“La decisione di mettersi in Cammino” (Lc. 9,51)
Itinerario Quaresimale per i Giovani in preparazione alla Pasqua
Sussidio per la Cresima 2011
GIOVANILE
DIOCESI DI PISTOIA
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Itinerario Quaresimale per i Giovani in preparazione alla Pasqua
Servizio diocesano per la PASTORALE
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INDICE *
Anno Pastorale 2012/2013
Introduzione. Una Chiesa in cammino con i giovani La struttura del Sussidio Il figlio perduto e il Padre misericordioso (Lc 15,1-3.11-32)
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Itinerario Quaresimale per i Giovani in preparazione alla Pasqua
I settimana Giovanissimi. La parte che mi spetta 9 I proposta. Breve tecnica di drammatizzazione del vangelo 9 II proposta. Animazione sul vangelo 11
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II settimana Giovanissimi. Sperperò tutto vivendo da dissoluto
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I settimana Giovani. Incontro di condivisione
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II settimana Giovani. Sperperò tutto vivendo da dissoluto
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III settimana (Giovani e Giovanissimi) Allora ritornò in se stesso. Guida alla Preghiera L’Abbraccio del Padre. Scheda per la preghiera
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IV settimana. (Giovani e Giovanissimi) Esercizi Spirituali nel Quotidiano I giorno. “Dammi la parte di beni che mi spetta” II giorno. “Rientrato in se stesso disse: mi alzerò e andrò da mio Padre” III giorno. “Il Padre lo vide” IV giorno. “Il fratello non volle entrare” V giorno. “Tu sei sempre con me”
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Alcuni testi del Magistero per approfondire Educare alla vita buona del Vangelo La porta della fede Dives in misericordia
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La prima parte con l’introduzione e le schede sono a cura di don Cristiano D’Angelo. I materiali per la IV settimana con gli Esercizi Spirituali nel quotidiano per i giovani sono stati preparati da suor Giovanna Cheli
Questo sussidio dal titolo “La decisione di mettersi in cammino” nasce da un’intuizione maturata durante gli incontri con la consulta e gli animatori dei gruppi giovani. Le realtà che in Diocesi si impegnano a fornire occasioni di incontro con i giovani nelle nostre parrocchie e nei movimenti e associazioni non sono poche. Ognuna ha il suo metodo, il suo stile i suoi itinerari educativi, ma tutte manifestano il desiderio di una Chiesa che li accolga, che li accompagni, che li stimoli, una Chiesa che come il Padre misericordioso della Parabola di Luca 15 sia allo stesso tempo Madre e Padre. Una Chiesa che offra spazi di ritrovo, spazi di ascolto e d’incontro, spazi dove i giovani possano vivere nella Chiesa respirando l’aria buona del Vangelo, di comunità vive e testimoni della ricchezza e della forza della fede. I giovani ci chiedono questo, a volte anche con le loro intemperanze e le loro critiche, che spesso manifestano una ricerca e una domanda di una Chiesa che sia quello che è, un luogo di fraternità dove si vive il dono della fede e l’incontro con il Signore, manifestandolo in una vita di carità autentica, di speranza forte e di fede profonda. Voglio sottolineare questo perché nessuno pensi che la pastorale giovanile, come nessuna pastorale d’altra parte, sia una questione di tecniche, di invenzioni per rendere attraenti le nostre proposte, o di chissà cos’altro! La pastorale giovanile è anzitutto una pastorale di Chiesa, cioè l’impegno ad essere come Chiesa quello che siamo. Senza questo cosa potrebbe essere la nostra pastorale giovanile? Forse un impegno a creare aggregazioni, che sarebbe comunque un’opera sociale certamente benemerita, ma rimarrebbe ben poca cosa rispetto a quello che ci chiede il Signore, e cioè costruire comunità vive di adulti e giovani che siano il segno della sua presenza nel mondo, perché il mondo creda e cominci il cammino di trasformazione verso quel regno di Dio che è il contenuto dell’annuncio del Signore Gesù e la ragion d’essere della Chiesa, che del Re-
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Una Chiesa in cammino con i giovani
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Introduzione
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gno è il segno e il lievito. Quello che voglio dire è che tutti siamo e facciamo pastorale giovanile, ogni volta e nella misura in cui ci impegniamo a vivere e costruire quella “vita buona del vangelo” di cui ci parlano i vescovi negli ultimi orientamenti pastorali per il decennio. Questo non toglie che la pastorale giovanile chieda particolari attenzioni e la ricerca di un linguaggio adatto e comprensibile ai giovani, ma questo impegno non può prescindere da quello prioritario ed essenziale ad essere una Chiesa viva e accogliente. Questa è la prima richiesta che i giovani ci fanno, e il primo impegno di ogni pastorale giovanile, è lo è oggi come lo era ieri e come lo sarà domani. Un’altra esigenza, altrettanto fondamentale, emerge dagli animatori dei gruppi giovani, quella di essere aiutati a capire come si lavora con i giovani, come si costruisce con loro un percorso di educazione e crescita nella fede, che rispetti le peculiarità del linguaggio e del mondo giovanile e allo stesso tempo li conduca a vivere e a sperimentare la bellezza del vangelo. Come il Signore parlò un tempo in visione a San Paolo con il macedone che gli gridava “vieni in Macedonia e aiutaci” (At 16,9), così oggi il mondo dei giovani ci chiama ad andare incontro a loro per portargli la freschezza e il dono del Vangelo. Come San Paolo dovette in Macedonia, porta dell’Europa, imparare anche attraverso fallimenti ed errori, a parlare un linguaggio nuovo per annunciare il Vangelo agli europei e ai pagani, così anche noi oggi dobbiamo come Chiesa imparare a riannunciare il Vangelo ai giovani e ai ragazzi. Non si tratta però di imparare a tavolino cosa dire e come fare, ma piuttosto di trovare lo Spirito con cui parlare ai giovani. Perché i piani e i progetti, che pur devono essere pensati e fatti, possono fallire, come sostanzialmente fallì la prima evangelizzazione di San Paolo ad Atene, ma lo Spirito no, non fallisce, e Lui ci aiuterà a capire anche dai nostri errori le strade di Dio, e a ripartire senza stancarci e senza deluderci. In altre parole negli incontri e nei dialoghi avuti con gli animatori e con i gruppi giovani emerge la necessità di aiutarli a maturare lo Spirito con cui vivere il servizio di animatori. Lo Spirito è anzitutto l’esperienza di Dio nella propria vita, ma è
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poi anche la forza, lo stile e il modo con cui Gesù viveva e annunciava il vangelo agli uomini e alle donne del proprio tempo. Lo Spirito sono le motivazioni con cui si fanno le cose, le attività, con cui si conducono gli incontri e con cui si guarda ai ragazzi che ci sono affidati; lo Spirito sono gli obbiettivi e i contenuti che ci si pone nel proprio servizio di evangelizzazione e di pastorale giovanile. Lavorare sullo Spirito significa fare, come animatori dei gruppi giovani e insieme a loro, un cammino autentico di fede e di servizio. Un cammino di servizio è anche una proposta seria di itinerario, il che significa aver chiaro i metodi e le strade possibili con cui il vangelo può giungere al cuore dei giovani e svegliare in loro l’amore per le cose di Dio e per l’impegno in una vita nuova ispirata dai valori del vangelo. Parlare di metodi e di percorsi significa parlare di pedagogia, di educazione, di formazione; significa porsi seriamente il problema del come si può rendere comunicabile e comprensibile il vangelo agli uomini e ai giovani di oggi. L’impegno in questo senso non è e non deve essere inferiore a quello di costruire relazioni di Chiesa buone e nel formare motivazioni spirituali profonde, ma non può darsi senza queste, se vogliamo fare evangelizzazione ed edificare la Chiesa. Queste riflessioni, scaturite dall’ascolto e dall’incontro con molte realtà giovanili e soprattutto con gli animatori ed educatori che lavorano con loro, ci spingono ad impegnarci sempre più come Chiesa Diocesana a lavorare con loro. La richiesta e l’esigenza erano già emerse nell’assemblea di verifica pastorale di Giugno 2011, e sono state accolte e sostenute dal vescovo nel recente Programma Pastorale Diocesano (2011-2014). In ascolto di queste esigenze e di queste istanze nasce questo sussidio per la “Quaresima Giovani” che vuole essere un itinerario concreto per i giovani della diocesi. La novità di questo sussidio non sta tanto nei contenuti o nelle modalità, quanto nella preparazione che esso presuppone. Il sussidio infatti vuole essere uno strumento per lavorare con gli animatori dei gruppi giovani, per aiutarli concretamente a imparare ad impostare un cammino per i giovani a partire dal Vangelo. Con gli animatori, infatti, vivremo un fine settimana di formazio-
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ne insieme al vescovo sulla figura e sul ruolo dell’animatore dei gruppi giovani. In quell’occasione lavoreremo concretamente con uno stile laboratoriale sull’itinerario da proporre ai giovani nelle parrocchie e nei movimenti e associazioni durante la Quaresima. L’itinerario proposto ai giovani è sulla parabola del Padre misericordioso (Lc 15,11-32) e inizierà con la meditazione del vescovo ai giovani il Venerdì 2 Marzo in Seminario alle ore 21, quindi proseguirà nelle parrocchie, per concludersi con l’Incontro diocesano dei giovani la domenica 1 Aprile. Si tratta di un percorso e un metodo di lavoro sperimentali di un mese circa, pertanto non ci si aspetti che possa esserci tutto quello che si deve dire o fare con i giovani. Il suo scopo infatti è quello di provare a mettere a punto un metodo di lavoro con animatori e gruppi giovani, che ci serva da esperienza e da verifica in vista della elaborazione di un cammino diocesano di pastorale giovanile chiesto dal Programma Pastorale, ma la cui realizzazione chiede un impegno ben maggiore da parte di tutti, e soprattutto, la saggezza di arrivarci per gradi e con un metodo condiviso. Questo sussidio è solo un primo piccolo passo in tal senso che manifesta tuttavia una decisione forte e chiara, quella di camminare insieme ai giovani, un po’ come il Signore Gesù che “prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme” (Lc 9,51). Anche noi vogliamo metterci in cammino insieme ai giovani, noi con loro, noi presbiteri, noi educatori, noi adulti, noi comunità cristiane, noi insieme ai giovani, perché non c’è cammino di fede che si possa proporre ad altri senza essere disposti a farlo insieme con loro. Il cammino non sarà facile, ma certamente lo sarà molto di più se sapremo farlo insieme. d. Cristiano D’Angelo
Dei primi due incontri vengono fornite due schede diverse, una pensata per i gruppi giovanissimi (14-17 anni), una per i giovani più grandi (oltre 18 anni), mentre la scheda per l’incontro di preghiera e per la settimana di esercizi spirituali è uguale per tutti. Infine nell’incontro diocesano dei giovani del 1 Aprile i gruppi giovani della Diocesi si incontreranno per fare festa e condividere insieme al vescovo il cammino fatto nelle parrocchie e così fare una verifica, anche in vista del lavoro da fare per il futuro.
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L’itinerario offerto da questo sussidio è costruito sulla parabola del padre misericordioso di Lc 15,11-32. L’itinerario parte con una meditazione del vangelo, la quale non è presente nel sussidio perché sarà fatta dal vescovo ai giovani della Diocesi nell’incontro del Venerdì 2 Marzo e che costituisce il primo incontro dell’itinerario. Vengono quindi proposti alcuni incontri per un cammino dei gruppi nelle parrocchie da farsi nelle settimane seguenti. I primi due incontri sviluppano il brano del vangelo per favorire l’approfondimento e l’interiorizzazione di alcune tematiche; il terzo costituisce uno schema per un incontro di preghiera o di adorazione. Infine viene proposta una settimana di esercizi spirituali nel quotidiano, dal lunedì al venerdì, da fare possibilmente per zone di modo da favorire anche l’incontro tra i vari gruppi giovani delle parrocchie vicine, facendo già nella preghiera comune una bella esperienza di Chiesa giovane, e allo stesso tempo incoraggiando e aiutando le realtà giovanili più piccole. L’itinerario viene proposto secondo una scansione logica, possibilmente da rispettare, ma da usare adattandolo alle situazioni concrete secondo il giudizio del responsabile del gruppo.
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LA STRUTTURA DEL SUSSIDIO
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Il figlio perduto e il Padre misericordioso Luca 15,1-3.11-32
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Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. 3Ed egli disse loro questa parabola:
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“Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. 25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato””.
