33Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. 34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. 35Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. 36 Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. 37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. 40 Ma voi non volete venire a me per avere vita. 41 Io non ricevo gloria dagli uomini. 42Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. 43Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. 44E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio? 45 Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. 46Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. 47Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?”. 19

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Il cap. 5 di Gv è importante da diversi punti di vista: ci sono un miracolo (5,1-9), la reazione dei giudei (5,10-30), una rivelazione di Gesù (5,31-47). Dunque, c’è un gesto (la guarigione del paralitico) e un ampio discorso che lo spiega: connessione tra segno e parola. Questo capitolo è importante, poi, per il posto che occupa nella dinamica dell’intero vangelo (sviluppo del tema del G. Salvatore – anticipato dalla professione di fede dei samaritani [4,42] – e esemplificazione nella guarigione del figlio del funzionario [4,46-54]). Infine, questo capitolo è anche l’inizio dell’ostilità contro Gesù da parte dei giudei, che lo porterà sulla Croce. Questo cap. è anche importante all’interno della prima parte del vangelo di Gv (1-12) che assume la struttura di un processo. Da un lato, ci sono quelli che non accolgono il dono di Dio, perché: attaccati alle apparenze (7,24); - giudicano secondo la carne (8,30); - esprimono un giudizio sulla realtà in forma non vera (8,16) e non giusta (5,30; 7,24); - cercano il prestigio agli occhi degli altri (5,44; 12,43); - rimangono attaccati alle loro abitudini (5,39-40); - fuggono la luce (3,1920); - non vogliono la vita di Gesù (5,40). Dall’altro, ci sono quanti - sono capaci di ricevere da G. “parole di vita eterna” (6,68); - vengono a lui, dimorano con lui e lo ascoltano; - non temono il giudizio (3,18) perché lo hanno già superato (con G. sono passati dalla morte alla vita: 5,29). 5, 1-9: Guarigione Secondo la consuetudine popolare, a cui sembra attingere l’episodio, veniva guarito il primo malato che entrava nell’acqua appena agitata (v. 7). Una salvezza, quindi, solo per i più fortunati: chi era mano malato o più aiutato. G. sconvolge questo schema: guarisce il più debole, senza l’acqua, senza essere pregato, ma di sua iniziativa. Non appare neppure la fede del guarito. Il malato non sa neppure chi sia G. (v.13). Dio rompe gli schemi, spesso ingiusti, che sono in uso tra gli uomini. G. è il Salvatore unico non solo perché salva davvero, ma perché la sua salvezza non cammina sulle strade ingiuste degli uomini. Si comprende la polemica successiva che si anima sui due aspetti. 5,10-18: La polemica sul sabato Gv non ricorda i contrasti – riportati invece dai Sinottici – al seguito del paralitico in piscina (5,1ss) e la guarigione del cieco nato (9,1ss). La polemica è chiaramente teologica e cristologica. Egli ha operato un miracolo in giorno di sabato, ha fatto trasportare un letto (trasportare una cosa era una delle 39 opere proibite di sabato - cfr Mishnaha Sha. 7,2). Comprensibile la ribellione dei fedeli legati all’osservanza della Legge (5,16). La risposta di G. fa comprendere il suo rapporto con il Padre (5,17), dal quale viene la sua signoria sul sabato. G., guarendo di sabato, si pone sullo stesso piano di Dio, al quale spetta la prerogativa dell’azione continua di provvidenza, di salvezza che non è interrotta neppure dal giorno sacro. Per gli osservati, questo è inaccettabile in G. I giudei non vedono la positività dell’azione, ma solo la trasgressione di una legge, dimenticando che il sabato è il segno del dono di Dio. Siamo di fronte ad uno “sguardo” diverso sulla storia dell’uomo. Accusando G. di non obbedire al comandamento di Dio, essi sono diventati i veri “ciechi”, non accorgendosi che G. è la trasparenza dell’azione di salvezza che non ha soste. 5,19-30: Non cerco la mia volontà Alle accuse rivoltegli, G. ribatte affermando la sua relazione intima con il Padre (“come il Padre… così anche il Figlio”, vv. 21.26), e, allo stesso tempo, afferma che questa relazione è un dono ri43 cevuto (vv. 19.30). Nelle parole di G. traspare non l’arroganza, la rivendicazione, ma la totale obbedienza (v. 30). Questo infatti è l’aspetto di G. che Gv mette in evidenza: G. è l’obbediente, è il “trasparente”: ha in sé la vita, accolta, del Padre, ma per donarla. E la vita che riguarda l’uomo nella sua totalità. Gv non conosce la contrapposizione corpo/anima, e in lui non c’è il concetto di salvezza solo per lo spirito dell’uomo; non parla di immortalità dell’anima, ma di risurrezione


