L’enciclica postcapitalista
Quei pochi che seguono con attenzione l’evoluzione del pensiero sociale della chiesa ricorderanno che
Giovanni Paolo II, nella Centesimus annus, alla domanda se “dopo il fallimento del comunismo, il sistema sociale vincente sia il capitalismo”, aveva risposto con queste precise parole: “Se con capitalismo si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di ‘economia d’impresa’ o di ‘economia di mercato, o semplicemente di ‘economia libera’. Ma se con capitalismo si intende un sistema in cui la libertà del settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa”. Altre volte lo stesso Pontefice si era coraggiosamente e autorevolmente dissociato dalle tesi allora imperanti del neo-liberismo, cioè della libertà assoluta del mercato, senza limiti e senza controlli né da parte dello stato né da parte della società. Ora Benedetto XVI, nell’ultima sua enciclica, riprende il discorso portando a compimento l’auspicio del suo predecessore. E’ stato notato infatti che l’ultimo documento sociale della chiesa non nomina nemmeno il termine capitalismo, ma parla semplicemente di economia di mercato. Mercato, dunque, sì, capitalismo no. Una delle affermazioni fondamentali della Caritas in veritate, di cui anche i cattolici, dopo (duole dirlo) i cosiddetti “uomini di buona volontà”, dovrebbero prendere coscienziosamente atto. Allora, secondo lo spirito e la lettera dell’ultimo documento sociale della chiesa, l’alternativa non è più fra economia di mercato ed economia programmata, tipica di un certo genere di socialismo, da noi ben conosciuto nel recente passato. La distinzione si porta all’interno della prima, fra la concezione di un’economia di tipo civile e un’economia di tipo darwiniano, cioè di tipo liberistico che, come nella giungla, privilegia i più forti e lascia in disparte i poveri e gli indifesi. E’ il genere di economia che ha portato per la seconda volta al collasso i paesi dell’occidente e, di riflesso, del mondo intero. Benedetto XVI ha voluto aspettare due anni a pubblicare la propria enciclica per poter dare, anche col contributo dei maggiori esperti mondiali, un giudizio documentato sull’attuale crisi, certamente più grave e più profonda di quella storica del 1929. Il Papa ha incentrato la sua intera esposizione sui concetti tradizionali di solidarietà e di fraternità e sulla nuova “invenzione” della gratuità, da riconoscere, forse, come l’elemento più innovativo del suo lungo e rivoluzionario messaggio. E’ su questi parametri che si svolge l’attuale dibattito. Bando, dunque, alla libertà assoluta del mercato, alla massimizzazione del profitto, al liberismo teorizzato soltanto qualche anno fa come la fine e il compimento della storia. Come l’esperienza ci ha ampiamente dimostrato, specialmente in questi ultimi tempi, il libero mercato non è affatto quella mano provvidenziale che finisce col sistemare ogni cosa nella giustizia e nella verità. Con questo sistema i ricchi sono diventati sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. E la fame e la miseria prosperano nel mondo, perfino nel mondo dei paesi opulenti, come non mai. E’ in nome di questi relitti della storia, individui, famiglie e popoli interi, che si è di nuovo levata, alta e solenne, la voce della chiesa, per sua stessa dichiarazione, amica e protettrice dei poveri, esattamente come il suo Fondatore, portavoce e interprete del Dio della Bibbia. Siamo dunque a un passaggio epocale, a uno snodo fondamentale della storia. Ma ora, mentre si sta preparando da più parti un puro e semplice ritorno al passato, mentre i politici e gli economisti si baloccano con le loro consuete ricette di carattere contingente e superficiale, da che parte si schiereranno i cattolici? E’ chiaro che questa volta sono chiamati in causa i cattolici di una certa specie, per intenderci quelli che sono schierati sul settore della destra politica, ai quali nessuno vieta di poter continuare a militare nella parte da loro preferita, ma ai quali si domanda autorevolmente di comportarsi ancora da cristiani. E’ tempo di scelte lungimiranti e coraggiose. C’è speranza che la voce del Papa venga raccolta indistintamente da tutti? Giordano Frosini