Padri e Figli Obbiettivo: far lavorare i ragazzi sul rapporto con la famiglia di origine. Far prendere coscienza delle realtà in gioco e delle dinamiche conflittuali, per rendere i ragazzi più sereni e padroni di sé. Introduzione La storia del figlio minore è la storia di ognuno di noi. E’ la storia di una famiglia dove esistono problemi tra i genitori e i figli. Il Figlio minore desidera allontanarsi dal Padre perché secondo lui il Padre gli deve qualcosa. Agli occhi del figlio minore c’è qualcosa che il Padre non gli ha dato e non gli da e che egli vuole. Il figlio non si sente libero, e vuole dal padre ciò che chiede per fare come vuole e scegliere di vivere la propria vita in libertà. Agli occhi del figlio, il Padre deve dargli quello che gli chiede, perché gli spetta, perché il figlio pensa che senza quello gli manca qualcosa.. Si tratta di far lavorare gli adolescenti su questo, aiutandoli a prendere coscienza del proprio rapporto con i genitori e facendoli poi confrontare tra loro. Questo servirà a relativizzare i problemi che vivono e a dargli il giusto valore, aiutandoli allo stesso tempo ad acquistare maggiore padronanza di sé stessi attraverso una conoscenza di se e attraverso l’ascolto dell’esperienza degli altri. Metodo
I proposta: drammatizzazione II proposta: animazione
I PROPOSTA BREVE TECNICA DI DRAMMATIZZAZIONE DEL VANGELO Si chiede ai ragazzi di leggere con attenzione la parabola, più volte. Si individuano nel gruppo due persone, una che farà il padre, un’altra che farà il figlio minore. Quindi si dividono i restanti in due gruppi, uno che prende le ragioni del figlio minore, e uno che prende le ragioni padre. Oppure si può fare un unico gruppo a cui, di volta in volta, il conduttore della drammatizzazione può ricorrere per chiedere commenti o esprimere un giudizio.
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La parte che mi spetta
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L’animatore deve spiegare bene ai ragazzi che loro sono i personaggi della parabola, che devono calarsi nei personaggi e immaginare perché il figlio minore decide di andarsene, che problemi ci devono essere stati. I due ragazzi non devono fare un ragionamento, ma calarsi nel vissuto umano dei protagonisti, e farli parlare a partire dalla loro esperienza umana. Si può anche immaginare di contestualizzare la parabola al presente, nel mondo di oggi, di modo che ai ragazzi risulterà più facile capire il brano, e immedesimarsi nei personaggi. L’animatore dovrà guidare la dinamica, facendo parlare i personaggi. Prima il figlio minore, chiedendogli cosa pensa di suo padre, se è felice, se secondo lui suo babbo non sbaglia mai, se c’è qualcosa che contesta di suo babbo. Gli domanda se suo babbo lo lascia libero o se invece vorrebbe più libertà, perché non lo fa, come mai? Suo babbo si fida di lui? Non si fida? Perché gli altri amici sono più liberi di lui e invece suo babbo non la lascia libero? Etc. Allo stesso tempo, e a secondo di come si sviluppa il dialogo, l’animatore dovrà far parlare il padre, e domandargli come vede suo figlio. Per quale motivo suo figlio si mostra così ribelle; perché non lo ascolta più come quando era bambino, per quale motivo secondo lui si comporta così; cosa pensa del suo atteggiamento, dei suoi nuovi amici, dei suoi gusti, del perché non gli racconta più tutto, perché gli dice ogni tanto forse anche delle bugie per fare quello che gli pare, etc. Una seconda serie di domande verterà sul tempo in cui il ragazzo si trova da solo lontano dal padre e si diverte, spendendo i suoi soldi senza preoccuparsi di nulla se non di divertirsi. Bisogna qui che l’animatore faccia dire al ragazzo come spende i suoi soldi, come passa il suo tempo libero. Poi deve concentrarsi sul tempo in cui lo lasciano solo. Qui l’animatore domanderà come ci sente a rimanere soli, a vedere che gli altri non ti cercano, quando ha fatto questa esperienza, cosa pensa degli altri e delle amicizie etc. L’importante è far emergere il senso di solitudine e far dire al ragazzo come mai secondo lui a volte non si riesce a creare rapporti veri. L’animatore chiederà ad es. come si sentiva quando tutti lo cercavano perché era ricco, e come si sente ora che è solo, e come questo è potuto accadere. Etc. L’animatore dovrà aver cura di guidare sapientemente il dialogo, dando la voce ai vari personaggi, e ora ragionando sulle cose che vengono fuori, e talora interrogando le folle e chiedendo loro cosa pensano dei ragionamenti che sono emersi, e se prendono le parti
II PROPOSTA - ANIMAZIONE SUL VANGELO - Si rilegge bene il vangelo. - Si consegna ad ogni ragazzo un foglio bianco e una penna e si fanno disporre nella stanza in modo che possano scrivere indisturbati. - Si spiega che vogliamo farli riflettere sul rapporto con la loro famiglia. Il tempo che vivono è segnato da un forte confronto-scontro con i genitori, da momenti di conflitto e di pace, da comprensioni e incomprensioni, da diversità di pareri e di gusti con loro, ecc. L’animazione riuscirà se chi guida l’incontro introduce bene la
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del padre o del figlio. L’animatore deve aver ben chiaro che quanto sta facendo non è un gioco, ma un modo di far entrare i ragazzi dentro le dinamiche del vangelo attraverso il coinvolgimento personale della propria vicenda umana. L’animatore deve sempre aver chiaro dove vuole arrivare, e per far questo deve conoscere bene la parabola e averla studiata, pregata e meditata a lungo. Lo scopo infatti è portare i ragazzi a capire perché nella parabola avvengono certe cose. Lo scopo è far emergere che la vera libertà non passa dalla fuga o dalla ribellione, anche se questo a volte può capitare di viverle, ma dalla presa di coscienza di noi stessi, dalla capacità di mettersi in relazione con gli altri, con il padre e con noi stessi, nella verità. Essendo adolescenti è importante che alla fine emergano i motivi della conflittualità con il padre, e soprattutto fargli capire che quanto accade è il frutto di un normale passaggio dell’adolescenza, dove si ha bisogno di prendere le distanze dalle figure parentali, per acquistare sicurezza di sé, consapevolezza della propria identità, etc. Si dovrà anche far emergere che in questo normale processo di distanziamento è importante essere saggi, perché è un momento anche di debolezza, dove “il mondo”, la società spesso ci seduce, mettendoci davanti modelli di divertimento, di uomo, di piacere e di felicità, che in realtà sono occasioni per sfruttarci, perché portiamo soldi e non per volerci bene. L’animatore deve far emergere che la ricerca di sé e della propria felicità deve passare da una capacità di mettersi in relazione profonda e di riflettere sulle cose, perché altrimenti finirà che sostituiremo al Padre, altri padri, che però invece di volerci bene ci sfruttano finché gli serviamo e poi ci lasciano soli, come nella parabola del figliol prodigo. L’animatore concluderà la dinamica ripetendo i messaggi positivi della parabola emersi tramite la drammatizzazione.
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serietà dell’argomento, aiutando i ragazzi con esempi concreti e a rendersi conto che anche il loro rapporto con i genitori vive momenti a volte di tensione. - Si chiede ai ragazzi di scrivere come vivono il rapporto con i propri genitori, di raccontare in cosa vivono un conflitto, se lo vivono, o che cosa non sopportano del modo con cui i genitori li trattano o li giudicano. E a sua volta i ragazzi come vedono i loro genitori? Cosa gli contestano, cosa gli piace e cosa no. Un modo carino potrebbe essere anche quello di chiedere loro di scrivere una lettera ai loro genitori, oppure lasciare liberi i ragazzi di scegliere la forma letteraria che ritengono più utile in tal senso. - Si raccolgono i fogli che devono essere scritti in forma anonima. Si leggono i fogli, e via via si può commentare gli scritti, sia coinvolgendo i ragazzi, sia sottolineando le tematiche che emergono, avendo cura di spiegare le cose e di evidenziare la normalità di certe dinamiche e soprattutto il senso. L’obbiettivo è far prendere coscienza ai ragazzi che quello che vivono è un’esperienza comune, aiutandoli così a non drammatizzare le cose, ma soprattutto aiutandoli a capire il perché dei conflitti, spiegando loro che sono dinamiche normali del tempo in cui si matura una propria identità.
Conclusioni L’animatore conclude ricordando ai ragazzi che a volte anche con Dio si vivono le stesse dinamiche di allontanamento e conflitto che si hanno con i genitori, ma che Egli ci ama e ci lascia liberi, e che anzi il suo amore è più grande di quello dei genitori, e che per questo ci possiamo rivolgere a Lui con fiducia sempre, perché egli ci capisce e ci può aiutare, anche quando e soprattutto quando nessuno sembra poterci capire e aiutare. Per questo si conclude, magari dandosi la mano e pregando tutti insieme il Padre nostro. PADRE NOSTRO
Obbiettivo: Lavorare sul concetto di libertà. Far maturare l’idea che la libertà è la capacità di essere noi stessi e dare il meglio di sé. La libertà senza un ordine, una regola, una strada che incanala le energie che abbiamo, ci porta a disperderci. Se vogliamo essere liberi e godere della vita e vivere appieno le possibilità che ci sono dentro di noi, dobbiamo imparare a dare un ordine alla nostra vita. Introduzione In questo incontro vogliamo fermarci sul tema della libertà. Quanto è importante la libertà nella nostra vita? Cosa vuol dire essere liberi? Come si fa ad essere liberi e a che serve la libertà? La libertà ci fa felici? Sono questo genere di domande su cui oggi vogliamo lavorare con i ragazzi. La storia del figlio più giovane è la storia di ognuno di noi, ogni volta che cerchiamo spazi per essere noi stessi e fare quello che vogliamo senza preoccuparci degli altri e della verità. Proviamo insieme a confrontarci su questo tema per vedere se possiamo capire in che modo possiamo diventare sempre più liberi e sempre più felici, mantenendo una relazione profonda con gli altri. Attività. “E se fossimo liberi?” - Si chiede ai ragazzi di scrivere le cose che secondo loro sono indispensabili per essere liberi; quelle cose o situazioni (non solo atteggiamenti umani, ma anche esempi di vita personali o non; scelte fatte da persone di cui hanno sentito parlare, o che conoscono del mondo dello spettacolo che secondo loro esprime cosa significa essere liberi, ecc.) senza le quali una persona non è veramente libera. Dopo che hanno scritto si fanno riunire i ragazzi in gruppetti di 4-5 ragazzi e si chiede loro di confrontarsi e di scegliere tra
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“Sperperò tutto... Vivendo da dissoluto”
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tutte le cose che hanno scritto le 3 più importanti, e tra queste quella in assoluto più importante.
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- Quindi lo stesso gruppetto di ragazzi deve fare una piccola rappresentazione, un mimo, o un gesto per dire a tutti l’atteggiamento che è stato scelto, ma senza dire con le parole di cosa si tratta, perché questo devono indovinarlo gli altri gruppi, in una gara a punteggio. Questo si ripete a turno tra i vari gruppi, fino ad esaurimento degli atteggiamenti. Gli altri gruppi che guardano devono prenotarsi correndo verso l’animatore per prendere la bandierina e acquisire così il diritto a rispondere. Una volta preso la bandierina tornano a posto e il portavoce del gruppo risponde. Se sbaglia si riparte da capo fino a che qualcuno indovina. Una volta indovinato si apre la discussione sul perché secondo loro quell’atteggiamento è così importante e si guida il confronto delle idee, avendo cura di dare sempre alla discussione un messaggio positivo, e facendo emergere i pro e i contro delle opinioni dei ragazzi. Si ripete il gioco a turno per ogni gruppo in gara. Sta all’animatore decidere la durata del gioco, avendo cura che duri il tempo giusto. Alla fine della parte di gioco, l’animatore riprende le cose ritenute più importanti dai ragazzi e le scrive in un cartellone, oppure le ripete ad alta voce. - Si conclude ricomponendo il cerchio, e leggendo la prima parte del Vangelo (Lc 15,11-20). L’animatore conclude ponendo l’attenzione sul fatto che la libertà di fare quello che si vuole non è necessariamente legata alla felicità o alla realizzazione di sé, anzi che spesso quando si vive senza un ordine, quando si vive da dissoluti, cioè da disordinati, si finisce per sperperare quello che siamo, impedendoci la possibilità di legare profondamente gli uni con gli altri, e privandoci della possibilità di stabilire legami veri, non solo con gli amici ma anche con Dio. Perché una persona che vive senza legami, senza ordine, è una persona che non si sa come prenderla, è una persona senza orientamento, una per-
Preghiera conclusiva (si recita tutti insieme) O Padre aiutaci a vivere la nostra vita senza superficialità, a dare ordine alle nostre giornate, a imparare ad ascoltare e a fare silenzio perché possiamo capire chi siamo e cosa Tu chiedi a noi. Fa che sappiamo impiegare tutte le nostre energie per diventare ciò che siamo, perché solo così potremo essere davvero felici e sperimentare la gioia che viene dall’essere se stessi nella verità e nell’amicizia con Te e con i fratelli. Per Cristo nostro Signore. AMEN.