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(5,21.29; 6,40; 11,25). La vittoria sulla morte è fondata sulla partecipazione alla vita di Dio, ed è dono. In questo contesto di opposizione/rifiuto, G. svela l’intenzione che sta alla base del suo agire: “Non cerco la mia volontà…” (v. 30). Sembra dire: “Dovete giudicare quello che faccio secondo questa intenzione”, e in questa intenzione G. manifesta anche la natura della sua persona: egli è “obbedienza”, rinvia al Padre. Il v. 30 in qualche modo richiama il v. 19. Ciò che colpisce in entrambi è una sorta di impotenza: “non può”, con la differenza che, al v. 19, si parla di “vedere”, al v. 30 di “ascoltare” e “cercare”. Un’impotenza che si fonda sulla forza dell’obbedienza, della trasparenza, dell’ascolto, della ricerca. Al centro di queste due parentesi (vv. 19 e 30) c’è l’affermazione dei vv. 24-25: la fede in lui come momento decisivo per ottenere la vita e sfuggire al giudizio, che avrà conseguenze nel futuro (“vivrà”) e nel presente (“è venuto il momento ed è questo”, cfr. 4,21.23). La parola di G. è decisiva e va ascoltata perché la parola è del Padre, e la volontà è del Padre. Nella dipendenza/obbedienza (v. 30) si radica l’obbligatorietà dell’uomo di accoglierlo. Per approfondire l’atteggiamento di G. nei confronti del padre, merita la riflessione di Gv 4,34; 6,38; 7,18; 8,50. “Non posso fare nulla da me stesso” (v. 30): è la giustificazione della pretesa di G. di essere portatore di una parola di giudizio, nell’ascolto o meno della quale l’uomo gioca il proprio destino. L’obbedienza al Padre, poi, è presentata come “ricerca” (v. 30), cioè come fatto deciso, come sforzo (cfr. 4,34: “mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato...”). Ricercare la volontà del padre implica il desiderio e il fervore che si ha nel cercare il cibo per vivere. Quale sia il contenuto di questa volontà e lo scopo, verrà detto in 6,38-40, ed esemplificato già in 4,34ss (la samaritana). Il verbo “cercare” sembra affermare che l’obbedienza al Padre implica un’attenzione continua, una ricerca appunto: la volontà del Padre è da intravedere, cogliere nelle situazioni della vita. Una proposta di fede, questa, ben lontana dall’atteggiamento legato all’ “io so… io ho studiato”, quindi io credo. I giudei cercano G. per ucciderlo (5,18). Ricerca motivata in apparenza dalla violazione della legge e dell’onore di Dio (5,18), in realtà è tutto il contrario. G. smaschera la loro cecità senza pietà. 5,31-47: Voi non cercate la gloria dell’unico Dio L’ultima parte del discorso di G. ha come sfondo un tribunale immaginario, nel quale si sta svolgendo un processo fra G. e giudei, fra fede e incredulità, fra amore e legge. Non dimentichiamo che, quando Gv scriveva, aveva davanti a sé non più il tribunale giudaico ma quello del mondo o, se vogliamo, l’uomo nella sua profondità. Per Gv, i giudei sono figura del credente “incredulo” di ogni tempo. Incredulo è il credente che nasconde in modo ipocrita l’attaccamento a se stesso, alle sue sicurezze (spesso rappresentate dalla stessa religione, dalla tradizione, dalla cultura, dalla smania di identità), proclamando la ricerca della volontà di Dio. - vv. 31-40 G. è l’accusato e presenta i suoi testimoni a difesa: Giovanni Battista (vv.33-35) che lo ha riconosciuto e proclamato; il Padre (v. 36) che manifesta la sua verità nelle opere e nelle parole di G.; le Scritture (v. 39) che parlano di lui. Perché, dunque, gli accusatori non accolgono queste testimo44 nianze? Essi sanno che sono veritiere, ma sono troppo attaccati alla ricerca del proprio successo, della propria gloria e non quella di Dio. - vv. 41-47 La scena è capovolta: G. ora è l’accusatore. L’attacco si fa violento quanto quello dei Sinottici contro i farisei (Mt 23), al punto tale che lo stesso Mosè – cioè le Scritture sulle quali essi fondano il