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sona che alla fine non è felice, perché non è poter fare tutto quello che si vuole che ci fa felici, ma imparare a vivere quello che siamo. La libertà senza la consapevolezza di quello che è bene, di quello che siamo agli occhi di Dio, diventa un’arma a doppio taglio. Gesù ci ricorda che la Verità ci farà liberi. E la Verità è Lui, è quello che noi siamo e che Egli ha scritto nei nostri cuori. L’animatore concluderà riprendendo le cose dette dai ragazzi e ricordando loro che se non impariamo a conoscerci e capire chi siamo e cosa il Signore vuole da noi, non potremo essere felici, perché non è la libertà che fa felici, ma la verità. La libertà va sempre rispettata e difesa (come il Padre della parabola che come Dio ci lascia anche sbagliare!), ma la libertà ha bisogno di una vita interiore, ha bisogno che noi impariamo a entrare dentro di noi, per ascoltare il mistero della vita che siamo, esattamente come il figlio minore della parabola. Liberi si diventa, è un cammino che passa dalla capacità di maturare una vita interiore. E’ la vita interiore il segreto della libertà che fa felici. Il cammino di gruppo in parrocchia, il dono della fede e la vita nella Chiesa, sono una grande occasione che ci è data per crescere nella vita interiore e diventare persone più vere, più libere e più felici.
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Metodo: Ritrovo In Chiesa o in un luogo accogliente dove sia possibile creare uno spazio di ascolto Lettura Si legge Lc 15,11-32 10-15 min. Rilettura degli appunti dell’incontro con il vescovo, dell’introduzione e delle domande. 45 minuti Scambio sulle domande e sull’incontro del vescovo. Da fare in un ambiente dove si possa sedere in cerchio e guardarsi in faccia. Se il gruppo è troppo numeroso dividersi in gruppetti di una decina di persone. Non è necessario rispondere alle domande una per una, ma condividere partendo da quella su cui ognuno ha riflettuto di più. Chi guida la discussione deve moderare, permettendo lo scambio tra i presenti, ed eventualmente fare sintesi alla fine dell’incontro, a partire dall’insegnamento della parabola. Introduzione Il cammino incontro a se stessi. A partire dal Padre. (Lc 15,11-32) Dio va in cerca di chi è perduto, perché vuole che tutti “si ritrovino”. Tutti noi siamo “perduti”, finche non ci ritroviamo, finche non troviamo il luogo interiore dove è custodito il segreto della vita, dove si trova la luce con cui guardare il mondo con occhi pacificati e sereni, dove si trova l’intelligenza per capire ciò che muove il mondo e la nostra vita, dove si trova la forza di mettersi in relazione autentica con noi e con gli altri, abbandonando ogni logica di giudizio, di potere, e di affermazione sbagliata di sé, dove si trova quel Dio “intimo a noi più di noi stessi”, “quel maestro interiore” (S. Agostino) che è dentro di noi. Se non si trova questo luogo non saremo mai persone profonda-
La capacità di vivere rapporti autentici, di compiere la giustizia, la capacità di essere felici chiedono una profonda libertà interiore, l’autonomia e la sicurezza di sé, la capacità di relazionarsi con sé e con gli altri a partire dall’amore e dalla gratuità. In questa prima scheda vogliamo fermarci su questo perché un cammino di autenticità passa dalla consapevolezza di sé e delle proprie origini, o meglio di ciò da cui noi ci lasciamo generare...
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mente libere e capaci di vivere la propria vita con quella libertà e creatività, con quell’amore che ci rende capaci di donare la vita e di cambiare il mondo secondo l’amore. Uomini nuovi faranno nuovo il mondo. Il viaggio alla scoperta di questo mondo non ha età, ma ha delle tappe, che si fanno quando si comincia a prendere in mano la propria vita e ad affrontare le situazioni, a riflettere sulle cose. Un viaggio che a volte passa da errori e da illusioni. Un viaggio sempre possibile e che dobbiamo intraprendere, e che Dio attende da noi, perché Dio non vuole servi che lo riveriscano, ma figli che liberamente lo amino vivendo la propria vita e condividendo con lui la gioia dei frutti della vita, come nella parabola dei talenti. Dio desidera che ognuno di noi diventi quello che è, e viva la propria vita in obbedienza a ciò che è profondamente, e che coincide con la sua volontà, quel progetto che egli ha pensato per noi e che ha scritto nelle profondità del nostro essere. La scoperta di sé, di quello che siamo e che possiamo diventare, la volontà di Dio per la nostra vita e il suo progetto, non si danno e non si potranno conoscere senza verità, senza giustizia, senza amore. Perché non c’è e non ci può essere una realizzazione di sé che non passi dalla giustizia e dalla verità, da un buon rapporto con gli altri e con se stessi, da una capacità di relazione nella gratuità e nell’amore. Il cammino del figlio minore passa attraverso un duro apprendistato, dove sperimenterà l’illusione dell’essere se stesso senza fare i conti con la propria storia, con le proprie origini, senza fare i conti con la realtà dei propri limiti, e senza fare i conti con la necessità di vivere rapporti non basati sul possesso, sull’affermazione di sé che nasce dal denaro, dal ruolo, dall’importanza che si ha e che diamo a noi stessi.
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SILENZIO (10-15 minuti)
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Alcune Domande per condividere 1) Cosa ti ha colpito di più dell’incontro del vescovo su questa parabola del Vangelo? 2) Perché nonostante il grande amore gratuito e sincero del padre, il figlio minore si vuole allontanare? Cosa gli impedisce di riconoscere quell’amore? Hai mai fatto in tal senso esperienze simili nella tua vita, dove ad un amore sincero non corrispondeva una risposta d’amore? Come mai questo accade? Cosa può insegnarci? 3) L’affermazione di sé è una delle necessità primarie di ogni essere umano. Come vivi questo bisogno? Cosa ha da insegnarci in tal senso questa parabola? 4) La nostra vita è sempre “condizionata”, nel bene e nel male, dal rapporto con la propria famiglia di origine. Tu che rapporto vivi con i tuoi genitori? C’è stato un cambiamento di relazione con loro diventando grande? In che modo hai maturato una libertà di relazione? 5) Non ci sono solo i “padri e le madri” fisiche, ma esiste anche il “padre che è la nostra società”, che ci impone modelli e schemi di comportamento. Quali di questi ti sembrano ci condizionino di più? Che “potere” hanno sulla tua vita? SCAMBIO A PICCOLI GRUPPI PREGHIERA FINALE
Salmo 1 (a cori alterni) Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti, ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte.
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È come albero piantato lungo corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo:
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le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene. Non così, non così i malvagi, ma come pula che il vento disperde;
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perciò non si alzeranno i malvagi nel giudizio né i peccatori nell’assemblea dei giusti,
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PADRE NOSTRO PREGHIERA
O Padre che fai festa per il peccatore che si converte, aiutaci a non dimenticare mai il tuo Amore per noi, perché nelle vicende della vita sappiamo scegliere ciò che è bene e giusto, e così gioire della vita che tu ci hai donato imparando a condividerla con gioia con gli altri e con i fratelli.
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poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina.
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Itinerario Quaresimale per i Giovani in preparazione alla Pasqua
Per Cristo nostro Signore. AMEN
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II SETTIMANA - GIOVANI
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“Sperperò tutto... Vivendo da dissoluto”
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Traccia per l’incontro La scelta di vita del figlio minore lo porta alla fine a ritrovarsi solo, senza nessuno che gli voglia bene o che lo cerchi. Nessuno sembra accorgersi di lui, tanto che non gli permettono di mangiare nemmeno le carrube, il cibo dei porci. La sua vita è diventata insignificante e devastata. Il Vangelo vuole farci riflettere sul fatto che noi non siamo fatti per stare soli, né per vivere una vita come quella in cui si ritrova il figlio perduto. Il Vangelo e il Padre però non ci impediscono di farlo, se noi lo vogliamo. Anzi noi viviamo come decidiamo di vivere, come vogliamo vivere. Dio ci lascia scegliere. Le nostre azioni sono il frutto delle nostre scelte. Le nostre azioni manifestano il nostro pensiero, o meglio manifestano ciò a cui di fatto diamo importanza, e manifestano i modelli di comportamento, le idee di felicità e di benessere, di realizzazione di sé e di affermazione di sé che abbiamo in mente più o meno consciamente. Questa parabola ci testimonia l’esito drammatico che possono avere le nostre scelte. E’ certo che il figlio minore non voleva ritrovarsi così. Eppure ci si è ritrovato. Questo ci invita a meditare sul fatto che molte volte ci ritroviamo come non vorremmo, perché di fatto scegliamo in base quelle che sono immagini di bene e di felicità che non sono vere e autentiche, che non vengono da Dio e nemmeno dalla verità profonda di noi stessi. Per fortuna nella maggior parte dei casi non viviamo disastri così eclatanti come quello della parabola, la quale accentua il disastro proprio perché vuole farci riflettere sul fatto che il modo con cui viviamo produce delle conseguenze ed esprime di fatto un’idea di felicità, di bene e di giusto. La verità di noi, il Bene, la felicità, sono idee che non nascono precostituite, ma che dobbiamo andare scoprendo, riflettendo sulla vita, ed avendo il coraggio di fare delle scelte che conducano la nostra vita verso quello che desideriamo davvero. L’allontanamento del figlio minore prima che un male, o se vo-
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lete “un peccato” contro il padre, è un male contro se stesso. Il Vangelo descrive con due espressioni il cammino incontro al disastro: “disperdere” e “vivendo da dissoluto”. Vivere una vita dispersa e vivere una vita da dissoluti. Cosa significano queste due espressioni? Una vita dispersa è una vita dove si vivono le esperienze senza raccoglierle. Cosa significa raccogliere le esperienze? Significa avere dentro di sé lo spazio e il tempo dove meditare sulle cose che si vivono, dove riflettere sul senso delle cose, dove confrontare le esperienze, dove verificare quello che le esperienze ci lasciano, in bene e in male, dove fare memoria di tutto questo. Quando si vive così, avendo uno spazio interiore dove raccogliere le esperienze si crea la possibilità di scegliere più liberamente e più coscientemente, dove scegliere quello che vogliamo diventare. Una vita dispersa è una vita dove le cose, le scelte, le azioni si fanno non a partire da una riflessione o da una sensibilità maturata in una vita attenta e sapiente. Disperdere vuol dire vivere lasciandoci motivare e spingere nelle scelte dal disordine dei sentimenti, dalle sensazioni momentanee, dagli istinti, dal carattere, dall’abitudine, ecc. Vivere sperperando la nostra vita significa vivere senza pensare a quello che vogliamo essere (spesso giustifichiamo un atteggiamento del genere fraintendendo il detto “vivi l’attimo che fugge”), e quando si vive così finisce che ciò che siamo sono le cose a determinarlo per noi, e non noi, e le cose e le esperienze invece di diventare l’occasione in cui noi viviamo ciò che siamo, diventano ciò che ci fanno essere. Ecco perché quando finiscono i soldi e le possibilità di fare esperienze il figlio minore rimane solo, e si abbrutisce come un animale. Perché è proprio lo spirito che ci differenzia dagli animali, cioè la possibilità di raccogliere dentro di noi la vita, per dare noi forma alla vita. Vivere sperperando, o disperdendo la vita, significa ancora molte cose. Perché si sperpera la vita ogni volta che le nostre azioni non nascono da un’unità interiore, dove le varie dimensioni della nostra vita hanno trovato un equilibrio, o meglio un’unità. E allora capita che si ama a partire dalle emozioni invece di amare con
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tutto noi stessi (mente anima e corpo, direbbe il vangelo), che si giudica a partire dal nostro orgoglio ferito invece che dall’oggettività delle cose, che si fanno scelte a partire dall’interesse personale o di gruppo, e non dal bene. Sono solo degli esempi e se ne potrebbero aggiungere molti altri. L’importante è meditare su questo tema, perché diventarne coscienti ci aiuterà a progredire nel cammino della nostra vita interiore e spirituale. Anche “vivere da dissoluti” non è molto diverso dal “vivere disperdendo”. In greco l’espressione significa “vivere non bene”, vivere scegliendo ciò che non “fa stare bene”, o anche vivere “senza una certezza, sicurezza, stabilità”. Il termine è in greco asotos (a-sotos = non bene, non salutare, ecc. riferito ad es. alla qualità della vita), ed è significativo che da questo termine viene “sofrosune” (in greco da sos+froneo) che significa pensare bene, cioè essere saggi, nel senso di vivere a partire da ciò che si riflette e che si capisce essere un bene stabile e sicuro che rende possibile la vita. Da qui la “sofrosune”, diventa la virtù della temperanza, cioè la saggezza pratica, la capacità di rendere pratica la percezione del bene, l’atteggiamento di chi sceglie a partire dalla percezione di ciò che è bene. Ed è evidente che noi diventiamo il bene che scegliamo, se pertanto scegliamo come bene, i beni materiali, diventeremo tali anche noi, e saremo capaci pertanto di rapporti con gli altri solo a partire da questi, così che quando finiscono i soldi, quando finisce la gioventù e le forze, si perdono le relazioni, si rimane soli, non si sa più dare senso alla vita, alla anzianità, alla malattia, etc. Anche qui è solo un esempio di un discorso più lungo. Ma bisogna notare che la “dissolutezza” è il vivere senza una sapienza. E’ interessante riflettere anche sulla sfumatura latina della parola “temperanza” che evoca anche il temperare, cioè l’idea che per arrivare ad una percezione di ciò che è bene, e a maturare la capacità di viverlo, occorre passare l’esperienza del temprarsi, cioè dello sperimentarsi. Un saggio infatti non è uno che non sbaglia mai, ma uno che riflette sulla vita e capisce dalle esperienze negative o positive, ciò che è utile per temprarsi e renderci più forti, e ciò che invece non serve. Il dissoluto dunque è uno che vive senza preoccuparsi di cosa le proprie azioni produrranno, preoccupato solo di star bene per
ATTIVITA’ - Interiorizzazione personale. Dare un tempo di preghiera e silenzio per riflettere sul tema a livello personale. Chiedere ad ognuno di scrivere quando ha fatto esperienza di “vita sperperata” o “dissoluta” e di raccontare, in forma di diario, di preghiera o altro. Oppure si può semplicemente fare pregare su questo tema attraverso delle domande. Per approfondire e sviluppare il tema Vita dissoluta e ingiustizia nel mondo - Presentare una testimonianza di qualcuno che ha fatto “una vita dissoluta” e confrontarsi. Si può ricorrere a realtà che lavorano con la tossicodipendenza (es. nuovi orizzonti; o altre), oppure a chi lavora con la giustizia (es. la testimonianza di pentiti; di testimoni di giustizia; di persone che hanno cambiato vita; ecc.). Oppure si può ricorrere a esempi storici (es. vite di santi, es. sant’Agostino; o altri…). Si può incontrare o studiare qualche esperienza di persone che combattono l’illegalità o la criminalità che rendono impossibile la vita delle persone, o ammazzano il lavoro, creando disuguaglianza e
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sé, o preoccupato solo di rispondere alle urgenze degli istinti, o alle voglie, o ai bisogni. E’ una vita destinata al disastro, se non quello economico certamente a quello personale e relazionale. Anzi bisogna riflettere che se c’è uno “sperperare” e un “vivere da dissoluti” a livello personale c’è anche a livello comunitario e sociale. Una riflessione adulta non deve infatti farci dimenticare che le nostre scelte dissolute non sono solo quelle che rovinano la nostra vita o di chi ci sta vicino, ma sono anche quelle, economiche, politiche e sociali, che rovinano la vita del mondo e della natura, in cui tutto ormai tutto reso vicino dalla globalizzazione. Cristiani adulti devono riflettere attentamente su queste cose, perché la nostra vita personale come il mondo è l’eredità che Dio ci ha affidato e che noi non possiamo permetterci di disperdere per gli stili di vita dissoluti e sperperati che troppe volte ci sembrano normali.
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ingiustizia. Ecc.
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- Studiare qualche caso dove i nostri stili occidentali di vita “dissoluta” o “sperperata” provocano ingiustizia o violenze o disastri nel mondo (può essere utile ad es. consultare riviste specializzate come “altraeconomia”, o il giornale di informazione della Caritas Nazionale; ecc.) per far vedere come le nostre scelte incidono in tutto il mondo e avviare una riflessione sulla necessità di nuovi stili di vita, temperanti, sobri, giusti.
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Guida alla Preghiera Introduzione Stasera vogliamo vivere un momento di preghiera per aiutarci a fare l’esperienza del figlio minore della parabola. Nella sua storia il momento decisivo in cui ritrova la speranza e trova la forza per cambiare la sua vita, in cui capisce la propria vicenda in modo nuovo e si rimette in cammino verso la casa del Padre, tutto questo avviene quando egli “andò verso di sé” (eivj e`auto.n de. evlqw.n). Questa espressione del Vangelo ci richiama alla verità della vita interiore, della vita spirituale. Se all’inizio della parabola questo figlio decide di andare lontano e si disperde, adesso decide di “andare verso se stesso”, rientra in sé, e lì scopre che ciò che cercava non era lontano, ma era dentro di sé. Perché la questione non è essere lontano o vicini, ma aver trovato dentro la forza, lo Spirito, con cui vivere le cose. Finché non si trova dentro di noi lo Spirito che sempre c’è per vivere la vita e realizzare quello che tutti desideriamo, la verità, il bene e la bellezza, finché non si trova questo si può rimanere a casa come il figlio maggiore o andare lontano come quello minore, ma non saremo mai felici, non saremo mai davvero noi stessi. Gesù dirà che il Regno di Dio è “in mezzo a voi”, usando un’espressione che significa sia “fra di voi”, ma anche “dentro di voi”, cioè nel vostro cuore, nella vita di ognuno di voi. Ma occorre “entrare” dentro di sé, cioè occorre mettersi in ascolto della vita, imparare a fare silenzio per discernere il valore delle cose, occorre imparare a pregare. Prega e vedrai che Dio ti parla. Mettiti in silenzio e comincia a riflettere e il Signore ti mostrerà la strada. Mettiti in ascolto con il sincero proposito di conoscere la verità, di voler fare solo ciò che è giusto, disponibile a riconoscere i tuoi errori, con l’umiltà di chi cerca, e con la pazienza di chi sa attendere e Dio piano piano ti mostrerà la strada. “Rientrare in se stessi” è una frase che esprime il segreto di una vita interiore, una vita di
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“Allora ritornò in se stesso”
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III SETTIMANA GIOVANI E GIOVANISSIMI
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preghiera, che si impara praticando il silenzio, l’ascolto, meditando la Parola di Dio e le ispirazioni del cuore. La vita interiore è il segreto della forza dei santi, è la sorgente inesauribile della gioia, della speranza, della concretezza, della carità, della pace e dell’impegno per la giustizia. La vita interiore è il segreto che ci rende liberi e autentici, capaci di relazioni vere e profonde. Vogliamo dunque fare un momento di preghiera, un esercizio concreto di vita interiore per fare esperienza della bellezza di mettersi davanti a Dio e a noi stessi.
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SCHEMA PER LA PREGHIERA Si inviti a mettersi in uno stato di preghiera, trovando anche con il corpo una posizione adatta alla concentrazione, all’ascolto, alla contemplazione e alla meditazione. Si può fare adorazione esponendo il santissimo durante il canto, oppure si può preparare un’icona del Signore a cui accendere due candele.
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L’Abbraccio del Padre
INVOCAZIONE INIZIALE (a cori alterni)
Vieni o Padre e rendi attenti i nostri cuori a Te che ci parli nel silenzio Vieni Gesù, Guida dei credenti, insegna a noi che siamo dispersi la strada dell’unità e dell’interiorità Vieni o Spirito, respiro di tutte le cose, donaci la sapienza che conduce alla vita Vieni Signore in mezzo e suscita in noi l’Amore che tutto può e di nulla ha paura
I tempo di contemplazione Si legge Lc 15,11-16 “Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Invito alla preghiera In questo primo momento di silenzio siamo invitati a meditare sui nostri “allontanamenti” e su quanto nella nostra vita abbiamo “disperso” vivendo “da dissoluti”. Si tratta di prendere coscienza
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Canto iniziale
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della grandezza di Dio che ci lascia liberi, ma anche della verità di noi stessi, che affidiamo a Dio, il cui Amore non ci abbandona e che ci perdona offrendoci sempre la possibilità di un nuovo inizio e di una vita nuova nell’amore. Silenzio (10 minuti) Richieste di perdono Ogni due o tre (o a seconda del numero dei presenti) si canta: “Kirye, Christe, Kirye eleyson”/ in alternativa si può rispondere semplicemente: “Signore pietà”.
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II tempo di contemplazione
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Si legge Lc 15,17-20a Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.
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Invito alla preghiera Durante il silenzio chiediamo al Signore di farci capire di cosa abbiamo bisogno per vivere la vita senza disperderla, vivendo profondamente quello che siamo e che Egli vuole. Nel silenzio e nella meditazione Egli ci ispirerà un dono da chiedere, un atteggiamento di vita (ad es. pazienza, semplicità, concretezza, fiducia, impegno, fedeltà, generosità, ecc. ecc.), qualcosa che Egli ci fa capire necessario per fare quel cammino verso noi stessi e verso di Lui e senza il quale non possiamo essere felici, senza il quale siamo soli, senza di Lui e senza i fratelli e le sorelle. Silenzio (10 minuti) Gesto. Preghiera e Accensione di un lumino Uno per volta ci si alza in piedi e si accende un lumino. Quindi si chiede nella preghiera con la formula indicata sotto, il dono pensato nel silenzio; poi si depone il lumino sull’altare o davanti all’icona del Signore. “Signore donami la ……………… per trovare me stesso e Te.
Invito alla preghiera Contempliamo in silenzio l’Amore del Padre che ama la nostra libertà, e accetta la nostra volontà, che pur sapendo ciò che è bene per noi non ce lo impone, ma attende che noi comprendiamo la verità e ritroviamo noi stessi. Meditiamo su questo Amore che ci insegna il rispetto, che soffre in silenzio, che attende il nostro ritorno, che non ci impone la sua presenza, che ci accoglie e non ci rinfaccia i peccati. Un Amore che ha dentro di sé lo spazio per accoglierci, come il seno di un madre ha spazio per il figlio; un Amore che passa dalla capacità di rinunciare ad affermare le proprie ragioni e il proprio diritto pur che l’altro maturi liberamente la volontà di condividersi e di amare nella libertà. L’Amore del Padre è come l’Amore del Figlio crocifisso, è lo stesso Amore, che se teniamo sempre nel cuore ci aiuterà a vivere la vita con fiducia, a risollevarsi dopo ogni errore, a sperare e a credere. Confrontiamo la nostra capacità di amare con quella del Padre della parabola. E domandiamoci se siamo capaci di perdono e accoglienza o se ci ritroviamo piuttosto nello sdegno e nella rabbia del figlio maggiore? L’Amore del Padre è il modello di ogni amore cristiano. Esso deve ispirare tutte le nostre azioni ad ogni livello. Che difficoltà sperimentiamo a vivere un amore di tal fatta? Ad amare come il Padre ci si deve educare. Cosa possiamo fare a livello personale nella nostra vita, e cosa sarebbe necessario per maturare un amore di tal genere?
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Si legge Lc 15,20b-24 Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
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III tempo di contemplazione
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Silenzio (10 minuti) Gesto finale: l’abbraccio del Padre Tutti si inginocchiano. Come il figlio minore anche noi ci mettiamo davanti a Dio nella verità. Il presbitero, o chi guida la preghiera, ci viene incontro e ci fa alzare e in segno dell’amore del Padre che ci vuole fare uguali a Lui ci abbraccia. Quindi si resta in piedi finchè tutti hanno compiuto il gesto. Si conclude con il Padre nostro recitato tutti insieme. PADRE NOSTRO
Itinerario Quaresimale per i Giovani in preparazione alla Pasqua
ORAZIONE FINALE E BENEDIZIONE (se si è fatta l’adorazione si ripone l’Eucarestia)
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O Padre ti ringraziamo del tuo amore che ci attende e ci precede. Aiutaci a tenere nel cuore la memoria di Te, perché sempre e in ogni luogo viviamo con la gioia della tua presenza, per non sprecare la nostra vita e impiegare il nostro tempo e le nostre energie secondo il tuo progetto di amore, di verità e di giustizia. Tu che vivi e Regni per tutti i secoli dei secoli. AMEN Canto finale
Esercizi Spirituali nel Quotidiano “Il Padre, il Figlio, il Fratello” (Lc. 15,11-32)
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Diocesi di Pistoia
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IV SETTIMANA
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esercizi spirituali i giorno
“Dammi la parte dei beni che mi spetta” Canto iniziale Guida - Siamo riuniti insieme nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo Tutti - Amen
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Invochiamo insieme lo Spirito Santo:
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Spirito di verità premio dei santi luce delle tenebre ricchezza dei poveri tesoro di quelli che amano sazietà degli affamati consolazione dei pellegrini: vieni consuma in noi tutto ciò che non ci permette di essere pienamente abitati da te
(S. Maria Maddalena de’ Pazzi- +1607)
Dal vangelo secondo Luca (15,11-14) Gesù disse ancora: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 1 responsorio: (dal Salmo 87/88) Guida - Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte. Tutti - Giunga a te la mia preghiera, tendi l’orecchio al mio lamento
2 responsorio: (dal Salmo 34/35) Guida - Sei tu che mi hai tratto dal grembo, mi hai fatto riposare sul petto di mia madre. Tutti - Al mio nascere tu mi hai raccolto, dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio. Da me non stare lontano perché l’angoscia è vicina e nessuno mi aiuta. Silenzio Per la riflessione personale: Il punto del racconto: Il racconto del Padre misericordioso, comunemente chiamato parabola del figliol prodigo, si apre dinanzi ai tuoi occhi con la presentazione dei suoi personaggi principali. Il Padre, due figli (presentati come tali, mentre non si accenna all’inizio che sono
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Dalle confessioni di Sant’Agostino Tu tacevi, Dio mio, mentre mi allontanavo da te? Tacevi davvero, allora, per me? E di chi erano se non tue le parole che mi cantavi nelle orecchie per bocca di mia madre, a te fedele? Ma non mi scendevano in cuore, nemmeno una ci arrivava per tradursi in fatti. Lei voleva che io rinunciassi agli amorazzi … E a me parevano consigli da donne, che mi sarei vergognato di seguire. E invece erano i tuoi, e io non lo sapevo e credevo che tu tacessi e che a parlare fosse solo lei, quella di cui tu ti servivi per non tacere: e in lei io disprezzavo te, io, sì, suo figlio, figlio della tua ancella, servo tuo. Ma lo ignoravo e correvo a precipizio, talmente cieco da vergognarmi di esser meno svergognato dei miei coetanei. Li stavo a sentire mentre si vantavano dei loro vizi e più erano brutti più se ne gloriavano, e quel che piaceva era fare non solo per il piacere del fatto, ma anche per il prestigio che ne conseguiva. Che cosa meriterebbe di esser biasimato più del vizio? Ma io diventavo più vizioso per non essere biasimato, e quando per difetto di colpe non arrivavo alla pari coi peggiori, mi inventavo azioni che non avevo commesso, per paura di apparire tanto più meschino quanto meno ero colpevole, e di esser giudicato tanto più vile quanto più ero casto.