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rifiuto di G. – accuserà il popolo ebreo. A partire dal cap. 5, Mosè diventa oggetto di conflitto. Le Scritture diventano una sfida che separa i discepoli di G. e i discepoli di Mosè (cfr. Gv 5,45-46; 6,32; 7,19; 9,29; 2Cor 3,15-16). Ci vorranno secoli perché questa lettura polemica con il popolo ebreo cambi. Il disorientamento nella ricerca – si vuole uccidere chi si cerca – ha una sua radice: cercare gloria gli uni dagli altri o, meglio, mendicare gloria gli uni dagli altri (v. 44):l’atteggiamento di chi cerca se stesso, il successo a qualunque prezzo. Il desiderio di essere ammirati distorce ogni ricerca religiosa. A chi sta pensando Gv in questa riflessione? Ai dottori del tempo di G. e/o del suo tempo, che formavano una “società di mutua… ammirazione” e che avevano interesse solo a mantenere la loro supremazia sugli altri. Scrive R. Schnackemburg (Il vangelo di Giovanni, parte II, Paideia, Brescia, pp. 243-244): “Il rimprovero che l’evangelista rivolge ai giudei del suo tempo colpisce ogni uomo che è caduto preda del proprio io, con la sua alterigia e il suo falso orgoglio”. È vero: “ogni uomo”, ma qui l’attenzione mi sembra rivolta prima di tutto agli uomini “religiosi” che, in nome della “loro” religione, distorcono la parola di Dio in funzione del proprio onore, dei privilegi acquisiti, di un’identità che annulla ogni ricerca. La Parola che si fa cammino I testi del brano di Gv sono sempre attuali: si parla della testimonianza, dell’oggetto della testimonianza, dei testimoni e dei destinatari della testimonianza. La testimonianza è il fondamento del rapporto tra gli uomini. Se si testimonia ciò che si conosce e si ama, si trasmette luce e vita; se si testimonia ciò che si conosce e non si ama, si diffonde tenebra e morte. L’oggetto della testimonianza riguarda il bisogno fondamentale delle persone: essere figlio amato dal Padre. Chi ignora questo amore, cerca in sé la propria identità o la mendica da altri: si chiude in un narcisismo egoistico che lo fa annegare nell’autocompiacimento o nel tentativo di compiacere agli altri. La testimonianza del Figlio, che parla dell’amore del Padre, è riconosciuta da chi è in sintonia, da chi ha un cuore che ama. Gesù, il Figlio che ci rende figli di Dio, è il compimento del dono, ciò di cui le Scritture parlano. La Chiesa accetta la testimonianza del Padre: il dono dello Spirito le fa accogliere il Figlio come compimento dell’opera di Dio favore dell’uomo. DOMANDE PER RIFLETTERE E CONDIVIDERE 1) Intorno alla piscina de Betzaetà si riuniscono tante persone in situazioni di bisogno, molte delle quali escluse dalla vita religiosa e sociale. Chi, nell’oggi della nostra storia, si trova in situazione analoga? Chi sono “gli infermi, i ciechi, gli zoppi” di oggi? 2) Il paralitico è come abituato alla sua situazione di sofferenza, perché nessuno lo ha aiutato a trovare salvezza. Quante persone sono rimaste nel dolore e nell’apatia per colpa della nostra indifferenza, come persone e come comunità? 3) Gesù conosce i nostri mali e chiede a ciascuno di noi come al paralitico: “Vuoi guarire?”. Qual è la nostra risposta? Che coscienza abbiamo del male “spirituale” che spesso ci opprime? 4) I giudei concentrano la loro attenzione su chi ha violato la Legge e non si interrogano su chi ha guarito l’uomo, dimostrando che cosa conta davvero nella loro visione di Dio e del mondo. 45 Come dimostriamo, nelle parole e nei fatti, che al centro del nostro interesse religioso c’è la pienezza della vita e non l’adempimento formale della Legge? 5) In questo brano, Gesù è presentato nell’intima relazione con il Padre. Ogni domenica nel proclamare il Credo esprimiamo la nostra fede in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Capiamo