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ovviamente anche fratelli). Di questi due figli si dice che uno è più giovane e uno più vecchio. Le loro esigenze sono diverse. Il figlio minore vuole fare le sue esperienze e non vede l’ora di allontanarsi dalla sua famiglia. Del più grande non si dice niente, ma dal racconto si sa che si sentiva figlio, ma non fratello. Il giovane chiede al padre la parte che gli spetta e inizia la sua avventura. Poni attenzione ai verbi di questi pochi versetti, potrai capire meglio cosa passa per la testa del giovane e cosa sta accadendo nella sua vita. I verbi del giovane sono evidenziati dal grassetto corsivo e quelli del padre solo dal corsivo. Il verbi del figlio giovane sono tutti relativi alle cose da possedere, poi possedute e infine disperse. La sua vita si misura sul piano dell’avere, del diritto di avere, del diritto di sperperare e vivere da dissoluto, fino a quando cadde nella necessità. Il padre invece obbedisce paradossalmente al figlio e divide tra i due fratelli i beni che spettavano loro. In pochi giorni il figlio minore riesce ad essere molto lontano dalla casa del padre e riesce pure a perdere tutto il suo patrimonio. Il primo passo della preghiera: dove ti trovi interiormente? Il primo passo della tua preghiera personale è quella di creare dentro di te il silenzio e lasciare ogni preoccupazione. Se hai qualche pensiero che ti turba non lo combattere, ma consegnalo al Signore. Chiediti “dove” ti trovi in questo momento. Quali sono le tue preoccupazioni più profonde, le ansie che senti di avere dentro. Chiediti come stai davanti a Dio e agli altri: senti di avere dei diritti da avanzare, ti aspetti sempre qualcosa dagli altri? Quali sono i tuoi sogni? Senti di disperdere i doni di Dio, le tue doti, la tua intelligenza, la tua capacità di amare? Ti senti lontano da Dio e preso da te stesso? Ti senti svuotato dalla vita che vivi in fretta o in modo disordinato? Senti di avere fame di verità e di pace? Chiedi a Dio la grazia di esser consapevole della tua fame e del bisogno che hai di Lui. Invocazioni spontanee: presentiamo al Signore la nostra situazione di vita.
(Esempio: Mi trovo Signore nel conflitto… nella distrazione... nel disordine… nella gioia ma la vivo da solo ecc.)
Preghiera corale conclusiva
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Guida - In questo momento di preghiera vogliamo semplicemente elencare le nostre situazioni di vita, le presentiamo a lui nella consapevolezza che lui ci conosce ci vede e sa dove ci troviamo interiormente in questo momento. Trova una parola chiave e condividila a voce alta. Tra una condivisione e l’altra diciamo: Signore donami la tua forza!
Signore Eccomi dinanzi a te così come sono con le mie paure, i miei tentativi di fuga la voglia di sentirmi al massimo ad ogni costo, senza inibizioni e senza freni, le mie avidità e i miei istinti. Donami di vivere i beni che mi dai, rimanendo sempre in relazione con te. Non permettere che metta a tacere la “fame” della tua presenza e la “sete” della tua Parola anestetizzando le mie insicurezze e le mie fragilità con gioie effimere e false. Tu Signore sei sempre con me: non permettere che mi allontani da te Non basta che Tu sia con me, fa che anch’io sia sempre con te.
Padre nostro Guida -
Preghiamo: Padre facci riscoprire il tuo volto e guidaci nella profondità delle nostre tenebre, perché cerchiamo con forza la tua luce. Donaci di provare un profondo desiderio del tuo amore perché non ci stanchiamo mai di cercarti. Per Cristo nostro Signore. Amen
Canto finale
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(può farla o un solista, o tra solista e tutti alternandosi da un punto all’altro)
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esercizi spirituali iI giorno
“Rientrato in se stesso disse: mi alzerò e andrò da mio padre” Canto iniziale Guida - Siamo riuniti insieme nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo Tutti - Amen
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Invochiamo insieme lo Spirito Santo:
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Siamo qui dinanzi a te, Spirito Santo, sentiamo il peso delle nostre debolezze, ma siamo tutti riuniti nel tuo nome vieni a noi, assistici, scendi nei nostri cuori, insegnaci tu ciò che dobbiamo fare, mostraci tu il cammino da seguire, compi tu stesso quanto da noi richiedi
(S. Isidoro di Siviglia,+636)
Dal vangelo secondo Luca (15,15-19) Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 1 responsorio: (dal Salmo 139) Guida - Dove andare lontano dal tuo spirito? Dove fuggire dalla tua presenza? Se salgo in cielo, là tu sei; se scendo negli inferi, eccoti. Tutti - Se prendo le ali dell’aurora per abitare all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano e mi afferra la tua destra.
2 responsorio: (dal Salmo 139) Guida - Se dico: “Almeno le tenebre mi avvolgano e la luce intorno a me sia notte”, Tutti - nemmeno le tenebre per te sono tenebre e la notte è luminosa come il giorno; per te le tenebre sono come luce. Silenzio Per la riflessione personale Il punto del racconto: Il giovane ha sperperato tutti i suoi beni e la scelta della separa-
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Dalle confessioni di Sant’Agostino Non essere vana anima mia, non assordare le orecchie del cuore col frastuono della tua vanità. Tu pure ascolta: la parola stessa ti chiama per farti tornare: là, al luogo della quiete imperturbabile, dove l’amore non è tradito se non è lui che tradisce. Vedi le cose: quelle se ne vanno per lasciare il posto ad altre e costituire nella sua totalità la parte inferiore dell’universo. “Me ne vado io?” domanda la parola di Dio. Stabiliscila lì la tua dimora, affida a lei quanto da lei ti viene, anima mia stanca di delusioni. Affida alla verità tutto quello che dalla verità ti viene, e non perderai nulla, e ciò che era appassito in te rifiorirà e saranno guarite le tue malinconie e il flusso del tuo vivere sarà ricostituito e rinnovato e si conterrà in te: e non precipiterà per deporti in fondo alla cascata ma resterà con te: durando immobile, rivolto al Dio che è sempre perdurante e immobile. Stimolato a rientrare in me stesso, sotto la tua guida, entrai nell’intimità del mio cuore, e lo potei fare perché tu ti sei fatto mio aiuto (cfr. Sal 29, 11). Entrai e vidi con l’occhio dell’anima mia, qualunque esso potesse essere, una luce inalterabile sopra il mio stesso sguardo interiore e sopra la mia intelligenza. Non era una luce terrena e visibile che splende dinanzi allo sguardo di ogni uomo. Direi anzi ancora poco se dicessi che era solo una luce più forte di quella comune, o anche tanto intensa da penetrare ogni cosa.
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zione dalla casa del padre comincia a scricchiolare, a non reggere più, ad esaurire il suo fascino. E’ vero, essere felici da soli è un’illusione. Prima o poi arriva il momento della fame e del bisogno e allora la solitudine diviene un peso, il pensare solo a se stessi si rivolta contro il proprio interesse personale. Sì, nessuno gli dava nulla al giovane che aveva scelto come filosofia di vita la separazione dalla casa del padre e la facile via della libertà di fare quello che gli pare. Si può notare che il rientro in se stesso scaturisce solo da una necessità: il bisogno lo spinge agli altri. E’ un incorreggibile opportunista, eppure nell’economia del racconto si capisce che Dio lo guida anche dentro i suoi limiti. Se potesse farebbe ancora meno degli altri, di una fonte di sussistenza, ma ora non lo più fare. Il cammino riprende per convenienza. Ancora il giovane non ha cambiato la sua testa e il suo cuore. A che punto del racconto fa lo scatto in avanti? Quando incomincia ad attivarla sua memoria confrontando la vita presente con quella passata. L’abbondanza e la fame si confrontano, la scoperta di ciò che nutre e di ciò che svuota danno a lui la direzione del cammino. Così rientra in se stesso, si arrende, cambia direzione, si rialza. Tornerà dal suo padre consapevole di aver perso la fonte della vita: prima era figlio ora la massimo potrà tornare ad essere un garzone. Il rapporto con il padre non è più regolato da ciò che spetta, ma dalla speranza del suo amore. Fermati sull’avverbio di tempo “allora” e ripercorri la discesa del giovane e l’inizio della sua risalita. Il secondo passo della preghiera: rientra in te stesso Il secondo passo della tua preghiera personale è quella di non fuggire da te stesso. Fermati e guardati dentro. T’invito a non farlo con senso di ripiegamento interiore o in senso solo introspettivo e vittimistico. Resta fermo su quello che ti dà noia di te non avere paura. Lascia che sui tuoi limiti i tuoi fallimenti, si posino gli occhi del Padre. Puoi sentire il suo sguardo su di te se lasci emergere la “nostalgia” del suo amore e non delle cose di prima. Il desiderio di lui che era il tuo vero patrimonio. Un bene che non diminuisce se lo condividi con i tuoi fratelli. Chiediti: cosa ho sbagliato? Da dove devo rialzarmi e verso dove devo andare?
Invocazioni spontanee: chiediamo perdono al Signore. Guida - In questo momento di preghiera vogliamo chiedere al Signore perdono per tutte le volte che lo abbiamo messo da parte, per tutte le volte che abbiamo rinunciato alla nostra parte migliore e ci siamo chiusi nei nostri egoismi. Esprimi una richiesta di perdono a voce alta. Diciamo: Padre abbi pietà di me
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Chiedi perdono al Signore fallo con coraggio. Riprenditi la confidenza di un figlio con il proprio padre.
Preghiera corale conclusiva Signore fammi rientrare in me stesso senza paura. Fa che ritrovi il centro della mia persona e fa che questo centro non sia ancora una volta l’amore di me stesso. Per questo purifica i miei desideri. Purifica anche quelli che mi sembrano buoni perché mi capita spesso di partire bene e di perdermi poi lungo la via. Serviti pure dei miei limiti Signore: se mi scandalizzo di me, fa che non mi volga altrove e che riconosca con sincerità come mi ero sopravvalutato. Perdonami. Dammi la forza di rientrare in me per rivedere te. Dammi la forza di rientrare in me per far memoria del tuo amore, degli incontri che mi hanno fatto crescere. Fammi intuire in questo momento la grandezza del tuo amore gratuito perché possa ancora desiderare di essere tuo figlio per sempre.
Padre nostro Guida - Preghiamo: Padre che attendi il nostri ritorno, guidaci con la tua Parola alla memoria del tuo amore e al esiderio di celebrare di nuovo con te l’incontro che ci ridona ogni volta, nuovamente, la vita. Per Cristo nostro Signore. Amen Canto finale
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(può farla o un solista, o tra solista e tutti alternandosi da un punto all’altro)
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esercizi spirituali iII giorno
“Il padre lo vide” Guida - Siamo riuniti insieme nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo Tutti - Amen
Itinerario Quaresimale per i Giovani in preparazione alla Pasqua
Invochiamo insieme lo Spirito Santo:
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Spirito Santo Tu sei fuoco: accendi in me il fuoco del tuo amore. Tu sei luce: illuminami, fammi conoscere le realtà eterne. Tu sei colomba: donami un agire puro. Tu sei lingua di fuoco: insegnami a lodarti continuamente Tu sei nube: avvolgimi nell’ombra della tua protezione. Dammi vita con la grazia, santificami con la carità, dirigimi con la sapienza, nella tua bontà adottami come figlio e salvami nella tua misericordia. Amen (S. Alfonso Maria de’ Liguori +1787)
Dal vangelo secondo Luca (15,20-24) Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. 1 responsorio: (dal Salmo 139) Guida - Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri, - osservi il mio cammino e il mio riposo, ti sono note tutte le mie vie. La mia parola non è ancora sulla lingua ed ecco, Signore, già la conosci tutta.
2 responsorio: (dal Salmo 139) Guida - Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio! Tutti - Se volessi contarli, sono più della sabbia. Mi risveglio e sono ancora con te. Silenzio Per la riflessione personale Il punto del racconto: Quanta forza nelle parole si “alzò e tornò da suo padre”! Esse riassumono tutto il cammino del ritorno del figlio minore alla casa del Padre. Il verbo alzarsi esprime non solo l’azione di chi dal basso torna a stare in piedi, riappropriandosi della sua dignità, ma suggerisce l’idea di una vera e propria resurrezione, il passaggio dalla morte alla vita. Questo verbo, infatti è impiegato an-
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Dalle confessioni di Sant’Agostino Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte. Appena ti conobbi mi hai sollevato in alto perché vedessi quanto era da vedere e ciò che da solo non sarei mai stato in grado di vedere. Hai abbagliato la debolezza della mia vista, splendendo potentemente dentro di me. Tremai di amore e di terrore. Mi ritrovai lontano come in una terra straniera, dove mi parve di udire la tua voce dall’alto che diceva: «Io sono il cibo dei forti, cresci e mi avrai. Tu non trasformerai me in te, come il cibo del corpo, ma sarai tu ad essere trasformato in me». Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato. Ed ecco che tu stavi dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo. E io, brutto, mi avventavo sulle cose belle da te create. Eri con me ed io non ero con te. Mi tenevano lontano da te quelle creature, che, se non fossero in te, neppure esisterebbero. Mi hai chiamato, hai gridato, hai infranto la mia sordità. Mi hai abbagliato, mi hai folgorato, e hai finalmente guarito la mia cecità. Hai alitato su di me il tuo profumo ed io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato e ora ho fame e sete di te. Mi hai toccato e ora ardo dal desiderio di conseguire la tua pace.
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che quando il vangelo narra la Resurrezione del Signore. Alla fine del racconto il padre stesso affermerà che questo figlio da morto è tornato ad essere vivo. L’altra azione del figlio è espressa così: andrò da mio padre. Se il verbo alzarsi descrive il fatto della sua resurrezione, questa seconda parte della frase dice il contenuto della vita che ha ritrovato. Il suo rialzarsi, è rompere il cerchio della chiusura su se stesso, sui suoi egoismi, sul puntare tutto su una felicità esclusiva degli altri. In senso positivo tutto questo significa tornare alla relazione con il padre. I versetti seguenti ci descrivono il contenuto di questa resurrezione: il figlio incontra il padre. Con sorpresa il racconto ci tiene a comunicare che il figlio è visto dal padre prima ancora che arrivi alla casa. Quello sguardo sull’orizzonte non si era mai spento. Verosimilmente non passava giorno che il Padre guardasse in lontananza la strada del ritorno del figlio. Il figlio scopre così in quell’abbraccio e in quell’accoglienza del Padre scopre di essere stato amato, anche quando lui non riamava. E’ questa gratuità del Padre che salverà il figlio e gli darà la libertà di dire “ Padre ho peccato non sono degno di essere chiamato tuo figlio”. Una libertà che è verificata da una sincera umiltà: avrebbe voluto continuare con “trattami come uno dei tuoi garzoni..” Il padre non gli fa finire il discorso e subito indice la festa. Sì, è festa per il miracolo più grande che può accadere a un uomo: vincere la morte e la solitudine dell’egoismo, con la vita di relazione e la fiducia nell’amore. Il terzo passo della preghiera: contempla lo sguardo di Dio Il terzo passo di preghiera nei nostri esercizi è quello di provare a raccontare al Signore la verità della nostra vita e affidarla a lui. Parla con lui e prova a sentire il suo sguardo su di te. Dio ti ama sempre per primo. Fai memoria del tuo cammino e riconosci la sua presenza nella tua vita. Prova ad entrare nel racconto e cerca di contemplare il bisogno del figlio di essere sincero davanti all’amore del padre e nello stesso tempo la gioia del padre di poter riabbracciare il suo figlio. Entra nella gioia dell’incontro e immergiti in essa. Prova a rintracciarla nella tua vita: credi di aver mai provato una gioia simile? Quando? Ringrazia il Signore con gioia e rimani in silenzio.
(può farla o un solista, o tra solista e tutti alternandosi da un punto all’altro) Signore Ti ringrazio perché mi ami in modo personale e unico. Il tuo amore e il tuo perdono sono per me concretamente la possibilità di ricominciare da capo. Il tuo amore e il tuo perdono sono per me il fondamento della mia dignità. So che non posso gustare la tua tenerezza se non mi metto al tuo cospetto nella verità. So, o Signore, che anche una briciola di orgoglio, di “se” e di “ma”, sono come il lievito vecchio che impediscono alla pasta della mia vita di crescere e diventare pane fragrante per la fame di chi incontro. Donami di sentire che ho accesso alla festa dell’incontro con te, solo attraverso il tuo sguardo che mi vede di lontano. Fa che non mi nasconda mai ai tuoi occhi, perché essi sono lo specchio in cui mi riconosco e mi ritrovo. Tienimi stretto nel tuo abbraccio perché anch’io possa cominciare a far festa perché Signore ero morto e ora di nuovo sono vivo. Separato da te muoio, in relazione con te sento che di nuovo la mia vita si risveglia piena di desideri di amore.
Padre nostro Guida - Preghiamo: Padre ora che siamo tornati alla tua casa, donaci di vivere il dono del tuo amore lasciando che la tua gratuità deterga il nostro orgoglio e curi la nostra fragilità. Donaci di gustare il tuo amore e di abbandonarci al tua abbraccio paterno. Per Cristo nostro Signore. Amen Canto finale
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Preghiera corale conclusiva
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Itinerario Quaresimale per i Giovani in preparazione alla Pasqua
Invocazioni spontanee: esprimiamo la gioia dell’incontro. Guida - In questo momento di preghiera vogliamo ringraziare il Signore perché è sempre con noi ed è pronto ad accoglierci in ogni momento. A partire dalla tua esperienza ringrazialo a voce alta. Ad ogni preghiera ripetiamo: Padre ti ringraziamo per il tuo amore.
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esercizi spirituali iV giorno
“Il fratello non volle entrare” Canto Guida - Siamo riuniti insieme nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo Tutti - Amen
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Invochiamo insieme lo Spirito Santo:
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Spirito Santo, vieni nel mio cuore: per la tua potenza attiralo a te, Dio vero. Concedimi carità e con essa il timore. Custodiscimi da ogni pensiero malvagio, riscaldami e infiammami con il tuo dolcissimo amore, così che ogni peso mi sembrerà leggero. Amen (S. Caterina da Siena +1380)
Dal vangelo secondo Luca (15,25-28) Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 1 responsorio: (dal Salmo 36/37) Guida - Sta’ in silenzio davanti al Signore e spera in lui; non irritarti per chi ha successo, per l’uomo che trama insidie. Tutti - Desisti dall’ira e deponi lo sdegno, non irritarti: non ne verrebbe che male. Dagli scritti di K. Barth (+ 1968) Signore nostro Dio! Quando la paura ci prende, non lasciarci disperare! Quando siamo delusi, non lasciarci diventare amari! Quando siamo caduti, non lasciarci a terra! Quando non comprendiamo più niente e siamo allo stremo delle forze, non lasciarci perire! No, facci sentire la tua presenza e il tuo amore che hai promesso ai cuori umili e spezzati che hanno
2 responsorio: (dal Salmo 36/37) Guida - Il Signore rende sicuri i passi dell’uomo e si compiace della sua via. Tutti - Se egli cade, non rimane a terra, perché il Signore sostiene la sua mano.
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timore della tua parola. E’ verso tutti gli uomini che è venuto il tuo Figlio diletto, verso gli abbandonati: poiché lo siamo tutti, egli è nato in una stalla e morto sulla croce. Signore, destaci tutti e tienici svegli per riconoscerlo e confessarlo.
Il punto del racconto: L’incontro con il padre diviene anche incontro con i fratelli. Il racconto ci fa intravedere la psicologia del fratello che era rimasto in casa. Di lui si dicono molte cose tra le righe. Al ritorno del fratello si irrita per l’atteggiamento del Padre e non riesce ad entrare nella sua logica di amore e di perdono. Questo modo di fare spinge a chiederci se il fratello maggiore non si sentisse migliore di quello minore. Il suo sentirsi a posto non gli permetteva di recepire l’amore gratuito del padre. Lui era rimasto a casa e quindi si meritava tutto quello che chiedeva e anche quello che non chiedeva. Il sentirsi a posto dava al fratello maggiore l’illusione di una relazione con il padre. Egli era molto preoccupato della sua posizione e ai suoi occhi risaltavano sempre i suoi meriti e mai l’amore gratuito del padre. Per questo motivo la gioia del padre per il ritorno del figlio lo offende e si trasforma in una sorta di declassamento personale. Il rifiuto di entrare alla festa, non ferma l’amore del padre che ama tutt’e due i figli e che esce per questo a supplicare il fratello maggiore. A questo punto anche lui può iniziare il suo cammino di ritorno al padre. Era rimasto in casa, ma il suo cuore era molto lontano dall’amore di quella dimora. Il quarto passo della preghiera: apriti all’incontro con gli altri Il quarto passo di preghiera di questo itinerario è quello di aprirti agli altri. Se cerchi l’amore del Padre sappi che l’autenticità del tuo cammino è data dall’amore che porti a chi ti sta intorno. La
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Per la riflessione personale
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preghiera di questa giornata vuole essere un’occasione di comunione con gli altri. Per questo t’invito a sentire la supplica del padre, affinché tu entri in casa, alla festa e tu senta di essere parte dell’umanità. Se ti sentirai troppo unico rispetto agli altri, spesso incompreso, deluso dagli altri ... e compreso solo da Dio, allora l’icona del fratello maggiore ti aiuterà a esprimere i tuoi sentimenti davanti a Dio Padre. Se invece ti senti semplicemente solidale con il fratello maggiore e senti di capire molto bene il suo ragionamento, chiedi al Signore la grazia di illuminarti con la sua Parola perché il tuo amore si riempia del suo e ti disponga a donare la tua vita senza fare troppi calcoli. Se ti lasci amare dal Signore, il Suo amore in te diverrà una fonte che si riversa su coloro che incontri. Chiediti qual è la supplica di Dio perché tu partecipi alla festa dell’Incontro con gli altri? Invocazioni spontanee: apriamoci alla comunione Guida - In questo momento di preghiera vogliamo raccogliere l’appello che Dio ci rivolge perché la festa del ritorno di un amico, divenga la festa della comunione fraterna. Ciascuno di noi è invitato a dire quale appello del Signore sente nel cuore, perché cresca il senso di comunione con gli altri. Ad ogni preghiera rispondiamo: Padre facci conoscere il tuo amore. (ad es: Signore tu mi chiami ad essere... disponibile quando... ad essere più generoso quando ecc)
Preghiera corale conclusiva (può farla un solista, o solista e assemblea) Signore Quando resto fuori dal tuo amore, perché vivo facendo molti calcoli e mi chiudo nelle mie ragioni, non smettere di bussare alla mia porta. Illumina la mia mente quando si contorce su se stessa e sciogli le mie catene quando non sono recettivo del tuo amore liberante.
Guida - Preghiamo:Signore che ci chiami a fare festa quando ritorna a te chi era perduto, donaci la libertĂ del cuore perchĂŠ possiamo immergere il nostro amore nel tuo ed essere sempre pronti a tradurre la nostra fede in comunione con gli altri. Per Cristo nostro Signore. Amen Canto finale
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Padre nostro
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Itinerario Quaresimale per i Giovani in preparazione alla Pasqua
Donami di godere del bene degli altri e di crescere nella libertĂ di amare. Fa che accetti il tuo amore che soffia dove vuole: i tuoi pensieri non sono i miei pensieri e le tue vie non sono le mie vie. Donami il tuo Spirito per riconoscere il tuo invito ad amare te e gli altri.
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esercizi spirituali V giorno
“Tu sei sempre con me” Canto Guida - Siamo riuniti insieme nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo Tutti - Amen
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Invochiamo insieme lo Spirito Santo:
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Grazie o Spirito per esserti fatto per noi luce senza tramonto, sole senza declino, perché non hai dove nasconderti, tu che riempi l’universo della tua gloria. Vieni, Signore, pianta in noi la tua tenda; costruisci la tua casa e rimani eternamente in noi, tuoi servi, perché alla fine anche noi ci ritroviamo in te. Amen
(Anonimo secolo IX)
Dal vangelo secondo Luca (15,29-32) Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. 1 responsorio: (dal Salmo 18) Guida - Il Signore mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene. Tutti - Tu salvi il popolo dei poveri, ma abbassi gli occhi dei superbi. Dagli scritti di S. Kierkegaard (+ 1845) Noi parliamo di te come se ci avessi amato per primo una sola
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volta. Invece continuamente, di giorno in giorno, per la vita intera tu ci ami per primo. Quando al mattino mi sveglio ed elevo a te il mio spirito, tu sei il primo, tu mi ami per primo. Se mi alzo all’alba e immediatamente elevo a te il mio spirito e la mia preghiera, tu mi precedi, tu già mi hai amato per primo. E’ sempre così. E noi ingrati, che parliamo come se tu ci avessi amati per primo una volta sola...” Guida - Signore, tu dai luce alla mia lampada; Tutti - Il mio Dio rischiara le mie tenebre. Per la riflessione personale Il punto del racconto: Le ragioni del figlio maggiore seguono una logica più che giusta. I primi versetti del brano evangelico di questa sera non fanno che spiegare l’indignazione del figlio e mettere in luce la non linearità del padre, che sembra agire ingiustamente. Nel nostro tempo si parla tanto di merito: è come se il padre non valorizzasse il merito del figlio maggiore e facesse in un certo senso delle preferenze. Viene naturale pensare così. Poi il padre mette davanti al figlio maggiore le sue ragioni e allora è possibile mettere a confronto due modi di pensare completamene diversi. Il primo si basa sul dare perché tu mi dia (prima o poi), il secondo sul dare come modo di essere che rende felici. In fondo il fratello rimasto in casa, in un moto di gelosia per l’amore del padre nei confronti del figlio perduto, chiede “ora” il conto e puntualizza la questione di ciò che gli spetta e gli sarebbe spettato. Ciò che il figlio minore ha fatto precedentemente, lo ripete ora il figlio maggiore. Essi hanno la stessa mentalità e con modalità diversa avanzano le stesse richieste al padre. La loro vicinanza ci permette di guardare a loro come se fossero un’unica persona e soprattutto ci permette di ascoltare quanto dice il padre come se fosse la risposta che dà sia al primo che al secondo figlio. Il racconto si risolve
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2 responsorio: (dal Salmo 18)
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su una frase importantissima: “Figlio mio tu sei sempre con me”. Questo è l’unico patrimonio che il padre conosce, l’unica cosa a cui un vero figlio può aspirare: l’essere in relazione dà senso al tutto il resto . E’ bello notare che molte volte le pagine della Scrittura Sacra parlano di “Dio con noi”. Una formula di alleanza ripetuta continuamente: io sono con voi. Qui invece il padre dà nuova consapevolezza al figlio: non basta sapere che Dio è con noi, perché noi potremo non essere con lui. Un giorno lui ci dirà: tu sei con me. Quel giorno è l’inizio del paradiso e della comunione con tutti gli uomini e tutte le creature.