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tutto quello che diciamo nella professione di fede? 6) Leggendo il brano di Gv, così alto e difficile, avvertiamo un senso di disagio. Provocatoriamente potremmo chiederci: vogliamo davvero aderire a Gesù oppure restiamo scettici di fronte a questa figura di uomo-inviato-Figlio che vuole rivelare a tutti il volto di Dio? 7) “Se credete a Mosè, crederete anche a me”, dice Gesù (Gv 5, 46). Quali ostacoli troviamo nel leggere la vicenda di Gesù alla luce dell’AT? Avvertiamo l’esigenza di conoscere in profondità i libri dell’AT? 8) La salvezza viene solo dal Padre e dal Figlio. Che significa per noi “salvezza”? Salvezza da cosa? Salvezza di cosa (anima, corpo)? Salvezza per cosa (qual è lo scopo di questo atto del Padre nei nostri confronti)? Salmo 16

(solista e assemblea)

Rit. Signore, liberaci dagli idoli. Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio. Ho detto al Signore: Sei tu il mio Dio. fuori di te non ho altro bene. Rit. Un tempo adoravo gli dèi del paese, confidavo nel loro potere. Ora pensino altri a fare nuovi idoli, non offrirò più a loro il sangue dei sacrifici, con le mie labbra non dirò più il loro nome. Rit. Sei tu, Signore, la mia eredità, il calice che mi dà gioia; il mio destino è nelle tue mani. Splendida è la sorte che mi è toccata, magnifica l’eredità che ho ricevuto. Rit. Loderò Dio che ora mi guida, anche di notte il mio cuore lo ricorda. Ho sempre il Signore davanti agli occhi, con lui vicino non cadrò mai. Perciò il mio cuore è pieno di gioia, ho l’anima in festa, il mio corpo riposa sicuro. Rit. PADRE NOSTRO Preghiera O Signore, sperimentiamo sempre di più quanto è difficile credere. Non è possibile che qualcuno 46 metta in crisi le nostre certezze, la nostra appartenenza, affermando che credere è essenzialmente cercare, muoversi, dirigersi, fidarsi e affidarsi a Colui che da sempre ci cerca. Siamo degli immobilizzati, perché ci nascondiamo dietro i nostri idoli, dimenticando il vero Dio che ama senza guardare ai nostri meriti e ai nostri successi, che si è fatto presenza salvifica nel Figlio Gesù Cristo, la “trasparenza” del suo amore, che è morto e risorto e vive nella gloria per tutti i secoli dei secoli. AMEN


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Breve Bibliografia Brown E.R., Giovanni, Assisi 1979 Dufour L. X., Lettura dell’evangelo secondo Giovanni, I-IV, Cinisello Balsamo 1989-1998 Fabris R., Giovanni, Roma 1992 Gargano I., Lectio divina su il vangelo di Giovanni, 3 vol., Bologna 1992-1994 Laconi M., Il racconto di Giovanni, Assisi 1989 Maggioni B., La brocca dimenticata. I dialoghi di Gesù nel vangelo di Giovanni, Vita e Pensiero, Milano 1999 - Il racconto di Giovanni, Assisi, 2006. Mannucci V., Giovanni il vangelo narrante, Bologna 1993 Marchadour A., I personaggi del vangelo di giovanni. Specchio per una cristologia narrativa, Bologna 2007 Martini C.M., Gli esercizi ignaziani alla luce del vangelo di Giovanni, ed. Apostolato Della Preghiera 1974 - Le tenebre e la luce. Il dramma della fede di fronte a Gesù, Casale Monferrato 2007 Poppi A., Sinossi dei quattro vangeli, Padova 1987 Ricca P., Evangelo di Giovanni, uomini e profeti, a cura di G. Caramore, Morcelliana, Brescia 2005 Schnackenburg R., Il vangelo di Giovanni i-iv, Brescia 1973 - 1987 Segalla G., Giovanni, versione, introduzione e note, Roma 1976 Simoens, Y., Secondo Giovanni. Una traduzione e un’interpretazione, Bologna 2000 Vanni U., Il tesoro di Giovanni. Un percorso biblico-spirituale nel quarto vangelo, Assisi 2010 Vengst K., Il vangelo di Giovanni, Brescia 2005 Zevini G., Vangelo secondo Giovanni, Roma 2009

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Finito di stampare dalla Tipografia GF Press Masotti nel mese di settembre 2013 Fotocomposizione: Graficamente Pistoia Foto di copertina: Sul davanti: Samaritana e Nozze di Cana (Mosaici del V sec. d.C.) - Battistero di San Giovanni in fonte (Na) Sul retro: Ges첫 e la Samaritana


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