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Il quarto passo della preghiera:”Tu sei sempre con me” Il quinto e ultimo passo della preghiera di questo itinerario è quello di entrare dentro il rapporto con Dio sentendo che la comunione con Dio ti spinge a vivere una profonda relazione con gli altri e viceversa. T’invito ad “affezionarti” all’espressione “tu sei sempre con me”, nel senso letterale del termine dal latino “affectus” da “afficere”, che significa toccare, commuovere lo spirito. Dunque lasciati toccare dalle parole del padre, fino a farti prendere dal loro significato. Per ottenere questo risultato t’invito a ripetere più volte, interiormente, queste cinque parole: Tu.. sei.. sempre.. con me. Chiediti: capisco cosa intende dirmi il Signore tramite il padre della parabola? Cosa suscita in me questa espressione: gioia, curiosità, tenerezza, serenità.. o cos’altro? Quale consapevolezza il padre vuole infondere nei suoi figli (il primo e il secondo si rispecchiano l’un l’altro ed hanno lo stesso problema) dal punto di vista relazionale. Dio è sempre con te ma non lo capirai mai fino in fondo se non ti accorgi che anche tu sei sempre con lui: niente può separarti dal suo amore, né il tuo errore, né la tua rigidità di cuore ... Non solo perché lui continua ad amarti sempre, ma perché il desiderio di lui è la verità più profonda del tuo essere. Questa verità crea ponti impensati e sempre nuovi per incontrare gli altri. Invocazioni spontanee: presentiamo a Dio i desideri maturati in questo itinerario
Padre nostro Guida - Preghiamo: Padre porta compimento in noi l’opera che hai iniziato, non permettere che ci separiamo da te e se nel nostro quotidiano ci capita di deviare dal tuo amore, donaci di riscoprire sempre il nostro desiderio di tornare a te con i nostri fratelli. Per Cristo nostro Signore, Amen. Canto finale
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Signore Ti ringrazio perché hai acceso una luce nel mio cuore. Tu sei sempre con me e anch’io o Signore non desidero altro che essere con te. Se guardo il mondo con gli occhi di questo desiderio, sento crescere in me la forza e la voglia di vivere. Vivo ogni giorno nell’attesa di ritrovarmi in te e quando mi risveglio in questa speranza, allora mi cogli di sorpresa e mi doni anche tutti coloro che incontro. Il tuo amore Signore è lontano da ogni conflitto: amare il fratello che vedo è il mio modo di amare te che non vedo. Ripetimi sempre Signore che tu sei con me e fammi vedere che anch’io sono sempre con te, non perché sono bravo ed efficiente, ma perché tu sei in me il desiderio dell’incontro, la gioia del perdono, il coraggio di rialzarmi quando sono caduto, la forza di amare senza calcolo, la tenacia di cercare fino in fondo la verità dell’amore e desiderarla sopra ogni cosa. Grazie perché tu sei con me Grazie perché hai impresso in me la nostalgia del tuo amore Grazie perché la mia strada é un perpetuo ritorno a te Grazie perché lungo la via mi doni sempre di nuovo i miei fratelli. Amen
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Itinerario Quaresimale per i Giovani in preparazione alla Pasqua
In questo momento di preghiera presentiamo spontaneamente al Padre i nostri desideri, perché lui li raccolga e cresca in noi la consapevolezza della nostra relazione con lui e con i fratelli. Possiamo esprimerci con preghiere di ringraziamento, di lode, di intercessione, che diano voce a quello che sentiamo di dover portare nel quotidiano da questo intenso percorso di ascolto della Parola e di preghiera scaturita da questo ascolto. Diciamo insieme: Signore custodiscici ogni giorno nel tuo amore.
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alcuni testi del magistero per approfondire
Educare alla vita buona del Vangelo
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Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020 (OP)
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… nell’arte delicata e sublime dell’educazione noi Vescovi riconosciamo una sfida culturale e un segno dei tempi, ma prima ancora una dimensione costitutiva e permanente della nostra missione di rendere Dio presente in questo mondo e di far sì che ogni uomo possa incontrarlo, scoprendo la forza trasformante del suo amore e della sua verità, in una vita nuova caratterizzata da tutto ciò che è bello, buono e vero. Educare alla vita buona del Vangelo significa, infatti, in primo luogo farci discepoli del Signore Gesù, il Maestro che non cessa di educare a una umanità nuova e piena. Egli parla sempre all’intelligenza e scalda il cuore di coloro che si aprono a lui e accolgono la compagnia dei fratelli per fare esperienza della bellezza del Vangelo. La Chiesa continua nel tempo la sua opera: la sua storia bimillenaria è un intreccio fecondo di evangelizzazione e di educazione. Annunciare Cristo, vero Dio e vero uomo, significa portare a pienezza l’umanità e quindi seminare cultura e civiltà. Non c’è nulla, nella nostra azione, che non abbia una significativa valenza educativa. (dalla Presentazione del card. Bagnasco) Chi educa è sollecito verso una persona concreta, se ne fa carico con amore e premura costante, perché sboccino, nella libertà, tutte le sue potenzialità. Educare comporta la preoccupazione che siano formate in ciascuno l’intelligenza, la volontà e la capacità di amare, perché ogni individuo abbia il coraggio di decisioni definitive. (OP 5) Un segno dei tempi è senza dubbio costituito dall’accresciuta sensibilità per la libertà in tutti gli ambiti dell’esistenza: il desiderio di libertà rappresenta un terreno d’incontro tra l’anelito dell’uomo e il messaggio cristiano. Nell’educazione, la libertà è il presupposto indispensabile per la crescita della persona.
Siamo così condotti alle radici dell’“emergenza educativa”, il cui punto cruciale sta nel superamento di quella falsa idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come un “io” completo in se stesso, laddove, invece, egli diventa “io” nella relazione con il “tu” e con il “noi”. Tale distorsione è stata magistralmente illustrata dal Santo Padre: «Una radice essenziale consiste – mi sembra – in un falso concetto di autonomia dell’uomo: l’uomo dovrebbe svilupparsi solo da se stesso, senza imposizioni da parte di altri, i quali potrebbero assistere il suo autosviluppo, ma non entrare in questo sviluppo. In realtà, è essenziale per la persona umana il fatto che diventa se stessa solo dall’altro, l’‘io’ diventa se stesso solo dal ‘tu’ e dal ‘noi’, è creato per il dialogo, per la comunione sincronica e diacronica. E solo l’incontro con il ‘tu’ e con il ‘noi’ apre l’‘io’ a se stesso. Perciò la cosiddetta educazione antiautoritaria non è educazione, ma rinuncia all’educazione: così non viene dato quanto noi siamo debitori di dare agli altri, cioè questo ‘tu’ e ‘noi’ nel quale si
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Essa, infatti, non è un semplice punto di partenza, ma un processo continuo verso il fine ultimo dell’uomo, cioè la sua pienezza nella verità dell’amore. «L’uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà. […] La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere. L’uomo perviene a tale dignità quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine mediante la scelta libera del bene» (GS 17). Un’autentica educazione deve essere in grado di parlare al bisogno di significato e di felicità delle persone. Il messaggio cristiano pone l’accento sulla forza e sulla pienezza di gioia (cfr Gv 17,13) donate dalla fede, che sono infinitamente più grandi di ogni desiderio e attesa umani. Il compito dell’educatore cristiano è diffondere la buona notizia che il Vangelo può trasformare il cuore dell’uomo, restituendogli ragioni di vita e di speranza. Siamo nel mondo con la consapevolezza di essere portatori di una visione della persona che, esaltandone la verità, la bontà e la bellezza, è davvero alternativa al sentire comune. (OP 8)
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apre l’‘io’ a se stesso». (OP 9)
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In una società caratterizzata dalla molteplicità di messaggi e dalla grande offerta di beni di consumo, il compito più urgente diventa, dunque, educare a scelte responsabili. Per questo, sin dai primi anni di vita, l’educazione non può pensare di essere neutrale, illudendosi di non condizionare la libertà del soggetto. Il proprio comportamento e stile di vita – lo si voglia o meno – rappresentano di fatto una proposta di valori o disvalori. È ingiusto non trasmettere agli altri ciò che costituisce il senso profondo della propria esistenza. Un simile travisamento restringerebbe l’educazione nei confini angusti del sentire individuale e distruggerebbe ogni possibile profilo pedagogico. Di fronte agli educatori cristiani, come pure a tutti gli uomini di buona volontà, si presenta, pertanto, la sfida di contrastare l’assimilazione passiva di modelli ampiamente divulgati e di superarne l’inconsistenza, promuovendo la capacità di pensare e l’esercizio critico della ragione. (OP 10) La formazione integrale è resa particolarmente difficile dalla separazione tra le dimensioni costitutive della persona, in special modo la razionalità e l’affettività, la corporeità e la spiritualità. La mentalità odierna, segnata dalla dissociazione fra il mondo della conoscenza e quello delle emozioni, tende a relegare gli affetti e le relazioni in un orizzonte privo di riferimenti significativi e dominato dall’impulso momentaneo. Si avverte, amplificato dai processi della comunicazione, il peso eccessivo dato alla dimensione emozionale, la sollecitazione continua dei sensi, il prevalere dell’eccitazione sull’esigenza della riflessione e della comprensione. […] Il modello della spontaneità porta ad assolutizzare emozioni e pulsioni: tutto ciò che “piace” e si può ottenere diventa buono. Chi educa rinuncia così a trasmettere valori e a promuovere l’apprendimento delle virtù; ogni proposta direttiva viene considerata autoritaria. Già Paolo VI, indicando alcune linee fondamentali di quella che egli chiamava «l’arte sovrana di educare», osservava: «[…]
In Gesù, maestro di verità e di vita che ci raggiunge nella forza dello Spirito, noi siamo coinvolti nell’opera educatrice del Padre e siamo generati come uomini nuovi, capaci di stabilire relazioni vere con ogni persona. È questo il punto di partenza e il cuore di ogni azione educativa. (OP 25) Alcuni tratti essenziali della relazione educativa di Gesù “Che cosa cercate ?” (Gv 1,38): suscitare e riconoscere un desiderio. “Venite e vedrete” (Gv 1,39): il coraggio della proposta. “Rimasero con lui” (Gv 1,39): accettare la sfida. “Signore da chi andremo?” (Gv 6,68): perseverare nell’impresa. “Signore tu lavi i piedi a me?” (Gv 13,6): accettare di essere amato. “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34): vivere la relazione nell’amore. (OP 25) «Cristiani si diventa, non si nasce». Questo notissimo detto di Tertulliano sottolinea la necessità della dimensione propriamente educativa nella vita cristiana. Si tratta di un itinerario condiviso, in cui educatori ed educandi intrecciano un’esperienza umana e spirituale profonda e coinvolgente. Educare richiede un impegno nel tempo, che non può ridursi a interventi puramente funzionali e frammentari; esige un rapporto personale di fedeltà tra soggetti attivi, che sono protagonisti della relazione edu-
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L’educatore non è un osservatore passivo dei fenomeni della vita giovanile; deve essere un amico, un maestro, un allenatore, un medico, un padre, a cui non tanto interessa notare il comportamento del suo pupillo in determinate circostanze, quanto preservarlo da inutili offese e allenarlo a capire, a volere, a godere, a sublimare la sua esperienza». Una vera relazione educativa richiede l’armonia e la reciproca fecondazione tra sfera razionale e mondo affettivo, intelligenza e sensibilità, mente, cuore e spirito. La persona viene così orientata verso il senso globale di se stessa e della realtà, nonché verso l’esperienza liberante della continua ricerca della verità, dell’adesione al bene e della contemplazione della bellezza. (OP 13)
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cativa, prendono posizione e mettono in gioco la propria libertà. Essa si forma, cresce e matura solo nell’incontro con un’altra libertà; si verifica solo nelle relazioni personali e trova il suo fine adeguato nella loro maturazione. (OP 26)
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L’educazione, costruita essenzialmente sul rapporto educatore ed educando, non è priva di rischi e può sperimentare crisi e fallimenti: richiede quindi il coraggio della perseveranza. Il processo educativo è efficace quando due persone si incontrano e si coinvolgono profondamente, quando il rapporto è instaurato e mantenuto in un clima di gratuità (OP 28)
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L’educatore è un testimone della verità, della bellezza e del bene, cosciente che la propria umanità è insieme ricchezza e limite. Ciò lo rende umile e in continua ricerca. Educa chi è capace di dare ragione della speranza che lo anima ed è sospinto dal desiderio di trasmetterla. La passione educativa è una vocazione, che si manifesta come un’arte sapienziale acquisita nel tempo attraverso un’esperienza maturata alla scuola di altri maestri. Nessun testo e nessuna teoria, per quanto illuminanti, potranno sostituire l’apprendistato sul campo. L’educatore compie il suo mandato anzitutto attraverso l’autorevolezza della sua persona. Essa rende efficace l’esercizio dell’autorità; è frutto di esperienza e di competenza, ma si acquista soprattutto con la coerenza della vita e con il coinvolgimento personale. Educare è un lavoro complesso e delicato, che non può essere improvvisato o affidato solo alla buona volontà. Il senso di responsabilità si esplica nella serietà con cui si svolge il proprio servizio. Senza regole di comportamento, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, e senza educazione della libertà non si forma la coscienza, non si allena ad affrontare le prove della vita, non si irrobustisce il carattere. Infine, l’educatore si impegna a servire nella gratuità, ricordando che «Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7). Nessuno è padrone di ciò che ha ricevuto, ma ne è custode e amministratore, chiamato a edificare un mondo migliore, più umano e più ospitale. Ciò vale pure per i genitori, chiamati non soltanto a dare la vita, ma anche ad
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Illuminati dalla fede nel nostro Maestro e incoraggiati dal suo esempio, noi abbiamo invece buone ragioni per ritenere di essere alle soglie di un tempo opportuno per nuovi inizi. Occorre, però, ravvivare il coraggio, anzi la passione per l’educare. È necessario formare gli educatori, motivandoli a livello personale e sociale, e riscoprire il significato e le condizioni dell’impegno educativo. (OP 30)
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aiutare i figli a intraprendere la loro personale avventura. (OP 29)
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“La porta della fede”
Motu proprio per l’indizione dell’anno della fede 2012-2013 (Benedetto XVI)
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La “porta della fede” (cfr At 14,27) che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta comporta immettersi in un cammino che dura tutta la vita.
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IV – La parabola del figliol prodigo […] Nella parabola del figliol prodigo, in cui l’essenza della misericordia divina, benché la parola «misericordia» non vi ricorra, viene espressa tuttavia in modo particolarmente limpido. […] Quel figlio, che riceve dal padre la porzione di patrimonio che gli spetta e lascia la casa per sperperarla in un paese lontano, «vivendo da dissoluto», è in certo senso l’uomo di tutti i tempi... La parabola tocca indirettamente ogni rottura dell’alleanza d’amore, ogni perdita della grazia, ogni peccato… Quel figlio, «quando ebbe speso tutto..., cominciò a trovarsi nel bisogno», tanto più che venne una grande carestia «in quel paese» in cui si era recato dopo aver lasciato la casa paterna. E in questa situazione «avrebbe voluto saziarsi» con qualunque cosa, magari anche «con le carrube che mangiavano i porci» da lui pascolati per conto di «uno degli abitanti di quella regione». Ma perfino questo gli veniva rifiutato. L’analogia si sposta chiaramente verso l’interno dell’uomo. Il patrimonio che quel tale aveva ricevuto dal padre era una risorsa di beni materiali, ma più importante di questi beni era la sua dignità di figlio nella casa paterna. La situazione in cui si venne a trovare al momento della perdita dei beni materiali doveva renderlo cosciente della perdita di questa dignità. Egli non vi aveva pensato prima, quando aveva chiesto al padre di dargli la parte del patrimonio che gli spettava per andar via. E sembra che non ne sia consapevole neppure adesso, quando dice a se stesso: «Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza, ed io qui muoio di fame!». Egli misura se stesso con il metro dei beni che aveva perduto, che non «possiede» più, mentre i salariati in casa di suo padre li «posseggono». Queste parole esprimono soprattutto il suo atteggiamento verso i beni materiali; nondimeno, sotto la superficie di esse, si cela il dramma della dignità
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(1988)
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“Dives in misericordia. Lettera enciclica del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II”
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perduta, la coscienza della figliolanza sciupata. È allora che egli prende la decisione: «Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni». Parole, queste, che svelano più a fondo il problema essenziale. Attraverso la complessa situazione materiale, in cui il figliol prodigo era venuto a trovarsi a causa della sua leggerezza, a causa del peccato, era maturato il senso della dignità perduta. Quando egli decide di ritornare alla casa paterna, di chiedere al padre di essere accolto - non già in virtù del diritto di figlio, ma in condizione di mercenario -, sembra esteriormente agire a motivo della fame e della miseria in cui è caduto; questo motivo è però permeato dalla coscienza di una perdita più profonda: essere un garzone nella casa del proprio padre è certamente una grande umiliazione e vergogna. Nondimeno, il figliol prodigo è pronto ad affrontare tale umiliazione e vergogna. Egli si rende conto che non ha più alcun diritto, se non quello di essere mercenario nella casa del padre. La sua decisione è presa in piena coscienza di ciò che ha meritato e di ciò a cui può ancora aver diritto secondo le norme della giustizia. Proprio questo ragionamento dimostra che, al centro della coscienza del figliol prodigo, emerge il senso della dignità perduta, di quella dignità che scaturisce dal rapporto del figlio col padre. Ed è con tale decisione che egli si mette per strada. Nella parabola del figliol prodigo non è usato neanche una sola volta il termine «giustizia», cosi come, nel testo originale, non è usato quello di «misericordia»; tuttavia, il rapporto della giustizia con l ‘amore che si manifesta come misericordia viene con grande precisione inscritto nel contenuto della parabola evangelica. Diviene più palese che l’amore si trasforma in misericordia quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta. Il figliol prodigo, consumate le sostanze ricevute dal padre, merita - dopo il ritorno - di guadagnarsi da vivere lavorando nella casa paterna come mercenario, ed eventualmente, a poco a poco, di conseguire una certa provvista di beni materiali, forse però mai più nella quantità in cui li
Particolare concentrazione sulla dignità umana Questa precisa immagine dello stato d ‘animo del figliol prodigo ci permette di comprendere con esattezza in che cosa consista la misericordia divina. Non vi è alcun dubbio che in quella semplice ma penetrante analogia, la figura del genitore ci svela Dio come Padre. Il comportamento del padre della parabola e tutto il suo modo di agire, che manifestano il suo atteggiamento interiore, ci consentono di ritrovare i singoli fili della visione vetero testamentaria della misericordia in una sintesi totalmente nuova, piena di semplicità e di profondità. Il padre del figliol prodigo è fedele alla sua paternità, fedele a quell’amore che da sempre elargiva al proprio figlio. Tale fedeltà si esprime nella parabola non soltanto con la prontezza immediata nell’accoglierlo in casa, quando ritorna dopo aver sperperato il patrimonio: essa si esprime ancor più pienamente con quella gioia, con quella festosità cosi generosa nei confronti del dissipatore dopo il ritorno, che è tale da suscitare l’opposizione e l’invidia del fratello maggiore, il quale non si era mai allontanato dal padre e non ne aveva abbandonato la casa. La fedeltà a se stesso da parte del padre - un tratto già noto dal termine vetero-testamentario «.hesed» - viene al tempo stesso espressa in modo particolarmente carico di affetto. Leggiamo infatti che, quando il padre vide il figliol prodigo tornare a casa,
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aveva sperperati. Tale sarebbe l’esigenza dell’ordine di giustizia, tanto più che quel figlio non soltanto aveva dissipato la parte del patrimonio spettantegli, ma inoltre aveva toccato sul vivo ed offeso il padre con la sua condotta. Questa, infatti, che a suo giudizio l’aveva privato della dignità filiale, non doveva essere indifferente al padre. Doveva farlo soffrire. Doveva anche, in qualche modo, coinvolgerlo. Eppure si trattava, in fìn dei conti, del proprio figlio, e tale rapporto non poteva essere né alienato né distrutto da nessun comportamento. Il figliol prodigo ne è consapevole, ed è appunto tale consapevolezza a mostrargli chiaramente la dignità perduta ed a fargli valutare rettamente il posto che ancora poteva spettargli nella casa del padre.
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«commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Egli agisce certamente sotto l’influsso di un profondo affetto, e così può essere spiegata anche la sua generosità verso il figlio, quella generosità che tanto indigna il fratello maggiore. Tuttavia, le cause di quella commozione vanno ricercate più in profondità. Ecco, il padre è consapevole che è stato salvato un bene fondamentale: il bene dell’umanità del suo figlio. Sebbene questi abbia sperperato il patrimonio, è però salva la sua umanità. Anzi, essa è stata in qualche modo ritrovata. Lo dicono le parole che il padre rivolge al figlio maggiore: «Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». Nello stesso capitolo XV del Vangelo secondo Luca, leggiamo la parabola della pecora ritrovata, e successivamente la parabola della dramma ritrovata. Ogni volta vi è posta in rilievo la medesima gioia presente nel caso del figliol prodigo. La fedeltà del padre a se stesso è totalmente incentrata sull’umanità del figlio perduto, sulla sua dignità. Così si spiega soprattutto la gioiosa commozione al momento del suo ritorno a casa. Proseguendo, si può dunque dire che l’amore verso il figlio, L’amore che scaturisce dall’essenza stessa della paternità, obbliga in un certo senso il padre ad aver sollecitudine della dignità del figlio. Questa sollecitudine costituisce la misura del suo amore, L’amore di cui scriverà poi san Paolo: «La carità è paziente, è benigna la carità..., non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto..., si compiace della verità..., tutto spera, tutto sopporta» e «non avrà mai fine». La misericordia - come l’ha presentata Cristo nella parabola del figliol prodigo - ha la forma interiore dell’amore che nel Nuovo Testamento è chiamato «agápe». Tale amore è capace di chinarsi su ogni figlio prodigo, su ogni miseria umana e, soprattutto, su ogni miseria morale, sul peccato. Quando ciò avviene, colui che è oggetto della misericordia non si sente umiliato, ma come ritrovato e «rivalutato». Il padre gli manifesta innanzitutto la gioia che sia stato «ritrovato» e che sia «tornato in vita». Tale gioia indica un bene inviolato: un figlio, anche se prodigo, non cessa di esser figlio reale di suo padre; essa indica inoltre un bene ritrovato, che nel
La parabola del figliol prodigo esprime in modo semplice, ma profondo, la realtà della conversione. Questa è la più concreta espressione dell’opera dell’amore e della presenza della misericordia nel mondo umano. Il significato vero e proprio della misericordia non consiste soltanto nello sguardo, fosse pure il più penetrante e compassionevole, rivolto verso il male morale, fisico o materiale: la misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e proprio quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male esistenti nel mondo e nell’uomo. Così intesa, essa costituisce il contenuto fondamentale del messaggio messianico di Cristo e la forza costitutiva della sua missione. Allo stesso modo intendevano e praticavano la misericordia i suoi discepoli e seguaci. Essa non cessò mai di rivelarsi, nei loro cuori e nelle loro azioni, come una verifica particolarmente creatrice dell’amore che non si lascia «vincere dal male», ma si vince «con il bene il male». Occorre che il volto genuino della misericordia sia sempre nuovamente svelato. Nonostante molteplici pregiudizi, essa appare particolarmente necessaria ai nostri tempi.
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caso del figliol prodigo fu il ritorno alla verità su se stesso. […]. La parabola del figliol prodigo dimostra che … la relazione di misericordia si fonda sulla comune esperienza di quel bene che è l’uomo, sulla comune esperienza della dignità che gli è propria. Questa comune esperienza fa sì che il figliol prodigo cominci a vedere se stesso e le sue azioni in tutta verità (tale visione nella verità è un’autentica umiltà); e per il padre, proprio per questo motivo, egli diviene un bene particolare: il padre vede con così limpida chiarezza il bene che si è compiuto, grazie ad una misteriosa irradiazione della verità e dell’amore, che sembra dimenticare tutto il male che il figlio aveva commesso.
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Chiuso in tipografia nel mese di febbraio 2012 Stampato da Tipografia GF Press Masotti Grafica: Graficamente Pistoia di Patrizia Bartolozzi graficamentepb@tin.it Tutti i diritti di riproduzione sono riservati